Terakoia

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TERAKOYA

La scuola di campagna

Un atto dalla tragedia storica dell’antico Giappone

di TAKEDA IZUMO

Versione italiana di Rolf Hohenemser

           

PERSONAGGI

KWAN SHUSAI, figlio del sovrano legittimo in esilio

MATSUO, cancelliere del principe esiliato, ora al servizio dell'usurpatore

CHIYO, sua moglie

KOTARO, loro figlio

GENZO, uomo di corte del principe scacciato, ora maestro di una scuola a Seryo

TONAMI, sua moglie

GEMBA, uomo d'armi al servizio dell'usurpatore

KOJIMA, SAKUMA e CHIMPAKU, guerrieri al seguito di Gemba

TAKASCHIMA, WADAGAKI e ICHITA-RON, contadini del villaggio di Seryo

IWAMA, TOKUSAN, CHOMA e IZUMO, loro figli, allievi di Genzo

SANSUKE, servo di Genzo.

L'azione si svolge nella stanza che Genzo ha adibito a scuola a Seryo nell'anno 902.

«La scuola di campagna» è di Takeda Izumo, giapponese del secolo XVHI. Continuatore di Cikamatsu, Izumo lo supera per uno straordinario senso tragico. La materia di Cikamatsu, favolosa e triste, di un patetico che sfiora la leggenda, è mossa qui da un realismo che atterra simboli ed eroi alla portata dell'uomo, e insieme salva l'esaltante bellezza del mito. Forse nessuna immagine dell'eroismo è altrettanto fulgida di questa storia di una scuola di villaggio.

Alla scuola sperduta fra i campi, arrivano d'improvviso i più eminenti personaggi dello Stato: un ministro, un principe perseguitato, un capitano del re seguito da molte guardie. E quando, assolto il suo compito, questa schiera si allontana, tutto è avvenuto e il pianto regna nella casa. Fino al lamento estremo della madre, non ci resta ormai che un dialogo della vita e della morte, in una crudele tensione che ci lascia, all'ultimo, senza fiato.

11 testo è immediato e carico di una medianica violenza, le parole arrivano a segno come i colpi di scena, e si propagano nel ritmo romanzesco che incalza.

Il meraviglioso dell'antico teatro aopare nella maestà degli eroi e nella loro fragilità come condizione umana. Da questa debolezza squallida e coraggiosa tutti i personaggi sono pervasi, e ne ricevono una pallida, eroica luce (Genzo, i contadini). Essi servono con fedeltà il cenno di una mano che non conoscono (Dio?); l'imperatore che li comanda è lontano e immobile.

Ma infine, da leggi, da civiltà, da costumi irriconoscibili, sentiamo levarsi parole di una umana e universale sa­pienza: un cantico religioso, la pietà. Che cosa mai conserva la società se non la giustizia e il dovere? Ma ora sorge la pietà: sconosciuta speranza. Alla fine, le lacrime che sgorgano dagli occhi della madre sono una smentita alla morte, al gelido egoismo. Allora gesti e parole si confondono alla nostra vista, i personaggi si stac­cano da questa avventura terrestre per farsi simboli di un'arcana rivelazione. Le parole di Matsuo si rivolgono alle generazioni che verranno, da questa morte che è sonno. « Egli ha combattuto duramente contro la vita e ha vinto, e ora riposa, l'eroe ». Distanti, coma parole divine, dal senso dell'uomo, risuonano le parole di San Paolo: «Morte, dov'è la tua vittoria?

GERARDO GUERRIERI

ATTO PRIMO

 (La scena mostra la stanza ove Genzo fa scuoio, prolun­ gata in profondità in un'ampia nicchia aperta, attraverso la quale, al di là di una bassa griglia di bambù, lo sguardo spazia oltre la strada. Una porta in fondo con­ duce all'aperto ed è chiusa da una stuoia di bambù leg­ germente trasparente. Un'altra porta s'apre a destra verso l'abitazione di Genzo. Nella parete di sinistra c'è una finestra ricoperta di carta-seta giapponese. Davanti alla nicchia in tutta la sua larghezza s'alza un basso gradino sul quale è posto il tavolino di studio di Kwan Shusai in posizione privilegiata. Alcuni scolari stan seduti accanto a lui, altri si sono messi presso la finestra di sinistra, lwama è presso la porta di uscita. Eccettuati i bassi e stretti tavolini da studio ci sono pochi arredi nella stanza. Alcuni rotoli coperti di scrittura pendono ai muri. I ra­gazzi stanno accucciali presso i tavolini coperti di carta e inchiostro di Cina e si esercitano nello scrivere col pennello; alcuni si sono sporcati la faccia e le mani Sparsi in terra ci sono alcuni libri).

Iwama                         - Non vedete che il maestro tarda a venire? Finitela dunque di scribacchiare i vostri esercizi. Guar­date qui invece; ho fatto un ometto; indovinate un po' chi è?

Shusai                         - Sì, sei proprio tu il coraggioso? Adesso ti fai grande e poi, quando viene il maestro, sei il primo a fare il coniglio; dovresti vergognarti!

Iwama                         - Ma va, non darti tante arie, caro il mio fi­gliolo di papà! Che m'importa di quello che dici tu? E poi... E' proprio a te che ho fatto il ritrattino. (Gli mette davanti un foglio impiastricciato) Guarda bene le tue lunghe orecchie tese a quello che dice il maestro e sem­pre pronte a ricever lodi.

Shusai                         - Ma sì, sputa pure tutto quello che hai in corpo, tanto imbratti te stesso. Eppoi nessuno dei com­pagni penserà mai che io sia così falso e vigliacco come te.

Iwama                         - Guardate quello come ii gonfia: attento sai, a non scoppiare! Sentitelo: si crede superiore a noi. Pensi forse di essere il migliore di tutti quanti?

 Choma                       - Certo è migliore di te. brutto muso!

Izumo                         - Ma dategli un paio di sberle fatte bene, che con quello non vale nemmeno la pena di litigare.

Choma                        - Mi fai pena! (Alcuni saltano su e minac­ciano Iwama).

Iwama                         - Siete in troppi, non vale; lasciatemi andare o strillo forte! (Lo battono con la riga, Iwama urla).

 Tokusan                     - Ma sentitelo, lo spilungone!

Choma                        - Che vigliacco!

Izumo                         - E strilla pure per tutto il paese, tanta ti sentirà solamente il re malvagio!

Choma                        - E già, soltanto quello è cattivo abbastanza da darti ascolto!

Iwama                         - Insomma, mi lasciate in pace?

Tokusan                      - Sei tu che cominci, mica noi!

Iwama                         - E smettete di battermi, infine! (Tumulto e lotta fra Iwama e altri quattro ragazzi. Entra Tonami da destra e al suo apparire tutti tornano in fretta ai loro posti di studio).

Tonami                        - Sempre a far baccano, ragazzacci. State tranquilli, una buona volta! Sedetevi ai vostri posti e fate bene i compiti, che se starete buoni vi prometto che avrete un pomeriggio libero. (I ragazzi si rallegrano; in­tanto Sansuke apre la porta dal di fuori; porta un ta­volino da studio con i relativi strumenti).

I Ragazzi                    - (in coro) Oh, sì, sì, sarebbe proprio una bella cosa!

Sansuke                      - Si può entrare? (Sansuke cede il passo « Chiyo che conduce a mano Kotaro. I ragazzi lo guardano con curiosità).

Tonami                        - Vi prego, venite pure avanti. (Inchini re­ciproci) Siate i benvenuti!

Chiyo                          - Vi ringrazio per il vostro gentile saluto. Dov'è il maestro?

Tonami                        - Mi dispiace, ma mio marito non è in easa.

Chiyo                          - Son capitata male; che devo fare allora? Sono venuta per affidargli il mio bambino e raccoman­darlo alla sua bontà, dato che noi l'amiamo tanto. (To­nami saluta gentilmente il piccolo).

Tonami                        - Sia benedetto e felice il tuo ingresso fra noi. Sei un bel bambino.

Chiyo                          - Voi amate i piccoli? Non avete voi stessa un bimbo che ha la stessa età del mio?

