SUPERIORITÀ DELL'ATTORE
di
Alfredo Balducci
[Testo tutelato dalla Società Italiana degli Autori e degli Editori (S.I.A.E.)]
A tutti la vita offre talvolta situazioni incresciose da affrontare, ma solo
alcuni, grazie al mestiere che svolgono, hanno la forza e la spregiudicatezza
necessarie per superarle. In questi casi si può giustamente parlare di una vera
e propria superiorità.
Rappresentata al Castello di Padenghe sul Garda (Bs)
Personaggi:
L’attore
L’attore è in scena con un immaginario interlocutore. Sul fondo una quinta
teatrale oltre la quale si intravvedono la ribalta accesa e la buia distesa di
una platea affollata. Lo spettacolo è in corso. Ogni tanto, qualche musichetta,
brusio di folla, risate, applausi.
L’attore
– … no e no… ho detto di no! io non le faccio queste figure. Dovevo saperlo
prima, mi sarei preparato qualcosa. Lo so che non fai l’indovino, ma nemmeno io
faccio il tappabuchi. Quello che potevo fare l’ho fatto: ho allungato il mio
numero di cinque minuti… di più non potevo starci là sopra… lo capisci subito
quando il pubblico è stanco. Figurati un po’ se posso ritornare in scena… a
raccontare che cosa, poi?… come dici? l’attore di razza… l’animale da
palcoscenico?… balle!… l’improvvisazione non è mai esistita, neppure ai tempi
della commedia dell’arte… e neanche Petrolini… no, neanche lui, con quelle
battute brucianti che sembravano nate lì per lì… un campionario ne aveva, tutte
belle allineate le battute “brucianti”, per tutte le occasioni… queste per il
ritardatario, queste altre per lo spettatore che si alza prima della fine… per
chi non applaude, per chi chiacchiera col vicino di posto, e via di seguito.
Dunque, se neanche Petrolini se la sentiva di affrontare il pubblico a mani
nude, vuoi che io, proprio io… eh, andiamo! La faccia è mia e non la butto via
così facilmente. Che cosa dovrei fare?… barzellette? non ne conosco… una storia
qualsiasi, un episodio della mia vita?… beh, ma per chi m’hai preso, per Giacomo
Casanova? Cosa credi che sia stata la mia vita, un romanzo?… una vita come tutte
le altre, né più, né meno… anzi, forse meno che più. E poi, non lo sai che una
vita appare interessante solo quando appartiene a chi è diventato qualcuno,
quando qualsiasi cosa abbia fatto diventa un segno rivelatore, anticipatore del
genio? Se io, per esempio, vado fuori a raccontare che mio padre non voleva che
facessi del teatro, sai cosa dice la gente?… “aveva ragione”!… come? Se gliela
racconto così si mette a ridere? Non credere: oggi il pubblico è molto esigente…
ci vuol altro per farlo ridere… come dici? con i discorsi dei politici di tutti
i giorni… io dovrei raccontare questa roba?… non sono ancora sceso così in
basso… e poi a me il qualunquismo non piace, lo sai. No, non insistere, le mie
doti di comunicazione ci sono ancora quando ho un testo nel cervello, provato e
riprovato… ma poi, ti rendi conto chi dovrei sostituire?.. Kira e Samantha…
tette, cosce e chiappe… ti rendi conto? Il novanta per cento del pubblico viene
per vedere loro, e io dovrei dare almeno qualcosa dello stesso peso… ah, non
pretendi che lo spogliarello lo faccia io… sei generoso!… ma perché quelle due
cretine sono andate a finire in un incidente stradale facendosi incastrare dalla
