Tragico contro voglia

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TRAGICO CONTRO VOGLIA

TRAGICO CONTRO VOGLIA

(DALLA VITA DI VILLEGGIATURA)

Scherzo scenico in un atto

                               di Anton Cechov

                               Personaggi

                               Ivan:      alto funzionario al limite della sopportazione

               

                               Alberto: collega ed amico (o quasi) di Ivan

                               Sofia:     segretaria di Alberto

Lo studio di Alberto che è seduto alla sua scrivania intento a lavorare al suo notebook, nello studio è presente anche un divanetto con un tavolino; tutt’intorno una serie di oggetti tipici dello studio di un alto funzionario di una grossa società. Entra Sofia, la segretaria di Alberto, guardando verso l’esterno, evidentemente sconcertata da qualcosa.

SOFIA:           Dottor Muraschi, scusi… (guardando fuori scena)

ALBERTO:    (senza alzare gli occhi dallo schermo) Sì, dica Sofia. (non avendo risposta, la guarda) Sofia… Sofia… Sofia!

SOFIA:           (girandosi di scatto) Sì, sì! Scusi, c’è di là quel suo amico… il dottor Tolcacci… (riguardando fuori scena)

ALBERTO:    Ivan? Ma insomma Sofia, che succede?

SOFIA:           (titubante) No, è che…

IVAN:            (entrando improvvisamente con aria sconvolta ed affranta, con le braccia stracolme di pacchi, pacchetti, un lampadario ed altro ancora, si guarda in giro come perso e poi si accascia sul divano) Alberto! Amico mio…

ALBERTO:    Buongiorno, Ivan! Che piacere rivederti. Da dove vieni?

IVAN:            (respirando affannosamente) Caro amico… dovrei chiederti un favore… Ti supplico… prestami una pistola fino a domani… Provami la tua amicizia!

ALBERTO:    (notando la faccia attonita di Sofia) Grazie Sofia, vada pure… (Sofia tentenna) vada Sofia, vada. (accompagnandola alla porta, poi si volta verso Ivan) E a che cosa ti serve la pistola?

IVAN:            Mi serve… oh, mio Dio! Un sorso d’acqua… presto, un sorso d’acqua… mi serve… devo attraversare di notte un brutto quartiere… così… per ogni evenienza… prestamela, ti prego!

ALBERTO:    Tu menti Ivan! Ma che quartiere! Tu hai qualche altra intenzione; te lo leggo negli occhi che stai macchinando qualcosa, ma che cosa ti è successo? Ti senti male?

IVAN:            Aspetta… lasciami rifiatare… ah! Mamma mia! Sono stanco morto. Provo qui dentro ed in tutto il corpo la sensazione di essere a pezzi… non ne posso più! In nome della nostra amicizia, non domandarmi niente, non chiedere particolari… prestami solo la pistola, ti supplico!

ALBERTO:    Basta Ivan! Che discorsi sono questi? Tu, padre di famiglia, funzionario INPS! Vergognati!

IVAN:            Io, padre di famiglia? Io sono un martire una bestia da soma, uno schiavo, un vigliacco che aspetta sempre qualcosa e non ha il coraggio di farla finita! Sono uno straccio, un fantoccio, un idiota! Perché vivo? Per quale motivo? (balza in piedi) Sì, dimmelo tu, avanti, perché vivo? Che senso ha questa implacabile catena di sofferenze fisiche e morali? Passi soffrire per un ideale, lo capisco, ma soffrire le pene dell'inferno per i vestiti delle donne o per i lampadari, no grazie! No, no, e poi no! Basta! Basta!

ALBERTO:    Non gridare… i colleghi potrebbero udirti!

IVAN:            Ma chi se ne importa! Lascia pure che ascoltino! Se non vuoi darmi la pistola, la chiederò ad un altro amico, ma non voglio più vivere! Ormai, ho deciso!

ALBERTO:    Calmati, mi hai strappato un bottone! Parla con la tranquillità; nonostante le tue parole non riesco ancora a comprendere perché la tua vita sia così tremenda.

