Tre civette sul comò

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TRE CIVETTE SUL COMO'

di

Romeo DE BAGGIS

personaggi

AGNESE

VIRGINIA

MATILDE

La scena: Uno stanzone, coi muri grigi screpolali. In alcuni punti manca l'intonaco e le pareti mostrano visibili chiazze eli umido. A destra, una cucina a gas. D'angolo, un lavandino. Alla parete qualche piastrella. Al centro, un divano sdrucito. In fondo, un letto. Un paravento rivestito di cretonne, lo nasconde in parte. Nella parete di fondo una grande finestra con le persiane chiuse. A sinistra, la porta. Dal soffitto pende una lampadina senza schermo. Nella stanza qualche vecchio mobile, di stile diverso, accatastato alle pareti. Un grammofono. Una specchiera. Accanto alla porta dei pacchi di giornali legati con lo spago. Alla parete un gancio con dei vecchi vestiti. Una pendola troneggia di fianco.


ATTO PRIMO

Luce fioca di un lumino. Agnese guarda nella stanza.

Virginia va verso la cucina a gas e cerca qualcosa. Si china più vol­te a (astare il pavimento. Si muove evitando di fare rumore. Virginia è ih abito da casa, misero. Una giacca di lana, con grandi tasche.

Virginia urta contro una seggiola.

Agnese si gira nel letto. Brontola qualcosa di incomprensibile. Silenzio.

Virginia riprende a muoversi coi} prudenza nella stanza. Matilde si sveglia. Si raddrizza a sedere sul letto e segue con inte­resse i movimenti di Virginia. Silenzio.

Virginia si arresta di colpo, come fosse consapevole di essere os­servata.

Matilde non smette di seguirla con lo sguardo. Silenzio.

Virginia resta immobile per qualche minuto. Silenzio.

Le persiane dell'unica finestra sono chiuse. Evidentemente rovinate. Virginia fa qualche passo, poi ci ripensa, si arresta di nuovo. Silenzio.

Agnese sbuffa. Si rigira nel letto. Con un soffio spegne il lumino ed accende la lampadina. Luce della lampadina.

Virginia di spalle ai fornelli (raffica per qualche minuto. Agnese, ancora nel letto, i capelli in disordine, si raccoglie i capelli sulla nuca con una forcina. Sbadiglia.

VIRGINIA   Già sveglia?

AGNESE   (annuendo) Uhm!

VIRGINIA   Come mai?... Stai male? Ti senti male?

AGNESE   No. (Agnese si alza dal letto. Virginia sospira. A bassa voce) Perché me Io chiedi?

VIRGINIA   (trafficando ai fornelli, cercando) Cosa hai detto?

AGNESE   Perché mi chiedi se mi sento male. Sto benissimo, invece.

VIRGINIA   faenza inolia convinzione) Ali! (pausa)'Già in piedi a quest'ora.

AGNESE   Che ci trovi di strano?

VIRGINIA Niente. Non ti alzi mai così presto. A te piace restare a letto la mattina.

AGNESE   E allora? (pausa) Perché non lo fai anche tu? Dovresti farlo, qualche volta. Ti alzi sempre per prima, con quelle gambe tremolanti e malferme. (Agnese guarda la pendola. Sosia a lungo lì davanti, immobile. Poi siede sul divano) Chissà che ora è.

VIRGINIA   Guarda la pendola.

AGNESE   È ferma.

VIRGINIA   Cosa?

AGNESE Come, cosa? Uffa. La pendola. L'ho già guardala. È ferma.

VIRGINIA   Sei sicura?

AGNESE   Guardala tu se non mi credi, (ride) (Pausa).

VIRGINIA   Io non posso guardarla. Sono cieca, (risponde tran­quilla, come abituala ad essere maltrattata) Ecco perché non ha suo­nalo, stamattina. AGNESE   Non ha suonalo?

VIRGINIA   No. Altrimenti l'avrei sentita. (Virginia chiude l'ar­madietto e si dirige verso la sorella) La sento sempre.

AGNESE   Quando li alzi? (ridacchia)

VIRGINIA (dolcemeixte) No, non subilo. Dopo. Subilo dopo. Io mi alzo e la pendola suona. È sempre sialo cosi. Solo allora io la senio, (sorride)

AGNESE   Ma stamattina non l'hai sentita.

VIRGINIA   (confusa) Che vuoi dire?

AGNESE   Tu senti la pendola solo dopo che ti sei alzala? (ride)

VIRGINIA   È così. Ho l'orologio in lesta. In anticipo.

AGNESE   Ma se è ferma.

VIRGINIA Infatti. Curioso, ho pensalo, la pendola ha suonalo ed io non l'ho sentita. E invece non ha suonato. Ecco perché non l'ho sentila. Era ferma.

AGNESE   (provo con la chiave) Eppure è carica, (si siringe la ve­staglia) Ho freddo. Sai che Li dico? In fondo, hai ragione tu. Me ne tomo a letto, (pausa) Non rispondi?... (alza la voce) Ho detto che me ne torno a letto. VIRGINIA   Va bene.

AGNESE (va verso il letto. Vi si accuccia) 1.1 vento ha fischiato tutta la notte... Ad un certo punto, ho avuto paura che le persiane non avrebbero resistito. Sono fradicie. E quel cane, poi. Era un cuc­ciolo, certo. Ha guaito in continuazione. Ma lo strano sai cos'era? Ogni tanto ululava. Poi giuliva. Che angoscia. Ad un certo punto ha smesso... poverino. (Pausa).

VIRGINIA (si volta, sempre continuando a cercare) Di chi stai parlando?

AGNESE Del cane. Diventi anche sorda?... Come te lo spieghi?

VIRGINIA   Forse non era un cane.

AGNESE Come? E io allora che ho sentito?... No, no, era un cuc­ciolo. Ha guaito tutta la notte. Poi, di colpo, ha smesso, (le vecchie restano immobili) Che temporale. Sembrava crollasse tutto. Sof­fiava un vento gelido da tulli gli angoli della stanza. Volevo alzar­mi. Non ho potuto. Ero gelata. Avevo un bel tirarmi la coperta so­pra la testa; si scoprivano i piedi. Bisognava scegliere: o la testa o i piedi. (Virginia traffica nell'armadietto) Senti, Virginia, ho pen­sato, è qualche giorno che te lo volevo dire, potresti mettere una coperta in più nel Ietto. Una bella coperta imbottita. Rivolgiti alla signora qui vicino. Cerca di fartene dare una. In prestito, natural­mente. Non gliela sciuperemo. Dille che è solo per qualche giorno. Come riscalda un po', gliela restituiremo. (Virginia scuote la testa).

AGNESE   Questo posto non sarebbe male, se si potesse pulire. Noi ci stiamo in attesa di una sistemazione.

VIRGINIA   Dove stavamo non possiamo più tornare.

AGNESE   Ci hanno portato qui coi mobili e tutto. Mobili di ca­sa, antichi. Lo capisci da te, non possiamo lasciarli qui a ammuffire.

VIRGINIA   Potremmo venderli.

AGNESE Questi sono rimasti perché non li ha voluti nessuno. Ci siamo vendute tutto. Spesso mi è venuta l'idea di tornare là per cer­care di recuperare qualcosa, ma tanto, ormai, da questa stanza esco solo per andare al cesso

VIRGINIA   (si muove, cercando qualcosa)

AGNESE Stammi a sentire. Tu devi dirglielo. Devi spiegare a quel­la gentaglia che ci hanno spogliate di tutto, che noi non possiamo più stare qui... ci hanno fatto tante promesse, vigliacchi... ina in­tanto, almeno, mandino qualcuno a fare le pulizie. Questo posto sta diventando un letamaio Noi siamo vecchie. Facciamo quello che possiamo. Mandino una bella squadra di operai. In un paio d'ore è tutto pulito, (lamentandosi) Ho proprio bisogno di una coperta calda, di lana. Sono vecchia. Fuori la notte si gela.

VIRGINIA   Ma tu non esci mai.

AGNESE   No, ma se puliscono posso anche ricominciare ad usci­re, (annusa) C'è puzzo di vecchio, qui. Non senti? Colpa del cesso. Bisogna toglierlo dal ballatoio dove sia ora e portarlo dentro. Adesso apro la porta e faccio passare un po' d'aria.

VIRGINIA   Chiudi subilo quella porta. È pericoloso. Hai nuova­mente sognalo, sianone.

AGNESE   (impaurita) Sognato?

VIRGINIA   Ancora quei brulli sogni.

AGNESE   Quali sogni?

VIRGINIA   Quelli che hai sempre fallo.

AGNESE   Ti sbagli, non sogno mai.

VIRGINIA   Non sogni mai?

AGNESE   No.

VIRGINIA   Una volta sognavi.

AGNESE   Ah, una volta. Ora non più,

VIRGINIA   Da quando?

AGNESE Uff, è tanto che non faccio più un sogno come si deve. (quasi gridando) Dal giorno che morì nostro padre, non sogno più.

