Terra sconosciuta

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TERRA SCONOSCIUTA

TERRA SCONOSCIUTA

Commedia drammatica in tre atti

di GINO CAPRIOLO

PERSONAGGI

ANNA SEGNI

ELENA POGLIAGHI

OLGA

CARLA

GIOVANNI SEGNI

CLAUDIO GIANI

ALODIA

ARTURO POGLIAGHI

BEKER

IL COMMISSARIO

IL DOTTOR FLORIO

IL DOTTOR CALENDI

IL CAMERIERE

IL CUSTODE

Epoca moderna. Il dramma si svolge in una città d'Italia, dalle ore quattordici alla mezzanotte della stessa giornata solare.

ATTO PRIMO

La casa di Giovanni Segni. Il suo studio personale. Ar­redamento borghese, ma di gente agiata e di gusto. Molte poltrone, un grande tavolo sul quale sono, tra l’altro, il telefono, dei libri ed una grande fotografia di Anna Segni. Una porta a destra, l’altra a sinistra. La comune è in fondo a destra, mentre a sinistra vi è una finestra. In un angolo, un piccolo « bar»,

(All'alzarsi del sipario, è il primo pomeriggio. Anna è su di una poltrona, e dorme: la mano le è scivolata sul grembo, e con la mano un libro aperto. Dalla destra, Giovanni Segni, accompagnato da Claudio Giani).

Giovanni                       - (si accosta ad Anna) Anna! (A Claudio) Dorme. (La chiama ancora, sottovoce) Anna... Su, Anna, bambina mia...

Anna                             - (nel sonno, ha come un gesto di fastidio: si volta dall'altra parte, ostinata).

Giovanni                       - (a Claudio) E’ stanca. Anche questa notte si è addormentata tardi. E' tornata a casa oltre la mez­zanotte, ed è rimasta a leggere, a letto, fino alle due. Io le dico sempre che questo non può farle bene, ma naturalmente non mi ascolta.

Claudio                         - E' giovane.

Giovanni                       - Sì, è giovane. (La guarda, con tenerezza) E’ straordinariamente giovane. Io mi domando, qualche volta, se il mio, verso di lei, sia egoismo o sia amore.

Claudio                         - (è imbarazzato: accenna un vago gesto di protesta).

Giovanni                       - Ho quasi cinquant’anni, sapete? E’ una età nella quale molte illusioni se ne sono andate, ed altre minacciano di seguirle. Già, parlo a voi, come se poteste comprendermi. La vostra età è molto più vicina alla sua che alla mia.

Claudio                         - Non ho che dieci anni meno di voi.

Giovanni                       - E vi sembrano pochi? Comunque, io penso di essere un signore piuttosto vecchio, che ha molti pen­sieri, molti affari, e poco tempo da dedicarle. Mi sarebbe piaciuto, non so, farle fare dei viaggi, farle conoscere un po' di mondo. Ebbene, mi è riuscito così raramente! Sapete la mia vita è difficile: l'Università, le consulenze tecniche... Senza tener conto del Consiglio delle ricerche, che mi porta via giornate e giornate. Voi pensate che potrei limitare le mie attività. Molti me le rimproverano. C'è chi mi accusa di essere avido dì danaro. In fondo non è vero. Io non ho bisogno di danaro: ne ho fatto a meno per tanto tempo! Ma quello che guadagno non occorre per me. Vedete, io credo che quando un uomo sposa una donna tanto più giovane di lui, ha per lo meno il dovere di assicurarle una esistenza facile, senza preoccupazioni. Non vi sembra?

Claudio                         - Ma... certamente...

Giovanni                       - Non aspettate dunque tanto per ammo­gliarvi. Vi consiglio di fare più presto di me.

Claudio                         - Ma io non ci penso affatto.

Giovanni                       - Ed avete torto. Oh! evidentemente non sapete cosa significhi, per un uomo, avere qualcuno che lo attenda a casa! E' un pensiero che dà caldo al cuore. Che sarebbe la mia giornata, se non avessi questo? Ah, sì! La fisica! Va bene: una cosa bellissima, ma teorica. Su, non fate la faccia scandalizzata! So benis­simo che si tratta di una scienza positiva, e non ho nes­suna intenzione di disilludervi sulla sua importanza. Ma... una donna che amate! Non vi è nulla di meglio per aiu­tarvi a vivere. (Si accosta di nuovo ad Anna) Ma guarda­tela! Ora dorme a pugni stretti, come i bambini! Prove­rete anche voi tutto questo. Nulla mi dà più gioia della sua vita fisica, anche .se non so dimenticare la sua grazia ed il suo spirito. Ma quando la vedo dormire, o mangiare, con quel suo appetito giovane e sano, vi garantisco che...

Anna                             - (nel frattempo si è risvegliata, pur stentando a ritrovarsi: si solleva ora di colpo, con espressione smar­rito) Cosa c'è?

Giovanni                       - Nulla. Ti ho chiamala io, sottovoce. (Ride) Dormivi profondamente.

Anna                             - Profondamente? (Non ha visto Claudio, che è rimasto più in fondo: ora cerca con gli occhi di iden­tificare la persona che è con Giovanni) Ma chi è con te?

Giovanni                       - E' Giani.

Claudio                         - Sono io, signora. Buon giorno, signora.

Anna                             - Buon giorno, Claudio. (A Giovanni, come pre­occupata) Ma che dicevate?

Giovanni                       - Quando?

Anna                             - Poco fa, mentre dormivo. Sentivo parlare.

Giovanni                       - (ridendo, a Claudio) Ah! le donne! Non bisogna fidarsi del loro sonno. (Ad Anna) Parlavamo di te.

Anna                             - Di me?

Giovanni                       - Dicevamo che tu dormi poco, e che ti fa male. Anche ieri sera...

Anna                             - (alzandosi) Si, lo so. Non sgridarmi. (A Claudio) Sono stata da Elena. Io volevo andar via subito, ma, quando si è in compagnia, è difficile fare di propria testa. (A Giovanni) E poi, una donna sola, tu capisci, deve per forza costringere qualcuno ad andare via con lei, per accompagnarla.

Giovanni                       - E' un rimprovero?

Anna                             - Ma no, figurati...

Giovanni                       - (a Claudio) Ho dovuto lavorare, ieri sera. Tra giorni ho la mia prolusione. E quest'anno, tra l'altro, non ne ho voglia affatto. Intanto sì tratta di studenti nuovi, quasi dei ragazzi. Occorre conquistarne subito quel po' d'interesse che, forse, vi dedicheranno. Ed i ragazzi di oggi sono così distratti, anche nelle Università! Hanno altri pensieri, una vita diversa da quella che vivevamo noi, ai nostri tempi... Cioè, noi... Io! (Ad Anna) Sai che Giani voleva farmi credere che tra me e lui non vi è poi una gran differenza di età?

Claudio                         - Ma no! Soltanto ritengo che essa sia meno importante di quanto non abbiate l'aria di pensare.

Giovanni                       - Comunque, è gentile da parte vostra. (Scherzoso) Bene, bene, ce ne ricorderemo ai vostri esami di docenza!

Anna                             - (a Claudio) Sono ancora lontani?

Claudio                         - Spero in gennaio. Se il professore crederà che io possa affrontarli con qualche probabilità di suc­cesso.

Giovanni                       - Ma tutte! Le vostre pubblicazioni, specie l'ultima, sono molto interessanti. (Ad Anna) Questo gio­vanotto... mi permettete di chiamarvi così?... ebbene, darà molto fastidio a qualche fisico illustre mio collega. Ed anche a me, probabilmente!

Claudio                         - Ma via!

Giovanni                       - Chi è che sarà l'esaminatore alla docenza? Io o voi? Sono io che debbo giudicare, non voi.

Anna                             - (con un sorriso) Egli parla nello stesso modo, anche quando non siete presente.

Claudio                         - Gliene sono grato, ma...

Giovanni                       - Via, via! Ci occuperemo più tardi di stabilire se esagero. Ora debbo uscire. (Ad Anna) La solita seduta accademica per la designazione degli ordinari. Un covo di pettegolezzi. Ci amiamo poco, ci vediamo rara­mente, e quando ci vediamo è veramente una bella occa­sione per manifestarci, nei limiti del possibile, la schietta antipatia che ci divide. A meno che non si tratti di un assente, nel qual caso siamo eccezionalmente tutti d'ac­cordo per giudicarlo inferiore al suo compito ed alla sua fama. (Guarda l’ora) Ma occorre davvero che me ne vada. Corro rischio di essere io l'assente. E, ve l'ho detto, non è prudente. (Ad Anna) A presto, cara. Mi duole di averti svegliata, ma non sapevo rinunciare a salutarti. (A Clau­dio) Voi venite con me?

Claudio                         - (guarda Anna: un po' imbarazzato) Se non vi dispiace, vorrei rimanere ancora un po'... Siete stato così cortese, mettendo a mia disposizione la vostra biblio­teca...

Giovanni                       - Niente di strano, mi sembra, per un collega.

 Claudio                        - Ed allora, vorrei dare un'altra occhiata al libro dì Planck.

Giovanni                       - Benissimo, fate pure. (Ad Anna) Naturalmente tu gli offrirai del tè. Oh, non protestate! Anna non può rinunciare alle sue prerogative di padrona di casa. Non è vero, Anna? Arrivederci, allora. (La bacia sulla guancia) Anche a voi, Giani, arrivederci. Non so se vi ritroverò qui.

Claudio                         - Ci vedremo domani mattina, all'Istituto.

Giovanni                       - Ci conto. (Si stringono la mano: ad Anna) Mi accompagni? (Esce, dal fondo, con Anna).

Claudio                         - (è solo: ha ormai lasciato cadere la sua ma­schera a? indifferenza: siede pesantemente su di una pol­trona, e sembra assorto).

Anna                             - (è rientrata, leggera: si ferma sulla soglia, lo guarda) Ebbene?

Claudio                         - (si scuote) Ebbene, io non reggo, quando sono con lui e con te.

Anna                             - (non risponde: va al tavolo e guarda distratta­mente dei libri che vi sono deposti).

Claudio                         - Egli non dubita di nulla. La sua amicizia, la sua cordialità, mi sono diventate insopportabili. Del resto, tu sai che ho cercato dì sottrarmici, ma è stato impossibile. Non se lo saprebbe spiegare. Te l'ho detto, non sospetta di nulla... (Si alza, le va incontro dall’altro lato del tavolo) E ti ama...

Anna                             - (semplice, triste) Lo so.

Claudio                         - Ti ama, sì. Profondamente, teneramente. Quando eri addormentata, lì sulla poltrona, ti guardava, ti guardava... Solo un uomo che ama poteva guardarti così... Oh! Perdonami! E' assurdo, che io ti parli in questo modo!

Anna                             - Non è assurdo. (Gli va vicino, gli posa una mano sul braccio) Anche io sento la tua stessa pena. Tu sei ingiusto, se credi di essere solo ad avere dei rimorsi.

Claudio                         - Non si tratta soltanto di rimorsi. Ti amo anch'io. Allora, non sopporto l'idea di doverti dividere con lui. (Stringendola improvvisamente tra le braccia) Andiamo via! Vieni via con me! Io non ti posso offrire la tua vita di qui, ma saremo liberi da ogni menzogna, da ogni inganno. Egli soffrirà molto, ma poi ti dimenti­cherà, vedrai... o per lo meno saprà rassegnarsi... Troverà nel suo lavoro la forza di rassegnarsi...

Anna                             - (svincolandosi dolcemente) E tu?

Claudio                         - Io?

Anna                             - Sì, tu. D tuo lavoro, la tua vita...

Claudio                         - (con un gesto) Oh! Il mio lavoro, la mia vita...

Anna                             - (ostinata) E tua madre? Ti attende, laggiù, al tuo paese... Crede in te, nel tuo avvenire...

Claudio                         - Mi saprebbe felice.

Anna                             - Felice? Sì, forse. Felice. Un giorno... due... Un mese, un anno... E poi? No. no. Ti ho già fatto ab­bastanza male, non posso fartene dell'altro. Credimi, più tardi non sapresti perdonarmelo.

Claudio                         - Non è vero, tu sai che non è vero.

Anna                             - Sei tu che non sai quello che mi proponi. Sì, sì, so cosa vuoi dirmi. Ora, tutto ti sembra facile. Ma non è così, sai, non è così...

Claudio                         - Sei certa che è questo a trattenerti?

Anna                             - Sin dal primo momento, io non ho desiderato altro che il tuo bene. Guarda, quando egli, poco fa, par­lava di te, quando mostrava di avere fiducia in te, nel tuo ingegno, nelle tue possibilità, io sapevo che tu ne soffrivi, in quel momento. Sapevo anche che avrei do­vuto soffrirne anch'io, con te, perché tutto questo ti ve­niva dall'uomo che, insieme, inganniamo. Ebbene, io non ho saputo reprimere in me come un senso di gioia pro­fonda. Ti ho guardata con orgoglio, come, non so, una mamma può guardare il figlio...

Claudio                         - E non vi è nient'altro ad impedirti di...?

Anna                             - (interrompendolo, semplice) Ma si, lui!

Claudio                         - Lo vedi? Lo vedi? Io lo sapevo! Tu pensi più a lui che a me...

Anna                             - Anche a lui. Tu stesso mi hai detto che mi ama. Si, mi ama. Se non mi avesse amata, non lo avrei sposato. Forse l'ho sposato soltanto per questo. Pur­troppo non mi è bastato. Ed ormai è troppo tardi. Il suo lavoro? SI, probabilmente, il suo lavoro. Ma non è tutto. Egli non e come te, come noi: alla sua età... (Si ferma) Mi dispiace di parlare della sua età. Ma d'al­tronde è così. Il lavoro, il successo, non sono tutto. Egli vuole me. Oh! non è la mia vanità di donna, ti giuro, che mi fa dire questo! Egli ha bisogno di me. Io sono, come dire? il suo angolo, il suo piccolo angolo. Ogni uomo, in un certo momento della sua vita, ne ha bi­sogno, per rifugiarvisi, per riposare...

Claudio                         - E come puoi essere tu, per lui, tutto questo?

Anna                             - (ferma) So esserlo. Può sembrarti strano, eppure io so essere per lui quella che egli desidera, quella di cui ha bisogno. E’, del resto, il mio castigo. Sorridi? Hai torto. La felicità la si paga in qualche modo. Io la pago così. Odio mentire, e mentisco: essere con lui la donna che non sono, è uno sforzo di ogni giorno, di ogni ora. Sapere che egli è buono ed onesto, e mi ama, e sapere anche che io, per non farlo soffrire, debbo nascondergli la verità, non iè piacevole, credimi. Ma è il mio castigo. (Con subitaneo terrore) Ed io non voglio che sappia nulla: non deve sapere nulla, capisci?

Claudio                         - (amaro) Ebbene, vi è un solo mezzo per essere certi che egli non saprà mai...

Anna                             - Sst! Non essere cattivo. Sai bene che questo mezzo non esiste. Per ime non esiste. E nemmeno per te, Claudio. (Scuotendo il capo) E’ stato più forte di noi. E' Tunica cosa che ci giustifichi. Ora, non è più possibile lasciarci.

Claudio                         - Quando ti sento parlare di lui, penso che non vi sia altro da fare.

Anna                             - Tu non sai quello che egli è stato per me. Ed ancora, per me, è quello che era. Eppure, quando ti ho visto per la prima volta, ho sentito immediatamente che sarei stata tua. Io non, lo avevo mai ingannato. Cre­devo, anzi, di amarlo. Credevo che a poco a poco, vi-vendo con lui, io fossi veramente riuscita ad amarlo. Ma non era amore, il mio. Affetto, sì, profondissimo, ma non amore. Tu me lo hai fatto comprendere, perché ti ho amato subito, sai?, subito. E tuttavia, quello che io do ancora a lui, glielo ido come prima, con lo stesso senti­mento, con la stessa amicizia...

