TRAFITTO DA LANCE
di
Giuseppe Manfridi
I personaggi sono tre, intrecciati uno all'altro.
O forse il personaggio è uno, uno e trino.
Nel copione si segnalano come CORO, CAMPANA e FUNZIONARIO. Ma è evidente quanto il Coro sia Campana e viceversa, e quanto entrambi siano il terzo. O quanto questi, da ultimo, si trasmuti negli altri due.
L'ambiente prevede una finestra, una pianta e uno scrittoio con sopra un'imponente e vetusta macchina da scrivere. Defilato, un angolo di maioliche bianche.
Non mi dispiacerebbe che qualche minimo segno, probabilmente negli abiti, indichi l'inizio del secolo.
Un principio oratoriale sorregge la scrittura e l'idea stessa che mi sono fatto della scena.
Nessuna citazione da Campana, se non per tre, e solo tre, versi evidenti.
(Campana si sta masturbando in un angolo impiastrellato di maioliche bianche.)
CORO: Io sono il Coro che non partecipa all'azione.
Io sono lui
e l'altro.
Quello
e la sua voce.
Finanche scissi uno dall'altra.
Non i suoi gesti...
patirli li patisco, ma glieli lascio tutti.
Io sono semplice,
ma ascoltarmi si può solo
in estrema devozione.
Restate, altrimenti,
a me del tutto indifferenti.
(Campana aumenta la furia del suo atto masturbatorio)
CORO: Lì quell'uomo sono io in un cronicario
e nell'ultima stagione mia lunghissima
relegato in un vispo cimitero.
In terra tosca, presso colli duri ed erti
come rocche di Micene.
(Chiasso di voci intorno)
CORO: Fui poeta.
Ebbi fama di selvaggio.
Da me spesi
per vedermi pubblicato il libro mio
già dissipato.
Da me stesso andavo a venderlo, da me!,
e spigolando
tra i tavoli dei bar, io sbertulato.
Da me stesso.
Soggiaceva qualcuno alla mia questua.
Lo guardavo.
Come pani i miei libri nella cesta!
Dritto in viso!
E nel darglielo stracciavo quei fogli che ero certo
quella faccia non avrebbe mai capito.
Io fui poeta
d'un libro e basta ma nel quale ho trasmigrato
cornucopie di beltà che mi vollero rubare.
E che rubarono.
Nel senso proprio del termine 'rubare'.
Ma mi difesi, replicai e l'integrità
dell'opera rinacque.
A quest'evento io vi introdurrò
inducendo il mio 'alter ego' a rievocarlo.
(Il chiasso si fa quasi di protesta)
CORO: Io sono l'onanista
divelto dalla vita.
L'internato
che nell'angolo più in luce
si conduce
all'incontro con se stesso...
e al venir giù.
(Campana, dopo l'orgasmo, scivola lungo le pareti del suo angolo.
D'intorno, mugugni adirati che insultano, aggrediscono)
CORO: E' insito l'esistere
nello sperma quotidiano. Le piastrelle
su cui goccia sono il luogo.
Che baccano! Che scalmane!
(Campana si voltola in terra premendosi le mani contro le orecchie.
Rumori di percussioni. Ancora proteste. Clangori)
CORO: Protestano d'intorno, è naturale,
altri ospiti e infermieri.
La sconcezza
non giustifica se stessa
né fuori in libertà né in detenzione.
CAMPANA: (Riprendendo il membro in mano)
Corpo grosso
e lordo
del peso suo siccome un monumento.
Dentro mi pesi, ovunque mi strascini.
Non c'è reclamo
tuo che non mi schiacci. Né pretesa
tua che non mi usi. Ah, sfinirmi
in te come cavalla,
come maiala o pecora che un tronco
di seta e muscolo dilania, e pure...
equalmente... sfinitamente...
essere io quel tronco! Dilaniare! Dilaniare!
CORO: Per niente, è facile
immaginarlo, spasima.
Per niente, è facile
immaginarlo, spasimo.
Voglia di voglie: è questa la gran voglia. Ottusa voglia.
Ma in luoghi come questi succede anche di peggio.
L'ospedale psichiatrico è un azzurro
ricettacolo di femmine vaporizzate in ombre. Egli le vede
venirgli avanti a torme, egli le sente
pretendere il suo niente.
(Il chiasso si fa mormorio febbrile. Poi, quasi un cupo mugugno)
CAMPANA: (Protende una mano)
Avanza la ragazza a palpiti di falco, ad appagare avanza. Gronda
lussurie inappagabili.
Va' via, non più
mi servi, vattene! Ancora avanza... aaaaaah.....
Perché?
Sei inutile per me se non son io
capace di distrarmi da me stesso, di sottrarmi
ai paesaggi tra cui mormoro
di variopinte tenebre,
bizantinismi statue stelle
inadatte a questo cielo collettivo!
Ragazza sei, non donna!
E io donna ti vorrei, per questo ti tralascio e me la rido, vattene!
Non vedi? Son svuotato.
Bagascia, il vuoto mio
è solo mio, non te lo lascio!
CORO: Chi è all'inferno è dall'inferno
accecato e non sa dove si trovi. Così lui.
Così noi.
Ma l'inferno fa da fabbrica a se stesso, intendo dire:
l'episodio ributtante è conseguenza
d'un tortuoso itinerario
che s'allunga nel passato e non casuale.
Qui è ormai l'ultima tappa, è il Gòlgota finale
il demenziario
di cui pur ebbi nel pieno della vita
stupefacente
una bramosia implausibile.
Ho girato, posso dirlo, mezzo mondo.
E direi sempre a piedi.
Lo dicono i miei piedi.
Piagati dalla terra
e dall'oceano.
Ma mai, partendo, posso dire d'essere arrivato.
Se arrivare è fermarsi: mai.
La miseria è la mia base.
Ma qui, oramai, mi fa parente a tutti.
E io qui
ci son finito, invero,
dilazionando al massimo l'attesa e dopo vari
traccheggiamenti e 'avanti e 'ndrè' continui
tra carceri e ospedali. Ah, di divise
non c'è che dire la storia mia ne è sempre stata piena.
Persecutrici, è ovvio. Un bel codazzo
dimenano i miei giorni di macellai in grembiale.
Buon prò, buon prò... Ma poi, come Dio volle, finalmente
il punto irrevocabile raggiunsi: eccomi qui.
CAMPANA: E io qui
sto bene. Credetemi: sto bene.
Oh, non toglietemi di qui.
Io ci sto bene.
Ho cari amici.
Gente importante... imperatori, titolati...
Davvero dico.
Importantissima.
Che riconosco.
E mi conosce.
Ho la mia casa.
Finalmente la mia casa.
CORO: Andavo strepitando:
'La guerra è colpa mia! La guerra è colpa mia!'
CAMPANA: Io qui
ci faccio buoni sogni e il mio corpo si riposa
e dire posso
quello che voglio quando mi pare e piace.
CORO: Salivo sopra i tavoli e concionando in assemblee...
'La guerra è colpa mia!... Evviva il Kaiser! Evviva il Kaiser!'
(Campana struscia le palme delle mani nel suo liquido.
Le voci d'intorno, infine, cominciano a estinguere)
CAMPANA: Oh sì mi manca
certo qualcosa
ma va già bene non saper dire che.
E allora bene... bene così... si chiuda
la serie dei miei altrove, è qui che voglio stare, dove
nessuno mi è straniero tranne a volte
una donna stranissima che viene.
Ma importantissima. Issimissima.
La più importante di tutti, la cui importanza
rende importanti tutti.
Me compreso. Me fra tutti.
Il nome saltabbecca
dispettosissimo
da un pruno a uno spunzone tra le rocce della fronte allarmatissima.
E' grave non saperlo. Non so perché ma è grave.
Oh, ditemi chi è!... Ditemi chi è!...
CORO: Io lo so. Mai lei non viene: sta.
E' lei che ci riemerge
tra le gambe in quell'angolo d'atroce
porcellana, è lei il tuo demone
che non ha più ricordo. Nome
che è sinonimo di maga
divinatrice, nume
oracolare e predatrice.
Un dì noi fummo
da lei scelti e l'accettammo.
CAMPANA: Noi?... Io o te?...
CORO: Io e te.
Ovvero: il totalmente io
o il totalmente tu.
E la patimmo.
L'adorammo.
Dalla nostra devozione fu consunta.
Amore sudicio
di baldracche su di lei facemmo a statua.
Ti dice niente questo?...
Sibilla dalla esse
non minuscola, Sibilla!
CAMPANA: Oh... Si-bi-lla... sillabi
Sibilla... sillabi Sibilla, sibili e sillabi Sibilla...
CORO: Una poetessa
anch'essa
afflitta dallo scrivere
e dall'averti letto
e dall'averti amato. Di lì nero
partì il volo a capofitto che perforò le rose.
CAMPANA: No, non ricordo!... Non ricordo!
CORO: Guarda il tuo membro un'altra volta eretto!
Non avviene a tuo dispetto?
Non sarà forse
per un ricordo, invece, che ora ricordi ignaro?
CAMPANA: Che ricordo?
CORO: Di lei, la tua lettrice
che mutò in sesso gli argomenti,
disinvecchiò i paesaggi e ti ci stese dentro.
'Pasionaria'
della lurida e villana
consorteria dei fiorentini... dico i vari
Palazzeschi e Prezzolini...
CAMPANA: Oh sì, quella!... Braccio armato del reale!
'Longa manus' dei predoni! Retroceda!
Giù di nuovo, di nuovo! Non la voglio!
S'allontanino le donne, ma qualunque
donna s'allontani purché con tutte quella
assieme a tutte o sola s'allontani!
CORO: Ma l'adorammo come Ofelia, lei femmina sciacallo!
Di lì scese: di lì!... Allagata
dall'ultimo sole dentro lo spazio giallo.
CAMPANA: Un velo, una fronda, sul fondo un volto...
CORO: E così tu: a rivelarti fu
l'ululato che avevi issato in volto.
CAMPANA: E il suo avanzare contro di me rivolto!...
CORO: Disinvecchiò i paesaggi e ti ci stese dentro.
Mutò l'erba e le zolle
da puri suoni in erba e zolle,
e mutò in sesso l'ascoltare
e come una selva discese dal vagone
tra i binari nella ruggine serale
alla soglia del paese, e con che voglia
di guarirci! Di guarirti.
La scempiammo. Ci ha scempiati.
Lei, di lì,
come una selva discese dal vagone
per essere da te, creatura pazza, attraversata. Come una selva
discese dal vagone.
E fu in un vuoto
che tutto questo fu: in un vuoto
contornato di baldracche: un vuoto.
Per quel solo suo leggerti bramò,
e dal primo suo leggerti bramò,
di rifarti a sua misura
e, curando, di voltarti
in una sua scrittura.
CAMPANA: Quali onde
non marine ma magnetiche si porta costei appresso o s'è portata?