Tonami                        - Certo, ecco là mio figlio. (Si rivolge a Shu-sai) Vieni, saluta questa signora e questo tuo futuro com­pagno di studio; così diverrete amici. (Shusai scende il gradino, s'inchina cerimoniosamente dinanzi a Chiyo e si rivolge poi a Kotaro).

Shusai                         - Sii il benvenuto!

Kotaro                        - (guarda Shusai interrogativamente e dice esi­tando) Sei tu il figlio del Re? (Tonami è scossa).

Chiyo (incominciando con tono di voce lievemente ironico, poi spiegando) Che dici? Questo è il figliolo del tuo nuovo maestro del quale ti ho igià parlato. E' ancora così timido, il suo spirito ancora vive intera­mente nel mondo delle fiabe ed è tutto rivolto ai sogni ed ai pensieri nascosti. C'è un Dio che abita in ogni anima di fanciullo e guida al bene il suo cuore inno­cente, secondo la sua volontà.

Tonami                        - (leggermente imbarazzata) E' così un caro ragazzo.

Chiyo                          - O mia cara, buona signora, nelle vostre mani io metto un tesoro prezioso, l'unico, il mio solo bene. Tenetelo e curatelo secondo tutte le vostre forze e pen­sate, ricordate i sentimenti di una madre e che la spe­ranza è l'ultima a fuggire!

Tonami                        - (con meraviglia) Non vi preoccupate. Nes­sun pericolo può minacciarlo nella nostra piccola cer­chia. Gli mancherà soltanto l'eccesso di amore, poiché il maestro è severo e chiede dai suoi allievi molta at­tenzione nello studio. Abbiate dunque fiducia in lui.

Chiyo                          - Se egli è simile a voi me ne andrò in pace; ma, ahimè, non vedo il maestro.

Tonami                        - E' stato chiamato d'urgenza dal capo del villaggio per affari importanti. Dicono che sia giunto il messo del re, ma nessuno sa per quali ragioni egli sia venuto qui.

Chiyo                          - (ansiosamente) E' il messo particolare del re?

Tonami                        - Può darsi benissimo perchè vi sono molti servi al suo seguito. (Tonami va alla nicchia in fondo e guarda fuori, poi indica un posto a Sansuke vicino a quello di Shusai, dove egli depone, il tavolino da studio. Chiyo attira a se appassionatamente Kotaro che sta ap­poggiato al suo fianco. Le sue mani si posano amorosa­mente sul capo del bimbo e attirano attorno al proprio corpo le sue piccole braccia).

Chiyo                          - Ora me ne vado via da te, amato bimbo! Ancora una volta appoggia la tua testina sul mio petto o abbracciami come così spesso hai fatto. (Disperandosi altamente) Ahimè, ahimè, sento che quasi sto per la­sciarti per sempre e son costretta a maledirmi con l'ira di una madre perchè mi son divenuta nemica. (Riprende il controllo di sé) Taci, o mio cuore! Fuggite, pensieri egoisti; al bene di tutti sian votati il suo corpo, il suo sangue, la sua vita. Lasciamoci dunque e sii protetto da­gli dei finché essi possano conservarti e benedirti. (Essa ha pronunciato le ultime parole quasi strappandosele dal cuore. Ora essa si stacca a forza e si rivolge a Sansuke quasi fuggendo).

Chiyo                          - Vieni, dobbiamo andare. Kotaro (guardando dietro sua madre) Mi lasci tutto solo?

Chiyo                          - (arrestandosi) Tornerò, adorato figlio.

Kotaro                        - E dove vai?

Chiyo                          - A cercar fiori per te.

Kotaro                        - No, resta con me, non voglio fiori.

Tonami                        - (trattenendo il bimbo) Sei dunque tanto pauroso? Vergogna! piccolo eroe. Non si deve star sem­pre attaccati alle gonne della mamma!

Chiyo                          - Addio, piccolo mio! (Torna indietro dalla soglia) Voglio abbracciarti ancora una volta! (Mentre finalmente si stacca, dice a Tonami) Oh, ricordatevi di me. (Passa per la porta tenuta aperta da Sansuke e si ferma di fuori. Torna ancora indietro e mentre Tonami si volge a lei, dice) Non ho dimenticato qui il ven­taglio?

Tonami                        - Dov'è il ventaglio? Qualcuno di voi l'ha

Alcuni ragazzi             - Il ventaglio! (Tutti cercano qua e là).

Tonami                        - Guardate, lo avete lì, appeso al braccio!

Chiyo                          - O poveri pensieri miei! (Esce con rapida decisione. Sansuke fa ricadere la stuoia attraverso la quale Chiyo, esitante, rimane visibile per alcuni istanti, finché infine si avvia con passi pesanti).

Tonami                        - (seria e gentile) Povero bimbo! E' questo il cibo cui ti hanno abituato? Quanto più grave ti sarà la vita amara che più tardi ti afferrerà con tutta la sua violenza! Allora attorno a te non vi saranno più teneri sentimenti d'amore, poiché la realtà è inflessibile! Su, vieni, sii un uomo e scaccia la tua tristezza! Siedi qui ed esercitati nello scrivere fin dove tu l'hai già appreso. (Gli indica il suo posto, poi si rivolge a tutti i ragazzi) Ora probabilmente tra poco tornerà il maestro; fate che sia contento di voi, pensate al pomeriggio! (Esce a de' stra donde è venuta).

Izumo                         - Quello non ce lo dimentichiamo davvero! (Piccola pausa densa di curiosità).

Choma                        - (a Kotaro) Dimmi, qual è il tuo nome?

Kotaro                        - Kotaro.

Iwama                         - Questo non è un bel nome.

Tokusan                      - E perchè no?

Jzumo                         - Io non l'ho mai sentito.

Shusai                         - Io invece Ffa.o sentito spesso, quando ero nella città.

Choma                        - Vieni anche tu dalla città?

Kotaro                        - Sì, dalla città reale.

Shusai                         - Su, raccontaci qualcosa; anch'io vengo di là. Vi ha forse scacciati il cattivo cancelliere? (Si avvi­cina a Kotaro).

Choma                        - Noi siamo tutti fedeli al re!

Izumo                         - Anche tu, non è vero? 0 sei un traditore?

Iwama                         - (interrompendo) Non datevi tante «rie, fanfaroni!

Choma                        - Tu sei una femminuccia paurosa!

Iwama                         - Ma guarda che arie d'importanza.

Tokusan                      - Attenti, silenzio, ecco il maestro!

Choma                        - L'hai scampata per un pelo, vigliaccone! (Appaiono dalla porta Qenzo, Kojima, Chimpaku e Sakuma).

Genzo                         - Lasciatemi solo a compiere la triste bisogna. Miei buoni amici, attendetemi qui fuori.

Kojima                        - Abbiamo l'ordine di non lasciarvi un istante.

Genzo                         - Circondate la casa, così sarete sicuri. Ma quel che devo fare non può aver testimoni. Lasciatemi dunque solo.

Chimpaku                   - La vecchia volpe vuole ingannarci!

Genzo                         - Fatelo voi stessi e allora sarete del tutto si­curi. (Viene sul proscenio e lì si lascia cadere su un se­dile senza prendere menomamente parte ai discorsi dei tre guerrieri, mentre però il suo volto tradisce una enor­me ed intensa emozione).

Kojima                        - Ah no, questo è compito vostro!

Sakuma                       - Si, mio signore, poiché vedete, per ciò chi» mi riguarda, ho già superato varie piccole cosette nella mia vita; ma prima che riusciate a persuadermi ad aiu­tarvi ad accorciar d'una testa quella piccolezza, diventerò così piccolo io stesso, che non sarò nemmeno più in grado di aver compassione di voi. Fate ciò che dovete, e magari fatelo anche da solo, perchè io son conlento dav­vero se non ho da esserci ficcato in mezzo.

Kojima                        - Questa è anche la mia opinione e credo che il nostro solo dovere debba consistere nel sorvegliare la casa; che anche io già adesso mi sento un non so che nello stomaco come se tutto il mio coraggio d'uomo vo­lesse squagliarsela dalle budelle e non riuscissi più a trattenerlo nella sua sede. Mettetemi in un combattimento alla sciabola e vedrete che me la caverò con onore; ma qui c'è qualcosa che mi dice che la faccenda è più adatta per una strega velenosa che per un uomo di valore.

