Tre maschi e una femmina

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TRE MASCH E


TRE MASCHI E UNA FEMMINA

Titolo originale: Trois garcon et une fille

Commedia in tre atti

di ROGER FERDINAND

Traduzione di SILVANO D'ARBORIO

PERSONAGGI

IL PADRE

LA MADRE

GILBERTO

MI­CHELE

BERNARDO

CRISTINA

ATTO PRIMO

Il living-room comodo e spazioso d'una villa a Neuilly, periferia di Parigi. Un'ampia arcata dà accesso a una galleria, poi ad una scalinata che comu­nica col parco. La scena comporta diversi disimpegni, quali una. porta a destra che mette nello studio del padre, una porta a sinistra che apre nel salottino della madre. Una scala interna conduce alle camere. Questo living-room è il centro della vita familiare. È arredato a salotto, sala da pranzo, angolo di studio. Pianoforte, radio, telefono, libri, fiori. Insieme di discreto lusso borghese, dove non manca una nota di attraente disordine, come si rivela in tutte le case ove abitano dei ragazzi. Cartelle, mantelli, sciarpe, sparsi su seggiole di stile.

 (All'alzarsi del sipario, Gilberto è seduto allo scrittoio e scrive. Una delle porte che danno sulla galleria del piano superiore si apre e il padre appare).

Il Padre                    - (scendendo le scale) Non prometto niente, ma farò tutto il possibile.

La Madre                 - (sulla porta in vestaglia) Ti strapazzi troppo e la tua salute ne risente.

Il Padre                    - (senza voltarsi) Che vuoi farci, siamo vittime dei nostri affari.

La Madre                 - E questa sera pranzi con noi?

Il Padre                    - Ma sì, salvo imprevisti.

La Madre                 - Ti sei già coricato tardi tre sere di seguito. Sii ragionevole.

Il Padre                    - Lo so, lo so...

La Madre                 - Vedi di rincasare presto, almeno una sera.

Il Padre                    - Cercherò. Arrivederci. (Al figlio) Hai scuola, stamani?

Gilberto                    - (senza alzare gli occhi) Più tardi.

Il Padre                    - Altrimenti ti avrei condotto in mac­china per un buon tratto di strada.

Gilberto                    - (noncurante) Grazie, papà.

Il Padre                    - (che prende una cartella posata su un mobile) Vanno bene i tuoi studi? Sempre contento?

Gilberto                    - Avrò la laurea fra un anno. Almeno lo spero.

Il Padre                    - E sei deciso a prenderla in legge?

Gilberto                    - Ho scelto. Inutile tornarci sopra.

Il Padre                    - Scusami se non mi informo più spesso. Ho tanto da fare anch'io.

Gilberto                    - Capisco.

Il Padre                    - A più tardi, Gilberto. (Si allontana con la cartella sotto il braccio).

Gilberto                    - Ehi, papà?

Il Padre                    - Che vuoi?

Gilberto                    - Stasera verrò a prenderti all'officina, così torneremo a casa insieme, in macchina.

Il Padre                    - Impossibile. Ho un consiglio d'ammi­nistrazione.

Gilberto                    - E domani non verrai al tennis?

Il Padre                    - Mi domandi troppo, ragazzo caro.

Gilberto                    - Peccato. Per me era una buona occasione di stare un po' insieme, almeno una volta alla settimana.

Il Padre                    - E queste occasioni, purtroppo, si fanno sempre più rare. Ciao.