VIRGINIA   Perché ti agili?

AGNESE   È tutta cattiveria, li avverto. Anche papà e mamma di­cevano che era per via dei sogni che facevo, ed è finita come è fini­ta. Mi hanno rinchiusa. Suor Alice mi voleva bene. Ma ormai non sogno più. Non so che significa sognare. (Silenzio).

VIRGINIA   Hai un fiammifero?

AGNESE   Cdsa?

VIRGINIA   Un riammisero, per accendere ii gas. È Lauto che fru­go nell'armadietto. Dovevano essere qui, ma non li trovo.

AGNESE   (le indica la scatoletta dei fiammiferi bene in vista) Ma se sono lì. (poi come se ricordasse che Virginia è cieca) Ah, già... Uffa. Ecco i fiammiferi, (va a prendere la scatoletta dei fiammiferi e la agita. Virginia si volge dalla parte del rumore. Agnese cambia più volte posizione. Alla fine le consegna la scatoletta)

VIRGINIA   Grazie. Adesso faccio il caffè.

AGNESE   Sì. (come, non avesse ben capito, ripensandoci) Ma co­sa hai fatto finora? (irritata, le mostra i pugni) (Silenzio).

VIRGINIA   Come stai oggi coi dolori?

AGNESE   Perché?

VIRGINIA Non hai fatto altro che lamentarti in tutti questi giorni.

AGNESE   Oggi sto bene.

VIRGINIA   Meglio così. Vuol dire che non erano così forti.

AGNESE   Io non ho mai detto che erano forti.

VIRGINIA   È vero. Hai solo detto che avevi dei dolori.

AGNESE   Sì, ma sono guarita.

VIRGINIA   Mi fa piacere.

AGNESE   Che abbia avuto i dolori?

VIRGINIA   Ma no, mi fa piacere che tu sia guarita. Ti lamentavi in un modo. Era una pena starti a sentire.

AGNESE   Ah, sì... Anche se...

VIRGINIA   Eh?

AGNESE Sai come sono i dolori. Ti restano sempre per le ossa.

VIRGINIA   Certo.

AGNESE   Non scompaiono mai de! tutto, voglio dire. (Pausa).

VIRGINIA   Vanno e vengono.

AGNESE   (sospettosa) Chi?

VIRGINIA   I dolori.

AGNESE   Eh, già.

VIRGINIA   Proprio così.

AGNESE E non sai mai dove. Una volta ti prendono alla schie­na, un'altra alle gambe e così via.

VIRGINIA   Sono imprevedibili.

AGNESE   Come hai detto?'

VIRGINIA   Imprevedibili.

AGNESE   Eh, sì.

VIRGINIA   Tornano quando meno te li aspetti.

AGNESE   Magari non hai niente per un po' di tempo. Tu pensi che le medicine ti abbiano fatto effetto, poi improvvisamente tor­nano. Ma così forti, che non ti puoi più muovere. Non puoi farci niente. Solo tenerteli. Neppure lamentarti, puoi. Perché, ecco, c'è subito chi ne approfitta, (indica dietro, verso Matilde) Ooooh, non dico per te, Virginia. Tu sai chi voglio dire. Tu sei buona. Dipen­desse unicamente da te, non vivremmo come viviamo qua dentro. Te Io dico io. (pausa) Eh sì, a pensarci bene è un po' che non li sento i miei dolori. Ma non c'è da fidarsi. Li conosco. Un po' e tornano. Sicuro, (silenzio, Di colpo) Hai innaffiato i gerani?

VIRGINIA   Come?

AGNESE   1 gerani li hai innaffiali?

VIRGINIA   No.

AGNESE   Lo sapevo. Ti avevo pregata di starci allenta. Poveri gerani. Seccheranno.

VIRGINIA   Ma quali gerani?

AGNESE   Li ha piantati nostro padre perché piacevano tanto al­la mamma. Li ha piantati per lei.

VIRGINIA   Non Io sapevo.

AGNESE   Papà e mamma passavano ore insieme in giardino. Con­cimavano la terra. La zappettavano. Potavano le piante. L fiori li innaffiavano ogni giorno. Gerani rosa, scarlatti, picchiettali di ne­ro... porporini. Tutto il giardino era una gran serra fiorila.

VIRGINIA   Non abbiamo più il giardino.

AGNESE   Non abbiamo più il giardino?

VIRGINIA   No. La villa è stata demolita.

AGNESE   E il giardino?

VIRGINIA   Hanno costruito.

AGNESE Hanno costruito nel giardino che nostro padre ci ha la­sciato?

VIRGINIA   Sicuro.

AGNESE   Avranno almeno risparmiato la fontana.

VIRGINIA   Hanno costruito. .

AGNESE   Dov'era la fontana non possono aver costruito.

VIRGINIA   Hanno costruito.

AGNESE   In quel giardino nostro padre coltivava le sue begonie,

VIRGINIA   Non hai detto che erano gerani?

AGNESE   Anemoni rossi... tanti fiori. Qualche volta ci portava a vederli. C'era da percorrere un lungo viale alberato... pini, dove cinguettava il becco frosone.

VIRGINIA   Cosa?

AGNESE Papà ci teneva per mano. Tu da un Iato, io dall'altro. Matilde, invece, restava con la mamma un po' indietro. E papà ci portava ad ammirare le sue begonie. Era fiero delle sue begonie. Anche di noi era fiero. Poche cose Io rendevano fiero nella vita. Noi eravamo fra queste.

VIRGINIA   Eravamo le sue figlie.

AGNESE   Non dirmi che Io hai dimenticato. Possibile che non ri­cordi più tutto questo? (Silenzio).

VIRGINIA   Prendi sempre le medicine?

AGNESE   Per pigliarle, le piglio. Tanto per farvi contente.

VIRGINIA   Anche stamattina le hai prese?

AGNESE   Perché me lo chiedi?

VIRGINIA   Le hai prese o non le hai prese?

AGNESE   Non ricordo.

VIRGINIA   Come sarebbe?

AGNESE   Te l'ho detto. Non ricordo.

VIRGINIA   Che vuol dire, non ricordo?

AGNESE   Non so se l'ho prese, oppure no.

VIRGINIA   Non l'hai prese, secondo me. Perché stamattina sei più svagata del solito. Insomma, si può sapere? Se non prendi le medicine, sei svagata. Se sei svagata, ti dimentichi di prenderle. Pren­dile, prendile. Faresti bene a prenderle, senti a me. Se smetti, non si sa cosa può succedere.

(Da dietro il paravento, compare Matilde. Indossa un kimono di qualche pretesa, ormai liso. Dai colori sbiaditi. Ha i capelli divisi in ciocche, avvolti in bigodini di carta).

MATILDE   Buongiorno, Virginia.

VIRGINIA (premurosa) Oh, Matilde, perché ti sei alzata. Sto facendo il caffè. Se fossi rimasta a Ietto, te lo avrei portato io stessa.

MATILDE Ora sono qui e Io prendo in piedi, (rivolta ad Agnese) Buongiorno, Agnese. (Agnese non risponde. Ripete, forte) Agne­se, buongiorno. (Agnese, seduta sul divano, le volta le spalle) Salu­tare è cortesia, rispondere è dovere. Buongiorno, Agnese. (Agnese fa spalla) Sbaglio o non ho sentito suonare la pendola, stamattina.

AGNESE (guardando la pendola) È ferma.

MATILDE (volgendosi verso Agnese) Ti ho salutata, Agnese.

AGNESE   (senza voltarsi) Ti ho sentita.

MATILDE   (avvicinandosi a Virginia) Ma che ha, Virginia?... Ha preso la medicina che le ha ordinalo il dottore?

VIRGINIA   Certo, Matilde.

MATILDE   Allora sta bene.

VIRGINIA   Certo che sta bene.

MATILDE   Proprio bene?

VIRGINIA   Sicuro.

MATILDE   Dappertutto?

AGNESE Ma che dice, questa schifosa?... (gridando) Sto be­nissimo.

MATILDE   Mah.

AGNESE   (le fa il verso) Mah!

(Pausa).

VIRGINIA   Anche i dolori le sono passati.

MATILDE   (ad Agnese) È vero?

VIRGINIA   Certo che è vero. Diglielo tu, Agnese.

AGNESE   Sono guarita.

MATILDE   Mi fa proprio piacere.

AGNESE   Cos'è che le fa piacere, Virginia?

VIRGINIA   Che tu sia guarita.

AGNESE   Ah, ecco.

VIRGINIA Che tu non abbia più quei dolori. Non erano poi così ferii, sai Matilde.

MATILDE   Comunque ora non li ha più.

VIRGINIA   No. Ora è guarita.

MATILDE   Ne ho piacere.

AGNESE   Che ha detto, Virginia?

VIRGINIA   Che ne ha piacere.

AGNESE   Ah!

.VIRGINIA   Ma sì, scusa, che ci trovi di strano? Le fa piacere, ve­di, che tu non abbia più quei dolori, che tu sia guarita.