IVAN:            Perché? Hai il coraggio di domandarmi perché? Te lo spiego subito, mi sfogherò con te e, forse, dopo, mi sentirò più sollevato. Sediamoci ed ascoltami. Mio Dio, che affanno! Prendiamo come esempio la giornata di oggi: come tu sai, dalle dieci di mattino alle due del pomeriggio, devo sgobbare in ufficio, con il caldo, l’afa, le mosche, una confusione insopportabile, amico mio; la segretaria è in vacanza,  Lo Cascio ha chiesto un permesso per sposarsi, gli impiegatucci sognano soltanto le ferie, gli amori ed il cinema; sono tutti insonnoliti, stanchi, esauriti e non combinano più nulla. Il lavoro della segretaria viene sbrigato da un suo subalterno, sordo dall’orecchio sinistro ed innamorato, gli utenti sono storditi, hanno fretta, corrono senza sapere da dove vanno, si arrabbiano, minacciano, è un casino da impazzire, una confusione da impazzire! Il lavoro, non me lo dire, è bestiale; sempre le stesse pratiche, sempre… ricerche e relazioni, relazioni e ricerche, monotono come le crisi di governo. Capisci? Ti schizzano gli occhi dalla testa… Passami un bicchiere d’acqua… Esci dall’archivio stroncato, esaurito, vorresti andare a colazione, a dormire, è giusto, no? E invece… no! Ti devi ricordare, allora, che sei in ferie, sei, cioè, uno schiavo, un servo, un povero diavolo e devi affrettarti a fare commissioni; nelle nostre case ha preso piede un bel vizio: se un villeggiante va in città, tutta quella accozzaglia di villeggianti, dal primo all’ultimo, con in pole position la propria moglie, si credono in diritto di appiopparti un bel mucchio di commissioni. Mia moglie ha preteso che mi recassi dalla sarta a rimproverarla perché il vestito è largo di vita e stretto di spalle, per la piccola Sonia ho dovuto cambiare le scarpe; mia cognata desiderava una certa seta rossa da cinquantamila lire, uguale al campione, e tre metri di raso… aspetta, ti leggo la lista… (tira fuori un foglietto e legge) un lampadario, tre etti di prosciutto, cinquemila lire di chiodo di garofano e cannella, lo sciroppo per Mirko, un chilo di zucchero, prendere a casa una pentola e uno scolapasta, alcool, polvere insetticida, una confezione di fondo tinta, una confezione di birra, aceto… uff! Cercare a casa in cappotto di mezza stagione e le ciabatte di Mirko… queste gli ordini dei familiari. Ora, ascolta le commissioni dei cari conoscenti e vicini, che il diavolo se li porti! Domani i Blasi festeggiano l’onomastico di Valeria e bisogna comprarle una bicicletta, la moglie del Colonnello Vicari aspetta un bambino e ogni giorno devo recarmi dalla baby-sitter per pregarla di andare da loro. E così via… In tasca ho cinque liste di commissioni ed il fazzoletto è un groviglio di nodi. Così, amico mio, nell’intervallo fra l’uscita dall’ufficio e la partenza del treno, devi correre per la città come un cane con la lingua a penzoloni; corri, corri e maledici questa vita infame. Da un negozio passi alla farmacia, dalla farmacia alla sartoria, esci dalla sarta per entrare dal salumiere e poi torni ancora in farmacia . Una volta inciampi, là ti cadono i soldi, in un terzo negozio dimentichi di pagare e ti richiamano , ti inseguono urlando lo scandalo; altrove calpesti il vestito di una signora. Puah (sputa) dopo tutta questa ginnastica, hai un diavolo di capello, le ossa sono così rotte che tutta notte le senti scricchiolare  e sogni coccodrilli! Così, ora, le commissioni sono eseguite, gli acquisti anche, ma dove vuoi che ficchi tutti questi pacchi? Non vorrai che metta per esempio la pentola e lo scolapasta insieme al lampadario o la polvere insetticida insieme al prosciutto? Come puoi mettere in un solo pacco le bottiglie di birra e la bicicletta? E’ una fatica improba, un problema insolubile, peggio… un rebus! Per quanto ti scervelli, finisci sempre per rovesciare o rompere qualcosa; e quando poi arrivi alla stazione e sali in treno, devi restare in piedi, stringendo tra le braccia, sostenendo con il mento, tutti i sacchetti, pacchi e pacchetti e simili porcherie di cui sei carico. Non parliamo poi dei viaggiatori che cominciano a scaraventare da tutte le parti il tuo bagaglio, perché hai occupato anche il posto degli altri. Gridano, chiamano il controllore, minacciano di farti scendere e, io mi dico, che cosa devo fare? Sto