polizia per via delle testimonianze?!.. Va beh, affari loro… Senti, perché sulla
scena non mandi Gloria… cosa vuoi che sia per lei cantare altre tre o quattro
canzonette?… non la vogliono sentire, è una cagna sfiatata?… mi dài ragione,
finalmente!… e perché l’hai ficcata in compagnia, allora, perché ce la portiamo
dietro?… va a letto con l’onorevole... lo so… e allora che venga lui qui,
l’onorevole, a riempire questo vuoto… potrebbe essere un’idea: l’onorevole
tappabuchi… eh, no, questo non è qualunquismo: non è un onorevole qualunque, è
un onorevole con nome e cognome. Dài, non te la prendere, lo so che non è il
momento di scherzare, che non vuoi avere da dire con il proprietario della sala…
vediamo come si può rimediare… il duo Foster! Non hanno un altro balletto da
presentare?… non ce l’hanno. Scin–Lao, l’uomo che legge nel pensiero, può
allungare il suo numero come ho fatto io, no? ... allungherà di dieci minuti… e
perché non di più? … c’è un limite a tutto? e lasciamoglielo trovare a lui
questo limite: sarà ben capace di leggerlo nel pensiero del pubblico quando è il
momento di smetterla… ma no… ti ho detto che voglio aiutarti, non cerco le
battute… vengono fuori da sole… perché siamo qui, si capisce… là non uscirebbe
nulla. Senti, non c’è che Susy che possa salvare la situazione… lei, se vuole,
può farlo durare almeno un quarto d’ora il suo numero… dici di no?… cinque
minuti tutta vestita… cinque minuti per togliersi il reggiseno e cinque minuti
dal reggiseno alle mutandine… guarda, è Susy che può darti una mano… beh, una
mano con tutto il resto, si capisce! Ma non c’è verso di farti smuovere!… sei
proprio fissato con me, te li devo riempire io questi dieci minuti!… il pubblico
vuole me?… ti ringrazio, ma il pubblico prende quello che passa il convento: il
pubblico è un buon bestione che chiede soltanto di poter sonnecchiare in pace.
Io non so cosa andare a dire, hai capito? Io senza il copione sono un uomo
morto, Ah, sì, la fai facile, tu… ma prova ad affrontarlo tu, il pubblico…
quella platea silenziosa che aspetta il momento giusto per sbranarti… eppure
dovresti conoscerlo anche tu, il pubblico, dovresti sapere di che mostro si
tratta… come? mi contraddico?… non c’è contraddizione, il pubblico può cambiare:
a volte buon bestione, a volte mostro spietato. Insomma, lo vuoi capire che non
me la sento?… dovrei entrare dopo il numero degli equilibristi, fra dieci minuti
esatti... cosa vuoi che prepari in dieci minuti?… non è per dar retta a
Stanislavskij, ma un po’ di tempo ci vuole… Senti, ho un’idea: allunghiamo di
cinque minuti l’intervallo fra il varietà e il cinegiornale e di cinque quello
fra il cinegiornale e il film… beh, scusa tanto, non volevo mica offenderti,
cercavo di aiutarti… sì, lo so che col vuoto non si riempie nulla, che lo
spettacolo è già uno schifo così… escluso il mio numero? Grazie, ma non ti
incomodare, tanto sul palcoscenico non ci torno. Un pugnale nella schiena? eh,
via, mi sembri un po’ tragico! Se sei capace di fare queste scene madri, perché
non ci vai tu davanti al pubblico?…uffffà… no e poi no! ho parlato cinese
finora?… perché non ripeto il numero dell’altro varietà?… ah, questa poi!… ma,
dico, sono tre mesi che andiamo in giro, che ci sciroppiamo due spettacoli al