AGNESE   Ma non le aveva già Fatto piacere prima? Comunque, se fa piacere a lei ne ho piacere anch'io. Ho piacere che a lei faccia piacere... Sono generosa. (Lunga pausa).

MATILDE   Senti, Agnese... tu non devi fraintenderci. Noi lo fac­ciamo per il tuo bene. È perché ci preoccupiamo della tua salute. Non altro. Mi sembra che sia nostro dovere. Siamo le tue sorelle. Non vogliamo ti possa succedere qualcosa.

AGNESE   Che dovrebbe succedermi, Virginia?

VIRGINIA   Ma niente. Si fa per dire.

MATILDE   Sei troppo sospettosa.

AGNESE   Perché, allora, Io ha chiesto a te come mi sento?

VIRGINIA   Matilde voleva solo sapere come stai, cerca di capire.

AGNESE   Perché non Io ha domandato a me.

MATILDE   D'accordo. Ora lo chiedo a te, cosi la facciamo fini­ta. Come ti senti? Me lo dici?

AGNESE   Benissimo... E tu?

MATILDE   Ah, bene, grazie, anch'io.

AGNESE   Allora stiamo bene tutte e tre, vivaddio. (Pausa).

VIRGINIA Sì, anch'io sto bene. Erano un.po' di giorni che sof­frivo d'insonnia. Non ho detto niente per non allarmarvi. Ma ora la notie ho ripreso a dormire, (sorride) Come un ghiro. (Silenzio. Le sorelle restano ini mobili. All'improvviso, dei forti colpi dati alla porta, il suono del campanello e la voce di alcuni ragazzi che canticchiano la filastrocca per le scale).

AGNESE (va alla porta e grida) Zitti, zitti... maleducati. Questa casa.,. Come siamo ridotte.

(Pausa. Ancora risate per le scale. Virginia si alza, chiude il para­vento e. lo poggia contro la parete. Alza il letto).

VIRGINIA   Matilde, esci stamattina?

MATILDE Si. Ieri ho visto delie stoffe così belle in una vetrina. Oggi voglio passare ancora davanti al negozio per rivederle. (Ma­tilde si rinfresca il (racco. Agnese resta immobile a guardarla) An­zi, sai che sto pensando? Magari entro e me ne faccio dare un cam­pione. Non si sa mai. Potrebbe sempre servire. Il commesso mi co­nosce. Sto II piazzata davanti al negozio per ore. Se glielo chiedo, non mi rifiuterà un simile favore.

VIRGINIA Ricordati, Matilde, di portar giù il pacco dei giorna­li, quando esci. E vedi di farteli pagare un po' di più. La gente non me li regala più volentieri. Anche raccogliere giornali diventa ogni giorno più difficile.

(Pausa).

AGNESE   Ieri abbiamo dovuto vendere l'ultimo anellino.

(Silenzio),

VIRGINIA   Li hai legali bene quei pacchi, Agnese?... Siamo sicure?

AGNESE Lei non prenda il pacco per io spago, signora Matilde. Lo sostenga anche da sotto. Lo spago è sottile, potrebbe rompersi e allora lutti i giornali finirebbero per le scale, (chiude il pacco) Non sa fare neppure un nodo. Anche i pacchi debbo farli io. Ecco. Uf­fa... Si fa cosi e così, (ha finito) E riportare lo spago, (vorrebbe passare. Matilde le ostacola il passaggio) Dammi quella bottiglietta.

MATILDE (indicandola) Questa?

AGNESE   Sì.

MATILDE   (la prende e la osserva) Cos'è?

AGNESE   Medicina.

MATILDE   Ah! (legge) E-u-g-I-e-n-u-s.

AGNESE   Dammela.

MATILDE   Che significa «Euglenus»?

AGNESE   Insomma, me la vuoi dare?

MATILDE   Tu prima dimmi che significa.

AGNESE   Non lo so.

MATILDE   Come? Non sai che significa?

AGNESE   Dammela.

MATILDE   No.

AGNESE   Virginia, per favore, vuoi dirlo tu a Matilde.

VIRGINIA   Dalle la bottiglietta, Matilde.

MATILDE   Prima deve dirmi che significa «Euglenus».

AGNESE   Non lo so.

VIRGINIA   Non Io sa.   " ,

AGNESE   Se nessuno me lo spiega, come faccio a saperlo?

VIRGINIA   II dottore, l'ultima volta che è venuto, le ha detto: «Prenda questa medicina. Due volte al giorno».

MATILDE   E lei ha continuato a prenderla senza sapere che prendeva?

AGNESE Per forza, sennò a voi due chi vi sentiva. Dammi la bot­tiglietta.

MATILDE   No.

VIRGINIA   A me la vuoi dare?

MATILDE   Voglio prima sapere che significa.

VIRGINIA   Come hai detto che si chiama?

MATILDE   «Euglenus».

VIRGINIA   Effettivamente, è un nome strano.

AGNESE   Altroché.

MATILDE   Forse viene dal greco.

VIRGINIA   Dal greco?

MATILDE   Eh, sì.

AGNESE Perché proprio dal greco? Può venire anche dal latino, se è per questo.

VIRGINIA   Agnese ha ragione. Molte parole vengono da lì.

MATILDE   Conoscete il latino, voi?

VIRGINIA   Io, no.

AGNESE   Ah, neppure io.

MATILDE   E allora?

AGNESE   Conosci il greco, tu?

MATILDE   Io no.

AGNESE   Neanch'io.

VIRGINIA Noi no, ma nostro padre si. Conosceva greco e lati­no. Conosceva tutto, lui.

AGNESE   Che c'entra nostro padre, adesso, (tenia di strappare la bolligliela a Madide) Dammela, è mia.

MATILDE   (difendendola) No.

VIRGINIA   Dalla a me, Matilde.

MATILDE   Chissà che robaccia è. Sapete che faccio? Adesso la butto nel lavandino.

AGNESE   (gridando) Noooo.

MATILDE   Sì. (Madide versa il contenuto della bottiglietta nel la­vandino) È un liquido rosso... Però, ha un buon profumo.

AGNESE   Peccato. Era così dolce. La mattina mi piaceva pren­derne un cucchiaio.

(D'improvviso, il rumore del caffè che esce dalla macchinetta).

VIRGINIA   11 caffè. Non sentite? Spegnete.

MATILDE   È uscito fuori. Hai visto? Tutto per colpa tua.

AGNESE   Colpa mia?

MATILDE   Se non ti mettevi a giocare con la bottiglietta.

AGNESE   Veramente sei stata tu, e poi Virginia...

MATILDE   Lascia stare Virginia. Lei è cieca.

AGNESE   Ma a te chi ti ha chiamata, dì un po'? Perché non sei rimasta a Ietto. Ma tu vedi questa... Colpa mia. Ma va, va, va...

VIRGINIA   Agnese, Agnese...

(Matilde alza le spalle, prende, il bricco, si versa per sé il caffè in una tazzina).

AGNESE Ci mancava solo lei a metter bocca, adesso. Come non bastassero tutti i guai che abbiamo. Ma già, tanto, a lei che gliene Importa. Non ha preoccupazioni. Mai una volta che dia una mano. Sono io che pulisco. Lei sporca e se ne va. E non parliamo del re­sto, poi. Non passa giorno che non s'imbratti la faccia di colori, manco fosse un indiano. E tutti i pendagli che si mette. Virginia, se tu vedessi come si combina quando esce.

VIRGINIA   Lasciala stare.

(Silenzio. Agnese versa il caffè nelle tazzine. Per sé e per Virginia. Matilde ha un sussulto. Poggia la sua tazzina. Siede).

MATILDE   Scotta.

(Silenzio. Appaiono sedute una accanto all'altra, sul divano. Tutte e ire ora bevono il caffè. Tre civette sul comò).

AGNESE   (ride) Che roba hai in testa, Matilde. (Matilde non ri­sponde) Ti ho chiesto che cosa sono quei cosi che hai in testa.

MATILDE   Bigodini.

AGNESE   Non i bigodini. Quegli altri.

MATILDE   Si chiamano beccucci.

AGNESE Lo so, scema, come si chiamano. Ma non parlo né dei bigodini, né dei beccucci. Parlo, invece, di quei ridicoli cosi che ti scendono sulla fronte.

MATILDE   Si chiamano tirabaci.

AGNESE   Come?

MATILDE   Tirabaci. Si chiamano cosi.

AGNESE   E tu che te ne fai? Non te ne accorgi? Sei ridicola. Non ti reggeranno. Come li sciogli, ti cadranno sugli occhi. Farai una bella figura.

MATILDE Reggeranno benissimo. Come si vede che non te ne intendi di queste cose. Ci ho messo il succo di limone e ho aggiunto la chiara d'uovo.

AGNESE   Hai messo la chiara d'uovo nei capelli?

MATILDE   Sicuro.

