Timone di Atene

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WILLIAM SHAKESPEARE

TIMONE DI ATENE

Dramma in 5 atti

Traduzione e note di Goffredo Raponi

Titolo originale: THE LIFE OF TIMON OF ATHENS


NOTA INTRODUTTIVA

Di questo dramma, annoverato dalla critica fra le tragedie della vendetta del teatro shakespeariano, insieme con Tito Andronico, Amleto e Otello, non si sa nulla circa la datazione, le fonti, la messa in scena, la stessa fattura di mano di Shakespeare. La critica pi recente lo ritiene frutto di una collaborazione con un altro drammaturgo, Thomas Middleton, autore di buoni lavori drammatici rappresentati dalla Compagnia degli Uomini del Re (The Kings Men) di cui lo stesso Shakespeare faceva parte.(I) Tutto quello che si sa che il lavoro apparso stampato nellin-folio del 1623 sotto il titolo La vita di Timone di Atene (The Life of Timon of Athens): titolo che suggerisce almeno come impropria la collocazione del lavoro tra le tragedie della vendetta, tutte espressamente intitolate tragedia.(II) Nel Timone infatti non ci sono truculenze o ammazzamenti.

Il personaggio realmente esistito nella Atene di Pericle (inizio del V sec. a.C.). Ne parla Plutarco nella Vita di Antonio, descrivendolo come un maligno, un misantropo, un introverso, che evitava la compagnia di tutti tranne quella del filosofo Apemanto, perch assai simile a lui per natura e condizione, e quella del giovane Alcibiade, il brillante e intraprendente nipote di Pericle, perch si aspettava da lui che, bandito da Atene - come Coriolano da Roma - e sceso in guerra contro la citt, recasse gran danno agli odiati Ateniesi.

Un Timone si trova anche in uno dei Dialoghi dei morti di Luciano di Samosata, saggi di acerba critica della vanit umana: un ricco e nobile ateniese, che, ridotto in miseria per la sua prodigalit, abbandonato da tutti; costretto a isolarsi dalla citt e a scavare radici per terra per cibarsi, gli di gli fanno trovare delloro. La notizia del ritrovamento si sparge per Atene, e Timone di nuovo assediato da una folla di gente dogni ceto, tra cui alcuni dei suoi ingrati amici da lui beneficati al tempo della primitiva ricchezza. Contro tutti egli si scaglia, cacciandoli a colpi di vanga e a sassate.

Un Timone ateniese anche il protagonista di una commedia, in terzine, di Matteo Maria Boiardo (1487), intitolata appunto Timone e ispirata alla vicenda del dialogo di Luciano, che per Shakespeare non conosceva, la traduzione dei Dialoghi essendo apparsa in Inghilterra solo nel 1637 ad opera di Thomas Heywood.

Sul piano drammaturgico-letterario, il Timone opera ineguale: accanto a brani di grande raffinatezza poetica - come il dialogo iniziale fra il Poeta e il Pittore - ce ne sono di scadenti nella fattura e addirittura improbabili rispetto alla omogeneit della vicenda - come lepisodio di Alcibiade (III, 6) davanti al Senato in difesa del soldato condannato a morte, di cui non si sa altro che colpevole di omicidio. Ci ha fatto pensare allintervento di altra mano, come s detto sopra.

Incertezza anche nella datazione del lavoro, anche se essa deve esser fissata nella fase detta maggiore della produzione shakespeariana (1602-1608), quella cio del grandi drammi dellAmleto, dellOtello, del Re Lear, di Macbeth, di Coriolano, per la presenza di certe sottigliezze stilistiche e per il magistrale uso del verso e della rima. Le disuguaglianze, oltre che allintervento di altra mano nella fattura e alla presenza di situazioni non compiute e rimaste sospese - come quella di Ventidio - fanno pensare che il lavoro deve essere stato interrotto e ripreso in epoche diverse; alcuni pensano che sia stata la morte del poeta ad impedirgli di rifinirlo.

Timone, pur essendo un personaggio realmente esistito, come si detto, non tuttavia una figura storica come Coriolano, Giulio Cesare, Antonio e lo stesso Troilo di Troia: piuttosto un tipo, un personaggio-simbolo, una personificazione delluomo divenuto per colpa degli uomini misantropo, odiatore di quel genere umano da lui beneficiato e mostratosi cinicamente irriconoscente; il tutto nel quadro di un mondo carico di tutti i vizi e le magagne dellumana vanit, perch adoratore di una sola divinit: loro, e nel quale la presenza femminile rappresentata da due etre al seguito del guerriero Alcibiade. La vendetta di Timone perci - senza produrre vera e propria tragedia nel senso senechiano - vendetta di un uomo contro la sua specie; ma una vendetta in cui non si uccide nessuno, e che si limita a deprecare e maledire, sia pure con un linguaggio violento e urlato, un sistema di vita. Anche se Shakespeare - come nota il Melchiori (III) - consideri questo atto di denuncia come un equivalente della giusta vendetta; come dimostrerebbe il fatto che a Timone riservata la stessa sorte degli altri vendicatori, Tito Andronico, Amleto, Otello: la morte, che si dar da se stesso.


NOTE PRELIMINARI

1) Il testo inglese adottato per la traduzione quello delledizione curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare, The Complete Work, Collins, London & Glasgow, 1960, pag. XXXI, 1376) con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare quello della pi recente edizione dellOxford Shakespeare curata da G. Taylor e G. Welles per la Clarendon Press, Oxford, U.S.A., 1994, pag. XXXIX, 1274. Questultima contiene anche I due cugini (The Two Kinsmen) che manca nellAlexander.

2) Alcune didascalie sono state aggiunte dal traduttore di sua iniziativa, al fine della migliore comprensione, l dovera necessario, dellazione scenica alla lettura, cui questa traduzione essenzialmente preordinata ed intesa, il traduttore essendo convinto della irrappresentabilit del teatro shakespeariano sulle scene del teatro moderno. Si conservato comunque, allinizio, nel corso e al termine di ciascuna scena il rituale Enter e Exit/Exeunt,(Entra/Entrano, Esce/Escono) avvertendo peraltro che tali dizioni non implicano necessariamente ingresso o uscita di scena dei personaggi, potendo questi trovarvisi gi allapertura, o rimanervi alla chiusura. Si sa che nel teatro elisabettiano non esisteva scenario n sipario.

3) Il metro lendecasillabo sciolto, intercalato da settenari; altro metro stato usato per citazioni, strofette, ballate, canzoni, ecc., quando si dovuto far sentire, in accordo col testo, uno scarto stilistico.

4) I nomi dei personaggi sono stati, per quanto possibile, italianizzati.

5) Trattandosi di vicenda che si svolge nellantica Grecia, sembrata imperativa in italiano la forma del tu, ad onta del dialogante alternarsi dello youe del thou dellinglese: i Greci non ne conoscevano altra.

6) Il traduttore riconosce di essersi avvalso di traduzioni precedenti - in particolare della prima versione poetica di Giulio Carcano, e di quelle del Lodovici, del Baldini, del Melchiori, del Lombardo, del Montale e di altre, dalle quali ha preso in prestito, dandone opportuno credito in nota, intere frasi e costrutti.


PERSONAGGI

timone di atene

nobili ateniesi, adulatori: LUCIO

LUCULLO

SEMPRONIO

VENTIDIO uno dei falsi amici di Timone

ALCIBIADE condottiero ateniese

APEMANTO filosofo scorbutico

FLAVIO maggiordomo(1) di Timone

servi di Timone: FLAMINIO

LUCILIO

SERVILIO

servi dei vari creditori di Timone: CAFIS

FILOTO

TITO

ORTENSIO

UN POETA

UN PITTORE

UN GIOIELLIERE

UN MERCANTE

un vecchio ateniese

TRE FORESTIERI (uno dei quali nominato Ostilio)

UN PAGGIO

UN MATTO

etre, amanti di Alcibiade: FRINE

TIMANDRA

CUPIDO e AMAZZONI nella pantomima

Nobili, senatori, ufficiali, soldati, domestici, ladroni e persone del seguito

SCENA: In Atene e nei boschi circostanti


atto primo

SCENA I - Atene, la casa di Timone.

Entrano, da porte diverse, IL POETA, IL PITTORE, IL GIOIELLIERE e IL MERCANTE

POETA - Buongiorno, amico.(2)

PITTORE - Lieto dincontrarti.

POETA - Era tempo che non ci vedevamo.

Come va il mondo?

PITTORE - Si usura col crescere.

POETA - Ah, s, questo notorio!

Che c infatti di strano al mondo doggi

che non sia gi accaduto

e che non si ritrovi registrato

nel multiforme libro della storia?

Guarda - magia della munificenza! -

quanti spiriti lalto suo potere

ha saputo evocare in questa casa

Quel mercante mi pare di conoscerlo.

PITTORE - Quellaltro che con lui un gioielliere:

io li conosco bene tutti e due.

(Il Poeta e il Pittore sallontanano;

vengono avanti il MERCANTE e il GIOIELLIERE)

MERCANTE - Eh, per che degnissima persona!

GIOIELLIERE - Oh, questo sacrosanto.

MERCANTE - Il pi ncomparabile degli uomini

Quasi fosse avvivato di continuo

dal soffio di una prodigalit

Instancabile. al di l dogni lode.(3)

GIOIELLIERE - Ho qui un gioiello

MERCANTE - Fammelo vedere.

(Il Gioielliere gli mostra il gioiello)

per il nobile Timone?

GOILIELLIERE - S,

se arriver a pagarmi quel che vale.

Ma quanto a questo, credo

POETA - (A parte)

Per lucro decantare

cosa di vil valore

come deturpare

il nobil verseggiare

con cui gloria ed onore

si devono esaltare.

MERCANTE - (Esaminando il gioiello)

di buon taglio e di forma perfetta.

GIOIELLIERE - assai prezioso. Osserva che bellacqua!

(I due si allontanano, mentre ritornano avanti il POETA e il PITTORE)

PITTORE - So che ora sei tutto concentrato

su una tua creazione

da dedicare a questo gran signore.

POETA - Oh, s, ma una cosuccia, una bazzecola,

scivolatami quasi gi dallestro,

senza fatica, quasi senza accorgermene

La poesia simile alla gomma

che trasuda dai pori della pianta

dalla quale ritrae il nutrimento

La silice non provoca scintille

se non viene fregata; la poesia

accende la sua nobile fiammella

da s, e simile a impetuoso flutto,

scavalca ogni argine su cui sabbatte.

E tu che porti l?

PITTORE - Un mio dipinto.

E il tuo libro, quando esce dalle stampe?

POETA - Subito che glielavr dedicato.(4)

Ma vediamo il tuo quadro.

PITTORE - (Mostrando il dipinto)

Un bel ritratto, eh?

POETA - E ben riuscito.

Molto bello, direi.

PITTORE - Mah, non bellissimo

POETA - Io dico invece ch meraviglioso.

Quanta grazia traspare dal suo aspetto,

e quanta interna forza dintelletto

risplende da quellocchio!

E qual potenza dimmaginazione

aleggia su quel labbro! E quante cose,

nel suo mutismo, sembra dir quel gesto!

PITTORE - una discreta copia del reale.

Guarda questo dettaglio: non buono?

POETA - Direi, anzi, migliore del reale:

in questi tocchi la maestria dellarte

fa riviver la vita,

ancor pi viva della vita stessa.

Entrano, attraversando la scena, alcuni SENATORI

PITTORE - (Indicando i senatori)

Quale seguito ha questo signore!

POETA - SenatoridAtene. Che fortuna!

PITTORE - E quanti. Guarda.

POETA - E guarda quanta gente,

che grande flusso di visitatori!

In questo mio lavoro ancora in bozza

ho cercato di tratteggiare un uomo

nei cui riguardi il mondo di quaggi

si prodiga in abbracci e in blandizie

nella pi ampia convivialit.

La mia libera musa

non che indugiare sui particolari,

si muove, se pur sempre contenuta,

in un gran mare di autocensura:(5)

nel corso chio le imprimo

non c ombra di malo intendimento

che possa avvelenarne anche una virgola:

essa procede nel suo volo daquila

dritta e ardita, senza lasciar traccia

alle sue spalle.

PITTORE - Come devo intenderti?

POETA - Mi spiego meglio: vedi questa gente?

Persone dogni ceto e condizione,

tra loro assai diverse per natura:

alcune frivole ed incostanti,

altre gravi ed austere, tutte quante

venute qui ad offrire i lor servigi

al nobile Timone:

la dovizia che fa bellornamento

alla sua buona e generosa indole,

soggioga ed assicura al suo buon cuore

e al suo servizio cuori dogni specie,

a cominciare dalladulatore,

dal volto ch un specchio deformante,(6)

fino a quellApemanto,

cui non c cosa che pi piaccia al mondo

che aborrire se stesso ed anche lui

cade in ginocchio davanti a Timone,

e, sol che questi gli accenni col capo,

torna, pi ricco, in pace con se stesso.

PITTORE - Li ho visti infatti conversare insieme.

POETA - Allora, ho immaginato la Fortuna

seduta come in trono su unaltura

alta e ridente; ai piedi dellaltura

allineate genti dogni merito,

tutte le specie della razza umana

che sul grembo di questa nostra sfera

vanno industriandosi di giorno in giorno

a migliorar la propria condizione.

Tra questi, tutti con gli occhi rivolti

a contemplare quellaugusta dama,

ne raffiguro uno

con i tratti del nobile Timone,

che con un cenno delleburnea mano

la donna chiama a s, e in un istante,

ti trasforma, con quella stessa grazia,

i suoi rivali in tanti schiavi e servi.

PITTORE - Concezione del tutto pertinente:

il trono, la Fortuna, la collina

ed un uomo prescelto, con un cenno,

di frammezzo alla folla sottostante,

e che sinerpica, col capo chino,

su per la faticosa erta montana

per attinger la sua felicit

Tutto questo si presta egregiamente,

mi pare, ad essere raffigurato

dalla tua penna.

POETA - Infatti. Ma non basta.

Ascolta quel che voglio ancora dirti.

Tutti questi che, solo poco fa,

eran suoi pari, ed anzi, fra di loro

qualcuno pure di pi alto rango,

oggi non fan che stargli alle calcagna,

affollare ossequiosi le sue sale,

piovere mormorii sacrificali

alle sue orecchie, trasformar perfino

in un oggetto sacro la sua staffa,

dandogli a credere ch grazie a lui

che sono liberi di respirare.

PITTORE - Infatti. Ma sar sempre cos?(7)

POETA - Ah, quando accada mai che la Fortuna,

nel suo lunatico cambiar dumore,

dovesse spinger gi dalla sua erta

questo suo pi recente favorito

tutti che adesso si sono affannati

dietro di lui a scalare la montagna,

mani e ginocchi, fino su alla vetta,

lo lasceranno scivolare gi

senza che alcun di loro

saccompagni al suo pie nella discesa.

PITTORE - stato cos sempre.

Potrei mostrarti migliaia di quadri

a suffragare con lallegoria,

meglio che non faccia la parola,

questi sussulti della dea Fortuna.

E ben faresti tu con la tua penna

a dimostrare al nobile Timone

quanto spesso sia occorso ad umili occhi

vedere il piede al posto della testa.(8)

Trombe. Entra TIMONE, volgendosi qua e l in modo cortese, verso ciascuno dei presenti. Lo accompagna e sta parlando con lui un MESSO, da parte di Ventidio.

TIMONE - Imprigionato, hai detto?

MESSO - S, Timone.

indebitato per cinque talenti

e non ha mezzi per saldare il debito;

e i creditori sono intransigenti.

Chiede una lettera da parte tua

a coloro che lhanno messo in carcere,

o finir per lui ogni speranza.

TIMONE - Oh, nobile Ventidio!

Non sar certo io di quegli uccelli

che scrollano le spalle al loro amico

proprio nellora di maggior bisogno.

Io lo conosco per un gentiluomo

che ben merita aiuto, e lotterr.

Gli saldo il debito e lo mando libero.

MESSO - Lobbligherai per la vita, Timone!

TIMONE - Tu, frattanto, salutalo per me.

Gli far avere il prezzo del riscatto,

e, affrancato che sia, venga a trovarmi.

Prestare aiuto ai deboli non basta:

bisogna pure sostenerli dopo.

Va pure.

MESSO - Gioia e bene a te, Timone!

(Esce)

Entra un VECCHIO ATENIESE

VECCHIO - Prestami orecchio, nobile Timone.

TIMONE - Volentieri, buon vecchio. Parla pure.

VECCHIO - Tu hai un servo di nome Lucilio.

TIMONE - Infatti. Che hai da dirmi su di lui?

VECCHIO - Chiamalo, nobilissimo Timone,

fallo venire qui davanti a te.

TIMONE - Forse gi qui presente o no? Lucilio!

Savvicina LUCILIO, uscendo da un gruppo di persone

LUCILIO - Eccomi, sono agli ordini, padrone.

VECCHIO - Questo giovane, nobile Timone,

questa creatura alle tue dipendenze,

ogni notte frequenta la mia casa.

Io son un uomo che fin dalla nascita

fui dedito alla lesina, al risparmio;

ed il mio stato merita un erede

di rango pi elevato duno sguattero.(9)

TIMONE - Bene, e allora?

VECCHIO - Io ho una sola figlia

e nessun altro di mia parentela

a cui lasciare quanto ho guadagnato.

una bella ragazza,

tra le pi giovani per andar sposa,

e lho tirata su con sacrificio

sobbarcandomi alle pi grosse spese

per darle la migliore educazione.

Questo tuo servo s ora intestato

a voler conquistarsene lamore;

ma io ti prego, nobile Timone,

di unire la tua opera alla mia

per far che pi non abbia a frequentarla.

Io gli ho parlato, ma purtroppo invano.

TIMONE - un bravo giovane.

VECCHIO - Lo resti pure,

ma resti pago della sua bravura

senza per ci portarsi via mia figlia.

TIMONE - Ma lei lo corrisponde?

VECCHIO - giovane, e si sa, a quellet,

come si sia inclini a innamorarsi.

Gli amori della nostra giovent

possono esserci dinsegnamento

di quanto sia leggera giovinezza.

TIMONE - E tu lami, Lucilio?

LUCILIO - S, padrone.

E so desserne pure ricambiato.

VECCHIO - Se si marita contro il mio consenso,

io chiamo qui gli di a testimoni

che sceglier lerede dei miei beni

frammezzo agli accattoni della strada,

diseredando lei, completamente.

TIMONE - E quale dote intenderesti darle

sella si maritasse ad un suo pari?

VECCHIO - Trenta talenti subito e, in futuro,

linsieme degli averi in mio possesso.

TIMONE - Questo bravo ragazzo di mio servo

al mio servizio da parecchio tempo,

e voglio compiere un piccolo sforzo

per fargli edificar la sua fortuna.

Questo, del resto, un dovere tra gli uomini.

Dgli tua figlia. Per corrispettivo

io gli assegno una somma equivalente

alla dote che tu darai a lei,

cos diventer di pari peso.

VECCHIO - Dammi su ci limpegno tuo donore,

degnissimo Timone, ed ella sua.

TIMONE - Eccoti la mia mano: il mio onore

impegnato su questa mia promessa.

LUCILIO - Padrone mio, ti rendo umili grazie!

Che non mi tocchi mai prospera sorte

della quale non seguiti a sentirmi

sempre tuo debitore!

(Esce)

POETA - (Avvicinandosi a Timone)

Degnati di gradire il mio lavoro,

e lunga vita a te, nobil Timone!

TIMONE - Grazie. A fra poco. Ma non andar via.

(Al Pittore)

E tu che coshai l, mio caro amico?

PITTORE - Un dipinto, Timone, che ho fiducia

vorrai farmi la grazia di accettare.

TIMONE - La pittura mi fu sempre gradita.

Un ritratto, si pu davvero dirlo,

luomo quasi nella sua realt;

perch da quando la natura umana

fa gran commercio con il disonore,

luomo solo lesterna sua parvenza;

laddove queste immagini dipinte

son proprio quello chesse raffigurano.

Mi piace il tuo lavoro,

e ne avrai presto la dimostrazione.

Ora ti prego di restare qui

fino a che non udrai di me pi tardi.

PITTORE - Gli di tassistano!

TIMONE - Salute a te.

Qua la mano. Si cena insieme, amici.

(Al Gioielliere)

Il tuo gioiello deve aver sofferto

non poco sotto il peso delle lodi.

GIOIELLIERE - Che vuoi dire, che lhanno disprezzato?

TIMONE - Tuttaltro, amico: lodi a saziet.

Se dovessi pagartelo

per quanto stato da tutti esaltato,

mi spoglierei di tutto quel che ho.

GIOIELLIERE - Il prezzo quello di tutte le cose

che a venderle producono un guadagno,

ma tu sai bene, nobile Timone,

che ci son cose che, se pure identiche

quanto a valore intrinseco,

portate addosso da gente diversa

finiscono per essere stimate

a seconda del loro possessore.

Se sarai tu a portar questo gioiello,

credimi, il suo valore crescer.

TIMONE - Hai voglia di scherzare.

MERCANTE - No, buon Timone, voce generale;

ripete solo quel che dicon tutti.

Appare sul fondo APEMANTO

TIMONE - Ehi, guardate chi viene!

Siete pronti a sentirvi maltrattati?

GIOIELLIERE - Se sar insieme a te, sopporteremo.

MERCANTE - Vedrete: non risparmier nessuno.

TIMONE - Buon giorno a te, amabile Apemanto.

APEMANTO - (Che intanto venuto avanti)

Aspetta almeno chio ti sia amabile,

prima di darmi questo tuo buongiorno;

ma amabile con te

io non sar fino a tanto che tu

non sarai diventato di Timone

il cane, e tutti questi farabutti

persone oneste.

TIMONE - Perch farabutti?

Non li conosci.

APEMANTO - Non sono Ateniesi?

TIMONE - S.

APEMANTO - Dunque non ho nulla da smentirmi.

GIOIELLIERE - Conosci me, Apemanto?

APEMANTO - Lo sai bene:

tho chiamato per nome poco fa.

TIMONE - Apemanto, tu sei troppo orgoglioso.

APEMANTO - Non c nulla di cui son pi orgoglioso

che di non essere come Timone.

TIMONE - Dov che stai andando?

APEMANTO - A spaccare le cervella a un Ateniese

che sia onesto.

TIMONE - Una bella cosuccia,

che pu costarti una condanna a morte.

APEMANTO - S, se il non fare nulla, per la legge,

comportasse la pena capitale.(10)

TIMONE - (Mostrandogli il dipinto del Pittore)

Ti piace questo ritratto? Che dici?

APEMANTO - Immensamente: per la sua innocenza.(11)

TIMONE - Chi lha dipinto non un bravo artista?

APEMANTO - Pi bravo artista stato senza dubbio

Colui che ha fabbricato quel pittore,

anche se ha fatto un brutto pezzo dopera.

PITTORE - Sei un cane!

APEMANTO - Della mia stessa razza

tua madre: che altro potrebbe essere

quella che ha fatto te, sio sono un cane?

TIMONE - Rimani a cena con me, Apemanto?

APEMANTO - No, non mangio signori.

TIMONE - Meno male!

Daresti un dispiacere alle signore.

APEMANTO - Ah, questo proprio no, perch son loro,

s, le signore, a mangiarsi i signori:

cos che singrossano di pancia.

TIMONE - Uninterpretazione un po lasciva.

APEMANTO - Se la prendi per tale,

tientela pure, per il tuo disturbo.(12)

TIMONE - (Mostrandogli il gioiello)

E di questo gioiello che ne dici?

Lo trovi di tuo gusto?

APEMANTO - Non tanto quanto trovi di mio gusto

lessere franchi e schietti,

che agli uomini non costa proprio niente.

TIMONE - Beh, quanto credi che possa valere?

APEMANTO - Nemmeno il tempo di starci a pensare.

(Al Poeta)

Dunque, poeta?

POETA - Dunque, gran filosofo?

APEMANTO - Bugia!

POETA - E che! Non sei forse un filosofo?