Claudio                         - Ed allora? Che cosa mi proponi, tu, in definitiva? In che modo vuoi risolvere i nostri proble­mi? Lasciando tutto come prima, non è vero? Io dovrò continuare a raccogliere come un ladro le ore che tu puoi darmi...

 Anna                            - Non tutte infelici, però...

Claudio                         - D'accordo, non tutte infelici. Ma poche, e rubate ad un altro. E, terminate queste ore, tu ritorni a casa tua, da tuo marito, dalle tue amiche, alla tua vita, insomma, che non mi appartiene...

Anna                             - Che ti appartiene, invece, come tutto di me. Che cosa sono le ore che io trascorro lontana da te, se non una parentesi tra i nostri incontri? Non capisci questo? Non lo sai? E che cosa credi che mi trattenga qui? La mia casa, i miei vestiti, il lusso che mi cir­conda? Oh! non nego! A tutte le donne piace vivere bene, avere dei bei vestiti, una bella casa... Ma quando esse amano, non vi è nulla, comprendimi, nulla di tutto questo che esse temano di rimpiangere, nulla che possa trattenerle. Una sola cosa: anzi due... Prima, il terrore di sciupare la propria felicità. Poi...

Claudio                         - Il dolore degli altri, non è vero?

Anna                             - Il dolore degli altri, si. Che esiste, anche se tu non vuoi. Che è lì, e ti attende, con le sue lagrime». Ed allora, Claudio, non si può, non si deve...

Claudio                         - (tace, ora: va verso il fondo, appoggia il volto ai vetri della finestra).

Anna                             - (lo raggiunge di nuovo; dolce, femminile) Ascoltami. Io ti amo. Non ho amato nessuno prima di te, e non amerò nessuno dopo di te. Noi abbiamo avuto insieme dei buoni momenti, non è vero? Io non li dimenticherò mai. E tu nemmeno potrai dimenticarli... (Sempre più tenera, quasi sottovoce) Io ti amo...

Claudio                         - (voltandosi, turbato) Perché mi parli così? E' come se fosse finito tutto...

Anna                             - Oh! no! Non è finito, non può finire. Ma, sai, certe volte si ha nel cuore qualche cosai d'indefinibile.

Claudio                         - Anna!

Anna                             - (pentita) Oh, no! Amore mio! Non essere triste! Perdonami... Sono stata sciocca... Forse perché tu mi hai parlato così duramente... Mai mi avevi parlato così…. Ma ora è passata... Vedi?... E' passata... Sono stata cattiva, non è vero? Ma non volevo farti soffrire, sai, non volevo!... (Si baciano, lungamente. Bussano alla comune: essi si disciolgono subito, e Claudio si allontana da lei).

Anna                             - Avanti.

Il Cameriere                  - (entrando) C'è la signora Pogliaghi.

Anna                             - Oh! Elena! Ditele che entri... (Il cameriere esce).

Claudio                         - Io vado via.

Anna                             - No, ora è meglio che tu attenda un mo­mento.

Elena                             - (dal fondo) Oh! cara! (Scorgendo Claudio) Siete voi, Giani?

Claudio                         - (le va incontro per salutarla).

Elena                             - Avete tutta l'aria di chi vuole disertare subito.

Claudio                         - Non siete voi che mi mettete in fuga. Do­vevo andar via.

Elena                             - Ma è possibile che non vi possa avere una sera in casa mia? Appunto ieri lo dicevo ad Anna. Ah! questi scienziati!

Claudio                         - Davvero non sono fatto per un salotto ele­gante come il vostro.

Elena                             - Ma avete torto! Vi avreste indubbiamente un successo! E quando non giochiamo, non vi è nulla di meglio di un intellettuale. Ora, i poeti sono fuori moda: ed i musicisti, poi! Non se «e può più! Crede­temi, il piatto del giorno sono gli scienziati. Oh! la gente «adora» la scienza! Forse comincia a convin­cersi che le deve tutte le sue piccole comodità. Bene: vedo che avete una voglia pazza d'andar via. Non voglio trattenervi. Ma fatemi almeno la promessa di una visita. Ci posso contare?

Claudio                         - (chinandosi a baciarle la mano) Certa­mente.

Elena                             - E, ditemi, i fisici si occupano anche di astro­nomia?

Claudio                         - (sempre sorridendo) Qualche volta.

Elena                             - Oh! ma allora, pensate un po' se parlerete delle costellazioni! Ve l'ho detto, avrete un successo folle nel mio salotto! La gente « adora » le costellazioni!

Claudio                         - (ad Anna) Arrivederci.

Anna                             - (porgendogli la mano) Arrivederci, Claudio.

Claudio                         - (esce dalla comune).

Elena                             - (ad Anna) Ma tu non sei ancora pronta?

Anna                             - No, ima farò presto, vedrai. Del resto, c'è tempo.

Elena                             - E’ simpatico, quel tuo Ciani.

Anna                             - Oh! il «mio» Giani!

Elena                             - Ti guarda in un certo modo. Scommetto che è innamorato di te.

Anna                             - Ma no!

Elena i                           - Del resto, che cosa ci sarebbe di strano? Tutti ti trovano incantevole. Oh! la gente «adora» le donne del tuo tipo!

Anna                             - Cioè?

Elena                             - Del tuo tipo, insomma! Per esempio, quella tua maniera di sorridere, tutta particolare. Ed il tuo modo calmo di essere bella.

Anna                             - (ridendo) Ci sono anche le belle agitate?

Elena                             - Ed io? Mio marito dice sempre: tu sei bel­lina, ma agitata. La verità è che a lui piacerebbe di andare a letto alle nove, di passare l'estate in campagna, ma in una campagna vera, sai? con le mucche. Magari gli piacerebbe anche, di tanto in tanto, di andare al ci­nema la domenica, al primo spettacolo. Tutte cose, tu capisci, che io non gli permetto affatto.

Anna                             - Sei sempre lo stesso bel tipo di quando era­vamo insieme alle Dorotee!

Elena                             - Anche alle Dorotee, ti ricordi?, passavo per agitata.

Anna                             - Oh! Elena! (Con abbandono) Quanti anni sono passati!

Elena                             - Oh! Oh! Non esageriamo! Quanti anni, poi!

Anna                             - A me sembra tutto cosi lontano!

Elena                             - Ed invece è tanto vicino!

Il Cameriere                  - (entrando dalla comune) Signora.»

Anna                             - Cosa c'è?

Il Cameriere                  - C'è un uomo, fuori.-

Anna                             - Chi è?

Il Cameriere                  - E' un uomo... strano! Dice di conoscere la signora.

Anna                             - (impallidendo improvvisamente) Vi ha detto il suo nome?

Il Cameriere                  - Mi sembra di aver capito Alòdia, o qualcosa di simile. Insiste per essere ricevuto. Dice che deve parlare di urgenza con la signora.

 Anna                            - Gli direte di aspettare. (E sconvolta. R cameriere esce).

Elena                             - (ad Anna) Ma«. cos'hai?

Anna                             - Nulla, nulla».

Elena                             - (incuriosita) Ma lo conosci, questo... come ha detto?

Anna                             - Alòdia.

Elena                             - Allora lo conosci? Ma, Anna, scusami, cos'hai?

Anna                             - Non ci badare, non ci badare. Passerà. (Come presa da una improvvisa decisione) Senti, Elena... Tu mi vuoi bene, non è vero?

Elena                             - Ma che domanda!

Anna                             - No, no... devi dirmi.. Mi vuoi bene? Ma sin­ceramente, come te ne voglio io, per tutto quello che ci unisce, per i nostri ricordi comuni... per tutto, tutto… Ma no, no! Scusami! Dicevo delle cose senza senso! Ecco, sì... (Nervosissima) Conosco questo Alòdia... Era inserviente, usciere, che so io, all'Istituto di Fisica, con mio marito, capisci. Una volta, circa sette mesi fa, com­mise non so bene che cosa... Una indelicatezza, ecco, forse un furto, qualcosa del genere. Ed allora, mio ma­rito non esitò a farlo mandar via. Non Io denunciò - ha cinque o sei bambini, piccoli - non lo denunciò, ma lo fece mandar via. E da allora, ogni tanto, cerca di ritornare lì, all'Istituto... Mi ha fermata qualche volta per istrada.... ma non credevo che avrebbe avuto il co­raggio di venir qui... Vorrebbe che io parlassi con Gio­vanni... intercedessi per lui... Una cosa assurda, com­prendi? assurda, assurda, assurda! (E’ sempre più agi-tata) Qualche volta, l'ho anche aiutato! Oh! piccolezze! Ha dei bambini, mi faceva pena. Ma, mi sembra che ora esageri, no?, non sembra anche a te che esageri?

Elena                             - Cara, ma calmati! Dio mio, se si tratta solo di .questo... Va bene: fagli dire che non ci sei, che non puoi riceverlo: una storia qualunque, insomma. Vedrai che se ne andrà.

Anna                             - (sordamente) Non se ne andrà... (Di nuovo è decisa a parlare) E poi no! Tanto peggio! Sola non posso parlargli! Sola non posso più parlargli! Sono, da sette mesi, sola, sola, sola... Sentimi, Elena: sei capace di con­servare un segreto? Un vero segreto?

Elena                             - (felice) Oh! ma io e adoro » i segreti!

Anna                             - Non scherzo, Elena. Ho bisogno di te. Forse avrei fatto bene a parlartene prima... Elena, è una cosa assai seria, spaventosamente seria... Ne va della mia vita, della mia felicità, di tutto, di tutto... E non è Soltanto di me che si tratta. Se si trattasse soltanto di me... Elena, giurami, giura che non parlerai di questo con nessuno, con nessuno... nemmeno con tuo marito... Ne ora, né mai... Qualunque cosa avvenga, ne ora, ne mai.» Giura„ giurami...

Elena                             - Ti giuro, Anna. Ma tu mi spaventi!

Anna                             - (frettolosa) Ebbene, ascoltami. Non giudi­carmi, non condannarmi... Ti spiegherò poi... le ragioni come è avvenuto... Elena, da circa due anni io sono...

Il Cameriere                  - (dalla comune) Signora, mi mortifica di disturbare, ma quell'uomo insiste, dice che non [può aspettare... Io penso che sarebbe meglio non riceverlo.,. Ha una faccia, signora, che non mi piace...

Anna                             - No... no... Fatelo entrare... (Il cameriere esce. Ad Elena) Non lasciarmi, Elena... Non lasciarmi... (Il cameriere ritorna dalla comune accompagnato da Alòdia, ma si ferma ad attenderlo, evidentemente preoccupato).

Anna                             - (al cameriere, con uno sforzo) potete andare, vi ringrazio...

Il Cameriere                  - Ma signora...

Anna                             - Vi ho detto che potete andare                                                              

Il Cameriere                  - (esce, con un breve inchino).

Alòdia                           - Buongiorno, signora...

Anna                             - Buon giorno, Alòdia...

Alòdia                           - Mi dispiace di avere insistito. Ma quel tipo minacciava idi non lasciarmi entrare. Del resto, me lo spiego... (Con un cenno al suo abito) Non ho l'aria rac­comandabile... Ed i camerieri non amano i poveri.

Anna                             - Ma no, cosa dite...

Alòdia                           - Dico che sono povero. Vi meraviglia, forse? Ho dei bambini e una moglie, a casa, da sfamare. Insom­ma, debbo vivere io, debbo far vivere quelli che Bono con me; non lavoro, non guadagno... se questo non si chiama essere poveri, bisogna proprio dire che la parola vi è sconosciuta!

Anna                             - Io dicevo soltanto che avete equivocato sulle intenzioni del cameriere.

Alòdia                           - Oh! no, no, state tranquilla. Non mi sbaglio. Ne conosco, di camerieri. E specialmente in questi ultimi mesi, ne ho visti di tutte le specie, quando andavo in giro per un posto. Una sporca razza, credetemi. Che ha tutti i vizi della gente come me, e tutti i vizi della gente come voi. (Più umile) Scusatemi: credo di avere alzata la voce, e lo so che non sta bene. Ma certe volte, sapete, il sangue mi va alla testa e non posso più star zitto.

Anna                             - Via, Alòdia, ho poco tempo a mia disposi­zione. Cosa volete da me? L'ultima volta, un mese la, credo...

Alòdia                           - Trentaquattro giorni, esattamente.

Anna                             - Trentaquattro giorni, va bene, è lo stesso. H certo è che mi prometteste...

Alòdia                           - (interrompendola, fa cenno ad Elena) Non potremmo parlare da soli?

Anna                             - La signora è mia amica, la mia migliore amica. Sa tutto, e può ascoltare tutto.

Alòdia                           - Non mi piacciono, certi testimoni.

Anna                             - Vi ripeto che potete parlare in presenza della signora senza preoccupazioni ne per voi né per me.

Alòdia                           - Del resto, tanto peggio. Io non ho nulla da perdere, no?

Anna                             - Dunque, mi prometteste che sarebbe stata, quella, l'ultima volta, e che non vi avrei visto più.

Alòdia                           - Signora mia, l'intenzione c'era. Vi assicuro che c'era. L'ultima volta, appunto, tornando a casa, di­cevo a me stesso: non bisogna tormentare più questa po­vera signora. Io non lo faccio apposta, sono spinto dalla necessità, ma non è una cosa pulita; in ogni caso non è una cosa pulita.

Anna                             - E poi?

Alòdia                           - E poi, ho resistito trentaquattro giorni. Li ho contati; sono lunghi a passare, quando i ragazzi pia­gnucolano e tua moglie sì lamenta. Ma volevo fare a meno di annoiarvi ancora, ecco tutto! Poi, un bel giorno, dagli al pezzente, i guai chiamano i guai... Ho avuto dei pasticci, vedete, dei pasticci seri, forse i più seri che mi siano capitati...

Anna                             - Sentite, Alòdia; debbo dirvi subito, perché non vi facciate delle illusioni, che non ho mezzo di aiu­tarvi. L'ho fatto già oltre le mie possibilità. Io non ho del danaro mio. Prima di sposarmi, non ero ricca: anch'io ho avuto le mie privazioni...

Alòdia                           - (ridendo piano) Oh! signora! Quando le persone come voi parlano dì privazioni, è, non so, per il fatto di aver dovuto prendere il tram un paio di volte, o per avere avuta una tazza di tè in meno!

Anna                             - Comunque, vi ho dato assai più danaro di quanto non potessi, e sono fermamente decisa...

Alòdia                           - (sordamente) Sono in pasticci, signora, ve l'ho detto, in pasticci sgravi...

Anna                             - Me ne dispiace per voi, Alòdia; me ne di­spiace sinceramente. Se potessi...

Alòdia                           - (senza ascoltarla, sempre sordamente) Io non voglio fare del male a nessuno. Ma sono in pasticci, si­gnora...

Elena                             - (intervenendo) Anna vi ha già detto che è dolente, che vi aiuterebbe, ma...

Alòdia                           - (non rispondendole, e sempre rivolto ad Anna) La signora è tranquilla in casa sua. Una bella casa, veramente. So che non avrei dovuto venirci, ma avevo urgenza di parlarvi. Ho aspettato tanto tempo, qui all'an­golo, poi ho visto uscire il professore, e più tardi il signor Claudio. Mi sono detto: se sono usciti tutti e due, la signora non uscirà più. Ed allora, sono salito. Ma sono contento di esserci venuto. Qui c'è un buon odore di danaro. Altro che casa mia, sapete!

Elena                             - Tutto questo sta bene, ma...

Alòdia                           - (volgendosi a lei, di scatto) Sta bene, si­gnora? Sta male. Vi dico io che sta male. Anche a me piacerebbe di averla, una casa cosi. E non tradirei chi me l'avesse data...

Anna                             - Alòdia, smettetela. Io non posso permettervi

Alòdia                           - Mi scuserete, signora mia. Ma tanto, la vostra amica sa tutto, no? E poi, io dico così... per dire. Le faccende vostre e del signor Claudio non mi riguar­dano...

Elena                             - (colpita) Oh!

Alòdia                           - Si sa, divertimenti, spassi per i signori...