AGNESE (a Virginia) Ma la senti, Virginia? E del tuorlo, che ne hai fatto? Te lo sei spalmato sicuramente da qualche altra parte, ci scommetto. Ma guarda un po' che si deve sentire. Roba da paz­zi. Un uovo sciupato per mettersi la chiara nei capelli. Con quello che costano, dico io. (pausa) Anch'io ci tenevo ai miei capelli, ma non ricordo di aver mai fatto porcherie simili.

MATILDE   (sì alza) Mi lavo e mi vesto.

(Matilde si dirige verso il fondo. Prende una pezzuola, la bagna e se la passa sul viso. Prende, passando, un vestito dal gancio. Apre il paravento e scompare. Silenzio. Agnese si muove per la stanza. Va alla pendola e l'accarezza. Virginia rimane immobile, dove è seduta).

AGNESE Povera pendola! Quando ci cacciarono di casa, dopo il fallimento di papà, la portammo con noi. È vecchia. Non funzio­na più tanto bene. Un po' come noi. Bisogna capirla. Ogni tanto s'incanta.

VIRGINIA   D'improvviso, si ferma.

AGNESE È così. Non sai perché. Ti affanni, ma è tutto inutile.

VIRGINIA Tutto s'annebbia. Le forze ti abbandonano. È que­sto che vuoi dire?

AGNESE Ma di chi stai parlando? lo parlo della pendola. Che hai capito? Forse, se le dessimo uno scossone, si riprenderebbe. Qual­che volta è successo, (dà imo scossone alla pendola e poi ancora un altro. Brontola) Macché. Niente. Eppure, qualche volta è suc­cesso. Meglio sarebbe caricarla tutte le mattine, (si volta verso Vir­ginia) Sai che potremmo fare? Potremmo cambiarla. Vendere questa e comprarcene una'nuova. Eh?... (Madide da dietro il para­vento ride) C'è gente che chissà che darebbe per avere Una pendola così, anche se non funziona. Sì, perché le pendole vecchie che fun­zionano se ne trovano. Le fanno apposta. Lo sapevi? Ma di pendo­le vecchie, come questa, che non funzionano, non se ne trovano. Sono un cimelio. Capisci? D'altra parte non si può pretendere da un cimelio che funzioni. Loro lo sanno e le comprano per questo. Perché non funzionano. È un po' difficile capirli, lo so. Io, infatti, non li capisco. A me una pendola serve se funziona. Se non funzio­na, la butto. (Matilde, da dietro il paravento, ride ancora) Non me la metto in casa, voglio dire. Quelli, invece, fanno tutto il contra­rio. Tengono quella che non funziona. Così potrebbero comprarsi anche questa. Tu die ne dici, Virginia?

VIRGINIA Ci penseremo. Ci penseremo.

AGNESE   Sì, sì, sì.

MATILDE   (da dietro il paravento) Sono pronta, (esce. Indossa un lungo abito, stile anni venti. Al collo porta numerose collane. Ha il petto esageratamente rigonfio e si aggiusta le falde di un lar­go cappello) Come sto? (Silenzio).

AGNESE   (sbuffa, prende della carta bianca, la spiega bene, ma­gari la ritaglia, prende una brocca d'acqua e fa per uscire) Io vado ai cesso. (Agnese apre la porta e la richiude di colpo)

MATILDE   Che succede?

AGNESE C'è gente là fuori. Non voglio che mi vedano. Mi vergogno.

(Agnese si volta. Esce. Silenzio. Matilde si accosta piano a Virginia).

MATILDE   (inquieta) Virginia, è un po' che te lo volevo dire. Fran­camente, Agnese mi preoccupa.

VIRGINIA   No, perché?

MATILDE Da un po' di tempo, ha ripreso le sue solite strambe­rie. Certi discorsi, che ti debbo dire. Io non la capisco. Li hai sentiti anche tu, no? Non ragiona. Segue tutto un suo filo di pensieri, che è difficile da capire. Poi cambia umore, come niente. Hai fatto ca­so? D'improvviso diviene irascibile, nervosa. Ormai lo è sempre più spesso. Ce l'ha con me. Vai un po' a capirla. Io mi sforzo di non urtarla, ma è tutto inutile. Hai sentito prima come mi ha trattata?

VIRGINIA   Lo fa con (ulte e due.

MATILDE Ma da un po' di tempo, non ti pare sia peggiorata? Ci insulta, senza motivo. Quanto credi che possiamo resistere in que­ste condizioni? Ci hai pensato? lo comincio ad averne abbastanza delle sue stravaganze. E tu sei troppo condiscendente. Lei se ne ap­profitta.

VIRGINIA   Ma no.

MATILDE Aspetta, ssst, non parlare. È capace di stare ad ascol­tare dietro la porta quello che ci diciamo, (apre la porta, guarda fuori, poi la richiude) Vedessi poi come è sciupala. Negli ultimi tempi ha fatto una faccia. Un viso pallido. E lo sai perché? La notte non dorme.

VIRGINIA   E che fa?

MATILDE Lo sai tu? Si alza. Passeggia per la stanza, come un fantasma. Apre i cassetti piano piano, poi di colpo li richiude. Si aggira al buio, poi si rimette a letto. Ma non resiste a lungo. Sta distesa per un po', poi si rialza. E va avanti così fino alla mattina. Secondo me, senti, dovremmo chiamare un dottore. VIRGINIA inutile. Sappiamo quello che ha. Bisogna sopportar­la. È nostra sorella.

MATILDE L'altro giorno, io dovevo uscire. Mi ero già tutta ve­stita. Mi richiama indietro e ini fa: «Restituiscimi il mio foulard verde». E chi l'ha visto il tuo foulard verde, dico io. Quella niente. Insisteva. Alla fine, sai che mi dice? «Io Io so che te ne fai del mio foulard verde. Te lo metti in petto». Non è ridicolo? Il suo foulard verde... Ma figurati. La verità è che io ho il mio mondo, le mie ami­cizie. Oltretutto è una questione di stile. E non è da tutte. O ce l'hai, o non ce l'hai. Lo stile. Non puoi improvvisare, voglio dire. Sai, non è facile. Io ho portamento, ho gusto, una bella figura. Tutte doti che valgono e le ho tutte io. D'altra parte me lo dicono le mie amiche. Fanno a gara per venirmi a chiedere come si debbono ve­stire. Ammirano la mia eleganza. Invidiano la mia carnagione. II fatto è che io sono rimasta giovane ed è questo che la fa soffrire. (si dà una ri toccati na al cappello) Senti, Virginia, ora vado a porta­re il pacco dei giornali, (piano) Tu, intanto, ripensa a quello che ti ho detto dei dottore. Poi decideremo, (prende il pacco, si avvia, torna indietro) Ah, non una parola con lei. Mi raccomando. Bada. Torno subilo, (esce. Silenzio. Da fuori si sente la voce di Madide) Ciao, Agnese. Torno subito.

AGNESE   (f.cj Va al diavolo! (Virginia è rimasta al suo posto, immobile. Entra Agnese con la broc­ca vuota, che va a riporre) Aspettavo che se ne Tosse andata. Aaaah! Quanto avete chiacchierato. Ecciccì, ecciccì. Di cosa avete parla­lo? Di me?

VIRGINIA Quella povera Matilde. Si comporta ancora come una ragazzina.

AGNESE   L'ho sentila.

VIRGINIA È rimasta sempre un po' infantile. Frivola. Non tro­vi? Mi preoccupa. Figurati, voleva convincere me che tu fai delle stranezze.

AGNESE   Ma è pazzesco.

VIRGINIA È quello che dico io. Pazzesco. Tu le hai sempre fatte le stranezze. Non è una novità.

AGNESE   Quella pettegola. Non mi fido di lei, Io sai. Non mi fido più di nessuno.

VIRGINIA   Neanche di me?

AGNESE Neanche di te. Li conosco i vostri scherzi, io. Grazie tante. Ma come può essere nostra sorella quella? Te lo sei mai do­mandato?... L'altro giorno, Io sai che ha fallo? Si è presa il mio fazzoletto di seta verde. «Restituiscimi subilo il mio fazzoletto». Le ho detto. «Ti ho vista mentre Io prendevi». Lo sai che mi ha risposto? «Non so di quale fazzoletto tu stia parlando». Così mi ha risposto. E invece lo sapeva benissimo. Il mio fazzoletto di seta verde. Se l'era messo in petto, (fa dei gesti, di modo che il petto sia formoso)

VIRGINIA   Mi pareva che tu glielo avessi regalato.

AGNESE   No. Gliel'ho soltanto prestalo, il mio fazzoletto di seta verde. E lei se Io mette in petto.

VIRGINIA Senti, Agnese, ora vado dalla signora qui accanto a chiederle se ha i giornali da regalarmi. Speriamo che il marito non sia in casa, sennò non me li dà. Quell'uomo è un avaro, (esce e la­scia la porta aperta)

AGNESE (la insegue e la richiama indietro) Virginia... Virginia...

