Tè e simpatia

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TE’ E SIMPATIA

Titolo originale: « Tea and sympathy »

Commedia in tre atti

di ROBERT ANDERSON

Versione italiana di Luigi Squarzina

PERSONAGGI

LAURA REYNOLDS

LILLY SEARS

TOM LEE

DAVID   HARRIS

RALPH

AL

STEVE

BILL   REYNOLDS

PHIL

HERBERT   LEE

PAUL

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La scena è un piccolo cottage in stile coloniale, usa­to come dormitorio in un college del New England.

Sul piano del palcoscenico, a sinistra di chi guarda, lo studio dello Housemaster; più a destra un pianerot­tolo, un principio di corridoio, e la scala che porta alle stanze dei ragazzi; a destra, a mezza altezza, una delle stanze.

Lo studio dello Housemaster, un ambiente caldo e confortevole, è piuttosto scuro, ma quando le lampade sono accese si formano angoli di luce ben studiati. Sul muro di fondo un caminetto e librerie; sulla parete di sinistra una doppia porta che conduce al resto dell'ap­partamento. Poiché nel cottage manca la stanza da ri­cevere per gli otto ragazzi che vi abitano, si permette con una certa larghezza agli studenti di usare lo stu­dio quando la porta è lasciata aperta.

La stanza di Tom, uguale a tutte le altre, è piccola, con un letto, una sedia e uno scrittoio, « spartana » ; ma chi la occupa ha cercato con pochi tocchi di ren­derla accogliente, con una coperta indiana sul letto, tendine indiane alla finestra ad abbaino. Nell'imbocco della finestra c'è il grammofono. La porta della stan­zetta conduce evidentemente ad una sitting room         - (ogni coppia di studenti ne ha una in comune); è da essa che si accede al pianerottolo della scala mediante un'altra porta. Perciò, per entrare nella stanza da let­to, chi viene dalla scala deve attraversare la sitting ; room.

Quando si alza il sipario è un tardo pomeriggio di primo giugno. Le lampade non sono ancora accese, lo studio è nel crepuscolo. Nella sua stanza Tom Lee sie­de sul letto suonando la chitarra e cantando a mezza voce, distrattamente, una canzone triste. Tom va per i diciotto anni. E' alto e un po' dinoccolato. Ha un'e­spressione intensa. Indossa calzoni kaki molto usati, una camicia bianca aperta al collo e scarpe da tennis bianche.

Sedute nello studio, in ascolto della canzone, sono Laura Reynolds e Lilly Sears. Laura è una donna bel-i la, sensibile, sulla trentina. E' la gentilezza d'animo in persona, tenera, piena di comprensione. Indossa una camicetta di Cashmere sopra una gonna di lana. Men­tre ascolta la canzone di Tom, cuce qualcosa che si rivelerà essere un costume.

Lilly ha più o meno l'età di Laura, è vestita più vi­stosamente di lei, con un abito e un cappello che sa­rebbero di ottimo gusto in Park Avenue, più che in una cittadina del New England. Anch'ella ascolta la canzone giocherellando con un bicchiere di Martini.

 Tom                                - (cantando) « Le gioie d'amore   non sono che un attimo... le pene d'amore durano per sem­pre... ». (Quando ha finito, ripete distrattamente gli accordi della canzone e canticchia ogni tanto).

Lilly                                 - (mentre Tom sta cantando) Tom Lee?

Laura                               -  Sì.

Lilly                                 -  Non ha lezione il pomeriggio?

Laura                               -  No. E' l'unico qui in casa che non ne ha.

Lilly                                 - (quando Tom ha finito) Tu lo sai a che pensa?

Laura                               - (alzando gli occhi e mordendo il filo che spor­ge)  Come?

Lilly                                 -  Pensa a quello a cui pensano tutti i ragaz­zi della scuola. Non solo adesso che è primavera; sem­pre, in tutte le stagioni... Sesso! (Scuote la testa con aria saggia, sorride).

Laura                               -  Lilly, a te piace scandalizzare la gente.

Lilly                                 -  Quattrocento ragazzi fra i tredici e i dician­nove anni. E' l'età, Laura. (Si alza) Non ti mette il solletico addosso l'idea di stare in mezzo a tanti ra­gazzi?

Laura                               -  Proprio no. Non ci penso mai.

Lilly                                 -  Harry dice che per tenerli calmi mettono del nitrato di potassio nel cibo. Però da come ti guar­dano non si direbbe.

Laura                               -  Guardano me?

Lilly                                 -  E ogni donna che ne valga la pena. Quan­do venni qui, cinque o sei anni fa, era la prima volta, pensavo che non sarei riuscita ad abituarmi. Adesso mi piace. Mi diverto a osservarli, che guardano e pe­nano.

Laura                               -  Lilly...

Lilly                                 -  È la prima primavera che passi qui, Lau­ra; aspetta.

Laura                               -  Sono ragazzi.

Lilly                                 -  I competenti dicono che l'età fra i 13 e i 19...

Laura                               -  Lilly, ma insomma!

Lilly                                 -  Parli come se avessi un piede nella tom­ba. Quanti anni hai?

Laura                               - (sorridendo) Più di te. E più di ventuno.

Lilly                                 -  Entrano qui che non sanno niente di nien­te sulle donne, e passano quattro anni a scambiarsi in­formazioni sbagliate. Sono così patetici, così... così se­ri... (Scuote le spalle).

Laura                               -  Per la maggior parte mi sembrano molto distratti.

Lilly                                 -  E' un tono che si danno. Questa è l'età per recitare Romeo : allora sì che gli crederesti. Così patetici. Questi ragazzi morirebbero per amore, o per un'altra cosa qualsiasi. Harry dice che tutti i loro componimenti finiscono con la morte.

 35

 Laura                              -  Ragazzate.

Lilly                                 -  Un insuccesso: morte! Il disonore: morte! Essere piantati dalla ragazza:  morte! E' lugubre.

Laura                               -  Ma anche toccante, non ti pare?

Lilly                                 -  Non andrai a raccontare a tuo marito quel­lo che ti sto dicendo?

Laura                               -  Ma no, che idea.

Lilly                                 -  Per quanto, non so perché dovrei preoc­cuparmi. Tutti i ragazzi parlano e sparlano di me. Mi fanno amoreggiare con tutti gli insegnanti scapoli, e anche con qualcuno sposato.

Laura                               - (scherzosa) Forse farei bene ad ascoltarli.

Lilly                                 -  Con tuo marito, mai, s'intende.

Laura                               -  Grazie.

Lilly                                 -  Anche prima di incontrare te, Bill non mi ha mai guardato due volte di fila. Non faceva che organizzare escursioni in montagna e squadre sporti­ve, tutto il tempo.

Laura                               -  Bill è un asso per queste cose. Gli piac­ciono:

Lilly                                 -  E a te? (Laura guarda Lilly e sorride) Ho capito : la testimone non collabora. Lo so, non sono affari miei. Ma mi stupirei che non stesse mettendo insieme il suo solito gruppo di ragazzi per andare a pesca nel Maine quest'estate.

Laura                               -  Ho i miei piani per le vacanze. Anche per lui. (Prende sul tavolo delle reclames turistiche).

Lilly                                 -  Davvero? E quali?

Laura                               -  « Visitate il Canada »... Voglio combinare un viaggio in macchina, noi due soli.

Lilly                                 -  Non ti do torto.

Laura                               - (pensierosa) Naturalmente, mi piacerebbe di più tornare in Italia. Ci divertimmo tanto là, l'e­state scorsa. Era meraviglioso, allora. Avresti dovuto vedere Bill.

Lilly                                 -  Tesoro, tu hai sposato Bill l'anno scorso, quando lui era in licenza di promozione, all'estero, e in vacanze pagate per giunta. I professori all'estero, promossi, e in vacanze pagate, sono come gli uomini in divisa durante la guerra : non sembrano mai più cosi belli, dopo.

Laura                               -  A me  sembra  che Bill vada benissimo.

Lilly                                 -  Ti ha mai parlato del party che demmo in suo onore prima che s'imbarcasse?

Laura                               -  Sì. Ne ho un ricordo. (Ha al collo una catenina d'oro con appeso un grosso anello con diamante, una imitazione. Lo estrae dalla camicetta).

Lilly                                 -  L'ho comprato io, ai Grandi Magazzini. Non avrei mai pensato che avrebbe usato davvero l'a­nello di fidanzamento che gli demmo quella sera. No­nostante la lavata di capo che gli infliggemmo, ci aspettavamo tutti di vederlo tornare più scapolo di prima.

Laura                               -  Parli come se lo aveste costretto voi a sposarsi, a forza di prenderlo in giro.

Lilly                                 -  Ma no, tesoro, che c'entra.

Laura                               - (soprappensiero) Già, che c'entra. (Ride).

Lilly                                 -  Adesso devo andare. Capisci, Bill avrebbe potuto sposare qualsiasi ragazza per bene di qua in­torno. Ma io sapevo che ci voleva molto più di una ragazza per bene, per farlo sposare. Ci voleva qual­cosa di... di extra. E tu sei qualcosa di extra.

Laura                               -  Come  devo prenderla?

Lilly                                 -  Come un complimento. Grazie per il Mar­tini. Quando vedi Harry a cena, non dirgli che l'ho bevuto.

Laura                               -  Non verremo a mensa stasera. Ho combi­nato una festicciola fra noi due.

Lilly                                 -  Un anniversario da celebrare?

Laura                               -  No, un impulso improvviso.

Lilly                                 -  Comunque, non dirlo a Harry.

Laura                               -  Se tu smettessi di parlare come parli, non avrei proprio niente da dirgli.

Lilly                                 -  Tesoro, non cominciare anche tu a far la puritana. Sei l'unica persona della scuola con cui pos­so aprir bocca, fammi il santo piacere di non cambia­re.

Laura                               -  Non cambierò.

Lilly                                 -  Un giorno o l'altro ti caverò fuori tutte le barzellette sporche che devi aver imparato quando facevi il teatro.

Laura                               -  Lilly, tu faresti arrossire la più incallita ballerina di fila.

Lilly                                 - (compiaciuta) Davvero?

Laura                               -  Parola.

Lilly                                 -  E' la cosa più simpatica che tu mi abbia mai detto. Arrivederci. (Esce. Dopo un attimo sentia­mo chiudersi la porta di casa. Laura ascolta il fischiet­tio nostalgico di Tom. Si alza, sfoglia le reclames tu­ristiche, poi guarda l'orologio, va alla porta, la apre, chiama per le scale).

Laura                               -  Tom... Tom... (Appena Tom sente il suo nome, salta giù dal letto, traversa la sitting room e appare sulle scale).

Tom                                 -  Sì?

Laura                               - (E' molto cordiale con lui, cameratesca) Se non ti toglie l'appetito per cena, vieni giù a pren­dere una tazza di tè.

                                        - (Tom ritorna nella sua stanza a pettinarsi, poi scende le scale ed entra nello studio, che per lui è qualcosa di raro e speciale : qui vive Laura. Laura, che era uscita di scena, verso l'appartamento, si affaccia sulla soglia in atto di versare la panna su un piattino).

Laura                               -  Sto finendo il tuo costume per la recita: possiamo provarlo.

Tom                                 -  Certo. Benissimo. La porta la volete aperta o chiusa?

Laura                               - (allontanandosi) E' lo stesso. (Tom chiude la porta. E' innamorato cotto di Laura, quantunque sappia bene che non può sperare niente. E' come un amore da bambole, in ritardo, molto toccante e inten­so. I due sono a loro agio insieme, quantunque il ra­gazzo cerchi sempre di farle velatamente capire quel­lo che sente per lei. Laura entra col vassoio del tè, che posa sul tavolo). Forse faresti meglio a lasciarla spalancata, così se qualche altro ragazzo finisce pre­sto la lezione può venire a prendere il tè insieme a noi.

Tom                                 - (contrariato) Sì,   certo.

Laura                               - (Esce per prendere i pasticcini, ma si trat­tiene abbastanza da osservare Tom che apre uno spi­raglio della porta. E' divertita. Rientra un attimo do­po col vassoio dei pasticcini) Serviti pure.

. Tom                               -  Grazie. (Prende un pasticcino e siede sul pavimento vicino alla sedia di lei).

Laura                               -  Avete abbastanza caldo nelle stanze? Han­no smesso il riscaldamento molto presto. Scommetto che  non si  aspettavano  questo  frescolino.

Tom                                 -  Stiamo bene. Ma quello non guasta. (Indica il fuoco che arde discretamente nel caminetto).

Laura                               - (ricomincia a cucire) Ti ho sentito cantare.

Tom                                 -  Mi dispiace se vi ho dato noia.

Laura                               -  Era molto dolce.

Tom                                 -  Se qualche volta vi disturba, non avete che da battere sul radiatore.

Laura                               -  Come si chiama quella canzone? Ha un fascino...

Tom                                 -  E' un vecchio motivo francese : « Le gioie d'amore ». (Parlato) « Le gioie d'amore non sono che un attimo le pene d'amore durano per sem­pre ».

Laura                               -  E' vero, poi? (Tom scuote le spalle) Can­tavi come se le pene d'amore non avessero misteri per te.

Tom                                 -  Voi, invece, pensate che io non me ne in­tenda?

Laura                               -  Insomma...

Tom                                 -  Avete ragione.

Laura                               -  Delle  gioie sì, però.

Tom                                 -  Neanche di quelle. (Si sente il tè che fi­schia sul fuoco).

Laura                               -  Sei un imbroglione: ad ascoltarti, si di­rebbe che sai tutto quello che c'è da sapere. (Si alza ed esce per andare a prendere il tè). Io non la bevo. Un ragazzo come te.

Tom                                 -  E' proprio vero.

Laura                               - (fuori scena) Porti qualcuno a ballare, sabato sera, dopo la recita?

Tom                                 -  Sì.

Laura                               -  Ecco, vedi.

Tom                                 -  Porto voi.

Laura                               - (ricompare sulla soglia con la teiera) Me?

Tom                                 -  Sì. Voi siete fra gli ospiti d'onore, no?

Laura                               -  Sì, credo, ma...

Tom                                 -  Come membro del Comitato dei festeggia­menti, io mi occuperò di voi. Tutto il Comitato ha tirato a sorte.

Laura                               -  E tu hai perduto.

Tom                                 -  Ho vinto.

Laura                               - (un po' imbarazzata) Ah! Sarei potuta ve­nire con mio marito. (Ritorna a sedersi).

Tom                                 -  Non sarà in città, sabato. Vi siete dimenti­cata? Questo week-end, il Club della montagna fa l'ultima escursione.

Laura                               -  Già. L'avevo dimenticato.

Tom                                 -  Lui va fuori spesso, vero, per questo gene­re di cose? (Laura ignora la provocazione) Spero che non vi dia noia farvi accompagnare da me.

Laura                               -  Anzi, sarà un onore.

Tom                                 -  Io dovrei scoprire, con tatto e senza che voi ve ne accorgeste, di che colore sarà il vestito che in­dosserete.

Laura                               -  Perché?

Tom                                 -  Il Comitato vi manderà un corsage.

Laura                               -  Molto gentili. Beh, non si può dire che io abbia l'imbarazzo della scelta. Metterò il solito ve­stito giallo.

Tom                                 -  Il ragazzo che è incaricato di comprare i fiori pensa che un corsage sia qualcosa di simile a una corona da morto; così, me ne incaricherò personalmen­te.

Laura                               -  Grazie.

Tom                                 -  Dovevate ricevere molti mazzi di fiori, quan­do recitavate in teatro.

Laura                               -  Qualche volta.  Niente  di sensazionale.

Tom                                 -  Io non capisco come una persona possa la­sciare il teatro per venirsene a vivere in una scuola... Oh, scusate, voglio dire, sono felice che voi l'abbiate fatto, ma...

Laura                               -  Lo capiresti subito, se conoscessi le stati­stiche degli attori disoccupati. Io poi non ero gran che di speciale.

Tom                                 -  Non ci credo.

Laura                               -  Ti do la mia parola.

Tom                                 - (dopo una pausa, fissando il fuoco con aria di­stratta, ma in realtà rifacendosi al suo amore per Laura) Avete mai recitato Shaw?

Laura                               -  Sì.

Tom                                 -  Ci hanno assegnato da leggere una com­media di Shaw, a nostra scelta. Io ho preso Candida.

Laura                               -  Perché era la più corta?

Tom                                 - (ridendo) No... Perché è quella che mi pia­ce di più. E' una storia che capisco. Avete mai reci­tato Candida?

Laura                               -  In provincia, con una piccola compagnia di giro, su nel Vermont.

Tom                                 -  Pensate che fece bene ad allontanare Mar-chbanks?

Laura                               -  Beh, Shaw ha combinato la storia in mo­do che sembri giusto. Tu che ne pensi?

Tom                                 - (parlando di sé) Quel Marchbanks preten­deva un po' troppo. Io non saprei mai comportarmi co­sì, anche se amassi una donna come l'amava lui. Lei poteva ridicolizzarlo quanto voleva.

Laura                               -  Non era donna da farlo. Adesso alzati, vediamo come sta. (Si alza con il costume in mano. Anche Tom si alza).

Tom                                 -  Papà salterà su come un riccio, quando saprà che recito un'altra parte di donna.

Laura                               -  Un bravo sportsman accetta la fortuna che gli tocca. Eppoi è una bella parte: Lady Teazle, nella Scuola della maldicenza.

Tom                                 - (infilandosi il costume) Cominciò quando fe­ci Lady Macbeth l'anno scorso. Voi non c'eravate an­cora; l'avete scampata bella.

Laura                               -  Mi hanno detto che eri bravissimo.

Tom                                 -  Avreste dovuto leggere la lettera che mi mandò mio padre. Misero una mia fotografia in co­stume sul bollettino degli ex-alunni. Uscì dai gangheri.

Laura                               -  Non capisco  perché .

Tom                                 -  Mi ha scritto che forse oggi verrà qui per una riunione del Fondo Borse di Studio. Se vi capita di vederlo, non ditegli niente.

Laura                               -  Sta tranquillo. E tua madre? Lei viene per la recita? (Lo aiuta ad abbottonarsi il costume).

Tom                                 -  Non vedo mai mia madre. Non lo sapete?

Laura                               -  No.

Tom                                 -  Sono divorziati.