APEMANTO - Certo.

POETA - Dunque non dico una bugia.

APEMANTO - E tu non sei poeta?

POETA - Certamente.

APEMANTO - Dunque ho ragione a dire che tu menti.

Guarda ad esempio lultima tua opera,

nella quale descrivi lui, Timone,

come un degno signore.

POETA - E tale egli .

Non me lo sono affatto immaginato.

APEMANTO - Degno, s, degno: duno come te,

e di pagarti per le tue fatiche.

Chi si compiace dessere adulato

degno di colui che lha lisciato.

O cieli, fossi anchio nato signore!

TIMONE - Che faresti, Apemanto?

APEMANTO - Esattamente quel che faccio adesso:

odiare cordialmente ogni signore.

TIMONE - Anche te stesso, quindi.

APEMANTO - Certamente.

TIMONE - E per quale ragione?

APEMANTO - Per non essere stato tanto saggio

da rifiutarmi dessere un signore.

(Al Mercante)

Tu sei mercante, vero?

MERCANTE - S, Apemanto.

APEMANTO - I traffici ti portino in rovina,

se non ci avr pensato prima il cielo.

MERCANTE - Se lo faranno i traffici,

vuol dire che lavr voluto il cielo.

APEMANTO - Il commercio il tuo dio,

e spetta ad esso mandarti in malora.

Tromba allinterno. Entra un MESSAGGERO

TIMONE - Che cos questa tromba?

MESSAGGERO - Alcibiade, e in sua compagnia

una ventina duomini a cavallo.

TIMONE - Vada qualcuno a far loro accoglienza,

ed a guidarli alla presenza nostra.

(Escono alcuni servi con il messaggero)

(Al Poeta e al Pittore)

Voi due restate a cenare con me,

e non andrete via da questa casa

se non dopo chio vabbia ringraziato.

Quando avrete finito di cenare

mi mostrerete quel che avete fatto.

Son felice di avervi alla mia tavola.

Entrano ALCIBIADE e i suoi cavalieri

Oh, Alcibiade! Molto benvenuto!

APEMANTO - Certo, certo! Guardateli!

I crampi vi contraggano allo spasimo

quelle vostre flessibili giunture!

Che tra queste canaglie giulebbose

debba regnare tanto poco amore,

e debbano scambiarsi tra di loro

tanti ipocriti salamelecchi!

La specie umana va degenerando

in quella delle scimmie e babbuini.

ALCIBIABE - Timone, finalmente le mie attese

son soddisfatte, ed io sazio la fame

che avevo assai vorace di vederti!

TIMONE - Sii molto benvenuto in casa mia!

E noi da qui non ci separeremo

senza avere trascorso il nostro tempo

tra i pi vari piaceri. Entriamo, prego.

(Escono tutti meno Apemanto)

Entrano DUE NOBILI

PRIMO NOBILE - Apemanto, sai dirci che ore sono?

APEMANTO - Lora dessere onesti.

PRIMO NOBILE - Lora per questo sempre, in ogni istante.

APEMANTO - Tu sei perci di tanto pi dannato,

perch la lasci trascorrere invano.

SECONDO NOB. - Stai andando al banchetto di Timone?

APEMANTO - S, a godermi linclito spettacolo

del cibo che rimpinza i manigoldi

e del vino che scalda gli imbecilli.

SECONDO NOB. - Salute a te, salute a te, allora.

APEMANTO - Sei sciocco a dirmi salute due volte.

SECONDO NOB. - Perch, Apemanto?

APEMANTO - Ma perch un salute,

facevi bene a tenerlo per te,

dal momento che io non me la sento

di ridartene uno.

PRIMO NOBILE - Allora impccati!

APEMANTO - Sono spiacente, ma su tua richiesta

non son disposto a fare proprio niente!

Le tue richieste falle al tuo compagno.

SECONDO NOB. - Vattene via, cagnaccio attaccabrighe,

o ti scaccio a pedate!

APEMANTO - E come un cane

io scanser i tuoi calci di somaro.

(Esce)

PRIMO NOBILE - Questi nemico della razza umana.

Su, non vogliamo entrare

a gustare anche noi la cortesia

del nobile Timone? Egli soverchia

lessenza stessa della gentilezza.

SECONDO NOB. - S, ne trasuda da per tutti i pori.

Pluto, il dio delloro,

potrebbe solo fargli da lacch.

Non c servizio resogli una volta

chei non ricompensi il suo valore

almeno sette volte; non c dono

che gli sia fatto e non sia ripagato

in misura del tutto esuberante.

PRIMO NOBILE - Ha veramente lanimo pi nobile

che mai abbia governato un uomo.

SECONDO NOB. - Che viva a lungo nelle sue fortune!

Vogliamo entrare, allora?

PRIMO BOBILE - Taccompagno.

(Escono)

SCENA II - La sala dei banchetti in casa di Timone.

Suono alto di oboi. Grande tavola riccamente imbandita.

Entra dapprima FLAVIO con altro personale di servizio; indi TIMONE, seguito da alcuni NOBILI ateniesi e VENTIDIO, che Timone ha riscattato dal carcere; poi LUCULLO e ALCIBIADE. Dietro a tutti APEMANTO, che se ne sta a parte, col viso imbronciato, come al solito.

VENTIDIO - Timone onoratissimo, gli di

si sono compiaciuti di pensare

a quanti erano gli anni di mio padre

e di chiamarlo ad una lunga pace.

Se n andato felice,

lasciando a me lintera sua sostanza.

Perci, secondo che la gratitudine

mi fa debito al tuo cuor generoso,

io ti restituisco quei talenti

grazie ai quali m stato consentito

di riottenere la mia libert;

e ci con tutti i miei ringraziamenti

e la mia infinita devozione.

TIMONE - No, onesto Ventidio, niente affatto!

Hai male inteso la mia simpatia.

Ho sempre dato con libero cuore;

e nessuno pu dire, in verit,

daver donato con lealt di cuore

se sa di riavere quel che ha dato.

Se pur in mezzo ai nostri maggiorenti(13)

c qualcuno che gioca a questo gioco,

ci dobbiamo guardar dallimitarlo.

Nei ricchi anche le colpe simbelliscono.

VENTIDIO - Nobile spirito!

TIMONE - Sentite, amici:

le cerimonie furono inventate

con lintento di dare un po di lustro

ad atti privi di calore umano,

ad accoglienze vuote, a cortesie

pentite prima dessere mostrate.

Ma dove regna la vera amicizia

di cerimonie non c alcun bisogno.

Vogliate dunque accomodarvi, amici,

siete pi voi graditi e bene accetti

alle fortune mie, che queste a me.

(Siedono tutti)

PRIMO NOBILE - Questo labbiamo sempre confessato.

APEMANTO - Oh, oh! Lavete proprio confessato?

E lavete impiccato, dopo, o no?(14)

TIMONE - Vieni, Apemanto, sei il benvenuto.

APEMANTO - No, non mi devi dire benvenuto:

io son venuto qui

per farmi mettere da te alla porta.

TIMONE - Vergogna! Sempre il solito cafone!

Hai sempre in corpo un maledetto umore

che non saddice a creatura umana;

una cosa del tutto riprovevole!

Si dice: Ira furor brevis est,(15)

amici, ma costui sta sempre irato.

Bene, che sabbia un tavolo da solo,

visto che non gradisce compagnia,

n, certamente, fatto per averne.

APEMANTO - Rimango solo a tuo rischio e pericolo,

Timone; sono qui per osservare,

bene chio te ne faccia avvertito.

TIMONE - Non importa. Tu sei un Ateniese,

perci sei benvenuto. Quanto a me,

con te non voglio usar dautorit;

ti prego tuttavia di fare in modo

che almeno il cibo ti faccia star zitto.

APEMANTO - Il tuo cibo lo sdegno.

A trangugiarlo mi soffocherebbe,

ch mai potrebbe indurmi ad adularti.

Quanti son che si mangiano Timone,

o di, chegli non vede!

E che pena vedere tanta gente

venire ad inzuppare il lor boccone

nel sangue dun sol uomo!

E quel che peggio proprio lui, Timone,

- follia completa! - che ve li incoraggia!

Ah, mi son sempre chiesto come gli uomini

possano far fiducia ad altri uomini.

Stessero almeno accorti ad invitarli

senza che portino il coltello in mano:

sarebbe meglio per la loro tavola,

e maggior sicurt per la lor pelle.

Di ci ci sono esempi a non finire:

quelluomo ch seduto accanto a lui

e che con lui divide adesso il pane,

che brinda insieme a lui,

dividendo con lui la stessa coppa,

il pi pronto ad ucciderlo. provato!

Fossi un potente, avrei grande paura

di bere a tavola con certa gente,

e di scoprir cos ai loro occhi

le vulnerabili corde vocali.

I grandi, nelle loro libagioni

dovrebbero portare intorno al collo

una gorgiera di ferro battuto.

TIMONE - (Al Primo Nobile, alzando il bicchiere)

Un brindisi di cuore, caro amico!

E questo augurio giri per la sala!

SECONDO NOB. - Anche da questa parte, buon Timone.

APEMANTO - (A parte)

Anche da quella parte Ma che bravo!

Come sa tirar lacqua al suo mulino!

Questi son brindisi di malaugurio,

Timone, a te e alle tue fortune.

Da questa parte invece c qualcosa

troppo innocente per esser peccato:

lonesta acqua, che mai ha lasciato

nessun uomo nel fango impegolato.

Essa fa il paio col mio parco cibo;

non c fra loro alcuna differenza.

I banchetti son troppo altera pompa

per esser vlti a ringraziar gli di.

BENEDICITE DI APEMANTO

O di immortali, /io non chiedo loro;

per me vi prego / non gi per costoro;

solo vi chiedo / chio non diventi

s stolto da far fede a giuramenti,

a voto ipocrita / a lagrimuccia

di femminuccia,

a can che dorme / od a gendarme

che mi prometta / la libert,

o a falso amico / che mi dir

daiutarmi nella necessit.

E cos sia. / Peccate pure, amici;

io, Apemanto / mangio radici.

E che ci porti bene al mio buon cuore.

(Mangia e beve)

TIMONE - Capitano Alcibiade,

so bene che il tuo cuore non qui

ma sempre sul campo di battaglia.

ALCIBIADE - Il mio cuore, Timone, al tuo servizio.

TIMONE - Preferiresti, via, far colazione

con carne di nemici,

che non sedere a cena con amici.

ALCIBIADE - Se quei nemici sono bene al sangue,

non c carne che possa stargli a pari;

ed avrei gusto che ad un tal banchetto

partecipasse il mio migliore amico.

APEMANTO - (A parte)

Fossero allora tuoi nemici tutti,

volesse il cielo, questi adulatori,

che tu potessi ucciderli

e invitarmi a mangiar le loro carni!

PRIMO NOBILE - Se potessimo solo aver la gioia,

mio signore, che tu per una volta

volessi far ricorso ai nostri cuori,

cos che noi potessimo dar voce

sia pure in parte alla nostra affezione,

ci sentiremo felici per sempre.

TIMONE - Oh, s per questo, amici miei carissimi,

non dubitate, ch gli stessi di

devono aver previsto chio da voi

possa avere a ricever grande aiuto.

Perch, se no, sareste amici miei?

Perch, se no, avreste, proprio voi,

fra tante altre migliaia di persone

meritato questo affettuoso titolo

se non perchio vi porto sul mio cuore,

a preferenza di chiunque altro?

Di ciascuno di voi singolarmente

ho parlato a me stesso

pi di quanto voi stessi lo possiate,

col pi schivo ritegno, in favor vostro;

e lo confermo.(16) O santi di, io penso,

quale bisogno abbiamo noi di amici,

se non dobbiamo averne mai bisogno?

Le creature pi inutili del mondo

se mai di lor potessimo servirci

sarebbero del tutto somiglianti

a quei dolci strumenti musicali

ben custoditi dentro i loro astucci,

che tengono per s i loro suoni.

Sapete, spesso mi sono augurato

desser povero, per il desiderio

di sentirmi ancor pi vicino a voi.

Noi siamo nati al bene;

e che cosa possiamo chiamar nostro

meglio e con pi ragione ed esattezza

se non quel che possiedono gli amici?

Qual prezioso conforto

poter disporre, come tra fratelli,

ciascun di noi delle ricchezze altrui!

(Piange)

O gioia, dissipata sul suo nascere!

Maccorgo che i miei occhi

non riescono a trattener le lacrime.

E a cancellare questa loro colpa,

io bevo, amici, alla vostra salute.

APEMANTO - Tu piangi ed essi bevono, Timone.

SECONDO NOB. - Simile concezione ebbe la gioia

sugli occhi nostri, e in quello stesso istante

balz di fuori, come un pargoletto.(17)

APEMANTO - (A parte)

Ah, ah, quel pargoletto!

Rido a pensare che sar un bastardo!

TERZO NOBILE - Mhai commosso, Timone, tassicuro.

APEMANTO - (c.s.)

Eh, s, molto commosso

(Tromba da dentro)

TIMONE - Che cos questa tromba?

Entra un SERVO

Che succede?

SERVO - Se ti piaccia, padrone, son qui fuori

alcune dame assai desiderose

dessere ammesse.

TIMONE - Dame? Cosa vogliono?

SERVO - Avanti a loro, nobile padrone,

viene un corriero(18) il quale incaricato

di dirti qual il loro desiderio.

TIMONE - Falle entrare, ti prego.

Entra CUPIDO

CUPIDO - Salute, nobile Timone, a te

e a quanti gustano le tue larghezze!

I cinque sensi dei pi raffinati

ti riconoscono per lor patrono,

e vengono liberamente qui

a render grazie al tuo cuor generoso.

Ludito, lodorato, il gusto, il tatto

si levan deliziati dal tuo desco;

ed ora, ad allegrare la tua vista,

vengon da te queste nobili donne.

TIMONE - Sian tutte benvenute,

e sabbian laccoglienza pi cortese.

Musici, date ad esse il benvenuto!

(Esce Cupido)

LUCULLO - Vedi, Timone, quanto sei amato!

Musica. Rientra CUPIDO, guidando una pantomima di dame mascherate da amazzoni, con liuti fra le mani, che suonano mentre danzano.

APEMANTO - Oh, che sciame dumana fatuit

sen viene qua. E danzano, le pazze!

Quale folle spettacolo

lo splendore di questa nostra vita:

cos la pompa di questo banchetto

a fronte a un poco dolio e di radici!

Ci comportiamo come tanti pazzi

per divertirci; e dispensiamo prodighi

le nostre ipocrite adulazioni

nel bere alla salute di coloro

sui quali, quando siano fatti vecchi,

saremo tutti pronti a vomitare,

con dispetto ed invidia velenosi.

Chi pu dire di vivere incorrotto,

o di non esser esso corruttore?

Chi muore senza portar nella tomba

una pedata, dono di un amico?

Quelli chora mi danzano davanti

avrei paura che, un giorno o laltro,

abbiano a calpestarmi. gi successo.

La gente, in faccia al sole che tramonta,

chiude luscio di casa.

I convitati si levano dalle mense, con segni di ostentato ossequio per Timone, e ciascuno di loro per compiacergli sceglie una amazzone e con essa si mette a danzare per uno o due giri, al suono degli oboi; poi smettono.

TIMONE - Belle dame, aggiungeste molta grazia

al piacere del nostro stare insieme,

e la vostra presenza ha conferito

un tocco deleganza a questa festa

che non era nemmeno per met

s leggiadra e gentile com ora.

Avete aggiunto ad essa pregio e lustro,

oltre ad aver gratificato me

di questidea: perci ve ne ringrazio.

PRIMA DAMA - Mio nobile signore,

ci tratti meglio che non meritiamo.

APEMANTO - (A parte)

Eh, certo! Perch il peggio cos marcio,

da non potersi prendere, ho paura,

nemmeno con le molle.

TIMONE - Vi attende, donne, un piccolo rinfresco:

degnatevi, vi prego, di disporne.

TUTTE LE DAME - Ti ringraziamo, nobile Timone.

(Escono le dame con Cupido)

TIMONE - Flavio!

FLAVIO - Padrone?

TIMONE - Porta qui il forziere.

FLAVIO - Bene, padrone.

(A parte)

Ancora altri gioielli

E non c da poterlo contrariare

in tal suo vezzo, o io glielo direi

e, in coscienza, quel che dovrei fare:

perch quando avr tutto dissipato,

si dorr certamente che nessuno

si sia levato in tempo ad impedirglielo.

Peccato che la generosit

non abbia gli occhi a tergo, ad evitare

che luomo possa finire in rovina

a causa del suo cuore.

(Esce)

PRIMO NOBILE - (Ad un servo)

Dove sono i nostri uomini?

SERVO - Qui presso, mio signore, ai vostri ordini.

SECONDO NOB. - Preparateci le cavalcature.

Rientra FLAVIO con il forziere

TIMONE - Amici, una parola ancora, a tutti.

(Al Primo Nobile, estraendo un gioiello dal forziere)

Ecco, mio buon amico:

devo solo pregarti di onorarmi

col far pi nobile questo gioiello

accettando di mettertelo addosso.

PRIMO NOBILE - Sono gi tanto in debito con te,

per i tuoi doni

TUTTI - Come siamo tutti!

Entra un SERVO

SERVO - Padrone, ci son fuori certi nobili

del senato, test scesi di sella,

venuti a farti visita.

TIMONE - Favoriscano, e siano benvenuti!

(Esce il servo)

FLAVIO - Padrone, per favore, una parola:

cosa che ti tocca da vicino.

TIMONE - Da vicino? Ne parleremo dopo.

Sul momento, ti prego, fa in maniera

che questi nuovi ospiti che arrivano

sian ricevuti come si conviene.

FLAVIO - (A parte)

Non so davvero come.

Entra un altro SERVO

SERVO - Mio signore, ti piaccia di gradire

il dono che ti manda il mio padrone

Lucio, in segno del suo sincero affetto:

una quadriglia di cavalli bianchi

come il latte, con bardatura argentea.

TIMONE - Li accetter con sommo gradimento.

Che siano degnamente ricevuti.

Entra un terzo SERVO

Che c ancora?

SERVO - Di grazia, mio signore,

lonorevole e nobile Lucullo

ti chiede se vuoi fargli compagnia

domani, a caccia; e tha mandato in dono

due coppie di levrieri.

TIMONE - Caccer volentieri insieme a lui.

Ed i suoi doni siano ricevuti

non senza un generoso contraccambio.

FLAVIO - (A parte)

Dove sandr a finire, lo sa il cielo!(19)

Ci comanda di far grandi provviste

e di offrire regali principeschi,

e tutto questo con le casse vuote!

Non vuol saper lo stato della borsa,

n consentire a me di dimostrargli

qual mendico ridotto il suo buon cuore,

impotente oramai a soddisfare

la sua voglia di dare a piene mani.

Le sue molte promesse

volano tanto al di l dei suoi mezzi

che tutto ci che dice di donare

un debito che sapre; ogni parola

lo indebita. La sua beneficenza

tanta, che or ne paga gli interessi.

Le sue terre son tutte ipotecate.(20)

In quanto a me, voglio proprio augurarmi

dessere congedato con le buone,

avanti desservi costretto a forza.

Fortunato colui che non ha amici

a cui dar da mangiare;

perch tutti costoro si dimostrano

peggiori dei nemici.(21) Ho il cuore in lacrime

al pensiero di questo mio padrone.

(Esce)

TIMONE - (Al Secondo Nobile)

Fai gran torto a te stesso, caro amico,

nellabbassare in tal modo i tuoi meriti.

Ecco, una piccola cosa da nulla,

un segno della nostra simpatia.(22)

SECONDO NOBILE - Laccetto, con particolari grazie.

TERZO NOBILE - Oh, dellumana generosit

egli lanima stessa!

TIMONE - (Al Terzo Nobile)

Caro amico,

ora che mi ricordo, laltro giorno

tho udito pronunciare grandi lodi

del mio corsiero bianco, che montavo.

Visto che tanto t piaciuto, tuo.

TERZO NOBILE - Oh, Timone, perdonami, ma io

TIMONE - Puoi prendermi in parola, amico caro:

so che nessuno loda con ragione

cosa alla quale non porti affezione.

Io misuro laffetto degli amici

su quello mio: te lo dico in coscienza.

(A tutti)

Verr presto a trovarvi!

TUTTI I NOBILI - Oh, nessuno sar pi bene accetto!

TIMONE - Credetemi, la vostra assiduit

in casa mia mi fa s bene al cuore,

che mi par di non dare mai abbastanza.

Potrei, penso, donare interi regni

agli amici, senza stancarmi mai.

Alcibiade, tu sei un soldato

ed un soldato raramente ricco;

donare a te diventa carit,

ch tutto quello su cui puoi campare

ti vien dai morti, e tutte le tue terre

consistono in un campo di battaglia.

ALCIBIADE - Infatti, e tutte imbrattate di sangue.

PRIMO NOBILE - Ti siamo s fortemente obbligati

TIMONE - E cos io a voi.

SECONDO NOBILE - Cos infinitamente a te legati

TIMONE - Salute a tutti!

(Ai servi)

Lumi, e ancora lumi!

PRIMO NOBILE - Con te sian sempre, nobile Timone,

felicit, fortuna e onore al massimo!

TIMONE - Sempre a disposizione degli amici!

(Escono tutti, tranne Timone e Apemanto)

APEMANTO - Qual fastidioso spettacolo questo,(23)

di tante teste inchinate in avanti,

e tante natiche sporgenti indietro!

Dubito assai che tutti questi inchini

valgano il prezzo con cui tu li paghi.

Di certa feccia lamicizia piena.

Penso che i falsi cuori

non sappiano star saldi sulle gambe,

ed cos che gli imbecilli onesti

dilapidano i propri patrimonii,

per riceverne sol salamelecchi.

TIMONE - Se tu non fossi acido, Apemanto,

sarei buono con te, come con tutti.

APEMANTO - No, no, da te non voglio proprio niente!

Perch se anchio mi lasciassi comprare,

qui non ci resterebbe pi nessuno

a strigliarti a dovere come meriti,

e cadresti pi spesso nel peccato.

Stai scialacquando ormai da tanto tempo,

che temo di vederti, un giorno o laltro,

dar via su una cambiale anche te stesso.

A che servono tutte queste feste,

queste pompe, queste tronfiezze inutili?

TIMONE - Beh, se adesso ti metti ad inveire

ancora contro questi miei conviti,

giuro che non tascolto pi. Addio.

Torna con una musica migliore.

(Esce)

APEMANTO - Ah, non vuoi ascoltarmi adesso, eh?

Allora non mascolterai mai pi!

Ti sbarrer la strada alla salvezza.

Ah, gli orecchi degli uomini,

che debban esser sordi al buon consiglio,

non allipocrita adulazione!

(Esce)


ATTO SECONDO

SCENA I - Atene, in casa di un senatore.

Entra un SENATORE con dei fogli in mano

SENATORE - E ancora, ultimamente, cinquemila;

novemila a Varrone ed Isidoro,

che aggiunte al prestito mio precedente,

fan venticinquemila

Fino a quando dovr continuare

questa furiosa dilapidazione?

Cos non potr andare; e non andr.

Ti serve del denaro? Non fai altro

che portar via il cane a un mendicante

e donarlo a Timone: quella bestia

quella bestia ti conier moneta.

Mi passa di dar via il mio cavallo

per acquistarne altri venti migliori?

Basta chio loffra in regalo a Timone,

senza chiedere nulla in cambio, ed esso

mi figlier venti puledri subito,

e tutti di buon sangue.

Non ha portiere alla porta di casa;

ma c sempre qualcuno

che con un bel sorriso invita a entrare

tutti quelli che passano di l.

Cos non pu durare,

e nessuna persona ragionevole

pu creder duraturo questo stato.(24)

(Chiamando)

Cafis, ehi! Cafis, dico!

Entra CAFIS

CAFIS - Son qua, padrone, in che posso servirti?

SENATORE - Prendi il mantello e recati di corsa

dal nobile Timone: a nome mio,

fatti restituire il mio denaro.