(Il padre si è allontanato. Gilberto che non ha interrotto il suo lavoro ed ha appena alzata la testa, scrive ancora qualche rigo, poi apre macchinalmente la cartella che si trova a portata di mano. Ne cava fuori un fascicolo, si sorprende, veri­fica e si accorge che il padre ha sbagliato. Fa un salto fino alla porta, chiama « Papà! », ma il rumore d'una macchina che parte ha coperto la sua voce. Torna alla scrivania, apre il fascicolo, una lettera gli cade tra le mani, la scorre, si sorprende, rilegge con attenzione. Lo si sente mormorare «.Ah, questo poi! » e un istante dopo « Oh papà! ». È prima sorpreso, poi sconvolto da quanto ha scoperto e non sapendo come risolvere all'istante, va da una porta all'altra come se volesse chiamare qualcuno in aiuto. Esita, e finalmente viene a trovarsi a faccia a faccia col fratello Michele che ritorna dal giardino).

Gilberto                    - (gravemente) Siediti, Michele.

Michele                    - Martino mi aspetta. Andiamo allo stadio in motocicletta.

Gilberto                    - Siediti!

Michele                    - E una volta seduto?

 Gilberto                   - Aspetta un momento.

Michele                    - Guarda che la partita è alle due e mezzo.

Gilberto                    - Michele, ti supplico, non parlare di partite. Se sapessi che cosa succede.

Michele                    - E parla, dunque.

Gilberto                    - Non ora. Quando ci saremo tutti.

Michele                    - È un'assemblea, una riunione, un consiglio di famiglia?

Gilberto                    - Famiglia. L'hai detto. Qui c'è un dramma: più che un dramma.

Michele                    - Due drammi?

Gilberto                    - Disgraziato... non indovina nulla e la prende in ridere.

Michele                    - Ma che devo indovinare, me lo vuoi dire?

Gilberto                    - (serio) Tu mi conosci, Michele. Io sono di poche parole e non mi commuovo tanto, facilmente. Ho ventidue anni. Tu ne hai diciotto. Comprendo la vita meglio di te, si capisce. Lo vedrai all'esperienza.

Michele                    - Ma cosa?

Gilberto                    - Dov'è Bernardo?

Michele                    - È di sopra, Disegna.

Gilberto                    - (va fino alla porta e chiama) Ber­nardo! E Cristina, dov'è?

Michele                    - So assai dov'è Cristina...

Gilberto                    - È tua sorella.

Michele                    - Anche la tua.

Gilberto                    - (chiama) Cristina!

Michele                    - La tua storia riguarda anche lei?

Gilberto                    - Sì, anche lei. Riguarda tutti noi. (Chiama di nuovo) Bernardo! Cristina! (A Michele) E silenzio con tutti, eh?

Michele                    - Silenzio di che, se non so ancora niente? E il genitore non lo convochi?

Gilberto                    - Oh, quello! Ha pensato bene di squagliarsi.

Michele                    - Meno male. Respiro.

Gilberto                    - Non lo dire, soprattutto oggi.

Michele                    - C'è del nuovo da ieri?

Gilberto                    - Alzati, Michele. Alzati, guardami, e ascolta: qui succedono cose che sorpassano ogni immaginazione. Siamo dei disgraziati: tutto ciò che ci circonda è sul punto di crollare, ed è in ballo l'av­venire di tutti noi. Te lo saresti mai immaginato?

Michele                    - Curati, Gilberto. Il tuo male è grave.

Gilberto                    - (voce dì lacrime) Non vedi che ho voglia di piangere, idiota!

Michele                    - Giorgina t'ha piantato?

Gilberto                    - Me ne infischio di Giorgina.

Michele                    - Siamo in due, allora. Non l'ho mai potuta, soffrire.

Gilberto                    - Francamente, Michele, non si stava bene noi qui? Non ci manca nulla. E la baracca è bella. Si litiga spesso, ma non importa, siamo fra­telli e basta. La stessa madre e lo stesso padre. Ca­pisci ora?

Michele                    - (fissandolo) No.

Gilberto                    - Anche questa tavola. Quando siamo seduti tutti e sei, anche se non ci diciamo niente, formiamo un blocco. Non formiamo un blocco? Rispondi. (Bernardo è entrato. È un giovanetto di diciassette anni, piuttosto riservato e gracile).

 Bernardo                 - Mi hai chiamato, Gilberto?