Laura                               -  Mi dispiace.

Tom                                 -  A loro non dispiace affatto. Avrei dovuto tenerli uniti o : fui messo al mondo per questo. Ma non funzionò. E' una cosa terribile, sapete, fare fia­sco nella parte che la vita ci affida.

Laura                               -  Non la vedi mai?

Tom                                 -  L'ultima volta avevo cinque anni. Fino al­lora ero stato con lei, poi mi prese mio padre. Tutto quello che ricordo di mia madre, è che mi diceva sempre di andare in giardino a giocare a palla.

Laura                               - (gli dà la gonna del costume) E prima di Lady Macbeth, avevi mai recitato? Quando fu che facesti quell'altro personaggio? Grace...

Tom                                 -  Grace? Mai..    

Laura                               -  Eppure ho  sentito che i ragazzi qualche volta ti chiamano così. Pensavo... (Si rende conto che Tom è a disagio) Ho toccato un brutto tasto?

Tom                                 -  No.

Laura                               -  Sì, invece. Sono spiacente.

Tom                                 -  Non c'è di che. È tutta una storia. L'anno scorso, al cinema, diedero un vecchio film con Grace Moore : « Una notte d'amore ». Io l'avevo già visto e feci una gran reclame. Che attrice meravigliosa! Così fu che i ragazzi cominciarono a chiamarmi Grace. Col­pa mia.

Laura                               -  I soprannomi sono terribili, certe volte. Me, per esempio, mi chiamavano « cavalletta ». Ades­so non ricordo perché , ma mi ricordo che mi faceva impazzire. (Gli aggiusta il vestito addosso). Sta fermo un momento. Qui bisogna lasciarlo un po' largo, (in­dica il petto)  Quanto... quanto lo vuoi grande?

Tom                                 - (imbarazzato, ma senza malizia) Non lo so, come pensate che sia meglio.

Laura                               - (gli fa cenno di salire su uno sgabello) Pen­savo che tu volessi invitare qualche ragazza a vederti, per portarla al. ballo dopo.

Tom                                 - (sullo  sgabello) Non  saprei  chi.

Laura                               - (lavorando al costume) No?

Tom                                 -  Non  conosco nessuna ragazza. Davvero.

Laura                               -  Ma quando sei a casa tua, certo...

Tom                                 -  Sono dieci anni che non ho casa : una vera casa, voglio dire. D'estate mio padre mi spedisce al campeggio, e poi sto sempre in collegio.

Laura                               -  E a Natale? a Pasqua?

Tom                                 -  Mio padre fa provvista di biglietti per il teatro e per i concerti, e ci manda me e mia zia.

Laura                               -  Capisco.

Tom                                 -  Vedete che di ragazze non ne ho.

Laura                               -  Il tuo compagno di stanza, Al, ne cono­sce tante. Perché non gli chiedi di combinare un ap­puntamento a quattro?

Tom                                 -  Il fatto è... Vedete, io non so neanche bal­lare. Ve lo dico subito, così saprete quello che vi aspet­ta sabato sera.

Laura                               -  Staremo seduti a chiacchierare.

Tom                                 -  Benissimo.

Laura                               -  Oppure, potrei insegnarti a ballare. È fa­cile.

Tom                                 - (confuso) Voi?

Laura                               -  Perché no?

Tom                                 -  Voglio dire, non bisogna prima andare a scuola di ballo? (Scende dallo sgabello).

Laura                               -  Non è indispensabile. Qua, ti faccio ve­dere come è semplice. (Si mette in posizione). Tieni un po' in fuori la sinistra, così, e mettimi la destra intorno alla vita... (S'interrompe) Macché, tu mi pren­di in giro. Un ragazzo della tua età che non sa bal­lare.

Tom                                 -  Non vi prendo in giro.

Laura                               -  Allora avanti. Ho dovuto insegnare anche a mio marito. Mettimi un braccio intorno alla vita. (Si rim.ette in posizione).

Tom                                 - (la fissa, spaventato all'idea di toccare la don­na che ama. Poi, per uscirne) Sarà meglio lasciar stare. Bel quadro saremmo, tutti e due in gonnella.

Laura                               -  Hai ragione, togliti il costume. No, aspet­ta. Fammi dare un ultimo sguardo. (Gli gira intorno). Sarai una ragazza molto carina.

Tom                                 -  Grazie, signora. (Fa un inchino per burla e comincia a togliersi il costume. Nel corridoio è ap­parso il signor Harris, un giovane istruttore. Sale i gradini e bussa alla porta di Tom).

Laura                               -  Chi sarà?

Tom                                 -  Tutti gli altri hanno lezione nel pomeriggio.

Laura                               - (apre di più la porta e guarda su per le sca­le) Chi è? Oh, David.

Harris                              - (si volta) Salve, Laura.

Laura                               -  Mi chiedevo chi era.

Harris                              -  Cerco Tom Lee,

Laura                               -  È qui da me. Gli sto misurando il costu­me per la recita.

Harris                              - Credete che potrei vederlo un momento?

Laura                               -  Ma sì, certo. Tom, il signor Harris cerca di te. Volete parlare qui nello studio, David? lo posso andare un momento di là.

Harris                              -  No, grazie. Lo aspetterò in camera sua. Ditegli se viene su.

Laura                               - (Qualcosa nella voce di Harris l'ha stupita, torna nello studio) Tom, il signor Harris vuole par­larti in camera tua. È già su.

Tom                                 -  Strano.

Laura                               -  Aspetta... prendi questa, misuratela da­vanti al tuo specchio, guarda se ci stai dentro... (Gli dà la camicia del costume). Quando hai finito col si­gnor Harris, riportamela qui.

Tom                                 -  Senz'altro. (Fa per uscire, ansioso di sa­pere che cosa ha da dirgli Harris. Si ferma un attimo, prende un pasticcino e la guarda con ardore) Grazie per il tè.

Laura                               -  Non c'è di che.

                                        - (Tom chiude la porta e sale le scale. Harris è en­trato nella stanza di Tom, e sta in piedi nervosamen­te tormentandosi le mani).

Tom                                 - (Fuori vista nella sitting room) Signor Harris?

Harris                              -  Sono qui.

                                        - (Intanto Laura esce verso le altre stanze del suo ap­partamento, dopo aver dato ancora un'occhiata ai depliants turistici).

Tom                                 - (entra con esitazione) Buona sera, professo­re. (Harris chiude la porta. Tom lo osserva non senza apprensione).

Harris                              -  E così?

Tom                                 - (Offre all'istruttore una sedia, dalla quale ha tolto degli indumenti) Signore?

Harris                              -  Che cosa hai detto al Preside?

Tom                                 -  A che proposito, signor Harris?

Harris                              -  Che cosa gli hai detto?

Tom                                 -  Ma quando?

Harris                              -  Il Preside, non ti ha chiamato?

Tom                                 -  No. Che motivo c'era?

Harris                              -  Non ti ha chiamato per farti domande sul pomeriggio di sabato?

Tom                                 -  E perché  mai? Non ho fatto niente di male.

Harris                              -  Non ti ha chiesto se eri con me?

Tom                                 -  Io ho tutto il diritto di andare in gita con un professore.

Harris                              -  Non ti credo. Devi avergli detto qualcosa.

Tom                                 -  Ma su che?

Harris                              -  Su me e te, quando siamo andati al can­neto e abbiamo fatto il bagno.

Tom                                 -  E perché  avrei dovuto parlargliene?

Harris                              - (minaccioso) Perché non hai tenuto la bocca chiusa?

Tom                                 -  Ma su che? Su che, in nome del cielo?

Harris                              -  Io non ti ho mai toccato, vero?

Tom                                 -  Toccarmi?  Che volete dire?

Harris                              -  Sei andato a dire al Preside che ti ho messo le mani addosso?

Tom                                 - (voltando le spalle ad Harris) Io non so di che state parlando.

Harris                              -  Te lo dico io, di che sto parlando. Il Pre­side mi ha tenuto a rapporto per tutto il pomeriggio. Con ogni probabilità non sarò confermato per il prossimo anno. E tutto perché  ti ho portato a nuotare al fiume sabato.

Tom                                 -  Che motivo c'era di tenervi a rapporto per questo?

Harris                              -  Mi figuro che tu neanche lo immagini.

Tom                                 -  Che  cosa  avete fatto di male?

Harris                              -  Niente! Niente! A meno che tu non gli abbia fatto capire che c'era qualcosa di male. È così?

Tom                                 -  Vi ho detto che non ho visto il Preside.

Harris                              -  Lo vedrai. Ti chiamerà. Vecchi impiccio­ni che non son altro! (Sta per uscire. Sulla porta si volta, si rabbonisce). Mi dispiace. Probabilmente non è dipeso da te. È stata colpa mia. Avrei dovuto essere più prudente. Arrivederci Tom, auguri per la tua mu­sica.

                                        - (Tom non ha capito e non sa cosa dire. Fa un gesto vago con le mani. Harris esce. Tre ragazzi sui 17 an­ni sono entrati dalla porta di casa e stanno salendo le scale. Portano dei libri e vestono con la trasanda-tezza degli studenti ricchi).

Al                                    -  Io non credo neanche una parola.

Ralph                               - (grosso, prepotente, rumoroso) Ti dico che li hanno visti giù al fiume.

Al                                    - (Un ragazzo atletico; è il compagno di stanza di Tom) E con questo?

Ralph                               -  Erano nudi nati.

Al                                    -  E parla piano. Vuoi farti sentire dalla Rey­nolds?

Ralph                               -  Va bene. Va bene. Aspetta e vedrai. Har­ris verrà silurato, e io mi chiuderò a chiave la notte finché Tom abiterà in questa casa.

Al                                    -  Ma piantala.

Ralph                               -  Tu vivi con lui, e non sembri preoccupato.

                                        - (Harris è uscito dalla sitting room e li incrocia per le scale).

Harris                              -  Salve. (Scende le scale e scompare).

Al                                    -  Signore.

Ralph                               -  Mi credi, adesso? Tu non sei al sicuro, dammi retta.

Steve                               - (un piccoletto, sempre in ammirato ascolto di quel che dice Ralph. Sta salendo dietro di loro) Senti, Al, posso venire da voi a guardare la Morrison che si cambia?

Ralph                               -  Grida più forte, così perderemo anche questa risorsa.

Steve                               -  È l'ora. Che ne dici, Al?

Al                                    - (grugnendo) Venite.

                                        - (Tom li sente arrivare e sta per mettere il chiavi­stello alla sua porta, ma Steve e Ralph invadono la stanza prima che abbia potuto farlo. Steve si butta sul letto guardando fuori della finestra e Ralph gli si mette vicino).

Al                                    - (entrando, a Tom che è sulla soglia) Ma guar­dali, che razza di porci.

Steve                               -  Il binocolo, Al. (Al va nella sitting room).

Ralph                               -  Un giorno o l'altro metterà le tendine e noi resteremo all'asciutto.

Tom                                 - (che li ha guardati con disgusto) Ve ne vo­lete andare?

Ralph                               - (accorgendosi solo ora di Tom) Che ti prende, Grace?

Tom                                 -  Che io sia dannato se questa non è la mia stanza.

Ralph                               -  Grace è diventata misantropa.

Tom                                 -  Non mi va che un paio di sporcaccioni si buttino sul mio letto a guardare una... una...

Steve                               -  Tutta per te, la vuoi tenere?

Ralph                               -  Oppure non ti interessa?

Al                                    - (È tornato con un binocolo da campo).  Sst! (Guarda anche lui dalla finestra; poi si accorge con imbarazzo che Tom lo sta osservando) Che porci, che siamo.

Steve                               - (guardando col binocolo) È troppo. È troppo.

Ralph                               - (a Tom, provocatorio) Com'è stato che sa­bato non sei venuto allo Stadio?

Tom                                 -  Non mi andava.

Ralph                               -  E cos'è che ti andava?

Al                                    -  La vuoi smettere?

Steve                               -  Ehi, guardate qua. (Offre il binocolo ad Al che se ne va indispettito).

 38

 Tom                                - (ai due cercando di farla finita) Adesso ve ne andate. Già un'altra volta vi ho detto...

Ralph                               - (afferrando Tom) Calma, bimbo, altri­menti se ne accorge.

Tom                                 -  Fuori di qui, maiali!

Ralph                               -  Chi sarebbe il maiale? (Stringe Tom con forza e gli dà due schiaffi, non tanto per fargli male quanto per umiliarlo. Steve interviene con qualche pugno, e in men che non si dica non è più un gioco ma una punizione seria). Ritiri quel che hai detto? Ri­tiri, Grace? (Lo schiaffeggia di nuovo).

Al                                    - (è tornato sentendo il rumore, e strappa Ralph e Steve da Tom) Finitela. Finitela! Breack, breack! Lasciatelo stare.

                                        - (Tom è sul letto. I due sono ancora minacciosi).

Ralph                               -  Questo figlio di mamma ci ha chiamati maiali. Forse a lui la vista non interessa. Non è così, Grace?

Al                                    - (trattenendolo, poi spingendolo fuori con Steve) Avanti, lasciatelo stare. Fatela finita. È ora di cam­biarsi per cena.

                                        - (Rimasto solo, Tom si alza e va allo scrittoio a pren­dere un fazzoletto. Perde sangue dal naso. Si sdraia sul letto, a faccia in su per fermare l'emorragia).

Al                                    - (dall'altra stanza) Come stai, Tom?

Tom                                 -  Benissimo.

                                        - (Ralph e Steve scendono le scale cantando con voce volgare. La porta di casa si è aperta ed è entrato Bill Reynolds; con Phil, altro studente. Bill è il marito di Laura. È robusto. Veste calzoni di flanella, giacca di tweed, camicia a collo basso. Si avvicina alla quaran­tina).

Bill                                  -  D'accordo figliolo, cercherò di combinare... (Sente Ralph che canta, e chiama per le scale) Ralph... ehi, Ralph.

Ralph                               - (fuori vista smette di cantare) Dite a me, signor Reynolds?

Bill                                  -  Sì. Se hai finito, non ricominciare.

Ralph                               -  Sissignore. Scusate, non sapevo...

Bill                                  - (parlando con Phil, sul pianerottolo) Dun­que, Phil, per il campeggio... vediamo... si comincia il primo luglio, tu puoi far conto di arrivare, diciamo, il 3 del mese, per trattenerti due settimane. Va bene?

Phil                                  -  A meraviglia, signore.

Bill                                  -  Anche Frank Hocktor viene per quell'epoca. Tu vai d'accordo con lui, no? È un ragazzo come si deve.

Phil                                  -  Sì, certo.

Bill                                  -  La canoa è tutta a pezzi. Il tuo dovere di lavoro sarà di aggiustarla. Te la senti?

Phil                                  -  Oh si. Grazie, signor Reynolds. (Sale le sca­le).

Bill                                  -  Ci vediamo. (Entra nello studio, va al tele­fono e comincia a fare un numero).

Laura                               - (fuori scena) Tom? (guarda in direzione della voce ma non risponde. Laura viene in studio) Oh, Bill. Tom era qui un momento fa per misurarsi il co­stume. Credevo... Sei in anticipo.

Bill                                  -  Devo trovare il Preside prima che esca dall'ufficio.

                                        - (Laura alza il viso aspettando un bacio, ma Bill è troppo occupato al telefono, e lei si limita a baciargli la guancia) Pronto, qui Reynolds. È ancora in uf­ficio il Preside?

Laura                               -  Che succede, Bill?

Bill                                  -  Cose poco simpatiche. (Al telefono) Sì? Da quanto? Bene. Grazie. Aspetterò qualche minuto, poi lo cercherò a casa sua. (Riappende il ricevitore) Così, finalmente, hanno pescato Harris. (Va nella stanza ac­canto a togliersi la giacca).

Laura                               -  Pescato? Che vuoi dire?

Bill                                  - (fuori scena) Prima o dopo lo verresti a sa­pere, tanto vale... Sabato l'hanno visto al fiume. Era nudo.

Laura                               - (si accosta alla porta) Che c'è di male?

Bill                                  - (rientra. Va al caminetto e guarda la porta. Si è tolto la giacca) Non era solo.

Laura                               -  Ah.

Bill                                  -  Era disteso in riva al fiume, e con lui c'era un ragazzo, uno studente. Il solo parlarne è disgusto­so.

 

Laura                               -  Capisco.

Bill                                  -  Vorrai riconoscere che ce n'è abbastanza.

Laura                               -  Non mi sembra una prova definitiva.

Bill                                  -  Dato Harris, lo è fin troppo, (quasi distrat­tamente) Lo studente con lui era...

Laura                               - (interrompendolo) Non credo che m'im­porti saperlo.

Bill                                  -  Purtroppo lo dovrai sapere, presto o tardi. Era Tom Lee.

                                        - (Nella sua stanza, Tom si alza, prende un asciuga­mano, esce, sale su per le scale).

Bill                                  -  I ragazzi del Club dei Canottieri li hanno sorpresi... Comunque, li hanno visti. Anche Fin Hadley li ha visti, e a quel che pare una volta tanto ha ado­perato la testa e ha parlato col Preside.

Laura                               -  E poi?

Bill                                  -  Il Preside ha interrogato Harris. Scommet­to che sarà mandato via. Lo spero. Forse anche Tom, non so ancora.

Laura                               -  Due e due fanno quattro, vero?

Bill                                  -  Sì Laura.

Laura                               -  Già tutta la scuola ne parlerà.

Bill                                  -  Temo di sì.

Laura                               -  I ragazzi.

Bill                                  -  Sì. "  

Laura                               -  E Tom?

Bill                                  - (prende la pipa dal camino, la pulisce) Sa­pevo che ti avrebbe addolorato, Laura. Io penso che bisogna essere severi. La gente deve sapere che in que­sta scuola non si tollera nemmeno l'odore di certe co­se. Tom Lee dovrebbe essere espulso.

Laura                               -  Per quale motivo?

Bill                                  -  Prendi il caso di un ragazzo che sia visto uscire dalla pensione di quella Martin, di là dal fiume. È una prova sufficiente, nessuno chiede i particolari. Non si va dalla Martin a giocare a canasta. È lo stes­so caso.

Laura                               - (osando appena pensarci) Ma Bill, non penserai... Non penserai che Tom sia... (s'interrompe. Il silenzio di Bill è una risposta) Bill!