Anna                             - (fremente, pallidissima) Alòdia, ora uscirete di qui, uscirete subito di qui... o chiamo...

Alòdia                           - (come se non si fosse rivolta a lui, calmo) Permettete? (Siede) Sono in piedi, per la strada, da tre ore e mezza. Ed a stomaco vuoto.

Elena                             - Sentite, voi dovete uscire... (Gli si accosta? decisa)*

Alòdia                           - (violento, voltandosi di nuovo verso di lei) No! (Elena ha un sobbalzo ed un grido di spavento, e si ritrae).

Anna                             - Alòdia, vi prego, ragionate. Non mi costrin­gete a chiamare qualcuno...

Alòdia                           - Fate come credete. Io sono nei pasticci. E debbo uscirne. Per uscirne ho bisogno di ventimila lire.

Anna                             - Voi siete pazzo, Alòdia! Assolutamente pazzo!

Alòdia                           - Le ventimila lire mi serviranno per andar via dall'Italia. Voglio emigrare in Germania. Che ne dite della Germania? Ma naturalmente non potrò subito trovare lavoro, così come sono, senza aiuti, senza re­ferenze...

Anna                             - Sentite, Alòdia: per l'ultima volta, proprio per la pietà che ho dei vostri bambini, vi darò mille lire. Voi uscirete di qui e non vi farete vedere mai più, capite?, mai più. Se vi rivedessi, sarei costretta a dir tutto a mio marito...

Alòdia                           - A vostro marito?

Anna                             - Sì, avvenga quel che avvenga.. Io non vi temo, No, non vi temo. Gli dirò tutto. Gli dirò anche che da sette mesi mi ricattate. E vi farò andare in galera, sì, vi farò andare in galera...

Alòdia                           - Signora mia, mille lire? Ma allora, che ho parlato a fare? Credete che sarei venuto a disturbarvi per mille lire? Oh! Ma non l'avrei mai fatto. Ho anch'io la mia dignità! E so come si agisce, diamine!, con una signora come voi.

Anna                             - (disperatamente calma) Alòdia, non ho venti­mila lire. Né saprei come procurarmele. Voi potrete fare quello che vorrete, quando vorrete. Ma io non ho questa somma,

Alòdia                           - Debbo partire, debbo partire assolutamente. Sembra che non abbiate capito che sono nei pasticci. E debbo partire subito, domani...

Anna                             - Alòdia, andate via. Vi ripeto che non ho la somma, e che non l'avrò domani, ne dopodomani, né mai! Voi avete sbagliato i vostri calcoli. Finora, il da­naro che vi ho dato rappresentava tutte le mie economie personali. Esse sono esaurite.

Alòdia                           - Ho bisogno di quel danaro. Voi lo chiede­rete a vostro marito. Una donna come voi, intelligente come voi, troverà pure un pretesto, una ragione qual­siasi! Per esempio, una pelliccia, un parente povero...

Anna                             - (fuori di se) Basta, ora! Uscite di qui!

Alòdia                           - Non gridate! Vi udranno. Lo dico per voi, non per me.

Anna                             - Non griderò, se uscirete

Alòdia                           - (alzandosi) Bene. Me ne andrò... (Si avvia verso la comune) A proposito: avete detto che volete confessare tutto a vostro marito. (Una pausa) Fatelo presto.

Anna                             - Uscite, uscite, uscite!

Alòdia                           - (sempre calmissimo) E’ quello che sto fa­cendo. Soltanto, volevo dirvi... Io abito in via Ferruccio, al numero cinque... Già, dimenticavo che non sono stra­de vostre. Comunque, basta prendere l'autobus numero trenta, qui all'angolo...

Elena                             - Ora basta, non è vero?

Alòdia                           - Non si sa mai, signora, non si sa mai. E' un po' lunga, la strada, ma poi ci si arriva. Sono su, al quinto piano: la porta a sinistra... E’ un po' lunga anche la scala... Ma si può salire senza nemmeno domandare al portinaio...

Anna                             - Andate via, via!

Alòdia                           - Eh! c'è tanta gente che scende e che sale! Nessuno chiede nulla. E’ una vera comodità. Vi dirò che è l'unica! (Ride) Abbiamo detto ventimila. Oh! ma non c'è fretta! Per lo meno, non ce n'è fino a domani mat­tina... (Via dalla comune).

Anna                             - (è rimasta immobile, come impietrita).

 Elena                            - (corre verso la comune, si assicura che Alòdia è andato via, gli grida dietro) Farabutto! (Poi torna verso Anna) Ebbene, che intendi fare?

Anna                             - (fino alla fine delVatto, conserverà una calma crescente, disperata) Che cosa vuoi che faccia?

Elena                             - Non vorrai che parli a tuo marito?

Anna                             - Come posso impedirglielo?

Elena                             - Ah! Ma tu, tu, sei straordinaria, ecco!

Anna                             - Non c'è nulla da fare. Non ho quel danaro. Non lo avrò mai. Del resto, anche se glielo potessi dare, sarebbe inutile. Tornerebbe, tra un mese, tra due... ma tornerebbe...

Elena                             - Ma come ha saputo? (Quasi rammaricandosi) Non sapevo niente io, che sono sempre con te!

Anna                             - Fu di mattina... all'Istituto... un mese prima che lo mandassero via«.

Elena                             - Vi sorprese? (Anna fa cenno di Si) Vi... ba­ciavate?

Anna                             - Si.

Elena                             - Dio mio, ma che imprudenza! All'Istituto! Però, se non ha visto altro...

Anna                             - Evidentemente da quel giorno ci spiò, ci se­guì... Certo è che, una settimana dopo il licenziamento, mi fermò per la prima volta. Sapeva tutto, tutto di noi.

Elena                             - Gli desti subito del danaro?

Anna                             - Sì.

Elena                             - Facesti male.

Anna                             - Non vi era scelta. E da allora non ho più vissuto. Egli era dovunque. Io lo vedevo dovunque, anche quando non c'era. Forse, anzi, quando non c'era... non so, ti sembrerà strano, era peggio. Tu non puoi imma­ginare questa sensazione. Io provavo il bisogno di ve­derlo. Il vederlo mi rassicurava...

Elena                             - Oh! ma che cosa orribile!

Anna                             - SI, orribile.

Elena                             - Ma tu, poi, ne parli con una freddezza!

Anna                             - Ormai è finita. Io non ho più nulla da spe­rare. Posso quindi parlarne così.

Elena                             - Ma via! Non bisogna precipitare! Ragionia­mo, vediamo di ragionare...

Anna                             - Credi che non abbia tentato di farlo? In sette lunghi mesi, giorno e notte, senza tregua, senza respiro... Egli era tra noi... tra me e Claudio, tra me e Giovanni... sempre... II suo riso, la sua voce mi perseguitavano nel sonno... Quando, per caso, Giovanni pronunciava il suo nome, avevo il terrore di svenire...

Elena                             - E Claudio?

Anna                             - Non sa nulla. Non ho voluto dirgli nulla1.

Elena                             - Ebbene, avresti dovuto parlargli. Scusami, anche lui ha il dovere..,

Anna                             - Non poteva aiutarmi. Se lo avesse fatto, si sarebbe rovinato. La sua carriera è lunga e difficile, ed egli è povero. Poi, in fondo, è come un ragazzo... Si sa­rebbe avvilito, avrebbe sofferto... (Ferma, chiara, guar­dando Elena nel volto) Ed io lo amo. (Poi, con stan­chezza) Ma perché parliamo di tutto questo, ora?

Elena                             - Te l'ho già detto! Sei stupefacente! Il mondo ti crolla addosso, e tu non ne vuoi nemmeno parlare! Ah! cara mia! Meno male che ci sono io, qui, con te! (Riflettendo) Vediamo, vediamo… Senti, innanzi tutto bisogna prender tempo.» Tu lo hai scacciato troppo violentemente. Oh! no, no, non avresti dovuto. Bisognava discutere con lui, ottenere un rimando. (Probabilmente quella storia della Germania è un pretesto, un tentativo di farti credere alla necessità dell'urgenza. (Si alza, pas­seggia) Sì, sì, è così, è proprio così! (Risoluta) Ebbene, occorre che tu gli parli... Oh! no, non devi dire di no. Come ha detto? Via Ferruccio, cinque, no? (Storcendo il naso) Una strada malfamata, ed in un quartiere, Dio liberi! Insomma, abiti dove vuole, occorre che tu ci vada...

Anna                             - E’ inutile.

Elena                             - E' indispensabile, anzi. Sì, sì, tu ci andrai. Oggi stesso. Non bisogna attendere domani mattina. Non si sa mai che cosa gli possa saltare in mente di fare! Oggi stesso... (Guarda l’ora) Vediamo... sono le quattro... A proposito, ed il concerto? Al diavolo il concerto! Già, io ci vado per dovere: per le mie amiche, che non ci capiscono nulla nemmeno loro, di musica, e ci vanno per farsi vedere. Aggiungi che oggi c’è tutta musica di quello... come si chiama?... l'ho qui sulla lingua! Eb­bene, il sordo, sai?, quello celebre... Una noia, cara mia! Dunque, sono le quattro. Tu vai di là, ti vesti subito, ed alle cinque al massimo siamo da lui. Io ti aspetto giù.- Tu gli prometti... Sì, sì, l'unica cosa è pro­mettergli... ma, naturalmente, con un rimando... Una settimana, due, quanto più è possibile... Poi studieremo insieme... Oh! Dio mio! qualche idea ci verrà! Mio marito mi dice sempre: tu sei stupida, ma hai delle idee!

Anna                             - Non accetterà nessun rimando. Lia sua voce era sincera.

Elena                             - Vedrai, vedrai! Lascia fare a me! Insomma, ti sei affidata a me, sì o no? Vieni, su, vieni! (La trascina quasi suo malgrado, a sinistra, ed escono. Dopo una pausa brevissima, dal fondo il cameriere e Giovanni).

Giovanni                       - (togliendosi il pastrano ed il cappello, ed affidandoli al cameriere) La signora?

Il Cameriere                  - Credo che non sia ancora uscita. (Via di nuovo dalla comune).

Giovanni                       - Ma farà tardi, per il suo concerto! (Va alla porta di sinistra) Anna! Pigra! Sai che sono le quattro?

La voce di Elena           - (dì dentro) Eccoci, eccoci, ve­niamo!

Giovanni                       - Ahi ci siete anche voi, sirena! Le avrete fatto perder tempo, con le vostre chiacchiere!

Elena                             - (uscendo da sinistra) Ma no, ma no, è pronta. Del resto a voi cosa importa? Non dovete andarci voi, al concerto! Non vi sarà saltato in mente di accompa­gnarci?

Giovanni                       - E perché no? Vi dispiacerebbe tanto? Ah! perfida sirena! Sareste anche capace d'impedirmelo!

Elena                             - (preoccupata) Ma è a posti numerati... avre­ste dovuto pensarci prima...

Giovanni                       - E chi vi dice che non ci abbia pensato?

Elena                             - (avvilita) Oh! allora... (Verso sinistra) Sai, Anna, viene anche tuo «marito, al concerto!

Giovanni                       - (verso sinistra) Ma no! Ma no! Non darle ascolto! (Ad Elena, scherzoso) Avete avuto paura, eh? Chi sa quale corteggiatore vi attende al concerto, ed avete temuta la mia testimonianza!

 Anna                            - (riappare da sinistra, pronta per uscire).

Giovanni                       - Oh! finalmente! Bene, facciamoci vedere, no? Un vestito nuovo, probabilmente? (Anna accenna di no, con un pallido sorriso) E se anche fosse stato? Io non sono un marito che ha paura dei conti della sarta. Io voglio che mia maglie sia sempre la più bella di tutte...

Elena                             - Grazie per me!

Giovanni                       - Oh! voi, siete fuori concorso! Su, su, svelte! (Accorgendosi del pallore di Anna) Ma tu... non ti senti bene?

Anna                             - Oh! no, no, sto benissimo...

Giovanni                       - Non so, da qualche tempo hai un volto che non mi piace. Ebbene, che tu voglia o non voglia, un giorno o l'altro bisognerà che ti faccia visitare dal medico... (Ad Elena) Non vi sembra pallida?

Elena                             - (agitata) Ma no! Se ha una cera da fare invidia!

Giovanni                       - (affettuoso) La mia bambina non deve am­malarsi, vero? Guai a lei se si ammala!

Elena                             - Ma siete un tipo, voi! Poco fa sembrava che moriste dalla voglia di spedirci al concerto, ora siete lì a trattenerci!

Giovanni                       - Via, vìa! Non vi trattengo affatto! Non voglio rimorsi! (Anna ed Elena si avviano verso la co­mune: Anna Iva un attimo di esitazione: si ferma, ri­torna verso Giovanni).

Anna                             - Giovanni...

Giovanni                       - Ebbene, cara?

Anna                             - (con uno sforzo, sorridendogli) Nulla, nulla, Giovanni... (Esce, con Elena, dalla comune).

Giovanni                       - (resta solo: è pensoso, quasi turbato; va verso il tavolo, guarda distratto alcune carte; le posa di nuovo: improvvisamente, deciso, va verso la finestra, quasi correndo: l’apre, si sporge, chiama) Anna! (Pentito, richiude dopo un attimo; ritorna; è incerto; poi scrolla le spalle, quasi infastidito contro se stesso, e siede al suo tavolo, inforcando gli occhiali).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Una sala d’aspetto, nella clinica chirurgica Beker. in fondo, un arco la divide da un vasto corridoio, ove spesso passano, silenziosamente o parlando tra loro, medici in camice bianco, infermiere, ecc. A sinistra una porta, ed un'altra a destra. Lungo i muri, comode panche verni­ciate in azzurro chiaro. A sinistra un piccolo tavolo. Tutto è .moderno, lindo, bianchissimo.

 (E' il tardo pomeriggio. La infermiera Olga è al tavolo, e prende degli appunti. Le è vicina, ma in piedi, lai infermiera Carla).

Olga                              - Ed il numero otto?

Carla                             - E' stato abbastanza tranquillo, tutto il pome­riggio. Si lamentava soltanto per la sete. Gli ho dato qualche pezzetto di ghiaccio.

Olga                              - Pochissimo, vi raccomando. Siete troppo gio­vane, e la vostra poca esperienza delle cliniche non vi ha ancora insegnato che la miglior pietà che si possa avere per un ricoverato è quella di non averne affatto.

Carla                             - Oh! ma state tranquilla! Non ho esagerato per niente.

Olga                              - (sempre scrivendo, ma guardandola 'sottocchio)E’ un bel ragazzo, il numero otto.

Carla                             - Questo non mi riguarda.

Olga :                            - Già, a voi non mancano i bei ragazzi. Vi dirò anzi che il direttore ha notato, ieri, che le vostre soste al telefono diventano sempre più lunghe e più frequenti,

Carla                             - (punta)  Non è vero! Io evito sempre di tele­fonare!

Olga                              - Sarà. Ma disgraziatamente vi telefonano. Sa-rebbe bene che teneste presente la necessità di un con­tegno più riservato. Quello della infermiera non è un mestiere qualsiasi. Comporta dei doveri, e dei sacrifici, anche nella vita privata. Farvi vedere in giro, con degli uomini, non è serio, e non depone in favore della nostra clinica.

Carla                             - Oh! ma io vorrei sapere chi è venuto a raccontarvi...

Olga                              - Io so quello che dico. Del resto, il mio, non è che un consiglio. Se il direttore, un bel giorno, vi rivolgerà la stessa osservazione, non sarà per darvi un consiglio. E me ne dispiacerà per voi. (Termina di seri-vere i suoi appunti: si alza) Ecco fatto. (Avviandosi verso il corridoio in fondo) E non dimenticate quello che vi ho detto. E' nel vostro interesse. Vedete, io, per esempio, non sono mai stata fuori con degli uomini.

Carla                             - (ironica) Ah! questa, poi, non è colpa mia!

Olga                              - (acida) Sono stata giovane anch'io. E d'al­tronde voi non lo rimarrete eternamente. Quella di avere venticinque anni è una malattia dalla quale si guarisce presto. (Via dal fondo).

