Tabula rasa

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L'associazione culturale ScaloDieci mette a disposizione, senza copyright, il seguente copione.

Questo per un interesse a far circolare le opere di giovani autori ed autrici, e qualsiasi altra forma di manifestazione culturale, al di fuori di mere logiche commerciali.

Chiunque fosse interessato ad un qualsiasi tipo d'utilizzo del seguente testo e solo invitato a rendere partecipe l'associazione, creando un possibile territorio di confronto.

E-mail: fulvio.vanacore@scalodieci.org

TABULA RASA

Di Wilson Joliet

da: Heiner Muller, Samuel Beckett, Fabrizio DeAndrè, Tori Amos,

Mike Meyers, Tennessee Williams, Simona Vinci

Personaggi:

Un Uomo

Una Donna

Un Servo

Una Bambina

Una Voce Fuori Campo

La scena mischia ricchezza e grigiore da cantina o di fabbrica abbandonata.

L'importante è che sia spaziosa, che i personaggi appaiano isolati tra di loro.

PROLOGO

DONNA: Allacciami il vestito.

UOMO: Sei sicura?

DONNA: Certo che sono sicura. Non ce la faccio da sola.

UOMO: Non del vestito. Di volerlo fare. Ancora.

DONNA: Ti piacerebbe.

UOMO: Che cosa?

DONNA: Che te la dessi vinta. Che rinunciassi.

UOMO: Sono solo affari tuoi.

DONNA: Certo. Mi vorresti vedere vinta e distrutta

  chiederti pietà in ginocchio.

  Vorresti vedermi girare per casa in vestaglia

  Una di quelle donne da film anni 50.

  Sigaretta che pende dalle labbra ed un bicchiere di scotch

  perennemente in mano

  Talmente pazza ed ubriaca da pisciarmi addosso e tu che mi guardi dall’alto

  sorridente e comprensivo mentre io sto seduta sul tappeto

  con il trucco che si scioglie tra le lacrime ed una macchia enorme e gialla

  che si confonde con le fantasie persiane

  di quel magnifico tappeto.

UOMO: Stai per andare in pezzi.

DONNA: Allacciami pezzo di cretino. Tra poco si va in scena.

IL SERVO: Niente male, vero?

            Ed è solo l’inizio.

CHI È DI SCENA

Buio. Musica. La scena si riapre su un salotto prima della rivoluzione francese / un bunker dopo 

La terza guerra mondiale.

DONNA :Mio adorato. Credevo spenta la vostra passione per me. Da                      dove arriva dunque questo improvviso ritorno di fiamma? E con                          impeto così giovanile? D'altronde è tardi. Voi non infiammerete più                il mio cuore. E tuttavia ci sono stati dei momenti nei quali grazie                                    alla vostra compagnia sono stata felice. Parlo di me, ovviamente.     Che so io dei vostri sentimenti? E forse sarebbe meglio che                                     parlassi dei minuti nei quali io ho potuto servirmi di voi, così abile               nel trattare la mia fisiologia, per provare qualcosa che nel ricordo                        finisce per assomigliare alla felicità.

                       Voi non avete dimenticato come si maneggia questa macchina.

                        Oh no no no no non togliete la mano.

            Non che io provi qualcosa per voi. È la mia pelle che si ricorda. Ma forse alla mia pelle poco importa sapere a quale animale sia attaccato lo strumento del suo piacere, mano o artiglio che sia. Se chiudo gli occhi voi siete bello, signore. Oppure gobbo, se voglio. Il privilegio dei ciechi. In amore i ciechi sono i più fortunati. A loro è risparmiata la commedia delle circostanze: vedono ciò che vogliono. L’ideale sarebbe essere ciechi e sordomuti. L’amore delle pietre. Vi ho sconvolto? Come vi impressionate facilmente. Non vi credevo così labile. Lacrime. Avete un cuore? Da quando? Forse che la vostra virilità ha subito qualche offesa dopo di me? Il vostro respiro sa di solitudine. Non, non ritirate la vostra delicata proposta mio signore! Io compro. Compro in ogni caso. Non bisogna temere i sentimenti. Perché dovrei odiarvi? Io non vi ho amato. Strofiniamoci pelle contro pelle! Ah, la schiavitù dei corpi! Il tormento di vivere e non essere Dio. Avere una coscienza ma nessun potere sulla materia. Angoscia. Sì. Così. Così va bene. Sì sì sì sì.

   Ben recitato no?

UOMO: Divina.

DONNA: Che mi importa della gioia del mio corpo; non sono un inserviente di stalla.

                       Il mio cervello funziona a meraviglia e io sono fredda come il                         ghiaccio.

UOMO: va avanti.

DONNA: Voi spaccate il minuto.

E quasi mi rammarico della vostra puntualità.

Abbreviate una felicità

che avrei volentieri diviso con voi

se non fosse indivisibile.

Mi capite vero?

UOMO: vi capisco. Ma che volete che m’importi di certe frivolezze.

Ciò che voi chiamate la felicità non è altro

che una frazione di secondo

intramezzata da uno schizzo

di vita bianca e appiccicosa.

Sono stanco ormai di simili giochetti,

il mio piacere sta nascosto

in pieghe molto più profonde.

Non pretendo che capiate.

Io volo troppo in alto, per vedere

la vostra forma bassa e verminosa.

DONNA: Ed io la vostra la vedo anche troppo bene.

UOMO: Non mancate di sarcasmo

            e questo mi sta bene.