Gilberto                    - Siediti, Bernardo.

Michele                    - Siediti, perché secondo lui tu sei una parte del blocco.

Gilberto                    - Michele, ti prego...

Bernardo                  - Hai bisogno di me, Gilberto?

Gilberto                    - (l'abbraccia) Poverino. Perché penso anche a te, lo sai? Io, a rigore, potrò sempre sbro­gliarmela. Ho l'esperienza, la salute e la volontà non mi manca. E fra un anno, avrò la mia laurea in legge. Ma tu che hai scelto Belle Arti...

Bernardo                  - Siamo rovinati?

Gilberto                    - Se non fosse che per questo!

Michele                    - E ti par niente?

Gilberto                    - In ogni modo, qualunque cosa acca­drà: ci sono io. Ma forse ti potrai impiegare da un architetto.

Bernardo                  - Il disegno industriale è un'altra cosa. Ma se fosse necessario...

Gilberto                    - E tu, che ti senti di fare?

Michele                    - Potrei entrare in una squadra di calcio.

Bernardo                  - E Cristina? 

Gilberto                    - Le daremo marito; è bella: non sarà difficile.

Bernardo                  - La mamma è al corrente?

Gilberto                    - No. Io solo ho scoperto.

Michele                    - Al corrente, scoperto; ma insomma!

Bernardo                  - Il babbo ha fatto cattivi affari, è questo?

Gilberto                    - Gli affari non c'entrano... è molto più grave. (Cristina è entrata. Ha sedici anni. Ragazza moderna).

Cristina                     - Si fa un bridge, giovinetti?

Michele                    - Ne dicesse mai una al momento giusto.

Gilberto                    - Siediti, Cristina. (La bacia) Poverina.

Cristina,                    - Ho brutta cera?

Michele                    - Oggi bacia tutti.

Gilberto                    - Ti voglio vedere fra cinque minuti, Michele; cambierai tono. (Va a chiudere le porte e si assicura che siano soli).

Michele                    - Non chiami la cameriera? Farebbe numero.

Gilberto                    - Domani i piatti li lavi tu, vedrai.

Michele                    - Però alla partita oggi non ci vado.

Cristina                     - Insomma si può sapere che cosa succede?

Bernardo                  - Parla, Gilberto. Non sono affatto tranquillo.

Gilberto                    - Allora, ecco qua. Vi prego di non interrompermi. Ognuno dirà dopo ciò che pensa. D'accordo? (Consenso di tutti) Quello che ho sco­perto ora, non ho cercato di scoprirlo; anzi, ho esi­tato prima di mettervi a parte del mio segreto.

Michele                    - Coraggio, nonno.

Gilberto                    - Povero Michele! (Vuol baciarlo).

Michele                    - Dimmi povero, ma non baciarmi tutti i momenti.

Cristina                     - Hanno portato le mie scarpe?

Gilberto                    - Che scarpe?

Cristina                     - Le mie scarpe; dovevano portarle oggi.

Gilberto                    - È triste sentirvi parlare di cose futili, al punto in cui siamo... in fondo potrei infischiarmene anch'io. Ma penso a voi e a nostra madre.

Bernardo                  - È malata? È grave!

Gilberto                    - Peggio. Vedete questa cartella? Poco fa, l'ho aperta credendo che fosse la mia; invece l'ha scambiata il babbo. È la sua.

Michele                    - La vediamo.

Gilberto                    - Così scopro che papà si prepara a partire, per raggiungere in Svizzera una donna che ha promesso di sposare, e quindi tutti noi, qui, la mamma per prima, siamo radiati dalla sua vita. Non lo dice, s'intende, ma è come se lo dicesse dal momento che se ne va e che ha preso - questo è scritto in chiare lettere - le disposizioni necessarie. Papà ci fa questo bel regalo. Dopo venticinque anni di matrimonio, e Dio sa se tutti - qui - a comin­ciare dalla mamma gli vogliamo bene. Giacché non si può negare, è un essere incantevole.