E non farti distogliere dal chiedere

da qualche sua garbata reticenza,

n tacitare quando ti dir:

Oh, salutami tanto il tuo padrone!,

mentre te ne starai giocherellando

col tuo cappello nella mano destra,

avanti a lui, cos Ma digli chiaro

e insisti che le mie necessit

mi gridan di pensare ai fatti miei,

ho anchio le mie scadenze da pagare

- le sue, con me, son passate da un pezzo -

e che il mio credito ha sofferto danno

dal fatto della sua inadempienza.

Gli voglio molto bene e lo rispetto,

ma non mi posso rompere la schiena

per medicare un dito; i miei bisogni

sono impellenti e la lor sanatoria,

non si ottiene con lui che ogni volta

mi rimbalza la mia richiesta indietro

con le pi belle parole del mondo,

ma deve trovar pronta soluzione.

Va, datti unaria quanto mai importuna,

il viso di chi esige per avere:

perch ho paura che quando ogni piuma

sar tornata alla sua propria ala,

il nobile Timone, il cui piumaggio

oggi riluce come una Fenice,(25)

rimarr spoglio peggio dun pulcino.(26)

Fa presto.

SERVO - Vado subito, padrone.

SENATORE - Prendi con te le cambiali scadute,

e sta attento alle date.

SERVO - Bene.

SENATORE - Va.

(Escono)

SCENA II - Sala nella casa di Timone

Entra FLAVIO con un fascio di cambiali in mano

FLAVIO - Pi nessuna attenzione, nessun freno!

Spese cos insensate,

cui non solo non sa come far fronte,

ma che nemmeno pensa di cessare.

Non fa alcun conto di quello che perde,

n si cura di quel che pu seguirne.

Mai mente umana fu tanto svagata

nel dimostrarsi tanto liberale.

Che posso fare? Non mi dar ascolto

fintanto che non se lo senta addosso.

Devo per parlargli, chiaro e tondo,

ora, appena ritorna dalla caccia.

Ahim, ahim, ahim!

Entrano CAFIS e i SERVI DI ISIDORO e DI VARRONE, incontrandosi

CAFIS - Io ti conosco: il servo di Varrone.(27)

Buona sera. Anche tu per il denaro?

SERVO DI VARRONE - Tu non sei qui per lo stesso motivo?

CAFIS - Appunto. Ed anche tu, Isidoro?

SERVO DI ISIDORO - Anchio.

CAFIS - Mauguro che ci possa pagar tutti.

SERVO DI VARRONE - Ho paura di no.

CAFIS - Eccolo, viene.

Entra TIMONE con ALCIBIADE e altri

TIMONE - E finito che avremo di cenare,

di nuovo fuori, mio caro Alcibiade.

(A Cafis che gli si avvicina)

Con me? Che mi vuoi dire?

CAFIS - Mio signore,

ho qui una nota di somme dovute

TIMONE - Somme dovute? Tu di dove sei?

CAFIS - Sono di qui, di Atene, mio signore.

TIMONE - Bene, rivolgiti al mio maggiordomo.

CAFIS - Non ti dispiaccia, nobile Timone,

ma pi di un mese che mi mandi indietro

in questo modo, un giorno dopo laltro.

Il mio padrone ha gran necessit

di riavere quel che gli dovuto,

e ti prega umilmente di onorare

tutte laltre tue nobili virt

rendendogli quant di suo diritto.

TIMONE - Onesto amico, torna domattina,

fammi il piacere

CAFIS - No, mio buon signore

TIMONE - Non essere impaziente, caro amico

SERVO DI VARRONE - Io son uno dei servi di Varrone,

mio buon signore.

SERVO DI ISIDORO - Io vengo da Isidoro,

che umilmente ti prega, buon Timone,

di rifondergli il credito al pi presto.

CAFIS - Se tu sapessi, nobile Timone,

in che guai si trova il mio padrone

SERVO DI VARRONE - C facolt di sequestro, signore,

son passate sei settimane e pi.

SERVO DI ISIDORO - Il tuo fattore, nobile Timone,

non fa che chiedermi di ripassare,

ed io ho lordine dal mio padrone

di rivolgermi a te personalmente.

TIMONE - Datemi almeno un poco di respiro!

(Ad Alcibiade e agli altri)

Andate pure avanti, amici, prego.

Io vi raggiunger immediatamente.

(Escono Alcibiade e gli altri)

(A Flavio)

Vieni qui, te ne prego. Dimmi un po,

come succede chio sia infastidito

cos da tante chiassose richieste

di crediti, cambiali insoddisfatte,

di pagamenti da lungo dovuti,

il tutto a scapito del mio buon nome?

FLAVIO - (A Cafis e agli altri servi dei creditori)

Brava gente, vi par questo il momento

di trattare di simili faccende?

Cessate almeno di sollecitare

sua signoria fin che abbia cenato,

chio possa fargli intender le ragioni

per cui non foste ancora soddisfatti.

TIMONE - S, amici, fate come lui vi dice.

(A Flavio)

E tu frattanto bada a intrattenerli

nel miglior modo.

FLAVIO - (Ai tre servi)

Vi prego, seguitemi.

(Esce. I tre servi stanno per seguirlo, quando)

Entra APEMANTO con un MATTO(28)

CAFIS - Fermi; vien qui con Apemanto il matto.

Restiamo. Divertiamoci con loro.

SERVO DI VARRONE - Che simpicchi! Ci coprir dinsulti.

SERVO DI ISIDORO - La peste a quel cagnaccio!(29)

SERVO DI VARRONE - Beh, matto, come vanno le tue cose?

APEMANTO - Che fai, dialoghi con la tua ombra?

SERVO DI VARRONE - Non lavevo con te.

APEMANTO - Parlavi con te stesso.

(Al matto)

Vieni via.

SERVO DI ISIDORO - (Al servo di Varrone)

Ecco, il matto sta appeso alle tue spalle.(30)

APEMANTO - No, tu sei matto gi per conto tuo,

e non ti serve che ti stia a ridosso.

CAFIS - Insomma, il matto allora qui chi ?

APEMANTO - Colui che ha fatto lultima domanda,

brutte canaglie, servi di strozzini,

tutti ruffiani tra loro e il bisogno!

TUTTI - Che siamo noi, Apemanto?

APEMANTO - Degli asini.

TUTTI - E perch, Apemanto?

APEMANTO - Perch chiedete a me chi siete voi,

e non vi conoscete da voi stessi.

Matto, parlagli tu.

MATTO - Beh, come state?

TUTTI - Oh, bene, bene, grammerci,(31) buon matto.

Che fa la tua morosa?

MATTO - Stava appunto mettendo lacqua al fuoco

per sbollentar dei polli come voi.(32)

Vorrei potervi incontrare a Corinto.(33)

APEMANTO - Oh, buona questa, matto, grammerci!

Entra un PAGGIO

MATTO - Toh, ecco il paggio della mia padrona.

PAGGIO - (Al Matto)

Ebbene, capitano, come va?

Che ci fai con s saggia compagnia?

E tu, Apemanto, come va la vita?

APEMANTO - Vorrei avere un bastone per lingua,

per risponderti come si conviene.

PAGGIO - Leggimi tu, Apemanto, te ne prego,

a chi sono dirette queste lettere.

Io non sono capace di capirlo.

APEMANTO - Non sai leggere?

PAGGIO - No.

APEMANTO - Allora il giorno che sarai impiccato

non sar per la scienza una gran perdita.

Questa diretta al nobile Timone,

e questa ad Alcibiade. Va, mio caro,

nato bastardo, morirai ruffiano.

PAGGIO - Tu sei stato figliato da una cagna,

e morirai di fame come un cane.

Non rispondermi, sono gi fuggito.

(Esce)

APEMANTO - Come fuggito sei dalla virt.

Matto, vengo dal nobile Timone

insieme a te.

MATTO - E l mi lascerai?

APEMANTO - Se Timone in casa(34)

Voialtri tre servite tre strozzini?

I TRE SERVI - Cos serviti fossimo da loro!

APEMANTO - Anchio vorrei augurami lo stesso

che vi facessero il pi bel servizio

che mai carnefice abbia fatto a ladro.

MATTO - Siete dunque tre servi di strozzini?

I TRE SERVI - S, matto.

MATTO - Credo non ci sia strozzino

che non abbia per servitore un matto.

Anche la mia padrona una strozzina,

ed io sono il suo matto.

Quando vengono dai padroni vostri

quelli che chiedono danaro in prestito

arrivan tristi e se ne van contenti;

quando vengono dalla mia padrona,

entran contenti e se ne vanno tristi.

E volete saperne la ragione?

SERVO DI VARRONE - Posso dirtela io.

APEMANTO - Allora dilla,

ti terremo cos per puttaniere,

oltre che pel furfante che gi sei;

non per ci sarai meno stimato.

SERVO DI VARRONE - E che cos un puttaniere, matto?

MATTO - Un matto ben vestito,

e pressa poco come te: uno spirito,

che a volte appare come un nobiluomo,

talaltra volta come un avvocato,

altra come un filosofo

col suo paio di pietre naturali(35)

in sovrappi alla filosofale.

Molto spesso somiglia a un cavaliere.

E, insomma, questo spirito va in giro

sotto ogni possibile fattezza

che assume luomo fra gli ottanta e i tredici.

SERVO DI VARRONE - Direi che tu non sei del tutto matto.

MATTO - N tu del tutto savio.

Tanto ho io di materia nel cervello,

quanta ne manca a te.

APEMANTO - Bella risposta!

Degna direi davvero di Apemanto.

TUTTI I SERVI - Largo! Largo! Ecco il nobile Timone.

Rientra TIMONE con FLAVIO

APEMANTO - Andiamocene, Matto, vieni, seguimi

MATTO - Ecco: non sempre ho da seguir lamante,

o il fratello maggiore(36), oppur la femmina;

talvolta anche il filosofo.

(Esce con Apemanto)

FLAVIO - (Ai tre servi)

Da questa parte voialtri, vi prego.

Vi chiamer tra poco.

(Escono i tre servi da diversa parte)

TIMONE - Mi meraviglia che tu, prima dora,

non mabbia mai spiegato a chiare lettere

qual lo stato delle mie sostanze

s chio potessi contener le spese

nei limiti dei mezzi disponibili.

FLAVIO - Non mavresti ascoltato.

Malgrado abbia cercato a questo fine

il momento pi adatto

TIMONE - Andiamo, andiamo!

Avrai scelto magari le occasioni

nelle quali ero molto maldisposto

e perci non incline ad ascoltarti,

e da quel momentaneo mio rifiuto

prendi ora pretesto per scusarti.

FLAVIO - Mio nobile signore,

quante volte tho messo sotto gli occhi

i miei conteggi, e tu me li hai scostati

con violenta impazienza,

dicendomi che ti bastava leggerli

nella riconosciuta mia onest!

Quante volte, di fronte ad un tuo ordine

di ricambiare futili regali

con tanto e tanto, io ho scosso il capo

e m venuto perfino da piangere!

S, signore, vincendo anche il ritegno

delle buone maniere, tho pregato

di tenere pi chiuse le tue mani.

Ed ho dovuto spesso sopportare

da tua parte non lievi reprimende

le volte che tentai di segnalarti

il basso flusso della tua marea

contro la grande ondata dei tuoi debiti.

Anche se tu mascolti solo adesso,

padrone mio, e seppur troppo tardi,

questo il momento della verit:

tutto quel che ti resta di ricchezza

non baster a pagare la met

di tutti i debiti da te contratti.

TIMONE - Che sian vendute tutte le mie terre.

FLAVIO - Sono tutte coperte da ipoteca,

parte anche gi sequestrate e vendute;

e quel che resta basta a malapena

a tappare la bocca ai creditori

che premono con la maggiore urgenza.

Il futuro si approssima a gran passi.

Quale difesa abbiamo nel frattempo?

E alla resa dei conti, che sar?

TIMONE - Ma le mie propriet

si estendevano fino a Lacedemone.

FLAVIO - Il mondo intero, buon padrone mio,

non che una parola: fosse tuo,

e tu avessi potuto regalarlo,

con un soffio sarebbe presto andato!

TIMONE - Ah, questo s.

FLAVIO - Se nutri qualche dubbio

sul modo come io tho amministrato,

oppur sospetti della mia onest,

chiamami pure a renderti i miei conti

davanti ai pi severi controllori

e sottoponimi pure ad inchiesta:

gli di mi siano buoni testimoni

che quando le cucine e le dispense

saffollavan di tutta quellingorda

e turbolenta gente, e le cantine

piangevan per le grandi libagioni

dei servi ubriaconi, ed ogni sala

risplendeva di lumi e rintronava

delle risa sguaiate dei giullari,

io me ne stavo tutto ritirato

con un fiume di lacrime negli occhi

presso una botte che gocciava vino

attraverso uno zipolo mal chiuso

TIMONE - Basta, ti prego!

FLAVIO - e mi dicevo: o cielo,

la liberalit del mio padrone!

Quanti ricchi bocconi hanno ingozzato

servi e bifolchi ancora questa notte!

Chi non per Timone?

Qual cuore, testa, spada, forza, mezzi

non si offrono al nobile Timone?

Al grande, al degno, allimperial Timone?

Eh, quando sian per scomparsi i mezzi

che pagan tutta questa adulazione,

sparir anche il fiato dalle bocche

dondessa esce. Finita la festa,

sar gabbato il suo anfitrione.

Basta la prima nuvola

che venga ad annunciar scrosci dinverno,

e questi moscerini correran tutti

ciascuno a ripararsi alla sua cuccia.

(Piange)

TIMONE - Beh, Flavio, basta adesso con le prediche!

Nessuna bassa mania spendacciona

mai passata ancora pel mio cuore.

Ho dato, s, sconsideratamente,

ma non ignobilmente Perch piangi?

Sei talmente sprovvisto di giudizio

da pensar che mi manchino gli amici?

Sta di buon cuore: volessio spillare

tutte le botti della simpatia

e sondare laffetto degli amici

chiedendo loro del denaro in prestito,

potrei avere a mia disposizione

le fortune di uomini su uomini

con la stessa facilit spontanea

con cui ora ti chiedo di parlarmi.

FLAVIO - Possan trovar conferma i tuoi pensieri.

TIMONE - E questi miei bisogni del momento,

in qualche modo sono coronati,

come una sorta di benedizione,

perch mi sar dato, grazie a loro,

di mettere alla prova le amicizie.

Taccorgerai allora

fino a che punto ti sarai ingannato

circa le mie fortune:

negli amici io so di esser ricco.

(Chiamando)

Ol, di dentro! Flaminio, Servilio!

Entrano FLAMINIO, SERVILIO e altri servi

SERVI - Agli ordini, padrone.

TIMONE - Devo mandarvi a diversi indirizzi.

(A Servilio)

Tu dal nobile Lucio; tu, Flaminio,

dal nobile Lucullo (proprio oggi

ho cacciato con lui);

(Al terzo servo)

tu da Sempronio.

Raccomandatemi al loro affetto,

e dite loro quanto io sia felice

dellopportunit che mi si offre

di ricorrere a loro per un prestito.

Chiedete loro un cinquanta talenti.

FLAMINIO - Faremo come ordinato, padrone.

(Escono i servi)

FLAVIO - (A parte)

Lucio, Lucullo? Uhm!

TIMONE - E tu, mio caro, va dai senatori,

dai quali credo daver meritato

questa attenzione, dopo quanto ho fatto

per il benessere del nostro Stato.

Chiedi per me un migliaio di talenti.

FLAVIO - Mi son presa licenza,

gi pensando che fosse questa via

la pi spedita via, a questo scopo,

dusare il tuo sigillo ed il tuo nome

per rivolgermi a loro ufficialmente;

ma ho visto che scuotevano la testa,

e me ne son tornato a mani vuote.

TIMONE - Che dici! mai possibile?

FLAVIO - Tutti insieme han risposto, e in modo unanime,

che sono a secco, non hanno un quattrino,

e non possono dar, loro malgrado,

quello che avrebbero tanto voluto;

che tu sei uomo degno ma non sanno

c qualcosa ch andata per traverso

una nobil natura come te

si pu trovare anchessa in qualche inciampo

che sperano che tutto si sistemi

ch un vero peccato, e cos via.

Cos, accampando pi importanti impegni,

scambiandosi tra loro sguardi torvi

e frasi smozzicate come queste,

tra salutini, mezze scappellate

e qualche gelido cenno del capo,

mhanno lasciato muto, l, di pietra.

TIMONE - O di, pensate voi a compensarli!

E quanto a te, fa cuore, te ne prego.

Lingratitudine una tara avita

nellanimo di questi vecchi arnesi.

Il loro sangue un caglio, tutto gelo,

scorre loro a fatica nelle vene,

e questa assenza di calore umano

li fa ingenerosi: la natura,

che a misura che si ripiega a terra

di nuovo, si fa torpida ed inerte,

in tutto adatta al suo ultimo viaggio.(37)

(A un quarto servo)

Va da Ventidio

(A Flavio)

Via, non esser triste.

Tu sei leale e onesto,

ed in tutta franchezza ti dichiaro

che non meriti biasimo di sorta.

(Al quarto servo)

Ventidio ha perso di recente il padre,

per la cui morte venuto in possesso

dun grosso patrimonio.

Quandera povero, e pei suoi debiti

fu imprigionato, ed era senza amici,

io sono stato a farlo liberare

con un riscatto di cinque talenti.

Portagli innanzitutto i miei saluti,

e poi fagli sapere che il suo amico

a causa di necessit impellenti

si vede ora costretto a ricordarsi

di quei cinque talenti.

(Esce il servo. A Flavio)

E quel denaro,

come tu labbia in mano, dllo a quelli

chhanno pi urgenza desser soddisfatti.

N mai ti venga di pensare o dire,

Flavio, che le fortune di Timone

possan, fra tanti amici, naufragare.

FLAVIO - Vorrei tanto poterlo non pensare.

Purtroppo, questo tuo convincimento

il nemico delluomo generoso:

liberale com,

crede che tutti gli altri sian cos.

(Escono)


ATTO TERZO

SCENA I - Atene, in casa di Lucullo.

FLAMINIO, con una scatola sotto il mantello, in attesa di parlare con Lucullo.

Entra un SERVO di questi.

SERVO - Ho avvertito il padrone che sei qui.

Viene subito.

FLAMINIO - Grazie.

SERVO - Eccolo infatti.

Entra LUCULLO

LUCULLO - (Tra s)

Un famiglio del nobile Timone?

Un dono, certamente Arriva a punto:

ho sognato stanotte di ricevere

un bacile dargento con la brocca

(Forte)

Flaminio, onesto Flaminio, buongiorno

e benvenuto sotto ogni rispetto!

(Al servo)

Porta del vino.

(Esce il servo)

Ebbene, come sta

quellonorevole, compito, aperto

gentiluomo dAtene, tuo padrone,

generoso e magnifico signore?

FLAMINIO - Di salute sta bene.

LUCULLO - Ne son lieto.

E tu coshai, l, sotto quel mantello,

buon Flaminio?

FLAMINIO - Nullaltro, in verit,

che un cofanetto vuoto, mio signore,

che per incarico del mio padrone

vengo a pregarti di voler riempire.

Si trova in grande ed urgente bisogno

di cinquanta talenti, e a te mi manda

perch tu glieli voglia provvedere,

non dubitando del tuo pronto aiuto.

LUCULLO - Eh, l, l, l! Non dubitando, ha detto?

Ahim, Signore Iddio, il tuo padrone

sarebbe una degnissima persona,

se non tenesse s aperta la casa

al grande scialo. Ho pranzato da lui

pi duna volta, e glielho pure detto;

e ci son anche poi tornato a cena

proprio per consigliarlo a spender meno;

ma da quelle mie visite

lui non ha ritenuto alcun consiglio

n ammonimento. Ognuno ha i suoi difetti,

e il suo desser troppo generoso.

Glielho detto, ma non mha dato retta.

Rientra il SERVO col vino

SERVO - Ecco il vino, padrone.

LUCULLO - Bene, grazie.

Flaminio, ho sempre pensato di te

che sei uomo di senno.

(Alza il bicchiere, che nel frattempo aveva riempito insieme con quello di Flaminio)

Alla salute!

FLAMINIO - Ti piace di scherzare.

LUCULLO - Ho gi osservato in te, caro Flaminio,

(ti devo riconoscer quel che tuo!),

uno spirito pronto e perspicace

che sa vedere ci ch di ragione,

ed anche profittar delloccasione,

quando gli si presenta sottomano.

Sono le tue migliori qualit.

(Al servo)

Puoi andare, ragazzo.

(Esce il servo)

Senti, onesto Flaminio: il tuo padrone

un gentiluomo di manica larga;

ma tu, che hai la testa sulle spalle,

pur essendo venuto qui da me,

sai bene che non sono tempi questi

da prestare danaro, specialmente

se sabbia come sola sicurt

lamicizia Questi son tre scellini,(38)

sono per te. Tu, da bravo ragazzo,

fa la parte per me,

e di che non mhai visto. Statti bene.

FLAMINIO - mai possibile che tutto al mondo

debba tanto cambiare e trasformarsi,

e solo noi rimaniamo gli stessi?

(Getta le monete in faccia a Lucullo)

LUCULLO - Bah, vedo che anche tu sei uno sciocco,

ben adatto a servire il tuo padrone!

(Esce)

FLAMINIO - Possano questi aggiungersi a quei molti

che ti guadagnino il fuoco eterno!

Sia loro fuso la tua dannazione!

Altro che amico, tu! Peste damico!

Ha dunque lamicizia

un cuore cos fiacco ed annacquato,

da inacidirsi in meno di due notti,

come il latte? O di,

son io penato per il mio padrone!

Questa canaglia ha ancora nello stomaco

i cibi offertigli dal mio padrone;

come gli possono esser salutari

e dargli nutrimento,

se s cangiato lui stesso in veleno?

Oh, gli vengano addosso sol malanni,

e quando sar prossimo alla fine,

quel tanto denergie che avr acquistato

mangiando a spese del padrone mio,

non che aiutarlo ad espellere il morbo,

gli serva a prolungare lagonia!

(Esce)

SCENA II - Atene, una piazza.

Entra LUCIO con tre FORESTIERI

LUCIO - Chi, Timone? mio grande e buon amico,

e gentiluomo rispettabilissimo.

PRIMO FOR. - Lo conosciamo anche noi come tale,

pur se gli siamo estranei.

Ma se posso ripeterti qualcosa

che sento dire in giro, per Timone

sono passate oramai lore felici,

e con lui scemano le sue sostanze.

LUCIO - Storie! Non ci credete. Non pu essere

che gli venga a mancare del denaro.

SECONDO FOR. - Credete a me, signore: or non molto

un suo famiglio stato da Lucullo

a chiedergli non so quanti talenti

in prestito, ti dico, s, e durgenza,

spiegandogli la gran necessit

che lo spingeva a far quella richiesta:

e il prestito, per, gli fu negato.

LUCIO - Come?

SECONDO FOR. - S, s, negato. Garantito!

LUCIO - Questo davvero strano!

Me ne vergogno, davanti agli di!

Negato a s onorevole persona

Ecco unazione che fa poco onore.

Per parte mia, lo posso confessare,

ho ricevuto anchio, di tanto in tanto,

da lui qualche modesta gentilezza,

come denaro, argenteria, gioielli

ed altre simili bazzecolette,

da non paragonar minimamente

ai doni ricevuti da Lucullo.

E tuttavia, se invece che a Lucullo,

avesse chiesto qualche cosa a me,

non gli avrei rifiutato quei talenti,

in una circostanza come questa.

Entra SERVILIO

SERVILIO - (A parte, accennando a Lucio)

Eccolo l, per fortuna, il mio uomo!

Ho dovuto sudare per trovarlo.

(Forte a Lucio)

Signore onoratissimo

LUCIO - Servilio!

Ben lieto di vederti. Stammi bene.

Salutami il virtuoso ed onorevole

tuo padrone, e mio eletto amico.