Chimpaku                   - Se la squaglierà dalla tana; e poi non mi venite a dire che non vi avevo avvertiti.

Sakuma                       - E allora vacci tu stesso con lui: ma ti dò un consiglio: mettiti dietro il marmocchio che il tuo volto non si fissi nel «uo occhio; altrimenti ti seguirà la sua ombra.

Chimpaku                   - Ne sei certo?

Sakuma                       - Bè, non che sia stato proprio dimostrato; ma se fra un anno sarai ancora con noi a bere la birra di riso, allora crederò di sicuro che sian ciance di donna.

Chimpaku                   - lo per me non mi sono niai sentito così eroico e bellicoso da osare più di uno di voi per il mi­serabile soldo che ci danno; e perciò anche oggi mi va di più di andare a scolare un boccale di birra in vostra compagnia, piuttosto che firmare una C03Ì brutta cam­biale per il futuro.

Sakuma                       - Annegheremo la tua sete di sangue in un bel boccale di birra scura; vieni con noi, dunque, o siti­bondo! (1 due escono mentre Kojima si avvicina a Genzo).

Kojima                        - Aspetteremo, dunque, qui fuori, maestro; ma fate bene attenzione a non far nulla che sia contrario al vostro dovere. Mi dispiace per voi, ma più presto la farete finita, meglio sarà. (Chiude la porta dal di fuori ti per un pezzo si sentono le voci dei tre. Genzo rimane al suo posto, visibilmente abbattuto; gli allievi tacciono impacciati e costernati. Pausa. Poi le frasi seguenti sa­ranno dette da Genzo a scatti e nervosamente).

Genzo                         - Ho importanti affari da sbrigare, potete an­darvene! Oggi non faremo lezione; lasciatemi solo. Po­tete magari giocare nel giardino. (Si ferma senza vol­tarsi; i ragazzi lo guardano smarriti. Altra pausa. Infine Genzo si riscuote) Siete pronti? (Quando si volta, Shusai gli va incontro famigliarmente)

Shusai                         - Cos'hai padre mio? (Genzo si allontana da lui violentemente).

Genzo                         - Va, va via. (Adesso gli allievi lasciano i loro posti e si avviano verso la porta di destra nella quale appare Tonami).

Tonami                        - Sei ritornalo? (Appena scorge Genzo ha un gesto di spavento vedendo la sua espressione) Mio Dio, cos'è successo? (Spinge fuori il ragazzo e chiude la porta) Siamo soli, parla, ti prego!

Genzo                         - Matsuo è qui.

Tonami                        - E cosa vuole quello da noi?

Genzo                         - Siamo traditi.

Tonami                        - Ma chi? Cos'è accaduto? Ma parla, dì una parola!

Genzo                         - Tu l'hai udito: il nostro segreto è scoperto.

Tonami                        - Che noi teniamo qui nascosto il principe? E chi dunque potrà mai negare che egli è figlio nostro, se noi sapremo confermarlo coraggiosamente?

Genzo                         - Non sperare: egli conosce benissimo il ra­gazzo.

Tonami                        - Se è così: cosa potrà accadere?

Genzo                         - E' in gioco la vita del principe.

Tonami                        - La vita di un bimbo innocente!

Genzo                         - L'odio non conta gli anni.

Tonami                        - Corri giù nel villaggio e chiama i conta­dini che vengano qui a proteggere il ragazzo.

Genzo                         - Son forse pazzo a cercar eroismo tra quelli?

Tonami                        - Fuggiamo allora.

Genzo                         - La casa è circondata.

Tonami                        - Devi ingannarli.

Genzo                         - E come, dimmi?

Tonami                        - O dei! Tu sei l'uomo, pensaci dunque tu!

Genzo                         - (freddamente, con calma) Non sarei in imba­razzo per trovare un qualsiasi sotterfugio, se soltanto non ci fosse quel maledetto! Conosce benissimo il bimbo.

Tonami                        - Tu dunque temi Matsuo?

Genzo                         - Soltanto lui.

Tonami                        - (pensando) lo non la penso come te.

Genzo                         - E cosa ti dà questa speranza?

Tonami                        - Ascolta! Posso credere che forse l'interesse personale possa far vacillare il suo debole cuore; ma non credo che questo possa cambiare il fondo del suo animo. Egli è stato il cancelliere del re; allora si diceva che fosse buono, onesto, devoto e fedele e che ogni virtù onorasse il suo nome. Oggi tutto è cambiato; il nostro re esiliato ora è costretto a percorrere fuggiasco contrade etraniere, mentre il tiranno si rimpinza il ventre nell'o­pulenza. Allora è facile che insieme alla speranza vacilli anche la fedeltà; ma non potrà mai accadere che essa si trasformi in odio contro il migliore dei signori e che la mano che ricevette tanti benefici da lui, ora possa macchiarsi del sangue di suo figlio. E non potrebbe essere che egli sia andato col nuovo padrone solo per servire meglio l'antico? Vedi, ora mentre lo dico già lo crede il mio cuore! Per questo anche tu non dare luogo al dubbio ma pensa piuttosto cosa si possa fare per recare vantaggio al re.

Genzo                         - (amaramente) Ammiro la tua anima inno­cente che non comprende questo: quando alcuni uomini gì accompagnano, siano essi buoni o cattivi, si conoscono bene e non si nascondono vicendevolmente i loro sen­timenti. Ma se un estraneo che un tempo ci fu nemico vuole entrare nelle nostre grazie e convincerci della sua amicizia, allora costui, per dimostrarci tutto il suo zelo, celando il vero suo animo, osa cose inaudite, violenta la natura e costringe se stesso a commettere ogni sorta di scelleratezze. Così è quello. Perciò non sperare e non aspettarti nulla da lui.

Tonami                        - Allora sta in noi osare il tutto per tutto.

Genzo                         - Ancora non vedo alcuna via sicura: ma ora va e prepara il bimbo; fa che abbia un aspetto volgare, ma senza esagerazioni, cosicché sotto il suo naso moc­cioso nessuno possa sospettare che si nasconda la dignità regale. E rimandami dentro gli altri.

Tonami                        - Cosa vuoi fare dunque?

Genzo                         - (con tormento) Non lo so ancora, ma si dovrà pur fare qualcosa.

Tonami                        - La mia povera testa non sa più pensare.

Genzo                         - Corri, il tempo stringe.

Tonami                        - (con riluttanza) Lo trasformerò in modo soddisfacente; ma dimmi, che devo fare del nuovo al­lievo? E' vestito talmente bene.

Genzo                         - Quale allievo?

Tonami                        - Non l'hai visto?

Genzo                         - Dov'è? E' qui da noi?

Tonami                        - Sì, la madre lo ha condotto qui prima che che tu venissi. E' di buona famiglia.

Genzo                         - (spiando) Di buona famiglia? Come si chia­ma? Mostramelo.

Tonami                        - Temo che non possa restare così. Kotaro, vieni qui e fatti vedere dal tuo maestro! (Ha aperto la porta di destra attraverso la quale appaiono alcuni ra­gazzi. Kotaro esce, si inchina dinanzi a Genzo e rimane fermo in piedi, mentre gli altri ragazzi, curiosi, si spin­gono verso la porta e restano a guardare).

Kotaro                        - Maestro, degnatevi di ascoltarmi! (Genzo lo osserva a lungo).

Genzo                         - Sei un Ibel ragazzo.

Tonami                        - Ti piace?

Genzo                         - Molto! Guarda i suoi tratti che nella loro morbidezza di fanciullo già indicano le sublimi vie che saprà percorrere il suo spirito. Questo è un buon sangue! Come sono delicate le sue membra! Eppure sono forti e solide; fiero è il suo volto. Su, alza il tuo sguardo libero, che non sei davvero nato in un ovile! (Fa alcuni passi vivaci. Tonami guarda meravigliata e confusa il cam­biamento in lui operatosi) Non dicesti che egli proviene da buona famiglia? Ma se egli stesso se ne vanta alta­mente, anche tacendo, e mostra che sua madre non da uomo comune fu amata! (Si avvicina al ragazzo) Forse che un principe si degnò di prendere la sua schiava? Chi oserà dire che tuo padre non sia re, quando vedrà la nobiltà espressa nel tuo volto? Io stesso già quasi lo credo!