giorno, tre la domenica e gli altri festivi, e non ti sei ancora accorto che il
mio numero è ancora quello vecchio?!… che abbiamo scartato il numero nuovo, dopo
i primi giorni, perché non faceva ridere nessuno?!… sì, lo so, a te non frega
nulla di quello che facciamo noi: tu ascolti soltanto gli applausi e conti i
biglietti venduti… certo che hai ragione: gli applausi e gli incassi sono la
cosa più importante nel nostro mestiere… anzi, a guardar bene, gli applausi
contano soltanto perché fanno aumentare gli incassi, altrimenti, voi, neanche
degli applausi sapreste cosa farvene. Perché adopero il voi, perché faccio delle
divisioni, prendo delle distanze? perché ogni tanto bisogna incominciare ad
alzare dei muri, a scavare delle fosse… eh, no, mio caro, non siamo sempre sulla
stessa barca… ci sono delle differenze, eccome se ci sono! Guarda adesso, per
esempio, venire a scoprire che dopo tre mesi, con duecento e passa spettacoli
sulla schiena, tu non hai mai ascoltato il mio numero!… d’accordo, hai altro da
fare… non vuoi perdere d’occhio la cassa, d’accordo… ma una volta su duecento,
una volta sola… anche per curiosità… e per un briciolo di soddisfazione a questo
fesso sbattuto laggiù… Pazienza! Come non detto. No, guarda, non insistere
perché proprio non me la sento. No, non me la sono presa a male: a certe cose ci
si fa il callo… e poi, in un momento come questo non starei a guardare. Te l’ho
detto e ridetto il motivo: non ho un copione, e non so cosa raccontare. Come
dici? l’attore è superiore al testo? guarda, io questa superiorità dell’attore
non l’ho mai capita. C’è gente che riesce a fare spettacolo con un niente, con
la loro sola presenza: io no, ho bisogno di un copione, di prove e riprove per
essere decente… e forse è proprio per questo che, come dici tu, qualche applauso
lo strappo. Se no sarei un disastro, una frana… Ma renditi conto che mi chiedi
l’impossibile… la mia vita, i miei ricordi non possono interessare nessuno… ma
lo sai veramente quello che può esserci dentro una persona?… quello che c’è
dentro di me, lo sai?… forse non te l’immagini neppure… Ecco, fai conto della
porta di un camerino che si apre e di vedere tua moglie, mezza nuda, abbracciata
con il suo compagno di numero. Come…? può non essere una sorpresa? d’accordo: in
certi casi uno se l’aspetta e, quando capita, che impressione vuoi che gli
faccia? Ma se questo sospetto non t’è mai passato per la testa, se mai e poi mai
hai pensato che potesse succedere, me lo dici come ci rimani, eh?… e io?… e che
cosa volevi che facessi, la tragedia?… in una compagnia di rivista!… sul comico
l’ho buttata… dico: “che succede, ragazzi, state provando un numero nuovo? fate
bene perché il porno–show va forte”… e loro?… mia moglie senza fiato, e lui:
“non crederai che si facesse sul serio”… e io: “ma per chi mi prendi? Lo so bene
che a te piacciono i maschi.”… Ma perché mi fai raccontare queste cose che
conosci benissimo?… no?… ma se lo sanno tutti!… e va bene, se davvero ci tieni e
se proprio non lo sai, io sono imparziale: o tutti o nessuno… Allora, che cosa
vuoi sapere?… se era vero che lui…? io l’ho buttata lì a caso, tanto per
umiliarlo, ma, guarda un po’, ci avevo indovinato… sembra che fra tanti
tentativi che avesse fatto di andare con le donne, solo con mia moglie… capisci?