Carla                             - (alza le spalle, con evidente dispetto: poi sì avvia verso la porta a destra, ma vi incontra, che ne esce, il dottor Colendi).

Calendi                         - Ah! Siete qui, Carla? Vi si cercava, di là. (Carezzandole il mento) La bella Carla? Sapete che migliorate ogni giorno? Davvero se non ci foste voi, in questo serraglio di belve feroci...

Carla                             - (ridendo, civetta) Bisognerebbe chiudere la clinica?

Calendi                         - Non ho detto questo, ma, insomma, la vostra presenza allieta l’ambiente. E vi assicuro che ne ha bisogno! (Sottovoce, dopo essersi assicurato che nel corridoio non passa nessuno in quel momento) Verreste fuori con me, stasera?

Carla                             - Al cinema, no? E poi a ballare... E poi, ma­gari... intendiamoci, nulla di male!... due chiacchiere sul divano di casa...

Calendi                         - E cosa ci sarebbe di strano? Io ho un mio piccolo appartamento in via...

Carla                             - Garibaldi sessantatrè.... terzo piano... Sap­piamo già tutto, come vedete!

Calendi                         - Ah! questa poi! E come lo sapete?

Carla                             - Che memoria, questi illustri chirurgi! Dimenticate che sono almeno sei mesi che mi rinnovate il vostro cortese invito?

Calendi                         - Già, è vero. Ma purtroppo siamo sempre all'invito!

Carla                             - Lo straordinario è che ci rimarremo! (Salutandolo con la mano) Addio, dottore! (Esce da destra. Dal fondo, intanto, è entrato il dottor Florio).

Florio                            - (a Calendi) Sempre attaccalo alla gonnella dì Carla! Quand'è che la smetterai?

Calendi                         - Quando si deciderà a venire con me in via Garibaldi...

[Florio                           - Sessantatrè, terzo piano... (Battendogli sulla spalla) Storia vecchia, ormai! La sanno tutti, qui dentro!

Calendi                         - Ebbene, se ho preso in fitto quell'appar­tamentino è per portarvi qualcuno, no? E quando vedo che il mese declina, e si avvicina una nuova scadenza di fitto, senza che ne abbia usufruito, ti assicuro che ci provo rabbia!

Florio                            - Ma non sarebbe stato meglio prendere in fitto prima una donna, e poi un appartamentino?

Calendi                         - Bene, tu non capirai mai nulla!

Florio                            - Ora te la squagli, no?

Calendi                         - E di corsa, anche! Quest'oggi ho avuto due appendiciti ed una magnifica ulcera duodenale. E domani ho una superba alcolìzzazione del ganglio di Gasser! Capirai che, nell'intervallo, ho ben diritto ad una cenetta, ad uno spettacolo di varietà e ad un buon sonno tranquillo senza odore di cloroformio!

Florio                            - Beato te! Invece io, stanotte, sarò di guardia.

Calendi                         - (togliendosi il camice bianco ed entrando nella porta a sinistra) Divertiti, caro! (Continua a parlare di dentro, avendo lasciato l’uscio aperto) Ma che ora è?

Florio                            - (sbadigliando, guarda Toro) Sono le sette e mezza.

Calendi                         - (sempre di dentro) Dì un pò, a che si deve l'onore della visita del principale in avanzato po­meriggio?

Florio                            - Obblighi... accademici! Una ricoverata ur­gente. (Sbadiglia ancora) Ah! Ah! Ah! Ah! Non so stanotte come farò a svegliarmi se mi chiameranno...

Calendi                         - (di dentro) Una ricoverata... Donna, allora?

Florio                            - Sì, ma non t'illudere. Non mi sembra in con­dizioni di accompagnarti in via Garibaldi.

Calendi                         - E cosa c'entrano gli obblighi accademici?

Florio                            - Credo di aver capito che sì tratta di un col­lega di Università del principale. La moglie è stata in­vestita da un « camion ».

Calendi                         - (uscendo di nuovo da sinistra, ora in abito borghese e con il cappello in mano) Eh! Cosa ne dici, del mio abito nuovo?

Florio                            - (senza badargli) Ti sta una meraviglia.

Calendi                         - Ma se non mi guardi nemmeno!

Florio                            - (guardandolo) Me lo immaginavo, no? Del resto, anche se ti andasse una peste, perché darti un dolore?

Calendi                         - Sei una gran bestia! (Tira fuori dal taschino uno specchietto ed un piccolo pettine e si aggiusta i capelli) Ma perché non è stata trasportata all'ospedale?

Florio                            - Chi?

Calendi                         - Ma la donna... quella che è stata investita...

Florio                            - Ah! la donna! Beh, l'hanno portata prima al posto di pronto soccorso, e di lì hanno telefonato al marito. Il marito non ha voluto il ricovero in ospedale, ed ha chiesto che fosse subito trasportata alla clinica Beker. (Strappandogli lo specchietto di mano) Ma non fare il ridicolo!

Calendi                         - E' la invidia, che ti distrugge!

Olga                              - (dal fondo) Oh! Siete ancora qui, dottor Ca­lendi? Chiedevano di voi, poco la, ed io ho detto ch'era­vate già andato via.

Calendi                         - Ispirazione divina, vecchia Olga! E non avete sbagliato. Perché sono ancora qui, è vero, con la fragile materia, ma il mio spirito e già lontano, già fuori! Corre le strade della città, insegue le donne... Oh! Le donne! Io adoro seguire i movimenti dei loro muscoli e dei loro tessuti connettivi!

Olca                              - (ridendo) Siete sempre lo stesso!

Calendi                         - Ed ora fuggo, anche con la fragile materia. Mi secca, quando mi cercano a quest'ora. Non si sa mai cosa diamine abbiano inventato!

Olga                              - Oh! rassicuratevi! Vi voleva il principale, per assisterlo in una operazione urgente. Ma ormai ha già chiamato il dottor Cerianl.

Florio                            - Sarà per l'operazione della donna investita dal «camion ». Ci sarò anch'io, purtroppo! Un bell'aperi­tivo!

Olga '                            - Il conducente ha frenato subito, ma già una ruota l'aveva colpita all'addome, povera signora...

Calendi                         - C'è anche commozione generale?

Florio                            - E’ di rito.

Calendi                         - Io, comunque, scappo. E' più prudente. Addio, chirurgo! Io, vedi?, sono libero. Un libero citta­dino in un libero stato! Un coleottero in un giardino! Un gabbiano sull'oceano! Ciao, Olghetta! (Mette il cappello, e fugge dal fondo).

Florio                            - L'hanno già trasportata in sala operatoria?

Olga                              - Non ancora. Tra poco. Il professore vuole operarla subito.

Florio                            - E il marito?

Olga                              - E' arrivato. Ora è nella stanza del professore. In uno stato, vi assicuro!

Florio                            - Ma ehi è, precisamente, questo marito?

Olga                              - Giovanni Segni, il fisico. Mi hanno detto che è un grand'uomo.

Florio                            - Bah! Un grand'uomo! (Avviandosi con lei verso destra) Olga, domani mattina mi farete preparare un buon tè: ma un tè energico, mi raccomando... (Escono da destra, chiacchierando. Dal fondo, Beker, che accom-pagna Giovanni Segni: Giovanni è pallidissimo, ma cerca di imporsi la calma).

Giovanni                       - Io vi ringrazio, Beker. Non ho voluto che fosse trasportata in un ospedale qualunque, ed ope­rata da un qualsiasi chirurgo di guardia.

Beker                            - Faremo quanto è possibile, caro collega. Ma voi dovete star calmo.

Giovanni                       - E' passata, ve lo giuro. Ora sono calmis­simo. Volete sentire il mio polso? Non batte più del necessario... lo stretto indispensabile...

Beker                            - Bene, tanto meglio. Del resto, lo stato della signora non mi sembra grave. L'operazione andrà benis­simo, vedrete. Tutto è che il cuore resista...

Giovanni                       - Resisterà... (Sordamente, disperatamente) Deve resistere!

Beker                            - Noi ce Io auguriamo, Segni, sinceramente ce lo auguriamo. Mi farò assistere da due dei miei migliori: quel Ceriani, che avete già conosciuto, ed un certo Florio, molto attento, molto capace».

Giovanni                       - Ancora non so rendermi conto dì quanto è accaduto. Né di come è accaduto. Anche questo mi tormenta.

Beker                            - Non vi sarà difficile stabilirlo. Tra poco, del resto, verrà qui la Pubblica Sicurezza, per interrogarvi é per interrogare l'amica che era con lei. Naturalmente, non potrà, per ora almeno, parlare con la signora. Mi opporrei decisamente. D'altro canto, non sarebbe in con­dizioni di rispondere...

Giovanni                       - Non mi ha nemmeno riconosciuto...

ìBeker                           - E' la commozione generale, facilissima ad intervenire in questi casi. Non bisogna impressionarsene. La supererà certamente... Io credo che non vi siano gravi lesioni interne... Il conducente ha frenato con suffi­ciente rapidità.

Giovanni                       - Lo hanno arrestato?

Beker                            - Pare che sia fuggito immediatamente. Col­pevole o non, si è lasciato prendere dal panico. E’ na­turale. (Da destra il dottor Florio).

Florio                            - E' tutto pronto, professore... (Scorgendo Gio­vanni) Oh! scusatemi.

Beker                            - Il dottor Florio... TI professor Segni, della nostra Università... E’ il marito della signora che dob­biamo operare.

Florio                            - Lo so. Vi conoscevo di nome, professor Segni. Mi dispiace di avervi conosciuto di persona pro­prio in questa circostanza.

Giovanni                       - Ringrazio anche voi, dottor Florio, per quanto farete... (Gli porge la mano, che Florio stringe)

Beker                            - Ebbene, andiamo. (A Giovanni) E voi?

Giovanni                       - Se lo permettete, rimarrò qui...

Beker                            - Ma non sarebbe meglio che ritornaste nel mio studio? Vi stareste assai più comodo.

Giovanni                       - No! No, vi prego... (Più basso, quasi timido) E' una sciocchezza, lo so... ma questa stanza è più vicina... (Fa un vago gesto verso destra).

Beker                            - Bene, farete come vorrete. Ma mi duole che rimaniate solo.

Giovanni                       - Oh! non preoccupatevi di me...

Beker                            - Coraggio, allora... (Gli stringe la mano, e si avvia verso destra, preceduto da Florio, che apre l’uscio facendosi da parte).

Giovanni                       - Beker...

Beker                            - (volgendosi) Ebbene?

Giovanni                       - Nulla, professor Beker... Perdonatemi...

Beker                            - (guardandolo fisso negli occhi) State tran-quillo. Faremo quel che è necessario, più del necessario, se possibile...

Giovanni                       - (con voce stranamente commossa) Non fatela soffrire... (Beker fa un gesto come per rassicu­rarlo: esce poi, seguito da Florio, che richiude l'uscio. Giovanni, appena è solo, si accascia su di una panca, nascondendo il volto ira le mani. L'uscio di destra si è riaperto, e ne vengono fuori Elena, che singhiozza, accompagnata da Carla, che la sostiene),

Carla                             - «Su, signora». Vedrete che tutto andrà bene...

Elena                             - (scorgendo Giovanni, ha un sussulto) Gio­vanni!

Giovanni                       - (che si è alzato di scatto) Elena!

Elena                             - (scoppia di nuovo in dirotto pianto, sulla spalla di Carla).

Carla                             - Volete dell'acqua? O un cognac? Preferite un cognac? (Elena fa cenno di no con la testa) Ed allora, sedete, sedetevi qua... (La fa sedere su di una panca, e le si siede accanto) Calma... calmatevi, prego..,

Giovanni                       - (avvicinandosi) Elena...

Carla                             - E' emozionata, si comprende. Le passerà. Posso lasciarla con voi? Debbo tornare di là.

Giovanni                       - Ma certo.

Carla                             - (ancora ad Elena) Volete dell'acqua, dunque? (A Giovanni) Aspettate, le porterò un bicchier d'acqua. Le farà bene.

Elena                             - (sempre tra le lagrime) No... no... non voglio nulla... non ho bisogno di nulla...

Carla                             - (alzandosi) Scusatemi, allora. E coraggio. (Giovanni la ringrazia con un cenno della testa, ed essa esce, svelta e silenziosa, da destra. Una pausa: Elena singhiozza sempre, abbandonata sulla panca: Gio­vanni passeggia su e giù per la stanza: un pò alla volta il pianto di Elena andrà calmandosi, ma essa rimarrà con il volto nascosto durante tutto il dialogo che segue),

Giovanni                       - (si ferma improvvisamente dinanzi a lei: parla basso, pacato) Via... ora siete più calma... Non è vero? Io sono calmissimo, vedete? Eppure sapete che cosa sia in gioco, per me, in questo momento. Io non ho altro, al mondo... (Si passa una mano sugli occhi: ma e un attimo: si riprende subito) E d'altronde, noi non possiamo fare niente, per aiutarla; soltanto star qui, ad attendere, cercando di dominare i nostri nervi... Sì, sì, capisco. Non è soltanto, per voi, l'ansia, la preoccu­pazione per quello che... (si ferma) per quello che po­trebbe avvenire... Mi rendo conto perfettamente del mo­mento terribile che avete attraversato quando l'avete vista... perché voi l'avete vista, non è vero? (Elena fa cenno di sì) Oh! scusatemi, se rinnovo in voi il ricordo di quel momento... (Ancora passeggia per la stanza: poi, deciso) Elena, io ho bisogno di rivolgervi alcune do­mande... No, no, non rifiutatevi: non potete rifiutarvi. Queste domande, voi lo capite, mi bruciano le labbra da quando vi ho incontrata qui. E non posso attendere ancora delle risposte, ne posso accettarle se vaghe o imprecise...

Elena                             - Non adesso... adesso mi è impossibile...

Giovanni                       - Io mi rivolgo al vostro buon senso, perché vi rendiate conto che io ho il diritto di avere delle spie­gazioni, di sapere, finalmente, qualche cosa di preciso... E che queste spiegazioni mi occorrono subito... (Sedendo al suo fianco, con un enorme sforzo per dominarsi) Ra­gioniamo, no?, ragioniamo da buoni amici, come siamo sempre stati... (Elena ha ripreso a singhiozzare, ma più basso) Vediamo, su... Noi ci siamo lasciati alle quattro... Alle quattro, non è vero? Sì, poco più, poco meno... Io temevo che aveste fatto tardi, per il concerto... Mi ascoltate, Elena? Ora, il concerto era all'« Auditorium»... E' così, all’« Auditorium »?

Elena                             - (fa cenno di si con la testa).

Giovanni                       - Elena, Elena... vi prego, vi scongiuro... riflettete, riflettete per un momento... L’« Auditorium » è in piazza della Neve, lì a due passi da casa mia... (Con- un grido) Elena, che faceva Anna, che facevate, voi ed Anna, alle cinque e mezza, all'altro capo della città, in via Ferruccio? (Si frena nuovamente) Io non dubito che voi abbiate la possibilità di darmi subito una spiega­zione chiara, limpida, esauriente... Non ne dubito af­fatto... Ma essa mi occorre, voi lo capite? (In uno scop­pio d'ira improvvisa) Ah! no! Ah, no, eh! E' troppo comodo». Voi piangete... Voi siete lì a piangere... per non rispondere... E' troppo comodo... è troppo semplice...

Elena                             - Ma che cosa volete da me? Sto male... Non ricordo nulla... in questo momento non ricordo nulla...

Giovanni                       - Ma si trattava di voi? Di una cosa vostra?

Elena                             - (con impeto) Ah! no!

Giovanni                       - (pausa) Ma non vi rendete conto di quelli? che state facendo? Ma non capite che io sono nel mio diritto, sì, nel mio diritto, sospettando le cose peggiori... Elena, voi, voi non vorrete questo! Ditemi, ditemi che sono un pazzo, che tutto quello che posso pensare è assurdo, inverosimile, grottesco... Ecco, sì, è la parola, grottesco... Elena! Perché non mi rispondete? Perché non parlate? (L'afferra per le braccia, la costringe a voltarsi, la scuote in un scatto di rabbia e di dispera­zione).