            Ma la verità è che ormai

            schizzare dentro il vostro grembo

            oppure dentro a un fazzoletto

            sono cose che mi danno

lo stesso identico piacere.

            Non ho più alcun amore

riposto dentro il vostro corpo.

            Rimane solamente

una traccia labile di stima

per ciò che forse è stato un tempo

            Una linea sottile ed invisibile

            persa, sommersa

ed affogata dentro un mare

di terrificante noia.

DONNA: Mio caro voi confondete l’amore

            con il semplice strofinare di mucose.

            L’amore è qualcosa che non sfiora

la gente come noi.

            Credevo fossimo d’accordo

nel considerare roba

da servi e da domestici

ciò che voi chiamate amore.

La felicità suprema

è la felicità degli animali.

            L’unico argomento

che mai ci può avere legato

            è il reciproco bisogno

di affondare nell’oblio

            fosse anche di durata

inferiore ai tre secondi.

            Dimenticarsi per un attimo

di possedere un corpo

            capace di pensare.

            Ma alla lunga il coito

            ripetuto troppo spesso

            con lo stesso giocatore

diventa un fatto

di semplice routine

            e s’infetta di pensieri

che lo rendono mortale.

La routine diventa vuoto

che va riempito con qualcosa.

E non c’è niente che sia intenso

come un campo di sterminio.

            Non chiamatela noia.

            Chiamatelo con il nome che gli spetta.

            Odio, gioia dei miei sensi.

Odio.

UOMO: Devo darvi atto, adorabile rottame

di possedere una capacità d’analisi

che spesso a me finisce

col venire meno.

Avete ragione mia signora.

Il mistero sta racchiuso in quelle tre semplici sillabe.

Io vi odio amore mio.

Il mio pensiero corre all’impazzata

inseguendo immagini di voi

implorare inutilmente

una pietà che dentro me

è scomparsa già da tempo.

Sogno di ammazzarvi, madame.

Fare a pezzi il vostro viso

con qualcosa di pesante.

Un colpo dopo l’altro

la vostra testa che si spacca

il cervello che ne schizza

sangue denso e quasi nero

che da forma ad una serie

di spruzzi, schizzi e mulinelli

che finiscono ad andare

ad adornare le pareti

di questo tempio del dolore.

DONNA: Parlate di dolore? Un ottimo argomento.

                       Chi più di noi potrebbe dissertarne?

UOMO: Io più di voi sicuramente.

DONNA: Su questo v’illudete, mio misero imbecille.

                       Il vostro dolore resta sempre

                       così pateticamente maschile.

                       È  costantemente fermo sulla punta

                        del vostro malandato uccello.

                       Voi uomini,

                       tragico errore della genetica divina,

                       non potrete mai comprendere

                       il male che può fare

                       avere una vita che vi esplode dentro il ventre.

                       La vostra sofferenza è solamente

                       un collage di forme e immagini

                       che non saprete mai sfogare.

UOMO: E' qui che non capite, mylady.

Le mie immagini sono il frutto

macilento e doloroso

della stesso identico terrore

che vi attanaglia giorno e notte.

DONNA: Puah! Non siate ridicolo.

                       Confondere le pene

del portare in giro insieme

                       mano nella mano

                       un corpo e la consapevolezza

                       della sua imminente fine

                       con i deliri di rabbia

                       di un povero impotente.

UOMO: Mi dispiace mia divina

                       ma la vostra mente non arriva

                       poi così in avanti come prima

                       ho affermato incautamente.

                       Davvero non capite?

                       La violenza è un buon veleno

                       contro la noia della consunzione

                       La vita scorre più velocemente

                       se la morte si fa spettacolo.

                       La bellezza del mondo trafigge meno profondamente il cuore

quando possiamo contemplarne la distruzione.

Pensate mai alla morte, amore mio?

Che dice il vostro specchio?

Quell'altro che ci guarda

e che giorno dopo giorno

fatichiamo sempre più a riconoscere

é il vero oggetto delle nostre fantasie.

È lui che cerchiamo quando

ci mettiamo a frugare nei corpi altrui.

Può darsi che non ci sia né l’uno né l’altro;

solo il nulla della nostra anima che reclama il suo pasto.

DONNA: Non c’è uomo al quale il pensiero

che la sua preziosa carne è destinata a scomparire

non irrigidisca il membro nei calzoni.

                                Una pausa

UOMO: Cazzo. Che devo dire qui?

IL SERVO: E nemmeno una donna a cui non bagni le mutande.

DONNA: Che ti prende? Andavi bene. Sei stanco?

UOMO: E' questa maledetta gamba! Non mi riesco a muovere. Mi fa male da                  morire. Non mi concentro.

            Mi spieghi tu che cazzo ci stai a fare? Volevi darmela domani sta cazzo               di battuta?

IL SERVO: Pensavo fosse una pausa drammatica.

UOMO: Coglione. (gli lancia un oggetto)

DONNA: E datti una calmata brutto...brutto scemo.

   Riposati, dormi, fai quello che ti pare.

   Ma concentrati , non ho intenzione di mandare tutto a rotoli perché tu non hai la stoffa dell' attore.

UOMO: Come va avanti?

IL SERVO: Eh?

UOMO: Come va avanti sto cazzo di testo.

IL SERVO: La bestialità della nostra conversazione...

UOMO: la bestialità della nostra conversazione mi annoia.

                       Ogni parola squarcia una ferita,

ogni sorriso scopre una zanna.

                       Dovremmo fare recitare il nostro copione alle tigri.

                       Ancora un morso, ancora una zampata.