Ladra! Ladra!... Ora mi torna
l'intera situazione... era emissaria
dell'areopago becero di Soffici e Papini e dell'intero
concistoro grasso e unto di gargarozzi inani, merdosissime
giubbette rosse dalle palandre gonfie
di tanto sterco che se ne enfiò il cervello! Loro, loro...
me la mandarono stracarica
di tutte le jatture: per loro conto venne. Perfida
di sua beltà concessa, eppure a sangue
in me s'infisse!
Nel sangue l'ho tenuta! E a folla dietro
le sue sottane si scalmanano contro di me a sghignazzi
i poliziotti marconiani che mi succhiano
il bene mio primiero: il santo succo
della poesia italiana.
La calàmitano, gaglioffi, e se ne spalmano
le lustre pance ove fan festa putridi
gas budellari in convulsioni d'aria! Aaaaaaah......
Aaaaaaaaah.....
Vociani! Vociani! La smorfia mia vi spara
un'occhiata di medusa a raggelare
l'onda compatta del vostro scoreggiare... bleah!
CORO: Oh, io volevo solo il meglio
indurti a ricordare. Solo il meglio,
credetemi anche voi... non certo dare stura
al fango che ricuoce, sentite, ancora vivo.
CAMPANA: Vociani, Vociani... voci più ani!
CORO: La gente è brutta gente, costui lo sa benissimo...
da me lo so benissimo.
Malsopportai l'ambiente
che se non me il mio libro, uno ne ho scritto: il libro,
malsopportò e distrusse
inesorabilmente. Irresponsabilmente.
Ma Castel Pulci, che è qui dove ora siamo,
fu ricovero gentile, da tutto ciò distante.
(Si accosta a Campana)
CORO: Asciùgati, rassèttati...
la febbre tua smaltisci, altri momenti
ti fanno da epicentro e a sé ti chiamano. Momenti
attorno a cui perenne sta a ruota la tua vita,
indimostrabile esistenza. T'è impossibile
scansarli. T'è impossibile
scansarlo. Il manicomio
è un andarsene a ritroso in quiete e senza quiete. E' il tuo destino.
Da te allontànati!
A te avvicìnati!
Quel che t'agita m'è noto: è quel momento lì.
(Campana comincia a muovere le dita sul pavimento come su una tastiera mentre si illumina altrove una finestra sul cui davanzalino interno è collocata una pianta di araucaria.
Entra il Funzionario e va a prendere posto dietro la macchina da scrivere. Ne controlla, con evidente competenza i meccanismi)
CAMPANA: Una pianola... sembrava una pianola... e l'araucaria
alla finestra orripilante era una bestia
carnivora contorta
nel quadro delle sbarre che frangevano la luce. E il pusillanime
suonava la pianola.
CORO: Non era una pianola.
CAMPANA: Sembrava una pianola.
CORO: Ma non lo era.
CAMPANA: Aveva un suono.
CORO: Era il tuo suono.
CAMPANA: Che suono era?
CORO: Del libro tuo...
CAMPANA: Del libro mio?...
CORO: Che rinasceva.
CAMPANA: Il libro! Il libro!
Uno ne ho scritto.
CORO: L'hai scritto e ancor più scritto
dopo che l'hai riscritto.
CAMPANA: Ah, il libro... il mio libro...
CORO: Che ancora era
solo un manoscritto.
CAMPANA: Ah, l'impegno
noioso del rifare...
CORO: Quell'unica copia
folle da darsi:
un non riscritto
manoscritto, il solo.
CAMPANA: Affastellati e sparsi
fogli... i miei fogli!
CORO: Fogli scialati.
Dissipati! Arsi!
Unica copia
del manoscritto perso...
CAMPANA: Chi lo prese? Dov'è mai?
Chi lo perse? Chi lo perse?
Papini, maledetto! Ridammelo! Ridammelo!
Tu ce l'hai avuto! E' a te che l'ho mandato!
Lui dice no, ma è a te! E' a te!
Ah, non mi scappi... Bada che arrivo! Inutile nasconderti
in culo ai tuoi compari: v'ho mesi in filza tutti. Uno per uno!
Un coltellaccio, a me! La più sdrucita lama, a me! A me!
CORO: Ah, questo lo ricordi...
CAMPANA: Sì, lo ricordo e il ricordo genera ricordi
se mi ricordo quando
nel ricordare s'enucleò la vita.
Uno ne avevo, uno ne ho scritto.
CORO: Uno fu perso.
CAMPANA: Nel ricordare, nel ricordare...
Nell'obbligo pietoso
del mio dover rifare.
CORO: Bene, benissimo.
A Dio piacendo adesso
abbandoniamo perciò l'apice e facciamo un passo indietro.
L'idiota non ancora
è ufficialmente tale
ma un tamburino, un saltimbanco
non addestrato
dalla poesia alla vita. Male!
Raccontarlo raccontandomi mi voglio
non eludendo l'essenziale, sospingendomi
a quando più cruciale
dell'amor mio fu il mio dover dettare.
E più cruciale
anche dell'odio fu il mio dover dettare
E cosa? Quel libro,
'il libro' esattamente
solo ancora manoscritto,
che qui il mio doppio andava rievocando.
Più cruciale
anche dell'odio fu il mio dover, perciò,
dettare...
e cosa?
Un'opera perduta, un'opera compiuta.
L'impegno, ovvero,
tedioso del rifare.
(Il Funzionario controlla la tastiera della sua macchina da scrivere. Fa delle prove di battitura si sgranchisce le dita)
CORO: Sollèvati, congiunta
mia parte non gemella. Il tuo mistero officia
rabbiosamente colmo. Nulla
a terra più t'inchioda.
(Campana si tira sù. Si rassetta. Si rimette la camicia nei pantaloni. Esce dal suo angolo. Ora il suo passo è forte, sicuro, padronale. Deambula avanti e indietro alla ricerca di un pensiero, di un'idea. Il Funzionario lo guarda in attesa di direttive. Campana si blocca d'improvviso e gli lancia di rimando un'occhiata inferocita)
CAMPANA: (Al Funzionario) E allora?... Che mi guardi?
FUNZIONARIO: Certo che, pensavo,
duro dev'essere. Durissimo.
CAMPANA: Che?
FUNZIONARIO: Ma quel che le è successo se quel che le è successo è,
come credo d'aver colto, l'aver perso
tutto o quasi il lavoro che aveva già finito.
CAMPANA: 'Duro'?...
E in che senso, secondo te, sarebbe... 'duro'?...
FUNZIONARIO: Come 'in che senso'?... Da sopportare, diavolo!
E da averci, insomma, la voglia di rifarlo.
CAMPANA: Primo: non perso ma sequestrato! Primo!
FUNZIONARIO: Ah!
CAMPANA: Secondo: non ri-faccio bensì faccio.
FUNZIONARIO: Ah!
CAMPANA: Terzo: curioso da chi è molle
tanta esperienza in fatto di durezza.
FUNZIONARIO: Scusi, prego, ma è per me che dice?...
CAMPANA: Dico?... Che dico?...
A spartire con te discorsi li dimentico all'istante.
Scrivi, cagna! Scrivi, cane!
CORO: Ché quello non lo sa
ciò che nella mia testa fu!
E non lo sanno quelli
che tutto ancora c'è!
CAMPANA: T'ho detto: scrivi, cagna!
(Il Funzionario batte. Campana si muove nello spazio. Non si può sentire cosa egli stia dettando. Ha soprassalti improvvisi. A tratti si ferma per cavare dalle tasche, e non solo dalle tasche, una gran quantità di foglietti appallottolati nei quali tenta di rintracciare impossibili appunti. Poi si ferma e nuovamente ricomincia)
CORO: L'uomo guarda
ferocissimo la stanza da un punto della stanza.
Sgrana occhi belluini, occhi di lupo che del bosco
ha fatto la sua gabbia. L'uomo è
un oltraggio per la stanza.
Pel nerolucido metallo stampigliato di zecchini
caratteri sinuosi: 'Nova Remington' la scritta
sovrimpressa sul feticcio. L'uomo, l'altro,
è pilota al mastodonte che invera le parole, che le picchia
in chimerici volumi. Quasi pagine di libro. Meraviglia! Meraviglie!
L'uomo, l'altro, ha quasi in astio
colui - quello: ovvero me - che i suoi padroni,
per un tempo circoscritto, gli hanno imposto da padrone.
FUNZIONARIO: (Battendo sui tasti, tra sé)
Ma che, da me,
vuole costui, perdio?
Blatera e smania
e non ci capisco un'acca. Pure quando
lo capisco non capisco.
CAMPANA: Scrivi, cagna! Scrivi, cane!
FUNZIONARIO: (CS) Ringrazi Iddio
che ho vivo il senso del dovere!
CAMPANA: Oh, io lo so
che tu mi vuoi inespresso.
FUNZIONARIO: Non capisco la parola.
CAMPANA: I-ne-spre-sso.
FUNZIONARIO: Non capisco.
CAMPANA: Già sepolto fui una volta, una seconda no!
FUNZIONARIO: Sa lei di cosa parla.
CAMPANA: Del brutto tiro che vi giocherò: risorgerò
FUNZIONARIO: Buon per lei se ne conosce il trucco.
CAMPANA: Te, testimonio: risorgerò!
FUNZIONARIO: A suo piacere.
Non mi opporrò.
CAMPANA: Scrivi, cagna! Scrivi, cane!
CORO: Ma con ordine: la grigia
e minuscola stanzetta è la stanzetta
d'un ufficietto pubblico in un palazzo anonimo.
L'edificio
nel cuore del paese è il cuore del paese: è il Municipio.
Stramberia tutta italiana:
un poeta scalcagnato che ricuce i propri versi
tutelato dallo Stato.
Andrà spiegata.
La situazione, certo, a vederla è un po' bizzarra.
Buffa coppia, non vi pare?..
Egli, il lupo, è un invasore e lì quel suo
mugugnante antagonista è per l'appunto
un servo dello Stato che lo Stato ha sottomesso
al suo di lui - ovvero mio - servizio, al mio governo.
Ben s'intende, per un caso eccezionale
pel quale ho da dir grazie a un certo zio
ministeriale.
CAMPANA: SCRIVI!
FUNZIONARIO: M'adopero, signore, ma comprenda
non è che sia il mio pane. Si metta nei miei panni:
giù in archivio il lavoro ha una sua logica,
sono anni che lo faccio, come dire:
so rispondere di ciò che mi si chiede ma qui invece...
CAMPANA: Maramaldo leccapalle e mulo ovunque: giù di sotto e qui!
Bricconesca mezzamanica... tu devi
più servo farti del servo che già sei.
Io non consento
che nient'altro per te esista: ciò che dico
solamente; il resto
è improntitudine che in tizzi
m'infoca i pugni, scrivi!
FUNZIONARIO: Sopporto l'ordine. M'è doveroso, lo sopporto.