Bill                                  -  Mi vergogno come un cane se penso a suo padre. Herb Lee è stato sempre così buono con me... Finiva gli studi qui, quando io entrai nella squadra di foot-ball... Mi aiutò... non mi perse di vista quando io studiavo qui e lui faceva l'università... E so che ha messo suo figlio nella mia sezione con la speranza che lo valorizzassi. (Fa un numero al telefono).

Laura                               -  E a te sembra di aver fallito.

Bill                                  -  Sì. (Pausa) Col tuo aiuto, devo dire. (Il nu­mero è occupato. Riappende).

Laura                               -  Cioè?

Bill                                  -  Laura, sai bene che il ragazzo preferiva star qui, a chiacchierare con te, ad ascoltare i dischi e a strimpellare la sua chitarra.

Laura                               -  Non prendertela sempre con me. per tut­to. Non tutto è colpa mia.

Bill                                  - (senza badarle) Che brutto scherzo per Herb. (Indica una fotografia di una squadra di foot­ball che è sulla sua scrivania) Ecco Herb. Era l'orga­nizzatore sportivo della squadra, quando io ero un pi­vello. Si è sempre occupato con amore della nostra squadra, e il suo sogno era di vedere suo figlio al cen­tro della fotografia.

Laura                               -  Perché chiami il Preside?

Bill                                  -  Voglio sapere cosa bolle in pentola.

Laura                               -  Non ti ho mai visto così.

Bill                                  -  È una faccenda che mi colpisce da vicino, molto da vicino. Il buon nome della scuola, la sua re­putazione, la reputazione di tutti noi. Io ho studiato qui, e mio padre prima di me, e spero che un giorno i nostri figli studieranno qui, quando ne avremo. E, naturalmente, spero di fare carriera qui dentro.

Laura                               -  Concediamo che tu abbia ragione su Har­ris. È una tremenda responsabilità, con le poche pro­ve che hai, ma concediamo che tu abbia ragione. Non ne segue necessariamente che Tom...

Bill                                  -  Tom era suo intimo amico. Tutti lo sape­vano.

Laura                               -  Harris lo incoraggiava nello studio della musica.

Bill                                  -  Andiamo, Laura.

Laura                               -  E se il compagno di stanza di Tom, o qualche altro grande atleta delle vostre squadre, fosse andato al fiume con Harris?

Bill                                  -    Non ci sarebbe andato.

Laura                               -  Ma se ci fosse andato? Ne avresti tratto la stessa conclusione?

Bill                                  -  Che razza di ipotesi. Tom è sempre stato un ragazzo diverso dagli altri, e ora si spiega il perché . Se lo espellono, forse metterà la testa a posto. Lasciando correre non si farebbe il suo bene - (Laura gli volta le spalle. Bill ricomincia a sfogliare la posta) Perché poi t'interessa tanto quel che può succedere a Tom Lee?

Laura                               -  Ho finito per conoscerlo bene. Hai perfi­no detto che in un certo senso io sono responsabile della sua reputazione.

Bill                                  -  Non avrei dovuto dirlo. Ma pensaci, ora che si è fatto scoprire; pensa a come cammina, a quan­do si ferma e si mette in posa.

Laura                               -  Bill!

Bill                                  -  Già, è vero, una donna non se ne accorge. Ma un uomo sa subito cosa pensare. (Legge una delle lettere) Il libraio ha fatto arrivare il libro che gli ave­vi chiesto... « La rosa e la spina ». Che roba è?

Laura                               -  Un libro di poesie. Senti, Bill, scommetto lui non sa nemmeno... che cos'è.

Bill                                  -  Come lo giudichi? Sentiamo.

Laura                               -  Un ragazzo per bene, molto sensibile, mol­to delicato, che se ti sentisse non capirebbe nemmeno di che cosa parli.

Bill                                  -  Ha quasi diciotto anni.

Laura                               -  Tu la sapevi lunga, a diciotto anni?

Bill                                  -  Abbastanza. (Si accorge delle réclames tu­ristiche) E questa che roba è?

Laura                               -  Cosa?

Bill                                  -     Questi.

Laura                               -  Niente, non so.

Bill                                  - (Butta i depliants nel cestino, poi si accorge della espressione di lei) Qualcosa deve essere.

Laura                               - (senza gioia) Pensavo che questa estate avremmo potuto fare un viaggio in macchina.

Bill                                  - (di nuovo al telefono) Dovevi parlarmene prima. Ho già organizzato un campeggio con i ragazzi delle borse di studio. Non posso deluderli.

Laura                               -  No certo.

Bill                                  -  Se me ne avessi fatto cenno prima...

Laura                               -  È colpa mia.

Bill                                  -  Non è colpa di nessuno, è... (al telefono) Pronto Fitz, parla Bill Reynolds. Volevo sapere se re­sti in casa stasera. Ah... Sì, sì... A cena? Sì, certo, ne possiamo parlare a cena... No, no, è meglio che io ven­ga solo... D'accordo. Ti raggiungo. A presto.

                                        - (Laura lo guarda cercando di capirlo, Bill le si avvi­cina, lei apre le braccia per farsi abbracciare, lui le accarezza una guancia).

Bill                                  -  Ascoltami, Laura. Quando ti portai qui, un anno fa, ti dissi che era un posto difficile per una donna con un cuore come il tuo. Ti avvertii che avre­sti avuto a che fare con dei ragazzi, grandi e piccini, pieni di problemi, problemi che sul momento sembra­no giganteschi, strazianti. E tu mi promettesti che a-vresti cercato di non farti mai prendere nel loro giro. Ricordi?

Laura                               -  Sì.

Bill                                  -  Quando ero ragazzo, qui a scuola, anch'io avevo i miei problemi. C'è un boschetto nel campo di golf dove andavo tutte le domeniche pomeriggio, solo come un cane, a piangere a dirotto. Anch'io stavo sdraiato sul letto, proprio come Tom, ascoltando di­schi per ore ed ore. (Laura commossa, gli si inginoc­chia al fianco) Ma ho superato quella fase, Laura, e ho imparato come va presa. Quando la moglie del Pre­side ti consegnò la simbolica teiera, ti disse quello che dice a tutte le mogli dei nuovi insegnanti. Tu devi es­sere solo una spettatrice attenta.

Laura                               -  Lo so.

Bill                                  -  Proprio come ti disse, tutto quello che sei tenuta a fare è di dare ai ragazzi, una volta ogni tan­to, un pò di tè e un po' di simpatia. Te ne ricordi?

Laura                               -  Sì, mi ricordo. Solo che...

Bill                                  -  Dimmi.

 

Laura                               -  La loro età... 17, 18 anni... e così...

Bill                                  -  Lo so.

Laura                               -  John aveva quell'età, quando io lo sposai.

Bill                                  -  Laura...

Laura                               -  Lo so, non ti piace che io ti parli di John, ma...

Bill                                  -  Non è questo, è che...

Laura                               -  Avevamo tutti e due quell'età, 18 o poco più, quando ci sposammo. Tutti e due. E so quanto si può soffrire, a quell'età. È un periodo struggente... Non più un ragazzo... Non ancora uomo... Bill, Bill...

Bill                                  - (La guarda intensamente, poi si muove) Farò meglio a cambiarmi se devo andare a cena dal Preside. Non ti dispiace, vero?

Laura                               -  Avevo preparato qualcosa per noi due, ma non è roba che va a male.

Bill                                  -  Scusami, Laura. Sono sicuro che capisci. (Laura fa cenno di no con la testa. Bill è un po' deluso dal fatto che lei non abbia capito il suo ragionamento. Fa per dire qualcosa ma si trattiene. Si accorge dell'a­nello col diamante da pochi soldi che Laura porta al collo. Lo tocca) Non vorrai presentarti a mensa con questo oggetto al collo, le prossime sere?

Laura                               -  Perché no?

Bill                                  -  Era per burla. Per te ha un significato, ma per loro...

Laura                               - (accusando il Colpo, ma senza polemica) E per te Bill, ha un significato?

Bill                                  -  Lo aveva, certo, ma... (S'interrompe con un gesto; non vuole affrontare l'argomento).

Laura                               -  Ti vergogni, vero, di quella notte in cui me l'hai dato? E di avermi fatto capire che avevi tan­to bisogno di aiuto. Quella notte in Italia, in qualche modo inespresso, tu invocavi...

Bill                                  -  Che ti prende oggi? Io, che vado invocan­do aiuto? (Fa per andare nell'altra stanza. Qualcuno bussa alla porta dello studio) Sarà Tom.

                                        - (Laura va alla porta, apre. È il padre di Tom, Herb Lee È un uomo di media statura, che ha cercato di costruirsi una personalità di uomo di mondo sicuro di sé. Veste come un uomo di affari di Boston, con se­rietà).

Herb                                -  La signora Reynolds?

Laura                               -  Sono io.

Bill                                  -  Herb! Entra.

Herb                                -  Salve, Bill. Come te la passi?

Bill                                  - (Stringendogli la mano) Bene, grazie, Herb.

Herb                                - (Piantando il dito sul petto di Bill) È una gran bella cosa rivederti. (Guarda Laura).

Bill                                  -  Non credo di averti mai presentato Laura. Herb, questa è Laura. Laura, questo è Herb, il padre di Tom.

Herb                                - (con calore, come chi vuol mettere sempre la gente a proprio agio) Molto lieto, Laura.

Laura                               -  Ho sentito parlare molto di voi.

Herb                                - (dopo averla guardata bene).  Mi piace, Bill. Mi piace molto. (Laura arrossisce, ed è un po' smon­tata).

Herb                                -  Vorrei sapere come hai fatto. Scommetto che le rendi la vita infelice. Hai un bell'aspetto, Bill.

Bill                                  -  Anche tu non ti puoi lamentare.

Herb                                -  Sei tu che sei in forma, altroché. Io non ho mai avuto niente da tenere in forma. Avreste do­vuto vederlo, Laura.

Laura                               -  Ho visto le fotografie.

Herb                                -  L'unico esercizio che pratico io, è di alza­re il gomito ogni tanto.

Laura                               -  Posso offrirvi qualcosa da bere?

Herb                                -  No grazie, ho poco tempo.

Bill                                  -  Sei venuto in macchina da Boston?

Herb                                -  No, in treno. Sai, Bill: credo sia lo stesso treno che prendevamo noi due ai nostri tempi.

Bill                                  -  È probabile.

Herb                                -  Se perdo quello delle 6,54 dovrò fermarmi qui a dormire e non ne ho nessuna voglia.

Bill                                  -  Saremmo felici di ospitarti.

Herb                                -  No grazie, (pausa. Siedoiio) Io... Ehm... So­no stato dal Preside questo pomeriggio.

Bill                                  -  Ti ha mandato a chiamare?

Herb                                -  No, dovevo discutere con lui sulle borse di studio... e allora... Tu sai?

Bill                                  -  Di Tom?

Herb                                - (guardando Laura) Sì.

Bill                                  -  Anche Laura lo sa. (Le fa cenno di acco­starsi, le mette il braccio intorno alla vita).

Herb                                -  E quando abbiamo finito di parlare delle bor­se, me lo ha detto. Pensava che dovessi saperlo da lui. Quasi distrattamente.

Bill                                  -  È il suo modo di fare.

Herb                                -  Quello che mi domando, è che cosa ha a che vedere con la scuola un uomo come Harris.

Bill                                  -  È un pezzo che lo dico.

Herb                                -  Gente così non ce n'era, ai nostri tempi, vero?

Bill                                  -  No.

Herb                                -  Ho cercato di lui. Ma è sparito. Dov'è Tom?

Laura                               -  Nella sua stanza.

Herb                                -  Come ha potuto mettersi con un uomo di quel genere?

Bill                                  -  Non lo so, Herb.

Herb                                -  Non avrei dovuto chiedertelo. Naturalmen­te, io non credo che Tom abbia avuto davvero a che fare con lui. Se lo credessi... non so proprio cosa fa­rei. Tu non lo credi, vero Bill?

Bill                                  -  Ecco...

Herb                                - (tagliando corto) Naturale che no. Ma do­v'è il punto? Che succede, Bill? Perché il mio ragazzo non è come gli altri? Ha avuto le migliori opportunità fin da quando era alto come un grillo : campeggi tutte le estati, collegi. Voi che ne pensate, Laura?

Laura                               -  Non è a me che dovete chiederlo, signor Lee. (Si allontana da Bill).

Herb                                -  È sempre stato in mezzo a ragazzi e a uo­mini. Se ci fosse stato qualcosa, sarebbe venuto fuori.

Laura                               -  Io penso che Tom sia « come gli altri ».... come dite voi.

Herb                                -  Vero?

Laura                               -  Se è lo sport che conta, è un tennista ec­cellente.

Herb                                -  Eppure, Laura, neanche a tennis gioca co­me gli altri. Mai una cannonata, mai un bel servizio fulminante. Gioca da artista. I suoi colpi sono sempre tagliati.

Laura                               -  Vince. È il campione della scuola. A casa, non è il campione del vostro circolo?

                                        - (Tom scende le scale e torna in camera sua con la camicetta del costume e l'asciugamano).

Herb                                -  Ho piacere che ne abbiate parlato, perché  proprio lì sta il punto. Sapete, Laura, la sua vittoria in quel campionato mi ha procurato una delle peggiori umiliazioni della mia vita. Non avevo potuto vedere la partita. Ero impegnato in una sfida al golf, speravo di fare in tempo, ma ogni buca andava peggio della precedente... E quando tornai negli spogliatoi, sentii due che parlavano della partita di Tom, facendo la doccia. Quello che dicevano, Laura, mi tolse il fiato. Uno diceva : « È una vergogna che Tom Lee abbia vinto. È un buon giocatore, nessuno lo nega, ma John Batty è un vero uomo ». John Batty era il suo avver­sario. E allora che soddisfazione me ne è venuta?

Bill                                  -  Ti capisco.

Herb                                -  Io vorrei poter essere orgoglioso di lui. Per questo gli ho- sempre dato tutto. Per questo lo tolsi a sua madre quando ci separammo... Sta a sentire, è una cosa terribile, ma... Sai che il nostro club ha isti­tuito delle borse di studio per ragazzi bisognosi...

Bill                                  -  Si.

Herb                                -  Contribuisco in modo considerevole. Mi è successo di avere contatti con uno dei ragazzi che aiu­tiamo, un orfano. Sai come succede; gli parlo come un padre, ogni tanto vado a scuola a trovarlo, quel ra­gazzo mi ascolta... Vuoi che ti dica una cosa? Viene su meglio di mio figlio.

Bill                                  -  Hai visto il Preside, così?

Herb                                -  Sì.

Bill                                  -  Dimmi.

Herb                                -  Mi ha esposto le circostanze. Dice che è si­curo che Tom è stato coinvolto senza colpa. Ha chiesto scusa, in un certo senso. Pare che qualcuno al Consi­glio dei Professori abbia suggerito, come la migliore soluzione nell'interesse di Tom, che io lo tolga da scuola. Non ha insistito, intendiamoci. Ma io non lo farò. Non ha avuto che cure e riguardi da quando e nato : guarda che bell'esito. I miei soci mi chiedono cosa conta di fare nella vita, e io devo rispondere che non si è ancora deciso. Non posso mica dire loro che vuol fare il cantante di canzonette. (Tom è sdraiato sul let­to ad ascoltare dischi).

Bill                                  -  Allora, lo lasci qui.

Herb                                -  Che se la cavi da sé. Sarà una buona le­zione.

Laura                               -  E se fosse peggio che una lezione, signor Lee?

Herb                                -  Lo prenderanno un po' in giro. Dovrà la­vorar duro per dimostrare a tutti che è... beh, che è un vero uomo. Gli farà bene.

Laura                               -  Signor Lee, Tom è un ragazzo molto sen­sibile. Molto solo.

Herb                                -  E perché  fa il solitario? Ho sempre cerca­to di mandarlo con la gente; ai campeggi, in collegio.

Bill                                  -  È un ragazzo diverso, Herb.

Herb                                -  Definizione ottimistica. Diverso. Stavolta dovrà imparare a essere uguale agli altri. È meglio che io vada.

Laura                               -  Signor Lee, sembrerà ingenuo da parte mia, e anche indiscreto, ma io credo che vostro figlio non sappia neppure di che si tratta. Né perché  Harris è stato licenziato, né perché  i ragazzi lo prendano in giro...

Herb                                -  Voi affermate...

Laura                               -  Cerco di capire. Quando si tratta di ra­gazzi, noi diamo per scontate troppe cose. Io sono si­cura che sarà un colpo terribile per lui, quando sco­prirà di che lo sospettano. Non una semplice lezione, uno choc.

Herb                                -  Non credo che sia ingenuo fino a questo punto. Non ci posso credere. E ora... (Si avvia alla porta. Bill lo prende sottobraccio; escono sul piane­rottolo).

Bill                                  -  Io vado a cena dal Preside. Se ti sbrighi presto con Tom, torna giù a prendermi. Faremo un po' di strada insieme.

Herb                                -  Volentieri. (Si ferma sui gradini). Bill, co­me parli tu coi ragazzi?

Bill                                  -  Ci parlo, ecco.

Herb                                -  Non sono figli tuoi. Io ho parlato con Tom... parlato davvero, intendo... una volta sola. Era una do­menica sera dopo cena, e io mi resi conto che era tem­po che prendessimo il caffè insieme e chiacchierassi­mo di cose importanti. Gli venne mal di stomaco. È terribile fare questo effetto al proprio figlio... Insom­ma, non ci ho provato più. (Cava di tasca delle ban­conote, le guarda, sale le scale).

Bill                                  - (tornando nello studio) Laura, non dovresti cercare di spiegargli come è fatto suo figlio. A parte tutto, se non lo conosce lui chi lo conosce?

Laura                               -  Mi spiace.

                                        - (Bill esce verso le altre stanze togliendosi la cravat­ta. Herb ha salito le scale e ha bussato alla porta dei ragazzi. Laura si siede e riprende a cucire).

Al                                    - (da dentro) Avanti.

                                        - (Herb entra, chiude la porta, poi lo vediamo affac­ciarsi nella stanza di Tom).

Herb                                -  Buonasera.

Tom                                 - (sorpreso salta su dal letto) Oh...