Eiena                             - (smarrita) Giovanni! Vi prego, Giovanni!

Giovanni                       - (la lascia: si alza di nuovo, barcolla: a bassa voce, come a se stesso) Anna... Anna...

Elena                             - Vi spiegherò... più tardi vi spiegherò...

Giovanni                       - (si è ricomposto: ora parla duro, freddo, te­nace) Bene. Anche Beker lo ha detto. Tra poco sarà qui la Pubblica Sicurezza. Vi interrogherà. Interrogherà me, interrogherà voi... Risponderete, finalmente...

Elena                             - Oh! no, Giovanni... Voi mi risparmierete que­sto... Io ne sono certa... Me lo risparmierete...

Giovanni                       - Non è in mio potere evitarlo. E, se anche lo potessi, non lo eviterei. In questa faccenda io debbo andare fino in fondo. Vi andrò, a qualunque costo. E’ ingenuo da parte vostra credere che non mi riuscirà dì sapere...

Elena                             - Ma se vi ho promesso che parlerò, vi spie­gherò...

Giovanni                       - ET troppo tardi. Ormai non potrei più ascoltarvi. Voi mi direste delle menzogne. Forse le avrei accettate fino a cinque minuti fa. Ora non mi è più possibile. (Dal fondo, il custode seguito dal commissario).

Il Custode                     - (a Giovanni) Siete voi il professor Segni?

Giovanni                       - Sì, precisamente.

Il Custoixe                    - C'è qui il commissario, che chiede dì voi.

Giovanni                       - (al commissario) Sono io, Giovanni Segni...

Il Commissario              - Molto fortunato, professore... (Al custode) Potete andare. Vi ringrazio. (Il custode via dal fondo).

Giovanni                       - Sono a vostra disposizione, commissario, Ma io potrò dirvi ben poco... La signora, invece... (Indica Elena)

Elena                             - No!

Giovanni                       - (senza ascoltarla) La signora era con mia moglie, quando è avvenuta la disgrazia... Naturalmente la «ignora è agitata, commossa...

Il Commissario              - Questo è perfettamente logico...

Giovanni                       - Ma parlerà...

Il Commissario              - Del resto, si tratta di ottenere una versione quanto più possibile esatta di quello che è acca­duto. Per stabilire, voi lo comprendete, le responsabilità precise... La signora potrà essere una testimone pre­ziosa.. (A Giovanni) Abbiamo potuto subito accertare a chi appartiene il « camion ». A una ditta di Mantova, la Crespini. Il conducente è fuggito...

Giovanni                       - Mi è stato detto.

Il Commissario              - Oh! ma questo non; ha importanza! Fanno tutti cosi. Innanzi tutto lo « choc » nervoso, e poi, per evitare l'arresto... E vostra moglie?

Giovanni                       - La stanno operando... in questo momento...

Il Commissario              - Ah! (Una pausa) Mi dispiace. Pro­babilmente sono particolarmente importuno. Potrei tor­nare più tardi, se volete...

Giovanni                       - (deciso) No, no... Non occorre. Anzi, è meglio così... Questa attesa, voi capite, è spaventosa. E poi, bisogna interrogare subito la signora...

Il Commissario              - (lo guarda, un po' stupito) Sta bene. Se desiderate così... (Cava di tasca un taccuino) Le vostre generalità precise, prego?

Giovanni                       - Segni... Giovanni... Professore ordinario in questa Università...

Il Commissario              - Paternità?

Giovanni                       - Fu Roberto... e fu Maddalena Visconti... Nato a Varese, il 12 febbraio 1894...

Hl Commissario            - Da quanti anni siete ammogliato?

Giovanni                       - (con sforzo) Ci siamo sposati il 15 maggio del 1934...

Il Commissario              - Le generalità di vostra moglie?

Giovanni                       - Lauri... Anna Lauri, di Antonio e di Evelina Corredi. Nata a Milano il 20 ottobre 1910.

Il Commissario              - Il vostro domicilio?

Giovanni                       - Via Giulio Cesare, 192.

Il Commissario              - Cosa potete dirmi circa la di­sgrazia...?

Giovanni                       - Come già vi ho spiegalo, nulla. Ero in casa mia, un'ora fa, e mia moglie era uscita con la si­gnora, che è una sua amica. Mi hanno telefonato dal posto di pronto soccorso. E' così che ho appreso quello che era accaduto. Ho chiesto che mia moglie fosse tra­sportata qui. Beker è un mio collega di Università, ed ho una grande fiducia in lui. Ecco tutto.

Il Commissario              - (ad Elena) E la signora?

Elena                             - (agitata) Signor commissario, il mio stato di nervi, la mia emozione, non mi permettono, in questo momento, di subire un interrogatorio. Più tardi, a casa mia... Ora no. Perdonatemi.

Giovanni                       - (freddo) Insisto perché la signora sia interrogata subito.

Il Commissario              - Ma se la signora preferisce».

Giovanni                       - Ho le mie ragioni. (Ad Elena) Del resto mi sembra che ormai siate sufficiente mente calma, e non mi spiego la vostra ostinazione. (Al commissario) E’ natu­ralmente, di vitale interesse per me che la signora for­nisca una narrazione precisa del fatto. Più tardi, potrebbe dimenticare qualche dettaglio, qualche particolare. Sono questi, talvolta, che stabiliscono quelle responsabilità di cui parlavate, commissario. (Dal fondo, con cappello e pastrano, Arturo Pogliaghi: è agitatissimo).

Elena                             - (nel vederlo, gli corre incontro, quasi a rifu­giarsi) Arturo!

Arturo                           - (abbracciandola) Piccina mia... immagino... immagino perfettamente... (A Giovanni) E tu caro? Che notizie mi dai?

Giovanni                       - (fa cenno verso destra) E’ di là... La ope­rano...

Arturo                           - Caro, caro Giovanni... Una simile disgrazia! E tu... (ad Elena) tu eri presente? (Elena fa cenno di sì) Ma com'è stato?

Giovanni                       - Ecco. E’ quanto desideriamo sapere an­che noi. Io ed il commissario incaricato della prima inchiesta. (Al commissario) L'ingegnere Pogliaghi... il marito della signora... (Il commissario accenna un sa­luto) Dunque, ti dicevo, è quanto vorremmo sapere anche noi. Non so perché, tua moglie si rifiuta...

Elena                             - Ma non mi rifiuto! Arturo, tu capisci, io non mi sento, in questo momento non mi sento...

Arturo                           - Ebbene, si potrebbe rimandare...

Il Commissario              - Io non avrei avuto delle difficoltà, tanto più che il mio compito principale sarebbe stato quello di interrogare la signora Segni, se le sue condi­zioni me lo avessero permesso. Ma è desiderio, del resto perfettamente legittimo, del professor Segni, che la si­gnora renda una dichiarazione immediata. Ora, in questa dolorosa faccenda, egli è il principale interessato.

Arturo                           - Ebbene, piccina mia, un pò di coraggio, no? In fondo, avrai da raccontare ben poco... (Al com­missario) Si sa, una disgrazia... come tante...

Il Commissario              - Signora, vediamo: un piccolo sforzo su voi stessa. Mi rendo conto del vostro stato d'animo, e cercherò di ridurre al minimo... (Ad Arturo) Tutte le notizie riguardanti la signora sarete cortese di fornir­mele voi dopo. Andiamo al fatto, soltanto al fatto. Erano le cinque e mezza, vero?

Elena                             - (ormai rassegnata) Si.

Il Commissario              - Voi eravate al fianco della signora Segni?

Elena                             - No... Ero dall'altro lato della strada...

Il Commissario              - Dall'altro lato? E rivolta verso di lei?

Elena                             - Sì.

Il Commissario              - Allora, l'attendevate?

Elena                             - (con uno sforzo) Sì.

Giovanni                       - (al commissario)Permettetemi una do­manda... (Ad Elena, senza attendere che egli acconsenta) Mia moglie, quindi, si era recata in qualche luogo, senza di voi?

Euena                            - (sempre con sforzo) Sì.

Giovanni                       - E dove?

Arturo                           - Infatti, cosa stavate a- fare, in ria Ferruccio? E’ una strada eccentrica, in un quartiere fuori mano... anche un po' losco, non è vero, commissario?

Il Commissario -------- - Esattamente.

Arturo                           - Ebbene, la domanda di Giovanni non mi sembra inutile.

Elena                             - Oh! Arturo! Ora ti ci metti anche tu, a tormentarmi, a voler sapere... cose, del resto, sempli­cissime... di cui potremmo parlare più tardi... anche con Giovanni. Adesso si tratta di rispondere in merito alla disgrazia, è così, signor commissario?

Il Commissario              - Se il professor Segni e vostro ma­rito desiderano un chiarimento, non vedo perché non dobbiate rispondere.

Giovanni                       - Per attendere Anna, ferma in mezzo alla strada, debbo presumere che essa dovesse uscire da uno dei palazzi circostanti. Non vi è ragione che vi impedisca di dare il numero di questo palazzo, ed il nome della persona dalla quale essa si era recata. Non vi chiederò altro.

Arturo                           - Ebbene, cara?

Elena                             - - II palazzo... era il numero cinque...

Giovanni                       - E poi?

Elena                             - Non so, non so da chi sia andata... Mi ha pregata di accompagnarla... non so altro...

Giovanni                       - Non è possibile che non sappiate da chi sia andata. Vi ho già detto che non comprendo né le vostre reticenze, nè il vostro silenzio... Io vi chiedo, signor commissario...

Il Commissario              - Un momento... Signora, è certamente strano che abbiate accompagnata la vostra amica in una strada ed in un'ora probabilmente insolite senza averle chiesto da chi si recava, e perché.

Arturo                           - Elena, il commissario ha ragione. Ed anche Giovanni. Ti prego di rispondere.

Elena                             - Ebbene, essa si era recata da un certo..... Alòdia...

Giovanni                       - (colpito) Alòdia?

Il Commissario              - Lo conoscete?

Giovanni                       - Sì. (Come tra se) Alòdia...

Arturo                           - - Ebbene, Giovanni?

Giovanni                       - Si tratta di un ex inserviente dell'Istituto di Fisica. Fu scacciato, su mia richiesta, sette od otto mesi fa... Alòdia! Non capisco, proprio non capisco!

Elena                             - (rapida) Non so altro. Giuro che non so altro. O meglio, credo che Anna lo aiutasse. Ha dei bambini, è assai povero... Anna aveva molta pietà di lui...

Giovanni                       - Non capisco... no... non capisco...

Il Commissario              - Tutto questo sarà possibile, ed an­che facile, chiarirlo in un secondo momento... Ora, si­gnora, vorrete dirmi: da quale parte veniva il «camion »? Dalla destra o dalla sinistra della signora Segni?

Elena                             - Dalla destra.

Il Commissario              - Il « camion » correva molto?

Elena                             - Non credo, no... Non so, ora.» Non ricordo con precisione... E' stata, voi Io capite, una cosa fulminea, o almeno mi è sembrata tale...

Il Commissario              - Comunque, non avete avuta la sen­sazione di una velocità eccessiva?

Elena                             - No, questo no certamente. Anna attraversava la strada per venirmi incontro...

Il Commissario              - Vi è sembrata perfettamente nor­male? (Una pausa) Ripeto la mia domanda: la signora vi sembrava agitata, nervosa? Insomma, potrebbe avere influito sulla disgrazia una sua distrazione momentanea, un attimo di smarrimento?

Elena                             - (lenta) Credo... di sì...

Giovanni                       - (è ora attentissimo, tutto teso nella volontà di comprendere).

Il Commissario              - (a Giovanni) Voi capite che questo è molto, molto importante...

Giovanni                       - (sempre come a se stesso) Molto impor­tante... Sì... Molto importante...

Il Commissario              - (ad Elena) E questa agitazione era così evidente che, malgrado la rapidità della disgrazia, voi ne avete avuta la percezione, o almeno la impressione esatta?

Elena                             - Si,.. (Come presa, suo malgrado, dal ricordo) Era ancora giorno... Anna attraversava la strada come stordita... con gli occhi fissi... le braccia inerti... Ad un certo punto si è. fermata improvvisamente... Io avevo visto il « camion » che sopravveniva... ma mi sembrava che essa avrebbe avuto tutto il tempo di attraversare... Quando l'ho vista Jenna... ho gridato... l'ho chiamata... Ma non si è mossa... Mi ha soltanto guardata... Il con­ducente ha sfrenato.. Si è sentito lo strappo del freno... e poi... Oh! (Nasconde il viso sulla spalla dì Arturo).

Arturo                           - (commosso) Su... Elena... cara... (Al com­missario) Io credo che non abbia più nulla da dire-In ogni caso, vi sarà tempo... (Porgendogli un biglietto da visita) Questo è il mio biglietto... Potrete venire da noi quando vorrete... domani, domani l'altro... saremo a vostra disposizione... Ma ora vi sarò grato... e sarò grato anche a te, Giovanni... se sospenderemo questo interro­gatorio... (Accompagna la moglie verso una panca, vi si siede con lei) Scusami, se ho insistito anch'io... Ora cerca di calmarti...

Il Commissario              - (a Giovanni) Ed allora...

Giovanni                       - Sì... vi ringrazio... Sarò anch'io a vostra disposizione, quando vorrete...

Il Commissario              - Spero che l'operazione riesca feli­cemente... ed in tal caso, dovrò per forza importunare vostra moglie... Naturalmente, vi terrò informato dell'esito delle indagini ulteriori. Un mio aiuto sta già interrogando gli altri testimoni. Non vi nascondo, però, che le dichia­razioni della signora sono particolarmente favorevoli al conducente... Voi lo comprendete Benissimo... Mi di­spiace che...

Giovanni                       - (con un gesto della mano) Oh! Cosa vo­lete che m'importi...

'Il Commissario             - (lo guarda) Va bene... Comunque, v'informerò... I miei auguri, per la signora.» veramente sinceri... (Ad Elena) Ed a voi, signora, grazie... e scusa­temi... Dovremo rivederci, è necessario... ma senza fretta, naturalmente... (Ad Arturo) Ingegnere... (Via dal fondo).

Giovanni                       - (è pensoso, turbatissimo) Alòdia... Ma che cosa significa, tutto questo? C’è da impazzire...

Arturo                           - Via, probabilmente niente di più di quanto Elena non ti abbia detto...

ìGiovanni                      - Ma no! IE' ridicolo... è inverosimile... Lo aiutava, sta bene... Aveva pietà di lui, dei suoi figli... Sta bene anche questo... Ma perché andare da lui, laggiù? (Ancora passeggia, su e giù per la stanza: poi si ferma) E poi... (ad Elena) voi avete parlato di uno stato di tur­bamento di Anna, di una emozione visibile... Qualche cosa, insomma, che non può spiegarsi soltanto con la pietà umana... ed ancora, con la pietà per un essere che essa sapeva vile e spregevole... No, no! Vi è dell'altro, vi è di più... Qualche cosa che mi si vuole nascondere... (Risoluto) Elena!

Arturo                           - Ti prego,  Giovanni...

Giovanni                       - Bene, è giusto...

Arturo                           - Si potrà riparlare di tutto questo, con cal­ma, più tardi. E se c’è qualche cosa che Elena non ha detto, ti garantisco che te lo dirà... Non è vero, Elena? (Elena volta il viso dall’altra parte, senza rispondere).

Giovanni                       - (amaro) Tu lo vedi, non vuole nemmeno promettere.

Elena                             - Io non so più di quanto vi ho già detto.