VIRGINIA   Che c'è?

AGNESE Parlale della coperta... Dille che è in prestito, natu­ralmente.

VIRGINIA   Sì, sì. (esce)

AGNESE (si trova accanto alla pendola, l'accarezza) Povera pen­dola, vecchia mia... sgangherata, come noi. (sull'uscio è comparsa Matilde. Agnese si volta. Matilde sorride. Silenzio. Matilde si diri­ge verso il divano. Siede. Si aggiusta il seno. Estrae una scatoletta. Agnese (a guarda. Matilde si mei te in bocca alcune pastiglie. Subi­to dopo le sputa)

MATILDE   (forte) Puah! Puah!... (guarda Agnese) Puah!

AGNESE   Che fai?

MATILDE   Puah!

AGNESE   Olio, dico a te. Ti sei messa di nuovo a succhiare quel­la sporcizia?

MATILDE   Puah!

AGNESE Smettila. Mi senti? Dovresti smetterla di succhiare quella robaccia e di sputarla in terra. Come te Io debbo dire. Mi fai schifo. (Pausa).

MATILDE   (succhia le pastiglie, poi le sputa) Puah! Puah!

AGNESE   Ma non ti vergogni? Alla tua età? È stomachevole quello che fai.

MATILDE   Puah!

AGNESE Dì, io parlo con te. Mi senti?... Eh, già, la signora esce, sistema i giornali e invece di portare i soldi a casa, che fa? Si com­pra le giuggiole. Se le caccia in bocca. Succhia Io zucchero e sputa il resto. E noi ci ritroviamo col salotto buono pieno di quelle por­cherie.

MATILDE   Puah! Puah!

AGNESE   Tu lo fai per me, dì la verità. Tu lo fai per fare dispetto a me. Perché, tanto, chi pulisce poi? lo. Sempre io.

MATILDE   Puah! Puah!

AGNESE Una volta o l'altra, sai che succede? Ci metto il piede sopra, non me ne accorgo, ci metto il piede sopra e per me è bella e finita. Se cado in terra, poi chi mi rialza? A questo tu non ci pen­si. A te non importa, vero? Basta che fai il comodo tuo. Ma stavol­ta, sai che faccio? Non le raccolgo. Lascio tutto lì. Così, quando viene Virginia, magari casca lei.

MATILDE (succhia le pastìglie, indifferente; poi le sputa) Punii ! Puah!

AGNESE Sai che stai facendo tu qui? Stai riducendò la casa un letamaio. Dove dovresti abitare tu. Anche nostro padre lo diceva. Apriva la porta della tua camera: «Questa stanza è un letamaio», diceva.

MATILDE Non è vero. Papà non avrebbe mai detto una cosa si­mile. Sei cattiva. Menti.

(Compare Virginia, con una coperta- e dei giornali).

VIRGINIA   Che c'è? Che succede?... State litigando?

MATILDE   È lei che ha cominciato.

AGNESE   Stai attenta, Virginia. Ha sputato le giuggiole per ter­ra. Come a! solito. Io le ho solo detto di smetterla.

MATILDE   Stai dicendo una bugia.

VIRGINIA Insomma, basta. Finitela, (avanza) Agnese, guarda. La signora mi ha dato questa bella coperta di lana. Ha detto che possiamo tenerla tutto il tempo che vogliamo. Sei contenta?

(Pausa)

AGNESE   Restituiscimi i! mio fazzoletto.

MATILDE   La senti, Virginia?... Poi non dire che sono io.

AGNESE   Lo so che te ne fai del mio fazzoletto. Schifosa. Te lo metti in petto.

VIRGINIA   Ma, Agnese...

AGNESE Dille di restituirmi subito il mio fazzoletto, Virginia. Altrimenti le metto le mani addosso.

MATILDE   Vigliacca, bugiarda, prova... e ti faccio vedere io.

VIRGINIA   (urla e si tappa le orecchie) Basta, smettetela tutte e due. Non ne posso più. Fatela finita, (piange) Madide ed Agnese smettono di colpo e si guardano, stupite. Si av­vicinano insieme a Virginia per consolarla).

MATILDE   No, Virginia... Virginia.

AGNESE No, cara... Non fare così, (afferra Matilde, te toglie il foulard dal petto e lo mostra soddisfatta) Ecco il fazzoletto. Vedi, Virginia? Avevo ragione io.

(D'improvviso, la pendola si mette a suonare cogliendo le sorelle di sorpresa).

AGNESE (tappandosi le orecchie) La pendola, no. Fermatela. Non posso. Fatela smettere, vi dico. (Agnese cade in ginocchio. Matilde guarda Agnese, allibita) Via, via... Suor Alice verrà e vi punirà. Siete state cattive. Via, via, andate via.

(Matilde piange. Virginia prende tra le braccia Agnese e la consola, come una bambina. La pendola prosegue i suoi colpi. Sempre più profondi. Come impazzita).

Sipario


ATTO SECONDO

La scena è la stessa.

Le persiane sono chiuse, come nell'atto precedente. La lampadina accesa penzola sempre dal soffitto. Agnese è in scena. Porta il foulard sulla fronte a mò di benda. Si­lenzio. D'improvviso, con uno strattone, trascina in scena Matilde da dietro il paravento.

AGNESE   Che ci Fai li dietro? Mi slavi spiando?

MATILDE   (alza le spalle) Vado a portar giù la spazzatura.

AGNESE   A quest'ora?

MATILDE   Non è una novità. Che ci trovi di strano? La porto sempre giù io la spazzatura, la mattina.

AGNESE   Chi ti dice che adesso sia mattina.

MATILDE   Perché, non lo è?

AGNESE Come fai a stabilirlo. Bisognerebbe spalancare le per­siane. Ma non si aprono. Sono chiuse.

MATILDE È mattina. (Silenzio. Ride) Lo sai, giorni fa, che mi è successo? Slavo andando a portar giù la spazzatura, come ades­so. Busso alla porla della signora accanto, per farmi dare la sua. Come sempre. È una cortesia che le faccio, per via dei giornali che ri mette da parte. Mi apre il marito, mezzo assonnalo, in pigiama. «Torni a letto, signorina», mi dice. «Ma Io sa che ore sono? Non sta bene che una persona perbene come lei se ne vada in giro a suo­nare i campanelli a quest'ora». Si mette a bestemmiare... AGNESE   Ma va?...

MATILDE A bestemmiare, a bestemmiare. Ha tirato giù certi moccoli.

AGNESE   Quell'uomo è... un brullo ceffo. MATILDE   E mi richiude di colpo la porla in faccia; (ride) Ma il bello sai qual'è? Aveva ragione lui. Proprio. Non era mattina. Era notte piena, figurati.

(pausa)

AGNESE Beh, adesso che fai? Non vai più? Ci hai ripensato?

MATILDE   Slavo andando quando tu mi hai fermata.

(Madide fa per avviarsi, col sacchetto della spazzatura in mano).

AGNESE   Sia bene allenta quando scendi.

MATILDE   Perché?

AGNESE   Che non ci sia nessuno nascosto per le scale.

MATILDE   A far che?

AGNESE   Ad aggredirti. Ma non li leggi i giornali?

MATILDE   Altroché se li leggo. Quelli illustrati. Sono la mia passione.

AGNESE   Piacciono anche a me. (Pausa).

MATILDE   L'altro giorno ho Ietto una storia divertente.

AGNESE   Ah, sì? Raccontala anche a me.

MATILDE   Di un ragazzo che doveva cavarsi un dente.

AGNESE   E Io trovi divertente?

MATILDE Aspella, il bello viene adesso. Il ragazzo si siede. II dottore gli chiede: «Qual'è?» II ragazzo gli mostra il dente. Il dot­tore lo estrae, poi si accorge che era sano, (ride) Non era quello ma­lato, (ride) Era un altro.

AGNESE   (mormora, scuotendo la testa) Cretina, cretina, cretina.

MATILDE   Aspetta, non è finita. Il ragazzo torna a casa. Non si sente bene. Ha dolori. Il padre decide di portarlo all'ospedale. Qui Io scambiano per un drogato e Io portano alla Neuro.

AGNESE   Oh, insomma, basta.

MATILDE   Guarda che è una storia vera, non me la sto inven­tando io. (Pausa).

AGNESE   Anche a me ne sono successe di cose. Sta a sentire. Una volta, ero sola in casa. Bussano alla porta, io apro e sai chi c'era?

MATILDE   Chi c'era?

AGNESE   Un «uomo».

MATILDE   Ma no?

AGNESE   Alto, grosso... con un pacco in mano.

MATILDE   E tu che hai fallo?

AGNESE Puoi immaginare. Gli ho chiuso subilo la porta in faccia.

MATILDE   (sospira) Hai fatto bene.

AGNESE Sì, ma quello riesce, non so come, ad infilare un piede nella porta.

MATILDE  Ooooh, povere noi.

AGNESE   Spingendo, cerca di entrare.