SERVILIO - Non ti dispiaccia, onorato signore,

il mio padrone ha mandato

LUCIO - Che cosa?

Egli non fa che mandare, mandare

Ho gi tanti obblighi verso di lui

Come credi chio possa ringraziarlo?

E che cosa mi manda questa volta?

SERVILIO - Questa volta ha mandato solo me,

per domandarti, nobile signore,

di sopperire al suo bisogno urgente

con un certo ammontare di talenti.

LUCIO - Credo che il tuo padrone

abbia sol voglia di scherzar con me:

non pu avere bisogno di talenti,

n di cinquanta n di cinquecento.

SERVILIO - Gliene occorrono meno sul momento,

ma non insisterei nella richiesta,

devi credermi, tanto caldamente,

se il suo bisogno non fosse reale.

LUCIO - Parli sul serio?

SERVILIO - Sullanima mia.

LUCIO - Ah, che razza di bestia non son io,

a trovarmi sprovvisto di denaro

proprio nelloccasione pi propizia

che mi si offriva di poter mostrare

tutta la mia onorabilit!

Ma quale disgraziata circostanza

ha voluto che proprio laltro ieri

io dovessi acquistare un po di terra,

e perdere cos un bel po donore!

Ma ormai, Servilio, davanti agli di

giuro che non ci posso far pi niente

- e son per questo tanto pi una bestia,

torno a dirti! -; era anzi io stesso in punto

di rivolgermi al nobile Timone,

questa gente lo pu testimoniare;

ma ora non vorrei averlo fatto,

quellacquisto, per tutte le ricchezze

di Atene. Porta tutti i miei saluti

al tuo degno signore; spero tanto

che non abbia a pensar male di me,

sanche non posso usargli quel favore.

E digli pure questo: chio considero

uno dei miei pi grandi dispiaceri

questo mio non potermi render utile

a cos onorevole signore.

Buon Servilio, vorrai essermi amico

tanto da riferire al tuo padrone

una per una questa mie parole?

SERVILIO - Lo far.

LUCIO - Bravo, ed io trover il modo

di rendertene merito, Servilio.

(Esce Servilio)

(Al primo forestiero)

Allora vero quello che mhai detto.

Timone proprio ridotto allo stremo

E chi ha subto una volta un rifiuto,

difficile si rimetta in sesto.

(Esce)

PRIMO FOREST. - Hai inteso Ostilio?(39)

OSTILIO - S, e fin troppo bene.

PRIMO FOREST. - Eccola, questa lanima del mondo;

e della stessa stoffa

lanima di ogni adulatore.

Chi pu chiamare amico

colui che intinge nello stesso piatto?

Perch Timone, a quanto mi risulta,

stato un vero padre per costui;

ha cercato, con la sua propria borsa

di mantenergli il credito;

ha rimpinguato le sue propriet;

che altro pi? Il denaro di Timone

servito a pagare i suoi domestici,

e si pu dire chegli non fa un sorso,

senza, per bere, avvicinarsi al labbro

largento di Timone;

e nondimeno - ah, la mostruosit

della natura umana, quando appare

sotto la veste dellingratitudine! -

ecco che adesso gli nega un aiuto

che, a confronto di quanto egli possiede,

non vale lobolo fatto a un mendico

da un donatore un po caritatevole.

TERZO FOREST. - La piet geme innanzi a questa scena.

PRIMO FOREST. - Per parte mia, non ho gustato mai

la bont di Timone in vita mia;

n mai alcuna sua munificenza

mha toccato, da rendermelo amico;

non esito peraltro a dichiarare

che se si fosse indirizzato a me

in un momento di necessit,

in omaggio alla sua altezza danimo,

alla gran fama delle sue virt,

allo specchiato suo comportamento

avrei considerato i miei possessi

come un dono venutomi da lui

e gli avrei dato la parte migliore,

tanta la simpatia chegli mispira.

Ma maccorgo che gli uomini,

devono ormai imparare a fare a meno

della piet, ch nella lor coscienza

siede padrone solo linteresse.

(Esce)

SCENA III - Atene, la casa di Sempronio.

Entrano SEMPRONIO e LUCILIO

SEMPRONIO - E deve proprio importunare me,

per questo? Hum! E sopra tutti gli altri?

Avrebbe prima potuto provare

con il nobile Lucio, con Lucullo;

ed anche con Ventidio,

pur ora divenuto anche lui ricco,

e, grazie a lui, uscito di prigione.

Tutti devono a lui il lor benessere.

LUCILIO - E tutti sono stati gi saggiati;(40)

ma si son rivelati vil metallo,

ch si son rifiutati di aiutarlo.

SEMPRONIO - Come! Gli hanno negato il loro aiuto?

Anche Lucullo? E perfino Ventidio?

E si rivolge a me? Tutti e tre? Hum!

Questo denuncia in loro poco affetto

e in lui assenza di discernimento.

Ed io sarei lestremo suo rifugio?

Gli amici suoi lo dnno per spacciato,

al par di medici al suo capezzale,

ed io dovrei assumermelo in cura?

Assai mi umilia questo suo agire

e sono molto in collera con lui:

perch avrebbe dovuto ricordarsi

del posto che rivesto, e a me per primo

si sarebbe dovuto indirizzare,

se avesse avuto un poco di cervello;

perch son io, in coscienza, la persona

alla quale egli ha fatto il primo dono.

E mi tiene ora in cos poco conto

da far di me la sua ultima istanza?

Eh, no! Questo potrebbe diventare

argomento di scherno per la gente;

ed io farei, fra i nobili di Atene,

la figura del povero imbecille.

Avrei voluto che la sua richiesta

fosse stata magari per il triplo,

ma che lavesse fatta a me per primo:

non fosse che per la mia dignit,

sarei stato disposto a favorirlo.

Ma ritorna da lui, e aggiungi pure

alle risposte tiepide degli altri

anche la mia: non vedr mio denaro

chi al mio onore reca nocumento.

(Esce)

LUCILIO - Magnifico! Che fior di farabutto!

Il diavolo, quando ha insegnato agli uomini

larte della politica

non sapeva che cosa si facesse,

non sapeva dandar contro se stesso.

E non posso evitare di pensare

che le scellerataggini degli uomini

finiranno con il riabilitarlo.(41)

Con che ornato e polito argomentare

costui singegna ad apparire infame!

Si modella ad esempi di bont

per esser tanto pi crudele e tristo;

come fan certi che, sotto il pretesto

dun infiammato ardore religioso,

manderebbero a fuoco interi regni:

tale il suo affetto per il mio padrone.

E proprio in lui aveva egli riposto

lultima sua speranza. Ora davvero

da lui si sono tutti allontanati

tranne solo gli di;

ora tutti gli amici sono morti,

e le porte che in tanti anni di grascia

non hanno conosciuto mai guardiani

debbon servire adesso, ben guardate,

a custodire salvo il lor padrone.

Ecco il bel risultato

delleccessiva liberalit!

Chi non seppe tenersi quel che aveva

deve tener chiuso in casa se stesso.

(Esce)

SCENA IV - Sala in casa di Timone

Entranodue SERVI DI VARRONE incontrandosi con altri SERVI di creditori di Timone e si dispongono ad attendere; poi entrano i SERVI DI LUCIO, DI TITO E DI ORTENSIO.

PRIMO SERVO DI VARRONE - Bene incontrati. Buongiorno ad entrambi,

Tito e Ortensio.

SERVO DI TITO - Ed altrettanto a te,

gentil Varrone.

SERVO DI ORTENSIO - Oh, Lucio! Anche tu qui?

SERVO DI LUCIO - Gi, e penso proprio per lo stesso affare

di tutti gli altri. Il mio di quattrini.

SERVO DI TITO - E cos quello loro, e di noi tutti.

Entra FILOTO

SERVO DI LUCIO - Ed ecco anche Filoto.

FILOTO - Buond a tutti.

SERVO DI LUCIO - E benvenuto a te, caro collega.

Che ora ?

FILOTO - Saran quasi le nove.

SERVO DI LUCIO - Cos tardi?

FILOTO - Timone non s visto?

SERVO DI LUCIO - Non ancora.

FILOTO - Mi sembra molto strano

Di solito alle sette gi levato.

SERVO DI LUCIO - S, ma i giorni per lui

ora son diventati un po pi corti:

il corso della prodigalit

si pu dir simile a quello del sole:

ma non come il sole ripetibile.

Nella borsa del nobile Timone

ho paura che sia profondo inverno,

ci si deve trovare poco o niente

a mettersi a frugare fino in fondo.

FILOTO - In questo, ho la stessa tua paura.

SERVO DI TITO - (Al servo di Ortensio)

Voglio farti osservare un fatto strano.

Il tuo padrone tha mandato qui

a chiedere denaro, vero?

SERVO DI ORTENSIO - Infatti.

SERVO DI TITO - Intanto lui si porta bene addosso

gioielli avuti in dono da Timone,

e per i quali anchio mi trovo qui

a reclamarne il pagamento.

SERVO DI ORTENSIO - vero,

anchio son qui venuto controvoglia.

SERVO DI LUCIO - Guardate che stranezza tutto questo:

che Timone, cio, debba pagare

ben pi di quanto non sia debitore:

come se il tuo padrone

si porti addosso dei ricchi gioielli

e ne mandi a Timone la fattura.

SERVO DI ORTENSIO - Gli di lass mi sono testimoni

di quanto mi sia grave questincarico.

So benissimo che il padrone mio

ha speso le ricchezze di Timone,

e questo fa la sua ingratitudine

ora peggiore duna ruberia.

PRIMO SERVO DI VARRONE - Io devo avere tremila corone.

E tu?

SERVO DI LUCIO - Io cinquemila.

PRIMO SERVO DI VARRONE - una gran somma.

E potrebbe sembrare, dalla cifra,

che il tuo padrone abbia avuto in Timone

pi fiducia che non ha avuto il mio,

se no, le somme sarebbero uguali.

SERVO DI TITO - Ecco che viene uno dei suoi servi.

Entra FLAMINIO

SERVO DI LUCIO - Flaminio, una parola.

pronto il tuo padrone a venir fuori?

FLAMINIO - Non ancora.

SERVO DI TITO - Noi siamo qui in attesa.

Ti preghiamo di farglielo sapere.

FLAMINIO - Non c bisogno. Sa fin troppo bene

che voi siete fin troppo diligenti.

(Esce)

Entra FLAVIO, imbacuccato in un mantello e traversa la scena

SERVO DI LUCIO - Toh, guardate quelluomo imbacuccato:

non il suo maggiordomo?

E se ne va cos, come una nuvola.

Chiamatelo, chiamatelo!

SERVO DI TITO - (Chiamando)

Quelluomo!

Hai sentito?

SECONDO SERVO DI VARRONE - (Avvicinandosi a Flavio che si f erma)

Signore, con licenza

FLAVIO - Che vuoi da me, amico?

SERVO DI TITO - Siamo qui

tutti in attesa di certi denari

FLAVIO - Eh, se i denari fossero sicuri

come sicuro che voi aspettate,

ce ne sarebbero sicuramente.

Ma perch non veniste a presentare

i vostri conti e le vostre fatture

quando gli ipocriti vostri padroni

sedevano alla mensa di Timone?

Essi allora potevano sorridere

e scherzare sul tema dei suoi debiti,

mentre ne trangugiavan gli interessi

sotto le lor fameliche mascelle.

Ora perdete sol tempo e fatica(42)

a pressarmi cos. Fatemi andare

in santa pace per i fatti miei.

Il mio padrone ed io,

siamo giunti, credetemi, allo stremo.

Io non ho pi di che fare di conto,

e lui non ha pi niente di che spendere.

SERVO DI LUCIO - Gi, ma questa risposta a noi non serve.

FLAMINIO - Se dici che non serve,

vuol dire chessa non tanto ignobile

quanto voi, che servite dei furfanti.

(Esce)

PRIMO SERVO DI VARRONE - Come sarebbe a dire? Che borbotta

questo illustre ministro licenziato?

SECONDO SERVO DI VARRONE - Lascialo pure andare.

ridotto anche lui povero in canna;

e questa gi sufficiente vendetta.

Chi pu parlare pi sfacciatamente

duno che non ha pi nemmeno un tetto

sotto cui rifugiar la propria testa?

Gente cos non ha nulla da perdere

a parlar male delle grandi case.

Entra SERVILIO

SERVO DI TITO - Ecco Servilio. Adesso finalmente

potremo almeno avere una risposta.

SERVILIO - Brava gente, potessi supplicarvi

di ritornare in un altro momento

ve ne sarei assai riconoscente:

perch - ve lo dichiaro a cuore aperto -

il mio padrone di pessimo umore

come non mai stato fino ad ora.

La sua consueta amabile natura

lha abbandonato; molto gi in salute

e non pu muoversi dalla sua camera.

SERVO DI LUCIO - Molti che se ne stanno chiusi in camera

non son malati; ma segli sta male,

potrebbessere questa una ragione

per soddisfare subito i suoi debiti

e spianarsi la via verso gli di.

SERVILIO - O di benigni!

SERVO DI TITO - Della tua risposta,

amico, non ce ne facciamo nulla.

LA VOCE DI FLAMINIO DA DENTRO -

Servilio, aiuto! Il padrone! Il padrone!

Entra TIMONE infuriato, seguito da FLAVIO

TIMONE - Che dannazione questa? In casa mia

si sbarrano le porte al mio passaggio?

Sono stato finora un uomo libero,

ed ora la mia casa

deve fare la parte del nemico

che mi deve tenere prigioniero?

E trasformarsi nella mia prigione?

E il luogo dove ho sempre banchettato

in allegria deve ora mostrarmi

un cuor di ferro, come tutti gli uomini?

SERVO DI LUCIO - Fatti avanti tu, Tito.

SERVO DI TITO - Mio signore,

questo il mio conto.

SERVO DI LUCIO - E questo il mio.

SERVO DI ORTENSIO - E il mio.

I DUE SERVI DI VARRONE - E questi sono i nostri.

FILOTO - Tutti i nostri.

TIMONE - S, subissatemi pure con essi,

e spaccatemi in due, fino alla cintola,

come tante alabarde.(43)

SERVO DI LUCIO - Ahim, signore

TIMONE - E tagliatemi il cuore a pezzettini,

fino a produrne spiccioli

TITO - Quello mio sono cinquanta talenti.

TIMONE - e contate le gocce del mio sangue.

SERVO DI LUCIO - Cinquemila corone il conto mio.

TIMONE - E cinquemila gocce te lo paghino.

E il tuo? E il tuo?

I DUE SERVI DI VARRONE - Nobile Timone

TIMONE - Sbranatemi, prendete la mia carne

e che gli di vi confondano tutti!

(Esce)

SERVO DI ORTENSIO - Ah, credo proprio che i nostri padroni

possono fare tanto di cappello

ai loro soldi; questi loro crediti

posson davvero dirsi disperati,

perch dovuti loro da un demente.

(Escono tutti)

Rientrano TIMONE e FLAVIO

TIMONE - Canaglie! Mhan lasciato senza fiato.

Creditori? No, diavoli!

FLAVIO - Padrone

TIMONE - (Come inseguendo un pensiero)

Che, se cos facessi?

FLAVIO - Mio signore

TIMONE - Lo faccio. Flavio!

FLAVIO - Sono qui, padrone.

TIMONE - (Tra s, sempre inseguendo il suo pensiero)

S, s, ben combinato!(44)

(Forte a Flavio)

Va, invita di nuovo a casa mia

tutti gli amici: Lucullo, Sempronio,

Lucio Vo offrire a tutti quei furfanti

un ultimo banchetto.

FLAVIO - Mio signore,

sol con lanimo in preda alla collera

che tu parli cos. Non c rimasto

da imbandir la pi parca delle mense.

TIMONE - Non ti preoccupare. Va, ti dico,

ed invitali tutti: la mia casa

apra ancora una volta le sue porte

alla marea di questi farabutti.

Al resto penseremo il cuoco ed io.

(Escono)

SCENA V - Atene, laula del senato.

Entrano TRE SENATORI da una parte; dallaltra ALCIBIADE con i suoi seguaci, restando indietro

PRIMO SENATORE - (Al secondo senatore)

Collega, puoi contare sul mio voto.

un delitto di sangue,

e il colpevole deve andare a morte.

Non c nulla che pi incoraggi il crimine

che lindulgenza.

SECONDO SENATORE - Nulla di pi vero.

La legge deve essere implacabile.

ALCIBIADE - (Avanzando solo sulla scena)

Salute, onore e clemenza al Senato!

PRIMO SENATORE - Ebbene, che hai da dire, capitano?

ALCIBIADE - Io sono qui come modesto supplice

delle vostre virt; ch la clemenza

della legge la maggior virt,

e soltanto i tiranni

fanno un uso crudele della legge.

piaciuto alla malasorte e al caso

di pesar duramente su un mio amico

che in un impeto dira

s trovato ad urtar contro la legge,

abisso senza fondo per chiunque

ci caschi dentro senza calcolarlo

Luomo, a parte codesta sua mancanza,

persona di belle qualit,

n s macchiato di vigliaccheria

facendo quel che ha fatto (e valga questo

a riscattare in parte la sua colpa):

animato da nobile furore

e da innegabile lealt di spirito,

quando ha visto la sua reputazione

offesa mortalmente, ha reagito

contenendo peraltro la sua collera,

avanti che si fosse tutta spenta,

con s pacata e repressa passione,

da parer pi che altro interessato

a difendersi col ragionamento.

primo senatore - ti sobbarchi ad un esil paradosso,

troppo gramo, Alcibiade,

per far apparir degno un turpe fatto.

Con queste tue parole

ti sei preso la briga di sforzarti

a dar forma legale a un assassinio,

e di dar lattributo di valore

alla rissosit; che , a dir vero,

valore malamente concepito,

ricomparso sul mondo

quando vi ritornaron di bel nuovo

le sette e le fazioni. Valoroso

colui che da saggio sa soffrire

tutto quel che di peggio sente dirsi,

e reputa gli oltraggi a lui recati

come cose esteriori alla persona,

s da indossarli, con indifferenza,

come una veste, mai per elevando

gli oltraggi fino allaltezza del cuore,

cos da mettere questo in pericolo.

Se i torti ricevuti son tal male

da forzarci ad uccidere, follia,

per un male rischiar la propria vita!

ALCIBIADE - Ma signore

PRIMO SENATORE - Non potrai convincere

che appaiano innocenti colpe enormi

come questa. Valore non mai

far vendetta, valore sopportare.

ALCIBIADE - Perdonatemi allora, miei signori,

di grazia, se vi parlo da soldato.

Se c tanto valore a sopportare,

perch gli stolti uomini

espongono i lor petti a battagliare

e non sopportano alcuna minaccia?

Perch non riescono a dormirci sopra

e a lasciar che i nemici

taglino agevolmente lor la gola,

senza far loro alcuna resistenza?

Se c tanto valore a sopportare,

perch scendiamo in campo a guerreggiare?

C allora pi valore nelle donne

che se ne stanno buone buone a casa,

se la sopportazione quel che vale;

e lasino migliore combattente

del leone, e il ladrone messo in ceppi

pi saggio del giudice, se vero

che la saggezza sta nel sopportare.

Signori, siate altrettanto clementi

per quanto siete grandi!

Chi che non saprebbe condannare

una violenza fatta a sangue freddo?

Uccidere - non esito ad ammetterlo -

leccesso supremo del peccato;

ma se, deograzia, fatto per difesa,

quanto vi pu esser di pi giusto.

Empiet abbandonarsi allira;

ma dov luomo che in tutta sua vita

mai s lasciato trasportar dallira?

questa, senatori, la misura

con la quale pesare questo crimine.

PRIMO SENATORE - Alcibiade, ti stai sfiatando invano.

ALCIBIADE - Invano? E i servizi da lui resi

alla patria, a Bisanzio, a Lacedemone,

non sarebbero posta sufficiente

a salvargli la vita?

PRIMO SENATORE - Che servizi?

ALCIBIADE - Io proclamo, signori, che questuomo

ha reso grandi servizi alla patria

e ucciso in guerra assai nemici vostri.

Baster dire con quanto valore

s portato nellultimo conflitto

e quale somma di ferite ha inferto!

SECONDO SENATORE - Ritraendone troppo buon raccolto!

Quelluomo nato per attaccar brighe,

e tal difetto spesso lo sommerge

e tiene prigioniero il suo valore;

e ci, se non avesse altri nemici,

sarebbe sufficiente a rovinarlo.

In preda a questo suo bestial furore

stato visto commettere oltraggi

e fomentar fazioni. Ci vien detto

che trascorre i suoi giorni nella crapula,

e quando beve per tutti un pericolo.

PRIMO SENATORE - Deve morire.

ALCIBIADE - Un ben duro destino!

Meglio per lui se fosse morto in guerra.

Miei nobili signori,

se non pur in ragione dei suoi meriti

- anche se si pu dire che il suo braccio

potrebbe ben guadagnargli il diritto

di morire quando sar il suo tempo

senza restare in debito a nessuno -

prendete anche le mie benemerenze,

e fatene tuttuno con le sue,

per aggiunger motivo a suo favore;

e poich let vostra veneranda

so che vuole sentirsi garantita,

io son pronto ad offrirvi come pegno

le mie vittorie e tutti i miei onori,

purch costui sia reso alla sua vita.

Se per questo suo crimine la legge

lo tiene debitore della vita,

che sia allor la guerra

a riceverne il valoroso sangue,

ch se la legge dura giustiziera,

la guerra certamente non lo meno.

PRIMO SENATORE - Noi siamo per la legge. Ha da morire.

E tu cessa dinsistere per lui,

o finirai con lindisporci al massimo.

Chi versa laltrui sangue,

fratello o amico, ha da pagar col suo.

ALCIBIADE - Devesser dunque cos? No, non deve.

Signori senatori, vi scongiuro

ricordatevi di chi sono

SECONDO SENATORE - Come?

ALCIBIADE - Richiamatevi alla memoria

TERZO SENATORE - Che?

ALCIBIADE - Devo pensare sia la vostra et

a far che non vi ricordiate pi

chi son io; altrimenti non mi spiego

chio possa esser caduto cos in basso

da chiedere e sentirmi rifiutare

una grazia del resto assai comune.

Davanti a questo vostro atteggiamento,

mi si riapron tutte le ferite.

PRIMO SENATORE - Osi dunque sfidar la nostra collera?

Eccola, espressa con poche parole,

ma ben pi ampia nelle conseguenze:

ti bandiamo per sempre!

alcibiade - Mi bandite!

La vostra imbecillaggine bandite,

piuttosto, al bando mettete lusura

che insudicia il senato!

PRIMO SENATORE - Se a due giorni da oggi

ancora il sole ti vedr in Atene,

attenditi condanna pi severa.

E perch non si gonfi vieppi dira

lanimo nostro, il tuo patrocinato

sar immediatamente messo a morte.

(Escono i senatori)

ALCIBIABE - Ah, vogliano gli di farvi invecchiare

ancora, da ridurvi tanti scheletri,

s da far ripugnanza al sol guardarvi!

Pazzo che sono stato fino ad oggi!

Mentre io respingevo i lor nemici,

essi contavano il loro denaro

e lo davano in prestito ad usura!

Io, che son ricco solo di ferite.

E per esse, cos mi si gratifica?

questo il balsamo che sa versare

nelle ferite dei suoi condottieri

un senato composto di strozzini?

Bandito? Beh, la cosa, dopo tutto,

non viene male: esser messo al bando

non che mi dispiaccia; sar questo

un valido motivo al mio rancore

e alla mia ira per colpire Atene.

Sapr rianimare i miei soldati

malcontenti,(45) e riacquistarne i cuori.

un onore trovarsi ad affrontare

pi nemici possibile. I soldati,

come gli di, non sopportan le offese.

(Esce)

SCENA VI - Atene, la sala dei banchetti in casa diTimone.

Tavola imbandita. Musica. Servi in faccende.

Entrano, incontrandosi, diversi NOBILI

PRIMO NOBILE - Buon giorno a te, signore.