Giovanni                       - Voi mentite! (Si frena) Scusatemi. Scu­sami, Arturo. Ma tu non sai, cosa c'è, dentro di me! Come un mostro orrendo che mi divori... Io non so nem­meno concentrare il mio pensiero sul fatto che quella disgraziata e di là... che la tormentano... (Si ferma) Tra la mia tenerezza per lei, ed il sospetto feroce e forse irragionevole che mi tortura, è il sospetto che è il più forte... il più tenace... Insomma, io non riesco a soffrire per lei, a soffrire con lei, e non vi riuscirò se non avrò saputa prima la verità. Qualunque essa sia, ma la ve­rità... (Dal fondo, Claudio: è pallidissimo; è chiaro che ha corso e che ora compie un enorme, quanto inutile, sforzo su se stesso per apparire normale; si ferma sulla soglia, si appoggia ad un lato dell'arco).

Claudio                         - Scusatemi... (A Giovanni; parla a bassa voce, ma quasi affannoso) Ho telefonato a casa vostra... dovevo parlarvi... Mi hanno detto... (Perdendo la calma, va verso Giovanni quasi d’impeto) Come sta?

Giovanni                       - (lo ha guardato, stupito: d’ora innanzi non lo perderà di vista un solo momento; tuttavia gli parla con calma, quasi affabilmente) Lo sapremo tra poco. La stanno operando.

Claudio                         - (c. s.) Un'operazione... grave?

Giovanni                       - (senza rispondergli) Vi ringrazio di essere venuto. E’ affettuoso da parte vostra...

Claudio                         - (cerca di ricomporsi, improvvisamente consa­pevole di avere sbagliato)  E’ cosi naturale,  Non c'è da ringraziarmi...

Giovanni                       - Non è soltanto il fatto di essere venuto... Ma il vostro tono... il vostro aspetto...

Claudio                         - Voi sapete che...

Giovanni                       - So, so... (Sempre scrutandolo) Vedete, in questi momenti, è terribile rimanere solo... (Sempre os­servandone il turbamento crescente, a mano a mano che egli parla) E’ già molto tempo che aspettiamo... Beker ha detto che si augura che le lesioni interne non siano gravi... (Una pausa: poi, fissandolo intensamente come per scoprirne ogni moto) Ma... teme per il cuore...

Claudio                         - (smarrito) Oh!

Giovanni                       - Beker è un buon operatore... uno dei mi­gliori... forse il migliore... Ha promesso che farà il pos­sibile. Sono certo che lo farà... Io non dispero...

Claudio                         - (lievemente rianimato) Ma... si capisce... sarebbe assurdo... disperare...

Giovanni                       - (sempre fissandolo) Comunque, anche Beker è un uomo... come noi... Voi sapete quanto me che nessun uomo può fare dei miracoli... (Si volta di scatto, perché ha sentito aprire la porta di destra).

Beker                            - (appare sulla soglia: è emozionato, ma parla con tranquillità, con dolcezza) Segni...

Giovanni                       - (non può rispondergli: lo interroga con gli occhi, fatti grandi e vivi dall’ansia e dall'attesa).

Beker                            - Il cuore... si è fatto quanto si poteva...

Giovanni                       - (ha un singhiozzo rauco: si accascia su di una panca. Gli altri sono rimasti immobili atterriti. Un silenzio) Voglio vederla...

Beker                            - Non ancora... tra poco... vi farò chiamare... (Più basso, quasi soltanto a lui) Non ha sofferto... ve ne do la mia parola...

Giovanni                       - (afferrandogli una mano) Grazie, Beker...

Beker                            - (via di nuovo da destra, richiudendo).

Claudio                         - (è sconvolto; parla torà con tono roco, dispe­rato) Si è uccisa...

Giovanni                       - (alzandosi di scatto) Cosa dite? Cosa dite voi?

Gaudio                          - Si è uccisa... Io non credo alla disgrazia... non credo a nulla... si è uccisa...

Giovanni                       - (con un grido) E perché si sarebbe uc­cisa? (Non era felice? Non era felice? (Afferrandolo per le spalle, lo attira a sé con violenza) <Cosa sapete, voi? Cosa sapete, voi, di lei? Io, io solo!... Io solo so di aver fatto quanto potevo... per farla felice... E perché questa ipotesi? Basata su che cosa? Chi vi dà il diritto.-chi vi dà [il diritto... (Qualcosa nel viso di Claudio gli rivela la verità, prima appena intravista: egli lo respin­ge bruscamente).

Arturo                           - (gli si avvicina, mentre Elena, avvilita, non abbandona il suo angolo) |Su, Giovanni... non ti agi­tare.» Ha detto così... una sua impressione... Poco oppor­tunamente, se vuoi, «ma una sua impressione... natural­mente infondata... Tua moglie era una donna equili­brata... sana... Noi siamo tutti testimoni di quel che hai sempre fatto per lei... Sì capisce, tu sei ora in uno stato d'animo che... (S'interrompe, perché Giovanni non lo ascolta).

Giovanni                       - (freddissimo, livido, con voce netta e tagliente) Mia moglie è stata vittima di una disgrazia... un 'banale infortunio... che ha avuto conseguenze orri-bili... ma una disgrazia... Nessuno, capite?, nessuno è autorizzato a pensare ad altro... Io lo proibisco... a chiun­que... (Una pausa, lunghissima: Claudio è rimasto im­mobile, vicino all’arco di fondo; Arturo è tornato, len­to, verso Elena che ha ricominciato a singhiozzare, ma assai piano; Giovanni si è seduto di nuovo sulla panca che è di fronte alla porta di destra, e la guarda intensa­mente, in attesa).

Olga                              - (da destra, aprendo l'uscio ma senza oltrepas­sare la soglia)  Ora potete entrare... (Arturo ed Elena non si sono mossi: Giovanni si è alzato d'impeto, ma, nell’avviarsi verso destra, s'incontra con Claudio, che, quasi spinto da una forza irresistibile, si è avviato anch'egli per entrare; i due uomini si guardano un istante, fisso negli occhi: poi Claudio abbassa i suoi, e cede il passo, arretrando, mentre Giovanni esce da destra, rapi­dissimo).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (La stessa scena del primo atto, ma è la sera. Sono in scena Elena ed Arturo, seduti su poltrone: in piedi, il cameriere).

Il Cameriere                  - (continuando il discorso già iniziato) ... ed allora, sono andato a chiamarlo. Assicuro i signori che non sapevo come dirglielo!... E’ andato al telefono, e ne è tornato pallido da fare pietà... Non ha pronun­ciato una parola, ed è uscito subito. Io volevo corrergli dietro, accompagnarlo... ma non ho osato.

Arturo                           - E da quel momento?...

Il Cameriere                  - Più nulla. Non avrei saputo nemmeno della morte della signora, se non foste venuti voi. Il professore non è tornato, né ha telefonato.

Arturo                           - E' strano… è molto strano! Ed è anche pre-occupante. Perché noi siamo entrati dopo di lui, per vedere la povera Anna, ed egli era lì, immobile, a fianco al letto. Non ha detto nulla, non ha nemmeno pianto. Vi dico, se non avessimo saputo quale straordinario affetto lo legava a sua moglie, avremmo potuto pensare... non so, finanche ad una sua indifferenza...

Il Cameriere                  - Oh! il signor professore adorava la signora Anna! Aveva per lei delle attenzioni, delle pre­mure, che stupivano tutti. Del resto la signora lo meri­tava. Tutta la servitù la rimpiangerà.

Arturo                           - Poi, mentre eravamo lì fermi anche noi, egli si è. scostato dal letto, come per cederci il posto. Ed ha approfittato della nostra emozione per uscire in fretta dalla stanza. Quando ci siamo voltati, non c'era già più.

Elena                             - Io ho avuta la sensazione che egli uscisse ma mi sentivo così male, che non ho avuto la forza di assicurarmene.

Arturo                           - Avresti fatto meglio ad avvertirmi subito. (Al cameriere) Io mi sono precipitato fuori, per seguirlo, ma era troppo tardi. Una infermiera ci ha detto che aveva parlato qualche minuto con Beker, il chirurgo, ma poi era uscito in fretta dalla clinica. Anche Beker era andato via, e non abbiamo potuto domandargli. Il custode ci ha detto che Giovanni era uscito solo, e aveva preso un tassì che passava di lì per caso, ma che non aveva potuto sentire quale indirizzo aveva dato. Noi speravamo di ritrovarlo qui... che fosse tornato a casa sua, perché non gli reggeva il cuore di rimanere laggiù... Ecco perché siamo venuti.

Il Cameriere                  - Si potrebbe telefonare in Questura...

ARturo                          - Oh! no! Aspettiamo un poco. Non cor­riamo con la fantasia, e d'altro canto sarebbe assurdo gettare un simile allarme senza avere nemmeno l'ombra di un sospetto preciso!

Elena                             - (al cameriere) Potete andare. Rimarremo qui ad aspettarlo. Tanto, siamo di casa

Il Cameriere                  - Grazie, signora. Posso servire qualche cosa?

Arturo                           - No, no-, non occorre. (Il cameriere va via dal fondo).

Arturo                           - (ad Elena) Sei stanca?

 Elena                            - Non mi reggo in piedi.

Arturo                           - Naturale! Con tutte le emozioni di oggi!

Elena                             - E sono incominciate presto! La scena con quell'Alodia è stata spaventevole!

Arturo                           - Mi hai raccontato i fatti ,in maniera così confusa e frettolosa, mentre venivamo qui, che non ci ho capito nemmeno troppo bene.

Elena                             - Eppure è semplice.

Arturo                           - E tu credi che Giovanni non abbia nes­sun dubbio preciso?

Elena                             - Ah! non so! Certamente è stato molto strano, con Giani. Dal canto suo, Giani si è comportato come un ragazzo, assolutamente come un ragazzo... Ed egli lo guardava in un modo tutt'altro che rassicurante.

Arturo                           - Tu credi che Alòdia parlerà?

Elena                             - Ormai non ne ha ragione. E nemmeno in­teresse.

Arturo                           - Io non capisco perché tu ti sia cacciata in questa faccenda!

Elena .                           - Te l'ho spiegato, no? Anna era in uno stato! Che cosa volevi Che facessi?

Arturo                           - Ora, da tutti i punti di vista, è necessario che tu ti mantenga sulla negativa. Innanzi tutto, se Alòdia non parlerà, nessuno potrà fornire a Giovanni delle notizie che riaffermino i suoi sospetti. In secondo luogo, anche se venisse alla luce qualche cosa, non vo­glio che tu vi sia immischiata.

Elena                             - Oh! per questo, sta tranquillo! Io so come debbo regolarmi!

Arturo                           - (dubbioso) E? questo che Mi preoccupa.

Elena                             - Bella fiducia!

Arturo                           - Non so, certe volte penso che voi donne, con la vostra inverosimile testa... Beh! non è il mo­mento per queste considerazioni, ma forse, se non ci foste voi sul mondo, tutto andrebbe meglio.

Elena                             - Vorrei vedervi, voi uomini, soli in un mondo nel quale dovreste incominciare ad imparare come si cuociono due uova al tegame! (Una pausa: ambedue hanno, per la stanchezza, sprofondando nelle poltrone) Che ora è?

Arturo                           - (guarda l’orologio) Accidenti! Mi si è fermato! Ma credo che siano le dieci, le dieci « mezza...

Elena                             - Pensare che sei ore fa io ero qui, con quella povera creatura!

Arturo                           - Purtroppo, è la vita!

Elena                             - Tu sai che non riesco a persuadermi? In­somma, non so ancora realizzare quello che è accaduto! Ho l'impressione di un brutto sogno, un incubo dal quale dovrò svegliarmi da un minuto all'altro.

Arturo                           - Ti credo. Povera Anna! E povero Gio­vanni! (Con uno sbadiglio) Sai che comincio ad avere un certo appetito?

Elena                             - Oh! tu, non c'è pericolo che perda l'ap­petito, in nessuna occasione!

Arturo                           - Questa tua osservazione è in diretto rap­porto con la tua ignoranza. Tu non sai, evidentemente, che l'appetito è frutto di una necessità fisiologica, con­tro la quale l'individuo, con la sua volontà, non può assolutamente nulla!

Elena                             - La verità è che tu non puoi mai nulla con­tro nessuna delle tue... necessità fisiologiche! Devi convenire che ve ne sono alcune, in certe circostanze, che sono disgustose! Per mio conto, non potrò toccare cibo...

Arturo                           - (cominciando ad accendersi) Io non ti ho detto che devi mangiare tu! Ti ho detto che debbo mangiare io! E mangerò. Me ne dispiace, ma man­gerò.

.Elena                            - Oh! non ne dubito affatto! Questo non toglie che sia disgustoso.

Arturo                           - Va bene, non ani sembrano ne la giornata ne il luogo adatto per un litigio. Avremo tempo: Oh! se avremo tempo, e buone occasioni! Già, quella di liti­gare è tua, come necessità fisiologica! E non tieni mai presente che io sono un iperteso, e cioè che la mia pressione non mi consentirebbe delle agitazioni. (Alzan­dosi di scatto) Per esempio, ti sembri idiota, io non posso sopportare lo sguardo di quella fotografia fisso su di me! (Gira Un pò la fotografia di Anna che è sul tavolo) Non sono impressionabile, ma certe cose...

Elena                             - Povera Anna! (Si nasconde il viso tra le mani).

Arturo                           - ( pentito) Scusami! Sai, mi sento nervoso anch'io.

Elena                             - (tendendogli una mano, affettuosa) Si ca­pisce, Arturo. Anch'io sono più nervosa del solito, e le nostre discussioni sono meno che mai ragionevoli! (0al fondo, Giovanni).

Arturo                           - (andandogli incontro) Oh! finalmente! Ci hai fatti stare in una preoccupazione!

Giovanni                       - Mi dispiace. Cosa credevate?

Arturo                           - Oh! non so! (Confuso) Sai, sei uscito dalla clinica senza avvertire nessuno! In un momento come quello!

Giovanni                       - (getta cappello e pastrano su di una sedia) Buona sera, Elena.

Elena                             - (stringendogli la mano) Caro Giovanni... noi siamo venuti, convinti di trovarvi qui.

Arturo                           - Per non lasciarti solo, si sa!

Giovanni                       - Oh! no, no! Non voglio che vi distur­biate più oltre per me. La vostra giornata non è stata lieta. Sarete stanchi. Io vi sono tanto grato di tutto. (Ad Elena) Anzi, debbo chiedervi perdono per oggi. Sono stato eccessivo, villano...

Elena                             - Oh! Giovanni!

Giovanna                      - Si, Io so benissimo. Ma ho delle scu­santi...

Elena                             - Tutte le scusanti! E poi, io stessa... Forse sono stata illogica. Sarebbe stato assai più semplice dirvi subito che eravamo state da... quel tale. Soltanto, voi capite... non sapevo se Anna... la povera Anna volesse farvelo sapere. Una cosa innocente» posso giurarvelo, ma, certe volte, non si sa se una cosa anche innocente non possa dispiacere a qualcuno

Arturo                           - (preoccupato dalla piega presa dalla con­versazione) Via, Giovanni ha capito benissimo! Ora non tormentarlo più con quella stupida faccenda... Sai, caro, noi ti siamo vicini, con tutto il cuore... e soffriamo come di una sventura che avesse colpito casa nostra...

Giovanni                       - Lo so. Anche Anna vi amava molto... (Chiude gli occhi come se gli fosse insostenibile pro­nunciare U nome della moglie).

 Arturo i                        - Ma dove sei stato? Tanto tempo fuori, così, tu solo... (Giovanni non risponde) Bene, se non hai vo­glia di dirmelo, fa come credi. Noi siamo stati in pena, ti assicuro. Il cameriere ti ha visto? Anche lui, po­veruomo...

Giovanni                       - Si. Mi ha aperto la porta. Mi ha visto.

Elena                             - (preoccupata) Siete /stato in giro, no? Io ho pensato subito che aveste avuto il bisogno di met­tervi in una macchina, di correre senza mèta...

Giovanni                       - Sono stato da Alòdia. (Un silenzio).

Arturo                           - (timido) Da... Alòdia? Ah, già! Quel tale!

Giovanni                       - Quel tale, sì. Non c'era. (Elena ed Ar­turo sembrano sollevati) C'era la moglie, e c'erano i ragazzi.