Herb                                -  Mi ha  trattenuto  il Preside.

Tom                                 - Ah. (Cerca di baciare il padre sulle guan­ce, ma il padre si limita ad una stretta di mano).

Herb                                -  Come vanno le cose? Sembri giù.

Tom                                 - Io sto bene.

Herb                                - (fissandolo) Sei  sicuro?

Tom                                 -  Sicurissimo.

Herb                                - (Guardando la stanza) Me la ricordavo più grande. (Gira l'interruttore e accende la luce) Io il letto lo tenevo lì, perché  certe notti pioveva dentro. (Si avvicina al fonografo) È quello che ti ho regalato io per Natale?

Tom                                 -  Funziona  benissimo.

Herb                                - (ferma il grammofono) Sei più ordinato di me. Il mio pigiama finiva sempre dietro il termosifone. (Vede il costume) E questo cos'è?

Tom                                 - (dopo un attimo di esitazione) Il   costume che mi ha fatto la signora Reynolds. Io prendo parte alla recita.

Herb                                -  Non me lo hai scritto.

Tom                                 -  No.

Herb                                -  Che parte fai? (Guarda il vestito).

Tom                                 -  Conosci la Scuola della maldicenza? Io faccio Lady Teazle.

Herb                                -  Tom, devo parlarti. L'ultima volta che cer­cammo di chiacchierare un po', non andò troppo bene.

Tom                                 -  Che c'è?

Herb                                -  Tom, io voglio essere un amico per te. Lo so, c'è qualcosa tra padri e figli che impedisce loro di essere amici, ma io voglio provare.

Tom                                 - (Imbarazzato) Certo, papà. (Siede sul letto).

Herb                                -  Quando ti ho messo qui, ti ho detto di stare attento alle amicizie che avresti fatto. Ti raccoman­dai di assicurarti che fossero amici convenienti per te. Dimmi chi pratichi e ti dirò chi sei: te lo dissi, ri­cordi?

Tom                                 -  Sì.

Herb                                -  Ti dissi che se non ti piacevano sport co­me il baseball o l'hockey, per me era lo stesso, ma che era un peccato, perché  entrando nelle squadre ti sa­resti messo con della gente in gamba.

Tom                                 -  Sì.

Herb                                -  Non mi credesti?

Tom                                 -  Sì.

Herb                                -  Va bene, diciamo allora che mi hai creduto, ma che hai preferito andare per la tua strada. Niente di male in questo, però vedi come è andata a finire.

Tom                                 -  Cioè?

Herb                                -  Ti sei legato con gente come quello Harris, che si è fatto licenziare.

Tom                                 -  Perché lo hanno licenziato?

Herb                                -  Lo hanno licenziato perché  è stato visto al fiume con te.

Tom                                 -  Anche tu?

Herb                                -  Allora sai di che cosa sto parlando?

Tom                                 -  No. Non lo so.

Herb                                -  Sì che lo sai. Mia sorella te lo disse, una volta. L'ho sentita io. Ti mise in guardia contro un usciere del palazzo di fronte.

Tom                                 - (incredulo) E il signor Harris?...

Herb                                -  È stato licenziato perché  da molto tempo tiene un comportamento sospetto, a quanto sembra, e questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il va­so. Se vuoi che mi esprima con parole più chiare, il tuo Harris...

Tom                                 -  Chi lo dice?

Herb                                -  Tom...

Tom                                 -  E vedendoci insieme sulla spiaggia...

Herb                                -  Sì.

Tom                                 -  E questo, per me, cosa significa? Per me?

Herb                                -  Lo so che non hai fatto niente di male.

Tom                                 -  Grazie.

Herb                                -  Aspetta un momento...

Tom                                 -  Eravamo  andati  a nuotare.

Herb                                -  Va bene, va bene. Forse tu non sapevi.

Tom                                 -  Che vuol dire, forse?

Herb                                -  È colpa della scuola tenere un individuo come quello. Ma è colpa tua se ti sei scelto gli amici come l'ultimo degli sciocchi.

Tom                                 -  Adesso capisco le mezze frasi dei ragazzi.

Herb                                -  Ti daranno la baia per un po'. Ma tu af­fronterai la cosa da uomo, la spunterai, e imparerai nel futuro a scegliere meglio i tuoi amici.

Tom                                 -  Lo hanno licenziato perché  lo hanno visto con me sulla spiaggia. Ma io ti giuro che niente, as­solutamente niente... Adesso vado dal Preside a dirgli che Harris non ha fatto niente, che...

Herb                                - (fermandolo) Non essere stupido. Avrai fi­lo da torcere per conto tuo, senza bisogno di andare in cerca di guai.

Tom                                 -  Ma papà!

Herb                                -  L'anno prossimo non lo riassumeranno. Tu non puoi dire niente che faccia cambiare la loro de­cisione. Dovrai pensare a te stesso. E per prima cosa tagliati i capelli. (Tom guarda il padre con aria disgu­stata) Credi che sarà piacevole, per me, a casa, tutta questa storia? Si spargerà la voce, e andrò di mezzo anch'io. Dobbiamo cavarcela insieme. Tu farai la tua parte. Tagliati i capelli. Poi... No, per prima cosa devi telefonare a quelli della commedia, e dire che non vuoi più recitare quella Lady come diavolo si chiama.

Tom                                 -  Perché non dovrei fare la parte? È la più bella, mi hanno scelto.

Herb                                -  Abbi un po' di buon senso.

Tom                                 -  Un momento. Vuoi dire... Vuoi dire che tu pensi che io sono... Tu lo pensi, papà?

Herb                                -  T'ho detto di no.

Tom                                 -  Ma i ragazzi penseranno... E la signora Rey­nolds...

Herb                                -  Sì. Devi combattere quello che pensano. Finalmente hai capito. (Tom siede sul letto, sotto il peso della rivelazione. Dall'alto delle scale si affaccia la testa di Ralph).

Ralph                               - (gridando) Ehi,. Grace, chi sarà il tuo ca­valiere sabato sera? Grace! (Scompare).

Herb                                -  Che cos'è?

Tom                                 -  Non lo so.

                                        - (Al grido, Laura si è alzata e si è diretta alla porta per farlo smettere : ma esce di stanza Al, che sale le scale minacciando Ralph. Laura torna a sedersi).

Herb                                - (guardando l'orologio) Beh... vuoi che resti qui? Se non devo rimanere stanotte, devo prendere il treno delle 6.54.

Tom                                 -  Rimanere?

Herb                                -  Sì. Non ho portato niente da cambiarmi, ma se vuoi che resti, io...

Tom                                 -  Perché dovresti restare?

Herb                                - (un po' ferito) Come non detto. Adesso scendi giù dai Reynolds, e telefona a quelli della com­media; così io saprò con certezza che hai cominciato a reagire. E restituisci quei vestito.

Tom                                 -  Lo farò domani.

Herb                                -  Starei più tranquillo se lo facessi stasera. Avanti. Io esco con Bill. Comunque, il Preside ha det­to che se gli scherzi passano il limite... capisci... devi andare da lui, che provvedere. Per ora non intende fare nulla perché  sono cose che si aggiustano da sé. Meglio far finta di ignorare.

                                        - (Sono usciti insieme dalla stanza, ma durante la bat­tuta precedente Herb è tornato indietro a prendere il costume. Tom scende le scale e guarda il telefono nel corridoio).

Herb                                - (Uscendo sulle scale).  Arrivederci, Al. Dà un'occhiata al mio ragazzo. (Scende, si ferma accanto a Tom) Hai bisogno di soldi?

Tom                                 -  No.

Herb                                -  Quest'anno al campeggio ti farò mettere nello stato maggiore, se la faccenda si aggiusta. Sei sicuro di avere soldi abbastanza?

Tom                                 -  Ma sì. Senti, papà, lasciami telefonare da qui. (Alza il ricevitore).

Herb                                -  Perché non dallo studio di Bill? Non dirà niente. Vieni. (Tom depone il ricevitore con riluttan­za). Se hai dei problemi, confidati con Bill... col si­gnor Reynolds. È un mio vecchio amico, ti parlerà come potrei parlarti io. (Entrando nello studio) È pronto Bill?

Laura                               -  Questione di un attimo. Come va il co­stume?

Tom                                 -  Va bene, mi sembra, ma...

Herb                                -  Vorrei che Tom telefonasse... da qui, se non vi disturba... per dire che rinunzia alla parte.

Laura                               -  Rinunzia alla parte?

Herb                                -  Sì. Io... Sono io che gliel'ho chiesto. Lo fa per me.

Laura                               -  Signor Lee, era un grande onore per lui essere stato scelto...

Herb                                -  Bill capirà.

Bill                                  - (mette il costume in mano a Laura ed esce verso l'appartamento). Bill, qual è il numero del professore che dirige la commedia? Tom vuole telefonargli.

                                        - (Laura guarda Tom, che evita lo sguardo. Fa un gesto verso di lui, ma il ragazzo indietreggia di un passo).

Bill                                  - (Fuori scena) Fred Mayberry, 326. Tu sei pronto,   Herb?

Herb                                - (Fuori scena) Sì. Tom può usare il telefo­no, vero?

Bill                                  -  Ma certo.

Herb                                - (Rientra) Quando farai l'escursione in mon­tagna?

Bill                                  - (Rientra) Questo week-end c'è l'ultimo alle­namento.

Herb                                -  Tom potrebbe venire con te.

Bill                                  -  Credo che sia nel Comitato per il ballo di sabato. Naturalmente, se vuol venire è il benvenuto.

Herb                                - (Porgendo il telefono a Tom) Tom, Tom. (Tom esita. Incrociando lo sguardo di Laura, è ten­tato di scappare dalla porta). 326. (Penosamente, Tom traversa la scena, viene a prendere il telefono e siede).

Bill                                  -  Vuoi fare due passi con noi, Laura?

Laura                               -  Non ho voglia di uscire, grazie.

Bill                                  - (Guarda lei, poi Tom).

Herb                                -  Devo sbrigarmi se non voglio perdere il treno.

                                        - (Tom fa il numero).

Bill                                  -  Laura? (Laura scuote la testa. Ha le labbra tirate).

Herb                                -  Allora, arrivederci, Laura. Mi piacete sem­pre.

Laura                               -  Vai dal Preside, Bill?

Bill                                  -  Certo. Tornerò subito dopo cena. Sei si­cura di non voler fare due passi con noi?

                                        - (Laura scuote la testa).

Tom                                 -  È occupato.

Herb                                - (Gli dà una botterella al braccio) Prova an­cora, e ricordati che io e te siamo uniti. Hai bisogno di niente? (Tom fa cenno di no). Ricordati: qualsiasi cosa ti mancasse, fammelo sapere. (A Laura) Ci rive­dremo quando tornerò per il Consiglio degli azionisti. Questa faccenda sarà finita e sepolta. (Esce).

Bill                                  -  Laura, io avrei piacere che tu... Laura!

                                        - (L'atteggiamento di lei lo sconcerta. Capisce che non c'è speranza, ed esce dietro Herb lasciando la porta aperta).

Tom                                 - (Al telefono) Pronto, signor Mayberry... (Guarda alla porta rimasta aperta. Laura la chiude) Qui parla Tom Lee... Sì, lo so che è ora di cena, si­gnor Mayberry... ma volevo farvi sapere... (È difficile) Volevo farvi sapere che non potrò recitare nella com­media. No... Ecco, non posso. (Sta per scoppiare a pian­gere. Laura prende il ricevitore).

Laura                               -  Dai a me. Pronto, Fred... Laura. Sì. Il padre di Tom, ecco, desidera che Tom... dice che il ragazzo è stanco, che gli esami si avvicinano. Hai qual­cun altro per rimpiazzarlo? Sì, certo, è un dispiacere tremendo per Tom. Ci vediamo domani. (Riappende. Tom è umiliato e si vergogna. La donna che ama sa... Forse crede che sia vero... Laura è in piedi dietro di lui, lo guarda con pietà. Tom si alza, va verso la porta senza guardarla. Si sentono le voci di Ralph e Steve che scendono le scale).

Ralph                               - (Scivolando sulla balaustra) Vicino a lui ti ci siedi tu, se ti va. Io no di sicuro.

Steve                               -  Tu no, e perché  io sì?

Ralph                               -  Scommetto che nessuno... (Escono sbatten­do la porta di casa. Tom ha richiuso rapidamente la porta sentendoli ed ora è in ascolto).

Al                                    - (Uscendo dalla sua porta con la giacca sulle spalle) Tom... Tom... (Non ricevendo risposta scende le scale ed esce).

Laura                               -  Tom...

Tom                                 - (Riapre la porta) Scommetterei che mio pa­dre mi crede un... (S'interrompe).

Laura                               -  Smettila, Tom. Pensavo di telefonare a Jean Harrison per invitarla a prendere il tè doma­ni. E voglio che tu la inviti a venire al ballo con te.

Tom                                 - (La guarda angosciato. Pausa) Dovevate ve­nirci voi, con me..

Laura                               -  È vero, ma...

Tom                                 -  Pensate anche voi, come gli altri?... Come mio padre?

Laura                               -  Tom!

Tom                                 -  Per questo volete rifilarmi a Jean?

Laura                               - (Avvicinandosi) Tom, voglio che tu vada con lei per troncare la faccenda.

Tom                                 - (Affrontandola) La faccenda? Quale fac­cenda?

                                        - (La guarda un attimo con indignazione, poi si sca­raventa su per le scale. Ma sente Phil che scende e si trova come un topo in trappola. Fa per scendere ma non vuole affrontare Laura perché  ha le lacrime agli occhi. Così riprende a salire coprendosi il viso con le mani).

Phil                                  - (Incrociandolo) Che diavolo ti prende?

                                        - (Tom non risponde. Sale e s'infila nella sua porta. Phil scuote le spalle, scende ed esce. Tom entra in camera sua, chiude la porta, s'appoggia allo stipite. Laura viene alla porta dello studio rimasta semiaper­ta. Il suo impulso è di salire da Tom a consolarlo, ma si controlla, richiude la porta e si siede. Dalla ca­mera vengono i primi singhiozzi di Tom).

ATTO SECONDO

QUADRO I

                                        - (La stessa scena, due giorni dopo. Al sta parlando al telefono che è sul pianerottolo).

Al                                    -  Sì... (Aspetta pazientemente la fine di una lunga tirata). Sì, papà. Lo so, papà... Non ho fatto an­cora niente... Sì, è vero, il signor Hudson dice che avrebbe una stanza per me nell'altro dormitorio, per il prossimo anno, ma non ho ancora deciso... Sì, papà, senz'altro... Certo che capisco... (Si arrabbia) Giuro che non ho mai... È un anno che vivo con lui... e mai... Va bene. Va bene, papà. No, non richiamare, telefono io più tardi. Sì. Ciao. (Riappende, si infila la mano in tasca, pensieroso. La cosa non gli piace. Ralph entra in casa).

Ralph                               -  Al?

Al                                    -  Sì.

Ralph                               -  I ragazzi del Beta Kappa vogliono sapere a che punto siete.

Al                                    - A che punto di che?

Ralph                               -  Ti ha già fatto delle avances?

Al                                    -  Grida più forte, sai! C'è poco da ridere.

Ralph                               - (Con l'intenzione di scuoterlo) Pochissimo. Quelli della squadra di base-ball non ci ridono af­fatto.

Al                                    - • Che vuoi dire?

Ralph                               -  Sai com'è, all'idea di nominare capitano della squadra il compagno di stanza di un...

Al                                    - (Respingendo l'idea) Fatti i fatti tuoi.

Ralph                               -  Non ci credi? Aspetta e vedrai. Comunque, mia madre dice che devo conservarmi per la ragazza che sposerò. Ti piacerebbe dover dire a tua moglie: « Tesoro, mi sono conservato tutto per te, tranne quel­la notte... “ (Al gli dà una amichevole scarica di pu­gni). Va bene, se non vuoi diventare capitano della squadra di base-ball, a me che me ne importa?

Al                                    -  Perché non badi agli affari tuoi?

Ralph                               -  Bel divertimento!

Al                                    -  Ralph, Tom è un ragazzo simpatico.

Ralhp                               -  Appunto. Per questo gli altri ragazzi esco­no dalla palestra quando entra lui.

Al                                    -  Quando è successo?

Ralhp                               -  Ieri. Oggi. Insisti, battici la testa. Defi­ciente! (Sale le scale. Al è sconcertato. Sale qualche gradino, pesta la balaustra, poi ridiscende e batte alla porta dello studio. Laura viene dall'appartamento, tra­versa la scena, apre la porta).

Laura                               -  Buon giorno, Al.

Al                                    -  C'è il signor Reynolds?

Laura                               -  No. Posso fare qualcosa per te?

Al                                    -  Farò un salto giù quando torna.

Laura                               -  Lo aspetto soltanto dopo cena.

Al                                    -  Allora... Insomma, potete dirglielo voi, così lui prenderà le sue decisioni. Non resterò qui l'anno prossimo. È l'ultimo giorno utile per comunicare i cambiamenti, e voglio che lo sappia.

Laura                               - (Cerca le sigarette) Capisco. È una cosa che gli farà dispiacere.

Al                                    -  Andrò a stare qui accanto, dal signor Hudson.

Laura                               -  Vi trasferite insieme, tu e Tom?

Al                                    -  No.

Laura                               -  Ah.

Al                                    -  Solo io.

Laura                               -  E Tom lo sa?

 Al                                   -  Non gliel'ho detto ancora.

Laura                               -  Dovresti dirglielo, non credi?

Al                                    -  Sì.

Laura                               -  Vieni avanti, Al. siediti. (Al esita, poi en­tra e si siede) Una sigaretta?

Al                                    - (Automaticamente sta per prenderla, poi si trattiene) No,  grazie.  Sono  in  allenamento.

Laura                               -  È giusto. Verrò a vederti giocare, sabato pomeriggio. (Al le sorride). Non ti sorride l'idea di dirlo a Tom, vero? (Al fa cenno di no con la testa) Credo di capire perché  non abiterai con lui l'anno prossimo. (AI si stringe nelle spalle). Mi chiedo se tu sai che cosa ha significato per lui vivere insieme a te quest'anno. Gli ha fatto molto bene. Gli ha dato fi­ducia in se stesso, il fatto di avere per compagno di stanza uno degli assi del collegio.