Ma credetemi, signore, voi credete
di dirmi cosa scrivere, in realtà
tutto ciò che mi dettate è quest'ordine e non altro.
CAMPANA: Che ciabatti, babbuino?... Tu seguimi più svelto
della frase che si enuncia: è il balenìo
che sgattaiola astutissimo, è la sillaba
fulminea, è il pensiero irreplicabile, è l'aerea
parola perfettissima che devi saper cogliere
col tuo ordigno per spillarla come fosse una farfalla
da trafiggere con l'ago.
Sù andiamo, carte in tavola: sarai all'altezza o no?
FUNZIONARIO: Ci sto provando ma è tutta da imparare.
CAMPANA: T'ho chiesto: lo sai fare
il tuo mestiere o no?
FUNZIONARIO: Saperlo fare è poco.
Da me pretendo, se m'è lecito asserirlo,
di farlo al meglio e spesso ci riesco.
CAMPANA: Sì o no?
FUNZIONARIO: Le ho detto più che sì!
CAMPANA: Punto sul vivo, bene!
Un nettacessi provvisto d'amor proprio.
FUNZIONARIO: Senso di sé, non altro.
CAMPANA: E allora sù, lavora!
FUNZIONARIO: Non sta dicendo nulla.
CAMPANA: Il nulla non esiste dove il silenzio è assente, e in mia presenza
spazi non ha il silenzio
né dunque, checca!,
potrà mai averli il nulla.
FUNZIONARIO: No, scusi, ma perché checca e a chi?
CAMPANA: A te perché lo sei. Sta' zitto, cagna, e scrivi!
(Azione della dettatura. Una sorta di pantomima mentre il Coro dice la sua battuta.
Campana, come un illusionista folle, fa comparire fogli e foglietti quasi fossero coriandoli... lo si può forse sentir biascicare, ma a fior di labbra, impercettibilmente, alcuni passi dei Canti.
Il Funzionario, sudando come una vaporiera, batte)
CORO: Eppure...
checchè non dica, per quanto non lo ammetta,
pesantemente aggrava sopra di me il silenzio.
E a elaborarlo, il silenzio, è sufficiente
la mia mutezza o, viceversa,
la sordità dell'altro.
(Campana, furibondo, strappa via fogli dalla macchina da scrivere)
CAMPANA: E sbagli! Sbagli! Non fai altro che sbagliare!
Ti maciullerei le ossa e le triturerei in farina!
Ti spellerei a strisce più sottili d'un capello,
appiccato ti vorrei
come un quarto di vacca a un gancio di macellaio. SCRIVI!
CORO: Nello scrivere che a scrivere m'induce
si crogiola il silenzio. Un ben di dio
di indicibili cose mi si sparpaglia dietro. Un monte...
CAMPANA: Un monte
urge, terreo, muto.
E' spugna
sull'orizzonte immane
della notte gonfia. E' sugna
del basso cielo. Rumoreggia
il monte. Ha gole
in gemiti squarciate.
No, via, cancella!
E non guardarmi, scrivi!
FUNZIONARIO: Che?
CAMPANA: (Sbattendogli sotto gli occhi dei fogli unti e bisunti)
Copia da qui, e senti quel che dico.
Da qui sino a quiggiù...
FUNZIONARIO: Non si capisce.
CAMPANA: Sei tu
che non capisci, merda!
Copia e senti
quello che dico, scrivi!
(E ricomincia a masturbarsi strusciando la mano contro la patta chiusa. Il Funzionario, nel frattempo, cerca di raccapezzarsi per decifrare il contenuto di quei fogli. Stentatamente batte)
CAMPANA: Io, mutilato, oltre
di me continuo come
se ancora un al di qua mi conservasse
integro come
un tempo, per qualche tempo, fui.
Ora, spento,
devo da ma riaccendermi?
Dove le carni? E dove la ragazza?
Pur se non donna, venga.
La materia è in fiore, pullula
sanguinolenta e pregna
del siero che mi unge
il membro sulla punta
arsa
dalla fetida goccia.
Nel suo cervello passa
il mio pensiero. E' voce. Chiama.
Chiama!
FUNZIONARIO: (Accorgendosi di quello che l'altro sta facendo, scandalizzato)
Signore, non è luogo.
CAMPANA: Dove la donna? Dove la ragazza?
Nel vuoto scava
la mia vanga indemoniata.
Dove il contorno?...
E dove la contratta
rosea polpa che stringe
come un anulare il ramo
la realtà che cinge?
Dove? Dove?...
FUNZIONARIO: Oh, nuovamente... o no...
CAMPANA: Bionda giovenca...
oh, aurea vacca...
statuario è il palpito
della tua vagina.
Serrati colpi
come tra animali vanno,
così ignari
del fare ciò che fanno e del goderlo. Ma sia chiaro
tra noi sia chiaro
- oh, questo sì lo voglio -
tra noi chi
TRA NOI CHI
è, dei due, a prendere e chi è preso.
Chi opprime e chi subisce: che sia chiaro.
Chi maschio e chi femmina, chi.
Aaaaaah....
un similpoeta
son io malato. Sgusciante come un pesce dalla pancia d'oro
nell'azzurra nuvola dell'acqua.
Di roccia, eppure,
ho fatti gli intestini
e il riemergere m'è tolto
in sempiterno. L'anima
è una rupe, è l'àncora.
Anche i granchi
le meduse, i polpi
veleggiano su me. Ma di qua sotto, ameba!,
vedo le cime! Vedo le cime!
FUNZIONARIO: Per carità, signore,
non lo rifaccia più.
CAMPANA: T'accorgeresti, tu squallido, di me
se facessi ciò che devi: scrivere?
No, e dunque
distraiti dal sottoscritto e scrivi!
FUNZIONARIO: Ma che?
CAMPANA: La mia memoria, tanfo!...
Ebbi una donna, cànchero,
dalla fica assai loquace, dalla fica
cogitabonda e querula.
Come un crepa stretta,
come un catino vasta. Murmure e annaffiata,
al solo tocco delle cosce
una cascata.
Fai benissimo a sbavare. L'hai mai avuta
tu una donna così? Dubito.
O tapinello dalle dita balbettanti, ascoltami...
è frequentato da tali ventri il mondo
che dall'invidia chi mai può dirsi intatto?
Ma nel tempo del possesso, credi a me,
i nervi, credi a me, si fanno
ciechi.
Sordomuto il tuo corpo tranne in quello
che a bombarde poi ritorna
a rovistarti il cazzo che pencola ramingo
tra giorni in cui il prodigio
è ormai sfumato, s'è dissolto e 'nevermore nevermore'...
se non artigli nel cui calco
è il vuoto dove stava la figura. Lei, pusillanime: la troia
cardinale e invereconda! Più atterrita del fogliame
trebbiato dall'autunno, nel silenzio
catastrofico dell'ombre tuoneggianti. Io l'arpionavo
nel muschio vellicoso e la parola
fronteggiava la parola. 'Divorami' diceva
l'una parola all'altra,
l'una sorella all'altra. E l'eco:
'Divorami' le urlava... 'Con quei denti
che con i miei ti mastico, frantùmami.'
Divorarsi
è l'unica questione. Non c'è conto né argomento: divorarsi.
Che ne sai tu, perciò, del tuo digiuno
che mai, saziandoti,
saziasti, in reciproca indecenza,
quel gagliardo orifizio che strepita 'divorami!'?...
Uno almeno
di tutti gli orifizi che squadernano le donne!
Niente ne sai, rassègnati
alla quiete che ti ha acconciato il fato.
FUNZIONARIO: Non capisco né, francamente, voglio
capirla più di tanto. - Egli
dimentica sovente dove sia.
Dimentica chi io sia e chi non sono.
Tra bizzeffe di gemiti rimesta
come un buffo San Bernardo tra le nevi.
Ma che cerca e soprattutto:
ma cosa c'entro io,
che più che tacitare me stesso e sottomettermi...?
CAMPANA: Tornare indietro. Tornare indietro.
Ai momenti, vicinissimi, in cui ancora
la gioia era possibile e si sbagliò d'un nulla.
Tornare indietro.
Quando un gesto sciagurato polverizzò il percorso.
E lì ad un passo d'un lato si vedeva
la svolta facilissima a imboccare...
Ah, schiera 'desdichada' di sviati!
Sotto gromme di pece vi sparpagliate transfughi
dei vostri paradisi, adesso pazze
e nude figurine elettrizzate
a voi mi mischio, senza un Dio
a cui rimettere le lagne del mio lutto.
FUNZIONARIO: (Tra sé) D'altronde io pure
che cosa posso dire?
Qui m'hanno relegato
alla mercè d'un pazzo.
Non consente il mio stipendio,
minimissimo, di porre in dicussione l'utilizzo
del tempo di lavoro. Eccomi qui,
sottratto ai miei verbali e consegnato
tra le mani di costui
che ha fatto in municipio il suo bivacco.
CORO: Non so come né in quale direzione
ma s'intendono, lavorano.
C'intendiamo, lavoriamo.
Ebbene, dunque: con
solenne ritardo, in quanto Coro,
dovrei dare una spicciola premessa, quantomeno. Riferire
il pregresso: dunque il mio
e suo - poiché egli
con me è confuso, s'è capito - motivo d'ansietà.
E, per converso, direi pure di quest'altro
sfacchinante del polso, stenodattilo
che la sorte, malasorte
per come certamente egli la vede, ha rimesso in mio dominio:
tempo un mese, che è anche il tempo
d'utilizzo consentito della stanza in cui mi trovo.
Non mia - una casa,
figurarsi, quandomai!... - ma del Comune, vi dicevo,
d'un paesucolo pulcioso invece mio che molsapporta
di figurarmi suo.
Una buona parentela m'ha permesso
la carità municipale. Ma pur questo
ricordo di avervelo già detto. Insomma...
eccomi qui: nel fulcro dei miei giorni a sdipanare
l'aggrumarsi dei ricordi trepestanti, qui a riprendere
i lineamenti d'un opera già un tempo
fabbricata e poi scialata nel lezzume
d'altobordo, nel pantano
delle Lettere templari, tra le brache
spetazzanti dei soloni che io per primo,
coglionato fra coglioni, assunsi a vertice donandogli
di me il meglio e di quel meglio io li elessi a magistrati.
Io! Da me!
E l'hanno perso il mio bel meglio. Ma così, come si perde
una forcina per la casa,
delle chiavi, un portafogli.
O sequestrato: a me il mio libro, come e peggio
che sottrarre al petto il cuore o al cuore il palpito.
Ah, quegli immondi!
Farne i nomi è il più bel modo d'insultarli, ma d'insulti
si stancano le carni. Una roncola, piuttosto:
ecco quel che ci vorrebbe. Ma via, basta!
L'hanno perso, ingurgitato: ora che preme
con più urgenza? Ciò che è
vivo o moribondo?