Tonami                        - (agitatissima) Che dici?

Genzo                         - Un giorno dovrai imparare ad abbassare il tuo capo superbo, mio signorino, e da questo momento cade su te il riflesso della grandezza! (Tonami ha spinto fuori i ragazzi).

Tonami                        - Che pensi di fare?

Genzo                         - Quando lo guardo quasi mi dispiace per la sua giovinezza, per il suo corpo sottile, per la bellezza dei giorni futuri a lui promessi, che mentre il bocciolo della sua vita ancora cresce, già deve appassire per l'im­perversare della tempesta di primavera.

Tonami                        - Cos'hai in mente? (Genzo sempre più si calma mentre Tonami sempre più si agita. Egli non fa più attenzione alla donna e la scansa con un gesto, mentre i suoi occhi si posano sul fanciullo non senza tenerezza).

Genzo                         - Non domandarmi nulla! Tu vedi come tor­mento il mio cuore e il cervello. Ma nulla è più sublime di una vita òhe si immola per un intero popolo. Perciò lo vedo giungere vincitore a una mèta sublime, mentre che io dovrò continuare a percorrere vie che conducono soltanto nell'oscurità più profonda.

Tonami                        - A cosa miri? Mi domando. (Si pone davanti al fanciullo quasi in atto di minaccia. Genzo non le bada).

Genzo                         - (significativamente) Tutto per il bene del re? (Tonami tira a se il ragazzo e fa un gesto come per al­lontanare Genzo).

Tonami                        - Ho orrore di te!

Genzo                         - Io sono lo strumento che gli dà la gloria!

Tonami                        - (con passione selvaggia contro Genzo) Mai, fin che io vivo!

Genzo                         - (non badandole) E' inutile, io non sono le­gato da nessun giuramento. (Tonami non riesce a spun­tarla contro di lui. Si accascia e dice con orrore)

Tonami                        - Sei tu un essere umano? Crollano le fonda­menta della terra, il mio cuore si spezza ed il mio oc­chio non ti riconosce.

Genzo                         - (vittoriosamente) Va, togliti di mezzo, allora!

Tonami                        - Orrore! Orrore!

Genzo                         - Fa quello che ti ho detto!

Tonami                        - (cadendo in ginocchio davanti a lui) Pensa alla madre e torna ad avere umani sentimenti!

Genzo                         - Io sento una cosa sola: il mio dovere!

Tonami                        - Come oserai andarle incontro?

Genzo                         - Anche questi sono scrupoli che un colpo di sciabola toglie di mezzo; su, presto, va a nascondere l'altro. (Durante le ultime parole si odono i guerrieri di fuori i quali ora aprono la porta).

Kojima                        - Ebbene, siete pronto? Sta per arrivare il comandante!

Chimpaku                   - Che, ancora non avete finito?

Kojima                        - Dov'è il ragazzo?

Genzo                         - Amici, abbiate un poco di pazienza.

Kojima                        - Dunque, ancora non avete fatto nulla?

Genzo                         - Credete forse che si tratti di uccidere un co­lombo, oppure di spaccare il cranio a un cagnaccio ar­rabbiato? Lasciatemi, non posso!

Chimpaku                   - Non può! Non ve l'ho detto? Ci vuole abbindolare, quella volpe!

Kojima                        - Già vedo il comandante che si avvicina. Fra poco sarà qui e voi sarete il primo a pentirvi.

Genzo                         - Datemi un po' di tempo.

Chimpaku                   - Tempo ne avete avuto in abbondanza!

Genzo                         - (decidendosi, rivolto a Tonami che, terrificata, sta ancora accovacciata in terra guardando i soldati) Conducimi il ragazzo!

Chimpaku                   - (indicando Kotaro) E' quello!

Sakuma                       - E' questo il figlio del re? (/ tre guerrieri avanzano incuriositi. Tonami si alza levando un grido e cerca di coprire Kotaro).

Tonami                        - No, no! Tu menti! (Genzo la ferma con un gran gesto).

Genzo                         - Fa quel che t'ho detto! (Tonami indietreggia davanti a lui, spinge il bimbo attraverso la porta di destra ed impedisce il passo quasi piangendo).

Kojima                        - Il Comandante! (Attraverso la porta di fondo rimasta aperta appare Gemba con un seguito di molti armati. Matsuo scende da una lussuosa lettiga. Al­cuni contadini si ammansano dinanzi all'entrata).

Takaschima                 - Nobili signori, abbiate pietà di noi, anche i nostri figli sono là dentro.

Vari contadini             - Sì, o signori, v'imploriamo!

Ichitaron                     - Sì, fateli uscire!

Gemba                        - Ma che volete che c'importi dei vostri stu­pidi e sporchi marmocchi! Quelli non ve li tocca nes­suno davvero; andatevene, fuori! (Entra e getta uno sguardo nella stanza).

Takaschima                 - Il mio Choma ha proprio la stessa età del signorino Shusai; fate che non succeda qualche sbaglio.

Wadagaki                   - Se staccate la testa ad un altro, poi non potrete più certo rimetterlo in vita. Dateci i nostri ra­gazzi!

Gemba                        - (voltandosi verso la porta a Matsuo) Son ben fastidiosi costoro! Tacete, ubbidite e non fate baccano!

Acuni contadini          - O nobile, potente e grande signore!

Gemba                        - Su presto, cacciateli fuori!

Matsuo                        - (entrando) Non abbiate tanta furia!

Gemba                        - Debbo fors'anche rifletterci?

Matsuo                        - Permettete loro di prendersi i ragazzi.

Gemba                        - Voi siete pazzo!

Ichitaron                     - O signore, abbiate pietà di noi!

Matsuo                        - Che ve ne viene di tener qui i loro mar­mocchi? Non è certo questo un posto adatto per i bimbi.

Gemba                        - Di questo non m'importa nulla. Io voglio andar sicuro.

Matsuo                        - Non voglio davvero contraddire a ciò che detta la necessità...

Gemba                        - Voi non volete vedere, mentre è tanto chiaro che fra questi contadini bugiardi sarà presto trovato un nuovo padre per il ragazzo, come già prima ne era stato trovato uno nella persona di quell'astuto cortigiano.

Matsuo                        - Ma guardatevi intorno: qui il pensiero di nessuno è volto alle disgrazie altrui!

Gemba                        - Ah, voi conoscete il fondo dei loro cuori!

Matsuo                        - Conosco la vita. Ma se diffidate tanto dei miei giudizi, perchè non permettete che mi ritiri?

Gemba                        - Va bene, fate quel che volete: dato che qui fra tutti noi voi siete il solo che conosce il ragazzo, voi solo siete responsabile, qualunque cosa accada. Se pen­sate d'ingannarci ce ne accorgeremo e allora la puni­zione del mio signore vi saprà raggiungere. Tenete bene a mente questo! Ebbene, fate ora quel che ci è stato comandato. Ecco lì la cassetta, fate che riceva il suo contenuto e che sia quello vero.

Matsuo                        - Allora comandate ohe i guerrieri lascino libero il pa^sso. (Matsuo fa cenno ai guerrieri di lasciar libera la porta. I villici si precipitano dentro, mentre i soldati si dispongono in ordine sulla parete di sinistra).

Gemba                        - (sale sul gradino e di lì osserva ciò che ac­cadrà).

Matsuo                        - (ai contadini) Su, venite e gridate forte il nome dei vostri figli. Come si chiama il tuo bimbo?

Takaschima                 - (con molti salamelecchi) Choma. (Gen­zo, fin dal primo apparire di Gemba, si è messo davanti alla porta di destra con la mano sulla spada, mentre To­nami giace singhiozzando sul gradino).

Matsuo                        - Fallo pure uscire. (Genzo fa uscire i ra­gazzi uno dopo l'altro).