Vedi bene che non si trattava di un adulterio… era un’opera di beneficenza… era
come una dama di San Vincenzo, mia moglie… la San Vincenzo degli invertiti. Come
l’ho presa io al momento?… “scusate tanto” ho detto, e ho richiuso la porta…
quando si può fare del bene a qualcuno!… Dici che sono un uomo caritatevole?… e
mia moglie, allora, che se ne andò con lui a continuare… la sua missione?!… Due
anni insieme c’è stata… pensa che forza d’animo! Ecco, vuoi che vada fuori a
raccontare questa roba? oppure dell’anno scorso, prima di venire con te, quando
incontro Esposito… quello della compagnia “Bèlle Epoque”… sì, lui, il vecchio,
quello con due denti d’oro proprio qui davanti… mi dice: “Sto mettendo insieme
uno spettacolo, vuoi venire con noi?” E io, con l’aria di chi naviga in mezzo
alle proposte: “Potrebbe anche… di che si tratta?” E lui: “Avresti un numero con
un bocconcino tutto pepe… ma che non ti venga in mente di allungare le zampe,
perché quella me la pascolo io…“ Beh, il bocconcino era mia moglie… sempre nel
campo della beneficenza: ora si occupava di assistenza agli anziani… Come andò a
finire? Che non potei entrare in compagnia… era un tipo geloso Esposito, e
quando seppe… eh, no, fu proprio lui a non volermi: io ci sarei passato sopra…
ero a spasso da sei mesi… vuoi parlare di dignità a uno che da sei mesi si
arrampica sugli specchi per campare?! Questo dovrei andare a raccontare?!… ah,
dici che potrebbe divertire?… Ma per cosa l’hai preso il pubblico, per una
pattumiera che raccoglie ogni rifiuto?… ora non voglio farti una lezione, ma
devo ricordarti che il teatro è finzione, là sopra la verità non ci può stare: è
stonata, dà fastidio… Dici che la mia non è più verità, che la trasfiguro nel
raccontarla?… ah, se fosse vero! se per noi attori non esistesse mai una vita
autentica, ma solo finzioni da rappresentare!… se ogni vicenda della nostra
esistenza, invece di entrarci nella carne, si rovesciasse sul pubblico! una vita
intera che passa su di te come l’acqua di un fiume, e tu che hai il solo compito
di mostrarla, secondo precise regole estetiche, estraniandola, magari,
oggettivandola… Pensi che stia recitando? Ma uno che dice: “scusate tanto” e
chiude la porta, che cosa fa se non allontanare da sé quella vicenda che gli è
caduta addosso?… Che cosa ha fatto in quel momento: ha pensato a sfogare un moto
dell’animo, o si è preoccupato dell’applauso del pubblico? dici che mi ubriaco
di parole? forse hai ragione, ma è un’idea che mi piace questa, una scoperta che
mette tutto a posto… ah, come mi sento leggero, adesso! Sì, ora potrei anche
andare là fuori, se fossi capace di raccontare quello che provo… no, scherzavo,
non ci sperare: io fuori non ci vado. A parte il fatto che non saprei come
spiegarla, non me la sento ancora bene addosso questa verità… devo farci
l’abitudine… sai, non è un fatto da niente: è qualcosa che entra profondamente
in te, che si stabilisce nella tua fisionomia… “che succede, ragazzi, state
provando un numero nuovo?” e risate e risate… “scusate tanto” e giù uno scroscio
di applausi… il pubblico, capisci, sempre intorno a noi… perché il teatro è
insieme autore, attore e pubblico… anche quando provi la parte nel tuo camerino,
il pubblico immagini sempre che ci sia… e chi scrive un copione per il teatro,
sente l’attore che lo recita e il pubblico che l’ascolta… sempre! Che cosa dici…
che è così per tutti, che l’intera vita umana è teatro?… Via, mi meraviglio che
tu non l’abbia ancora scoperto che è soltanto la consapevolezza a darti la
misura della tua esistenza. Parlo troppo difficile?... e allora ti dirò che gli
altri non possono essere attori perché non sanno nulla del teatro. Per loro
l’esistenza è un groviglio confuso di azioni da compiere, di parole da dire, di