MATILDE   E poi? Che è successo?

AGNESE  Urla perché, dice, ii piede gli è ri inasto incastrato e gli fa male. Figurati. Diceva di essere un rappresentante di detersivi con un regalo per noi da parte della sua ditta.

MATILDE   Che genere di regalo?

AGNESE    Ma non era vero niente.

MATILDE   E tu come facevi ad esserne così sicura?

AGNESE   Gli si leggeva in faccia che diceva una bugia. Basta. Io, comunque, non mollo. Più lui urlava, più io spingevo. È salita tanta gen­te. «Andate via tutti», ho detto, «se questo tipo losco ha qualcosa da consegnarmi, lo lasci fuori della porta. È inutile che stiate a curiosare».ù

MATILDE    Hai fatto bene.

AGNESE   Altroché.

MATILDE    Se ne sentono tante, oggigiorno, (pausa) Ma lo sai? Che anche a me, una volta è capitata una cosa simile.

AGNESE    Ah, sì? Quando?

MATILDE   Oh, quando, con precisione, adesso non ricordo. Un uomo voleva introdursi con la forza nella mia camera.

AGNESE    Un «uomo»?

MATILDE    Si!

AGNESE    Ma, quando? Quando eri giovane?

MATILDE  Te lo racconto dopo. Prima vado giù a portare la spazzatura(esce, da fuori la si sente esclamare qualcosa, poi torna in scena. Agnese resta immobile) Ma guarda cosa hanno combinato i gatti dei vicini. Hanno rotto il sacchetto con le unghie e l'immondizia si è sparsa tutta per il pianerottolo.

AGNESE   Un bel guaio.

MATILDE    Certo. Adesso bisognerà pulire tutto. E noi siamo così deboli.

AGNESE Se non ci fossimo noi a pulire, questo pianerottolo sarebbe un letamaio

MATILDE  E le scale, sapessi, non sono da meno. Sempre buie. Non sai mai dove metti i piedi. Un giorno di questi faccio un ruzzolone. Il portone, poi, sta cadendo a pezzi.

AGNESE   Dovremmo pulire anche quello.

MATILDE Per prima cosa, bisognerebbe far togliere tutti quei bidoni. Ammorbano l'aria. Salgono zaffate da quei bidoni. Debbo tapparmi il naso ogni volta che passo di lì. Eeeh, un tempo non era cosK Te lo ricordi? Un tempo... c'era il capo-palazzo a quell'epoca a far rispettare l'ordine e la pulizia. C'era più disciplina.

AGNESE Non parlare di politica. (Pausa).

MATILDE   Mi ricordo...

AGNESE   (interrompendola) Sssst, sta un po' zitta..,

MATILDE   Che hai sentito?

AGNESE   Un vagito.

MATILDE   Ma va...

AGNESE   Era un vagito, ti dico.

MATILDE   Sarà stato un gatto. Ce ne stanno tanti.

AGNESE   Sta a vedere che non riconosco più i vagiti, adesso.

MATILDE   Perché dovresti? Quando mai hai avuto un bambino, tu? Non c'è mai stato un bambino in casa nostra.

AGNESE   Eppure io l'ho sentito. Vagiva.

(Silenzio).

MATILDE Mi ricordo, una volta, c'era la guerra. Presero, non so come, un pilota inglese che si era buttato col paracadute. Tutti lo circondavano. Uomini e donne. E Io guardavano con curiosità. Nessuno però osava toccarlo. II capo-fabbricato avanzò, si fece largo tra la folla e gli assestò due schiaffoni. «Pam, pam». Quelli si che erano uomini.

AGNESE Non parlare di politica. Ssst, sta zitta... Hai sentito?

MATILDE   Ancora?

AGNESE   Non è un gatto. È un bambino. Supponi che qualcuno abbia abbandonato un bambino fuori della nostra porta.

MATILDE   Perché avrebbe dovuto?

AGNESE   Supponi che sia così.

MATILDE   Corri a prenderlo, allora, (e alza le spalle)

AGNESE   Era solo un'ipotesi, (pausa. Le sorelle restano, vigili, in ascolto) Macché, non si sente più.

MATILDE Ti sarai sbagliata. (Agnese va alla porta, l'apre di col­po, poi la richiude. Improvvisamente) Se tu avessi un figlio, che ne faresti?

AGNESE Che domande. Non lo abbandonerei certo fuori di una porta.

MATILDE   Neppure io.

AGNESE   Supponi che qualcuno, passando, si sia detto: «Qui abi­tano quelle tre vecchie sorelle. Non hanno nessuno al mondo, la­scio qui mio figlio». MATILDE   Allora che faresti?

AGNESE Per prima cosa prenderei il bambino, Io cullerei, imi è, muè, hai fame, caro? (fa Catto di cullare il bambino) Ecco, ecco che ti preparo la pappina. Questo è quello che farei. Anni fa non ci sarebbe ^tato bisogno. Ti avrei attaccato al petto, bambino mio. Te ne avrei dato di latte a te, quanto ne avresti voluto. Ma ora il mio petto è avvizzito. Vedi, lo premi ma non esce niente. È una inutile cosa. È solo capace di darmi dei dolori, questo petto qui. (Silenzio).

MATILDE Perché non mi sono sposata? Avrei dei figli grandi, a quest'ora. E non starei qui. Magari avrei anche dei nipotini. Chi può dirlo. Chissà come deve essere avere dei figli grandi intorno che ti chiamano mamma e si prendono cura di te. E dei nipotini da viziare, anche. Forse mi piacerebbe, (pausa) Stavo per farlo, una volta. Ero ad un passo dal matrimonio. Poi me ne ritrassi, all'ulti­mo minuto. Chissà perché. Oli sì, lui era uno studente. Aito, bion­do, un burgundo, Ci facevamo i segni da dietro i vetri della fine­stra. Lui poi mi mandava i bigliettini. Chissà dove sarà andato a finire. Valle a capire certe cose perché non succedono, E perché, al loro posto, ne succedono delle altre.

AGNESE Tulio finisce e scompare così rapidamente, hai fatto caso?

MATILDE   Quello che amiamo finisce e ciò che aspettiamo non ci dà conforto. È questo che vuoi dire?

AGNESE   Anche gli uccellini non cantano più.

MATILDE   In che senso?

AGNESE   Nel senso che non cantano più come una volta. Adesso è raro sentirli. Una volta, come faceva giorno, tu aprivi la finestra e ti accoglieva un cinguettìo. Ora non si sente più niente. Scomparsi.

MATILDE   Sfido io. E lo sai perché?

AGNESE   No.

MATILDE   Se li sono mangiati i gatti.

AGNESE   I gatti?

MATILDE   Ma certo, (ride) Poveri uccellini. Scompariranno. E sai perché? Perché nessuno abbia più memoria dei delitti passati, di cui gli uccelli sono stati testimoni. (Silenzio).

AGNESE   Ma lo sai? In fondo, mi sei simpatica.

MATILDE   Anche tu.

AGNESE   Ci sono Iati nel tuo carattere che mi piacciono.

MATILDE   Anche nel tuo, se è per questo.

AGNESE   Dici sul serio?

MATILDE Ci sono Iati che potrebbero accordarsi facilmente coi miei.

AGNESE   Non per niente siamo sorelle.

MATILDE Sai che potremmo fare? Potremmo smetterla forse di litigarci. Per un po'.

AGNESE   Una tregua, insomma. Come adesso.

MATILDE   Sì. Che ne dici?

(Pausa).

AGNESE Per me potrebbe anche andare. Visto che sei tu che me lo chiedi.

MATILDE   Bene.

AGNESE   Però, non prometto niente.

MATILDE Naturale. Basta solo che tu ci metta un po' di buona volontà.

AGNESE   Prova a mettercela tu per prima.

MATILDE   È quello che sto facendo. (Pausa).

AGNESE   Per me, è tutta colpa di Virginia.

MATILDE   Virgìnia?

AGNESE   Ma sì. È sempre lei che rovina tutto.

MATILDE   Non volevo dirlo, ma penso anch'io la stessa cosa.

AGNESE   Mi sai dire che diritto ha lei di intromettersi nelle no­stre questioni? In fondo è un problema che riguarda noi due soltanto.

MATILDE   Sì, in effetti è così.

AGNESE Che c'entra lei che viene sempre ad immischiarsi nei no­stri discorsi.

MATILDE   E*ora che la smetta di trattarci come ragazzine.

AGNESE   Se noi vogliamo prenderci a capelli, padronissime di far­lo, no? Senza che lei si meda in mezzo ogni volta per dividerci.

MATILDE   Noi possiamo litigarci quanto ci pare. Poi, facciamo la pace.

AGNESE   È così.

MATILDE   Ma se si mette in mezzo lei, tutto diventa più diffici­le. Poi dobbiamo consolarla, quella piagnona. (Pausa).

AGNESE   Non per dirne male, vedi, ma mi pare stia peggiorando.