Michele                    - Ma ha anche qualche anno, l'incante­vole genitore.

Gilberto                    - A cinquantadue anni un uomo non è vecchio, Michele. E lui specialmente.

Michele                    - Non puoi negare che ha i capelli bianchi.

Gilberto                    - Alle donne piacciono i capelli bianchi.

Cristina                     - Distinguiamo. Noi altre donne siamo soprattutto sensibili all'apparenza di un uomo, alla sua autorità. Siamo esseri speciali, bisogna ricono­scerlo.

Michele                    - Dite quel che volete, ma papà io non so vederlo innamorato.

Cristina                     - Perché tu non sei romantico, Michele. Ma noi donne giudichiamo diversamente. All'età del babbo si ha la parola più facile, si è più delicati, si fanno più regali.

Bernardo                  - (gravemente) Papà se ne va? Sei sicuro Gilberto? Ma non è possibile: da vent'anni lavora per noi. Quando uno di noi si ammala è subito preoccupato. Con la mamma non ha mai avuto una discussione. Non più tardi del mese scorso le ha rega­lato un bel gioiello. È sempre gentile con lei, la carezza, la bacia. Eppoi, e poi, la mamma è bella.

Michele                    - Questo non vuol dir nulla, Bernardo. Tu ne sai ancora poco.

Cristina                     - Voi parlate da uomini. La verità è che noi donne sappiamo essere fedeli, mentre voi - e questo è un fatto che tutti i libri e tutti i romanzi lo spiegano - chi può fare assegnamento su voi? Nessuno. Io l'ho sperimentato mille volte.

Michele                    - La verità è che non si può fare asse­gnamento su nessuno. Uomini e donne, tutti ipo­criti. Papà per il primo. Abbiamo il coraggio di dirlo.

Bernardo                  - Non la mamma.

Michele                    - Questo si capisce.

Bernardo                  - Hai detto « tutti ».

Michele                    - Tutti, eccetto la mamma. Questo va da se... (Si sentono dei passi. Gilberto ha fatto un cenno. La madre è entrata. E distinta, senza eleganza, ma simpatica. Silenzio improvviso e totale).

La Madre                 - Non sei andato alla partita di calcio, Michele? Avevi tanta smania di uscire.

Michele                    - Mi è passata.

La Madre                 - Non ci vai?

Michele                    - Più tardi. Mi basta di arrivare per il secondo tempo.

 La Madre                - È un consiglio di famiglia che tenete tutti e quattro?

Michele                    - Piove. Facevamo due chiacchiere.

La Madre                 - Non vi accade spesso. E tu Cristina, non dovevi andare al cinema?

Cristina                     - Volevo. Ma poi ho deciso di non andarci più. Un'idea.

La Madre                 - Che bugiardi! State almanaccando qualche cosa. E, come sempre, alle mie spalle. E avete torto, perché tutto si sa, soprattutto quel che si nasconde.

Bernardo                  - (la bacia) Mammina cara, mammina bella.

La Madre                 - Che ti piglia? (Lo guarda negli occhi) Hai pianto, Bernardo? (Bernardo nega con la testa) I tuoi fratelli ti seccano? (Stesso cenno di Bernardo; a Gilberto) Che gli avete fatto?

Gilberto                    - Ma niente, proprio niente.

Michele                    - È una femminuccia. Si commuove per nulla.

La Madre                 - Voi non siete d'accordo tutti e quattro. E su che? Il babbo vi ha sgridati?

Michele                    - Oh, quello!

La Madre                 - Perché « quello »? È un buon papà che io sappia.

Cristina                     - (all'orecchio di Michele) Non sa niente.

La Madre                 - Avete da lagnarvi di lui?

Michele                    - Non personalmente.

La Madre                 - In gruppo?

Michele                    - Ecco, piuttosto: in gruppo.