azioni e di parole da soffrire dentro di loro, e non da mostrare soltanto,
perché loro non sanno che c’è un pubblico intorno, che deve esserci sempre. Noi,
invece, che questa consapevolezza l’abbiamo dentro, noi sì che sappiamo quali
cose sono importanti. E’ importante il gesto: aristocratico… paterno… triviale…
è importante l’incedere: solenne… incerto… dimesso… sono importanti toni,
volumi, pause, fiati… “che succede, ragazzi, state provando un numero nuovo?”…
“scusate tanto”… sentito che perfezione?… E questo non è niente, avresti dovuto
sentirmi quel giorno con Esposito… un capolavoro!… e sai che a me non piace
vantarmi, che amo la modestia e passare inosservato… come tutti gli attori, del
resto… cosa fai, ti metti a ridere?… beh, una battuta ogni tanto me la
concederai, no?… Allora, quel giorno Esposito mi fa: “Devi scusarmi, sai, ma io
della faccenda di te e di tua moglie non sapevo nulla…” e io, con un largo
sorriso alla platea: “che vuoi farci, mio caro, cose che capitano…” e lui: “Ora
quello che mi rincresce di più è di non poterti avere in compagnia…” Lento
girare della testa, lieve movimento delle spalle, espressione stupita: “Non vuoi
più che rimanga… e perché?” “Non vorrai restare qui con tua moglie… e me…” Aria
innocente, voce flautata d’ingenua… Agnese nella Scuola delle mogli di Molière…
“perché, c’è qualcosa c’è che non va?” E lui, da vecchio, consumato istrione,
rotto a tutte le tempeste di palcoscenico: “Ma cosa dici?!… la mia è una
compagnia seria!” E qui ho toccato l’apice del professionismo… dentro di me
c’erano i bauli sequestrati dalla padrona di casa, l’orologio d’oro al monte di
pietà, l’assegno scoperto in trattoria… eppure non ho pensato che a una sola
cosa: a chiedere aiuto a tutti gli Armando Duval della storia… e, a testa alta,
con un sorriso beffardo: “Ma via, Esposito, che cosa vai a tirar fuori… siamo
uomini di mondo, no?!” Fantastico, vero? E’ un sistema che ho trovato da solo,
sai... certo, non l’ho inventato io, si capisce, ma io l’ho riscoperto,
rispolverato, rimesso in esercizio… e ne posso spiegare per filo e per segno il
funzionamento. Hai un peso che ti schiaccia? Appoggialo sul pubblico. C’è
qualcosa che ti dà fastidio? Buttala in platea. Magnifico! Ecco, ora ho capito:
questa è l’autentica superiorità dell’attore. Fantastico il mio sistema, vero?
Peccato che non si possa brevettare, perché non può andare bene per tutti...
bisogna essere attori per poterlo adoperare: vivere fra palazzi di cartapesta,
pugnali a lama rientrante, travestimenti, capelli finti… guarda mia moglie che è
stata due anni con un finto maschio… dici che anche lei era una finta moglie?
naturale! lo sbaglio era stato il mio, quello di introdurre un sentimento vero
nella finzione generale, quello di vivere in privato ciò che invece era
destinato al pubblico… ma l’ho capito subito per fortuna, e ho saputo rimediare
in tempo: “state provando un numero nuovo?” oplà sul pubblico!… “siamo uomini di
mondo, no?” Scaricato!... Sai cosa ti dico? Ora potrei anche andarci sul
palcoscenico a riempirti quei dieci minuti… eh, come corri… ho detto “potrei”…
ma sì, su con la vita: te lo faccio io il tappabuchi… ora posso affrontare
qualunque situazione: non ho più paura di nulla, adesso. Che meraviglia! posso
tirare a inventare o raccontare quello che è veramente successo… non cambia
nulla, perché è un copione, capisci?... un copione scritto per me da mia moglie
o da un Esposito qualsiasi… No, non c’è bisogno di ringraziarmi: mi costa così
poco… ecco la musichetta che chiude il numero… tocca a me, allora… hai detto
dieci minuti, vero?... lascia fare a me… e piantala con i ringraziamenti…
ringrazia il fatto di avere in compagnia un attore di razza, capito? un
autentico attore!
(Si muove verso il palcoscenico)
SIPARIO