Al                                    - (Imbarazzato) Beh...

Laura                               -  Tu non puoi capire l'importanza di avere uno come te come amico. Tu sei forte.

Al                                    - (Scoppiando) È la terza volta che mio padre mi telefona. Non so come abbia fatto a scoprire di Harris e di Tom, però lo ha scoperto. E qualcuno si è fatto premura di chiedergli : « Non è quel ragazzo che di­vide la stanza con vostro figlio? ». Insomma, vuole che io cambi.

Laura                               -  Che cosa hai detto a tuo padre?

Al                                    -  Gli ho detto che Tom non è un mostro, e che... È meglio che io parli col signor Reynolds.

Laura                               -  Al, tu hai vissuto con Tom e lo conosci meglio di chiunque altro. Se fai questo, sarà finita per lui nella nostra scuola, e forse anche altrove.

Al                                    - (Quasi sussurrando) Vedete, signora, Tom è un po' zia. È...

Laura                               -  Che vuol dire, zia?

Al                                    -  Insomma, cammina penzoloni, non so se mi spiego. Si muove in un certo modo... Parla sempre di certe cose... Musica e concerti...

Laura                               -  Vuole fare il cantante, è logico che ne parli.

Al                                    -  A ballare, mai che abbia portato una ragazza.

Laura                               -  Al, sono tutte cose che si possono spiegare in tanti modi. Sono argomenti sciocchi... tendenziosi... Sono pregiudizi. Fatti, zero.

Al                                    -  È meglio che parli col signor Reynolds.

Laura                               -  Al, guardami. (Lo fissa negli occhi a lun­go, non sapendo neanche lei se vuole parlargli dav­vero).

Al                                    -  E allora?

Laura                               - (Decidendosi) Al, e se io cominciassi do­mani a mettere in giro la voce che tu sei... zia, come dite voi?

Al                                    -  Nessuno ci crederebbe.

Laura                               -  Perché no?

Al                                    -  Beh, perché ...

Laura                               -  Perché sei grande e grosso e abbronzato. Perché sei un atleta... Perché dicono di te che sei un asso, uno in gamba.

Al                                    -  Ecco, sì.

Laura                               -  Hai molto da imparare, Al. Io ho vissuto più di te, e ho conosciuto uomini... proprio come te, la stessa corporatura... che non erano uomini. Alcuni sposati, con figli.

Al                                    -  Non mi farete mica una cosa simile.

Laura                               -  No, Al, probabilmente non lo farò. Ma po­trei, potrei benissimo. E avrei una gran voglia di farti vedere come è facile calunniare una persona. E quando tutti si fossero convinti, saresti sorpreso nel vedere come tutte le tue virtù sarebbero scambiate per atteg­giamenti sospetti.

                                        - (Al è in piedi, con una mano su un fianco, Laura lo guarda con intenzione, Al lascia cadere la mano, poi la nasconde dietro la schiena).

Al                                    -  Signora, ho buone speranze di essere nomi­nato capitano della squadra di base-ball.

Laura                               -  Lo so, e non ho diritto di chiederti di ri­nunziare. Ma vorrei che in qualche modo tu trovassi il sistema di non far del male a Tom.

                                        - (Tom entra in casa e sale le scale. È avvilito, nervo­so. Lo vediamo entrare in camera sua, chiudere la porta, sedersi sul letto).

Al                                    -  Io-

Laura                               -  È Tom che torna. (Al la guarda, non comprendendo come fa a saperlo) Vi conosco tutti dalla camminata. Viene per il tè. (Al si dirige alla porta). Allora? (Al fa un gesto di sconforto) Vuoi sempre che dica al signor Reynolds della tua intenzione di andar­tene?

Al                                    - (Dopo una pausa) No.

Laura                               -  Sta bene.

Al                                    -  Glielo dirò io quando lo vedo.

Laura                               -  Ah.

Al                                    -  Che altro posso fare?

Laura                               -  Non lo so.

Al                                    -  Scusate se ve lo dico, ma è facile per voi parlare così. Siete una spettatrice. Voi non siete coin­volta.  Non  ci  andrete  di  mezzo.   Chiedo  scusa.

Laura                               -  È una critica giusta, Al. Mi dispiace di avertelo chiesto. Come hai detto tu, io non sono coin­volta.

Al                                    -  Sono spiacente. Voi siete così buona. Sol­tanto che io... (S'imbroglia e apre la porta) Sono spia­cente...

Laura                               -  Anch'io, Al.

                                        - (Gli sorride, Al resta un momento sul pianerottolo incerto sul da farsi, poi sale le scale ed entra in camera sua. Laura rimane in scena per qualche tempo, pen­sando alle parole di Al, poi esce verso l'appartamento).

Al                                    - (dalla sitting-room) Tom? Tom? (Apre la porta). Ciao.

Tom                                 -  Stavo dormendo.

Al                                    -  In piedi? (Tom distoglie lo sguardo) Vuoi re­stare solo?

Tom                                 -  No. Se vuoi guardar fuori, la finestra è lì.

Al                                    -  Non voglio guardare. (Non sa da dove comin­ciare; sorride impacciato). Che bella cravatta che hai.

Tom                                 -  Sì, è tua. La vuoi indietro? (Comincia a di­sfare il nodo).

Al                                    -  No, perché ? Io porto una cravatta per volta. (pausa)  Io...  Io...

Tom                                 -  Non ho bisogno di chiederti che cosa c'è.

Al                                    -  È stata brutta, oggi, vero?

Tom                                 -  Sì. (Si è chiuso in se stesso, finora, ma è il suo amico più intimo che lo invita a confidarsi) Santo cielo. (Al non sa cosa dire. Va al comò di Tom, prende una spazzola, si spazzola i capelli) Qualcuno ti ha detto?

Al                                    -  Sì.

Tom                                 -  Che  dicono?

Al                                    - (Allargandosi la cravatta) Non lo so.

Tom                                 -  Sono stato alla riunione del Comitato per il ballo. Non faccio più parte del Comitato. Dice che siccome ho restituito la parte della commedia, ho di­mostrato di non avere quello spirito, ecc. Questa è la ragione, dicono loro.

Al                                    - (Con forza) Perché diavolo non fai qualcosa?

Tom                                 -  A che proposito?

Al                                    -  Per quello che vanno dicendo.

Tom                                 -  Che potrei fare?

Al                                    -  Perbacco, potresti... Non so neanch'io.

Tom                                 -  Ho cercato di far finta di niente. Come si fa? Quando sono andato in palestra, oggi, dopo la par­tita di tennis, tutti quelli che c'erano hanno preso un asciugamano e se ne sono andati.

Al                                    -  Idioti. Un branco di idioti bastardi. (Lascia la stanza).

Tom                                 - (Seguendolo nella sitting-room) Accidenti! La mia disperazione, poi... come spiegarti... mi è venu­to il complesso per cose che faccio normalmente da anni : vestirmi, spogliarmi... Tengo gli occhi bassi... (Ritorna nella sua stanza) Se guardo gli altri, ho paura che dicano qualcosa... Oh, non so, non so.

                                        - (Nel frattempo Al aveva cominciato a sbottonarsi la camicia. Ora s'interrompe).

Al                                    -  Ma che cosa combino? Ho già fatto la doccia, oggi (cerca di ridere).

Tom                                 -  Va in camera tua a spogliarti. Non vorrai che si mettano a dirlo anche di te?

Al                                    - (Con fermezza) No. Non voglio.

Tom                                 - (Ha capito) Certo. (Guarda Al a lungo, e quasi non osa dirlo) Pensi... pensi di cambiare stanza?

Al                                    - (Senza rispondergli) Te la prendi se cerco di aiutarti?

Tom                                 -  E come?

 44

 Al                                   -  So che ci sformi, so che sembrano scemenze. Ma non lo sono. Tutto sta, le cose, con che occhi si guardano. Aiutati che il ciel t'aiuta. Pensa a come ti muovi; a come sei combinato.

Tom                                 -  Tagliarmi i capelli?

Al                                    -  Per cominciare.

Tom                                 -  Ma perché  uno coi capelli a zero dovrebbe sembrare più maschio...

Al                                    -  Non lo so, ma è un fatto.

Tom                                 - (Guardandosi nello specchio) Ho provato un paio di volte a raparmi. Non ho capelli adatti, o forse è la testa. (Dopo una pausa) Grazie lo stesso per il consiglio.

Al                                    - (Trova una palla di base-ball sul termosifo­ne, e la tira a Tom, che sorride e gliela ritira) Il tuo modo di camminare...

Tom                                 -  Santo cielo!

Al                                    -  Io cerco di aiutarti.

Tom                                 -  Fino a sabato scorso, non veniva in mente a nessuno  di guardare  come camminavo.

Al                                    -  Va bene. Va bene. Come non detto.

                                        - (Esce. Dopo un attimo, Tom lo segue nella sitting-room).

Tom                                 -  Al?

Al                                    - (Fuori  di scena) Dì.

Tom                                 -  Come cammino?

Al                                    - (Nella sitting-room) Fa vedere,, avanti.

Tom                                 - (Ritorna nella sua stanza, seguito da Al che lo guarda e si strofina la faccia con un asciugamano). Non sarò mai più capace di camminare. Tutto quello che faccio da che sono nato, adesso mi fa sembrare una femmina.

Al                                    -  Insisti.

Tom                                 -  Ecco, sto camminando. Spiegami.

Al                                    -  Non lo so, Tom. Hai il passo felpato.

Tom                                 -  Felpato? (si osserva).

Al                                    -  Felpato.

Tom                                 -  Fammi vedere.

Al.                                   -  Non sono capace.

Tom                                 -  Va bene, cammina come sai. Fammi vedere. Non ho mai fatto caso a coinè cammini. (Al, in piedi, scopre quanto è difficile camminare pensandoci so­pra. Finalmente cammina) Riprovaci.

Al                                    -  Se so che lo dici a qualcuno...

Tom                                 -  Mi ci vedi? (Al riprende a camminare) Tu sì, che sai camminare. Aspetta, ci provo. (Cerca, ma non riesce a muovere neanche un passo) Credi che risolverebbe?

Al                                    -  Che ne so?

Tom                                 -  A questo punto, no. Grazie lo stesso.

Al                                    - (Siede sul letto accanto a lui, gli passa il braccio sulle spalle, e fa mente locale). Senti un po', Tom... chissà quante volte avrai sentito parlare gli altri ragazzi... quando ci si sbronza... avrai sentito rac­contare di Boston, di quando si fermano lì, in viaggio per casa, e rimediano qualche ragazza... capisci?

Tom                                 -  Sì. Che c'entra?

Al                                    -  Ci vieni alla festa, sabato sera?

Tom                                 -  No. Non mi sento.

Al                                    -  Hai presente Ellie Martin? La ragazza che serve ai tavoli, giù al baretto?

Tom                                 -  Sì, e allora?

Al                                    -  Hai sentito come ne parlano i ragazzi?

Tom                                 -  Va avanti.

Al                                    -  Perché non vai da lei, sabato sera?

Tom                                 -  A che fare?

Al                                    -  Hai bisogno di un piano dettagliato?

Tom                                 - (Disgustato) Ellie Martin?

Al                                    -  Sì, lo so, è una, ma...

Tom                                 -  Se mi pescano mi cacciano da scuola. Bel vantaggio.

Al                                    -  Non hanno mai pescato nessuno. Domenica mattina si diffonde la voce... tutti lo sanno... a parte il Preside... i compagni, voglio dire: Ellie chiacchiera tanto. Figliolo, saresti in una botte di ferro!

Tom                                 -  Stai  scherzando?

Al                                    -  No.

Tom                                 - (Disgustato) Ellie Martin!

Al                                    - (Dopo una pausa) Giacché ci siamo, tanto vale dirti tutto. Sei mai stato con una donna?

Tom                                 -  Tu che ne pensi?

 Al                                   -  Che non ci sei mai stato.

Tom                                 -  E con questo?

Al                                    -  Vuoi saperne una? Neanch'io. Ma se lo dici agli altri ti faccio la pelle.

Tom                                 -  Così, tutte le storie che racconti...

Al                                    -  Mi pentirò di avertelo detto.

Tom                                 -  Allora perché  non ci vai tu, da Ellie Martin, sabato  sera?

Al                                    -  E che bisogno ne ho, io?

Tom                                 -  Vuoi dire che non devi dimostrare niente.

Al                                    -  Come non detto, va là. Forse è un'idea ba­lorda. (Si alza).

Tom                                 -  Credo anch'io.

Al                                    - (Dopo una pausa) Quanto al prossimo... (si interrompe).

Tom                                 -  Il prossimo anno? Continua.

Al                                    -  Il signor Hudson mi ha proposto di passare in casa sua. Gli si libera una singola. Tanti ragazzi della squadra abitano lì... e allora... (non guarda Tom).

Tom                                 -  Certo, certo... Capisco.

Al                                    -  Scusami se te lo dico tardi, ma non lo sa­pevo. La stanza...

Tom                                 -  Ti ho detto che capisco!

                                        - (Al solleva la testa. Si vergogna, ma è fatta, e si è tolto un peso dal petto).

Al                                    -  Ci vediamo. (Si avvia per uscire).

Tom                                 -  Al... (Al si volta. Tom si toglie la cravatta). Prendi.

Al                                    - (Imbarazzato) Puoi tenerla.

Tom                                 -  È roba tua.

                                        - (Al guarda la cravatta, poi se ne va senza prenderla. Tom la scaraventa sul comò. Guarda dalla fine­stra. Mette un disco. Appare Bill nel corridoio, con un paio di scarpe a tracolla e un libro in tasca. Nell'aprire la porta del suo studio, sente la musica e si arresta un attimo, pensando alla sua adolescenza in­felice. Poi entra e chiude la porta).

Bill                                  -  Laura. (Butta per terra le scarpe).

Laura                               - (Fuori scena) Bill?

Bill                                  -  Ciao...

Laura                               - (entra con le cose del tè) Non pensavo che tornassi tra una lezione l'altra. Ti do il tè.

Bill                                  -  Ho battuto il ragazzo Sterling a pallavolo.

Laura                               -  Bravo.

Bill                                  -  Finalmente. Ce n'è voluto, sai. Cercava la rivincita del sei meno che gli ho dato all'ultima in­terrogazione. (Le dà il libro) Tu volevi questo... li­bro di poesie.

                                        - (Laura lo guarda, e subito il suo occhio corre al­l'altra copia dello stesso libro che è su una poltrona).

Laura                               -  Sì.  Come facevi a saperlo?

Bill                                  - (Cercando di essere disinvolto) L'avviso del libraio.

Laura                               -  Sei stato molto caro.

                                        - (Va da lui per baciarlo. Ma Bill, togliendo la carta da involgere dalla poltrona, scopre l'altra copia).

Bill                                  - (Risentito) Lo avevi già...

Laura                               -  Beh, sì... Io... vedi, io... (Bill lo prende e lo apre) Il fatto è che me lo hanno regalato. (Bill leg­ge la dedica) Tom sapeva che lo cercavo, e...

Bill                                  - (La guarda. Il suo viso assume un'espres­sione terribile. Strappa in due il libro, con un gesto lento, e lo butta nel camino) All'inferno!

Laura                               -  Bill! (Bill siede sullo sgabello e comincia a cambiarsi le scarpe). Che importa, se me l'ha rega­lato? Sapeva anche lui che lo volevo.

Bill                                  -  Non è questo. È che ogni qual volta cerco di fare qualcosa...

Laura                               -  Non dire così, Bill. Non è vero.

Bill                                  -  È vero.

Laura                               -  Quella del libro è una sciocchezza.

Bill                                  -  A me non pare.

                                        - (Laura s'inginocchia a fianco di Bill).

Laura                               -  Bill, mi fa molto piacere che tu te ne sia ricordato. Grazie. (Bill continua a cambiarsi le scar­pe) Non evitarmi, Bill. Desidero ringraziarti. (Poiché lui non risponde, si alza) È tanto sacrificio, per te, sentirti dire grazie? (Gli posa le mani sulle spalle, cerca di baciarlo) Oh, Bill, ci tocchiamo così di rado, ormai. Mi sembra di star perdendo ogni contatto con te. Tu non hai la stessa sensazione?

 49

 

Bill                                  - (Guardando l'orologio) Laura, devo...

Laura                               - (Si scosta) Devi andare, lo so. Ma è proprio vero : non ci tocchiamo più. È strano, detto così, ma tu sei pieno di riserve, ti estranei da me. Sembra che fra noi due si accumuli come una tensione... e poi, quando... quando succede... è una cosa violenta, quasi forzata... (Questa acuta analisi mette a disagio Bill. Laura gli passa le braccia intorno al collo, e curva su di lui lo bacia). Non è vero? Non senti che ti tieni lontano da me finché non diventa irresistibile? Non stiamo più insieme, non ci sono più quei momenti di pace, tenendoci per mano, quel senso di unione, come in Italia. Adesso, lunghe separazioni, e poi quegli in­contri brutali... Sì che lo sai, Bill, sì che lo sai.

                                        - (Bill reagisce di scatto, s'irrigidisce, la guarda. Lau­ra, respinta, lentamente scioglie le braccia).

Bill                                  -  Di che stai parlando? (Si alza e va alla sua scrivania) Non si può vivere sempre in luna di miele. (Tom chiude il grammofono, esce e scompare su per le scale).

Laura                               -  Ti sembra una risposta?

Bill                                  -  Non capisco perché  hai scelto questo mo­mento...

Laura                               -  Non lo capisco neanch'io. Volevo solo rin­graziarti per il libro... (Si muove, apre il libro) Che dedica mi hai fatto?

Bill                                  - (Correggendo compiti) Nessuna. Avrei do­vuto fartela?

Laura                               -  Non vuoi un po' di tè?

Bill                                  -  No.

Laura                               - (Cercando altri argomenti) Viene a pren­dere il te la piccola Jean Harrison?

Bill                                  -  No, non viene. (Laura lo guarda stupita). Ho incontrato suo padre al campo. È stata una mossa poco opportuna  da  parte  tua.

Laura                               -  Tom potrebbe portarla a ballare sabato sera. Lui è nel Comitato, e non ha ragazza.

Bill                                  -  Non è più nel Comitato, a quanto mi di­cono. Tu sei l'ospite d'onore, vero?