Ciò che è vivo! Loro in bare
di letame già colliquano più in fogne
del sorciume sottoterra. Sono astuto: non è tempo
ch'io sperperi il mio tempo
su un viticchio di viscere disfatte. E' tempo, invece,
che riemerga l'Eldorado. Si rintracci
il crogiuolo delle piste che condussero all'approdo. Passo passo
sia ripresa quella rotta. Mi ricordo
varie cose, altre ne trovo
tra lacerti e cartuccelle. Ancora posso!
Vivo è ancora tra macerie, come allora
vivo ancora sarà ancora se sottratto
all'oblio delle macerie. Non perdona
la memoria se vogliamo che essa sia solo memoria.
E' uno stitico budello pei ricordi, non ricordi
le van chiesti ma altre cose, nuove cose
per riaver le antiche cose. Perciò dunque
il gregario che s'affligge... perciò dunque
il coacervo di frammenti che in me indago
per tornare, come allora,
come fui allora, adesso.
CAMPANA: Scrivi, cagna! Scrivi, cane!
FUNZIONARIO: (Tra sé) Un cane davvero
ti ci vorrebbe a morderti! Vedresti.
CORO: Non so come
né so in quale direzione ma s'intendono, lavorano.
Ci intendiamo, lavoriamo.
Il poveretto, quasi quasi, è affascinato.
Pur contro, è ovvio, la sua propria volontà.
Non so spiegarmela sennò.
E riesce a quanto pare a stargli dietro,
lo tampina, lo raggiunge...
Mi raggiunge, a volte quasi
dà l'idea di anticiparmi. E' una stranezza.
Con un simile
e pedestre impiegatuccio mi sa un po' di paradosso
il parlare d'empatia, lo escluderei.
Ma che mai? Che, dunque, mai?
E né a dire che lo faccia, che si sforzi
per averne un tornaconto, una mancetta
che arrotondi il suo misero salario: non è aria, l'ha capito.
Neanche un plauso seppur lieve è da aspettarsi, ormai lo sa.
Ch'io lo spaventi?... Non ci credo.
Può anche indurre lo spavento
forse a essere più alacri
ma non abili per come si rivela.
Virtù, dunque,
di chi? Del sottoscritto oppure sua
questo aggancio d'una bocca ad un orecchio? Della bocca
o dell'orecchio il privilegio
che ci induce a comunione? Fatto sta
che la copula è fattiva.
Sì, stantuffa l'officina e si rivedono contorni.
Ah, il libro! Il libro!
Si ristruttura il monolite.
Di pieghe e di barbagli
poco a poco il sussurro lo conforma.
Doppia musica, sentite, sia di labbra che ferraglia
l'una dall'altra... l'una dall'altra slancia.
CAMPANA: Scrivi!
FUNZIONARIO: Scrivo.
CAMPANA: Scrivi!
FUNZIONARIO: Scrivo.
CORO: Il mese pattuito e che da poco è cominciato
rischia finanche d'essere abbondante.
FUNZIONARIO: Signore, la prego... non io
ma è la macchina a essere un po' stanca.
I caratteri dispaiono. Dovrei cambiare il nastro.
CAMPANA: Se è un modo per dirmi
che la giornata è chiusa...
FUNZIONARIO: Dieci minuti al massimo...
CAMPANA: Non c'è domani né valico di giorni.
Interrompere è crollare. I tuoi bisogni
trucidi son merda! Non fartene ragione. Scrivi.
FUNZIONARIO: Per cominciare, le ho spiegato:
non i miei. E poi allora glielo dico:
è notte fonda.
Nessuno mi obbliga a stare fino a tanto.
CAMPANA: Se postuli un mio grazie, puoi accomodarti pure...
per quel che mi costa: grazie. Ora continua.
FUNZIONARIO: Le ho detto che non posso. La macchina non può.
CAMPANA: Il mio grazie non ti aggrada?
Graaaaazie...
FUNZIONARIO: E' il primo che conosco.
CAMPANA: Bada, i miei grazie
sono legati a un filo.
Puoi ficcartelo anche in culo, se mi va me lo riprendo
quando mi pare e piace.
FUNZIONARIO: Come non preso.
Gliel'ho lasciato in bocca.
Niente debiti, signore...
con lei può essere rischioso.
CAMPANA: Troie conosco, immote,
che anche dal naso, a te,
ti svuoterebbero lo scroto!
Ah, come non rispondere ti piace!
Sicché dicevi
sarebbe notte fonda...
FUNZIONARIO: E' alla luce del sole che forse sto scrivendo?
CAMPANA: E' colpa tua, bagascia! Non vien mai
il buio a non volerlo. E quest'accrocco...
cos'è che non funziona?
FUNZIONARIO: Calmo, signore!... E' tutto a posto, calmo.
Solo mi faccia...
CAMPANA: Tu vai a puttane, dì?... Tu vai a puttane?
Mestruo di cagna, allora...
ci vai a puttane o no?...
FUNZIONARIO: Oh, beh, io..
CAMPANA: Dimmi, ci vai?...
CORO: Certo che sì.
E perché mai poi non dovrebbe?...
Ma che rossore
lo martirizza a chiazze!
Ciò che è vanto
a dichiarare, se scoperto
uccide di vergogna.
FUNZIONARIO: Signore, la mia vita
non può certo interessarla.
CAMPANA: Sì o no?... Sì o no?...
FUNZIONARIO: Oh, ma Dio mio...
CAMPANA: Se non rispondi è sì.
FUNZIONARIO: No, non rispondo, ma neanche non rispondo...
Insomma, intendo dire...
CAMPANA: Che la risposta è sì.
(Silenzio).
CAMPANA: Portami con te!... Oh, portami con te!...
Dovunque tu vada e con chiunque
tu vada, portami con te! Me le figuro, scrivi!,
quelle nocelle fresche ove spàmpini i tuoi giochi
da quattro soldi, e quelle vizze
pelurie in cui ti impasti!
Lì ti fermi, ti ci vedo...
sei il tipo, tu, sei il tipo
che dentro sa fermarsi, e assiderato,
mentre sgrulli in sempiterna
sospensione il tuo seccume,
lo vedo, puoi ben dirti - non mentirmi! - :
'sono in porto. Qui per sempre, è fatta. Non altrove
trasmuterà la vita.'
Io no, non io. Perciò ti imploro:
portami con te, questo mi basta:
spiarti non nascosto...
vedere come
sia possibile in quei porti il tuo sostare
flaccido inane, palpitando
'per sempre'...
e poi ancora per sempre per sempre per sempre...
per sempre qui.
Solido in tanta
mollezza infitto. E fermo. Come.
Sapessi come invece da me i porti
si immiliardano in progenie
d'altri porti, d'altre Itache sfuggenti
che m'additano e rimpallano per il mare che sta in mezzo, dove piazze
non pacifiche mi dicono: 'Son io
il luogo tuo, il tuo ciglio
estremo: m'hai raggiunto.' E non è vero.
Né culla né tomba, neppure una sedia.
Eppure
la rasentai la costa...
La fica mia adivenne baluginante un giorno: io la intravidi, scese...
a ogni goccia del mio sangue prediletta, venne.
Ah, la mastodontica!
Troia non troia vergine puttana, e poi non più. Confuse
il non volere mio di sempre
col volere suo che dichiarò ingiuriato. Ma ci ha traditi entrambi.
Io lo volevo. Per una volta, sì.
Fu lei, lei fu che più non volle
il mio volere dicendo di volerlo. E che ero io, diceva,
che ero io, gemeva,
il non volente, immeritevole
della sua voglia enorme e se ne andò.
Ma io, giuro,
volevo le sue voglie, e ad esse abbarbicarmi...
lo volevo.
Come tu fai, ne sono certo,
tranquillamente sempre
con le aggrinzate tue giovani puttane.
Tranquillamente.
Lo fai, lo so.
Tu desideri
ciò che desidera esser desiderato, io no.
Tu puoi
desiderare il desiderio
tranquillamente...
tranquillamente...
IO NO!
Oh, portami con te...
solo stasera.. per una sera sola...
portami con te...
(Campana è di nuovo sul pavimento a gemere contorto.
Muove occhi imploranti.
L'altro lo guarda pietoso)
(NELLA NOTTE)
(Il Funzionario si alza; se ha degli occhiali se li leva per pulirne le lenti. Si accosta a Campana e gli porge un braccio per aiutarlo a sollevarsi)
FUNZIONARIO: Venga, signore...
la prego, però: niente domande. Venga...
Non ha freddo?... La stagione va facendosi impietosa.
(Il Funzionario conduce Campana con sé sottobraccio e si stringe i baveri della giacca al petto.
I due danno l'impressione di essere usciti all'aria aperta)
FUNZIONARIO: Ecco, è quella casa lì. Al piano basso.
C'è una luce un po' violastra, e il lanternino... vede il ponte?...
Prima del ponte, è lì.
E' lì che abita la stessa...
Oh!...
Ma davvero desidera seguirmi?...
CAMPANA: Esser portato: come Edipo su calcagni grattuggiati
dalla calce di itinerari miserabili...
come Edipo
e come la sua Antigone.
FUNZIONARIO: Ma lo desidera davvero?...
CAMPANA: Nella notte
impeciata di larve, sull'architrave sta
la Sacra edicola, è un lucignolo azzurrato.
L'orbita vuota degli occhi è il mio sigillo.
FUNZIONARIO: Sì, va bene, io però le domandavo...
CAMPANA: L'ho capito.
Ma io tutto
quello che voglio è quello. Statue di carne
dai denti cariati. Andiamoci!
Tra specchi dov'è la polvere infernale...
Oh, la mitezza...
oh, la dolcezza
dei languidi racconti di assassine.
FUNZIONARIO: E sia, proviamo.
Però, vede, che lì c'è
una donna 'sui generis' per me.
Lei è...
o sarebbe - per me, appunto -
quasi a un passo dall'essere un'amante.
Lo è da anni.
Da anni e anni.
Oh sì, si tratta, è ovvio,
d'un nudo e crudo pur sempre... mercimonio.
CAMPANA: Quale caldo
tra le chiazzate tappezzerie, nel nimbo color zolfo
delle fiaccole che fischiano... come sotto
l'ala tetra
e tiepida di un corvo!...
FUNZIONARIO: Non so che dica ma le dicevo: io...
fu con quella signorina, ai tempi belli...
eh, i ventanni! La prima volta, insomma... sì, fu, per me, con lei.
Per vero dire, fu mio padre che la scelse.
E fu lui che la pagò.
Ma non solo: pure me. Sì, mi pagò.
Qualche lira come premio.
Cioè, dopo... dopo, intendo,
aver parlato con la donna che gli disse: ce l'ha fatta.
Mica vero.
Quella volta mica vero.
E neanche quella appresso.
Ma la terza... sì, la terza.
E giustappunto fu, per concludere, con quella.
CAMPANA: Sarà più mica tanto giovane, m'immagino.