MATILDE   Trovi?

AGNESE   Uuhm! Non c'è rimedio.

MATILDE Ho anch'io questa impressione, (silenzio) Ma dove è andata Virginia?

AGNESE   Non Io so... Ah, sì... Dalla signora qui vicino per i gior­nali. A proposito, ti ho fatto molto male ieri?

MATILDE   Male? No. Non potresti farmene, neppure se volessi.

AGNESE   Sono contenta, (ride)

MATILDE   La prossima volta, piuttosto, stai bene attenta. Po­trei colpirti io, magari involontariamente.

AGNESE   Chi? Tu?

MATILDE   Potrebbe scapparmi la mano, e allora...

AGNESE   Sta tranquilla, ti colpirei sempre io per la prima. (Pausa).

MATILDE   Senti, senti, sai che sto pensando? Tu puoi prenderlo quando vuoi il mio foulard verde. Te Io presto. AGNESE   Me Io presti?

MATILDE Sì. In casa io non io metto mai, così tu puoi usarlo quando vuoi. Anzi, sai che faccio? Ne compro un altro. Così non debbo togliertelo ogni volta die mi serve.

AGNESE   Sei molto gentile. Ti ringrazio. Stupida, ma se è mio.

Stupida, stupida.

(Pausa).

MATILDE   Credi che nostro padre ci approverebbe?

AGNESE   Nostro padre?

MATILDE Sì. Sto parlando di lui. Credi che approverebbe la no­stra condotta?

AGNESE   Ma nostro padre era uno studioso. Non si occupava di .queste cose.

MATILDE   Lo so.

AGNESE Lui amava la storia e la fi! oso ria. Ha passato la vita, chiuso nel suo studio, chino sui suoi libri. Mi ricordo, quando si doveva andare a tavola, nostra madre mandava noi bambine a chia­marlo. Bisognava bussare ed aspettare fuori la porta dello studio. Era un problema strapparlo di lì.

MATILDE   Questo, scusa, non me lo ricordo. Ci sono cose, vedi, che ogni tanto ricordo e cose che non ricordo.

AGNESE   Non puoi ricordarti sempre tutto.

MATILDE   Ci sono cose che mi ricordo di più ed altre meno. Ci sono volte, come ora, che non ricordo più cosa mi ricordo.

AGNESE   Comunque, papà era un fenomeno. Te lo dico io. Ed era un uomo giusto. La mamma, no. Era cattiva. Con lo studente che abitava di fronte a noi... Lui ci faceva i segni dalla finestra e, quando non mandava i famosi bigliettini, scriveva pensieri su una lavagna. Io avevo una vista più acuta e sapevo decifrare subito quello che lui scriveva. Tu invece facevi fatica. Allora mi chiamavi. E mam­ma con chi se la prendeva? Con me, naturalmente. Perché, diceva, era tutta colpa mia.

MATILDE Adesso ricordo quello che dici. Tu leggevi meglio e più in fretta di ine. l'i nascondevi dietro la finestra e leggevi. Ad alta voce. Ma non mi riferivi mai con esattezza quello che lui scri­veva. Inventavi cose sempre nuove e diverse. La mamma lo sape­va. Ecco perché ti sgridava.

AGNESE   Non è vero. Eri tu a farmi i dispetti, poi andavi da pa­pà e mi facevi punire, (pausa) L'altro giorno, sai che ho fatto? So­no tornala alla villa. MATILDE   Ma che dici?

AGNESE   Era tanto che non uscivo. Dovrei uscire più spesso. Una boccata d'aria non guasta. Volevo sincerarmi di persona di come stanno effettivamente le cose.

MATILDE   E che hai scoperto?

AGNESE   Circolavano strane voci sulla villa, e Virginia mi aveva , dato ad intendere che era stata demolita.

MATILDE   È così. È stata demolita.

AGNESE Macché. Ho (.rovaio tulio esattamente come era prima.

MATILDE   Agnese...

AGNESE È tutto come io abbiamo lafciato. L'ho visto io. Stanno facendo i lavori. Presto tornerà come era prima, (pausa) Ho giralo un po' per le stanze. Ho spalancato le finestre. Poi sono scesa in giardino. C'era un profumo di mimose. Lisetta mi ha accompagnala. Mi ha chiesto di le e di Virginia. Mi ha domandalo quand'è che poteva farci visita.

MATILDE   Lisetta, la nostra vecchia balia, è morta dopo che noi abbiamo dovuto lasciare la casa. Non ha resistilo al dolore. È mor­ia qualche tempo dopo. E la villa è stala venduta, (pausa) Povera Lisetta, per noi è siala come una mamma. AGNESE   Perché dici: «È stala»? È! È!

MATILDE D'accordo, «è!» Come vuoi tu. (alza le spalle. Silen­zio. Caccia di lasca, a sorpresa, un pacche!lo di sigarelle e l'offre ad Agnese) Vuoi una sigaretta?

AGNESE (stupita) Ti sei messa a fumare, adesso? Non lo hai mai fallo.

MATILDE   Me le ha regalale un mio amico.

AGNESE   Ma si, dammene una. Tanto per provare, (si servono, entrambe. Matilde accende la sigaretta ad Agnese, poi accende la propria. Agnese dà una boccata. Tossisce) Buona!...

MATILDE   Sì. (fumando) Me le ha regalale questo mio amico. Me le regala ogni volta che vado a trovarlo.

AGNESE   (sospettosa) Chi è? Lo conosco?

MATILDE   Non ci vado spesso. Non te l'ho mai dello prima, perché...

AGNESE   Insomma, li sei fidanzala.

MATILDE   Lui mi regala un pacchetto di sigarette, ogni tanto.

AGNESE   Ma almeno ha intenzioni serie. Che intenzioni ha?

MATILDE   In cambio gli faccio qualche lavoretto.

AGNESE   Sarebbe?

MATILDE   Gli porto a spasso il cane.

AGNESE   Cosa? Cosa?

MATILDE Sì. Lui lavora. Non ha tempo. II cane lo porlo fuori io, la sera... Il cane lira il guinzaglio ed io obbedisco, docile, ai suoi comandi. Esaudisco ogni suo più piccolo desiderio. Per me non è un sacrificio.

AGNESE   Lui poi, il tuo amico, ti regala le sigarette.

MATILDE   Sì. (fumano entrambe)

(Pausa).

AGNESE   Fosse per caso un prete.

MATILDE   Ma che ti salta in mente?

AGNESE   I preti hanno l'abitudine di regalare sigarette. Ne co­noscevo uno io una volta che... Forse è un prete spogliato.

MATILDE   Ma no.

AGNESE Forse lo è, ma non lo vuol far sapere. Un prete in in­cognito.

MATILDE   Perché?

AGNESE   Uno che ti regala le sigarette, (pausa. Agnese guarda il proprio mozzicone di sigaretta, lenendo la cicca in mano. Fa un gesto per buttarla) Adesso dove la butto?

MATILDE   Hai già finito?

AGNESE   Sì. Guarda, è rimasta la cicca.

MATILDE Aspetta, allora. Non gettarla in terra. Spengila qua. (Matilde porge ad Agnese una scatoletta vuota. Aperta. Tiene il co­perchio in mano)

AGNESE   Carina questa scatoletta. Fa un po' vedere...

MATILDE   Me l'ha regalata lui anche questa, (chiude la scatola col coperchio) Così Virginia non ne saprà niente,

AGNESE   Vuoi che facciamo un po' di vento per cacciare il fumo dalla stanza? (apre la porta)

MATILDE Aspetta, almeno, che abbia finito anch'io la mia si­garetta.

AGNESE   Quanto sei lunga. Uffa. Io ho già finito da un pezzo.

MATILDE   Beh, io ancora no. (Solo Afa tilde fuma. Lunga pausa).

AGNESE (dispettosa) Quando torna Virginia si accorgerà che ab­biamo fumato.

MATILDE   No. Se non sarai tu a dirglielo.

AGNESE   Io non dirò niente.

MATILDE Allora non se ne accorgerà. Dove hai detto che è an­data, Virginia?

AGNESE   Dalla signora qui accanto, per i giornali,., Uffa. (Matilde spegne il proprio mozzicone e richiude la scatoletta. Guarda Agnese. Agnese guarda la scatoletta).

MATILDE   Ti piace? La vuoi? Vorresti che te la regalassi?

AGNESE   E tu, poi?

MATILDE Non ti preoccupare. So come farmene dare un'altra. (Matilde consegna ad Agnese la scatoletta. Agnese la prende e la intasca rapidamente).