SECONDO NOBILE - A te altrettanto!

Credo che questo nobile Timone

abbia solo voluto, laltro giorno,

sincerarsi di noi.

PRIMO NOBILE - Lo penso anchio.

Spero davvero che le sue sostanze

non si trovino proprio s allo stremo

comegli ci ha voluto far intendere

con questo suo voler mettere al vaglio

i suoi diversi amici.

SECONDO NOBILE - Tanto male,

infatti, non mi pare sian ridotte

a giudicar da questa imbandigione

cui siamo nuovamente convitati.

PRIMO NOBILE - Lo penso anchio. Mha mandato un invito

che diverse faccende mie private

mavevano costretto a declinare;

ma ha tanto insistito

che ho dovuto alla fine intervenire.

SECONDO NOBILE - E lo stesso con me. Ero impegnato

in urgenti faccende da sbrigare,

ma lui non ha voluto udire scuse.

Son rimasto davvero dispiaciuto

di trovarmi sprovvisto di contante

quando ha mandato da me per un prestito.

PRIMO NOBILE - Di questo devo anchio rammaricarmi,

ora che vedo come stan le cose.

SECONDO NOBILE - Ed cos per quanti siamo qui.

A voi quanto ha richiesto?

PRIMO NOBILE - Mille pezzi.

SECONDO NOBILE - Mille pezzi!

PRIMO NOBILE - E a voi?

SECONDO NOBILE - A me ha chiesto Ma eccolo che viene

Entra TIMONE con alcuni servi

TIMONE - (Ai due nobili)

Con tutto il cuore, amici! Come state?

PRIMO NOBILE - Nel migliore dei modi, mio signore,

specie ad udire che anche tu stai bene.

SECONDO NOBILE - Non segue pi di buon grado la rondine

lestate, come noi seguiamo te.

TIMONE - (Tra s)

N fugge pi di buon grado linverno.

Cos gli uomini: uccelli di passaggio!

(Forte)

Signori, il nostro pranzo

non vi ripagher la lunga attesa.

Saziate nel frattempo con la musica

i vostri orecchi, se sapran cibarsi

ora dellaspro suono della tromba.

Ci metteremo a tavola fra poco.

PRIMO NOBILE - Spero che non sarai rimasto male,

Timone, se mi son visto costretto

a rinviarti il servo a mani vuote

TIMONE - Figurati! Non darti alcun pensiero!

SECONDO NOBILE - (A Timone)

Nobile amico!

TIMONE - Oh, caro! Come va?

SECONDO NOBILE - Mi sento subissar dalla vergogna,

mio caro ed onorevole Timone,

al pensiero che quando, laltro giorno,

mhai mandato qualcuno per un prestito,

mi ritrovassi un povero pezzente.

TIMONE - Caro amico, non dartene pensiero.

SECONDO NOBILE - Bastava che il tuo messo

fosse venuto un paio dore prima

TIMONE - Non affliggere pi con tal pensiero

la tua preziosa memoria, ti prego.

(Ai servi)

Ragazzi, avanti, su, portate in tavola!

(I servi portano ad ogni posto un piatto coperto)

SECONDO NOBILE - Tutti i piatti coperti. Che sar?(46)

PRIMO NOBILE - Cibo da re. Vedrai. Te lassicuro.

TERZO NOBILE - (Intervenendo)

Non c dubbio; sar quanto di meglio

possono offrire stagione e denaro.

PRIMO NOBILE - Oh, amico, come stai? Quali notizie?

TERZO NOBILE - Alcibiade bandito; lo sapete?

PRIMO E SECONDO NOB. - Alcibiade bandito?

TERZO NOBILE - S, bandito,

potete starne certi.

PRIMO NOBILE - Come! Come!

SECONDO NOBILE - E per quale ragione, se m lecito?

TIMONE - Degni amici, volete accomodarvi?

TERZO NOBILE - (Al primo e secondo nobile)

Ve ne dir di pi fra qualche istante.

Ecco intanto un magnifico banchetto!

SECONDO NOBILE - Timone sempre lui: antico stampo.

TERZO NOBILE - Ma durer? Che dici, durer?

SECONDO NOBILE - Per ora s ma col tempo, non so

TERZO NOBILE - Eh, capisco, capisco

TIMONE - Che ciascuno raggiunga il proprio posto,

per favore, e con quello stesso slancio

col quale correrebbe verso il labbro

della sua donna. I piatti son gli stessi

in tutti i posti della tavolata.

Non fate come nei pranzi ufficiali

dove, per stabilir le precedenze,

si lasciano freddare le pietanze.

Sedete, accomodatevi dovunque.

Gli di richiedono le nostre grazie.

BENEDICITE DI TIMONE

O voi, altissimi benefattori

irrorate la nostra societ

con una pioggia di riconoscenza.

Siate lodati per i vostri doni,

ma largiteli sempre con riserva,

per tema che le vostre deit

abbiano ad esser segno di disprezzo.

Date a ciascuno quanto pu bastare

a far chuno non abbia mai bisogno

di prestare ad un altro; ch se gli uomini

avesser dagli di denaro in prestito,

rinnegherebbero pure gli di.

Fate che il cibo offerto

sia pi pregiato di colui che loffre;

che non si trovino riunite insieme

venti persone, senza che tra loro

ci siano una ventina di furfanti;

che se si trovino riunite a tavola

dodici donne, almeno una dozzina

in mezzo a loro siano quel che sono.

Fate che il resto dei vostri vassalli,

o numi!, siano essi i senatori

di Atene, o la pi infima plebaglia,

tutto che in loro male, sommi numi,

sia maturato per la distruzione!

Quanto agli amici miei che sono qui,

poich essi per me non sono nulla,

in nulla siano da voi benedetti,

come al nulla essi sono benvenuti.

Scoprite i piatti, cani, ora, e leccate!

(Tutti scoprono i piatti e li trovano pieni dacqua calda, con dentro dei sassi)

UN CONVITATO - Che vorr dir con questo il nostro amico?

UN ALTRO - Non so spiegarmelo.

TIMONE - Branco dipocriti,

che avete lamicizia solo in bocca,

pi seder non possiate a miglior mensa!

Il fumo e lacqua calda

son tutto quello che a voi si conviene.

Questo lultimo pranzo

in casa di Timone, che, invischiato

e sporcato dalle lusinghe vostre,

desse si lava, e ve le butta in faccia

con tutta la fumante vostra infamia!

(Getta acqua in faccia a tutti)

Possiate a lungo vivere aborriti,

untuosi, sorridenti parassiti,

affabili e cortesi distruttori,

lupi gentili, orsi mansuefatti,

matti giullari della dea Fortuna,

forchettoni, mosconi doccasione,

servi adusi ad inchini e scappellate,

creature di fumo, marionette

adattabili a tutte le occasioni!

Tutti i malanni duomini e di bestie

vi coprano di schianze virulente!

(Ad uno che fa per uscire)

Ehi, che fai, te la squagli? Aspetta un attimo:

ingoia prima la tua medicina!

(Agli altri)

E tu lo stesso! E tu! E tu! E tu!

Aspetta, vo prestarti del denaro,

non chiedertene

(Li caccia fuori a spintoni)

Come! Tutti in moto?

Dora in poi non ci siano pi festini

ai quali non sia molto benvenuto

ogni matricolato farabutto!

Brucia, mia casa! e tu sprofonda, Atene!

Siano in odio a Timone, dora in poi,

luomo e la razza umana tutta intera!

(Esce)

Rientrano i SENATORI e altri NOBILI

PRIMO NOBILE - Ebbene, miei signori?

SECONDO NOBILE - Che ne dite di questa gran sfuriata?

TERZO NOBILE - Che roba! Avete visto il mio cappello?

QUARTO NOBILE - Ho perduto la toga

PRIMO NOBILE - solo un pazzo

che si lascia guidare dal capriccio.

Laltro giorno mi regal un gioiello,

ed ora me lha fatto saltar via

dal cappello Chi ha visto il mio cappello?

SECONDO NOBILE - Eccolo.

QUARTO NOBILE - Ed ecco pure la mia toga.

PRIMO NOIBILE - meglio andarsene.

SECONDO NOBILE - Timone pazzo.

TERZO NOBILE - Ne sanno qualche cosa le mie ossa.

QUARTO NOBILE - Un giorno d diamanti, un altro sassi.

(Escono tutti)


atto quARTO

SCENA i - Luogo fuori le mura di Atene

Entra TIMONE

TIMONE - Mura che ricingete tanti lupi,

chio vi rivolga lultimo saluto.

Possiate sprofondare nella terra,

e non proteggere pi questa Atene!

Matrone, datevi allincontinenza!

Si dilegui nei figli lobbedienza.

Schiavi e pazzi, strappate dai lor seggi

i gravi ed avvizziti senatori,

e governate voi in loro vece.

Verdi verginit, voi allistante

convertitevi in pubbliche baldracche,

sotto gli occhi dei vostri genitori!

Bancarottieri, voitenete duro,

ed invece di rendere il dovuto,

fuori i coltelli, e tagliate la gola

ai vostri creditori. Servitori

che giuraste ai padroni fedelt,

rubate loro tutto che potete,

poich i vostri padroni sono ladri

e rubano a man bassa, legalmente!

Tu, serva, giaciti col tuo padrone:

la tua padrona donna di bordello.

Tu, figlio, sedicenne ragazzotto,

sottrai di forza da sotto lascella

del vecchio zoppicante genitore

la sua morbida cruccia,(47) e fanne clava

a fargli schizzar fuori le cervella!

Piet, timor di Dio, pace, giustizia,

buon vicinato, notturno riposo,

istruzione, costume, arti, mestieri,

gerarchie, riti, costumanze, leggi,

degenerate nei vostri contrari,

e regni dappertutto solo il caos!

Voi, pestilenze che affliggete gli uomini,

accumulate sul capo di Atene,

ch ormai matura pel colpo finale,

le vostre ardenti e contagiose febbri.

Fredda sciatica, tu riduci stroppi

i senatori, s che le lor membra

divengan zoppe come i lor costumi.

E voi, lussuria e liceziosit,

penetrate pian piano nello spirito

e nel midollo della giovent,

chessa possa nuotar controcorrente

dibattendosi dentro il grande fiume

della virt, ed infine affogare

nella dissolutezza generale!

Voi, rogne e pustole pestilenziali,

disseminatevi su tutti i petti

degli Ateniesi, e peste generale

sia della vostra semenza il raccolto.

E fiato infetti fiato,

s che di sol veleno siano fatte

tra loro, societ ed amicizia.

Nullaltro voglio portar via da te,

che la mia nudit, aborrita Atene!

(Si toglie la tunica e la getta contro le mura)

Toh, prenditi anche questa,

con le infinite mie maledizioni!

Timone se nandr nella foresta,

dove la pi feroce delle fiere

sar sempre pi mite degli umani,

alti e bassi che siano. E cos sia!

(Esce)

SCENA II - Atene, la casa di Timone.

Entra FLAVIO con due SERVI

PRIMO SERVO - Ci dici, allora, mastro maggiordomo,

dov il nostro padrone?

vero che siam tutti licenziati,

sul lastrico, non ci resta pi nulla?

FLAVIO - Ahim, compagni, che vi posso dire?

Gli giusti di mi sono testimoni:

io son ridotto a terra come voi.

PRIMO SERVO - In rovina una casa come questa?

In miseria un s nobile padrone?

Tutto perduto, e nemmeno un amico

disposto a offrire un braccio alla sua sorte

e accompagnarlo per un po di strada?

SECONDO SERVO - Al compagno gittato nella fossa

anche ognuno di noi volge le spalle:

cos coloro che gli erano amici(48)

sallontanano dalle sue fortune

ormai sepolte, lasciandogli solo

i loro volti di falsa amicizia

simili a borse vuotate dai ladri;

e il poveretto, come un mendicante,

esposto giorno e notte allintemperie

con addosso il suo male, la miseria,

dal quale tutti cercan di scansarsi,

se ne va camminando tutto solo

come limmagine del vilipendio.

Altri nostri compagni

Entrano altri SERVI di Timone

FLAVIO - Anche loro sfasciate suppellettili

duna casa ridotta alla rovina.

TERZO SERVO - Ma i nostri cuori portan sempre addosso

la livrea di Timone,

come puoi ben veder dai nostri volti.

Siamo sempre compagni e servi suoi

anche nellafflizione.

La nostra imbarcazione imbarca acqua,

e noi, come infelici marinai,

stiamo sul ponte per met sommerso,

a udire la minaccia dei marosi;

tutti quanti dovremo andar dispersi

in questo oceano daria.

FLAVIO - O miei buoni compagni,

voglio dividere fra tutti voi.

quel poco che mi resta di sostanze.

Ovunque cincontrassimo, in futuro,

cerchiamo, per amore di Timone,

di rimanere buoni camerati;

e qui, scuotendo il capo

come suonando una campana a morto

alle fortune del nostro padrone,

diciamoci tra noi:

Abbiam veduto, ahim, giorni migliori.

(Offre loro la sua borsa)

Prenda ognuno qualcosa

(I servi si dividono in silenzio il denaro)

Ed ora via.

Datemi tutti la mano, in silenzio.

Cos ci separiamo,

poveri, ricchi solo di dolore!

(I servi si abbracciano e si allontanano per diverse parti)

Ah, la cruda miseria,

che viene a noi dopo tanto splendore!

Chi non vorrebbe rimanere spoglio

dogni ricchezza, sessa a nulla porta

se non che alla miseria ed al disprezzo?

Chi vorrebbe vedersi cos irriso

dalla pompa e dal fasto,

e viver lamicizia come in un sogno,

e aver solo dipinti pompa e fasto,

come lo son le facce imbellettate

dei suoi sleali amici?

Povero mio padrone! Un uomo onesto

ridotto in basso dal suo stesso cuore

e rovinato dalla sua bont!

Bizzarra e insolita natura duomo,

il cui solo peccato

quello di aver fatto troppo bene.

Chi vorr pi mostrarsi generoso

anche a met di quanto stato lui,

se la munificenza,

che pur fa degli di quello che sono,

riesce ad esser s funesta agli uomini?

Caro padrone mio,

tu che sei stato tanto benedetto

per essere poi tanto bestemmiato,

tanto ricco per esser tanto povero,

quella che fu la tua grande fortuna

esser ora la tua grande afflizione!

Ahim, gentil signore!

fuggito da questa ingrata accolita

di amici-mostri in furia, e non ha pi

n i mezzi n la possibilit

di provvedere al suo sostentamento.

Mi voglio mettere alla sua ricerca.

Seguiter a servirlo e ad obbedirgli

con la migliore buona volont.

Fintanto che avr un poco di denaro,

sar ancora il suo amministratore.

(Esce)

SCENA III - Luogo boscoso e una caverna in riva al mare.

Entra TIMONE, uscendo dalla caverna

TIMONE - O sole, tu di vita almo ministro,

suggi infetti vapori dalla terra,

che ne sia ammorbata tutta laria

sotto lorbe di tua sorella luna!

Diversa sorte assegna, col tuo tocco,

a due gemelli dello stesso grembo

i quali siano per concepimento

e gestazione e nascita s uguali

da distinguersi a stento lun dallaltro:

il maggiore disprezzer il minore.

La creatura umana,

assediata com da tanti guai,

una volta salita a gran fortuna,

non capace di reggersi in essa

se non sprezzando altre creature umane.

Portami in alto questo mendicante

e trascinami in basso questo lord:

il primo, divenuto senatore,

si porter un disprezzo ereditario,

il mendico gli onori della nascita.

la pastura ad ingrassare il bue,

la sua mancanza lo fa dimagrire.

Chi, in purit di cuore,

oser mai levarsi a dichiarare

che quelluomo o quellaltro adulatore?

S tale lui, lo sono tutti gli altri,

perch ogni grado della societ

adulato dal grado sottostante:

cos che la zucca del saccente

sinchina allimbecille pieno doro!

Tutto sghembo, non c nulla di dritto

nelle nostre nature maledette,

salvo la dichiarata canagliaggine.

Siano perci aborrite da Timone(49)

feste, congreghe, accolite! Timone

disprezza tutti, e financo se stesso.

Che la rovina abbranchi luman genere!

Terra, offrimi tu qualche radice.

(Si mette a scavare con le mani)

E a chi pretenda di cercar da te

roba migliore, stuzzica il palato

con i tuoi pi mortiferi veleni.

Oh, ma che trovo mai qua sotto oro?

Oro giallo, lucente, oro prezioso?

No, di, non formulo voti insinceri:

radici ho chiesto solo, chiari cieli!

Tantoro come questo sufficiente

a fare nero il bianco, bello il brutto,

giusto lingiusto, nobile il volgare,

giovane il vecchio, vile il coraggioso.

O di, perch? Che cos questo, o di?

Questo allontaner dai vostri altari

i vostri preti e i vostri servitori,

questo far strappare da sotto il capo

dei vivi moribondi gli origlieri.(50)

Questo giallo ribaldo

cucir insieme e romper a vicenda

ogni fede, render sacro lempio,

far gradita laborrita lebbra,

metter i ladri nei posti migliori

e dar loro titoli onorifici

e inchini e generale approvazione

dai senatori seduto a consesso.

lui che fa che lavvizzita vedova

si rimariti: lei, cui lospedale

e lulcerose piaghe in tutto il corpo

fanno apparire cosa disgustosa,

loro imbalsama, rende profumata

e riconduce ai giorni dellaprile.(51)

Vieni, vieni, metallo maledetto,(52)

tu, puttana di tutto luman genere,

motivo di discordia tra le genti,

sapr ben io quel che fare di te,

in modo cnsono alla tua natura!

(Tamburi allinterno)

Ah, un tamburo

(Di nuovo alloro)

Tu sei cosa viva,

ma io ti seppellisco nuovamente.

Circolerai, incallito ladrone,

quando tutti i gottosi tuoi custodi

non riusciranno pi a tenersi in piedi.

(Ricopre loro con la terra;

ne mantiene in mano un po)

Tu per resta fuori, come pegno.

Entra ALCIBIADE in armi, con pifferi e tamburi.

Lo seguono FRINE e TIMANDRA

ALCIBIADE - (Non riconoscendo Timone)

Chi sei? Parla.

TIMONE - Una bestia come te.

Ti venga un cancro a consumare il cuore,

perch mi fai ritrovare di nuovo

davanti a un volto duomo!

ALCIBIADE - Come ti chiami? Perch tanto in odio

t luomo, visto che anche tu sei uomo?

TIMONE - Misantropo il mio nome,

ed ho in odio lintera umanit.

In quanto a te, vorrei che fossi un cane

per poterti volere un po di bene.

ALCIBIABE - Io so bene chi sei,

ma sono ignaro e son del tutto alieno

a quel che t accaduto.

TIMONE - Anchio ti riconosco;

ma non voglio conoscere di te

pi di tanto: che io ti riconosco.

Vattene, quindi, segui il tuo tamburo;

vattene a tingere di sangue umano

la terra, falla rossa, tutta rossa!

Se son crudeli regole canoniche

e leggi dello Stato,

che cosa non devessere la guerra?

Questa tua devastante prostituta

(Indica Frine)

ha pi potere lei di distruzione

che non ha la tua spada.

FRINE - Che ti caschino gi marce le labbra!

TIMONE - Tranquilla, bella, non ti bacer:

cos il marcio rimane sulle tue!

ALCIBIADE - Cos mutato il nobile Timone!

Come ha potuto?

TIMONE - Come fa la luna,

quando non ha pi luce da irradiare.

Solo che, a differenza della luna,

io non ho pi potuto rinnovarmi,

per assoluta mancanza di soli

dai quali togliere la luce in prestito.

ALCIBIADE - Quale servizio, nobile Timone,

da amico, posso renderti?

TIMONE - Nessuno,

salvo sposare la mia stessa idea.

ALCIBIADE - Che sarebbe, Timone?

TIMONE - Farmi promessa della tua amicizia,

e poi non mantenerla.

E se tu non mi fai questa promessa,

ti mandino gli di tutti i malanni,

perch appartieni alla specie degli uomini;

se invece me la fai, e la mantieni,

ti confondano, perch sei un uomo!

ALCIBIADE - Ho inteso dire delle tue disgrazie.

TIMONE - Le avevi sotto gli occhi

al tempo della mia prosperit.

ALCIBIADE - Le vedo ora, il tempo che tu dici

era un tempo felice.

TOMONE - Come il tuo,

ora, allacciato a un paio di bagasce.

TIMANDRA - E questo qui sarebbe il coccobello

di Atene, acclamato con rispetto

da tutto il mondo?

TIMONE - E tu non sei Timandra?

TIMANDRA - E allora?

TIMONE - Seguita a far la puttana.

Tutti quelli che tusano, non tamano.

Regala loro le tue malattie

in cambio della foja che ti lasciano.

Sfrutta bene le tue ore di sale;(53)

concia bene i minchioni

per le stufe ed i bagni dacqua calda,

porta la giovent guancia-rosata

al digiuno e alle diete della cura

coi suffumigi.(54)

TIMANDRA - Va alla forca, mostro!

ALCIBIADE - Perdonalo, gentile mia Timandra,

perch la sua ragione s annegata

e perduta nella sua malasorte.

Sono restato a corto di denaro,

mio buon Timone, e questa scarsit

ogni giorno mi provoca rivolte

nella truppa rimasta senza soldo.(55)

Mha fatto molto male

sapere che la maledetta Atene,

sconoscendo le tue benemerenze,

immemore dei nobili servigi

da te resi allorch i vicini Stati

lavrebbero schiacciata, se non era

per la tua spada e per il tuo danaro

TIMONE - Batti il tamburo e vattene, ti prego.

ALCIBIADE - Ti sono amico, ed ho pena per te,

Timone.

TIMONE - Pena? Come puoi averne

per uno al quale di solo fastidio?

Preferisco star solo.

ALCIBIADE - E allora addio. Ecco un po di denaro.

TIMONE - Tienlo pure per te. Io non ne mangio.

ALCIBIADE - Quando avr fatto dellaltera Atene

un mucchio di rovine

TIMONE - Sei in guerra con Atene?

ALCIBIADE - S, e nho ben causa.

TIMONE - Gli di la distruggano,

dando a te la vittoria,

e poi dnnino te, quando avrai vinto.

ALCIBIADE - Perch anche me, Timone?

TIMONE - Perch saresti nato

per conquistare questo mio paese

uccidendo nientaltro che ribaldi.

Riponitelo in tasca il tuo denaro.

E va avanti. Ti do io delloro,

prendilo, e va avanti contro Atene.

Sii tu per tutti quelli che ci stanno

come una pestilenza planetaria,

quando Giove diffonde il suo veleno

in sospensione nellaria viziata

duna citt corrotta. La tua spada

non se ne lasci sfuggire nessuno.

Non ti commuovere davanti al vecchio

a cagione della sua barba bianca:

quello sicuramente un usuraio.

Infierisci sulla matrona ipocrita:

onesta solamente nel vestito,

ma sotto una ruffiana.

Non lasciar che la gota della vergine

tintenerisca il filo della spada,

perch quelle lattifere sue poppe

che di traverso ai legacci del busto

attirano gli sguardi mascolini

non sono iscritte su nessuna pagina

del registro della piet: condnnale,

perci, come i pi biechi traditori!

Non risparmiar nemmeno il fantolino,

il cui sorriso pieno di fossette

strappa la commozione agli imbecilli:

pensa chesso un bastardo

che un oracolo ambiguo ha designato

a tagliarti la gola, e fallo a pezzi

senza rimorso; imperversa dovunque,

mettiti intorno agli occhi ed agli orecchi

una corazza la cui salda tempra

non possano scalfire urla di madri,

di fanciulle, di bimbi, n la vista

di preti nei lor sacri paramenti

imbrattati di sangue. Ecco delloro

con cui pagare il soldo alla tua truppa.

Semina strage largo quanto puoi,

e quando avrai placato la tua collera,

va in malora anche tu! Non dire pi.

Non c bisogno di parole. Vattene.