FUNZIONARIO: A dirla tutta lei, oramai,
lo fa, dice, con me e basta. Per il resto è la padrona.
CAMPANA: La ruffiana!
FUNZIONARIO: La padrona.
CAMPANA: Gonfie labbra di pelle e due mammelle
che guardano per terra come due gnocchi inutilmente enormi.
La conosco questa razza. Ce l'avrà pendula, m'immagino...
FUNZIONARIO: L'asse del mondo
per me, maestro!
Là dove, come dice, io so fermarmi.
Con nessun'altra m'è possibile così.
CAMPANA: La conosco questa razza. Una figlia, dì, ce l'ha?
FUNZIONARIO: Sì, ce l'ha.
CAMPANA: La conosco questa razza, la conosco...
E che abita là dentro?
FUNZIONARIO: Sì, là dentro.
CAMPANA: La conosco, la conosco. E può essere pagata?
FUNZIONARIO: Sì, lo fa.
CAMPANA: Bene, ho soldi a sufficienza: te la pago.
FUNZIONARIO: Oh, no io...
CAMPANA: L'hai mai avuta?
FUNZIONARIO: Non potrei.
CAMPANA: Te la pago per tre volte.
Per la terza, se è di quella che hai bisogno.
FUNZIONARIO: Ma lei da me che cosa vuole?
CAMPANA: Esser salvato.
In questa notte matronale e per stanotte
solo addurti alla tua Ofelia
per vedere come sia, se possibile, normale.
Eppoi fine, si vien via.
FUNZIONARIO: Come 'Ofelia'?...
CAMPANA: Meglio andare, meglio andare. Già violacei
ci pittura quel fanale.
FUNZIONARIO: Ha detto 'Ofelia'...
CAMPANA: Te la pago per tre volte. Ma la figlia!
E lei, il montone, a benedirti.
FUNZIONARIO: Ma non voglio!
CAMPANA: Oh sì, lo vuoi...
ma è che tu temi
ciò che non puoi.
Sù avanti, vieni.
(I due scompaiono in una zona d'ombra)
CORO: Ed il buio seppellisce
i segreti delle cose che potrebbero avvenire.
I segreti dei connubi
che può esser siano stati.
(Guarda in alto) Questa luna, Dea del ghiaccio,
fa di marmo le colline e lì smeriglia sulla casa...
fa di vetro i due che vanno.
S'apre floscia
come il lembo di una tenda
silenziosa
la porticina pitoccosa.
Tre profili di metallo. Quattro. Parlano
a fior di labbra, sudiciamente.
Han stabilito.
L'uomo, addesso, è dentro fermo, come l'altro lo voleva.
L'altro, in terra, sta allungato
gigantesco su arabeschi spelacchiati che l'orina
di un felino ha scorticato.
Guarda e scrive, spegne in lacrime il suo male.
Scrive e scrive.
Dell'orina, del tappeto. E di quell'altro, come in sogno
di se stesso. Dell'orina, delle fiaccole sul viso. Dell'orina.
Ah, il gran ritorno!
Ha nostalgia.
Nostalgia di una certezza.
D'un profluvio di paesaggi, del suo libro, e d'una donna
che egli sa sta per venire.
Una donna oro zecchino.
Una donna non puttana, peggio ancora: condivisa.
Forse lei sarà la sosta...
forse lei!
Ah, stare fermo come adesso
nel pelame tinteggiato sta l'omuncolo costretto
dalla madre con l'ancella!...
E te, energumeno, riverso!
Ti tortura la lanterna. Non più guardi. Stai lì e bruci.
Indolente.
Nell'orina.
Questa scena, opera tua, è un apoteotico bel niente.
Già t'imbestia
un soprassalto nel bagliore fulminante.
Come un morto che risorge ti sollevi.
Erto. Bianco. Più terribile
della luce che ti unge.
Infoiato meni pugni, scaraventi
tutto all'aria tra i gingilli
la casetta d'ori falsi e di mieli fumiganti
demolisci urlando: via!...
Da te, scrofa! Tu, lombrico!... Via via via!!!
(Campana, stravolto, fa di nuovo irruzione al centro della scena)
CAMPANA: Via via via via via !!!!...
S'allontani quella donna! S'allontanino le donne!
Anche tutte purché quella
non avvenga, non mi chiami!
(Crolla giù)
CORO: Non avvenga, non mi chiami! S'allontanino le donne
purché quella non avvenga!
CAMPANA: Oh, cosa ho visto?...
Perdonatemi, bastardi!
Perdonatemi, bastarde!
Ma ora è un vuoto che mi chiede:
fammi vuoto!
Ed è a lui che mi consacro.
Non più mai nella mia vita
ch'io mai debba, ch'io più debba
condividere qualcosa!
(Esce fuori, con passo ben più cauto, anche il Funzionario.
Ha gli abiti in disordine. Quasi discinto.
Campana è sempre ginocchioni in terra)
CAMPANA: Che sia tutto cancellato! Domattina
io ti voglio inappuntabile.
E nel tuo migliore stato: nel migliore.
FUNZIONARIO: Come sempre
è mia abitudine, signore.
Ma lei sa che cosa ha fatto?... L'ha capito? Può capirlo?
CAMPANA: Statti zitto!
Che coaguli nel buio, stella morta,
questa notte di cui più non parleremo!
FUNZIONARIO: Oh, sì invece!
Sono io che lo pretendo.
CAMPANA: (Frugandosi addosso) Che mi manca?
C'è qualcosa che mi manca!
FUNZIONARIO: Non doveva in questo modo!... non doveva...
CAMPANA: Ce li avevo! Ce li avevo!
FUNZIONARIO: E si rialzi.
CAMPANA: I miei soldi, dove sono?...
FUNZIONARIO: Sarà quelli che ha lasciato.
CAMPANA: Dove? Quando?
FUNZIONARIO: Ma lì dentro.
Lei ha voluto a tutti i costi...
CAMPANA: Era carta, non moneta!
FUNZIONARIO: Carta, certo: banconote.
CAMPANA: Fogli! Fogli! Del mio libro...
erano fogli!
FUNZIONARIO: Fogli, sì, ma del denaro.
CAMPANA: (Andandogli addosso)
Oi, tu grinza di budello, apri le orecchie:
te con me sei sul crinale.
Sei un vociano, t'ho capito, e uno sbirro marconiano!
Lo vuoi morto tu il mio libro, lo vuoi morto!
(E fugge via, per dove già era uscito)
FUNZIONARIO: O Gesù...
tutto ciò non può ripetersi, finisca!
Ma una volta per tutte: che finisca!
Poi dormire, dormire, dormire...
poi scrollarmi, perdio, e reagire
per scordare se è possibile scordare!...
La mia vita ha defraudato sino a ciò che era primario.
Dell'umano ha defraudato, sino a questo!
Del mio sonno, del mangiare...
anche del resto!
Anche di questo!
Mi strapazza come vuole e dei miei giorni
fa il suo truogolo, con me
inesausto a dirgli sì, inesausto a dirgli sì.
(Rientra Campana. Ha recuperato i suoi soldi. Evidentemente vi aveva scritto sopra qualcosa)
CAMPANA: Fogli, vedi...
Il tuo colpo è andato a vuoto, li ho ripresi.
Là strillavano, strillavano, le ho lasciate a starnazzare...
ho garantito: li riporto.
(E si accovaccia per terra a gambe conserte)
CAMPANA: Qui ho fermato qualche traccia.
Si va avanti, tienti pronto.
(Controlla e alliscia le banconote una per una disponendole davanti a sé come le carte di un solitario. Sembra non badare più affatto al Funzionario che rimane alle sue spalle e parlerà inascoltato, guardandolo)
FUNZIONARIO: Quello che
tu sei per me...
quel che tu sei
per me è indicibile.
E quel che io per te non sono
mi è insopportabile.
Non so perché
se non c'è in me
né un odio comprensibile
né un amore deprecabile
(Campana continua a occuparsi delle sue banconote)
(il Funzionario va presso il suo scrittoio. Apre un tiretto, ne estrae uno specchietto portatile, un pettine e una boccetta di colonia.
Si rinfresca. Si pettina. Si pulisce gli occhiali. Ripone gli oggetti nel cassetto che richiude. Tenta di dare una sistemata approssimativa agli abiti sprimacciati. Inspira sino a riempirsi i polmoni. Infine si scosta di qualche passo, poi, come parlando ad altri...)
FUNZIONARIO: Il mio aspetto, scuserete, non è certo dei migliori.
m'è toccato far nottata e voi allora capirete...
Quarta o quinta, non ricordo... già, di fila.
Sì, vi ascolto. Prego, dite...
(Tace, come ascoltando.
Tutto il monologo verrà contrappuntato dall'attesa di repliche)
FUNZIONARIO: Ma non vedo la ragione.
Consentitemi di insistere, non ne vedo la ragione.
Per conto mio sì, certo,
che me la sento, eccome.
Sì, sì, sì:
di proseguire: me la sento.
Oh, capisco... è una premura
nei miei confronti di cui vi sono grato,
è che però il signor Campana
- l'opinione, va da sé, è del tutto personale -
si direbbe che abbia preso una qual certa...
consuetudine, oramai. Beh, s'intende: al sottoscritto.
Se mai prese consuetudine a
qualcosa.
Oh sì, certo: dire 'a qualcuno' sarebbe più preciso
ma se fu un lapsus non fu ingiustificato, egli difatti
pare faccia, sia di cose che persone...
un tutto unico... un mondiciattolo - scusate
le mie espressioni alquanto sghembe: ho un po' difetto
a addentrarmi in simili questioni - un mondiciattolo, dicevo,
organizzato a sua misura e un po' dissimile
da quello che il buon senso dovrebbe suggerire. Io lo rilevo
dal clima dei suoi scritti e da altri segni
di stramberia curiosa, eppure a naso
non poi così pericolosa.
Che mica facile è entrarci in confidenza, o no davvero,
ma io presumo
di iniziare quasi quasi a raccapezzarmici un pochetto,
perciò, se m'è concesso,
lo vedo almeno deleterio, e proprio adesso,
un cambio della guardia.
Insomma, macina funziona... addirittura
non sempre onerosissimo è il lavorargli appresso.
Io, signori, ve lo dico
a che non vi facciate molti scupoli, non serve.
Oh, ben inteso sempre
che non si rendano opportuni i miei uffici in altri uffici...
Ah, non è questo, bene... se allora nulla osta...
La macchina?... Benissimo. - No, figurarsi, mai...
consentirgli d'usarla sarebbe una pazzia...
per come lo conosco la sfascerebbe a pugni...
Sì, a pugni, a pugni!
A dire il vero, però, nemmeno l'ha mai chiesto...
no, di usarla, mai.
Eppoi oltretutto
lo so da me quello che vale e in più, se posso dirlo,
ne sono un po' geloso. - Sì, della macchina: geloso...
è il mio ferro del mestiere, capirete...
Nient'altro? Posso andare?...