AGNESE Da qualche tempo, ti osservo. E sai una cosa? Non sem­bri più tu. Sei diventata condiscendente; arrendevole. La compia­cenza fatta persona. Non è naturale. Comunque, non mi incanti. Qualcosa in testa la elevi avere. Ti conosco. Mi hai presa per sce­ma? (pausa) Perché non te ne vai? Vattene dal tuo amico, Che ci fai qui con noi? Lasciaci sole a me e a Virginia. Tu non ti ricordi, ma io si. Ci hai sempre fatto soffrire. Per me c'erano solo rimpro­veri, per te, invece, qualsiasi cosa chiedevi, qualsiasi capriccio, pa­pà e mamma l'esaudivano, (pausa) Come pure lo studente. Era a me, non a te che scriveva i bigi ietti ni. Mi corteggiava. Hai fatto di tutto per rubarmelo. Sei una ladra. Mi rubavi i bigliettini. E Liset­ta, vigliacca, ti copriva... D'altra parte, Io sanno tutti quello che sei. Una volta nostro padre mi chiamò nello studio e mi disse: «Sfai attenta a Matilde. Lei non è come voi. Come te e Virginia. Lei... lei vi porterà alla rovina».

MATILDE Non è vero. Sei una bugiarda.

AGNESE   Ah, sì?

MATILDE   Sì. Bugiarda... menti. Tu non sei andata alla villa. Non avresti il coraggio di superare quella porta. Tutte bugie. Quanto a nostro padre, poi, non avrebbe mai detto di me quello che dici. Ades­so è troppo. Me ne vado e non torno più.

AGNESE   Sì, sì, vattene. Non aspettavi altro... svergognata. (Compare Virginia sulla porta, coi giornali).

VIRGINIA   Ma perché litigale sempre?

MATILDE   Me ne vado, Virginia. Non ne posso più.

VIRGINIA   Matilde... Matilde.

AGNESE Ma sì, via, vattene via. Carogna. Vai a portare a spas­so quell'animale puzzolente.

VIRGINIA   Oddio, Signore... abbi pietà di noi. Facci morire.

(piange)

(Buio. Luce)

(Agnese e Virginia sono sedute vicino sul divano).

AGNESE Si è messa a Fumare. Hai capilo, Virginia?... Ad un certo punto, ha tirato fuori un pacchetto di sigarette e mi ha detto: «Ades­so ci fumiamo una sigaretta». «Stiamo attente», ho detto io, «vuoi dar fuoco alla casa? Non ha mai fumato nessuno qua dentro. Può essere pericoloso per Virginia». «Non ti preoccupare», mi ha rispo­sto. «Fuma. Dopo apriamo la finestra e cambiamo aria».

VIRGINIA   La finestra non si apre.

AGNESE   Lo so. Io le ho anche chiesto chi gliele aveva date quel­le sigarette. S'è messa a frequentare certe brutte compagnie. Gente equivoca. Lui, poi, la riempie di regali,

VIRGINIA   Ma lui, chi?

AGNESE   II fidanzato, (ride)

VIRGINIA Il fidanzato? Chi è?

AGNESE   Eh, lo sai tu? Oltre le sigarette, le ha regalato un bel portacenere da borsetta. Un momento, aspetta, (lo cerca e lo estrae) Eccolo qua. Peccato che tu non possa vederlo, (batte sopra il co­perchio) Le cicche le abbiamo spente qui.

VIRGINIA   Lo hai tu, adesso?

AGNESE Sì, lei lo ha daio a me. Ma le sigarette, no. Quelle se l'è tenute... Lei dice che gli va a fare i servizi in casa. Io lo trovo poco chiaro. Che genere di servizi? Questo mica me Io ha detto.

VIRGINIA   È strano.

AGNESE   Eh, altroché. Uno che conosci appena e ti fa tutte que­ste gentilezze. Che vorrà dire? (Pausa).

VIRGINIA   Dove è andata adesso Matilde?

AGNESE   Forse sarà andata a fare un giretto co! cane.

VIRGINIA   Quale cane?

AGNESE   II cane del prete.

VIRGINIA   Quale prete?... Agnese, smettila.

AGNESE   Lei lo conosce. A noi non lo dice, ma quello è un pre­te. Li fiuto da lontano, io, certi tipi. Una volta ci fu uno che si spac­ciava per rappresentanle di detersivi e...

VIRGINIA   Smettila, smettila... Matilde dov'è ora?

AGNESE   Chi lo sa. Se n'è andata. Non hai sentilo? Ha sbattuto la porta e se ne andata via. Non mi meraviglia. Una come quella, c'era da aspettarselo.

VIRGINIA   Che vuoi dire?

AGNESE Un giorno o l'altro doveva accadere, Non potevamo re­sistere in queste condizioni.

VIRGINIA Abbiamo resistito per tanto tempo. Tutte e tre. Unite.

AGNESE Sì. (pausa) Adesso finiremo per vagabondare in mezzo alla strada. E la notte a ripararci dentro i portoni. Non abbiamo più amici.

VIRGINIA Che fine hanno fatto? Una volta ne avevamo tanti. La casa era sempre piena di gente.

AGNESE   Chi prima, chi poi, tutti ci hanno abbandonate.

VIRGINIA   Anche Matilde ci ha abbandonate? È questo che vuoi dire?

AGNESE Sì. (apre la porta e chiama) Matilde... Matilde... (la­scia la porta aperta)

VIRGINIA   Metti il paletto alla porta, Agnese. Non apriremo più a nessuno. Anche se bussano, non apriremo.

AGNESE   Sì. (chiama) Matilde... Matilde...

VIRGINIA   Ce ne staremo qui io e te, d'ora in poi. A noi non fa paura la solitudine. E poi, non saremo sole. Abbiamo tanti ricordi di quando eravamo felici.

AGNESE   Siamo state qualche volta felici?

VIRGINIA   Prendi il violino, Agnese.

AGNESE   Lo abbiamo venduto.

VIRGINIA   Ci deve essere il grammofono, allora. Useremo quello. AGNESE   È rotto. Potrei cantarti io una romanza. Ti piaceva. An­davi pazza per la lirica. VIRGINIA   (in un soffio) Sì. (Silenzio).

AGNESE (Canta) «Verranno a le sull'aure, i miei sospiri ardenti...».

VIRGÌNIA   Stoni... stoni...

AGNESE Ricordi quella volta che papà portò a casa quel com-iposilore, che veniva dal varietà... «Fiammiferi, fiammiferi, di Lucca e di Pistoia, di Genova e di Napoli, che al vento non si spengono...».

VIRGINIA Fiammiferi, fiammiferi... (ridono) E i bagni a mare, con le vecchie carrozze.

AGNESE   Cavalli da tiro, vecchi ronzini.

VIRGINIA   E la signorina Allodoli, con le sue mosseli!ne.

AGNESE   E... coso, allora?

VIRGINIA   Chi?

AGNESE   Come si chiamava? Quello che parlava con la erre... Signorrina Virrginia... (ridono)

(Pausa).

VIRGINIA   Sto pensando a Matilde.

AGNESE   Ma è sempre a lei che pensi.

VIRGINIA Sto pensando, se Tosse qui, come si sarebbe divertila.

AGNESE Ti sbagli. Se ci fosse stala lei, niente risate, lo sola so come farti divertire, (passeggia) Vorrei fare dèi cambiamenti in que­sta stanza, ora che Matilde non c'è più. II letto, ad esempio, sì po­trebbe restringere. Che te ne sembra?

VIRGINIA   Perché? Lasciamolo così.

AGNESE Hai ragione. Ci staremo più comode, (si aggira inquie­ta per la stanza) Potremmo liberarci della roba che non serve e fare un po' di pulizia. Qui, sto pensando, metterei una console o anche un trumeau.

VIRGINIA   Ma che dici?

AGNESE   Sì, sì, metterò un bel trumeau.

VIRGINIA (dolcissima) Senti, Agnese, ti prego, smettila con que­ste fantasie. Canta, Agnese... Tu non stoni. Sei così brava, Agne­se. Io e te ci siamo sempre capile. Tu mi aiuti. I tuoi occhi sono i miei occhi. Ma anch'io mi curo di te. Ti difendo dai tuoi sogni. Quei brutti sogni. Una volta li facevi più spesso. Sfai miglioran­do... Agnese... ma dove sei?... Agnese... Matilde... Matilde... Oddio.

(Compare M a tilde sulla porta. Si guarda attorno. Virginia è seduta sul divano, immobile. Agnese è in piedi, sul fondo. Silenzio. Matilde avanza. Si toglie il cappello a larghe falde e lo getta nella stanza. Agnese raccoglie il cappello e se lo mette. Silenzio. Matilde si toglie il foulard verde che ha in petto e lo getta via. Agnese lo raccoglie e se lo mette. Silenzio.

Madide si toglie i lunghi guanti e li getta nella stanza. Agnese li rac­coglie e se li mette. Virginia prende a lamentarsi, debolmente. Ma­tilde si dirige verso Virginia togliendosi le scarpe e la giacca. Agne­se le raccoglie e le indossa. Virginia continua a lamentarsi. Matilde abbraccia Virginia. Agnese balla. Sempre più veloce. Si arresta im­provvisamente. Soffoca ima risata. Silenzio.

Agnese va a sedersi sul divano, accanto alle sorelle. Sorride.

Sipario