                        Drammaturgia ferina

Contenta? Pausa sigaretta. Ne ho piene le palle di questa buffonata.

                

 l’uomo esce - la donna resta sola con il servo - apre una scatola di metallo-ne estrae alcuni piccoli oggetti di plastica e ferro - un fermacapelli, una tazza - li esamina accuratamente con aria trasognata-imbambolata.

CONFESSIONI

IL SERVO: C’erano una volta un re e una regina che vivevano in un bellissimo castello.

Questo castello, oltre ad essere favoloso a vedersi, era anche un punto d’incontro di tutta la gente che viveva nel reame perché spessissimo accoglieva tutti i sudditi nelle famose feste delle stagioni che vi si tenevano quattro volte l’anno.

Il suo unico problema era che con l’andare del tempo date le nuove esigenze lo spazio era diventato fin troppo piccolo, così il re prese la decisione di espandere la costruzione.

Per affrettare e migliorare i lavori il re e la sua sposa decisero di occuparsi ognuno di un’ala del palazzo, lui quella occidentale, lei quella orientale.

E fu così che si diede inizio ai lavori più grandiosi della storia: stanze che si susseguivano in cunicoli e corridoi e passaggi segreti, mobili provenienti da tutte le parti del mondo e tappezzerie di ricchissime stoffe… un paradiso dove il re e la regina, presi ognuno dalle proprie manie di grandezza, si dimenticarono l’uno dell’altra.

Non facevano altro che cercare di ottenere il meglio nei loro progetti di costruzione, pensando poi di doverlo mostrare al loro “amore”. Ma più che le due costruzioni si allargavano a dismisura allontanandosi dal loro punto di origine, più che questo “amore” assumeva nella loro mente sembianze sempre più leggendarie e fantastiche.

La regina, nella sua stanza personale posta nel punto più remoto dell’ala est del castello, sognava il suo giovane marito e il giorno in cui si sarebbero incontrati “ Forse domani o al massimo dopodomani” si diceva….. senza accorgersi che invece quei due giorni erano ormai diventati centinaia e centinaia di anni…..

Finchè una notte, in uno dei loro tanti sogni, il re e la regina furono convinti da una strana forza oscura ad andare a cercarsi dove si erano lasciati tempo e tempo addietro.

La loro strada fu lunga e faticosa, e li portò a riscoprire luoghi del loro castello che ormai apparivano abbandonati dagli anni e li accompagnò ognuno davanti ad una porta, quella più difficile da aprire: la varcarono nello stesso istante ed entrarono in una stanza grandissima, tutta bianca e fredda, il cuore del loro castello, un cuore di neve.

Da principio fecero quasi fatica a scorgersi, tanto erano lontani, ma poi continuando ad avanzare l’uno verso l’altro sperando di riconoscere i propri sogni nella figura che davanti a loro si faceva man mano sempre più nitida, furono costretti ad arrendersi ai propri occhi. Quello che si trovavano davanti non era altro che uno sconosciuto.

La regina finalmente gli chiese “chi sei?”.

Il re le rispose in una lingua per lei incomprensibile.

Voce Off: Silenzio.

            Imbarazzo.

            Rabbia.

            Non furono capaci di andare oltre nella loro conversazione.

Si voltarono le spalle e tornarono nei loro letti soli e lontani.

           

IL SERVO: Siete stanca Signora. Dovreste riposare.

DONNA: Sto bene. Solo confusa. Ma la memoria tornerà. Lentamente, tornerà.

IL SERVO: Ne sono sicuro. E lo spero.

DONNA: Pensi che sarebbe un bene?

IL SERVO: Certo.

DONNA: Io non credo.

IL SERVO: Perché?

DONNA: Non voglio sapere quello che ero prima.

IL SERVO: Non è sempre stato così quindi.

DONNA: No. Forse. Non lo so.

IL SERVO: C’era più luce.

DONNA: Di cosa stai parlando.

IL SERVO: Dei vostri ricordi.

DONNA: Non possiamo. Qui non esistono ricordi.  Non esiste il tempo. Esiste solo il nostro gioco.

IL SERVO: Che cos’è quello?

DONNA: Cosa?

IL SERVO: Quello che tenete in mano.

DONNA: Una... cosa.

IL SERVO: Sembra un fermacapelli.

DONNA: Credo di sì.

IL SERVO: Ve lo ha regalato lui.

DONNA: Lui non si fa nemmeno più toccare.

IL SERVO: Forse vuole essere ascoltato. Forse non si lascia toccare perché tutte le cose che sono dentro di lui e che non escono gli fanno male alla pelle. Per questo non si lascia toccare.

DONNA: Oh lui. Lui! Una volta ho provato. L’ho ascoltato muoversi, dentro di me. Ed è subito scomparso.

IL SERVO: Ho vinto.

DONNA: Che dici?

IL SERVO: Questo era un ricordo.

DONNA: Comincia preparare.

IL SERVO: Fate sempre così. Ogni volta cambiate subito discorso.

La donna inizia a spogliarsi - il servo prepara un piccolo altare composto da  varie latte di vernici posate sopra un telo di plastica - l'azione é concisa e distratta ma estremamente precisa - é chiaro che questo rituale si  é già svolto parecchie volte

IL SERVO: A volte faccio un gioco. Immagino di essere circondato da persone venute per sentire le mie storie. Ne conosco un mucchio. E' come se le conoscessi da sempre. Volete che ne racconti una per voi?

DONNA: No.  Mi baceresti? Voglio dire, se mi guardi ti viene voglia di baciarmi?