Perfettissimo, signori... quando volete sempre
disponibile a quel che mi si chiede.
(Campana, nel frattempo, ha trasportato sullo scrittoio i suoi soldi ridotti a foglietti per appunti e si è seduto al posto del Funzionario. Cincischia con la macchina. Preme un tasto, ne preme un altro. Picchia con forza, poi con delicatezza. Fa correre il rullo. Prova a infilare un foglio.
Il Funzionario torna presso il proprio tavolo. Vede, ancora non visto, Campana. Ha un soprassalto. Campana sembra che cominci a innervosirsi. Esattamente quello che il Funzionario temeva. Si ferma, non ha il coraggio di avanzare.
Campana alza lo sguardo su di lui. Ora lo si direbbe ammansito.)
CAMPANA: Provo io.
FUNZIONARIO: Sarebbe solo una perdita di tempo. Per cortesia...
CAMPANA: Hai qualcosa da nascondere?...
FUNZIONARIO: Ma no, assolutamente.
CAMPANA: Sì, hai qualcosa.
Sei in combutta, io lo so che sei in combutta.
FUNZIONARIO: Ho deciso, l'avverto, da stasera
di oppormi ad ogni forma di aggressione, sia diretta che verbale.
CAMPANA: E' un'aggressione?... Dico solo: sei in combutta.
FUNZIONARIO: La conosco, è un'aggressione.
CAMPANA: (Picchiando sulla macchina) Perché allora
non mi dici tutto quanto c'è qui dentro?
FUNZIONARIO: Lasci stare la mia macchina!
CAMPANA: C'è il mio libro! Tu lo sai che c'è il mio libro.
(Picchia) Senti il suono... non lo senti?
Che speravi? Di tenermelo segreto?...
Io lo so da dove vieni... e chi ti manda... Oh sì, lo so...
FUNZIONARIO: Solo gente interessata, e pure molto, al suo star bene.
Tutti noi l'abbiamo a cuore... tranne lei.
Vorrei sedermi, per piacere. Se ha altre cose...
E' quasi buio, non vorrei rientrare all'alba,
sono notti che non dormo.
CAMPANA: (Auscultando il ferro della macchina)
Imprigionato... (Picchia)
Ahi, come strilla imprigionato!... E si perde, lo catturano
altri libri maledetti, scartafacci
puteolenti lo corrompono, lo tengono
per le coste, per il cuore, frammischiati
l'uni agli altri, orripilanti... il mio tenero dilacera
nella bolgia dei frastuoni. Oh lasciatelo! Lasciatelo!...
(Ausculta, picchia) Questo è lui! Non è più lui!
Ah, rovina nei fragori, contagiato, sequestrato
nella copula che strazia di finocchi e poliziotti!
Orrendi libri...
cacazzume futurista... siete voi, ne approfittate
del suo essermi lontano! Giù le grinfie!
Chi lo prende?... A mani nude
io mi butto nell'inferno, lo rivoglio!...
Nulla, nulla
fuor che lui può dare un senso
al mio esistere tra voi!
(Il Funzionario, infine, si slancia su Campana. Entrambi crollano a terra ansimanti. Da ultimo, il Funzionario si rialza in piedi. Riprende il suo posto. Controlla l'efficienza della macchina. Campana è sempre in terra. Ha le mani sanguinanti. Se le guarda. Gli si accosta il Coro.
Il Funzionario si adopera in esercizi di battitura.)
CORO: Quasi molto ti sembrava fosse il mese regalato. Non è molto.
CAMPANA: 'Honny soit qui mal y pense.'
CORO: Hai le mani sanguinanti. Così i piedi nelle scarpe.
CAMPANA: 'Honny soit qui mal y pense.'
CORO: Non è molto. Sù, alzati. Continua.
CAMPANA: 'Honny soit qui mal y pense.'
CORO: Non lasciarlo imprigionato. E' a te che tocca.
Con le mani sanguinanti... nell'inferno. Nell'inferno.
(Il Coro si scosta. Campana resta aggomitolato sul pavimento)
FUNZIONARIO: Una fortuna. E' tutto a posto.
Ne ho sopportate tante ma su un punto non transigo:
questa macchina, maestro,
è mia esclusiva.
Sì, formalmente è del Comune ma nei fatti
è mia esclusiva e ne rispondo io.
Mai più quindi
queste orribili scenate. Che sia l'ultima: mai più.
CAMPANA: Il Comune è una cosa comune.
FUNZIONARIO: Prego, ha detto?
CAMPANA: Che la macchina
del Comune è d'una cosa comune
se il Comune è di per sé comune
e se il Comune è in comune, la tua macchina
qui in Comune è una macchina in comune e se è in comune
come puoi dirla tua
una macchina in comune? Vedi dunque
quale tra noi la differenza: ciò che è tuo
è comune, è del Comune ed è in comune. Ciò che è mio
è il mio libro: l'unico che ho scritto. Unico, eppure
negli artigli, nelle spire
d'una macchina comune, e poiché siamo
ciò che possediamo: io son unico
e te comune.
FUNZIONARIO: Intendevo: fu acquistata
con dei fondi comunali e titolare
dell'oggetto è il paese di Marradi.
CAMPANA: Di te pure
è titolare formalmente il paese di Marradi? E di me pure?...
FUNZIONARIO: Se l'anagrafe è una forma: formalmente.
Ma meglio allora dire:
idealmente. Da giusto patriota.
(Campana si tira sù a sedere per terra, in una posizione che gli è consueta)
CAMPANA: Ed è è quello che ti senti?...
FUNZIONARIO: Un patriota?
CAMPANA: Esattamente.
FUNZIONARIO: Intensamente.
E doverosamente.
Lei no, signore?
CAMPANA: Io?...
FUNZIONARIO: Sì, lei lei. Forse che no?
(Campana si mette ben dritto sulla schiena e, traversato da altri pensieri, guarda fisso innanzi a sé)
CORO: Marradi resta un sogno duro...
il muro dell'eterno
ritorno, della sua fuga il punto
focale infinto nella meta. Ogniqualvolta
si sente d'arrivare ecco riappare
il paesucolo trapunto
di casipole, di beffe e di smorti localini...
bieco di risa, allegro dei suoi lezzi...
ecco riappare
nella polvere schiacciato e gli è ritolto
l'essere arrivato, il riposare. Il mare
gli è ritolto... il nuovo e vero
e altro mare. Il liquefatto
lapislazzuli, la chiostra
turchese di ànditi infinita. Come crosta
tra noi si leva a paratìa il paese e ci ricaccia
tra la calcina, tra la calcina ancora!
Fogli di via, certificati, timbri
d'ogni genìa possibile riemergono
a cianciare quel balordo: 'Fermo lì!...
Torna, rientra
tra la calcina, tra la calcina ancora!'
CAMPANA: Ah il mare il mare il mare!
FUNZIONARIO: Forse che no?...
CAMPANA: Eh?...
FUNZIONARIO: Davvero lei no, signore?... Debbo crederci?
Non si sente un italiano, un verace marradese?...
Se lo è!...
CAMPANA: (Alzandosi)
Sono figlio di una terra
che ha troppi figli celibi la cui
fratellanza mi disgusta.
Non fossero più vivi, ma lo sono!
Ragion per cui questo brandello
d'assolata terraferma si decida:
se è Patria a loro, rinunci al sottoscritto.
Mi rifarò col mare.
E con la Svizzera, la Pampa e la Sassonia.
'Homo germanicus sum'! Evviva il Kaiser!
FUNZIONARIO: Non è gradevole sentirlo.
CAMPANA: 'Gradevole', e cos'è?... O un neologismo
o una parola che il mio lessico sconosce.
FUNZIONARIO: E sia, ne prendo atto. Non son fatto
per sciuparmi in discussioni nell'orario di lavoro.
CAMPANA: Complimenti, ti fa onore.
FUNZIONARIO: A me? Non vedo che.
CAMPANA: Ma che un bue altro non voglia
che il suo vivere da bue.
Ah, ce ne fossero, magari!
FUNZIONARIO: (Mani sulla tastiera, a chiudere)
Insomma, io sono qui.
CAMPANA: (Quasi andandogli contro, con foga. Il Funzionario tenta di scrivere)
Poi resisti resisti, mi dicono, all'inghippo
delle tormente catodiche. Il tuo giglio
ha forza sufficiente a preservarti!
Il tuo giglio
è il libro santo...
il libro santo è il libro tuo.
Il libro! Il libro! Tienilo in gran conto.
Sei tutelato, figlio, sei preservato.
FUNZIONARIO: Che dice? Chi
le avrebbe detto questo?
CAMPANA: Chi e che cosa?
FUNZIONARIO: Ricominciò dicendo:
resisti, mi dicono... mi dicono chi?
CAMPANA: E che t'interessa di saperlo a te?
FUNZIONARIO: Se vuole che lo scriva...
CAMPANA: Tu stai scrivendo? E cosa?
FUNZIONARIO: Vorrei quello che mi detta.
CAMPANA: Le voci di lì dentro.
(Il Funzionario non capisce)
CAMPANA: A dirmi di resistere: le voci di lì dentro.
Voci sorelle, non italiane.
Esuli, forse. Compagne di cammino.
Chissà francesi, chissà germaniche...
chissà chissà... certo è /che loro sanno
cosa rischia d'accadermi, cosa vogliono
tutti quelli del complotto che mi accada: te compreso.
FUNZIONARIO: Me, signore? Ancora insiste! Ma cosa c'entro io?
CORO: Sì, te! Proprio te! Pure te!
Se sono patriota... vuoi saperlo?...
Non c'è italiano che meriti, non uno: te nemmeno,
il meglio di me che potrei darvi e già vi ho dato.
Te nemmeno! Che mi guardi?...
Oddio mio, come vorrei
poterti giungere alle mani scongiurando
di penetrarti scivolando per le orecchie!
Mi fan sudicia la voce
e mi sporcano le sillabe! Son come
lerci imbuti di cerume obbligatorio.
Voi italiani
solo un turbine ci vuole per pulirvi.
FUNZIONARIO: Se non gradisce i miei servizi...
CAMPANA: Affatto ma mi sono necessari.
FUNZIONARIO: (E' un pensiero che l'altro non può ascoltare)
Ma guardatelo! E ho anche chiesto di restare...
armerebbe, se potesse,
di pallottole le grida per uccidermi, è evidente.
Oh, ben s'intende:
non che smani per uccidere
me e non altri, oh questo no...
ma in quest'attimo presente sicuramente me, lo so.
Me casualmente che qui con lui mi trovo, sì.
Eppure, non capisco... dovrei offendermi ed invece
mi scopro stranamente,
come mai fui né sono, con lui... paziente.
CAMPANA: Odio! Odio il servidorame!
Odio te te e te...
odio tutti i lacchè.
Vi odio poiché
vi conosco e perciò
così vi so.