ALCIBIADE - Hai per me dellaltro oro

Loro che moffri accetto di buon grado,

ma non i tuoi consigli.

TIMONE - Che tu laccetti di buon grado o no,

ti maledica il cielo!

FRINE e TIMANDRA - Buon Timone, un po doro anche,

se nhai ancora.

TIMONE - Ce nho, e abbastanza

per ottenere che una meretrice

rinneghi il suo commercio, e una ruffiana

riesca a rinunciare al suo mestiere

di educare puttane al lupanare.

Ma voi, sgualdrine, seguitate pure

ad alzare il grembiule!(56) A giuramenti

voi non siete tagliate da natura,

anche se so che nel sacramentare

siete cos terribili campioni,

da far venire la febbre quartana(57)

agli di immortali che vi ascoltano.

Risparmiatevi quindi i giuramenti:

credo solo alla vostra professione.

Restate quel che siete: prostitute.

E se alcuno cercasse, con pia voce,

di convertirvi, siate sempre pi

lascive ad adescarlo, ad infiammarlo

di guisa che la vostra ascosa fiamma

soverchi il fumo delle sue parole,

e non voltate la vostra casacca;(58)

anche se mauguro che entro sei mesi

le vostre pene siano daltro genere,

e tali da costringervi a coprire

le povere spelate vostre teste

con capelli di morti,

e di morti magari sulla forca.(59)

Vestiteci le vostre testoline

e seguitate ad ingannare gli uomini.

Continuate pure a fornicare

e mettetevi in faccia tanto lustro

da impantanarcisi pure un cavallo;

e venga un canchero alle vostre rughe!

(D loro delloro)

FRINE e TIMANDRA - Bene, bene delloro anche per noi!(60)

Beh, che vuoi che facciamo?(61)

Per loro, credimi, facciamo tutto.

TIMONE - Gettare il seme della consunzione

nel midollo delluomo;

colpirlo nelle sue tibie sottili,

e fiaccare la sua virilit.

Render fessa la voce allavvocato,

che pi non possa difendere il falso,

n strillare per laria i suoi cavilli;

render canuto il flmine

che inveisce ai difetti della carne

senza creder lui stesso a quel che predica.

Far cadere, corrotto da sifilide,

il naso, fino a spianarglielo tutto

sopra la faccia, a chi sa sol fiutare

la traccia del suo proprio tornaconto,

incurante del bene generale.

Rendete calvi i ricciuti ruffiani,

e fate s che tutti gli smargiassi

reduci senza danni dalla guerra

sattacchino da voi qualche malanno:

impestateli tutti, s che in loro

sinaridisca e sannulli del tutto,

per riguardo alla vostra attivit,

ogni erezione, alla sua stessa fonte.

Ecco ancora delloro.

Portate a dannazione tutti gli altri,

e questoro provveda a dannar voi,

e vi sia tomba il fondo dei fossati!

FRINE e TIMANDRA - Dacci altri consigli,

generoso Timone, ed altro oro.

TIMONE - Prostituitevi sempre di pi,

disseminate sempre nuove piaghe:

vho dato solamente una caparra.

ALCIBIADE - Tamburi, avanti, in marcia verso Atene!

Timone, addio. Se tutto mandr bene,

torner a visitarti.

TIMONE - Io, al contrario,

se le speranze mie savvereranno,

non voglio pi vederti.

ALCIBIADE - Ma non tho fatto mai male, Timone.

TIMONE - S, hai parlato bene di Timone.

ALCIBIADE - E questo per te male?

TIMONE - dimostrato.

cosa che succede tutti i giorni.

Vattene, e portati via le tue cagne!

ALCIBIADE - Lo esasperiamo solo. Via i tamburi!

(Tamburi. Esce con Frine e Timandra)

TIMONE - Possibile che la natura umana,

pur nauseata dallingratitudine

senta ancora le strette della fame?

(Si mette di nuovo a scavare la terra con le mani)

O tu, madre comune,

che nellimmensurabile tuo grembo

e con lillimitato tuo respiro

tutto generi e nutri;

e della tempra ond formato luomo,

questo arrogante e superbo tuo figlio,

produci il nero rospo,

il colubro azzurrato,

la salamandra dallaurata pelle,

ed il rettile cieco e velenoso,

e tutto quanto di pi repugnante

generato sotto il crespo cielo

che schiara lalmo fuoco dIperione,(62)

largisci dal tuo generoso seno

a chi aborrisce tutti i nati duomo

una semplice, misera radice.

Inaridisci il tuo fertile grembo,

chesso non abbia pi a generare

lingrato uomo; fatti procreatrice

gravida solo di tigri e di lupi,

dorsi e di draghi, popola il tuo spazio

di nuovi mostri, quali la tua faccia

rivolta in alto non ha mai offerto

alla marmorea magione del cielo.

(Scavando, trova una radice)

Oh, una radice! Grazie, cara madre!

Dissecca, o terra, tutto il tuo midollo,

le vigne e i campi solcati dal vomere,

da cui lingrato uomoha sempre tratto

i dolci sorsi ed i grassi bocconi

con i quali rimpingua la sua anima,

che, nata pura, viene da ci a perdere

ogni virt di buon discernimento.

Entra APEMANTO

Ancora un uomo? Peste, peste, peste!

APEMANTO - Son qui mandato da altrui volont.

voce che ti sei messo a imitare

i miei modi di vita, e a praticarli.

TIMONE - S, solo perch tu non hai un cane

chio possa prendere a mio modello,

consunzione ti colga!

APEMANTO - Questo in te

la sconcertante manifestazione

duna natura infetta e contagiata,

lipocondria dun uomo sfiduciato,

nata da un mutamento di fortuna.

Perch questo badile?

Questo luogo? Questabito da schiavo?

Questa tua cera cos incarognita?

I tuoi adulatori in questo tempo

veston di seta, tracannano vino

e dormono sul soffice, abbracciati

alle lor ganze profumate e infette,

e di Timone hanno dimenticato

perfino ch esistito.

Non fare vergognare questi boschi

atteggiandoti a rigido censore;

trasformati anche tu in adulatore

e studia come prosperar di nuovo

servendoti di quegli stessi mezzi

che thanno procurato tal rovina.

Mettiti le cerniere alle ginocchia

e fa che basti il pi fievole fiato

della persona che vuoi adulare

a strapparti il cappello dalla testa:

fa le pi alte lodi

di lei e del suo vizio pi perverso

proclamandolo un vezzo sopraffino.

Cos una volta si parlava a te,

e tu prestavi compiacente orecchio

a questo e a quello, come i tavernieri

che dnno sorridendo il benvenuto

a tutti, malfattori e procaccianti.

Diventa una canaglia come loro.

Se ti restasse ancora del denaro,

le canaglie se ne approfitterebbero.

Non cercare di somigliare a me.

TIMONE - Se somigliassi per davvero a te,

mi manderei in malora da me stesso.

APEMANTO - In malora ti ci sei gi mandato

per esser quel che sei

e che sei stato a lungo: un dissennato,

oggi un povero sciocco.

Ma credi forse che questaria diaccia

che qui ti fa da iroso ciambellano

taiuti a metter la camicia al caldo?

Che queste piante coperte di muschio

che son vissute pi a lungo dellaquila(63)

ti stiano alle calcagna come paggi

pronti a scattare al minimo tuo cenno?

O che lacqua del gelido ruscello,

congelata dal freddo dellinverno,

possa offrirti un cordiale mattutino

che valga a toglierti via dalla bocca

il sapore cattivo della notte

trascorsa nei bagordi e nella crapula?

Chimati intorno a te le creature

che vivon qui nella lor nudit

data lor da natura,

alla merc dun cielo sempre inquieto,

ed i cui corpi nudi, senza tetto,

esposti agli elementi sempre in lotta

son costretti a subire linclemenza

della natura nella sua crudezza,

e di lor di adularti. Oh, allor vedrai

TIMONE - che tu sei un cialtrone. Va, va via!

APEMANTO - Io tamo adesso molto pi di prima.

TIMONE - E io todio di pi.

APEMANTO - Perch, Timone?

TIMONE - Perch vedo che aduli la miseria.

APEMANTO - Io non adulo niente:

dico solo che sei un disgraziato.

TIMONE - Perch mi cerchi?

APEMANTO - Per darti fastidio.

TIMONE - Questa stata da sempre la funzione

della gente malvagia e degli sciocchi.

Ti piace tanto farla?

APEMANTO - S, mi piace.

TIMONE - Sei allora anche tu sciocco e malvagio.

APEMANTO - Se a punire la tua stolta superbia

tu avessi scelto di tua volont

questabito di vita crudo e freddo,

sarebbe stato bene;

ma tu lo fai perch ci sei costretto.

Se non fossi ridotto ad un mendico

tu torneresti a fare il cortigiano.

La miseria voluta

vive pi a lungo dellincerta pompa

e riesce a trovar prima di quella

di che sentirsi piena e soddisfatta,(64)

perch continua sempre a rimpinzarsi,

mai sazia; laltra invece sempre sazia.

La miglior condizione, insoddisfatta,

uno stato di vita folle e gramo,

peggio della peggiore condizione

di cui si possa viver soddisfatti.

E tu, nella miseria in cui ti trovi,

non dovresti augurarti che la morte.

TIMONE - Non certo per consiglio di qualcuno

ch assai pi miserabile di me.

Perch tu sei da sempre un disgraziato

cui la fortuna non ha mai concesso

il favore dun suo tenero abbraccio,

e sei stato allevato come un cane.

Fosse toccato a te,

com toccato a noi fin dalle fasce,

di passare per tutti i dolci gradi

che questo breve mondo offre a coloro

che possono veder sempre eseguiti

gli ordini loro con cieca obbedienza,

saresti sprofondato nella crapula

e avresti fuso la tua giovinezza

chi sa su quanti letti di lussuria,

sempre ignorando i rigidi precetti

della misura e della temperanza,

anzi inseguendo i mielati trastulli

che ti si fossero parati innanzi.

Ma per me, che ho tenuto questo mondo

per mia pasticceria, al mio comando

avendo bocche e occhi e lingue e cuori

di non so quanti uomini,

in quantit maggiore certamente

di quanti avessi potuto impiegare,

innumerevoli intorno a me

da non poterli nemmeno contare,

e tutti, come foglie da una quercia

alla prima ventata dellinverno,

son caduti dai rami, e mhan lasciato

tronco nudo e indifeso

alla merc di tutte le tempeste;.

sopportar tutto questo per me, dico,

dopo aver conosciuto solo il meglio,

grave peso. Ma tu, la tua vita

lhai cominciata nelle ristrettezze,

e il tempo tha indurito a sopportarle.

Perci perch dovresti odiare gli uomini?

Nessun di loro tha mai adulato,

ed a nessuno tu hai mai donato.

Se vuoi proprio imprecar contro qualcuno,

tuo padre stesso, il misero straccione

che mise incinta, forse per dispetto,

qualche altra medicante come lui

e timpast, straccione ereditario,

pu esserne loggetto. Via di qui!

Vattene via! Se tu non fossi nato

nella pi bassa condizione umana

saresti stato anche tu della specie

degli imbroglioni e degli adulatori.

APEMANTO - Sei dunque ancora il solito orgoglioso?

TIMONE - S, orgoglioso di non esser te.

APEMANTO - Io di non essere mai stato un prodigo

TIMONE - Ed io invece desserlo tuttora.

Se pure fossero racchiuse in te

tutte le mie ricchezze duna volta,

ti manderei lo stesso ad impiccarti!

Vacci, va!

(D un morso alla radice che ha in mano)

Ah, se in questa radice

ci fosse tutta la vita di Atene!

Ecco, vorrei mangiarmela cos.

(D un altro morso alla radice)

APEMANTO - (Offrendogli unaltra radice)

Toh, voglio migliorare il tuo banchetto.

TIMONE - Migliora prima la mia compagnia,

liberandomi della tua presenza.

APEMANTO - Migliorer la mia, senza la tua.

TIMONE - No, cos migliorata non lavrai,

ma solo malamente rabberciata.

Altrimenti, magari essa lo fosse!(65)

APEMANTO - Hai qualche commissione per Atene?

TIMONE - Che ti ci porti il turbine! Se vuoi,

fa pur sapere a tutti che ho delloro,

Guarda, ce nho davvero.

APEMANTO - Ma qui loro non serve a nessun uso.

TIMONE - Anzi, al migliore ed al pi genuino:

perch qui dorme e non produce danno.

APEMANTO - Dove dormi la notte, tu, Timone?

TIMONE - Sotto quello che sta sopra di me.

E tu il giorno, Apemanto, dove mangi?

APEMANTO - Dove il mio stomaco trova del cibo,

o piuttosto l dove lo trangugio.

TIMONE - Ah, se avessi il veleno al mio comando

e sapesse il mio intimo volere!

APEMANTO - Dove lo manderesti?

TIMONE - A insaporire quel che tu ti mangi.

APEMANTO - Tu proprio dellumana condizione

non hai mai conosciuto il giusto mezzo:

conosci solo i due eccessi estremi:

quanderi in mezzo alloro ed ai profumi

tutta la gente ti rideva dietro

per la smodata tua raffinatezza;

adesso che ti sei ridotto in cenci,

non ne conosci alcuna,

e sei invece oggetto di disprezzo

per la ragione esattamente opposta.

TIMONE - Non mi cibo di cosa che detesto.

APEMANTO - Detesti anche le nespole?

TIMONE - S, perch frutto che ti rassomiglia.(66)

APEMANTO - Se avessi detestato i succianespole

a suo tempo, ameresti pi te stesso.(67)

Quando s visto mai uno scialone

che fosse amato per le sue ricchezze?

TIMONE - E tu hai conosciuto mai qualcuno

che, essendone sprovvisto, fosse amato?

APEMANTO - S, me stesso.

TIMONE - Oh, certo, ti capisco!

Con tutta la ricchezza che possiedi

potresti mantenere appena un cane.

APEMANTO - Qual la cosa al mondo

che tu ritieni sia pi somigliante

ai tuoi adulatori?

TIMONE - Son le donne;

perch son gli uomini essi medesimi,

in s, ladulazione. E tu, Apemanto,

cosa faresti del mondo,

se lo tenessi tutto in tuo potere?

APEMANTO - Lo darei alle bestie,

perch mi liberassero dagli uomini.

TIMONE - E vorresti soccombere anche tu,

uomo con gli uomini, in questa rovina,

e rimanere bestia tra le bestie?

APEMANTO - Certo, Timone.

TIMONE - Ambizione da bestia.

Ti concedan gli d di soddisfarla:

cos se tu diventassi un leone,

saresti infinocchiato dalla volpe;

se diventassi pecora,

la stessa volpe ti si sbranerebbe;

se fossi volpe, e taccusasse lasino,

il leone di te sospetterebbe;

se diventassi asino,

la scemenza sarebbe il tuo tormento,

e vivresti per esser pasto al lupo;

se diventassi lupo,

taffliggerebbe la voracit

e dovresti rischiar spesso la vita

per sfogare la fame; se unicorno,

orgoglio ed ira ti divorerebbero,

e finiresti per cadere preda

del tuo stesso furore; se fossi orso,

saresti stramazzato dal cavallo;

se poi fossi cavallo,

cadresti tra le zanne del leopardo,

e se fossi leopardo,

come stretto parente del leone,

la macchie stesse della parentela

sarebbero la tua condanna a morte;

tutta la tua speranza di salvezza

starebbe nel fuggir di qua e di l,

tutta la tua difesa nellassenza.

Quale bestia potresti diventare

che non fosse soggetta ad altra bestia?

E che bestia sei gi,

se non vedi che cosa perderesti

quando ti fossi trasformato in una?

APEMANTO - Se tu potessi piacermi a parole,

adesso ci saresti riuscito.

Di fatto, la repubblica di Atene

diventata una giungla di bestie.

TIMONE - Lasino allora ha scavalcato il muro,

che tu ti trovi fuori di citt?

APEMANTO - Ecco che vedo giungere laggi

un poeta e un pittore.

La peste della loro compagnia

la lascio addosso a te. Io me la svigno.

Ho paura che mi si attacchi addosso.

Quando non sapr pi che altro fare,

torner a trovarti.

TIMONE - E sarai benvenuto,

quando fossi rimasto solo tu

di vivo al mondo. Cane dun mendico,

vorrei esser piuttosto che Apemanto.

APEMANTO - Tu sei il pi buffone

dei buffoni viventi sulla terra!(68)

TIMONE - Vorrei tu fossi pulito abbastanza

per poterti sporcar con uno sputo!

APEMANTO - La peste a te! Sei fin troppo perverso

perch ti colgan le maledizioni.

TIMONE - Al tuo confronto ogni furfante onesto.

APEMANTO - Dalla tua bocca sorte solo lebbra.

TIMONE - S, se ti nomino. Non ti bastono,

perch non voglio sporcarmi le mani.

APEMANTO - Te le facessero cascare a pezzi,

marce, le mie parole!

TIMONE - Via dai piedi,

tu, progenie di botolo rognoso.

Muoio di rabbia a veder che sei vivo!

Svengo a guardarti!

APEMANTO - Oh, potessi crepare!

TIMONE - Vattene, fastidioso seccatore!

Mi dispiace sprecare questa pietra

per cacciarti.

(Gli lancia una pietra, senza colpirlo)

APEMANTO - Bestiaccia!

TIMONE - Vile schiavo!

APEMANTO - Rospo!

TIMONE - Carogna, carogna, carogna!

Sono stufo di questo mondo ipocrita,

e non sopporto, di quel che c sopra,

pi niente, fuor del puro necessario.

Perci, Timone, apprestati la tomba,

subito. Scegliti per essa un sito

dove il mare, con la sua lieve spuma

venga a lambir la tua pietra tombale

ogni giorno; componi un epitaffio

dun tal tenore che la morte mia

suoni irrisione alla vita degli altri.

(Osservando loro)

O tu, dolce assassino di regnanti,

e prezioso strumento di divorzio

tra padri e figli! Tu, profanatore

empio e lucente del pi casto e puro

letto dImene! Tu, gagliardo Marte!

Tu, sempre fresco e giovin seduttore,

amato e delicato, il cui rossore

scioglie pure la neve consacrata

in grembo a Diana!(69) Tu, visibil dio,

che hai il potere di saldare insieme

le cose pi tra loro incompatibili,

e far chesse si bacino!

Tu che parli ogni lingua, ad ogni fine!

O saggiator dei cuori,(70)

considera lumanit tua schiava

come ribelle, e con il tuo potere

getta il mondo in un caos di discordie,

s che vi imperino solo le belve!

APEMANTO - Magari cos fosse!

Non per fino a tanto chio sia vivo.

Dir a tutti che tu hai delloro.

Sarai sicuramente tribolato

subito da una turba.

TIMONE - Tribolato?

APEMANTO - S, tribolato.

TIMONE - Volgimi le spalle!

APEMANTO - (Allontanandosi)

Vivi, e tieniti cara la miseria!

TIMONE - Tu vivi a lungo e muori nella tua!

(Esce Apemanto)

Oh, se n andato! Che ci siano al mondo

ancora cose somiglianti agli uomini!

(Esce mordendo una radice)

Entrano alcuni BANDITI

PRIMO BANDITO - Dove diamine pu tenerlo, loro?

Non sar che un frammento, un rimasuglio,

della passata sua grande fortuna.

Perch a gettarlo in tale scoramento

stata la mancanza di denaro

e labbandono da tutti gli amici.

SECONDO BANDITO - Si dice invece chabbia un gran tesoro.

TERZO BANDITO - Proviamoci con lui personalmente:

se di quelloro non fa nessun conto,

ce ne dar senza colpo ferire;

se lo tiene gelosamente chiuso,

non so come faremo a impossessarcene.

SECONDO BANDITO - Gi, non lo porter certo con s;

lo tien nascosto

PRIMO BANDITO - (Vedendo Timone che viene dal fondo)

Non lui che viene?

TUTTI - Dove?

SECONDO BANDITO - Laggi. Cos ce lhan descritto.

TERZO BANDITO - proprio lui.

TUTTI - Salute a te, Timone!

TIMONE - Che volete, ladroni?

TUTTI - Siamo soldati, Timone, non ladri.

TIMONE - Gli uni e gli altri; ed in pi figli di donna.

TUTTI - Non siamo ladri, siamo solo gente

in stato di bisogno.

TIMONE - Eh, s, bisogno!

Il vostro massimo bisogno il cibo.

Ma perch mai lo dovreste sentire?

Ecco, guardate: la terra ha radici,

e tuttintorno qui, a non pi dun miglio,

sgorgano centinaia di sorgenti;

le querce son cariche di ghiande

e i rovi abbondano di bacche rosse.

La natura, massaia generosa,

espone inannzi a voi le sue vivande

sopra ogni cespuglio. Che bisogno?

Bisogno! Di che cosa?

PRIMO BANDITO - Non possiamo campare solo derba

o di bacche di rovo, o solo dacqua

come gli uccelli, i pesci ed altre bestie.

TIMONE - Ma a voi non bastano le stesse bestie,

e gli uccelli ed i pesci: voi per vivere

abbisognate di mangiare uomini.

In ogni modo debbo ringraziarvi

perch vi siete professati ladri,

e soprattutto perch non lo fate

sotto coperto daria bacchettona;

ch nelle professioni autorizzate

esiste un ladrocinio senza limiti.

Ladroni dichiarati, ecco delloro.

Andate avanti per la vostra strada,

dal grappolo succhiate tutto il sangue

cos che quello vostro,(71)mescolato,

fermenti e schiumi per ardente febbre

e possiate sfuggir cos la forca.(72)

Non date retta al medico:

gli antidoti chegli vindicher

sono tutti veleni e danno morte

pi di quanto possiate voi rubare.

Con la borsa prendete anche la vita:

seguitate a commetter ladrocinii

da esperti praticanti del mestiere

come vantate dessere.

Posso citare esempi a non finire

di furti in seno alla stessa natura:

ladro il sole, e spoglia il vasto mare

con la sua grande forza di attrazione;

la luna anchessa un ladro vagabondo,

che ruba al sole il pallido suo fuoco;

ladro il mare, il cui liquido flusso

scioglie la luna in lacrime salate;

ladra la terra, che si nutre e ingrassa

degli escrementi rubati a noi tutti.

Ladra ogni terrena creatura:

le stesse leggi che frenano e sferzano

hanno anchesse, nella lor cruda forza,

un potere ladresco incontrollato.

Odiatevi, odiatevi lun laltro;

andate, e derubatevi a vicenda.

Ecco ancora delloro.

Scannate tutti quelli che incontrate,

son tutti ladri. Tornate ad Atene,

scassinatevi quante pi botteghe:

non potrete rubare che a dei ladri.

Non dovete rubare

meno di tutto loro che vho dato.

Possa comunque loro

dannarvi tutti quanti siete. Amen.

(Si ritira nella caverna)

TERZO BANDITO - Mha quasi persuaso

a detestare questo mio mestiere,

a forza dincitarmi a praticarlo.

PRIMO BANDITO - Eh, se ci ha dato questi consigli

sol per odio contro luman genere,

non perch vuol che prosperiamo noi

a seguitar questo nostro mestiere.

SECONDO BANDITO - Voglio credere a lui come a un amico

e rinunciare a far questo mestiere.

PRIMO BANDITO - Beh, aspettiamo almeno,

che sia tornata la pace in Atene.(73)

Per diventare onesti

non c mai tempo troppo miserevole.

(Escono i banditi)

Entra FLAVIO e saffaccia alla porta della caverna

FLAVIO - O di! Sarebbe quelluomo laggi,

reietto, degradato, il mio signore?

Cos disfatto, cos svigorito?

O tu, meraviglioso monumento

di buone azioni male collocate!

Qual mutamento nella dignit

gli ha prodotto linopia disperata!

Nulla c di pi vile sulla terra

di amicizie che possono condurre

anima degne alla pi abietta fine!

Quanto poco saddice al nostro tempo

il precetto di amare il tuo nemico!