La Madre                 - Auguro a tutti i figliuoli un padre così conciliante, così indulgente, così generoso come il vostro.

Bernardo                  - Tu gli vuoi bene, mammà?

La Madre                 - Che domanda. Sicuro che gli voglio bene.

Michele                    - Anch'io, malgrado...

La Madre                 - Malgrado?

Gilberto                    - (interviene) Vuoi lasciarci, mammina?

Michele                    - (con ritardo) Malgrado niente.

Gilberto                    - Ho due paroline da dire ai miei fratelli. Affare personale.

La Madre                 - Te li lascio. Ma spero che saprai dar loro il buon esempio e soprattutto non lasciarli dir male di tuo padre. A quanto pare ce l'avete con lui. Per quale ragione? Ce n'è una almeno?

Gilberto                    - Ne conosci una, tu?

La Madre                 - Vostro padre non ha altri pensieri che il vostro avvenire, lo sapete bene. Non ha altra gioia che quella che vi dà, e ne avete ogni giorno la prova. E nondimeno ha le sue preoccupazioni, mal­grado la vita facile che facciamo in apparenza. Non avete mai pensato a questo? Eppure alla vostra età dovreste pensarci. Credete che sia una cosa facile far fronte a tutte le vostre esigenze! Vi dico questo, perché spesse volte ho dovuto constatare da parte vostra una indifferenza che non gli ha fatto certo piacere... E per oggi basta con la morale. (Si allon­tana, poi si volta) Una famiglia felice non si vede tutti i giorni, pensateci. E, se mi volete un po' di bene, rendete giustizia a vostro padre. Non vi dico altro. (Si allontana di nuovo, e prima di uscire) E pensate un po' dove saremmo tutti senza di lui. Misurerete così il posto che occupa e vi passerà la voglia di criticarlo. E datemi tutti un bacio. (Tutti lo fanno) Pianino, senza soffocarmi... (Rinforzano la loro dimostrazione) Basta. Finirei per credere che non siete sinceri.

Bernardo                  - (con convinzione) Oh, sì!

La Madre                 - Tu, forse.

Gilberto                    - Cattivona.

La Madre                 - (prima di uscire) Sa di mistero, tutto questo. (Tra sé) Ma che hanno, oggi? (Esce. Una pausa).

Cristina                     - Ma quanto è ingenua! Alla sua età, esagera un poco.

Gilberto                    - Se tu lo fossi un po' di più, sarebbe tanto di guadagnato.

Cristina                     - Non avrò forse una lunga esperienza, ma io al suo posto avrei indovinato subito.

Bernardo                  - Quando si è leali con sé stessi, Cristina, non si può fingere con gli altri. Gli esseri puri son fatti così.

Michele                    - Ne conosci tu di esseri puri, angelo mio?

Bernardo                  - Ve ne sono: la mamma è un esempio.

Cristina                     - Bernardo ha ragione.

Michele                    - Siediti, piccina. E ripassa il tuo cate­chismo. In quanto a me vi dirò che da un anno almeno dura la storia di papà.

Gilberto                    - Un anno?

Michele                    - Una sera dell'inverno scorso, alle 7 e cinque - ho guardato l'orologio della stazione Montparnasse - un taxi si è fermato a dieci metri dalla grande lampada elettrica, e ho visto il babbo scendere con una donna. Non l'ho guardata, perché mi vergognavo, io che pure non mi faccio scrupolo. Sono scesi in un bar sotterraneo. Io li ho seguiti di nascosto. E vi dirò una cosa da sbalordire: mi son sentito ribollire dentro, e stavo per gridargli: « Poche chiacchiere, dritto a casa e alla svelta ».

Cristina                     - Hai fatto male a non farlo.

Michele                    - Mi son domandato come l'avrebbe presa. Doveva comprarmi i pattini l'indomani. In ogni modo son rimasto avvilito. M'è venuto quasi da piangere.