Laura                               -  Sì.

Bill                                  -  Io ho l'allenamento in montagna. Se non piove.

Laura                               - (Nasconde il volto fra le mani. Poi si ri­prende).  Speriamo  di no. Bill?

Bill                                  -  Sì.

Laura                               -  Qualcuno dovrebbe fare rapporto al Pre­side, per come perseguitano Tom.

Bill                                  -  Che può farci, lui? Salire il pulpito e procla­mare : « Proibito scherzare su Tom. Proibito chia­marlo  Grace ».

Laura                               -  Ma no.

Bill                                  -  Già quest'altr'anno perderemo Al; per colpa di Tom.

Laura                               -  Lo sai?

Bill                                  -  Hudson mi ha detto che va a stare da lui. Sarà nominato capitano della squadra di base-ball. L'ultima volta che ho avuto da me un capitano, è stato otto anni fa.

Laura                               -  Purtroppo.

Bill                                  -  Comunque, perderemo anche Tom.

Laura                               -  Perché?

Bill                                  - (Notando l'interesse di lei) Non ci sono stanze singole, qui, e lui resterà solo.

Laura                               -  Mi dispiace molto.

Bill                                  -  Ne sono convinto.

Laura                               -  Perché ti urta il mio interessamento per Tom?

Bill                                  -  Non mi urta.

Laura                               -  Sembri perfino geloso.

Bill                                  -  Ma via.

Laura                               -  Come spieghi, altrimenti, il tuo... il tuo atteggiamento vendicativo verso di lui?

Bill                                  -  Non ricominciamo. Geloso! (Ha radunato le carte, si avvia) Andrò direttamente alla mensa, dopo la lezione. D'accordo?

Laura                               -  D'accordo.

Bill                                  -  E per favore, Laura, per favore... (s'inter­rompe).

Laura                               -  Cercherò.

Bill                                  -  So che ti va di essere diversa, per il gusto di esserlo... e mi piaci così... Ma questa volta, lascia andare. Trova altri modi per mostrare il tuo spirito d'indipendenza.

Laura                               -  Modi che non ci danneggino?

Bill                                  -  Ben detto. Così è chiaro. E, Laura...

Laura                               -  Dimmi.

Bill                                  -  Vedere Tom così spesso... averlo sempre qui per il tè...

Laura                               -  Avanti.

Bill                                  -  Dovresti farlo venire insieme agli altri... per il suo bene. Parlo seriamente. Ci vediamo alla men­sa. Cerca di essere puntuale. (Esce. Laura si prende il viso tra le mani e singhiozza. Bill, nel corridoio, chiama Al che è uscito di stanza e sta scendendo le scale) Vai a lezione, Al?

Al                                    -  'Giorno signor Reynolds.

Bill                                  - (Avviandosi con lui) Facciamo due passi in­sieme. Così, ci lasci, quest'altr'anno... (Escono).

                                        - (Tom ha sceso le scale ed è nel corridoio. Dopo lun­ga esitazione, infila la moneta nel telefono e forma il numero).

Tom                                 -  Pronto. Vorrei parlare con Ellie Martin. (Laura che stava recuperando dal camino il libro rot­to da Bill, sente la voce di Tom e non può fare a meno di ascoltare, immobile e intenta). Ellie? Ciao, sono Tom Lee. Tom Lee. Vengo sempre al baretto con Al, il mio compagno... Sì, qualche volta mi chiamano così... Adesso te lo dico. Sabato sera io non vado alla festa, e mi chiedevo se tu hai già qualche impegno. È un invito un po' brusco, lo so... Ti verrei a prendere sa­bato, quando finisci il lavoro... Perché ti meravigli tanto? Voglio stare un po' con te, ecco... A che ora sei libera?... Alle nove, d'accordo...

                                        - (Laura ha sentito. Esce verso l'appartamento. Tom sta per riappendere il ricevitore).  Grazie.

                                        - (Resta fermo a riflettere. Indossa la giacca che ave­va sul braccio, va alla porta dei Reynolds e bussa. Dopo un attimo apre ed entra. Laura torna col piatto dei pasticcini).

Laura                               -  Ah, sei qui. Oggi amaretti.

Tom                                 -  Signora Reynolds, vi dispiace se non resto per il tè?

Laura                               -  Se non vuoi... Come va? (È una domanda seria).

Tom                                 -  Bene. Ma non ho voglia di prendere il tè.

Laura                               -  Fa lo stesso. Tanto, neanche Jean può ve­nire, oggi.

Tom                                 -  Me l'aspettavo. È una ragazzina.

Laura                               -  Ha il dentista, o simili.

Tom                                 -  Comunque, era inutile. Non vado più alla festa.

Laura                               -  No?

Tom                                 -  Verrà a prendervi un altro membro del Co­mitato.

Laura                               -  E tu che farai?

Tom                                 -  Non ho ancora deciso. Ma so badare a me stesso.

Laura                               -  Se tu non ci vai, mi ritengo libera. Non ci vado neanch'io.

Tom                                 -  Solo perché  io?...

Laura                               - (Cercando di non farlo andare con Ellie) Sai che ti dico? Visto che non ci andiamo nessuno dei due, sabato sera dopo cena tu vieni qui; ascolteremo i dischi, giuocheremo  a carte, oppure  chiacchiereremo.

Tom                                 -  Farete... farete meglio a non contare su di me.

Laura                               -  Mi farebbe piacere.

Tom                                 -  Non vorrei essere sgarbato, ma ho già preso un appuntamento.

Laura                               -  Ah sì?

Tom                                 -  Vorrei stare con voi. Cercate di capire. Mi piacerebbe tanto, ma...

Laura                               -  Facciamo così : io non uscirò. Se tu dovessi ripensarci, sai dove trovarmi. (Gli tende la mano). Spero che le tue cose vadano meglio.

Tom                                 - (Esita, poi le stringe la mano). Grazie.

Laura                               -  Forse cambierai idea, per sabato.

-(Tom la guarda, sa che non potrà cambiare idea. Esce correndo. Laura è sulla soglia. La luce dissolve).

QUADRO II

Le 20,45 di sabato sera. Il campanile suona le ore mentre si alza il sipario. Nello studio, il fuoco è acce­so. La porta dello studio è semiaperta; Laura in pol­trona, sorseggia il caffè aspettando Tom. Indossa un vestito elegante, ma semplice, con un fiore. Nella sua stanza, anche Tom ascolta suonare le ore. Ha appena finito di radersi, si sta dando la lozione. Si prepara, ma senza gioia; la sua espressione è tesa e preoccu­pata. Esce portando con sé la cintura.

Nel corridoio appare Lilly, che bussa alla porta del­lo studio.

Lilly                                 -  Laura? (entra).

Laura                               -  Oh, Lilly.

                                        - (Lilly è sulla soglia. Ha l'impermeabile, e un ve­stito da mezza sera, molto elegante).

Lilly                                 -  Ma non sei ancora pronta! Non ti vesti per il ballo?

Laura                               - (Sempre seduta) Non vengo. Credevo di avertelo detto.

Lilly                                 - (Si toglie l'impermeabile, e va subito a guar­darsi allo specchio) Si può sapere perché ? Anche se Bill è via con quei suoi noiosissimi scalatori...

Laura                               -  Vedi...

Lilly                                 - - Vieni con noi, sbrigati. Pioviggina, ma c'è sotto Harry con la macchina.

Laura                               -  No, grazie.

Lilly                                 -  Se vieni, Harry ballerà con te tutta "la se­ra. Ti prometto che non farai da tappezzeria. (Laura fa cenno di no con la testa). Sei l'unica che sa ballare con lui tutti quei passi strani.

Laura                               -  Gentile da parte tua, ma no.

Lilly                                 - (allo specchio) Sono troppo nuda?

Laura                               -  Sei bellissima.

Lilly                                 -  Harry dice che questa scollatura farà im­pazzire i ragazzi.

Laura                               -  Non  credo.

Lilly                                 -  Sei generosa.

Laura                               -  Voglio dire, si emozioneranno, ma impaz­zire proprio...

Lilly                                 -  Dopo tutto, voglio compensarli in qualche modo per il ballo di prammatica che dovranno fare con me.

Laura                               -  Quando ballano con te, non è per pram­matica. Ti ho osservato.

Lilly                                 -  E' il mio modo di fare. Mi interesso tanto dei loro studi, e da dove vengono, e dove hanno im­parato  a ballare così divinamente.

Laura                               - (ridendo) Lilly, sèi sprecata in un colle­gio. Eri fatta per ambienti più brillanti.

Lilly                                 -  Non cambierei con nessun altro posto. Do­v'è che una donna può concedersi trecento flirt inno­centi all'anno?

Laura                               -  E che cosa faresti, se uno dei trecento volesse arrivare un po' più in là?

Lilly                                 -  Lo metterei a posto con due ceffoni. (Ri­de) Harry dice che se non sto attenta mi riduco come Ellie Martin. La conosci?

Laura                               -  L'ho vista oggi pomeriggio per la prima volta. Sono andata dove lavora. Al baretto.

Lilly                                 -  Tu!

Laura                               -  Sì. Cercavo delle... sigarette. (Con tristez­za) Non è neanche fresca, vero? (Lilly, allo specchio, si volta).

Lilly                                 -  Ma non fare quella faccia. Che t'importa se è fresca o no?

Laura                               -  Non so. Sono ancora dei ragazzi...

Lilly                                 -  Se sono tanto stupidi da finire in braccio a lei, si meritano le cose peggiori. Dà retta: fanno un gran parlare di Ellie, ma concludono poco. Non farte­ne un problema.

Laura                               - (Aggiusta davanti al camino la poltrona per Tom. Vede Lilly che si pavoneggia) Sei in forma.

Lilly                                 -  Forse dovrei mettermi il corsage che mi ha mandato il Comitato. Potrei metterlo qui. (Alla cintura). È in macchina; Harry dice che gli ricorda le corone che si mettono sul monumento ai caduti. (In­dica il fiore di Laura). Questo è fine. Chi te l'ha dato?

Laura                               -  Me lo sono comprato da me.

 Lilly                                -  Incredibile.

Laura                               -  E' il mio fiore preferito. L'ho visto nella vetrina del fioraio.

Lilly                                 - (D'improvviso) E Harry che mi sta aspet­tando! Dovrò rifargli la cravatta a fiocco. (Si avvia) Sarai ancora alzata quando torneremo?

Laura                               -  Credo di no. (L'aiuta a indossare l'imper­meabile).

Lilly                                 -  Se vedo la luce accesa, salgo a dirti quan­ti schiaffi avrò dovuto distribuire... Notte notte... (Lil­ly esce. Laura aspetta il rumore della porta esterna, poi accosta la porta dello studio, e si appoggia al ca­minetto, ascoltando. Tom è tornato in camera sua, vestito di blu. Beve un sorso di whisky da una botti­glia nascosta sotto il cuscino).

Tom                                 - (nascondendo la bottiglia) Non ce la farò. Non ce la farò. (Prende l'impermeabile, spegne la lu­ce, esce. Scende le scale, e cerca di non far rumore passando davanti alla porta di Laura. Laura lo sente, posa la tazza e va alla porta).

Laura                               -  Tom? (Apre la porta) Ti stavo aspettan­do.

Tom                                 -  Io... Io-

Laura                               -  Vai al ballo?

Tom                                 -  No. Potete farmi rapporto : esco dopo le no­ve. (La guarda) Potreste anche darmi il permesso di uscire.

Laura                               -  Ti darò invece una tazza di caffè.

Tom                                 - (seguendola nella stanza, truculento) Pote­te anche riferire che ho bevuto. E ci sarà ben altro... (S'interrompe) Non ho bevuto molto, ma non ho man­giato niente.

Laura                               -  Ti preparo un boccone?

Tom                                 -  No. Non posso restare.

Laura                               -  Comunque, grazie per essere passato a dirmelo. Ci contavo.

Tom                                 - (strofinandosi la guancia sulla spalla) Quan­do mi avete invitato, vi dissi che non sapevo...

Laura                               -  E' vero. (Lo guarda tutto ben vestito co­me se andasse incontro all'amore, invece che a Ellie Martin. L'innocenza e la disperazione di Tom la com­muovono profondamente) Brutto tempo, no?

Tom                                 -  Sì.

Laura                               -  Meno male che ho rinunziato al ballo. (Chiude la porta. Tom sente il rumore, si volta e vede la porta chiusa) Si sta bene qui, accanto al fuoco.

Tom                                 -  Non volevo venire qui.

Laura                               -  Allora perché  il fiore... e il biglietto « Con l'augurio di una piacevole serata »?...

Tom                                 -  Era per il ballo, ho dimenticato di disdirlo.

Laura                               -  Meglio per me.

Tom                                 -  Perché?

Laura                               - (muovendosi) Per prima cosa, mi piaccio­no i fiori. Poi... (Tom scuote la testa per schiarirsi le idee) Ti faccio dell'altro, caffè.

Tom                                 -  No. Sto quasi bene.

Laura                               -  Bevi il mio, ne ho preso appena un sorso. Puoi bere dall'altra parte della tazza.

Tom                                 - (prende la tazza, guarda il bordo dove c'è l'im­pronta del rossetto, poi la gira lentamente e beve dall’altra parte) E  poi?

Laura                               -  Che cosa?

Tom                                 -  Per prima cosa vi piacciono i fiori...

Laura                               -  E poi è il mio anniversario.

Tom                                 -  Anniversario?

Laura                               -  Sì.

Tom                                 - (agitando la tazza ed il piattino) E vostro marito se ne va in cima alle montagne, con venti cre­tini bagnati fradici... Si è dimenticato?

Laura                               - (recupera la tazza) Non è il nostro anni­versario. Dammi l'impermeabile.

Tom                                 -  Non posso...

Laura                               -  Lo so, non puoi rimanere. (Viene dietro di lui, gli mette e mani sulle spalle, e gentilmente gli toglie  l'impermeabile)  Come sei elegante.

Tom                                 -  Con l'abito blu sembro un ginnasiale.

Laura                               -  Come  sapevi  che mi piace  questo fiore?

Tom                                 -  Lo avete detto voi.

Laura                               -  Sei molto attento a queste cose. Anche lui lo era.

Tom                                 - (la sua curiosità si è risvegliata) Lui?

 51

 

Laura                               -  Il mio primo marito. E' l'anniversario.

Tom                                 -  Non sapevo.

Laura                               - (siede) Al signor Reynolds non piace che io parli del mio primo marito. Aveva la tua età, pres­so a poco. Quanti anni hai, Tom?

Tom                                 -  Diciotto  domani.

Laura                               -  Domani...  Bisogna  festeggiare.

Tom                                 -  Meglio no.

Laura                               -  Aveva proprio la tua età, quindi. (Lo guarda quasi con meraviglia). Sembra impossibile, adesso,  guardandoti...

Tom                                 -  Perché,  sono  tanto bambino?

Laura                               -  No.

Tom                                 -  Gli uomini si sposano alla mia età.

Laura                               -  Lui, per esempio. Aveva forse qualche me­se di più. Un ragazzo così solo, lontano dai suoi per la prima volta... e sul punto di andare in guerra. (Tom la interroga con gli occhi). Sì, è stato ucciso.

Tom                                 -  Mi dispiace... Eppure sono contento.

Laura                               -  Contento?

Tom                                 -  Sì. Non so... Era così l'uomo che dovevate sposare, non...         - (s'interrompe) Scusate.

Laura                               -  Morì compiendo un atto di valore. Do­vette esporsi, capisci, perché  durante l'addestramento era successo qualcosa... Non so precisamente... E lui temeva che gli altri lo considerassero un vigliacco... Mostrò che non lo era.

Tom                                 -  Si è preso la rivincita.

Laura                               -  Valeva la pena di farsi uccidere?

Tom                                 -  Non lo so, ma posso capire.

Laura                               -  Certo che puoi. Sei come lui.

Tom                                 -  Io?

Laura                               - (offrendogli di nuovo la tazza) Prima che io la finisca. (Tom beve un sorso dalla sua parte della tazza). Era dolce, generoso, e solo. (Tom è imbarazza­to) Sapevamo che non poteva durare. Lo sentivamo. Ma lui diceva sempre : « Perché dev'essere la durata, il banco di prova di ogni cosa? »

Tom                                 -  Peccato che sia stato ucciso.

Laura                               -  E in che modo : cercando di mostrare quanto era coraggioso. Per provare che era un uomo, è morto da ragazzo.

Tom                                 -  Eppure deve essere morto felice.

Laura                               -  Perché mostrò il suo coraggio?

Tom                                 -  Per questo... e perché  era vostro marito. (Prende l'impermeabile che Laura teneva in grembo). Devo andare.

Laura                               -  Tom, ti prego.

Tom                                 -  Devo.

Laura                               -  Un appuntamento importante?

Tom                                 -  Molto.

Laura                               -  Se te ne vai così, mi fai pensare di averti annoiato, parlando sempre di me.

Tom                                 -  Oh no.

Laura                               -  Forse non avrei dovuto. E' stato l'insie­me: una sera di pioggia... la primavera... il fuoco-Credo di essere in vena di ricordi. Non ti è mai suc­cesso, in qualche sera come questa?

Tom                                 -  In vena di ricordi, io? E quali?

Laura                               -  Andiamo... Ci sarà anche per te qualcosa di bello da ricordare, o qualcuno. (Tom è vicino alla porta, con in mano l'impermeabile che striscia per terra) Niente? Ma sì, ci dev'essere qualcuno. Chi era? O forse non vuoi parlarmene?

Tom                                 - (dopo una lunga pausa) Avete una siga­retta?

Laura                               - (sollevata per aver guadagnato un altro po' di tempo) Sì, certo. (Gli offre una scatola. Poi gli accende la sigaretta).

Tom                                 -  Una mia insegnante di terza ginnasio. E' lei che ricordo.

Laura                               -  Oh.

Tom                                 -  La  signorina  Middleston.

Laura                               -  Delizioso.

Tom                                 - (posa l'impermeabile, e viene al centro della stanza) Non era delizioso, era terribile.

Laura                               -  A quell'età, per forza... Parlami di lei.

Tom                                 -  Era appena laureata. Alta, bionda, coi ca­pelli color di miele... portava la giacca a vento, e ave­va una macchina scoperta.

Laura                               -  La quintessenza del fascino.