Chio possa dora innanzi solo amare

ed anzi ricercare lamicizia

di chi di nuocermi ha solo intenzione

anzich quella di chi, da amico,

mi nuoce gi Mha visto Sono qui

per offrirgli lonesto mio dolore

e dedicargli, come a mio padrone,

la mia vita Oh, caro mio padrone!

TIMONE - (Uscendo dalla caverna)

Va via! Chi sei?

FLAVIO - Non ti ricordi pi,

padrone mio? Mhai dimenticato?

TIMONE - Che me lo chiedi a fare?

Tutti gli uomini ho dimenticato,

e sanche tu ti riconosci un uomo,

anche te come tutti.

FLAVIO - Io sono

un tuo umile e onesto servitore.

TIMONE - Allora proprio io non ti conosco:

gente onesta non ne ho mai conosciuta

intorno a me. Tutti quelli che avevo

erano dei furfanti, solo buoni

a servire alla mensa altri furfanti.

FLAVIO - Il cielo testimone

se mai vi fu infelice maggiordomo

chabbia provato pi sincero duolo

per la rovina del proprio padrone

di quello che han sofferto gli occhi miei

per quella tua

(Piange)

TIMONE - Che fai, piangi? Avvicinati:

io tamo allora perch tu sei donna,

e smentisci cos la tua natura

duomo cuore-di-pietra,

i cui occhi hanno lacrime soltanto

per il gran ridere e la lussuria.

La piet in letargo.

Strani tempi, che piangono ridendo!

FLAVIO - Amato mio signore,

riconoscimi e accetta il mio dolore;

e finch questo mio misero gruzzolo

non sesaurisca, tienimi, ti prego,

al tuo servizio, tuo buon maggiordomo.

TIMONE - Avevo dunque in casa un maggiordomo

cos sincero, e giusto,

e, come vedo, cos soccorrevole?

Questo ridona alcunch di mitezza

a questa mia natura inferocita.

Chio guardi la tua faccia:

questuomo nato da donna. sicuro.

E allora o di eternamente giusti,

perdonate, vi prego, la rudezza

della mia inconsulta imprecazione

di poco fa contro il genere umano,

senza alcune eccezione!

Io voglio proclamare innanzi a voi

che qui davanti a me c un uomo onesto.

Ma, vi scongiuro, intendetemi bene:

ce n uno e non pi e questo solo

non altro che un umil maggiordomo.

Come avrei preferito odiarla tutta,

lumanit! Tu invece ti riscatti.

Ma allinfuori di te,

la mia maledizione a tutti gli altri!

Mi pare tuttavia, a questo punto,

che tu sia pi onesto che assennato:

perch se tu mavessi, nel servirmi,

trattato male o perfino tradito,

non ti sarebbe stato poi difficile

trovare altro servizio;

perch cos che molti

migrano verso un secondo padrone

passando sopra il collo del lor primo.

Dimmi la verit

- poich di tutto io devo dubitare,

anche se mai non sono stato certo

come ora di te - non per caso

questa tua gentilezza a mio riguardo,

la gentilezza interessata, ipocrita,

usuraia del ricco, che non dona

se non ricambiata venti volte?

FLAVIO - No, mio degno signore: Ahim, signore,

troppo tardi sospetto e diffidenza,

si sono insinuati nel tuo petto.

In altro tempo, avresti fatto bene

a diffidare delle falsit;

ma purtroppo il sospetto arriva sempre

quando del nostro ci rimasto poco!

Quello chio ti dimostro, lo sa il cielo,

affezione sincera, devozione

alla tua anima incomparabile,

sollecitudine per il tuo cibo

e per il tuo campare.

Credimi, onoratissimo signore,

qualunque beneficio dora innanzi

mi dovesse toccare nella vita,

io lo darei per ottenere in cambio

che potesse avverarsi questo voto:

che tu possa tornar ricco e potente,

nientaltro avendo come mio compenso

che il poter contemplar la tua ricchezza.

TIMONE - Ebbene, guarda qua:

il tuo voto s subito avverato.

(Gli mostra loro)

Tu che sei lultima persona onesta,

prendine a tuo talento:

gli di, dal fondo della mia miseria,

hanno mandato a te questo tesoro.

Vattene via con esso,

vivi ricco e felice; ma ad un patto:

di costruire lontano dagli uomini;

li dovrai tutti odiare e maledire,

a nessuno farai la carit,

e prima di soccorrere un pezzente

devi vedere bene che le carni

per la fame si stacchino dallossa.

Largisci ai cani quel che neghi agli uomini.

Lascia che se li inghiottano le carceri,

che i debiti li facciano avvizzire

fino a ridurli lombra di se stessi;

lascia che tutta lumana progenie

si riduca una selva inaridita,

e malattie dogni specie e natura

tutto ne succhino il cattivo sangue!

E cos ti saluto. Sii felice.

FLAVIO - No, mio padrone, lascia chio rimanga

insieme qui con te, a confortarti.

TIMONE - No, se tu temi le maledizioni,

non rimanere, fuggitene via,

fintanto che sei fortunato e libero.

Procura di non riveder pi uomo,

e fa che anchio non riveda pi te.

(Esce Flavio, sconsolato.

Timone rientra nella caverna)


ATTO QUINTO

SCENA I - La foresta davanti alla caverna di Timone

Entrano IL POETA e IL PITTORE

PITTORE - Se mi sono annotato bene il luogo,

non dovrebbessere lungi da qui.

POETA - Che pensare di lui? Sar poi vero

quel che si dice, che sia pieno doro?

PITTORE - Questo sicuro. Lo dice Alcibiade.

Frine e Timandra hanno avuto delloro

dalle sue mani; ed ha anche arricchiti

certi poveri reduci sbandati

dandone loro in grande quantit.

Si dice pure che una grossa parte

labbia donata al suo ex maggiordomo.

POETA - Allora tutto questo suo tracollo

sarebbe stata solo una finzione

per saggiare gli amici?

PITTORE - S, nientaltro.

Lo rivedrai presto rifiorire a Atene

come una palma, insieme coi maggiori.

Penso perci che non facciamo male

a venirgli ad offrire il nostro affetto

in questa sua miseria immaginaria:

ci ci far apparire agli occhi suoi

persone oneste, e potr pur servire

a soddisfar le nostre aspettative

con quanto esse sadoprano ad avere,

se son giuste e veridiche le voci

circa la sua fortuna.

POETA - Che avresti tu da presentargli adesso?

PITTORE - Sul momento, soltanto la mia visita.

Ma gli prometter un capolavoro.

POETA - Bisogner che anchio faccia cos,

e gli parli di qualche mio progetto

che concerna la stessa sua persona.

PITTORE - Ottima idea! Promettere saccorda

perfettamente con laria del tempo:

apre gli occhi allattesa. Mantenere

roba da minchioni sprovveduti,

e tener fede alla parola data,

, salvo che tra gente rozza e ingenua,

oggigiorno del tutto fuori moda.

Promettere cortese ed elegante;

mantenere una sorta di legato,

un testamento che in chi lha stilato

denuncia grave infermit di mente.

Entra TIMONE, uscendo dalla caverna,

non visto dai due.

TIMONE - (Tra s, guardando il pittore)

Artefice sublime!

Ma mai sarai capace di dipingere

un uomo turpe e tristo quanto te!

POETA - (Al pittore)

Sto pensando a che cosa posso dirgli

daver in mente di scriver per lui.

Devessere una qualche descrizione

di lui stesso com:

una satira contro le mollezze

della prosperit e una denuncia

delle infinite goffe smancerie

che fanno da immancabile codazzo

ad una giovent nellopulenza.

TIMONE - (Tra s, guardando il poeta)

Ti vuoi dunque mostrar nella tua opera

la canaglia che sei? Sferzar negli altri

le tue stesse magagne? Se cos,

fallo pure. Ho delloro anche per te.

POETA - Bene, andiamo a cercarlo.

Troppo tardi arrivare / e mancar la fortuna,

significa peccare / contro la buona luna.

PITTORE - Giusto, proprio cos.

Fin che il sole risplenda,

prima che notte scenda,

alla luce del d

mai ricerca fall.

TIMONE - (A parte)

Venite pure, chio vaspetto al varco!

Eh, che gran dio questoro, ch adorato

in un tempio pi lercio dun porcile!

Eppure sei tu, oro,

charmi il barco a solcar londa schiumosa,

e riponi onorata riverenza

in un furfante. A te ogni adorazione,

e siano coronati di flagelli

i santi che obbediscono a te solo.

Accingiamoci ad incontrar costoro.

(Si fa avanti)

POETA - Salve, degno Timone!

PITTORE - Nobile nostro patrono di un tempo.

TIMONE - Sarei io dunque vissuto abbastanza

per vedere due uomini dabbene?

POETA - Signore, avendo spesso profittato

della tua grande generosit,

e avendo udito che teri appartato,

abbandonato da tutti gli amici,

a punire la cui ingratitudine

non basterebbero (oh, aborriti spiriti!)

tutti i flagelli che riserba il cielo

Ma come! Proprio a un uomo come te,

la cui nobilt danimo

come la luce di benigna stella,

pioveva viva, sulla loro vita!

Francamente, ne son tanto smarrito,

che non trovo parole sufficienti

a ricoprire tanta ingratitudine.

TIMONE - Lasciala pure nuda,

cos che gli uomini la vedan meglio.

Voi siete gente onesta, e in quanto tali,

fateli meglio vedere e conoscere.

PITTORE - Noi due possiamo dire, lui ed io,

daver oprato sotto la gran pioggia

dei tuoi doni, e gustato il loro dolce.

TIMONE - Oh, s, voi siete uomini dabbene.

PITTORE - E siam venuti qui,

a offrirti i nostri modesti servizi.

TIMONE - Oh, uomini onestissimi!

Gi, ma come farei a sdebitarmi?

Potreste voi cibarvi di radici,

e bere acqua di fonte?

PITTORE - Faremo tutto quello che potremo,

per servirti.

TIMONE - Voi siete gente onesta.

Avete udito dire che ho delloro;

Sono sicuro che lavete udito.

Dite la verit,

da quegli uomini onesti quali siete.

PITTORE - Cos si dice, nobile signore.

Ma non siamo venuti qui per questo,

il mio amico ed io.

TIMONE - Brave, oneste persone! Tu riesci,

come nessuno meglio in tutta Atene

a fare simulacri; sei il migliore

a contraffare, lo fai cos bene

da far sembrare vero il contraffatto.

PITTORE - Beh, diciamo a un dipresso, mio signore.

TIMONE - No, amico, no, proprio come dico.

(Al poeta)

Quanto alle tue finzioni,(74)

il verso vi fluisce in uno stile

cos fine e scorrevole e polito,

che tu riesci fin nella tua arte

ad esser vero, come in realt.

Ma tutto questo a parte, onesti amici,

debbo dire che avete un picciol neo.

Oh, beninteso, niente di mostruoso,

n, daltronde desidero comunque

vi diate molta pena per correggerlo.

I DUE - Ti supplichiamo, faccelo conoscere.

TIMONE - La prenderete a male.

I DUE - Niente affatto,

anzi, te ne saremo molto grati.

TIMONE - Veramente?

I DUE - Non devi dubitarne.

TIMONE - Ebbene, questo: che ognuno di voi

s fidato finora di un ribaldo

che lo tradisce come meglio pu.

I DUE - Davvero?

TIMONE - S, lo ascoltate che mente,

lo vedete che inganna simulando,

conoscete le sue truffe volgari,

e tuttavia lo amate, lo nutrite,

lo custodite dentro il vostro petto,

pur sapendo ch un fior di farabutto.

PITTORE - Io non conosco alcuno che sia tale.

POETA - E io nemmeno.

TIMONE - Sentitemi bene:

io vamo molto, e vi dar delloro,

ma liberatemi da quei balordi

che sono sempre in vostra compagnia:

impiccateli prima, pugnalateli,

affogateli dentro una latrina,

sopprimeteli con qualunque mezzo,

poi tornate da me,

e avrete tutto loro che vorrete.

I DUE - I loro nomi, Timone. Chi sono?

TIMONE - Chi sono, eh? Tu vai da questa parte,

e tu da questaltra:

bene, sarete sempre due per parte,

perch ognuno di voi,

anche messo da parte ed isolato,

avr sempre con s,

compagno inseparabile, un furfante.

(A uno dei due)

Tu, se non vuoi che l dove sei ora

ci siano due balordi,

sta lontano da lui.

(Allaltro)

E se tu vuoi

che l ove sei ci sia un sol balordo,

lascialo solo. Via di qui! Sloggiate!

Ecco loro per voi;

perch per loro siete qui, canaglie!

(Getta loro delle pietre)

(Al poeta)

Tu hai per me un lavoro:

eccoti il pagamento! Via di qui!

(Al pittore)

Tu sei un alchimista:(75)

trasforma allora in oro queste pietre.

Via, rognosi cagnacci!

(Li caccia a sassate e si ritrae nella caverna)

Entra FLAVIO con DUE SENATORI

FLAVIO - inutile parlargli, vi ripeto;

talmente tutto racchiuso in s,

che nulla chabbia lapparenza duomo

gli bene accetto, tranne che se stesso.

PRIMO SENATORE - Comunque, guidaci alla sua grotta.

Abbiamo ricevuto questo incarico,

ed abbiamo promesso agli Ateniesi

di venir qui e parlare a Timone.

SECONDO SENATORE - Gli uomini non sono sempre uguali

in ogni circostanza: stato il tempo

a ridurlo cos e i suoi dolori;

se adesso il tempo, con pi larga mano,

gli offrisse la fortuna duna volta,

pu farne ancora luomo che gi stato.

FLAVIO - Questa la sua caverna;

pace e felicit sempre vi alberghino.

Timone, signor mio!

Timone! Mostrati, c gente amica

che ti vuole parlare. Gli Ateniesi

ti recano un saluto per il mezzo

dei due pi venerati senatori.

Parla con loro, nobile Timone.

Entra TIMONE, affacciandosi allentrata della caverna

TIMONE - Ardi, o sole, sorgente di conforto!

Parlate, avanti, gente da capestro.

Per ogni vostra parola sincera

vi spunti una vescica!

Ed ogni falsa sia come un cauterio

sulla radice della vostra lingua

e la consumi mentre proferita!

PRIMO SENATORE - Degno Timone

TIMONE - Degno, s, per voi,

cos come lo siete voi per lui.

PRIMO SENATORE - I senatori di Atene, Timone,

ti salutano.

TIMONE - Li ringrazio tutti!

Vorrei contraccambiarli con la peste,

se potessi attaccarmela per loro,

e li potessi contagiare tutti.

PRIMO SENATORE - Oh, dimentica i torti ricevuti,

e che noi siamo i primi a deprecare!

Con unanime affetto, i senatori

ti pregano di tornare ad Atene,

ed han pensato a cariche speciali

da offrirti, che si trovano vacanti

e pronte perch tu possa coprirle

ed impiegarle a tuo miglior talento.

SECONDO SENATORE - Lingratitudine verso di te

stata troppo grande e grossolana,

lo riconoscono; ond che il popolo,

ch pur sempre restio a ritrattare,

accortosi di quanto ora gli manchi

laiuto di Timone, nel suo intimo,

come se temesse la rovina,

se non venisse in aiuto a Timone.

E ci manda da te, per fare a te

atto di dolorosa contrizione,

e per offrirti una riparazione

pi sostanziosa delle loro offese

pesate sopra una giusta bilancia:(76)

s, tal somma daffetto e di ricchezza

che valga a cancellare dal tuo animo

quanti torti essi tabbiano recato,

ed a lasciarvi inciso il loro affetto

a lettere indelebili in eterno.(77)

TIMONE - Voi mincantate, degni senatori,

mi trascinate allorlo delle lacrime;

ma prestatemi il cuore duno sciocco

e gli occhi duna donna, e pianger

per i conforti che voi mi recate.

PRIMO SENATORE - Perci ti piaccia di tornar tra noi,

ad assumere un posto di comando

in questa tua, tua e nostra, Atene;

sarai accolto con riconoscenza,

e investito dei massimi poteri

a cui il tuo nome rester legato

finch vivrai. Cos respingeremo

i furibondi attacchi di Alcibiade

che, simile a un cinghiale inferocito,

sta sradicando dal proprio paese

la pianta della pace.

SECONDO SENATORE - E minaccioso

alza la spada contro le sue mura.

PRIMO SENATORE - Cos, Timone?

TIMONE - Bene, vacconsento.

S, signori, acconsento, e in questi termini:

se Alcibiade mai dovesse uccidere

dei miei concittadini,

fate in modo che sappia di Timone

che a Timone non gliene importa nulla;

ma se sacchegger la bella Atene,

se tirer la barba

ai venerandi menti dei suoi vecchi,(78)

se porger le nostre sante vergini

al vituperio duna guerra infame,

che sappia, e che gli venga ripetuto,

che fu Timone ad esortarlo a tanto,

mosso a piet dei nostri vecchi e giovani.

Ripetetegli, dico, che Timone

non pu dirgli nientaltro che a lui stesso

di tutto ci non importa un bel niente

e chegli se la prenda pure al peggio.

Per quanto poi riguarda i lor coltelli,

non datevene pena

finch ci saran gole da tagliare

in mezzo a voi. Per me, non c una lama,

in tutto il campo della ribellione,

che non mi stia di gran lunga pi a cuore

della pi veneranda delle gole

di tutta Atene. E con questo vi lascio

allassistenza degli di propizi,

come ladroni ai loro carcerieri.

FLAVIO - Non restate pi oltre. affatto inutile.

TIMONE - Stavo appunto scrivendo il mio epitaffio:

domani tutti lo potranno leggere.(79)

La lunga malattia della mia vita

molto prossima alla guarigione,

e il nulla sta per arrecarmi il tutto.

Ma voi andate, e seguitate a vivere.

Ed Alcibiade sia la vostra peste,

e voi la sua, e tutto duri a lungo.

PRIMO SENATORE - Ho capito: stiamo parlando invano.

TIMONE - E tuttavia io amo la mia patria;

non son uno che possa rallegrarsi

del comune naufragio,

come vuol farlo intendere la gente.

PRIMO SENATORE - Ben detto.

TIMONE - Salutatemi, vi prego,

i beneamati miei concittadini.

PRIMO SENATORE - Queste parole tue

son degne delle labbra da cui escono.

PRIMO SENATORE - E sintroducono nel nostro orecchio

simili a grandi eroi conquistatori

tra la folla plaudente del trionfo.(80)

TIMONE - Salutateli tutti, e dite loro

che a liberarli dalle loro angustie,

dalla paura di colpi nemici,

da malattie, da perdite di averi,

da delusioni damore, ed insomma

da tutti i guai che possono assalire

questo nostro pur fragile vascello

lungo il malcerto viaggio della vita,

render loro questa cortesia:

mostrer loro come prevenire

la collera selvaggia di Alcibiade.

SECONDO SENATORE - Questo mi piace assai; ritorna a noi.

TIMONE - Ecco, vedete, qui nel mio recinto

mi cresce un albero che, fra non molto,

per mio uso dovr tagliare e abbattere.

Dite agli amici miei, dite ad Atene,

dal pi basso al pi alto cittadino,

lungo tutta la sua scala gerarchica,

che a chiunque di loro piacer

mettere fine alle proprie afflizioni,

non ponga tempo in mezzo, corra qui

prima che lalbero di cui parlavo

abbia sentito i colpi della scure,

vi leghi un bel capestro e vi simpicchi!

Salutateli tutti, a nome mio.

FLAVIO - Non state a importunarlo ancora. Andate.

Tanto lo troverete irremovibile.

TIMONE - Non tornate mai pi;

ma dite agli Ateniesi che Timone

s costruita leterna dimora

sopra lestremo margine sabbioso

del salso flutto, che una volta al giorno

lo coprir con la schiumosa cresta

dei suoi marosi sempre turbolenti.

Allora, s, l potete venire,

e fare della mia pietra tombale

il vostro oracolo Ora, mie labbra,

lasciate ancora andar quattro parole,

e si spenga per sempre la mia voce:

a tutto quanto al modo c di male

sia rimedio la peste e linfezione!

Sia delluomo sola opera la tomba,

e la morte la sua sola mercede.

Sole, cela i tuoi raggi!

Timone ha posto termine al suo regno.

(Esce)

PRIMO SENATORE - Il suo risentimento ormai legato

indissolubilmente alla sua indole.

SECONDO SENATORE - spenta ogni speranza di riaverlo.

Convien riprendere la via di Atene,

e cercare col quale altro mezzo

ci resta per scamparci dal pericolo

che ci sovrasta.

PRIMO SENATORE - S, convien far presto.

(Escono)

SCENA II - Davanti alle mura di Atene

Entrano ALTRI DUE SENATORI e un MESSO

TERZO SENATORE - Ci che tu ci segnali molto grave.

Son davvero s ingenti le sue forze?

MESSO - Mi son pure tenuto sotto al vero.

Aggiungo che la sua rapidit

fa prevedere un arrivo immediato.

QUARTO SENATORE - Se qui non ci riportano Timone,

correremo davvero un grosso rischio.

MESSO - Ho incontrato un corriere, un vecchio amico,

il quale, pur trovandoci a combattere

noi due da parti opposte, il vecchio affetto

lo port a parlar da vero amico.

Mha informato cos che stava andando

a cavallo dal campo di Alcibiade

alla caverna dove sta Timone,

con un dispaccio nel quale Alcibiade

lo pregava di mettersi con lui

contro la vostra citt in questa guerra,

mossa in parte per vendicare lui.

Entrano i DUE PRIMI SENATORI

TERZO SENATORE - Ma ecco i nostri colleghi che tornano.

PRIMO SENATORE - Di Timone non c pi da parlare.

Da lui non aspettatevi pi nulla.

Gi sodono i tamburi del nemico

e il loro pauroso scorrazzare

rende laria affocata dalla polvere.

Entriamo ed apprestiamoci a difesa.

Temo che tocchi a noi di rovinare:

il laccio nelle mani del nemico.

(Escono, entrando nelle mura)

SCENA II - Boscaglia. Si scorge la caverna di Timone,

e una rozza tomba in primo piano.

Entra un SOLDATO(81) cercando Timone

SOLDATO - Secondo quanto m stato descritto,

devesser questo il luogo

Chi va l? Ehi, ho! Non c nessuno

(Vede la tomba su cui un cartiglio)

E questo che cos?

(Legge il cartiglio)

Morto Timone,

il cammino ha compiuto;

lo leggano le fiere:

qui un uomo ha vissuto.

Questaltro non so leggerlo.(82)

Ne prender limpronta con la cera.

Il nostro generale molto bravo

a decifrare qualsiasi scrittura.

Giovane danni, ma vecchio di senno.(83)

A questora devesser gi accampato

sotto le mura dellaltera Atene,

la cui caduta segner la meta

della sua ambizione di soldato.

(Esce)

SCENA IV - Davanti alle mura di Atene

Trombe. Entra ALCIBIADE con la truppa

ALCIBIADE - Trombe, date lannuncio

a questa vile e corrotta citt

del nostro minaccioso avvicinarsi.

(Squilli di tromba a parlamento)

Sugli spalti appaiono i SENATORI

Voi fino ad ora siete andati avanti

riempiendo il tempo con ogni licenza

e facendo del vostro solo libito

lindirizzo ed il fine della legge;

e fino ad oggi io stesso con quantaltri

che come me giacevano assopiti

allombra della vostra autorit

abbiamo errato standovi a guardare

con le braccia conserte ed in silenzio,

ed esalato invano il patir nostro.

Ora il tempo venuto

che la schiena s a lungo ripiegata

delluomo forte si sollevi e gridi:

Basta, non pi!. La vostra iniquit

sieder in affanno, senza fiato,

sui vostri oziosi scanni,

e la vostra impinguata tracotanza

dovr sentirsi mozzare il respiro

nel terrore duna tremante fuga.

PRIMO SENATORE - Nobilissimo e giovane Alcibiade,

gi dal tempo che i primi tuoi rancori

erano ancora chiusi nel tuo animo,

avanti che tu avessi alcun potere

e noi ragione alcuna di temere,

mandammo a te a placare la tua

e cancellar la nostra ingratitudine

con numerosi segni di affezione.