Odio l'italico
servidorame, e mai inattuale
è il dirne male. Servi
dei servi: come e dove
se ne può dar l'eguale?
Sì, a voi dico, Futuristi
qui presenti e già posteri di voi!...
Non inattuali
tramonterete mai
nel vostro poco che nevrotizza noi.
In quel vostro esagerato
poco per quant'è poco!
Papini, Palazzeschi e tutta la sentina... ahi, quanto peggio
si stipa in tanto poco!
Quei quadernucci a culo di gallina!
(Il Funzionario rimette la custodia alla macchina)
FUNZIONARIO: Altolà! Non più.
CAMPANA: Che non più?
FUNZIONARIO: Per stasera non più.
Mi dispiace, non possiamo andare oltre.
CAMPANA: No, m'ascolti! M'hai ascoltato?
FUNZIONARIO: Dovrei tenermelo per me, ma ho appena chiesto
di confermarmi nel mio incarico, già da questo valutate
se intendo boicottarvi... o cosa ancor più assurda
se potrei mai starmene qui senza ascoltarvi. Ma è evidente che v'ascolto
non certo per capirvi, ho da badare ad altro.
Il mio lavoro, io, se debbo farlo intendo farlo al meglio.
Quale che sia ma sempre al meglio.
CAMPANA: Tu non senti quel che dico...
FUNZIONARIO: Son qui solo a far da mulo.
CAMPANA: No, ti mandano! Dunque era vero: anche tu un sicario.
FUNZIONARIO: (Alzandosi) Io ho pure una mia vita per quanto risicata.
E pur quel poco che con lei volli spartire...
Oh, ma sì... non parliamone che è meglio.
Debbo andarmene davvero.
(Il Funzionario si infila la giacca che aveva appesa alla spalliera della sedia ma Campana gli si avventa contro spintonandolo e costringendolo a tornarsene seduto. Freme. Tende il braccio destro come un'asta percorsa da brividi elettrici. Punta contro l'altro l'indice e il medio irrigiditi all'altezza del setto nasale, tra gli occhi sbarrati. Così per alcuni secondi. Poi corre via, come a delle finestre e a guardar fuori. Si direbbe uno che si senta o si sappia braccato. Il Funzionario non si azzarda a muovere un solo muscolo del viso)
CAMPANA: Inutili i tuoi no, li vedo...
i tuoi compari lì fuori che t'aspettano: li vedo!
Ogni errore su quei fogli, e ne combini!,
è un brano mio che tu consegni a quelli.
E brano a brano andrà avanti il meretricio
fin quando intieramente m'avrai ridotto a niente.
Eccolo il piano: risucchiarmi
fuori di me per farne cosa vostra.
FUNZIONARIO: Creda, un errore può essere di tutti...
Son sbagli involontari anche causati
dai ritmi pazzi a cui mi sottopone. Sono il primo
a dire non vorrei, ma se davvero
lei pensa di me che sia così incapace...
CAMPANA: Solo una, solo una è la risposta: via!
Via da questa Italia e dall'inutile sua forza!
E dalle sue congreghe inutilmente forti!
Di pitocchi, in verità, e sciacalli.
E dirlo posso, io li conosco bene.
Qui la miglior voce è uno sfintère di finocchio
e hanno ugola le trippe, e la pubblica opinione
issa la merda da un letamaio a un altro.
Dove le Alpi e dove le altre vie?
Anche di neve o fossero di ghiaccio...
anche di fuoco, io le percorrerò.
Sia sciagurata questa mia terra dove
la maggioranza intona
madrigali ai suoi carnefici
e che si sazia,
come d'ossa, scarnando i suoi poeti
e i suoi spiriti più sani tratta come una farfalla
al supplizio della ruota, e gli prepara
nelle viscere i giacigli, e gli rimbocca
le negre sue lenzuola soddisfatta. In sé disserra
le proprie fosse che son bocche masticanti.
D'intorno, intanto, è strepitìo e concerto...
il peggio si solleva, il meglio è trasmutato.
Dove mai luogo per me si può vedere?
No, allora preferisco
il viaggio anche alla meta se la meta
è lo strapparmi a quel che sono e al dove sono.
E a coloro, soprattutto, tra cui costretto sono.
Magra cerchia pusillanime...
il potere che detiene le fa credere
sul serio d'essere potente e da potente tresca.
Così, difatto, senza esserlo lo è.
Potente. Così è.
E mi tiene in scacco matto
prono alla sua mercè.
FUNZIONARIO: Signore, crollo.
Se neanche c'è da scrivere ma solo da sentirvi...
CAMPANA: Neanche c'è?...
FUNZIONARIO: Mi creda, son confuso.
CAMPANA: Così ti voglio. Ricominciamo, allora.
FUNZIONARIO: Non ho più forze, per non dire che il mio orario...
CAMPANA: Dunque, davvero, un sicario sopraffino!
(Il Funzionario si lancia verso un'uscita)
CAMPANA: E inutile che provi. Lo vedi? Non c'è chiave.
FUNZIONARIO: Me la dia!
CAMPANA: Impossibile, l'ho in pancia.
FUNZIONARIO: Lei sta scherzando, vero?
CAMPANA: Scrivi, cagna! Scrivi, cane!
Il mese pattuito
arriva l'alba ed è bello che finito.
FUNZIONARIO: Ma se non sono nemmeno dieci giorni...
CAMPANA: No, in materia di tempo non mi fido
dei conti matematici. Può essere che sia,
può essere di no.
E allora scrivi!
FUNZIONARIO: Riapra quella porta!
CAMPANA: Al termine di tutto. Per ora siedi e scrivi!
(Il Funzionario, costretto, torna al suo posto.
Ciò che, all'inizio, era il cicaleccio del manicomio torna adesso come un monodico vociare che biascica ritmi, cadenze, versi impercepibili. Quasi un'emanazione delle mura, del soffitto)
CAMPANA: Puoi? Ce la fai?
FUNZIONARIO: Me lo domanda?... Se è lei che mi costringe...
CAMPANA: Perché so che ce la fai.
(Continuano le voci. Un suono compatto e distante.
Il Funzionario batte)
CORO: Due solitudini in perfetta mescolanza
s'intendono tra loro ignorandone il perché.
L'invasione è reciproca. Di nuovo sconvolgente
l'esumazione avviene dell'opera caduta
tra mani di nemici: a ogni fiato si rinnova
un arcangelo possente che viene a liberare
leonardesco... leonardesco...
le immagini coatte, le invenzioni, le purezze
già nate e dissipate, il gran bisogno
dell'essere se stesso in ciò che si è prodotto...
il libro!... Il libro!...
Ma è il libro pure di per se stesso azione...
quandanche inascoltato già scivola nel sangue.
Ecco tradotto
perciò un solerte dattilagrafo in colui che sta dettando.
Egli è l'autore
non meno dell'autore... ora accorpato, ora inglobato
per ineffabili legacci, ora annullato
e in un altro da se stesso ora rinato.
(Le voci sono un lontanissimo e armonico mormorio)
FUNZIONARIO: M'ha inglobato...
quest'uomo m'ha inglobato.
E già il fatto che io usi la parola 'ingloba',
inusualissima per me,
la dice lunga sul mio essere inglobato.
Non so che io scriva ma so che sto scrivendo.
CAMPANA: Inglobato! Inglobato!
Quest'uomo m'ha inglobato.
Più non distinguo
se il crampo che ho alla mano viene da me o da lui.
So quel che dètto eppure non capisco
se le mie frasi precedano i suoi gesti o ne conseguano.
(Le voci cessano)
FUNZIONARIO: Ah, la mia mano!...
CAMPANA: (Stringendosi un braccio al polso)
Fèrmati, non posso più neanch'io.
(Si volta schiena al pubblico. Flette il dorso in avanti.
Il Funzionario lo guarda senza capire)
FUNZIONARIO: Ora che fa?
(Campana si costringe a dei conati impossibili)
CAMPANA: Fammi da coro!
Ricordami Papini, e Palazzeschi, e Soffici...
e quell'ala stercoraria di Marinetti fica al culo!...
Buah... buah... buah... buah...
Dì, Soffici! Papini!
FUNZIONARIO: (Balbettando) Soffici... Papini...
CAMPANA: Soffici! Papini!
FUNZIONARIO: (CS) Soffici... Papini...
CAMPANA: Oddio il mio stoamco!...
Che è il miglior frutto, dillo!,
del seme nato da Dante e Michelangelo...
FUNZIONARIO: (CS) E' il miglior frutto...
è il miglior frutto del seme nato da... da...
CAMPANA: Chi?...
FUNZIONARIO: (CS) Ma Soffici... Papini...
CAMPANA: Chi? Chi?
FUNZIONARIO: (CS) L'ho detto... Soffici... Papini...
CAMPANA: Più forte! Ripetilo... più forte!
FUNZIONARIO: Soffici! Papini! Soffici! Papini! Soffici! Papini!...
(Campana non resiste oltre. Rigetta. Un tintinìo per terra. E' la chiave che aveva ingurgitata. La prende. La pulisce con un lembo della giacca. La offre all'altro)
CAMPANA: Tieni la chiave, vàttene. Non più sopporto
la tua stanchezza, vàttene.
(Il Funzionario fa cenno di no col capo)
CAMPANA: Cos'è? Ti schifi?
Io dentro son pulito.
FUNZIONARIO: No. Stavolta sono io che dico 'avanti'.
Sino al prosimo errore non rinuncio.
CAMPANA: Dammi quei fogli.
(Il Funzionrio passa a Campana i fogli battuti che ha sul tavolo. Campana li controlla.)
CAMPANA: I capoversi li hai messi a tuo piacere o li ho dettati io?
FUNZIONARIO: I capoversi?...
CAMPANA: Tutti gli a capo, sì...
FUNZIONARIO: Non mi ricordo. Li avrà dettati lei...
CAMPANA: Non mi ricordo.
FUNZIONARIO: Allora io.
CAMPANA: Ma sono i miei!
FUNZIONARIO: Allora lei.
CAMPANA: Sino al prossimo errore?...
FUNZIONARIO: Sino al prossimo.
CAMPANA: 'Salivano voci e voci e canti di fanciulli...'
FUNZIONARIO: Già dettato.
CAMPANA: 'e di lussuria per i ritorti vichi...'
FUNZIONARIO: Già dettato, già dettato.
CAMPANA: Già dettato?
FUNZIONARIO: (Non leggendo)
'dentro dell'ombra ardente, al colle al colle.'
Più o meno questo, sì.
CAMPANA: Tu sei un lurido porco.
FUNZIONARIO: (Battendo) Tu sei un lurido porco.
CAMPANA: Tu sei me.
FUNZIONARIO: (Battendo) Tu sei me.
CAMPANA: Me lurido porco.
FUNZIONARIO: (Battendo) Me lurido porco.
CAMPANA: Ma innocente.
FUNZIONARIO: (Battendo) Ma innocente.