in piedi, fermo, e sbatto le palpebre come un asino bastonato. E non è finito: arrivo finalmente a casa mia, alla mia villa; sarebbe logico che bevessi qualcosa dopo tanta fatica e mangiassi e andassi a letto, non ti pare? Invece no! Mia moglie mi sta già aspettando, impaziente; ho appena il tempo di trangugiare qualche cucchiaiata di minestra e subito mi acciuffa, povero me, mi afferra con i suoi artigli, mi trascina, voglia o non voglia a qualche operetta, o a qualche ballo. Protestare è perfettamente inutile: tu sei il marito, e la parola “marito”, nel linguaggio dei villeggianti, indica una bestia che non parla, che si può sfruttare  e caricare di pesi a tuo piacere, senza neppure temere l’intervento dell’Enpa. Tu esci ed hai gli occhi semichiusi ad ascoltare “Accendiamo la lampada” oppure qualche altra commedia del genere. Sei costretto ad applaudire per imposizione di tua moglie e affanni, ti senti svenire, svenire, svenire, svenire, aspettandoti, da un momento all’altro, un colpo! In discoteca, devi cercare i posti a sedere, poi devi vagare per le sale: l’house no, la tecno nemmeno, revival neanche a parlarne, finalmente i latino-americani, ma se non ci sono abbastanza uomini ti tocca ballare il mambo. Torni a casa, dopo le tre e non ti senti più un uomo, ma un cadavere. Alla fine, però, sei giunto alla meta: ti spogli, ti corichi… perfetto! Chiudi gli occhi, ti adagi nel torpore con un senso di riposo, di tepore, di poesia, capisci? I bambini non piagnucolano nella stanza vicina, tua moglie è assente, ti senti la coscienza tranquilla. Meglio di così sarebbe impossibile. Stai per addormentarti quando, ad un tratto: zzzzzzzzz, zzzzzzzz! Le zanzare! (balza in piedi) Le zanzare! Le zanzare! Tre volte maledette! (con i pugni al cielo) Vera piaga d’Egitto, peggio della Santa Inquisizione di Spagna! Zzzzzzzzzz… zzzzzzzzzz… ronza con un suono così lamentoso, così malinconico, quasi volesse chiederti scusa per il disturbo; ma, poi, vigliacca, ti punge con tanta raffinatezza, da costringerti a grattarti per un’ora. Provi a fumare, cerchi di ammazzarle, nascondi la testa sotto al lenzuolo: inutile! Alla fine ti rassegni, ti offri al martirio: «Divoratemi, se vi piace, maledette!». Appena cominci ad abituarti, ecco un’altra piaga d’Egitto: tua moglie in salotto accenna una canzone con certi complessini, i quali, di giorno, dormono e la notte fanno le prove per i concerti da dilettanti. Oh, mio Dio! Che tormento, i complessi, sfidano perfino le zanzare. (canta) «Laura non c’è, è andata via, ma dove è, chiedi a sua zia». Vigliacchi! Mi strappano l’anima! Per sentirli meno ho escogitato un espediente: mi batto con il dito la tempia, vicino all’orecchio; e così vado avanti fino alle cinque del mattino, quando quegli straziatimpani si decidono ad andarsene. Ancora un sorso d’acqua, amico mio, per favore… non ne posso più! E non è finita: dopo una notte quasi insonne, alzati alle sei, via, alla stazione a prendere il treno, di corsa con la paura di arrivare in ritardo, nel fango, con la nebbia ed il freddo. Brrrrr!… Giunto in città, si ricomincia con la solita solfa; proprio così, caro amico: è una vita infame, ti assicuro e non la augurerei al mio peggior nemico. Ti rendi conto? Mi sono perfino ammalato… affanno, soffro di bruciori di stomaco, sono agitato, non digerisco più, mi si vela la vista, insomma, sono sull’orlo di un esaurimento (guardandosi intorno)… resti tra noi, naturalmente… ora voglio farmi visitare da uno specialista, da un primario di psichiatria: mi è entrata in corpo qualche stregoneria, amico mio! Soprattutto nei momenti di rabbia e di stordimento, quando mi pungono le zanzare o sento cantare i complessini, perdo improvvisamente la ragione, balzo dal letto, mi metto a correre per la casa come un metto, gridando: «Sangue, voglio sangue» e ti giuro, in quel momento ho voglia di accoltellare qualcuno o di fracassargli una sedia sulla testa. Ecco a che cosa ti porta la vita di villeggiatura; e nessuno che provi pietà, nessuna che si muova a compassione, come se il mio comportamento fosse normale. <Anzi ridono! Cerca di capirmi: io sono un uomo sano, vivo e voglio vivere, qui non si tratta di una farsa, ma di una tragedia! Ascoltami: se non vuoi prestarmi una pistola, ascoltami almeno!