Genzo                         - Avanti Choma, vieni qu'i! (Choma viene os­servato attentamente da Gemba e Matsuo).

Matsuo                        - Ti sei «porcata la faccia per benino, ragazzo mio! Una lavatimi ti farebbe bene. Va pure!

Wadagaki                   - Dov'è Iwama?

Vari contadini             - Izumo, Tokusan!

Matsuo                        - Abbiate pazienza, prima l'uno e poi l'altro!

Genzo                         - Vieni, Iwama!

Gemba                        - (ridendo) Questo lasciatelo pure andare. Bel principe sarebbe davvero quel tipo lungo dalle zampe di cavallo!

Matsuo                        - Iwama, puoi andare.

Gemba                        - Fate pure venire avanti tutta la masnada in blocco, dopo quanto ho visto ho fiducia di trovarlo da me il principe! (Genzo fa uscire tutti i ragazzi, eccetto Shusai e Kotaro, e rimane fermo davanti alla porta. Matsuo e Gemba osservano con molta attenzione Izumo e Tokusan nonché i tre scolari rimanenti. Appena To­kusan giunge nei pressi di Gemba questi gli solleva il mento con l'elsa della spada e guarda il suo volto).

Gemba                        - Ma guarda! E chi è questo? Costui sarebbe quasi il tipo giusto! Ma no! Il suo occhio vaga verso il basso e la sua bocca vorace è molto più atta a masticare e a divorar cibi che a pronunciare parole di comando; su corri con quanto fiato hai in corpo! (Gli ultimi con­tadini si dileguano con i loro figli così che soltanto Matsuo, Gemba, Genzo e Tonami e i guerrieri riman­gono in scena).

Gemba                        - Ora ci siamo: la zavorra l'abbiamo buttata a mare. Ora guardiamo quel che c'è rimasto!

Genzo                         - Devo chiamare il principe?

Matsuo                        - No, fermati! Che malgrado io sia lieto di rivederlo ancora una volta per ritornare col pensiero ai tempi in cui suo padre mi fu tanto vicino nella buona fortuna quanto ora nella cattiva è da me lontano, non voglio tuttavia essere testimone della sua morte prema­tura. Fate ciò che dovete secondo quanto necessità co­manda. Io non farò che constatare la verità del vostro atto. E questo basti.

Gemba                        - Avete un cuore tenero, voi, che si sofferma dubbiosamente ai tempi passati; ma se il mio signore vi avesse capito a fondo come faccio io, mai egli avrebbe avuto confidenza in voi!

Matsuo                        - Il tuo signore è tanto saggio, amico mio, quanto tu sei cieco nel tuo zelo. Non interpretare male i lamenti del cigno che ancora scendono in basso verso la terra, mentre già poderose battono le ali per traspor­tarlo lontano al di là delle nevi e dei ghiacc'i, là dove nasce una nuova primavera.

Gemba                        - (profondamente diffidente) Consiglio a quel cigno di non mirare troppo lontano. Potrebbe sbagliare la rotta!

Matsuo                        - Avete ragione, il momento presente ri­chiede uomini rudi, assolviamo dunque il nostro triste compito! Genzo, prendi la cassetta e fa quanto ti è stato comandato! (Si allontana e si chiude completa­mente in se stesso).

Genzo                         - Non vi commuove proprio la tenera imma­gine della giovinezza?

Gemba                        - Vuoi ricominciare ancora, noioso individuo?

Genzo                         - Io sono un essere umano e voglio e devo rimanere tale.

Gemba                        - Metterò una fine violenta alle tue fisime!

Genzo                         - Non mi fa paura il sacrifizio della vita.

Gemba                        - L'eroe va a farlo altrove, questi mezzi con me non attaccano! La tua vita è nelle mie mani dato che tu hai celato qui i nemici dello Stato. Espia dunque la tua colpa e non far resistenza; altrimenti basterà un solo ordine ai guerrieri e, per Dio, tu sarai il primo a morire davanti agli occhi stessi del ragazzo terroriz­zato, ma a lui non recherai alcun vantaggio!

Genzo                         - Cedo alla forza, solo alla forza! Ma questo sangue ricadrà soltanto sul vostro capo e l'ignominia nei tempi futuri coprirà il nome vostro, e non il mio! (Mat­suo dà segni di profonda emozione ma cerca di mante­nersi impassibile. Mentre Genzo, esasperato, corre verso la porta di destra, Gemba gli grida con ironia)

Gemba                        - Non ti dimenticare la cassetta: sei troppo impetuoso amico mio! (Uno dei guerrieri passa la cas­setta a Genzo che la prende riluttante e poi esce. Tonami singhiozza) Guardate com'è inviperito perchè ora è co­stretto a distruggere la tela che aveva così astutamente tessuta. Se potesse, saremmo noi le vittime della sua spada, e quello sì che sarebbe un colpo sodo, che gli ver­rebbe dal profondo del cuore!

Matsuo                        - Ho compassione di lui.

Gemba                        - E non fate alcun sforzo per nasconderlo.

Matsuo                        - Datemi un istante per raccogliere i pen­sieri sparsi a tutti i venti da un turbine proveniente dal profondo dell'anima. (Pausa. Matsuo è rivolta da una parte. 1 onami singhiozza. Gemba va su e giù).

Gemba                        - Hh, strano! Cos'è questo? Mi sembra che poc'anzi ne facemmo uscire sette di quei marmocchi ed ora vedo che qui c'è posto per nove. Ehi, donna che vuol dire questo? Quanti allievi ha vostro marito?

Tonami                        - Signore non vi comprendo.

Gemba                        - Siete un po' dura. Voglio sapere il numero degli scolari. Quanti allievi ha vostro marito?

Tonami                        - Credo che adesso siano otto.

Gemba                        - Credete? Dovreste saperlo! Vedo che qui ci sono nove tavolini.

Tonami                        - Questo è... Uno appartiene a uno scolaro nuovo che ci fu appena annunciato.

Gemba                        - E che voi mi celate? Dunque siete riusciti ad ingannarmi lo stesso!

Matsuo                        - Perchè vi agitate? Come può essere che una simile coincidenza possa irritarvi a tal punto? Fra poco avremo sotto gli occhi il fatto compiuto e allora potrò sciogliere ogni dubbio. Conosco il bimbo anche troppo bene e nulla potrà ingannarmi. Abbiate ancora un po' di pazienza.

Gemba                        - Di voi non mi fido.

Matsuo                        - Mi dispiace per voi. (Si allontana fredda­mente).

Gemba                        - Ah, dannazione! Voi siete riusciti a rimbe­cillirmi a tal punto che non credo più ad altro che a ciò che posso toccar con mano. (Si getta contro la porta che trova sprangata) Ehi, tu là dentro, apri! Voglio entrare! Voialtri, forzate questa porta. Voglio un po' vedere come finisce questo scherzo. (Mentre i guerrieri stanno per gettarsi contro la porta, Genzo apre dall'interno ed esce sporco di sangue. I guerrieri si ritraggono, di­nanzi alla visione, all'interno della stanza. Genzo dà a Gemba la cassetta. Pausa).

Genzo                         - Ecco la testa del principe, secondo il vostro comando.

Gemba                        - L'osserveremo con la massima cura, perchè non compro senza veder la merce, io. (Fa un cenno ai suoi uomini) Voialtri venite qui. Matsuo prendi la cas­setta ed esamina attentamente il contenuto. Voglio la verità! E' questa la testa del principe? (Matsuo prende in silenzio la cassetta, la pone su un tavolinetto e si lascia cadere in terra, col corpo a metà voltato verso il pubblico. In fondo i guerrieri. Genzo osserva la scena di lato. Dinanzi a Matsuo inginocchiato sta Gemba, os­servando attentamente con la mano sull'elsa della spada. Tonami singhiozza. Matsuo attira a se la cassetta, apre poi il coperchio tenendo chiusi gli occhi e alza poi le palpebre con lentezza, come in sogno. Guarda la testa per qualche tempo e la sfiora dolcemente con mano tre­mante. Sul suo volto appare l'espressione del più pro­fondo dolore. Infine la risposta).