CAMPANA: Non esistono porci che siano luridi e doppi.
(Il Funzionario batte)
CAMPANA: Solo io...
(Il Funzionario batte)
CAMPANA: E te.
FUNZIONARIO: (Levando le mani dalla tastiera)
Ebbene sia...
errore! Per stasera,
anzi: stanotte,
depongo le armi, chiuso.
CAMPANA: Che cos'hai scritto?
FUNZIONARIO: 'E me.'
CAMPANA: Così dovevi. Siediti, continua.
Ma ora davvero, sino a massacrarci.
E butta il resto, adesso si comincia.
(Di nuovo le voci. Il Funzionario riprende a battere)
CORO: (A Campana) Vai via di qui!... Vàttene ora.
Non è più luogo. L'acme s'è raggiunto: ogni parola
che ne consegua è inutile. Il minerale
si va depositando.
E' il declivio che ti trascina in alto.
Va' via, ritorna alla tua pace.
(Campana si rintana nell'angolo delle mattonelle bianche.
Si incantuccia per terra.
Il Funzionario batte, batte...
Le voci lentamente estinguono)
CORO: Durò non molto il reciproco massacro.
In pochi giorni reificato fu il senso della vita.
Restituito alla mia vita il libro.
Riconsegnato al mondo.
Poi altri viaggi dipanarono altri viaggi e si riprese
con la foga di un anarchico la fuga in verticale.
Tra iracòndie, ipocondrìe, battaglie,
nomadismi scellerati e dispersioni
di sé nel mondo sino al molo dove il mare
stingendosi dispare in un molle sciabordìo.
E' lì dove sto io, nella mia cella
manicomiale, ove al finire
sussegue l'iniziare.
CAMPANA: (Con lo sguardo in alto) Ahi, luna...
spettro d'arancia nel bastimento buio...
di qui ti vedo come non t'ho mai vista.
Mai mi fu il cielo sì tanto aperto e chiaro
come da quando sospeso ho su di me
questo soffitto che lieve me lo nega.
Ah, il mare il mare il mare
sia benedetto e lieve, nel cuore suo lontano!
FUNZIONARIO: Non so che sia accaduto. Qualcosa certo
in questo strano mese dev'essere accaduto.
Ma che?... L'immagine ho di un monte
che s'accosti e poi sparisca
come passando di qua e di là da un orizzonte.
Ora più nulla.
S'è ricomposto il panorama
intatto. Né una traccia
del fenomeno residua. Eppure sento
come l'odore d'un campo di battaglia.
Ma è finita.
Finito il caos, finito lo sconquasso.
Nient'altro avanza e ci si rimette in piedi.
Ma a cosa me ne torno?
(Carezza la sua macchina)
E tu, bocca da fuoco...
ancora tiepida e vibrante come una puerpera mi chiedi di replicare,
di replicare cosa?...
E a cosa si ritorna?..
Ma sì, via...
a quel che conosciamo.
Meglio così, è passato.
Mese d'inferno, alla fin fine.
Ah, grazie al cielo si torna all'ordinario...
al tu per tu con le mie cose, e al dormire innanzitutto.
Però, diavolo!, vorrei
sapere cosa ho fatto. O cosa m'hanno fatto.
Ho sgobbato, mettiamola così, come mai prima, su questo non ci piove,
il punto è un altro: Dio, perché
quest'impressione di non aver fatto nulla? Quest'impressione...
d'inutilità?...
Violato, ecco. Come una femmina:
violato.
Eppure non son io che ho detto niente. I miei segreti
son sempre e solo miei.
Ma cos'è allora a farmi rabbia? Cosa?
E poi non fu piuttosto lui
che mi si è messo qui nudo come un verme?... Sì, fu lui.
Ah, detesto
sentirmi come sto, detesto!
Quel gaglioffo s'è portato
via qualcosa che un poco m'appartiene.
(Alla macchina) Che un poco ci appartiene e che anche sento
appartiene a questa stanza e a tutto quanto
egli costrinse a farsi suo alimento... all'araucaria, alla finestra,
al mese stesso
e alle veglie con cui m'ha castigato!...
Cos'è? Un poeta!...
E sia un poeta, sai quanto me ne importa!...
Ben altri sono i bisogni della vita, assai ben altri!
Ho le mie cose, io, che valgono altrettanto!
Suvvia, risistemiamo. E' la norma che rinizia...
come Dio vuole: il giusto.
(Alza lo sguardo, poi si alza in piedi)
FUNZIONARIO: Ah, sissignore, certo...
Si terminò stanotte... anzi, stamane e se n'è andato or ora.
No, tutto per il meglio. Unica cosa: oggi
le sarei grato se potesse dispensarmi
da altri impegni: ho un po' di sonno che dovrei recuperare.
O no, troppo gentile... una giornata m'è più che sufficiente.
Grazie, signore... davvero mille grazie.
(Per alcuni secondi rimane ritto in piedi a capo chino. Poi alza lo sguardo, pochi altri secondi e crolla giù per un malore. Il Coro si affretta a soccorrerlo. I due sono in terra. Una sorta di Pietà)
CORO: Pare, lo sai?, che questa tua fatica sia stata quasi inutile.
Fu ritrovato, anni e anni dopo, il primo libro sperperato.
Anni e anni dopo
la mia disparsa e, immagino, anche la tua.
Dalla figlia vecchieggiante di qualcuno degli sbirri.
Risistemando casa.
FUNZIONARIO: (Come in un sogno)
Scrivi, cagna! Scrivi, cane!
CORO: Non lo ricordo, non posso dire
se sia stato un bene o un male.
FUNZIONARIO: Scrivi, cagna!
CORO: Probabilmente un niente.
FUNZIONARIO: Scrivi, cane!
CORO: Ma sereno:
l'unico libro...
per me almeno,
l'unico libro è il nostro.
FUNZIONARIO: Canecagna! Canecagna!
Scrivi! Scrivi! Canecagna canecagna...
Siedi e scrivi! Canecagna..
oh, s'io fossi diventato
ma per davvero diventato
ciò che, insultandomi, secondo lui io sono!
Ma anche il decimo
di tutto quello che m'ha detto, esserlo!
Dio, che ridere!
S'io fossi, insomma, diventato
l'indemoniato delle sue bestemmie...
sangue, ad esempio,
d'una chiavica mestruata o un cànchero finocchio!...
Ma esserlo davvero!... No...
da tutto ciò non se ne torna indenni.
Non può un uomo
sentirsi dire tutto.
Io di errori, mi creda, non ne faccio
che al solito pochissimi, mentre con lui tantissimi...
ed ero il primo a vergognarmi e s'infuriava...
Ah, mai di tanto odio
ebbi esperienza prima, e mai
provai tanta vergogna.
E ora solamente da tutto ciò riporto
un'offesa immedicabile ed un sonno
che già sento inestinguibile.
Io lo so cosa avverrà...
lo capirò sognando tutto quel che m'è accaduto,
lo rivedrò sognando, e in esso me ne andrò.
Comprenderò le frasi, le parole: le vedrò...
vedrò i fogli che ho composto.
Come una fascia dagli occhi sarà tolta
la cecità patita nell'orgasmo.
Vedrò il libro compatto più d'un sasso.
Vedrò quel libro che lui chiamava 'il libro'.
Poi furibondo,
come fu lui / con me, mi scioglierò
nella sua collera, nel sogno più profondo
CORO: Nonostante il mio dovere di Coro mi costringa
a dare spiegazioni sulla storia, io non lo so
cosa fu in seguito di questo sciagurato.
Se visse tanto o poco, non lo so.
Se spense le sue febbri, non lo so.
Ma è facile inclinare
più al sì che al no.
So invece dell'oceano
che ancora si frammise
tra Castel Pulci e questi fatti...
Castel Pulci, ultima Thule,
ricovero di pazzi, o quasi quasi
mio paese di Bengodi.
Io so piuttosto
dei mille accadimenti e della donna
sconquassante...
di Sibilla, la spartita,
l'infetta qui inviata
a depravare la purezza, l'arpionata
alle trame palazzesche e papiniane, e ancora so
delle fughe e dei ritorni,
delle carceri non crude, e poi di quelle
mattonelle tra cui stretto
ho consumato, consumiamo,
il nostro e mio randagio seme...
anni e anni replicando...
anni e anni replicando...
la medesima giornata.
(Tiene ancora stretto a sé il corpo, adesso esanime, del Funzionario. Gli fruga nelle tasche. Anche Campana fruga nelle proprie. Il Coro tira fuori foglietti e fogliettini in quantità. Così Campana. Un'azione speculare.
Da ultimo l'uno e l'altro fanno comparire un libretto, quasi un opuscolo. Il Coro lo poggia in terra dinnanzi a sé. Campana, invece, lo tiene stretto tra le mani. Lo ciancica. Se lo preme contro il ventre.
Il Coro sembra averlo donato a un nume che, da un istante all'altro, debba scendere a prenderselo.
Il Funzionario, sempre tra le braccia del Coro, è scosso da tremiti. Occhi semichiusi. Ciglia vibranti. I suoi pensieri sono altrove.
Campana cerca, più che mai prima, protezione nel suo angolo miserevole. Il suo sguardo pare sondare, nel vuoto, lontananze imperscrutabili. E' bagnato da una bava lunare. Comincia a parlare a fior di labbra. Come pregando.
Può essere che i primi versi li ripeta più volte.)
CAMPANA: Accoglierti, amore, volle dire
disporsi ad essere traditi
e ad essere gelosi. Disporsi ad essere
diminuiti... diminuiti...
e mescolati con chiunque mescolati con chiunque...
e nel peggio, a me toccato: con la feccia.
Con la feccia!
Ma ho resistito.
Ora, amore, io ti porto nei malleoli
nello stomaco nell'inguine
nella chimica impudìca dei miei succhi.
Ingurgitata.
Dentro mi ruoti.
In liquidi.
Ah, in liquidi!
(Si tocca)
Sei tu il sangue che s'avventa a fare del mio cazzo un vero cazzo.
Son completato.
Tu non ci sei
eppure faccio di te quello che voglio.
Puoi eccitarmi se decido di eccitarmi immaginando delle schiume...
convolvoli di schiume dentro cui si scuote il mare, dentro cui...
ah, il mare il mare il mare...
non solo d'acque è il mare, non solo d'acque... puoi eccitarmi
se non ti cerco nelle vele ma decido
che hai deciso d'eccitarmi.
E di eccitarti.
Oh, sì...
io sono dentro.
E fermo.
Trafitto da lance.
Fermo.
Trafitto.
Non so come.
Nessuno m'ha insegnato, nemmeno tu... nessuno. Questo come...
io l'ho raggiunto.
L'ho raggiunto... raggiunto.
(Ha uno scarto; un singulto. Come fosse venuto. O morto.
Il corpo è piegato in una torsione esagerata.
Sta col viso schiacciato nell'angolo.
Rumori, attorno, di picchi e strida)