IL SERVO: Sì.

DONNA: Ma io non posso lasciartelo fare, lo capisci.

IL SERVO: Sì.

DONNA: Non starebbe bene. Io con te. Però se vuoi puoi accarezzarmi i capelli.

IL SERVO: Grazie.

DONNA: In lui c’è qualcosa di spaventoso. È come se risucchiasse la vita di chi gli sta attorno. Io lo amo.

IL SERVO: Lo so.

DONNA: Ti piace questa casa?

IL SERVO: Non lo so. Non ne ho mai viste altre. Certamente non è allegra.

DONNA: Per niente. Ma io mi ci trovo bene sai? Ci sto da talmente tanto tempo.

IL SERVO: Abitudine.

DONNA: Non è una buona cosa, vero?

IL SERVO: Non sempre.

DONNA: È il dolore, sai? Mi sono abituata al dolore. Ma non é sempre stato così, sai?

            (Il Servo comincia a spalmare le vernici sul corpo della Donna)

VOCE OFF: Poi, poi sono rimaste soltanto le cose. Le cose che le sue mani hanno toccato, tenuto. Nei suoi oggetti lo cercavo, col fiato sospeso cercavo il suo calore. Ma loro restavano quello che sono, oggetti. E hanno iniziato a bastarmi.

Anche il mio corpo é diventato una cosa. Non ha più fessure. si é chiuso ed io non so nemmeno come.

La pelle é l'unica cosa viva, l'unica che ancora reagisce. Il tatto é diventato il mio sesso.

Ma non basta, non basta.

Che bello quando le ho viste lì, nello studio.

Latte di vernice acrilica abbandonate. Dentro quasi perfette.

Il colore non ha grande importanza, l' odore. Ma la consistenza, ah... quella sì. Vernice densa, non troppo pastosa, cremosa, quasi velluto.

Le guardo e sento un risucchio che é insieme voluttà e stanchezza.

Tra un po' non potrò più provarlo.

Entra l’Uomo - sta fumando

UOMO: Giusto.

Lasciamo ai mortali

il piacere di montarsi in piedi,

negli angoli:

il loro tempo è prezioso, ci costa denaro;

ma la nostra elevata professione

è quella di ammazzare il tempo.

È un compito assorbente:

c’è n’è troppo di tempo.

Chi potrebbe fermare gli orologi del mondo,

facendo rizzare le loro lancette?

L’eternità come erezione permanente.

Il tempo è il buco della creazione

attraverso il quale passa

l’intera umanità.

Per i mortali

la chiesa ha riempito questo buco con Dio;

ma noi sappiamo che esso è nero

e senza fondo.

Quando i mortali se ne accorgeranno

ci getteranno dentro.

DONNA: Gli orologi del mondo.

                       Avete difficoltà per caso

                       a fare rizzare la vostra lancetta?

UOMO: Con voi, mia regina. (una pausa ) 

 Carini i colori, stavolta. Il tuo gusto migliora.

Adesso levati dai piedi, é il mio turno.

DONNA: Oooh, nascono delle regole. Cala l’emozione. E il gioco non è più divertente.

UOMO: È il tuo gioco. Non mi ha mai divertito.

DONNA: Puoi tirarti indietro. Non sei obbligato a continuare.

UOMO: Preferirei farmi appendere per i piedi a morire di fame piuttosto che darti questa soddisfazione.

DONNA: Che tempra.

UOMO: Ti vuoi levare dai coglioni?

DONNA: Vado, vado. Il tempo di farmi un altro bicchierino.  Non lo sciupare che ci serve ancora.

UOMO: Sparisci.

                  

La donna esce - Il Servo fa per sgomberare il telo di plastica usato per le vernici della donna

UOMO: Lascialo li, che poi ci serve. Prendi la mia roba.

Il Servo raccoglie in un angolo dei vestiti appariscenti - con estrema solennità addobba L'Uomo come una diva d'altri tempi. L'effetto é piuttosto ridicolo, sembra Bela Lugosi in versione Drag-Queen ma entrambi sembrano prendere la cosa molto sul serio - Il Servo porta all'Uomo un microfono senza filo - parte una musica, forse SOMEWHERE OVER THE RAINBOW cantata da Judy Garland - L'Uomo si esibisce in un disastroso playback dai toni sensuali, in netto contrasto coi toni estremamente casti della canzone - il Servo batte le mani pieno di gioia e ammirazione -

 l’uomo ringrazia e fa un inchino – la sua aria tenera e simpatica si spegne di colpo - guarda il servo con aria cattiva - lo schernisce con una risata - si sfila un anello e lo getta in terra

UOMO: Va a portarlo alla signora.

IL SERVO: Perché ridete?

UOMO: Rido di te. Stare qui a godere di questa situazione.

IL SERVO: Che significa godere?

UOMO: Significa quando una cosa ti fa piacere.

IL SERVO: A me piace qui.

UOMO: Certo. Siamo la tua famiglia.

IL SERVO: Non direi famiglia.

UOMO: Non è questa la tua famiglia? Non la chiami famiglia questa?

IL SERVO: Sì.

UOMO: Ma noi non siamo i tuoi genitori.

IL SERVO: No.

UOMO: Chi siamo noi? Chi siamo per te?

IL SERVO: Io...non lo so. I miei padroni.

UOMO: I tuoi padroni. Giusto. Noi per te siamo tutto. I tuoi padroni. Sei di nostra proprietà.

IL SERVO: Penso di sì.

UOMO: Che cosa vuoi?