 Tom                                -  Da allora, ho sempre avuto un debole pel­le ragazze con la giacca a vento.

Laura                               - (sorridendo) Anch'io ne ho una.

Tom                                 -  Lo so. (La guarda).

Laura                               -  Che cosa successe?

Tom                                 -  Cosa poteva succedere? Come al solito, feci la figura dello scemo. Sono sicuro che tutti avevano capito. Se una persona mi piace, non so nasconderlo.

Laura                               -  Questo è un lato buono.

Tom                                 -  Quando usciva per le compere, e aveva bi­sogno di qualche ragazzo per portare i pacchi, io ero sempre pronto.

Laura                               -  Forse anche tu le piacevi.

Tom                                 -  Io pensavo... pensavo che mi amasse. Ave­vo tredici anni.

Laura                               -  Forse ti amava.

Tom                                 -  Fatto sta che quando ero in quarta si spo­sò. E sapete cosa mi toccò fare? Dettero un pranzo a scuola in suo onore, e io dovetti fare il brindisi e augurarle felicità... Dovetti scrivere una poesia... (Ri­cordando) « Adesso che siete sposata... e da noi tutti separata... per amare, onorare e ubbidire... poche cose vi voglio dire. »   - (Ridono entrambi. Tom scuote la te­sta) Da qui in poi, era tutta una poesia d'amore.

Tom                                 - (il sorriso si spegne sulle sue labbra) Mi innamoro sempre di chi non devo.

Laura                               -  Tutti.

Tom                                 -  Anche voi?

Laura                               -  Non ci sarebbe gusto, altrimenti. Non si arriva mai a niente, ma restano tanti ricordi, fra dol­ci e amari. (Da amica ad amico) Chi altro hai amato senza speranza?

Tom                                 - (non risponde; guarda l'orologio) Quasi le nove... faccio tardi. (Si avvia. Laura si alza).

Laura                               -  Non posso convincerti a restare? (Tom fa cenno di no) Stavamo così bene insieme.

Tom                                 -  Grazie.

Laura                               -  Un altro quarto d'ora, e ti avrei confida­to i più oscuri e profondi segreti della mia vita. (Sor­ride).

Tom                                 -  Peccato. (Raccatta l'impermeabile).

Laura                               - (cercando qualche nuovo pretesto per trat­tenerlo) Non  vuoi  restare neanche  per  un  ballo?

Tom                                 -  Non so ballare.

Laura                               -  Avevo cominciato a insegnarti. (Va al grammofono, lo accende).

Tom                                 - (aprendo la porta) Un'altra volta

Laura                               -  Fallo per me.

Tom                                 - (chiude la porta) Voglio che mi diciate una cosa.

Laura                               -  Sì. (Comincia a suonare il disco, che continuerà, con un motivo malinconico, fino alla fine dell'atto).

Tom                                 -  Perché siete così gentile con me?

Laura                               -  Perché...

Tom                                 -  Non siete così con gli altri ragazzi.

Laura                               -  E' vero. Ti dispiace che io sia gentile con te?

Tom                                 -  Mi domandavo perché . (Fa cenno di no).

Laura                               - (francamente) Credo... Tom, credo sia perché  mi piaci.

Tom                                 -  Non piaccio a nessun altro. Perché a voi sì?

Laura                               -  Non lo so. Io...

Tom                                 -  Non sarà proprio perché  non piaccio a nes­sun altro? Non sarà soltanto... compassione?

Laura                               -  No, Tom, certamente no... E'... perché  sei stato buono con me... pieno di attenzioni... Sai, non è stato facile per me assuefarmi all'ambiente della scuola. Sembrava che tu lo sentissi. Non so, bisogna proprio dire che ci siamo capiti. (Gli sorride).

Tom                                 -  Il signor Reynolds sa che vi piaccio?

Laura                               -  Credo. Non ne ho fatto un segreto..

Tom                                 -  Perciò mi odia tanto?

Laura                               -  Non dire...

Tom                                 -  Sì, mi odia. Perché mentire? Qui tutti mi odiano, tranne voi. Ma non ce la faranno.

Laura                               -  No, vero?

Tom                                 -  Lui mi odia perché  con me ha fatto fiasco. So tutta la storia. Mio padre mi ha messo in questa casa, fra tutte quelle del collegio, e ha detto a vostro marito: «Fai di lui un uomo». Ha fatto fiasco, e non si dà pace. Poi siete arrivata voi, e siete stata buona con me... perché  vi faccio pena.

Laura                               -  No, Tom, non è questo. Io, come donna, penso troppo a me stessa perché  tu mi piaccia solo perché  mi fai pena.

Tom                                 - (è giunto ad uno stato di confusione, di ira e di disperazione) Ci sono tante cose... tante cose che non capisco...

Laura                               - (gli tocca il braccio) Tom, non uscire sta­sera.

Tom                                 -  Devo.  Questo almeno è chiaro. Devo!

Laura                               - (solleva il braccio come per ballare) Perché non vuoi che ti insegni a ballare? (D'improvviso, impulsivamente,  Tom l'abbraccia  e la bacia. E' un bacio appassionato, goffo. Poi, sconvolto, nasconde il capo sulla spalla di lei).

Tom                                 -  Dio mio... Dio mio...

Laura                               -  Tom... Tom... (Tom alza il viso e sta per baciarla di nuovo) No, Tom... No, io... (Al primo « no » Tom si stacca da lei e esce di corsa, salendo fino a metà scala. Laura lo chiama) Tom! Tom! (Tom si ar­resta, si volta, guarda in giù, Laura viene verso la porta di casa e compaiono due ragazzi del gruppo sca­latori, Phil e Paul con gli zaini).

Phil                                  -  Che fate qui voialtri?

Paul                                 -  Tutto il gruppo è tornato. Bel gusto, fare le scalate sotto la pioggia.

Bill                                  - (anche lui sul pianerottolo) Ragazzi, se qual­cuno vuole andare giù al bar a mangiare qualcosa, cambiatevi e andate pure. (Phil e Paul salgono oltre­passando Tom. Bill entra nello studio lasciando la por­ta aperta) Salve. (Si toglie lo zaino e lo posa per ter­ra).

Laura                               - (che è rimasta immobile dove l'ha lasciata Tom) Salve.

Bill                                  - (le si avvicina e la bacia sulla guancia) Una volta all'anno che andiamo in montagna, si mette a piovere. (Posa il resto del suo equipaggiamento) I ra­gazzi sono molto avviliti.

Laura                               - (senza quasi badargli) E' un vero pecca­to.

Bill                                  -  Forse s'aspettavano che li invitassi qui, a mangiare qualcosa. Ma non ne ho nessuna voglia. Re­stiamo noi due soli, vuoi?

Laura                               - (Che ascolta il rumore dei passi) Sicuro. (Bill esce verso l'appartamento: Laura si china a rac­cattare l'impermeabile di Tom e lo nasconde dietro il camino. Sulla soglia riappare Bill, asciugandosi le ma­ni).

Bill                                  -  Che acquazzone, ragazzi! (Scompare di nuo­vo. Laura tristemente va alla porta dello studio e la chiude senza far rumore. Poi vi si appoggia contro, in ascolto, sperando contro ogni evidenza che Tom torni in camera sua. Quando Tom vede chiudersi la porta, ri­flette un attimo, poi tira su il colletto della giacca, scende ed esce di casa. Bill parla fuori scena).

Bill                                  -  Non siamo neanche arrivati al campeggio. Ha cominciato a piovere, ma si poteva benissimo ar­rivare alle tende e passare la notte. I ragazzi non se la sono sentita... (La porta di casa sbatte. Laura si stacca dall'uscio, disperata) Che cosa è stato?

Laura                               -  Niente... Niente... non è stato niente.

Bill                                  - (rientra e prende la pipa dal camino) Co­munque, la montagna è una gran cosa. Ci si sente vi­vi. Sto pensando di tornarci sabato prossimo, da solo. Non mi va di avere tra i piedi quei mocciosi. (Si è seduto nella sedia destinata a Tom. La campana della scuola -suona le nove. Bill tende una mano verso Laura, che lo guarda, mentre cala il sipario).

ATTO    TERZO

Il pomeriggio del giorno dopo. Tom è nella sua stan­za, sdraiato sul letto, gli occhi fissi al soffitto. La porta è chiusa. Ralph è al telefono nel corridoio.

Ralph                               -  Pronto, Mary... Sono Ralph. Volevo avvi­sarti che sarò un po' in ritardo... Già, si sono messi tutti a fare la doccia, e ce n'è una sola per otto persone... No, non è lo stesso posto di ieri sera... Il tè danzante è in quel nuovo locale... (A disagio) Te lo di­rò quando ti vedo... E va bene... (Sussurrando) Ti amo. (Arriva da fuori Steve, il braccio destro di Ralph, tut­to rivestito, e con l'aria di chi porta grandi notizie) Certo, Mary, Beh, ora non te lo posso più dire... Non mi hai sentito la prima volta? (Forse per far capire la situazione alla ragazza) Ciao Steve.

Steve                               -  Avanti, sbrigati. Grandi cose.

Ralph                               -  Mary, Mary, farò prima se smettiamo di chiacchierare. Va bene? D'accordo, ci vediamo un po' dopo le cinque. (Riappende) Si può sapere che diavo­lo vuoi?

Steve                               -  Hai visto Tom?

Ralph                               -  No.

Steve                               -  Lo sai che cosa ha fatto questa notte?

Ralph                               -  Sentiamo.

Steve                               -  E' andato da Ellie Martin.

Ralph                               -  Ma chi vuoi prendere in giro?

Steve                               -  Parola. Lo ha detto Ellie a Jackson, dal lattaio. A quest'ora lo sanno tutti.

Ralph                               -  Che gli è preso?

Steve                               -  Aspetta. Questo è niente.

Ralph                               -  Senti, io devo vestirmi. (Sale le scale).

Steve                               - (Seguendolo) Da come la racconta Ellie, Tom si è presentato da lei vestito di tutto punto come se andasse al concerto, e... (scompaiono su per le scale). (Bill entra in casa e sale velocemente le scale, entran­do senza bussare nella sitting-room di Al e Tom, fin­ché lo sentiamo tentare la maniglia della stanza di Tom; Tom guarda verso la porta con aria di sfida).

Bill                                  - (bussando con forza) Tom? (Bussa ancora) Tom, sono Reynolds. Fammi entrare.

Tom                                 -  Non voglio vedere nessuno.

Bill                                  -  Mi vedrai e come. Avanti, apri. Il Preside mi aspetta alle cinque, e voglio prima parlarti.

Tom                                 -  Non c'è niente da dire.

Bill                                  -  Se butto giù la porta tuo padre dovrà pa­garla nuova. Che c'è, hai paura di me? (Tom si alza e va ad aprire; Bill entra) Adesso sì. (Tom torna a se­dersi sul letto senza guardarlo) Devo sapere bene tutta la storia, con i particolari, in modo che il Preside...

Tom                                 -  Sapete tutto. Che altro volete?

Bill                                  -  Io so che c'è dell'altro.

Tom                                 -  Quando i poliziotti del collegio mi hanno riportato qui, stanotte, vi hanno detto che ero stato con Ellie Martin.

Bill                                  -  Appunto. Sembra invece che tu... non ci sia stato.

Tom                                 - (dopo una pausa) Che dite?

Bill                                  -  Non sei stato con lei. Non hai potuto. Ca­pisci cosa voglio dire?

Tom                                 - (sfidandolo) Chi lo dice?

Bill                                  -  Lei lo dice. E dovrebbe saperlo. (Tom de­via lo sguardo) Dice che non hai potuto... Che sei sal­tato su, che hai arraffato un coltello nella sua cucina, e hai cercato di ucciderti... Lei ha dovuto lottare con te, e così vi siete fatti sentire dai poliziotti.

Tom                                 -  Che differenza fa?

Bill                                  -  Io voglio che il rapporto sia esatto.

Tom                                 - (affrontandolo) Non avreste sopportato, ve­ro, che io dimostrassi che avevate torto?

Bill                                  -  Dove credi di arrivare, parlando così ad un insegnante?

Tom                                 -  La vostra idea, ve la eravate fatta da mol­to tempo, e sareste scoppiato come una -vescica, se a-vessi dimostrato che avevate torto.

Bill                                  -  Parlando cosi, credi che migliorerai la tua posizione?

Tom                                 -  Non c'è più niente da fare, ormai. Sarò espulso. E voi finalmente sarete felice.

Bill                                  -  Felice? Sarò anzi molto addolorato... per tuo padre.

Tom                                 -  Ora che ne siete sicuro, diffondete la noti­zia. Come potete aspettare?

Bill                                  -  Non lo dirò a nessuno... tranne che al Pre­side, naturalmente...

Tom                                 -  E a mio padre.

Bill                                  -  Forse.

Tom                                 -  E alla signora Reynolds.

Bill                                  - (guardandolo negli occhi) Sì. Credo, che lei lo debba sapere. (Esce dalla stanza, traversa la sitting-room e sale la scala chiamando Ralph. Tom chiude la porta col chiavistello e siede sulla sedia. Laura entra nello studio; ha l'impermeabile di Tom. Va verso la porta, ma bussano, e deve aprire).

Laura                               -  Buongiorno,   signor  Lee.

Herb                                - (entra allegro, non si sa per quale ragione) Salve Laura.

Laura                               -  Bill non c'è; ma lo aspetto da un momen­to all'altro.

Herb                                -  Il mio treno ha portato ritardo; mi dispia­ce di non trovarlo. Abbiamo appuntamento col Pre­side fra pochi minuti.

Laura                               - (cortese, ma fredda) Ah sì?

Herb                                -  Ho fatto qualcosa che vi è dispiaciuto? Sembrate un po'... (Fa un gesto con le mani).

Laura                               -  Scusatemi, non ci badate. Volete sedervi?

Herb                                -  Se ben ricordo, eravate contraria alla mia decisione di lasciar qui Tom. Ebbene, vedete che in un certo senso avevo ragione. Quantunque, una signora forse non può capire.

Laura                               -  Infatti.

Herb                                -  Considerate bene la cosa. Se avessi tolto Tom dalla scuola dopo lo scandalo con quel supplen­te... come si chiamava?

Laura                               -  Harris.

Herb                                -  Ecco. Se avessi portato via Tom in quel momento, sarebbe rimasto bollato per il resto dei suoi giorni.

Laura -                             -  Senza dubbio voi non ignorate che Tom sarà espulso.

Herb                                -  Ma le circostanze, stavolta, sono ben più sane.

Laura                               -  Credo, signor Lee, non sono ben sicura ma credo, che in un certo senso voi siate fiero di Tom.

Herb                                -  Beh...

Laura                               -  Forse è la prima volta che siete fiero di lui, perché  la polizia della scuola lo ha colto fuori orario in una pensione malfamata con una...

Herb                                -  Non dovevo aspettarmi che capiste. Bill mi darà ragione. (Bill sta scendendo le scale).

Laura                               -  Credo proprio di sì. (Bill entra nello stu­dio).

Herb                                -  Bill...

Bill                                  -  Ciao, Herb. (Herb guarda Laura e Bill, e si accorge della freddezza che c'è fra loro) Sono stato di sopra, da Tom.

Herb                                -  Io voglio salire da lui dopo aver visto il Preside. Come sta?

Bill                                  -  Bene.

Herb                                - (espansivo) Starà raccontando la storia ai compagni con tutti i particolari.

Bill                                  -  No. Si è chiuso in camera da solo. Gli altri ragazzi stanno andando al tè danzante. (Vede che Laura fa per uscire) Laura, vorrei che tu restassi. (Laura si ferma).

Herb                                -  Stavo parlando con tua moglie, e cercavo di farle capire il punto di vista maschile su questa faccenda. Come, cioè, il farsi cacciare da scuola per una storia di questo genere, pur non essendo una co­sa piacevole, non sia poi niente di grave. E', come di­re, uno dei rischi calcolati a cui si espone ogni uomo. (Sorride).

Bill                                  -     Herb...

Herb                                -  Dillo  tu,  Bill:   non  sei  d'accordo?

Bill                                  -  Sì, Herb. Ma la situazione non è esattamen­te come te l'hanno riferita al telefono. E' vero che Tom è andato in camera di quella ragazza, ed è vero che c'è andato con lo scopo che tutti possiamo imma­ginare. Però... Insomma, c'è stata una variante.

Herb                                -  Che vuoi dire?

Bill                                  -  Non è successo niente.

Herb                                -  Vuol dire che lei... si è rifiutata?

Bill                                  - ; Voglio dire che Tom... non è riuscito. (Guar­da Laura). E' la verità, lo dice la ragazza. E quando se ne è reso conto, ha cercato di uccidersi con un col­tello trovato in cucina, e lei ha dovuto lottare con lui fino all'arrivo dei poliziotti. Così stanno le cose. (Lau­ra è scossa e addolorata. Il signor Lee si lascia cade­re su una sedia) Sono desolato, Herb. Naturalmente, il fatto che sia stato sorpreso con quella Martin è già più che sufficiente per farlo espellere.

Herb                                -  E la gente lo sa?

Bill                                  -  Quella Martin parla. Non ha senso di de­cenza... E la storia si presta.

Laura                               - (al signor Lee) Pensate sempre che sia una faccenda di cui andare fiero?

Bill                                  -  Che stai dicendo?

Herb                                -  Perché lo ha fatto? Prima, avremmo po­tuto far tacere le chiacchiere... ma una cosa simile non lascia più dubbi.

Laura                               -  A chi?

Bill                                  -  Ti prego, Laura.

Laura                               - (aspra) Mi hai chiesto tu di restare.

Bill                                  -  Adesso   sai  tutto.  Non  ti  tratteniamo.

Laura                               - (non ha bisogno di chiederlo) Perché vo­levi che io sapessi?

Bill                                  -  Dovevi conoscere i fatti. Nient'altro. (Laura volta le spalle e si apparta).

Herb                                -  Bill, Bill! Forse possiamo agire su quella ragazza, che non sparga la voce.

Bill                                  -  Troppo tardi.

Herb                                -  Non so. Sono cose che non hanno senso co­mune. Che farò adesso?

Laura                               - (intervenendo) Attento, signor Lee, a non trarre conclusioni sbagliate.