Elena                             - Povera gente, non è vero? Anna mi diceva che è ipropria povera gente...

Giovanni                       - Povera gente, sì. Alòdia, ve l'ho detto, non era in casa sua. Ma verrà.

Elena                             - Dove?

Giovanni                       - Qui, più tardi. Appena rientrerà, lo avver­tiranno, ed allora verrà.

IElena                           - (vivamente) Non credo che...

Giovanni                       - Perché? Verrà, ve lo assicuro.

Elena -                           - Ma a che scopo?

Giovanni                       - Debbo parlargli. Egli deve spiegarmi.

Arturo                           - Elena, ma Dio mio, è giustissimo! Gio­vanni deve sapere con precisione che rapporti inter­correvano tra quell'individuo e la povera Anna.

Giovanni                       - Alòdia non può fare a meno di venire. E non potrà fare a meno di parlare.

Elena                             - Ebbene, vi persuaderete...

Giovanni r                     - Tanto meglio, se mi persuaderò.

Arturo                           - Sai, volevo dirti... mi sono permesso di dare io, laggiù, tutte le disposizioni. Ho pensato che probabilmente, anzi certamente, tu non avresti avuto la forza di farlo. D'altro canto era necessario...

Giovanni                       - Hai fatto bene. Ti ringrazio.

Arturo                           - Ne riparleremo domani mattina, o più tardi, se lo preferirai.

Giovanni                       - Domani mattina. Ora voi due andrete via...

Arturo                           - Io pensavo che...

Giovanni                       - No, no, ve l'ho già detto...

Arturo                           - Ma... lasciarti solo... Potrei accompagnare Elena a casa, e poi tornare da te.

Giovanni                       - Non occorre. Assolutamente non voglio.

Arturo                           - Anche se tu volessi... tornare laggiù...

Giovanni                       - Non credo che tornerò laggiù. Almeno ,per ora.

Arturo                           - « Come vuoi. Del resto, non hai che a chia­marmi. Una telefonata, in qualunque ora della notte, e sarò da te. A proposito, ho anche telegrafato al padre ed alla madre di tua moglie. Naturalmente, un tele­gramma preparatorio. Anche questo era necessario. Penso che, se partiranno stanotte, potranno essere qui domani mattina, o al massimo nel pomeriggio. Vuoi leggere il testo?

Giovanni                       - Non Serve. Andrà benissimo. Ed ancora grazie.

Arturo                           - Oh! figurati! (Indeciso) Ed allora, Elena?...

Elena                             - Se Giovanni vuole rimanere solo, non è il caso di insistere.

Arturo                           - (soddisfatto) Penso anche io. Arrivederci, Giovanni, E' inutile raccomandarti la calma, il coraggio... Vedo con piacere che hai saputo importeli da te. (Lo ab­braccia) E, ti ripeto, se avrai bisogno di me... una tele­fonata...

Giovanni                       - Sì, sta tranquillo. Arrivederci, Elena.

Elena                             - Arrivederci, Giovanni... (Commuovendosi) Sa­pete, per me è come se avessi perduta una sorella...

Giovanni                       - Lo so.

Elena                             - Siamo state insieme alle Dorotee... Anche oggi se ne parlava...

Arturo                           - Su, Elena! Che discorsi!

Elena                             - Hai ragione. Scusatemi, Giovanni. Ed arri­vederci. Verrò anch'io, domani mattina, prestissimo. Sarei rimasta laggiù, questa notte, se me ne fossi sentita la forza. Ma sono esaurita...

Giovanni                       - A domani, allora. (Si accinge ad accom­pagnarli),

Arturo                           - No, no, è inutile... Conosciamo la strada. (Elena ed Arturo via dal fondo, per la comune).

Giovanni                       - (è solo: si guarda un momento intorno, come per riordinare le idee: poi va al telefono, deciso, e chiama un numero) Pronto... Siete voi? Ho bisogno di vedervi. Sì, sono io. Si subito. Come? Ah! non posso dirvi, ora, per telefono! Ne riparleremo qui da me... E poi, ve l'ho detto, debbo vedervi. Sì, sì... sta bene... (Toglie la comunicazione).

Il Cameriere                  - (dal fondo) Signore...

Giovanni                       - Cosa c'è?

Il Cameriere                  - Mi permetto di dirvi., che sarebbe opportuno... anzi necessario... che prendeste qualche cosa... Un brodo, non so, o una tazza di latte...

Giovanni                       - No, vi ringrazio.

Il Cameriere                  - (fa per avviarsi verso il fondo),

Giovanni                       - Sentite...

Il Cameriere                  - Signore?

Giovanni                       - Verrà tra pochi minuti il dottor Giani. Lo farete entrare subito. Più tardi, in serata, non so ancora a che ora, verrà un uomo, che cercherà di me. Un certo Alò dia...

Il Cameriere                  - (stupito) Alòdia?

Giovanni                       - Sì, Alòdia. Anche lui, lo farete entrare subito. E non ci sotto per nessun altro.

Il Cameriere                  - Sta bene, signore. (Via dal fondo, leg­gero, richiudendo la porta).

Giovanni                       - (è di nuovo solo; ancora si guarda intorno; va verso la porta di sinistra, ma si ferma; ritorna; ac-cende il lume da tavolo, spegne la luce del centro: ì suoi gesti sono composti, apparentemente tranquilli, ma intimamente desolati; siede al tavolo, guarda fisso in­nanzi a se; poi i suoi occhi incontrano la fotografia di Anna: la prende tra le mani, la guarda lungamente quasi come interrogandola. Lentamente, silenziosamente, incomincia a piangere: ora piange sulle braccia con­serte, chino sul tavolo. Bussano alla comune. Giovanni si solleva di scatto, si ricompone) Avanti.

Claudio                         - (dal fondo: è estremamente abbattuto) Sono io. (Poi, lento) Che cosa volete da me?

Giovanni                       - Sedetevi.

Claudio                         - (lo guarda: poi, un pò curvo, va a sedere All’altro lato del tavolo) La vostra telefonata mi ha stupito. Comunque, sono qui. Mi spiegherete...

Giovanni                       - Vi spiegherò, sì, certamente. (Una pausa: poi, un po' più piano) Da quanto tempo?

Claudio                         - Che cosa?

Giovanni                       - Dico: da quanto tempo?

Claudio                         - Non capisco.

Giovanni                       - Non è vero. Voi mi capite benissimo. Ci siamo capiti perfettamente anche laggiù, qualche ora fa. Sarebbe inutile giocare, ora, con le parole. E' più leale, se vi è qualche cosa di leale fra noi, parlarci a viso scoperto. Io vi invito a farlo. Di noi due, sarei più in diritto io, se mi rifiutassi di parlare con voi. Eb-bene, come vedete, lo desidero, invece. Tra me e voi la situazione è tutta cambiata. 'Non vi è più soltanto il fatto di ogni giorno, l'amore dì una donna conteso da due uomini. Ora, tra me e voi, vi è lei. Non come l'avete vista voi oggi, per l'ultima volta, viva, giovine, adorabile, ma come l’ho vista io, poco fa, nel suo lettino, morta.

Claudio                         - Vi prego...

Giovanni                       - La parola vi fa paura? Io la pronuncio con tutta la calma possibile, lo vedete. Sì, lei morta. Morta, vale a dire che non tornerà più, che non la ve­dremo più, nò io, nò voi, nò altri... Allora, voi lo ca­pite, non è più lo stesso... (Più piano) Da quanto tempo?

Claudio                         - ((con sforzo, chinando la testa) Due anni.

Giovanni                       - . Due anni? Allora, press'a poco da quando ve la feci conoscere? Fu sui laghi, se non sbaglio. Due anni fa, in autunno.

«Claudio                       - Tre mesi dopo.

Giovanni                       - Non perdeste tempo, davvero non si può dire che perdeste tempo.

Claudio                         - (alzandosi) Questa conversazione non può continuare. Voi stesso ne comprendete l'assurdità.

Giovanni                       - E perché? Vi ho già detto che ora la situazione |è cambiata. Se avessi saputo, o capito, prima…oggi... ieri... ebbene, certamente non avrei potuto ascol­tarvi... Vi avrei impedito di parlare, tanto per inten­derci... Vi avrei fatto pagare il vostro debito... Ah! que­sto, ve lo giuro! Non sono più un giovanotto, il lavoro di laboratorio mi Sia invecchiato anche di più del neces­sario, ma avrei avuto la forza di farvi pagare!

Claudio                         - Credete, lo preferirei...

Giovanni                       - No. Sedetevi. Sedetevi, vi dico! Non è finita. Dovremo parlare ancora. Ho bisogno di sapere molte cose, da voi. Almeno questo me lo dovete, no? (Claudio siede di nuovo, riluttante) Vi siete tradito, oggi. Bene, ciò in un certo senso, va a vostro favore. Insomma, non siamo soltanto un derubato ed un ladro. Probabilmente siamo anche due uomini che hanno in­contrato sulla loro strada la stessa donna. Perché voi l'avete amata, spero?

Claudio                         - (risoluto) Sì.

Giovanni                       - Cosa pensate di me, in questo momento? Mi trovate più bizzarro, o più ripugnante? Forse mi concedete, in fondo a voi stesso, un po' di pazzia. No, no: rinunciate a concedermela. Non sono pazzo. Seguo un mio pensiero, non sono pazzo. E, rassicuratevi, io vi odio. Sì, vi odio con tutta l'anima. Questa, forse, era una premessa necessaria, per poter parlare liberamente, io e voi. (Si alza: va sii e già) E non rimproveratevi troppo di esservi tradito. Quando questo vi è avvenuto, io attraversavo un momento tutto particolare. Già, in me, vi erano dei sospetti. Allora, questi sospetti mi ave­vano data una specie di lucidità. Mi è bastato avervi visto. Avrei capito lo stesso, anche se non vi foste tra­dito, con la vostra emozione e le vostre parole. (Siede di nuovo) Ed essa, vi amava?

Claudio                         - (non risponde).

Giovanni                       - Perché non rispondete? Temete di fe­rirmi? E’ sciocco, estremamente sciocco, da parte vostra. Come se fosse possibile ferirmi ancora, più di quanto non abbiate fatto. Ebbene, su, coraggio: ditemi, vi amava?

Claudio                         - Se non mi avesse amato...

Giovanni                       - Non mi avrebbe ingannato con voi? E’ questo che volete dirmi? Si, è probabile. Assai proba­bile. Sembra che vogliate salvarla, ai miei occhi, al mio ricordo. E’ una cavalleria facile, la vostra. Ma vi rin­grazio. Non occorreva, non occorre. Io la conoscevo da tanto, tanto tempo prima di voi. Sapete che ho esitato molto, a sposarla? Già, credo che abbiamo avuta occa­sione di parlarne, altra volta. Perché io vi ho fatta anche qualche confidenza. Sono stato così idiota, da farvi delle confidenze. Dunque, esitai molto, prima di sposarla. La mia età, la sua... Poi, l'amavo troppo, e non ho po­tuto farne a meno. Ma non me ne pento. Vi sembrerà strano, ma non me ne pento. (Nemmeno ora, nemmeno oggi. Essa mi ha dato di se qualche cosa che a voi non ha potuto dare. Sì, la sua tenerezza, la sua compagnia di ogni giorno. Voi la vedevate a tratti, quando potevate...

Claudio                         - Io torno a pregarvi di...

Giovanni                       - (ostinato) Io la vedevo sempre, sempre. Era mia, anche se voi me l'avevate rubata. Era mia, ed ho di lei tanti ricordi che voi non avete. Sì, sì: so che potreste dirmi! Che la parte migliore di lei è stata vo­stra, perché voi, voi, vi amava... e me, invece, mi sop­portava... ma...

Claudio                         - (interrompendolo, serio) Vi era profonda­mente attaccata. Un silenzio).

Giovanni                       - (con sforzo) Sì, può darsi. E' curioso, che questa conferma mi venga da voi! Può darsi. Io, natu­ralmente, le chiedevo di più. Qualche volta, ho perfino potuto credere che vi fosse di più. Del resto, posso dirlo, meritavo questo suo... come lo avete chiamato? attaccamento, già. Perché, per quanto mi riguarda, per quello che ho potuto, io sono stato per lei tutto: non il marito soltanto, ma l'amico, il fratello, tutto. E non vi è stato nulla che mi arrestasse nel tentativo di farla felice. Un povero tentativo, s'intende. Non mi è riuscito, com'è chiaro. Ma non ho rimorsi. Oh! io, vedete, non ho rimorsi. Si capisce, questo non riempirà la mia vita, d'ora in avanti. Ma per lo meno non l'amareggerà. Riempirla, no. (Si alza di nuovo; passeggia) Vi rendete conto di quello che mi avete tolto? Vorrei che ve ne rendeste ben conto, sapete? Perché, se avete ancora un po' di coscienza, que­sto pensiero, almeno per qualche tempo, non dovrebbe rendervi l'esistenza piacevole.

Claudio                         - Mi rendo conto di tutto.

Giovanni                       - Mi avete tolto quanto avevo, l'unica cosa che avevo. Il nostro mestiere è duro, spesso ci riserva delle sconfitte. Ma essa mi sorrideva, in fondo alla mia giornata. Ora è tutto crollato, intorno a me. Se fosse ancora viva, ovvia!, forse potrei perdonarle, oppure po­trei odiarla, come odio voi. Invece, è evidente, io non posso perdonarle e non posso odiarla. Non le perdono, perché il perdono è una vigliaccheria che implica un'at­tesa: l'attesa della gratitudine, quindi il ritorno ad ano stato allusivo, quello nel quale sono vissuto per tanti anni. E non ho più nulla da attendere, da lei. Non posso odiarla, perché non me ne basta l'animo: e, se anche lo potessi, sarebbe sufficiente, per rinunciarvi, chiu­dere gli occhi un istante, e rivederla, come l'ho vista, laggiù, con due piccole pieghe di sofferenza, qui agli angoli della bocca... oh! (Si ferma: soffoca).

Claudio                         - - Vi scongiuro, lasciatemi andar via. Non per me, per voi.

Giovanni                       - Ah! no! Ah! no! Credete che non mi faccia bene, parlare, parlare, come ora, di lei, di me, di voi? Sì, mi fa bene, ve lo assicuro. E con chi, del resto, potrei parlarne, se non con voi? Sembra ridicolo, inverosimile, ma è così. Di lei, non mi restate che voi. Vi ho detto che vi ho chiamato qui per sapere molte cose. In fondo credo che non è vero. Io vi ho chiamato qui per poter parlare, perché il silenzio mi era diventato insopportabile. Prendetela come volete, non ho che dirvi! In poche ore, in pochi istanti, la vita di un uomo può essere sconvolta, letteralmente sconvolta. Quando si fa naufragio, c'è poco da discutere ; il naufrago s'afferra dove può. Non è affatto improbabile che s'afferri al suo peggiore nemico. (Pausa) Dunque, io non sono riuscito a farla felice. L'intenzione c'era, la buona fede anche. E' stato un fallimento, insomma, non una bancarotta. Le avevo costruita, giorno per giorno, una vita che cre­devo le fosse gradita. E’ chiaro che invece le avevo co­struito, intorno, una prigione che le riusciva insoppor­tabile. Oh! non ve lo nascondo! La mia è quella che si chiama una delusione. Ma, poi, mi sta bene. Nella nostra ingenuità, noi crediamo qualche volta che alle nostre donne occorra soltanto offrire tutto quello che il danaro può dare... Oh! intendiamoci! Tutto questo ac­compagnato dalla nostra affettuosità costante, da un nostro amore silenzioso, discreto, quasi vergognoso di manife­starsi. Ed un bel giorno, ci accorgiamo che non è vero, che vi è dell'altro, attorno, che le attrae. Esse hanno più fantasia di noi. Noi, un po' la vita ce l'ha tolta, ed un po' non abbiamo tempo di averne. Ma questa loro fantasia le conduce lontano, in una terra sconosciuta, e quando apriamo gli occhi è troppo tardi per seguir-vele... (Brusco) Ditemi: è stata felice, con voi? 0 per lo meno, credete che lo sia stata?