IL SERVO: Niente.

UOMO: Non c’è niente che desideri? Non c’è niente che ti manca?

IL SERVO: Non mi viene in mente niente.

UOMO: Da quanto sei qui.

IL SERVO: Da tanto.

UOMO: Da prima di noi.

IL SERVO. Forse. Può essere. Non ne sono sicuro.

UOMO: Cosa vedi?

IL SERVO: Dove?

UOMO: In noi.

IL SERVO: Paura.

UOMO: Dolore.

IL SERVO: Dolore, certo. Ma più paura che dolore.

UOMO: Non capisci. Non c’entra la paura. È la certezza che ci ha portati qui.

   La certezza di non essere niente.

IL SERVO: La paura di non essere niente.

UOMO: Si può essere più pedanti?

IL SERVO: Scusate Signore. Il vostro è un punto di vista, il mio è un altro.

UOMO: Non spetta a te giudicare chi siamo.

IL SERVO: Siete state voi a chiedermelo che.

UOMO: Ho commesso un errore.

IL SERVO: Come volete.

UOMO: È da lei che viene tutto. Il dolore.

   È qualcosa che ha iniziato a crescerle dentro, come un cancro. Poi ha iniziato a straripare, colpendo me, te, le pareti, ogni cosa che lei tocca. La realtà ha iniziato a modificarsi, a cambiare.  

   L’aria è diventata materia organica, a marcire. Quella stessa aria che adesso ci riempie i polmoni.

IL SERVO: Il nocciolo sta nel capire chi voi considerate il colpevole.

UOMO: Il colpevole? Ma che cosa stai dicendo.

IL SERVO: è solo questione di riuscire a guardarvi negli occhi veramente.

UOMO: Da buffone stai diventando patetico.

IL SERVO: Sono qui per questo.

UOMO: Dovrei frustarti.

IL SERVO: Potrebbe piacermi.

UOMO: Incredibile.

IL SERVO: Cosa è incredibile.

UOMO: La tua faccia tosta.

IL SERVO: È la faccia di chi ama.

UOMO: Cosa?

IL SERVO: Ho voluto essere sincero.

UOMO: Tu sei qui per fare il tuo lavoro.

IL SERVO: E quale sarebbe il mio lavoro?

UOMO: Servirci.

IL SERVO: Aiutarvi.

UOMO: Vuoi aiutarmi?

IL SERVO: Sì.

UOMO: E come pensi di potermi aiutare?

IL SERVO: Posso raccontarvi una storia.

UOMO: Una storia. Non hai capito niente. Sai quale sarà l’argomento della prossima recita?

IL SERVO: No.

(pausa – l’uomo si siede)

UOMO: Ho paura

IL SERVO: Di cosa

UOMO: Di morire.

IL SERVO: E' naturale.

UOMO: Non nel mio caso.

IL SERVO: Certo.

UOMO: Non é naturale. Ci penso sempre. Sempre.

Cammino, attraverso una strada e mi prende il panico.

Immagino di essere investito, immagino il rumore che farei se una                        macchina mi schiacciasse sotto le ruote. Un bel rumore liquido. Oppure se cadessi. Se mi buttassi da una scogliera. Il rumore che farei. Ci penso        in continuazione.

Il rumore che farei.

Il suono.

IL SERVO: E' terribile.

UOMO: Sì. E' terribile. Mi sento sempre un buco, qui nel petto. A volte é una      sensazione bella, vorrei poterci raccogliere dentro tutto il dolore del mondo, vorrei poter togliere la sofferenza dall' universo soltanto mettendomela quì dentro.

Certe volte invece é un dolore insopportabile. Una bolla di morte che mi si espande dentro.

I pensieri divantano ferite, chiudo gli occhi, cerco di mandarla via ma continua a tornare.

IL SERVO: Cosa?

UOMO: Continua a tornare, capisci? Vicina, sempre più vicina.

Ogni volta penso di averla scacciata, per sempre.

E quando meno te lo aspetti eccola li. Più forte. Più Bella.

Sempre più luminosa.

IL SERVO: Non riesco a capire.

UOMO: Perché non puoi capire. Non puoi capire quanto sia bella. é questo che mi fa paura. Perché mi sembra          sempre più normale, più scontato...

IL SERVO: Che cosa é?

UOMO: E' l'immagine di me che mi infilo una pistola in bocca.       

Che cosa vuoi saperne tu di quanto é bella.

IL SERVO: Posso solo immaginare.

UOMO: Certo. Immaginare. Voltati.

IL SERVO: Cosa?

UOMO: Voltati

IL SERVO: Devo...

UOMO: Voltarti. Hai detto che vuoi aiutarmi. Aiutami. Ho bisogno di te. Aiutami. Fammi sentire che sono ancora vivo.

Stupro - buio - il Servo siede per terra volgendo le spalle all’uomo - forse sta piangendo, in silenzio

IL SERVO: Avete goduto. Voglio dire, vi è piaciuto farmi del male?

UOMO: Non lo so. E a te?

IL SERVO: Non lo so.

UOMO: Adesso che ti guardo. Ti vedo per la prima volta. Da quanto sei qui?

IL SERVO: Da sempre. Ve l’ho appena detto.

UOMO: Non ricordo d’averti mai visto.

IL SERVO: Forse perché è così da sempre. Non si fa mai caso a ciò che è eterno.

UOMO: Ma chi diavolo sei? Da dove sei venuto?

IL SERVO: Siete stati voi a chiamarmi.

UOMO: Non lo ricordo. Non lo ricordo affatto.