SECONDO SENATORE - Cos come ci siamo adoperati

a ricondurre il mutato Timone

allamore di questa sua citt,

inviandogli un umile messaggio

accompagnato da ricche promesse.

Non tutti siamo stati sconoscenti,

da meritare indifferentemente

il comune flagello della guerra.

PRIMO SENATORE - Queste mura non sono state erette

dalle mani di chi tha fatto torto;

n son, del resto, i torti tanto gravi

che lalte torri, i trofei e le scuole

della nostra citt debban cadere

per le colpe di alcuni cittadini.

SECONDO SENATORE - N son pi in vita coloro che in prima

hanno promosso la tua messa al bando:

ha lor spezzato il cuore la vergogna

daver tanto mancato di giudizio.

Entra, pertanto, nobile signore,

nella nostra citt, bandiere al vento;

e se la tua vendetta ha tanta fame

di un cibo che fa orrore alla natura,

procedi pure alla decimazione

dei destinati a morte, e fa che i dadi

decretino la sorte dei segnati.

PRIMO SENATORE - Tutti non hanno offeso. Non giusto

punire quelli che sono rimasti,

per coloro che non ci sono pi.

La colpa criminale

non si eredita al pari della terra.

Conduci dunque dentro le tue schiere,

caro concittadino,

ma lascia fuori tutta la tua ira;

risparmia la citt che fu tua culla

e i tuoi congiunti, i quali, fatalmente

cadrebbero con quelli che toffesero,

nel cieco esplodere della tua collera.

Come un pastore, fatti presso al gregge,

sceverane le pecore rognose,

ma non le uccidere tutte in un fascio.

SECONDO SENATORE - Potrai meglio costringerci a concederti

tutto quel che vorrai con il sorriso

piuttosto che col taglio della spada.

PRIMO SENATORE - Ti basti porre solamente il piede

contro le nostre corazzate porte,

ed esse si spalancheranno a te,

se avanti manderai il tuo gran cuore

ad annunciare che entrerai da amico.

SECONDO SENATORE - Getta a terra il tuo guanto,

o altro pegno donore, ad indicare

che ti vorrai servire della guerra

solo per far vendetta dei tuoi torti,

non per darci rovina e distruzione;

ed a pegno altres che le tue forze

resteranno alloggiate qui in citt

fino a tanto che avremo soddisfatto

interamente ai desideri tuoi.

ALCIBIADE - Ecco il mio guanto.

(Getta il guanto contro le mura)

Scendete ed aprite

queste non espugnate vostre porte:

solo cadranno sotto la mia spada

quei nemici di me e di Timone

designati da voi per il castigo,

non uno in pi; e perch dai vostri animi

sia allontanato qualsiasi timore

circa le mie generose intenzioni,

far che dei miei uomini

nessuno abbia a lasciare il suo quartiere,

o a turbare il normale svolgimento

della giustizia in seno alla citt,

senza incorrere nelle vostre leggi

e toccarne la pi severa pena.

PRIMO SENATORE - Parole nobilissime!

ALCIBIADE - Scendete,

allora, e mantenete quella vostra.

(I senatori scendono dagli spalti e aprono la porta)

Entra il SOLDATO di ritorno dalla caverna di Timone

SOLDATO - (Ad Alcibiade)

Mio generale, il nobile Timone

morto. seppellito in riva al mare,

sul lido, proprio al margine dellonda.

Sulla pietra tombale questa scritta,

incisa, che ho calcato sulla cera,

e la cui molle impronta

supplisce alla mia povera ignoranza:

ALCIBIADE - (Legge)

Qui giace il corpo duno sventurato

da unanima infelice abbandonato.

Il nome non cercate,

o creature malvagie che restate!

Tutte consunte dalla peste siate!

Timone io fui chiamato,

tutti gli uomini vivi ho detestato.

Passate, viandanti, non sostate.

Bene esprimono queste tue parole

quello che fu il tuo ultimo sentire.

Tu detestavi in noi

i nostri affanni desseri mortali,

sprezzavi i parti delle nostre menti,(84)

e quelle piccole gocce di pianto

che versa la natura nostra avara;

nobile idea stata tuttavia

quella tua di far piangere per sempre

sullumile tua tomba

la sterminata fronte di Nettuno

per offese ormai tutte perdonate.

Morto il degno Timone, e noi tra poco

onoreremo qui la sua memoria.

(Ai senatori)

Siate voi stessi a condurmi in citt;

voglio unire la fronda dellulivo

alla mia spada, e fare che la guerra

abbia a educare gli uomini alla pace,

e che la pace allontani la guerra,

e luna faccia da medico allaltra.

Via, rullate tamburi!

(Tamburi. Escono tutti, entrando in Atene)

FINE


(I) A Middleton si attribuiscono tutta la 2a scena del I atto; tutto il III atto, eccetto alcuni passi della 6 a scena; il dialogo fra Timone e il suo intendente Flavio a chiusura del IV atto. Questa collaborazione negata dal Baldini; ma il suo prezioso Manualetto shakespeariano del 1964, anteriore alle ricerche degli anni 70 e 80, che hanno suffragato lipotesi della collaborazione col Middleton.

(II) I titoli originali delle tre sopraelencate sono infatti: The Most Lamentable Tragedy of Titus Andronicus; The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark; The Tragedy of Othello, the Moor of Venice.

(III) Giorgio Melchiori, Shakespeare, Laterza, 1994, pag. 552.

(1) Traduce linglese steward che appare in tutti i testi; va notato tuttavia che maggiordomo figura della societ medioevale, come siniscalco; nella Grecia di Timone era il primo servo, major domus, quindi maggiordomo, ma in questultimo senso.

(2) Good day, Sir: inutile osservare che i Greci, come i Romani, non conoscevano le espressioni di signore, signoria vostra, ecc. Shakespeare, noto, fa parlare i suoi personaggi col linguaggio del suo tempo.

(3) Si capisce che i due parlano del loro ospite e cliente Timone.

(4) Upon the heels of my presentment, letteralm.: Alle calcagna della mia offerta (a lui). A lui non nel testo, ma implicito nel termine presentment che ha il significato specifico di dedication of a book to a patron.

(5) moves itself in a wide sea of tax: .si muove in un vasto mare di censura. Shakespeare usa spesso tax per censura (cfr. Tax of impudence in Tutto bene quel che finisce bene, II, 1, 169). Il Poeta vuol dire che essendosi egli mosso in un vasto mare di autocensura, nei suoi versi non c ombra di malignit. Le lezione del passo peraltro dubbia; altri hanno wax, che il Baldini rende addirittura con un incomprensibile mare di tavolette di cera.

(6) the glass-faced flatterer: ladulatore la cui faccia riflette, come in uno specchio, quella che non la sua vera.

(7) Il testo ha: What of these?: Che (dire) di costoro?

(8) to show Lord Timon that mean eyes have seen the foot above the head: intendi: Non raro che chi sta pi in basso (mean eyes, occhi di gente bassa) veda capitombolare chi sta pi in alto, coi piedi al disopra della testa (a gambe allaria).

(9) more raised than one which holds a trencher, letteralm.: di rango pi elevato di uno che regge il tagliere in cucina.

(10) Right, if doing nothing be death by law: Apemanto dice che non far nulla che gli possa procurare una condanna a morte, perch secondo lui, non esiste un Ateniese onesto al quale egli possa spaccare le cervella (knock out brains), come ha detto che sta andando a fare.

(11) Un ritratto, a differenza della persona ritratta, sempre e comunque innocente.

(12) So thou apprehendst it; take it for thy labour: la battuta non ha senso in italiano, se non forse nel gioco del doppio senso di prendere (Se la prendi (intendi) cos, tienitela pure); in inglese un quibble sul doppio significato di apprehension. Timone ha detto: Thats lascivious apprehension, dove apprehension interpretazione; Apemanto gli risponde: So thou apprehend it, dove apprehend prendila.

(13) our betters: cio tra le persone pi altolocate di noi.

(14) Apemanto ironizza sul termine confessato del Primo Nobile, che ha voluto intendere labbiamo sempre dichiarato; ma lui prende confessato per fare confessione: ai condannati allimpiccagione si chiedeva se volessero un prete per confessarsi, prima del supplizio.

(15) La lezione esatta : Irae furor brevis est, Il furore prodotto dallira di breve durata. La frase, com nel testo pu significare: Lira un furore breve.

(16) and thus far I confirm you: thus far nellantico inglese aveva valore di thus said. Non mi pare si possa intendere - come lo vedo inteso dal Baldini e dal Montela - ed in ci il vostro amore trova conferma: Timone sta parlando del suo amore per gli amici.

(17) Joy had the like conception in our eyes: frase volutamente retorica e artificiosa, come se Shakespeare con essa abbia voluto fare il verso al parlare eufuistico del Nobile. Senso: Come nei tuoi, anche nei nostri occhi la gioia stata concepita alla stessa maniera, e puoi vederla che nasce (nelle lacrime) come un pargoletto. Shakespeare gioca spesso sul doppio significato di conception, conceive, che valgono concepire con la mente e concepire col ventre materno (cfr. Re Lear, I, 1, 10 e segg.:I cannot conceive you - Sir, this young fellows mother could; e anche La bisbetica addomesticata, V, 2, 23-24 Thus I conceive by him - Conceives by me! How likes Hortensio that?).

(18) Corriero, per forerunner, lo prendo in prestito dal Baldini: non nei lessici, ma suggestivo, per un corriere che Cupido in persona.

(19) Lo sa il cielo non nel testo, che ha: What will this come to?, A che andr a parare questo?

(20) His lands put to their books, letteralm.: La sua terra iscritta nei loro registri; loro ossia del creditori, come garanzia dei debiti.

(21) Nel testo la frase comparativa: Pi fortunato (happier) chi non ha un amico cui da dar da mangiare, di chi ha amici che son peggiori dei nemici.

(22) Che cosa gli dia, non si sa. Alla scelta del regista.

(23) What a coils here: coil ha qui il senso di fastidious affair, come in Amleto, III, 1, 67: When we have shuffled off this mortal coil, Quando ci fossimo scrollati via / Questo mortale fastidioso impiccio).

(24) No reason can sound his state of safety, letteralm.: Nessuna ragione pu risuonare (come una sonda) della sanit della sua condizione.

(25) La Fenice, il mitico uccello creato dalla fantasia degli antichi Egizi, aveva penne rosse, bianche e dorate.

(26) will be left a naked gull: bisticcio di doppi sensi: gull pulcino appena nato (quindi implume), e credulone, sempliciotto, grullo.

(27) Il testo ha semplicemente: Buona sera, Varrone (Good even, Varro): i servi dei creditori di Timone sono indicati coi nomi dei rispettivi padroni; cos pi sotto and your too, Isidore. Il Good even lascia intendere che il tempo della scena la sera (even lultima parte del giorno), e che perci sia passato qualche giorno dallultima scena dellatto precedente.

(28) La didascalia del testo ha Enter Apemantus and Fool: s reso fool con matto e non con buffone, perch questo personaggio, a somiglianza del fool di Re Lear e del Feste della Dodicesima notte, non ha nulla della sguaiata e sboccata figura del buffone, consueta nel dramma elisabettiano, la cui funzione di divertire il principe con lazzi e battute pi o meno lubriche: il fool introdotto da Shakespeare in questa scena del Timone - e solo in questa, perch il personaggio scompare - il tipo dalla pazzia lucida, sentenziosa, che contrappunta il dialogo di Apemanto - anche lui matto per la sua parte - con arguzie moralizzanti, quasi con funzione di coro del primo dramma greco.

(29) Si riferiscono, sintende, ad Apemanto, il quale tratter subito da matto il servo di Varrone, e da canaglie e da asini tutti.

(30) Cio: gi tha appeso alle spalle il cartello di matto.

(31) Storpiatura goffa del francese grandmerci, molte grazie.

(32) to scald such chickens as you are: to scald proprio lazione dimmergere il pollo nellacqua, per poterlo meglio spennare, sbollentare, appunto. Limmagine, riferita alla morosa del matto, contiene la lubrica allusione alla perdita dei capelli causata dal contagio della sifilide.

(33) Would we could see you at Corinth: Corinto, nel gergo popolare, stava per bordello, postribolo, dal nome della citt greca nota per la dissolutezza dei suoi abitanti. Il Matto si augura di vedere i suoi interlocutori in un postribolo, non si capisce se proprio in casa della sua morosa.

(34) If Timon stay at home: Apemanto vuol sottintendere: Non aver paura che non ti lascio; finch Timone sta in casa, ci sar gi un pazzo, inutile che ci rimani tu.

(35) sometime like a philosopher, with two stones more thans artificial one: bisticcio su stone, che vale pietra ma anche testicolo, ghiandola seminale delluomo: artificial stone era chiamata la pietra filosofale ricercata dagli alchimisti, e che, secondo loro, avrebbe avuto la virt di cangiare in oro qualsiasi metallo.

(36) I do not always follow elder brother: elder brother il figlio primogenito che eredita la maggior parte delle sostanze paterne e che ha quindi pi da scialacquare, e quindi pi bisogno che qualcuno gli stia dietro ad impedirglielo.

(37) and nature, as it grows again toward earth: il concetto biblico del graduale ingobbirsi in vecchiaia, che il reinchinarsi delluomo (nature spesso uomo in Shakespeare) verso la terra, donde viene, per ridiventare polvere.

(38) Heres three solidares for thee: solidare (o solidate) era in origine un pezzo di terra fruttante la rendita annua di uno scellino; il termine divenne poi sinonimo di questa moneta.

(39) Ostilio , verosimilmente, il nome del secondo forestiero che ora sar indicato col suo nome.

(40) They have all been touched: to touch si dice delloro, quando se ne saggia il grado di purezza con la pietra di paragone detta appunto touchstone. Il verso successivo contiene la metafora.

(41) Senso: il diavolo, insegnando agli uomini larte della politica - con le sue finzioni, le sue scaltrezze, le sue spregiudicate malefatte - lo ha reso pi diavolo di se stesso; sicch, in definitiva, esso andato contro i propri interessi, perch luomo finir con lo spodestarlo da principe del male, e quindi col riabilitarlo di fronte alla maggior perversione dello stesso uomo.

(42) You do yourselves but wrong, letteralm.: Voi non fate che torto a voi stessi.

(43) Questo verso non nel testo, che ha solo: and knock me down with them: with them si riferisce al precedente conti (bills) che vale anche picche, alabarde: si dovuto serbare il doppio senso per la comprensibilit del quibble in italiano.

(44) Nel testo la frase auto-interrogativa: So fitly?: Cos ben combinato? Altri (Montale) intende, erroneamente: Cos a buon punto?, come riferito a Flavio che ha detto di esser l. Ma fitly - avverbio che susava al tempo di Shakespeare, ora non pi - vale solo in a way that is fit, becomingly, suitably, opportunely, riferito a cose.

(45) my discontented troops: di che cosa siano malcontente le truppe di Alcibiade, se della messa al bando del loro capo o della condanna a morte dellignoto soldato, non si sa. Pi sotto, parlando con Timone, dir che i suoi soldati sono in rivolta perch egli non ha pi denari per pagarli. Ma qui non sembra possa riferirsi a questo.

(46) Che sar? non nel testo; ma palesemente domanda attratta dalla battuta seguente del Primo Nobile.

(47) the lined crutch: la cruccia imbottita di stoffa (nel suo supporto sotto lascella).

(48) As we turn our backs so his familiars: la correlazione as so impone che his sia riferito a Timone, e non ad un generico chi, come intendono molti. Familiars sta chiaramente, come spesso in Shakespeare, per amici non per familiari: Timone non ha parenti.

(49) da Timone non nel testo; ma attratto dal Timone della frase successiva. Si deve intendere che Timone parla di s nel proporsi di aborrire le feste, ecc.

(50) Secondo alcuni commentatori, c qui un riferimento alluso di togliere il guanciale al disotto della testa di un moribondo per rendergli pi agevole il trapasso e, in sostanza, affrettargli la morte.

(51) embalms and spices to th April days again: cio ai giorni della giovinezza.

(52) damned earth, letteralm.: dannata terra.

(53) Make use of thy salt hours: salt, aggettivo, nel senso di lecherous, salacious si dice della cagna e di altri animali in calore; applicato alle persone, si dice delle puttane.

(54) to the tub-fast and diet: tub-fast il digiuno imposto al paziente durante la cura della sifilide dal fatto che questa consisteva nel rimanere immersi in una botte affumicata.

(55) in my penourious band: letteralm.: nella mia banda in penuria (di quattrini).

(56) Hold up, you sluts, your aprons mountant: cio Continuate a fare il vostro mestiere di prostitute. Apron il grembiule di stoffa (lartigiano lo portava di cuoio, cfr. Giulio Cesare, I, 1, 7: Where is thy leather apron?) che la donna portava, e ancor oggi porta in alcuni paesi, sorretto da un legaccio allacciato intorno alla vita; ma la parola si dice di qualsiasi capo di vestiario che copra a protezione una parte del corpo. Di una moglie virtuosa si dice che ha una buona apron-string tenure, tiene bene allacciato il suo grembiule; il tenerlo alzato o slacciato (hold up) delle prostitute, delle donne facili.

(57) Although I know you swear, terribly swear / Into strong shudders and to heavenly agues / Th immortal gods that hear you: bisticcio su swear: il primo giurate, il secondo bestemmiate. Voi non giurate, bestemmiate; e quando bestemmiate - dice Timone - lo fate con tale paurosa forza, da far venire i brividi di celesti quartane agli dei che vi ascoltano. Le febbri quartane si manifestano con forti brividi in tutto il corpo.

(58) And be no turncoats: cio non pensate a mutar mestiere.

(59) Yet may your pains, six months, be quite contrary: passo variamente interpretato. Il senso sembra essere questo: Timone, nellesortare le due donne a non mutare il lor mestiere di meretrici, augura loro, tuttavia, non che preoccuparsi di infiammare clienti al gioco dellamore, ad aver ben presto (fra sei mesi) preoccupazioni dopposta natura: quelle di riparare alla loro bellezza, disfatta dalla sifilide con la caduta dei capelli, col portare una parrucca, magari fatta con capelli di gente morta impiccata.

(60) In mancanza di qualsiasi didascalia, questa battuta delle due donne e quelle che seguono delle stesse e di Timone lasciano chiaramente intendere che questi ha dato delloro anche a loro. Nella traduzione si dovuto farlo intendere con pi evidenza.

(61) Ho creduto dintendere cos il secco What, then? del testo. Le due etre, da tutto il discorso di Timone, non saspettavano pi chegli desse loro delloro. Perci sono sorprese del suo gesto, e gli chiedono se gli debbano dare qualcosa in cambio (Per loro facciamo tutto). E Timone dice loro quel che debbono fare in cambio.

(62) Iperione, il Titano padre del sole e della luna; sta qui per sole.

(63) Laquila, nella letteratura classica, era simbolo di immortalit.

(64) Questa parafrasi in due versi traduce il semplice is crownd before del testo, letteralm.: coronata prima, che, riferito a miseria voluta(willing misery) in italiano non significa nulla, anche se resa, come da molti riporta prima la palma (della vittoria).

(65) If not, I would it were. Apemanto vuol bene a Timone, come gli ha detto; e vorrebbe dargli conforto, ma dispera ormai chegli gradisca la sua compagnia, come al tempo quando lo invitava ai suoi banchetti.

(66) Ay, tough it look like thee. La nespola (medlar) somiglia ad Apemanto, secondo Timone, perch diventa marcia prima di essere matura.

(67) Il succo di queste battute sulla nespola, in inglese, sta in un quibble basato sulla omofonia fra medlar, (o meddlar, nespola), e meddler, impiccione, intrigante, uno che insomma d fastidio. Per rendere in qualche modo il bisticcio si adottato succianespole per meddlers, come suggerito dal Montale.

(68) Thou art the cap of all the fools alive, letteralm.: Tu sei il berretto a sonagli di tutti i matti-buffoni viventi. Bisticcio sul termine cap, che vale berretto a sonagli del buffone, e culmine, cima.

(69) the consecrated snow that lies on Dianas slap: cio induci perfino le vestali a infrangere il voto di castit. Diana la dea della castit femminile, che proteggeva le fanciulle fino al matrimonio. La neve consacrata appunto la metafora della verginit a lei sacra.

(70) O thou touch of hearts, letteralm.: O tu, pietra di paragone dei cuori. Per pietra di paragone (touchstone) v. sopra la nota (40).

(71) Go, suck the subtle blood of the grape: limmagine delluomo come grappolo duva (grape) biblica. Non sintende Shakespeare senza la Bibbia.

(72) Cio: possiate morire della febbre di cui vi siete contagiati succhiando il sangue infetto degli uomini, senza aspettare che intervenga la legge ad impiccarvi.

(73) Atene in guerra contro Alcibiade, che la sta assediando.

(74) And for you fiction: il testo gioca ironicamente sul doppio significato di fiction che vale fantasia, ispirazione, ma anche finzione; cos come prima, col pittore, ha giocato su counterfeit (Thou drawst a counterfeit best in all Athens) che vale riproduzione, ritratto, ma anche contraffazione, falsificazione.

(75) Your are an alchemist, make gold of that: lalchimia come arte di adulare concetto che si ritrova in Shakespeare nel sonetto CXIV:

Oh, di te incoronata la mia anima

sabbeveri di questa adulazione,

peste regale, o chio dovr pur dire

che vero quel che locchio mi rivela,

e che maestro di questalchimia

stato solamente lamor tuo.

(Traduzione del traduttore)

(76) a recompense more fruitful / Than their offense can weigh down by a dram, letteralm.: una riparazione pi fruttuosa di quanto possa pesare loffesa (a te recata) su una bilancia tanto sensibile da risentire anche il peso di una dramma. La dramma (dram) era, dopo il grano (grain), il minimo peso della Scala Avoirdupois.

(77) in the figures ever to read them thine: con caratteri da leggersi in perpetuo come tuoi.

(78) Tirare la barba ad uno era il pi grave oltraggio che si potesse fare ad un uomo; qui Timone lo equipara, come atto di guerra, allo stupro delle vergini da parte della soldataglia di Alcibiade.

(79) It will be seen tomorrow: Lo si potr vedere domani. il preannuncio che Timone d della sua morte imminente, che si dar non si sa come, perch sar annunciata sulla scena da altri.

(80) like great triumphers in their applauding gates, letteralm.: come grandi trionfatori attraverso gli applausi dei loro archi trionfali.

(81) Si tratta, evidentemente, del corriere di Alcibiade, che il messo dice di aver incontrato, nella scena precedente.

(82) Secondo alcuni commentatori, quella che il soldato legge - e che scritta in un cartiglio poggiato sulla tomba, come era uso allepoca di Shakespeare (cfr. anche la scena 3a del V atto di Tanto trambusto per nulla), la prima parte dellepitaffio che Timone s scritto da s, come ha detto parlando coi senatori; la seconda parte in latino, come era anche uso in molte tombe elisabettiane. Il soldato non sa il latino, e perci dice di non capirla. La legger per intero Alcibiade nella scena finale. Il fatto per che nemmeno Alcibiade sapeva il latino. Alla sua epoca (lepoca di Pericle, del quale Alcibiade era il nipote, V secolo a.C.) Roma era agli inizi dellera repubblicana, e non aveva ancora irradiato fuori dItalia le sue armi e la sua lingua. La tomba di Timone dunque, per Shakespeare, una tomba elisabettiana.

Se sha da credere per a Plutarco, sulla tomba di Timone di Atene erano effettivamente incisi due epitaffi, uno scritto da lui stesso, laltro da Callimaco, poeta alessandrino, entrambi, ovviamente, in greco.

(83) An aged interpreter, though young in days: Un interprete anziano, sebbene giovane danni. la definizione di Alcibiade che Plutarco (X, 4) mette in bocca a Teofrasto.

(84) Scorndst our brains flow: flow qui da intendere come creazione continua (constant sequent), cio idea.

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