ALBERTO:    Ti ascolto, certo!

IVAN:            Eh sì! Lo vedo come mi ascolti! Addio… ora vado a comprare acciughe e salame, poi devo ancora prendere un dentifricio e, infine, vado alla stazione

ALBERTO:    Ma dove sei in villeggiatura?

IVAN:            A Portofino

ALBERTO:    (allegro) davvero? Ma, allora, conosci, forse, Anna Maria Finberghi. Anche lei si trova in villeggiatura da quelle parti.

IVAN:            La conosco, certo; ogni tanto è anche mia ospite

ALBERTO:    Dici davvero? Che fortunata combinazione! Sei giunto proprio a proposito… Come sei stato gentile a venirmi a trovare!

IVAN:            Perché scusa?…

ALBERTO:    Amico mio caro… non potresti rendermi un piccolo favore, darmi una prova d’amicizia? Giura che mi accontenterai…

IVAN:            Di che cosa si tratta?

ALBERTO:    Certo, non sentirti in obbligo, ma te ne prego: per prima cosa porta i miei saluti ad Anna e rassicurala che sto bene; e poi. Se tu le potessi portare una cosetta… Anna mi aveva pregato di comprarle un ferro da stiro, di quelli con la caldaia, ma non so proprio come mandarglielo. Vuoi portarglielo tu, carissimo? E senti… anche questa gabbia con il canarino; però, bada bene, che non si apra, né si rompa la porticina. Ma… perché mi guardi in quel modo strano?

IVAN:            Il ferro da stiro… la gabbia con il canarino, la caldaia ed il fringuello…

ALBERTO:    Che cosa ti succede Ivan? Sei diventato rosso…

IVAN:            Presto, il ferro! E la gabbia, dov’è la gabbia? E poi saltami addosso, divora questo povero uomo sbranalo, distruggilo… (alzando i pugni al cielo) Voglio sangue, sangue…!

ALBERTO:    Stai diventando matto? Sofia! Sofia!

SOFIA:           (entra di corsa, evidentemente allarmata dal tono di voce di Alberto) Cosa succede?

IVAN:            (rivolgendosi prima verso Sofia, poi cominciando a rincorrerli entrambi) Voglio sangue, sangue, sangue…

ALBERTO:    E’ impazzito! Sofia, aiutami! Salvami!

IVAN:                        (inseguendoli per la stanza) Sangue, sangue, sangue!!