IL SERVO: Per questo mi avete voluto.

IL SERVO si alza, rassetta il tappeto. Entra la ragazzina - canta - il Servo si addormenta  - entra la donna, é sconvolta - si accascia a terra - la ragazzina le si avvicina, continua a cantare - la donna inizia a cantare a sua volta e sembra tranquillizzarsi -  suoni di festa lontana distorti - l'uomo si avvicina alla donna con aria minacciosa - sembra una caricatura di un duro da noir americano.

INCUBI

 

UOMO: La signora ha urlato?

DONNA: Stammi lontano.

UOMO: Non ho nessuna voglia di avvicinarmi.

DONNA: Tu sei un mostro.

UOMO: E ti amo, bambina.

DONNA: Voglio che tu te ne vada.

UOMO: Senti, stanno tutti aspettando te. Sono tutti qui per te.

DONNA: Non mi importa. Voglio restare sola.

UOMO: Vuoi farmi fare la figura dell’idiota? Alzati e non fare storie.

DONNA: Ho detto lasciami in pace. Se non te ne vai io…

UOMO: Tu cosa? Eh? Tu cosa? Sai, dolcezza? Hai iniziato a spingerti troppo in là. È una cosa che non ho mai potuto sopportare. Quando qualcuno non capisce i propri limiti e si spinge dove non gli è consentito. Hai passato la linea, bambina.

DONNA: Cosa vuoi farmi.

UOMO: La questione è cosa non voglio farti.

DONNA: Ti prego. No, ti prego non mi toccare. Ti prego.

UOMO: Non capisci? Ascolta bene. Apri le orecchie. Non sarà solo qualche livido da farti medicare dal tuo amico. Non stavolta.

DONNA: Ti prego.

UOMO: Apri la bocca, troia.

 L’uomo estrae dalla bocca delle donna un anello. Lo lancia alla ragazzina, che ha guardato tutta la scena senza scomporsi.

UOMO: Va a portarlo alla signora.        

Cambio luci - il suono della festa si trasforma in un enorme battito cardiaco. Sembra il rumore di un enorme telaio a Vapore. L'uomo si sdraia sul divano. La donna si siede. Ora é lei ad apparire minacciosa. Parla in tono meccanico.

DONNA: Che hai da gridare.

UOMO: Non lo so.

DONNA: Sei stravolto.

UOMO: Solo stanco.

DONNA: Sembri un rottame.

UOMO: Non ce la faccio più.

DONNA: Stai cedendo.

UOMO: NO!

DONNA: Non avere paura. È normale.

UOMO: Posso resistere per altri mille anni.

DONNA: Ne sono certa. Vuoi baciarmi.

UOMO: Sì.

DONNA: Ma non adesso.

UOMO: Devo farti una domanda.

DONNA: Cosa.

UOMO: Come ti chiami.

DONNA: Non essere ridicolo.

UOMO: Ho bisogno di saperlo.

DONNA: Stai cercando di fregarmi.

UOMO: No. Ti prego. Non sto scherzando. Ho bisogno di sapere il tuo nome.

            Ti prego.

DONNA: Non insistere. Non si ripetono certe cose due volte.

UOMO: Ma come no? Voglio saperlo. Devo saperlo.

Dimmelo ti prego.

DIMMELO DIMMELO DIMMELO DIMMELO.

Scusa. Ti ho fatto male. Non stringevo molto. Se ti ho fatto male, mi spiace.

Scusami.

Di Qualcosa. Di qualsiasi cosa, ma parla. Mi stai torturando.

IL SERVO: Non toccarmi.

 Musica da molto lontano, si avvicina  – L’uomo seduto a un tavolino mangia qualcosa dall’aspetto dubbio – La donna dietro di lui, seduta su un divano – la ragazzina  sta seduta accanto a lei – la scena si svolge lentamente, quasi al rallentatore – la musica ha raggiunto un volume altissimo – l’uomo continua a mangiare, cerca di non badare a ciò che succede alle sue spalle – la donna si avvicina alla ragazzina – la strangola – l’uomo grida – buio

Luce – Il servo é sdraiato sul divano.                

                   

VARIAZIONE

VOCE OFF: Animali che si sbranano

Ci sono due cani che si sbranano perché un sadico ha tagliato loro la coda

Amore. Nudo e puro. Bisogna imparare ad amare senza chiedere nulla in          cambio. Trovarsi in un posto preciso, ad un’ora precisa, e capire che tutto quello che puoi fare è semplicemente essere. Niente di più. Niente di meno.

DONNA: E' finita. Sta per finire. Forse sta finendo.

Cosa abbiamo risolto? Tutto quello che abbiamo scritto non ha dato risposte. Non c'é soluzione in questo gioco. E' solo un serpente che si morde la coda, un cerchio di mura e noi ci sbattiamo la testa contro.

                       Dov’è il mio uomo.

                       Siamo esiliati su questa terra sconosciuta

                       Nessun altro corpo all’infuori del nostro

                       esiste in questa terra

                       Eppure le mie lenzuola

                       restano fredde ed inviolate

                       il mio ventre singhiozza

                       abbandonato alla deriva

                       porta uno specchio Questa non sono io

                       Uomo

UOMO: Cos’è questo tono.