Matsuo                        - E' questa!

Alcuni Guerrieri          - E' questa!

Gemba                        - Vi ho scrutato fino al fondo del vostro cuo­re, Matsuo. E non ho scorto neppure l'ombra fuggente di una segreta gioia per l'inganno riuscito. Ebbene, io vi ringrazio! Onoro il vostro dolore, che vi tocca così pro­fondamente e non posso che augurarmi che anche al mio signore vogliate portare tanta devozione quanta ne avevate per questo morto. Il nostro compito è finito. Corriamo adesso a portare il messaggio a corte. E lì sarete certamente compensato.

Matsuo                        - (si alza) Lasciate ch'io resti, signore. Il mio dovere l'ho fatto ed ora farò come mi comanda il cuore. Di là una salma aspetta di essere sepolta.

Gemba                        - Vi onorano le lacrime che bagnano il vostro occhio; non mi opporrò. Volete che vi lasci i miei servi per aiutarvi?

Matsuo                        - Mi è grato farlo da solo.

Gemba                        - E non vi serve alcuna spada a protezione?

Matsuo                        - No, perchè? Noi siamo tutti accomunati dalla sventura.

Gemba                        - Allora, addio! Saprò mettere in luce i vostri servigi presso il Sovrano. (Rivolto ai servi) Prendete la cassetta! Addio! (Uno dei servi prende la cassetta. Esco­no Gemba e il seguito. I pochi servi di Matsuo restano fuori con la lettiga. Matsuo fermo segue con gli occhi la cassetta. Pausa).

Matsuo                        - Addio, addio!

Genzo                         - (con amara ironia, appassionatamente) No, non è giusto che pianga la disgrazia chi ne è la causa. Vattene sciagurato! Tu vuoi dare la sepoltura alla salma del nostro principe? Come puoi tu credere che io ti per­metta soltanto di toccarlo? A te che così poco conser­vasti della sua immagine che i tuoi occhi ottusi non lo ravvisarono nemmeno e ti ingannarono? Va' via di qui, maledetto, che ti chini così facilmente alla violenza e che riesci a vivere nell'opulenza e non ti curi se scenda la benedizione del sole sulla nostra patria oppure se le nevi e i ghiacci ne facciano avvizzire i dolci frutti. No, tu sei occupato ad impinguarti il ventre e nulla com­prendi di ciò che un cuore umano possa considerare nel pianto e nella miseria. Sì, va', vattene lontano che non mi vinca la foga del mio sangue e non mi costringa a darti quel che ti meriti. Va', ti disprezzo! (Ila alzato la spada contro di lui, ma poi gliela getta ai piedi. To­nami ha un balzo).

Matsuo                        - (si è seduto ad uno dei tavolini e risponde come da lontano) Tu sei così lontano che il suono della tua voce non potrà mai raggiungere il mio orecchio.

Genzo                         - Ora fai anche l'arrogante nella tua impu­denza, mentre sei sporco d'ignominia e d'infamia!

Matsuo                        - (con molta calma) Non sono per doman­darti se ho agito bene o no, non sei tu il mio giudice! Dammi il fanciullo che tu hai assassinato, perchè io ho più diritto, più diritto di te a quel corpicino!

Genzo                         - Ma guarda, ciò fa meraviglia! E' forse per­chè ti era stato concesso di compiere un atto nobile che tu invece hai disdegnato? 0 forse perchè nella tua mano avevi potere e divenisti poi tanto impotente a servire il nostro sovrano che ora è costretto a mangiare il pane dell'esilio, nel disprezzo di te? Tu hai più diritto? Sì, certo, poiché credeva che tu gli fossi amico ed ora invece guarderà a te come al traditore di suo figlio! Che schifo! No, no, neanche una parola, già la tua presenza profana la povera vittima innocente che qui è caduta!

Matsuo                        - (interrogativamente senza rimprovero) La tua mano forse gli ha fatto del bene?

Genzo                         - Son questi i tuoi argomenti? No, guarda: anche questa spada è lorda di sangue, eppure non sa nulla dell'atto scellerato che essa ha commesso spe­gnendo una giovane vita. (Ha raccolto la spada e la porge a Matsuo che la prende con dolorosa tenerezza) Io posso alzare le mie mani libere al cielo, la maledi­zione colpisce te soltanto!

Matsuo                        - Sì, essa cade su di me, ma lascia che io porti meco il mio dolore che m'appartiene.

Genzo                         - Nulla qui t'appartiene!

Matsuo                        - Il cuore e la mano di un sacerdote restano sempre puri. Ma davanti alle leggi divine rimangono eternamente uniti il sacrificio e chi lo offre e non è le­cito dividerli.

Genzo                         - Divider te da che cosa? Le tue parole 6ono oscure.

Matsuo                        - Il tuo segreto...

Genzo                         - Parli del principe?

Matsuo                        - (depone la spada su un tavolinetto) Non domandare.

Genzo                         - Non devo domandare mentre tu parli a enimmi? Chi cerchi qui?

Matsuo                        - Non cerco la vita.

Genzo                         - Non la vita? Cosa vuoi dire?

Matsuo                        - Senti ancora, dunque, che in qualche parte regna ancora l'oscurità malgrado la luce più viva si ri­specchi nel tuo animo virtnoso che di sé si compiace?

Genzo                         - Questo è sarcasmo, spiegati con una sola parola!

Matsuo                        - (freddamente) Io ti conosco interamente!

Genzo                         - Ah, tutto è in luce, voi sapete tutto!

Matsuo                        - Tu nulla hai potuto nascondermi.

Genzo                         - Voi sapete. Sapete che nell'angoscia suprema del mio cuore trovai un bimbo che non avevo mai visto prima d'ora. Certo un demonio, uno spirito a lui nefasto, e a me benigno, l'ha condotto nella mia casa! E dato che ero sopraffatto e non vedevo alcuna via di scampo, nascosi il principe, mentre costrinsi l'altro con la vio­lenza a seguirmi, e prima ancora che avesse compreso quel che stavo per fare e che era in gioco la sua vita, con un colpo gli mozzai la testa! (Pausa) Che tormento! Nei suoi occhi ancora per qualche tempo si soffermò la vita e vacillò la fiamma con fioca luce, mentre le labbra contratte si muovevano convulse come per pronunciare maledizioni, e tutte, tutte ricadevano sul mio capo. O Matsuo, avrei voluto sprofondarmi nella notte profonda della terra per non dover vivere quel momento! (Du­rante quel racconto, Matsuo si è rivolto altrove profon­damente commosso. Ora che Genzo cerca un compagno al suo dolore, Matsuo lo evita. Pausa) Signore abbiate pazienza, lasciate che io raccolga tutti i miei pensieri. Non vi adirate contro di me! Io non vi ho offeso. Fui uno sciocco credendo d'ingannarvi ed ora vedo che voi comprendeste le mie arti molto prima. Voi vedeste l'inau­dito inganno e non m'avete tradito, avete conservato l'unico figlio del re, pegno di future speranze. Quanta fedeltà in voi! Grazie per questo, mille volte grazie! Questo la vostra Patria non lo dimenticherà mai! (Genzo ha fatto un nuovo tentativo di avvicinamento. Matsuo però rifiuta ora le lodi come prima il biasimo con un leggero senso di ribrezzo. Le sue parole esprimono un riflesso deWanima piuttosto che un pensiero preciso).

Matsuo                        - (con un leggero senso di ribrezzo) Fugge­voli sono le parole e ancora più i pensieri e facilmente muta il'cuore. Quale sarebbe il nostro punto d'appoggio in tutte queste tempeste se non avessimo in noi quella legge che ci guida in alto verso il dovere supremo, che perdendo se stesso conquista il Biondo!

Genzo                         - Voi mi schivate; ditemi che mi perdonate, signore, io non vi lascio prima! Dimenticate il mio zelo eccessivo che ha trasceso. Dovete comprendermi! Datemi la vostra mano e allora sentirò che non mi disprezzate. (Matsuo si sottrae alla mano tesa di Genzo).

Matsuo                        - Io non ti porto rancore e ciò ti basti. Tu non ti rendi conto di quel che mi chiedi.