Herb                                -  Nessuna conclusione. E' una cosa che può succedere a un ragazzo pienamente normale. Ma che ne penseranno gli altri, dopo la storia di Harris? E questo è l'importante:quel che penseranno gli altri.

Laura                               -  Non è importante quel che pensa Tom?

Bill                                  -  Herb, sarà meglio che andiamo dal Preside.

Herb                                -  Lui è in camera sua?

Bill                                  -  Sì.

Herb                                -  Fa le valigie?

Bill                                  -  No.

Herb                                -  Gli raccomandai di confidarsi con te. Lo ha fatto?

Bill                                  -  No.

Herb                                -  Che posso dirgli?

Bill                                  -  Siamo attesi alle cinque.

Herb                                -  Lo so. Ma devo salire da lui. Forse avrei dovuto lasciarlo con sua madre. Lei saprebbe cosa fa­re, cosa dire... (Si avvia) Mi accompagni?

Laura                               - (seria) Bill, vorrei parlarti.

Bill                                  -  Ridiscendo subito. (Esce sul pianerottolo. Laura esce verso l'appartamento).

Herb                                -  Forse dovrei parlargli da solo.

Bill                                  -  Si sarà chiuso in camera da letto. (Herb  sale  le scale ed entra nella sitting-room. Bill rimane sul pianerottolo. Tom, quando sente suo padre, si irrigidisce. Herb  tenta la maniglia  della porta).

Herb                                - (Dalla sitting-room) Tom... Tom... Sono papà. (Tom si alza, ma non si muove) Tom, stai dor­mendo? (Dopo un attimo, Herb ricompare sul piane­rottolo, profondamente colpito perché  suo figlio non gli vuol parlare) Credo che dorma.

Bill                                  - (muovendosi) Non  è  possibile.

Herb                                - (Lo trattiene) Ma sì, ha sempre avuto il sonno di piombo. Dovevamo buttarlo giù dal letto, quando era piccolo.

Bill                                  -  Ha il dovere di parlarti.

Herb                                -  Più tardi sarà meglio. (Discende le scale. Lui e Bill rientrano nello studio, e Bill va nel suo ap­partamento. Herb resta nello studio. A questo punto Tom apre la sua porta e chiama a bassa voce)

Tom                                 -  Papà. (Herb guarda verso l'alto: gli sembra di aver sentito qualcosa, ma poi si convince di aver sbagliato. Ralph, Steve e Phil si precipitano giù per le scale, vestiti per andare al tè danzante, scambiandosi battute a soggetto. Tom richiude la sua porta. Quando i tre so­no usciti, la riapre e chiama di nuovo a bassa voce: « Papà ». Non c'è risposta. Richiude la porta e si but­ta sul letto).

Bill                                  - (rientrando) Laura, io adesso vado dal Pre­side con Herb. Alle sei ho una partita col Vice-Retto­re. Ci vediamo alle sette, a mensa.

Laura                               - (entra dietro di lui) Vorrei che tornassi qui prima di cena.

Bill                                  -  Non posso, Laura!

 54

 

Laura                               -  Bill!

Bill                                  - (colpito dall'espressione di Laura) Herb, ti raggiungo subito. Perché non ti avvii, intanto?

Herb                                -  Va bene. Arrivederci, Laura. A presto.

Bill                                  -  Tornerai fra pochi giorni, per il pranzo de­gli ex-alunni.

Herb                                -  Ormai, non so se verrò... Forse sì. Non lo so. Intanto mi avvio. Arrivederci, Laura. Dite a Tom che ho cercato di parlargli. (Esce).

Bill                                  -  Laura, si può sapere che c'è? Devo trovar­mi all'ufficio del Preside, per discutere la faccenda.

Laura                               -  Sì, certo. Ma prima voglio discutere io con te... discutere sui ragazzi che l'hanno spinto a far questo... I ragazzi e gli uomini che lo hanno spinto...

Bill                                  -  Nessuno lo ha spinto a fare niente.

Laura                               -  Non c'è biasimo, non c'è punizione per i ragazzi e gli uomini che lo hanno condotto fino a que­sto punto. E se fosse riuscito a uccidersi?

Bill                                  -  Il tuo atteggiamento è troppo emotivo.

Laura                               -  E se fosse riuscito a uccidersi nella stan­za di Ellie Martin? Non ti sentiresti colpevole?

Bill                                  -  Io?

Laura                               -  Tu, sì.

Bill                                  -  Vorrei che ti attenessi ai fatti, lasciando da parte il sentimento.

Laura                               -  I fatti! Quali fatti? Un ragazzo ignaro va a fare il bagno con uno dei supplenti, a cui si è affe­zionato, perché  quel supplente è uno dei pochi che lo incoraggiano, che non lo prendono in giro... e poiché è un ragazzo diverso dagli altri, un isolato, tu e tutti quanti siete ben felici di mettere insieme due e due quattro, pur di arrivare a una conclusione falsa... una conclusione che vi permetta di fare del male a un ra­gazzo che non vi piace perché  non lo capite... Se la stessa cosa fosse successa ad Al o a un altro qualun­que, non avreste fatto niente.

Bill                                  -  Sarebbe stato tutto diverso. Non si sfugge a ciò che si è. Perché in tribunale si perde tanto tem­po ad ascoltare testimonianze sul carattere di un im­putato? Per stabilire se è il tipo di uomo che potreb­be o non potrebbe commettere questo o quel crimine.

Laura                               -  Un giudizio basato su pregiudizi : lui non è come me, perciò è capace dei peggiori delitti. Non è « uno di noi »... un membro della tribù!

Bill                                  -  Ascolta, Laura. So che è un colpo duro per te, perché  ti eri affezionata al ragazzo, ma pensa che hai fatto per lui tutto quello che potevi. Molto più di quanto non ti fosse chiesto.

Laura                               -  Lo so. Mi si chiedeva di dargli un po' di tè e un po' di simpatia, la domenica pomeriggio. Adesso ti dico io qualcosa. Sarà un colpo duro per te, ma te lo dirò.

Bill                                  -  Laura, mi fai fare tardi.

Laura                               -  Ieri sera, io sapevo quello che Tom aveva in animo di fare.

Bill                                  -  Come facevi a saperlo?

Laura                               -  Ho sentito quando dava appuntamento a Ellie per telefono.

Bill                                  -  E non l'hai fermato? Sei tu, allora, che sei responsabile.

Laura                               -  Responsabile, sì, ma non come pensi tu. Ho cercato di fermarlo, ma non chiudendolo a chiave in camera sua, né chiamando la polizia della scuola. Ho cercato di fermarlo essendo gentile con lui, mo­strandogli affetto. Facendogli capire che era ben vi­sto, e perfino amato. Sapevo quel che stava per fare, e perché . Doveva dimostrare a voi prepotenti che era uomo. Voleva provarlo con Ellie Martin. Ebbene, ieri sera... ieri sera, pur di aiutarlo, ieri sera avrei voluto che potesse farlo con me.

Bill                                  -  Ti rendi conto?...

Laura                               -  Ti colpisco, vero? Colpisco me stessa. Pe­rò avevi ragione: qui comincia la mia responsabili­tà. So quello che avrei dovuto fare, e lo sapevo ieri sera. Il mio cuore piangeva per l'infelicità di quel ra­gazzo... Una infelicità imposta da mio marito. E desi­deravo aiutarlo, come si fa tra esseri umani... E ho fallito. All'ultimo momento l'ho mandato via... L'ho mandato da quella...

Bill                                  -  Vuoi dire che hai dominato il tuo patolo­gico senso di pietà.

 

Laura                               -  Oh, no. No. Il mio cuore, nella sua soli­tudine... perché  sono stata sola, qui, tremendamente sola... il mio cuore si tendeva verso quel ragazzo... verso il conforto che anche io avrei potuto avere da lui.

Bill                                  -  Non sai quello che dici.

Laura                               -  Ma sono stata una donna onesta. In che senso al mondo, onesta? Rispetto a chi? Per chi?

Bill                                  -  Avremo tempo  di parlarne, Laura.

Laura                               -  Bill! Non c'è più tempo. Io ti lascio.

Bill                                  -  Per questa cosa?

Laura                               - (dopo una pausa) Per questa cosa, sì. E per tutte le altre cose del nostro matrimonio.

Bill                                  -  In nome di Dio, Laura, di che parli?

Laura                               -  Parlo di amore e di cuore e di umanità, e di tenerezza e di persecuzione. Di tutto questo par­lo. Ma tu non vuoi capire.

Bill                                  -  Laura, non ci si lascia per una cosa simile. Sai cosa può voler dire?

Laura                               -  Non mi preoccuperei troppo, se fossi in te. Quando me ne sarò andata, probabilmente si dirà che ero troppo diversa, che ero una isolata, che in fondo non avevo mai fatto parte del clan, e sarà una liberazione per tutti.

Bill                                  -  E ti esponi a questo... a tutto questo... per uno smidollato?

Laura                               - (dopo una pausa) Quel ragazzo, Bill... quel ragazzo è più uomo di te.

Bill                                  -  Ma sicuro!  Chiedilo a Ellie Martin.

Laura                               -  Perché era disgustoso per lui. Perché per lui deve esserci l'amore. E' più uomo di te.

Bill                                  -  Come no!

Laura                               -  La virilità non è solo forza, e male paro­le, e scalate sotto la pioggia. Virilità significa anche tenerezza, gentilezza, considerazione. Voi uomini cre­dete di poter stabilire chi è davvero uomo, mentre so­lo una donna può saperlo realmente.

Bill                                  -  Ellie è una donna. Chiedilo a lei.

Laura                               -  Non ho bisogno di chiederlo a nessuno.

Bill                                  -  Che ne sai tu, di un uomo? Ecco perché  non mi hai mai veramente amato. Io non sono un ragazzo a cui si possa fare da madre.

Laura                               -  Ti sbagli, se dici che non potevo amarti. Ti ho amato. Non per tutte le tue esibizioni di forza, ma perché  avevi bisogno di me... Per un momento, per un inavvertito momento, mi facesti capire che avevi bisogno di me... E in tutto questo anno di ma­trimonio ho cercato di ritrovare quel momento... Perché mi hai sposato, Bill? Perché, in nome del Cielo?

Bill                                  -  Perché ti amavo.

Laura                               -  Non ti piacevo... Ho cominciato a non pia­certi più da quando mi hai sposato... quasi da quel giorno. Non hai mai veramente voluto sposarmi... Ti hanno costretto? Ti hanno preso in giro finché hai dovuto farlo? Per la carriera, in collegio, bisogna es­sere sposati? O che altro era?... Saresti stato molto più felice andando ai campeggi con i tuoi ragazzi, invitandoli nel suo appartamento a mangiare qualco­sa, a far due chiacchiere fra uomini...

Bill                                  -  Fa parte dei doveri di un maestro di casa.

Laura                               -  Gli altri mastri di casa e le loro mogli non si portano dietro due ragazzi ogni qual volta van­no fuori in vacanza o per il week-end.

Bill                                  -     Sono  ragazzi poveri.

Laura                               -  E io sono stata una povera moglie.

Bill                                  -  Una moglie... (si interrompe).

Laura                               -  Continua.

Bill                                  -  Tu non sei stata una moglie.

Laura                               -  Lo so. Lo so che ti ho deluso. Ti ho delu­so in qualche modo che non capisco. E che mi spa­venta.

Bill                                  -  Ti sei dedicata più a coccolare quel mezzo uomo che a essere mia moglie.

Laura                               -  Ma non me lo avresti permesso. Non me lo hai permesso.

Bill                                  - (afferrandola per le spalle) Che significa, non avertelo permesso?

Laura                               - (calma, quasi spaventata da quello che sta per dire) Non ti sei mai reso conto che ciò che perseguiti in Tom, in quel povero ragazzo, è proprio ciò che senti con terrore in fondo a te stesso? (Bill la fissa a lungo con odio, Laura ha colpito in lui ciò che non aveva mai voluto riconoscere. Sta per pic­chiarla, ma si stacca da lei sempre guardandola. In­dietreggia. Poi va alla porta) Bill!

Bill                                  - (senza guardarla) Spero che sarai già par­tita quando rincaserò dopo cena.

Laura                               -  Sarò partita... (Va verso di lui) Oh Bill, mi dispiace. Non avrei dovuto dirlo... è stato crudele. (Gli si avvicina, mentre lui varca la soglia). Mi invo­casti, quei giorni, perché  io ti salvassi; è questo, vero? Ho cercato, sai? (Bill è uscito) Ho cercato. (Si volta verso lo studio e guarda la stanza). Ho cercato tanto. (Resta immobile, stanca dopo lo sfogo. Poi prende l'impermeabile di Tom, si volta di nuovo, esce dalla stanza, sale le scale, bussa alla porta della sitting-room). Tom. (Apre e entra. La sentiamo bussare alla porta di Tom) Tom. (Tom gira la testa in ascolto. Lau­ra apre la porta ed entra). Oh, scusa, Posso entrare? (Capisce che non avrà risposta, e avanza) Ti ho ripor­tato l'impermeabile, ieri sera lo hai dimenticato giù. (Lo posa su una sedia. Guarda Tom) E' una stanza simpatica... Non l'avevo mai vista... A dir la verità, non sono mai salita quassù. (Non avendo risposta, si aggira per la piccola stanza, esaminando i mobili e i muri. Tom, quando Laura è di spalle, la guarda; Lau­ra se ne accorge). E' molto intima. E' proprio... (Poi­ché i loro occhi si incontrano) Salve!

Tom                                 - (con poca voce) Salve.

Laura                               -  Ti secca che io sia venuta?

Tom                                 -  Non potete stare qui.

Laura                               -  Lo so. Sono tutti fuori, e non torneranno tanto presto. Volevo riportarti l'impermeabile.

Tom                                 -  Grazie. (Si alza a sedere sul letto volgendo­le le spalle). Credevo che non avreste voluto vedermi più.

Laura                               -  Perché?

Tom                                 -  Dopo... Dopo ieri sera. Sono molto spiacen­te di quello che è successo, giù in studio.

Laura                               - (lo guarda. Poi) Io no. '

Tom                                 - (non si rende conto) Immagino che avrete sentito.

Laura                               -  Sì.

Tom                                 -  Tutto?

Laura                               -  Tutto.

Tom                                 -  Vostro marito era impaziente di raccontarvi i particolari.

Laura                               -  Me li ha raccontati.

Tom                                 -  Così, anche voi sapete.

Laura                               -  Che cosa?

Tom                                 -  Che quello che dicevano di me è la verità.

Laura                               -  Tom...

Tom                                 -  Altroché se lo è.

Laura                               -  Tom!

Tom                                 -  Non sono un uomo. Ellie lo sa. Tutti lo sanno. Lo sapevano tutti fin da prima, tranne io. Adesso lo so anch'io.

Laura                               - (fa un movimento verso di lui) Tom... Tom caro... (Tom la evita) Non penserai davvero... solo perché ...

Tom                                 -  Che  altro devo pensare?

Laura                               - (dolcemente) Tom, tu non hai potuto perché non ci credevi... Non credevi a una prova così...

Tom                                 - (è tremendamente difficile) L'ho toccata, e non è successo niente.

Laura                               -  Non eri innamorato di Ellie.

Tom                                 -  Dicono che non importa.

Laura                               -  Importa, invece.

Tom                                 -  Perché non hanno lasciato che mi uccidessi?

Laura                               -  Tom, guardami. (Tom scuote la testa) Tom, ieri sera mi hai baciato.

Tom                                 -  Per carità...

Laura                               -  Perché mi hai baciato?

Tom                                 - (violento) Vi ha fatto ribrezzo, vero? (Si volta di' nuovo dall'altra parte).

Laura                               -  Come puoi pensarlo?

Tom                                 -  Mi avete mandato via... voi... Comunque, stamattina, quando avete saputo, deve avervi fatto ri­brezzo.

Laura                               - (siede sul bordo del letto) Tom, voglio dirti una cosa. (Tom non si volta) Tom! (Tom resta immobile) È stato il più bel bacio che io abbia mai ri­cevuto... da chiunque. (Tom si volta lentamente, la guarda) Tom, sono venuta a dirti addio. (Tom scuote la testa guardandola) Me ne vado. Probabilmente non ci vedremo più. Lascio Bill. (Tom aggrotta le ciglia perplesso) Per molte ragioni... per esempio, per quello che ha fatto a te. Ma prima di andarmene volevo che tu sapessi, per la tua serenità, che tu sei più uomo di quanto lui non sia mai stato, né sarà mai. E un giorno incontrerai una ragazza fatta per te, e andrà tutto be­ne. (Tom, incredulo, abbassa la testa) Credimi, Tom.

Tom                                 -  Vorrei credervi. Ma è qualcosa che uno sa... dentro. Come potete pensare che... dopo stanotte... io possa mai più... (S'interrompe, le sorride) Ma grazie, Grazie mille.

                                        - (Chiude gli occhi, Laura lo guarda a lungo; com­passione e tenerezza le si leggono sul volto. Dopo un po' si alza ed esce dalla stanza. Riappare nel corrido­io. Va alla porta di casa. La chiude. A questo rumore Tom riapre gli occhi, vede che Laura ha lasciato la stanza, e si lascia cadere sul letto, come una bestia ferita, la testa all'ingiù. Laura ricompare sulla soglia della stanza da letto. Si ferma un attimo, poi avanza, sempre fissando la snella figura del ragazzo sul letto. Chiude la porta dietro di sé. Tom guarda in giro, e quando vede che è tornata si volta prono, pieno di stu­pore. Laura vedendo che la porta ha un chiavistello lo tira. Guarda Tom. Si porta la mano al collo, slac­cia il bottone più alto della camicetta: solo il primo. Raggiunge il letto, tende l'altra mano a Tom che non si muove, affascinato. Laura fa un piccolo movimento con la mano tesa chiedendo la mano di lui. Tom len­tamente alza la mano. Laura la prende, con dolcezza, gli sorride, siede accanto a lui. Dopo un po' chiede a mezza voce).

Laura                               -  E ora?...

                                        - (L'altro braccio di Tom si alza: e con entrambe le mani il ragazzo si porta alle labbra la mano di lei. Laura sorride quietamente).

Laura                               - (dopo un'altra pausa) Fra qualche anno... quando parlerai di questo... perché  ne parlerai... sii gentile...

 

FINE