DONNA: Io

                       Non sono gradita qui Mi prendesse la morte

                       Tre volte cinque notti non hai chiesto

                       Di me Non con la tua voce e neppure con quella

                       Di un servo e non con un gesto o almeno con

                       Uno sguardo

UOMO: Che cosa vuoi

DONNA: Morire

UOMO: Questa l’ho gia sentita

DONNA: Non ti dice più niente questo corpo Vuoi bere il mio sangue

UOMO: Ma quando la finisci

DONNA: Quando è cominciata

UOMO: Cosa eri prima di me

DONNA: Io

UOMO: Io chi?

DONNA:Io

            Sono stata cieca e sorda

a quello che facevi finché non hai strappato

il nido tessuto col mio e col tuo piacere

che era la nostra casa ed è oggi il mio esilio

Ora sto nella gabbia e sono qui tutta rotta

Con la cenere dei tuoi baci sulla labbra

E tra i denti tutta la sabbia dei nostri anni

Ma sulla pelle soltanto il mio proprio sudore

Mentre il tuo fiato puzza di un letto diverso

Un uomo alla sua donna dà come addio la morte

E la mia morte non ha altro corpo che il tuo.                                                       

UOMO: È meraviglioso,

                       Il trasporto con cui vi lasciate rapire

                       dal ruolo della vittima

                       Vi si addice non c’è dubbio.

                       E sapete una cosa?

                       Avete risvegliato in me

                       il desiderio di montarvi.

                       Lo sapete, io non riesco

                       a provare eccitazione

                       se non guardo la mia amante

                       da un gradino superiore.

                       Non v’è odore più arrapante

                       di quello acido e selvatico

                       della carne gonfia e carica

                       di spasmi di disperazione.

                       Che ne dite, mia diletta?

                       Vogliamo rischiare

                       un balletto speciale,

voi ed io?

            DONNA: Il giorno in cui i vermi

                       riempiranno tutti i miei orifizi

                       sarà il giorno a voi concesso

                       per tornare ad esplorare

                       le mie strade e gallerie.

                       Voi, miserrimo animale

                       Cane insolente, bastardo spudorato.

                       Avete messo la mia vita

                       in concorrenza con l’inferno

                       il mio corpo è vuoto dalla vita

                       niente crescerà mai più

                       dentro questo grembo nero e freddo

                       come la solitudine del mondo

Niente imparerà a dire il mio nome. Niente piangerà per un mio abbraccio mancato. Niente mi chiederà di essere stretto finché non si addormenta. Niente cadrà e si sbuccerà le ginocchia. Niente mi renderà orgogliosa dei suoi progressi. Niente vivrà in eterno di noi due. Niente. Niente. Niente.

UOMO: Mia signora,

                        non abbiate timore di chiederne di più.

                        Avete chiesto un sacrificio

                        e in questa scatola di latta

adornato in pizzo bianco

si va putrefacendo

il cuore di mia madre

Avete chiesto

Avete avuto

Ora posso osare

Di chiedere a mia volta

Il compenso pattuito

Per questo matricidio?

            DONNA: Ma come? Recitiamo ancora?

            UOMO: Recitare. Che altro si può fare.

            DONNA: E allora avrò la cura

di darlo in pasto ai miei due cani

Vi chiedo mio tesoro,

se non è troppo disturbo

                        di riportarmi alla memoria

                        ciò che vi promisi un tempo

                        per questo macabro ricordo

                        dell’insopportabile vecchiaccia.

            UOMO: La promessa consisteva

                        nel concedere voi a me

                        vostro innamorato servo

                        la vostra mano in matrimonio

                        ho comprato già gli anelli

                        ecco qui, non sono belli?

            DONNA: Niente male, amico mio

                        Niente male per davvero

                        Avete gusto, questo è certo.

                        Ma avete anche del coraggio?

                        Un uomo onesto, un uomo probo

                        deve essere disposto

                        a morire per amore.

                        Ecco qua, una lama giusto appunto

                        fa davvero al caso nostro

                        Su da bravo niente storie

                        tagliatevi le vene.

            UOMO: In tutto ciò io devo dire

                        che qualche cosa non mi quadra.

                        Ma che importa poi alla fine?

                        La mia sposa vuol vedere

                        una prova del mio amore

                        dentro il sangue mio

                        che si impasta con la sabbia?

                        Io muoio contento,

                        muoio innamorato.

Ma questa è una lama vera. Io ti ammazzo brutta puttana, ti ammazzo.

DONNA: Questo è solo l’inizio, coglione.

IL SERVO: Forse avete bisogno di una pausa.

UOMO: Sei debole, Donna. Ti tormenti, ti distruggi e vorresti distruggere anche noi. Non hai un briciolo di dignità. Bisogna imparare a soffrire a testa alta. A portare il proprio dolore come uno stendardo. È qualcosa che ti innalza. Ti rende migliore, più vicino alla verità. Non è vero?

IL SERVO: Non parlo. Io non faccio parte della vostra guerra.

DONNA: Ci sei dentro fino al collo.

IL SERVO: Sì. Ma io non combatto.

DONNA: Sentitelo.

IL SERVO: Sono il vostro campo di battaglia.

DONNA: Mio Dio, sei patetico.

IL SERVO: È il mio ruolo. Posso raccontarvi una storia.

DONNA: Oh Cristo.

UOMO: Hai perso un’ottima occasione per restartene zitto.

IL SERVO: Posso cantare se volete.

DONNA: Perché non ci reciti una poesia.

UOMO: Sì dai. Come una vera famiglia nel giorno di Natale. Prendo la sedia.

IL SERVO: Posso davvero?

UOMO: Non vedi? Non stiamo più nella pelle.