Genzo                         - Voi vi allontanate sempre più; ancora non comprendo dove vi dirigiate e non so seguirvi.

Matsuo                        - Resta in te e agisci secondo la tua natura; anche questa è la vita. Genzo - Come siete cambiato!

 Matsuo                       - Perchè ti irrita il mio io se esso non sa adattarsi all'immagine che poc'anzi l'odio ed ora l'amore si sono ricostruiti? Sii tollerante, amico, e lascia che io agisca secondo leggi che non sono le tue ma che io traggo dal profondo della mia anima, pur consapevole di sbagliare, ma cosciente dei miei desideri che mirano lontano, forse più in là dei confini dell'umanità!

Genzo                         - Temo per voi, signore, vedendovi così. Voi siete e non siete come vi conobbi, e mi sembrate cam­biato nel più profondo dell'anima vostra. Ma sono certo che tornerà per noi il bel tempo antico e che di nuovo saremo insieme al nostro buon sovrano. Voi venite con noi, non è così?

Matsuo                        - Fuggi tu da lui, portagli suo figlio e digli questo: Matsuo ti ricorda come colui dal quale rinasce­ranno a questo popolo pace, diritto e libertà. Ricordagli questo suo dovere; null'altro digli di me.

Genzo                         - Certo glielo dirò, ma voi signore, non potete restare qui.

Matsuo                        - Non ti preoccupare per me!

Genzo                         - Signore, ciò che noi due abbiamo ifatto non può restare nascosto a lungo. Voi siete in pericolo come lo sono io e il bimbo. Anzi voi più di noi lo siete. Fug­gite con noi!

Matsuo                        - Qui mi aspetta il dovere.

Genzo                         - (con patos) Certo! Dobbiamo dare sepoltura a quel piccolo corpo. Questo è il meno che possiamo fare per compensare il suo sacrifizio. Ma poi dovremo affrettarci. Non sarebbe giusto mettervi in pericolo per questo. Tonami, vieni qui, aiutami!

Matsuo                        - (appassionatamente) No, non entrare qui! Tu non devi toccarlo! (Si è rivolto violentemente contro Genzo; questi comincia ad avere un vago sospetto e chiede spaventato).

Genzo                         - Dite, chi è? Voi conoscete il bimbo?

Matsuo                        - Lo conoscevo bene!

Genzo                         - E di chi era figlio?

Matsuo                        - Tu non vedesti la madre? (Genzo si ri­volge dubbioso a Tonami).

Genzo                         - Tu la vedesti!

Matsuo                        - Parla, allora! Quando fu qui? Come t'ha lasciato?

Tonami                        - Signore, essa mi sembrò agitata profonda­mente e sensibile fino all'eccesso come talora sogliono essere le donne: ahimè, credo che il cielo stesso abbia rimpito il cuore di quella sventurata di oscuri presen­timenti e l'abbia voluta preavvisare di non consegnare a noi la cosa a lei più cara. (Con amarezza) Oh, avesse scacciato il bimbo nella notte, lungi da sé, forse allora nelle foreste una belva feroce avrebbe avuto compassione di lui e l'avrebbe risparmiato!

Matsuo                        - Basta! Le tue parole sono l'inferno!

Tonami                        - 0 amato Signore, un orribile presagio mi dice ch'essa tornerà. (Fuggite con noi, cosicché mai più la incontreremo.

Matsuo                        - Devo cercarla

Tonami                        - Non resisterete!

Matsuo                        - Voglio piangere insieme a lei.

Tonami                        - Oh, la sventurata!

Matsuo                        - Quando l'alloro e le rose lo copriranno essa non vedrà il suo sangue.

Tonami                        - E' questa una consolazione per una madre? Che anche se montagne di fiori lo avviluppassero, tutto quel profumo non coprirebbe il soffio della morte su que­sta immagine sfigurata.

Matsuo                        - Certo più bella è la morte dell'eroe sul campo insanguinato! Altro a lui aveva riservato il de­stino. Ma la sua morte significa la vita, la pace, la feli­cità dei nostri fratelli il cui destino si volge al bene; questo soltanto è decisivo. Null'altro vale quanto que­sto unico premio.

Genzo                         - Più di una battaglia egli ha vinto per il re; poiché ciò che il futuro potrà ancora offrirci, a lui soltanto, lo dobbiamo.

Matsuo                        - Ma questo giorno rapisce a me la promessa di una vita futura.

Genzo                         - Potete bene incoronarlo vincitore. Voi lo amate per i suoi genitori e per questo è igiusto che gli concediate i dovuti onori.

Matsuo                        - Questo è anche mio desiderio. Chiamate i servi! (Genzo apre la porta anteriore. Appare Chiyo da­vanti alla Quale sono in rispettoso silenzio i servi. To­nami getta un urlo appena la vede).

Genzo                         - Entrate!

Tonami                        - (rivolta a Genzo) E' lei la madre. Dio, tu sei perduto! (Mentre Genzo e Tonami sgomenti tac­ciono, Matsuo e Chiyo si incontrano con gli occhi. Chiyo si sorregge alla porta; Matsuo le viene incontro trepi­dando, ma non la raggiunge).

Matsuo                        - Nulla ti dico, amata sposa, di cose che non ti toccano e che il tuo cuore non conosce. Ci basti di piangere uniti.

Chiyo                          - E' dunque vero ciò che tacciono questi sguardi?

Matsuo                        - Sì, non indagare, troppo grande è la tua sventura.

Chiyo                          - Dov'è mio figlio?

Matsuo                        - Imponi silenzio a tutti i tuoi desideri...

Chiyo                          - (gettandosi gemendo senza lacrime su uno dei tavolinetti) Allora maledico la speranza che s'affida a Dio!

Genzo                         - (a bassa voce) E' una visione? E' realtà?

Tonami                        - Essa è sua moglie!

Genzo                         - Sì, sua moglie. Puoi capire?

Matsuo                        - (avvicinandosi ancora a Chiyo) Lascia li­bero corso alle lacrime!

Chiyo                          - Ora che il fuoco mi brucia mi vuoi conce­dere refrigerio? (Gemendo) Lascia ch'io mi tormenti. Ho finalmente imparato a non giocare col fuoco!

Matsuo                        - Non bestemmiare! Tu hai scelto cosciente­mente la vita pili dura. Non fu gioco del caso.

Chiyo                          - E tutte le mie speranze?

Matsuo                        - Bisogna guardare in faccia alla verità!

Chiyo                          - Voglio che la notte mi copra e mi prenda e spenga la fiamma della mia vita!

Matsuo                        - Mio amore!

Chiyo                          - (duramente) No, non parlarmi. Le parole danno l'ebbrezza! Quando ritorno con la unente al mio inebbriamento altro non vedo che nebbia, fumo e eangue. Oh, potessi morire! 73.

 Matsuo                       - Non tormentarti adesso che un destino che noi non comprendiamo ci ha feriti a morte.

Chiyo                          - Sì, lo so, lo so. Tu difendi la tua causa, tua, tua fu l'idea, tu mi facesti venire qui. Tu stesso l'hai mandato al sacrifizio, tua, tua la colpa quanto mia!

Matsuo                        - Io ne sopporto il peso e non mi lamento di quanto io stesso ho fatto.

Chiyo                          - Ma ciò che hai fatto a me tu non lo senti.

Matsuo                        - Oh, ascoltami! So che tu hai un sacro di­ritto di lamentarti. Ma frena la tua passione sciagurata che dilania se stessa! Non è forse stato il tuo cuore che rinunziando a se stesso s'è votato al grande amore che non conosce che fratelli? La fiamma che in te ha destato un Dio con santo ardore, tu non devi spegnerla, soltanto perchè soffre la tua debolezza. Se saprai ritro­vare te stessa in questa sventura, allora spero per te non già consolazione ma almeno lacrime.

Chiyo                          - (cercando, volgendosi a lui) Hai tu amato il bimbo?

Matsuo                        - Puoi tu dubitarne? Egli era parte di te. Que­sta è la ragione per cui soffro indicibilmente. (Si allon­tana e non riesce più a dominare la sua commozione. Chiyo si solleva, va da lui, cerca il suo volto e infine si appoggia completamente calma al suo petto).