Claudio                         - Voi mi fate una domanda alla quale non so rispondere. Avete posta la nostra conversazione su di un piano nel quale non posso seguirvi... non so se­guirvi...

Giovanni                       - Ma sì, è naturale che sia così! Vedete, tra me e voi vi è una differenza profonda: io ammetto senz'altro che voi l'abbiate amata...

Claudio                         - L'ho amata, sì, ve l'ho detto. Ed ho fatto quanto potevo, per farla felice! E se avesse voluto, se non ci foste stato voi, tra lei e me, avrei fatto di più. Io ero pronto a sacrificarle tutto, anche la mia carriera. Voi sapete che il mondo non perdona certe cose. E tut­tavia, non avrei esitato un istante. E' necessario che voi lo sappiate, prima di giudicare, prima ancora di odiarmi!

Giovanni                       - Sì, vi credo. Se non vi credessi, se pen­sassi che la vostra non -era che una vanità, o un ca­priccio, ebbene, non so che cosa farei! Dunque, io am­metto che l'abbiate amata, sì, amata quanto l'ho amata io. Ma in una maniera diversa. Voi siete giovane: io no. Voi eravate, per lei, l'uomo del romanzo, non so, il suo sogno di collegio. Io invece ero il marito. Una parola -arida, questa. E’ scritta nel codice, mentre la parola «amante» nel codice non c'è. Ma è il marito, non l'amante, ma è l'uomo della mia età, non della vostra, che sa andare oltre l'amore, che sa, insomma, voler bene alla sua donna. Ecco: tutta la differenza è racchiusa in queste due parole: voler bene. Sì, voi le avrete accarezzati i capelli... erano belli, i suoi capelli... lo facevo anch'io... ma non avete mai pensato a toccarle la fronte, nel timore che avesse la febbre... ma non vi preoccupavate che non si stancasse... e se usciva, con il mal tempo, non le chiedevate se fosse ben coperta­ lo sì... io sì.... (Si ferma) Sembra nulla, non è vero? Ma è- tanto, tanto diverso... sapete? (Brusco) Per esem­pio, vi siete chiesto perché sia morta?!

Claudio                         - Cosa significa questa vostra domanda?

Giovanni                       - ilo me lo sono chiesto subito. Sì, conosco la vostra versione. E’ semplicistica. Essa amava voi, ed aveva dell'affetto per me. In questo dubbio, in questa alternativa, s'è uccisa...! Poi vi è la versione degli altri: una disgrazia, una disgrazia qualunque... Tutto questo non soddisfa il piccolo amore pauroso del marito. Co­munque, da quando voi avete pronunciate quelle dan­nate parole, questo pensiero non mi ha abbandonato. Ne ho parlato anche con Beker. Ebbene, i fatti, così come si presentano, potrebbero anche darvi ragione. Elena assicura che essa avrebbe potuto attraversare la strada, sottrarsi, cioè, al «camion» che sopravveniva. Perché non lo ha fatto? Elena la chiamò, gridò... Beker dice: è impossibile stabilire dove sia il confine tra la volontà di morire, e la mancanza della volontà di vivere... suicidio, voi lo capite, non avrebbe risolto nulla. In definitiva, quale sarebbe stato il risultato? Fare due infelici, invece di uno solo... No, no: non è stata la vo­lontà di morire che le ha impedito di sottrarsi al peri­tolo che la minacciava. Vi è stata qualche altra cosa, una cosa forse più grave: la mancanza della volontà di vivere, appunto... E quando una creatura umana giunge a questo punto, quando cioè la sua infelicità ne impedisce le reazioni, ne distrugge l'istinto di conservazione e di difesa, ebbene, è peggio che se si fosse uccisa!

Claudio                         - Ed allora?

Giovanni                       - Allora, io cerco. Nella terra sconosciuta dove essa è fuggita senza di me, nella terra dove ha cer­cato una felicità che io non sapevo darle, vi era qualche «osa, in agguato, che attendeva. Io, non ero là per proteggerla. Essa ha avuto paura, la paura le ha impedito di continuare a vivere. Io non so cosa fosse, ma lo saprò... Troppo tardi, -ma lo saprò... (Dal fondo, cupo, sospettoso, in evidente stato di semi ubriachezza, Alòdia).

Claudio                         - (scorgendolo, stupefatto) Alòdia!

Giovanni                       - (gli volgeva le spalle, ma si volta, ora, di scatto, con gioia) Alòdia! Sì, Alòdia! Lo aspettavamo, no? Entrate, Alòdia, entrate...

,Alòdlv                          - (entrai è esitante) Avete una strana maniera di invitare la gente a casa vostra...

Giovanni                       - (imponendosi la calma, ma in preda ad un'ansia febbrile che non lo abbandonerà sino alla fine del atto) Non avevo la scelta. Se non avessi minacciato di tirar fuori quelle famose carte dell'Istituto che vi danno tanta noia, certamente non sareste venuto, qui, da me, a quest'ora...

Alòdia                           - Avrei potuto venire domani, e sarebbe stato lo stesso. Non capisco che cosa abbiate da dirmi, di cosi urgente... (Guarda Claudio, di sbieco).

Giovanni                       - Ne parleremo subito. Ma intanto, pren­derete un cognac. Così non avrete sprecata la vostra .gita.

Alòdia                           - No, grazie tante.

Giovanni                       - (va ad un piccolo bar che è in angolo, ne tira fuori una bottiglia di cognac ed un bicchiere: me­sce ad Alòdia) Non vorrete farmi credere d'essere diventato astemio tutto ad un tratto.

Alòdia                           - Astemio, no, ma... (Beve di un fiato).

Giovanni                       - Benissimo! Finalmente vi ritrovo, Alòdia!

Alòdia                           - Ci tenete dunque tanto, a ritrovarmi? Non credo di rappresentare un buon ricordo, all’Istituto di Fisica...

Giovanni                       - Rimpiangete l'Istituto?

Alòdia                           - Rimpiango il mio lavoro, il pane per i miei bambini...

Giovanni                       - Ebbene, si potrebbe vedere. (Sì, sì: non è una ipotesi da scartare...

Alòdia                           - (più che mai insospettito) E' per farmi una proposta di riassunzione che m'invitate a casa vostra, a quest'ora, e per giunta con minacce? Davvero non cre­devo di essere così prezioso ed indispensabile, all'Isti­tuto di Fisica...

Giovanni                       - Ah! no, certamente, non è per questo! Anzi, sedete, Alòdia. Si chiacchiera meglio, seduti... Vi ricordate del dottor Giani?

Alòdia                           - Sì, mi ricordo. Buona sera.

Claudio                         - (che è turbatissimo) 'Buona sera.

Giovanni                       - Dunque, Alòdia, vado subito all'argo­mento: cosa è venuto a fare, mia moglie, da voi, alle cinque circa di oggi?

Claudio                         - (si avvicina vivacemente).

Alòdia                           - Vostra moglie? Ma no, ci deve essere uno sbaglio.

Giovanni                       - Alòdia, è veramente stupido negare un fatto che io ho già accertato nella maniera più catego­rica. E vi consiglierei di essere più franco, con me.

Alòdia                           - Io non sapevo se la signora voleva che lo cosa venisse a vostra conoscenza. Sì, è vero: è venuta da me, oggi. Oh! ma per un momento! Sin da quando fui mandato via dall'Istituto, la signora mi ha molto aiutato... per sua bontà... ed allora...

 Giovanni                      - Era venuta altre volte, a casa vostra?

Alòdia                           - (incerto) No... no, era la prima volta...

Giovanni                       - Ed in che modo vi aiutava?

Alòdia                           - L'ho incontrata, qualche volta, per la strada. Mi sono permesso di fermarla, di raccontarle i miei guai. Ecco tutto.

Giovanni                       - Ed oggi?

Alòdu                            - Oggi? Beh, oggi... Era già molto che l'avevo pregata di Venire da me, per accertarsi con i suoi occhi che quello che le raccontavo non erano storie per impie­tosirla, ma che veramente la mia famiglia soffriva il freddo e la fame.

Giovanni                       - Voi mentite, Alòdia.

Alòdia                           - Oh! ma sapete, non ho nessuna ragione... E del resto se non avete fiducia in quello che vi dico, non capisco perché vogliate parlare con me... e mi ab­biate Sfatto venire qua... (Si alza, come per andarsene).

Claudio                         - (dì un balzo, gli sbarra la strada) Voi rimarrete...

Alòdia                           - (fa un passo indietro e, svelto, tira fuori un revolver dalla tasca) Ma è un tranello, questo!

Giovanni                       - (rapidissimo, gli strappa il revolver dalla mano) Ah! non vi sentivate tranquillo, evidentemente...

Alòdla                           - (fremente) Certe cose non mi piacciono... Questo invito... Voi due qui...

Giovanni                       - Voi due? Perché noi due? Vi sembra strano? Giani è un mio amico...

Claudio                         - (risoluto) Alòdia...

Giovanni                       - Un momento, vi prego. (Va verso il ta­volo, vi poso il revolver, ma lo riprenderà ogni tanto, durante la scena, giocherellandovi) Alòdia è intelligente. Alòdia ha capito che tutto non è così liscio, che tutto non è così chiaro come si potrebbe credere...

Alòdia                           - Ridatemi il mio gingillo, voglio andar via...

Giovanni                       - Eh! che fretta! Non abbiamo ancora par­lato, Alòdia...

Alòdia                           - Bene, ma per un riguardo a voi... Io non ce l'ho con voi. Mi avete fatto del male, ma non ce l'ho con voi...

Giovanni                       - Benissimo, Alòdia... Questo significa es­sere ragionevoli... E nemmeno io vi voglio male... Se vi feci mandar via dall'Istituto, fu per dovere... Avrei potato denunziarvi. Non lo feci. Questo vi prova che non vi voglio male...

Alòdia                           - (versa un altro bicchiere di cognac, lo beve di un fiato: poi, volgendosi iroso) Fareste meglio a non fidarvi, dei vostri amici...

Giovanni                       - Di chi parlate, Alòdia?

Alòdia                           - So io... (A Claudio) Ed anche voi lo sa­pete, no?, che egli ha torto, a fidarsi degli amici...

Claudio                         - Canaglia...

Alòdia                           - Che! Ricominciamo? (A Giovanni) Su, ridatemi il revolver... Voglio andar via...

Giovanni                       - Vi ho detto poco fa che non vi voglio del male. Ma voi dite certe cose, Alòdia, certe cose che non capisco. Ed ora, pretendete di andarvene? Non vi sembra troppo semplice? Ah! no, caro mio. Le cose non si dicono per metà. (Rapido) E voi, voi mi costrin­gerete a riesaminare le mie decisioni di otto mesi fa, se non sarete franco con me.

Alòdia                           - (colpito) Ah, questa, poi...! (Deciso) Eb­bene, domandatelo a lui, al vostro amico, che cosa inten­devo dire!

Giovanni                       - Ma se vi ho chiamato qui, è chiaro che voglio saperlo da voi.» (Gli si accosta) Su, Alòdia, un po' di sincerità! Voi, evidentemente, in questa faccenda non avete nulla da perdere...

Alòdia                           - Oh! questo è vero! Questo lo dicevo an­che... (Si ferma).

Giovanni                       - (incoraggiandolo) A chi? Su, a chi?

Alòdia                           - Insomma, non è colpa mia se il vostro amico... e se vostra moglie... Beh, dico, scherziamo? Do­vreste aver capito... no?

Giovanni                       - Voi dite un'altra menzogna... Voi non avete nessuna prova...

Alòdia i                         - Nessuna prova? Non ho nessuna prova? Innanzi tutto li ho sorpresi.., io, io, con i miei occhi... li ho sorpresi... un giorno... all'Istituto... E poi, e poi... Volete sapere? (Sapere tutto? Dove si vedevano, ed a che ora, e...?

Giovanni                       - (con uno scatto) Basta, adesso basta!

Alòdia                           - Siete voi che l'avete voluto. Io ho taciuto per tanto tempo. Proprio per voi...

Giovanni                       - E' questo, è questo che voglio sapere, ora! Perché avete taciuto! Voi, un individuo come voi, non tace così... non tace senza una ragione... Per ri­guardo a me, dite? Voi, per riguardo a me? Via, Alòdia, ma è infantile! E mia moglie? Cosa veniva a fare da voi, mia moglie? Per pregarvi di tacere, no, per pre­garvi di tacere?

Alòdia                           - Si capisce... Temeva che io parlassi... Questo l'agitava... Sapete, le donne...

Giovanni                       - Alòdia, voi ora mi direte tutto, tutto! Vi ha dato del danaro, ditemi, vi ha dato del danaro?

Alòdia                           - Ma l’ho già detto! Mi ha aiutato... Niente di male, mi sembra... Questo non ha nessun rapporto...

Giovanni                       - E tutto questo durava da mesi... non è vero?... da mesi e mesi... Voi l'attendevate per la strada... Le tagliavate il passo, forse siete venuto anche qui, in casa mia, per spaventarla, per minacciarla... Su, Alòdia! Parliamoci chiaro, no? Parliamoci chiaro! (A Claudio) E voi... voi... sapevate tutto questo, voi?

Claudio                         - (con un grido) No! Vi giuro di no!

Giovanni                       - Sola... era sola... (Ad Alòdia) Combat­teva sola... contro le vostre richieste... 'contro le vostre minacce... Su... dite... ditemi... andiamo! Ditemi!

Alòdia                           - (è sconvolto, spaventato) Smettetela... adesso smettetela... Sì, non nego... qualche volta... le ho chiesto del danaro.« Poco, però... se vi ha detto che le ho chiesto molto ha mentito...

Giovanni                       - (incalzante) Si, mi ha detto che le avete chiesto molto... molto danaro... Più di quanto essa non potesse darvi... è così? E’ così?

Alòdia                           - Non è vero... Ve l'ho detto…. ha mentito. E poi, non pensate alla mia situa­zioni:? Cacciato fuori dall'Istituto... per colpa vostra... con dei ragazzi... da sfamare... da far vivere... Che sa­pete voi? Che cosa potete sapere, voi?

Giovanni                       - Ed oggi... oggi... quan­to le avevate chiesto, oggi?

Alòdia                           - Giusto oggi... volevo quello che mi occorreva... per par­tire... per andarmene... Volevo andare in Germania... cambiare vita... Non mi avrebbe visto più... nessuno mi avrebbe visto più.

Giovanni                       - E perché è venuto da voi?

Alòdia                           - Non aveva il danaro... almeno, diceva 'di non averlo... Me lo prometteva... tra qualche giorno, se­condo lei, me lo avrebbe dato...

Giovanni                       - E voi?

Alòdia                           - Ebbene, non potevo aspettare... Vi erano delle ragioni mie... e non potevo aspettare...

Giovanni                       - Allora... le avete detto di no... che non potevate attendere... e che stasera... domani.., sareste ve­nuto da me... avreste parlalo.»

Alòdia                           - Non precisamente così... ma...

Giovanni                       - (con un grido) Assas­sino! Me l'hai tolta tu... me l'hai uc­cisa tu... Assassino! (Gli si avventa contro, ma Alòdia, rapido, sì svincola e fugge dal fondo: Giovanni ha afferrato il revolver che era sul tavolo, e, dalla soglia di fondo, spara, due, tre, quattro volte, forsennatamente: di dentro si ode un grido rauco, il rumore della caduta. Un attimo di pausa).

Claudio                         - (è a sinistra, il volto teso, gli occhi sbarrati).

Giovanni                       - (si volta, lentamente tor­na verso il tavolo, con passo incerto: ma improvvisamente, sul volto sin qui contratto dall'ira e dall'angoscia, si è diffusa una serenità immensa: butta il revolver sul tavolo: a Clau­dio) Questo.,, avreste dovuto farlo voi... (Il suo sguardo incontra di nuovo la fotografia di Anna) Ti ama­vo più io... vedi?... ti amavo più io... (Fuori, le prime grida della gente che accorre).

FINE