IL SERVO: è una poesia che ho scritto io. Una poesia d’amore. (Sale in piedi su una sedia)

                   La mia mamma è più bella del papà

                   e vuol essere ancora, ancor più bella

                   con il rossetto e un abito scollato

                   prova tutte le mosse da gran diva

                   il mio papà è più forte della mamma

                   e diventa ogni giorno più cattivo

                   occhi e cuore di pietra, e quando parla

                   dice cose che forse non vorrebbe

                   si veste l’una , si traveste l’altro

                   litigano, si coprono di insulti

                   e poi non sanno più tornare indietro

                   e riescono solo a farsi male

                   se la mia mamma fosse meno bella

                   se il mio papà non fosse così forte

                   come sarebbe bella la mia mamma

                   come sarebbe forte il mio papà

                                   

DONNA: E con questo che vorresti dire?

IL SERVO: Niente.

UOMO: Sai perfettamente come dovrebbero andare le cose, vero?

IL SERVO: Sono solo parole.

DONNA: Non sono mai solo parole.

UOMO: Ti vedo. Non credere che non abbia capito. Stai nel tuo angolo e fai i tuoi conti.

   Ci giudichi. Facile giudicare, ma tu non sai niente. Non saprai mai niente. Sei una forma di vita troppo elementare per capire.

IL SERVO: Sì. Questo è sicuro. Ma io non vi giudico. Mai.

DONNA: Eppure te lo leggo negli occhi.

UOMO: Sei il nostro servo. Il servo. Non dimenticarlo.

IL SERVO: Non lo dimentico mai. Siete voi a dimenticarlo.

UOMO: Insolente come al solito. Un piccolo comunista. Spelliamolo vivo.

DONNA: Per me nascondi qualcosa.

IL SERVO: Sì, è vero.

UOMO: Guardalo. Ha il viso truccato da sembrare una caricatura di donna. Che vuoi da noi?

IL SERVO: Niente.

DONNA: È una spia.

IL SERVO: A mio modo sì. Lo sono.

UOMO: Parla. Dicci chi sei davvero.

IL SERVO: Quello che vedete.

DONNA: Quella che vediamo è solo una faccia pitturata.

IL SERVO: Non c’è nient’altro.

DONNA: C’è sempre dell’altro.

UOMO: Con gente come te c’è da aspettarsi di tutto.

IL SERVO: Potreste aspettare in eterno.

UOMO: Cosa credi che facciamo qui?

DONNA: Aspettiamo che tu esca allo scoperto.

UOMO: Per poterti prendere con le mani nel sacco.

DONNA: E metterti alla gogna.

UOMO: Farti morire di fame.

DONNA: E di sete.

UOMO: Umiliato dagli sputi.

DONNA: Pigliato a calci dalla gente.

UOMO: E staremo a guardare il tuo corpo che si secca e spacca al sole.

DONNA: Gli occhi ti si trasformeranno in due fessure rosse e umide.

   La luce le farà scoppiare e da quei buchi sanguinanti tu implorerai.

UOMO: E implorerai.

DONNA: E implorerai.

UOMO: E in cambio riceverai solo silenzio.

DONNA: E se saremo di buon umore un calcio dritto in culo.

UOMO: Ti prenderò a sassate.

DONNA: Per poter vedere il colore del tuo sangue.

UOMO: Il tuo sangue leccato dai maiali.

DONNA: E quello che rimane in terra marcisce nel fango.

UOMO: E sanguinare sanguinare sanguinare.

            UOMO: Preghiamo, mylady, che l’inferno non ci separi.

DONNA: Ed ora, mio caro, vogliamo far morire la checca qui presente

 per la sua inutile innocenza?

UOMO: Sei la nostra sola via d'uscita, tesoro. E' il tuo grande momento.

IL SERVO: Mi sono messo ai vostri piedi

                        perche non vi smarriste più

                        e voi come risposta

                        mi avete battezzato

                        con il profumo delle latrine.

                        Dal paradiso del mio amore

                        mi sono gettato nell’abisso

                        del vostro gioco dei massacri

per cercare di salvare

almeno una scintilla

della vostra anima sepolta.

Tutto ciò

che ancora posso fare

è citarvi e perdonarvi

nella mia ultima preghiera.

Spero almeno di donarvi

ancora un po’ di sano svago

con questo mio ultimo spettacolo.

Aprirò le mie vene

come un libro non letto.

Voi imparerete a leggerlo

quando io sarò scomparso.

                        Potete rinnovare il trucco

                        che copre il vostro grugno

                        con il sangue che vi lascio

come sola eredità.

Cercherò nella mia carne

una strada per il cuore.

Voi non l’avete mai trovata

perché nel vostro petto non c’è nulla

e dentro di voi non cresce niente.

            DONNA: Perché qualcosa sorga…

            UOMO: …qualcos’altro deve scomparire.

            IL SERVO: Verde e gonfio per il veleno,

                        attraverserò il vostro sonno.

                        Appeso ad una corda

                        danzerò per voi.

                        Con le vene tagliate

                        Con la corda al collo

                        Con la testa nel forno a gas

                        Saprò che voi sarete dietro di me

                        con un solo pensiero

                        ed io lo vorrò

mentre i miei polmoni scoppieranno.

È  bello essere me

e non un vincitore.

Il Servo si taglia la gola - lenta agonia - momento

 Granguignolesco - muore ansimando e rantolando -

l'Uomo e la Donna osservano - si guardano - sembrano                                              sconcertati da ciò che hanno fatto

DONNA: Abbracciami.

UOMO: Sì. (rimane immobile)

DONNA: ADESSO!             

buio