Chiyo                          - Tu solo! Tu sei il Dio che in me ha susci­tato quei sentimenti d'umanità. Adesso lo comprendo! Che malgrado il mio cuore gema e quasi svanisca ed i pensieri s'intreccino privi di sen3o ed io non so se sono e dove e come: io debbo amarti con tutto il mio essere per elevarmi fino a te e per formare con te una cosa sola. Prenditi dunque il mio dolore e dopo aver recato pena, dammi ora consolazione.

Matsuo                        - (con calda tenerezza) Mio unico bene! (Pausa. Poi come domandando, cercando).

Chiyo                          - (ricadendo a sedere sostenuta da Matsuo) Sono tanto stanca, tanto sazia di tristezza. O che la marea di lacrime possa trascinarci nelle profondità del Mare Eterno. (Piange. Pausa).

Genzo                         - Sono esterrefatto. Ancora dubitano l'occhio, l'orecchio, il cuore, l'anima, ancora non mi sono reso conto. Dimmi, dimmelo con parole ch'io possa compren­dere. Questo bimbo era tuo figlio?

Matsuo                        - L'unico mio figlio.

Genzo                         - E come, tu l'avresti coscientemente mandato qui da noi affinchè egli morisse, vittima sacrificata al re?

Matsuo                        - Non avevo altra via per servire il mio sovrano.

Genzo                         - (a Tonami) Perchè non m'hai donato un bimbo che io potessi concepire il pensiero di tanto sa­crificio?

Tonami                        - O dei, io vi ringrazio per tutte le mie pene segrete!

Matsuo                        - Venite ora, miei fidi, entrate, preparate il feretro per condurre nella casa avita ciò che avemmo di più caro. (/ servi escono per la porta di destra).

Chiyo                          - Oh, fammi andar*- da lui!

Matsuo                        - Frena ancora il tuo desiderio immaturo. Af­fidati a me solo.

Genzo                         - Matsuo, il mio cuore trema e nel profondo dell'animo sento un'angoscia che mi costringe a fuggirti. Ma non posso andare, non così; sopporta la mia presenza, sopporta ch'io mi soffermi vicino a te. La mia mano non ha potuto toccarti, ma io ardo di dolore per te. So che io nei tuoi occhi spezzo l'equilibrio -dell'unir verso. Per questo debbo lasciarti, ma il mio cuore geme «otto il peso della tristezza, mentre in esso sorge in alto una fiamma di passione; poiché gli orrori del pre­sente non sono nati dal mio petto né dalla volontà mia; nulla il mio cuore sa di quelli, in esso brucia il desi­derio: è giusto che io mi allontani da te, ma il mio animo anela verso di te nel tormento d'amore! (Matsuo ti avvicina lentamente a Genzo e gli porge la mano con nobile semplicità e Genzo la prende con grata, e rispet­tosa venerazione).

Matsuo                        - Ti ringrazio, degno amico! Ti lascio senza amarezza.

Genzo                         - Sii ringraziato! (Stanno per tornare dalla atanza attigua i servi di Matsuo).

Matsuo                        - Lascia ch'io ti conduca al feretro che rac­chiude il frutto immaturamente avvizzito della tua vita.

Chiyo                          - Ahimè!

Matsuo                        - Affidati completamente al mio braccio; sor­reggerti è la mia sola cura. (Portano la bara coperta e cosparsa di fiori. Genzo e Tonami si trattengono rispet­tosamente sulla porta).

Chiyo                          - Me infelice! E* questo il mio dolce monello? (Si copre il volto) Come sei silenzioso!

Matsuo                        - Dorme. Nella pace non c'è tristezza. (La conduce alla bara che a un suo cenno viene deposta dai mrvi. Chiyo rimane china \su di essa).

Chiyo                          - Quando correvi dietro alle libellule, leggia­dro, alto suonava il tuo grido gioioso verso il sole.

Matsuo                        - Egli ha combattuto duramente contro la vita e ha vinto: ed ora riposa l'eroe.

Chiyo                          - (inginocchiandosi con teneri lamenti presso il feretro) Non vuoi risvegliarti, non vuoi più giocare, ama vuoi attingere nuova vita dalle acque gorgoglianti? Matsuo - In alto, ad altezze vertiginose giunse il suo anelo, elevandosi al di là delle nubi. Dato gli fu on destino di uomo e non gli fu concesso di godere la vita ma di plasmarla.

Chiyo                          - Dal mio seno mi nacque un giorno la mia gioia più grande e crebbe sempre per addolcirmi l'estasi iella vita. Allora i miei giorni acquistarono calore e ricchezza ed io stessa crebbi con l'intima pienezza della mia anima e tutta la mia vita divenne benedizione. Ma il dolce frutto si staccò a forza dal mio cuore ed il cuore «pezzo i legami di amore e vaga adesso senza meta, tome foglia al vento. (Pausa di silenzio religioso. Poi mppare Shusai timidamente sulla porta).

Shusai                         - Sono così angosciato, ditemi, cos'è successo? Perchè piange la bella madre di Kotaro?

Genzo                         - E' morto suo figlio.

Shusai                         - Il mio nuovo compagno?

Genzo                         - E' morto per te.

Shusai                         - Per me, ma cosa ho fatto?

Genzo                         - I nemici di tuo padre ti cercavano.

Shusai                         - E lui, lui cosa ha fatto? (Shusti ha par­lato a bassa voce, alla fine però, sempre più eccitato, ha ttlsato il tono, cosicché ora può rispondergli Matsuo).

Matsuo                        - Egli conosceva la tua sventura e allora s'in­fiammò il suo cuore e volle .salvare il figlio del sovrane . e si sacrificò per te.

 Genzo                        - Tu mi spaventi ancora. L'avrebbe dunque saputo?

Matsuo                        - Egli sapeva tutto!

Genzo                         - E si sarebbe così gioiosamente date in brac­cio alla morte?

Matsuo                        - Un cuore di bimbo è «empre pronto a se­guire la via del sacrificio.

Shusai                         - O giornata spaventosa. Per me, per me!

Matsuo                        - Per te, mio giovane principe!

Shusai                         - Egli era migliore, molto migliore di me!

Matsuo                        - Allora sii con lui!

Shusai                         - Non posso sopportarlo ed il mio cuore ai contorce nel tormento. E chi vi dice che io accetti a» simile sacrifizio?

Matsuo                        - E’ tuo dovere, principe.

Shusai                         - Un'anima tanto nobile, un cuore così poro e tutto questo per me!

Matsuo                        - Per questo anche tu conserva puri il tuo cuore e la tua anima. Ma la suprema virtù che nobi­lita queste azioni devi conquistarla da solo. Innalzati, sii più nobile, migliore di quel che sono gli uomini e allora le future generazioni ti loderanno.

Shusai                         - Non potrò mai dimenticare questo mio amico più caro! (Cade in ginocchio accanto al feretro singhiozzando).

FINE DELLA TRAGEDIA

Alla prima rappresentazione di questa trastua, recitata, con la regia di Gerardo Guerrieri, la sera del 16 febbraio 1943, al Teatro delle Arti di Roma, diretto da Anton Giulio Bragaglia, le parti furono così distribuite:

Umberto Cardin (Kwan Shusai, figlio del sovrano legit­timo in esilio); Angelo Calabrese (Matsuo, tcancelliere del principe esiliato, ora al servizio d;ll'usurpetore); Anna Prodemer (Chiyo, sua moglie); Giorgio Torelli (Kotaro, loro figlio); Mario Scepi (Genzo, uomo di Corte del principe scacciato, ora maestro idi una scuola a Seryo); Lina Bonatti (Tonami, sua moglie); Attilio Ortolani (Gemba, uomo d'armi al ser­vizio 'dell'usurpatore); Ezio Banchelli, Giovanni Delfini e Mauro Barbagli (Kojima, Sakuma e Chimpaku, guerrieri al seguito di Gemba); Giuseppe Cardin, Franco Mollica e Ar­mando Bonamano (Takaschima, Wadagaki e Ichitaron, con­tadini del villaggio di Siryo).