Gilberto                    - Avresti dovuto parlarmene. Sono il fratello maggiore.

Michele                    - Non ci ho pensato.

Cristina                     - Era giovane la donna?

Michele                    - Non l'ho guardata: te l'ho detto.

Cristina                     - (con un sospiro) Gli uomini sono terribili.

Gilberto                    - Dispensati.

Cristina                     - Quante ne vedo io nel metrò, dietro al giornale, quando si è pigiati. Roba da pazzi: non si può più uscire sole.

Michele                    - Cosa vuoi farci, è la natura, Cristina.

Bernardo                  - (che esplode) Ma smettetela; non vi rendete conto della nostra situazione.

Michele                    - Mio bello, non l'abbiamo inventata noi la vita! E non è colpa mia se il nostro genitore ha perduto la bussola.

Bernardo                  - (con forza) Noi non siamo giudici di nostro padre. Gli dobbiamo troppo per doman­dargli conto dei suoi atti. E ci son tante cose belle da vedere nella vita, Michele. Possiamo benissimo chiudere gli occhi sul resto... Perché, Gilberto, tu che sei grande e in età di capire, ci sei venuto a rac­contare questa storia? Non si stava meglio prima, quando nessuno la conosceva?

Michele                    - Fai male a prendertela tanto, Bernardo. Quando anche noi saremo padri, probabilmente faremo altrettanto, consolati.

Gilberto                    - Non si tratta di questo, ragazzi. E i commenti importano poco. Quel che conta è l'azione. Noi ci troviamo di fronte a una situazione che non abbiamo creata, che subiamo, ma che forse si potrebbe modificare. Chiamiamo papà « X », se volete, per evitare di pronunciare il suo nome.

Cristina                     - Hai ragione, ci darà meno fastidio.

Michele                    - Vada per X.

Gilberto                    - E la mamma, chiamiamola « Y » e l'altra « Z ». Oggi è giovedì. Se non ci diamo da fare, fra otto giorni quelli si squagliano. Come impedirlo?

Michele                    - Se ormai è cosa decisa...

Gilberto                    - I « se » non mi interessano. Bisogna impedirlo: tutto è qui. Il resto non conta nulla. Giuriamo prima fra noi che non partiranno. (Tutti alzano la mano) Secondo: la mamma non deve saper nulla, a nessun costo.

Bernardo                  - Soffrirebbe troppo.

Cristina                     - Avrebbe torto per un figurino simile.

Gilberto                    - Nulla alla mamma? Giurato. (Tutti alzano la mano) Ed ora vediamo i mezzi. (Michele alza il dito e domanda la parola) Un momento. Uno alla volta. Perché il babbo parte? (Michele alza il dito) No, t'ho detto no.

Michele                    - Inteso. Prendo delle note.

Gilberto                    - Mi scuso d'aver l'aria di saper tutto, ma ho letto molto e anche un poco vissuto. Prima di tutto c'è la mamma.

Bernardo                  - La colpa non è sua.

Gilberto                    - Nella vita siamo tutti colpevoli.

Bernardo                  - Ma colpevole di che?

Gilberto                    - Si trascura.

Bernardo                  - La mamma si trascura? Non ce n'è un'altra più meticolosa di lei. Fa il bagno tutte le mattine. Che vorresti di più?

Gilberto                    - Non bada, se preferite, ai mille pic­coli dettagli pure essenziali per mantenere su un piano puramente fisico - lo riconosco - il desiderio di un uomo. Sappiamo bene noi, ciò che ci attira nella vita. Non abbiamo paura delle parole. Una donna discreta e modesta, fosse pure una regina, passerà sempre inosservata. Una donna ardita, invece, ci interessa e ci attrae.

Bernardo                  - Ma se la mamma non si fa notare vuol dire che si sacrifica per noi: preferisce comprarci una cravatta o un pull-over, piuttosto che un profumo, una sciocchezzuola per sé.

Gilberto                    - Non va più dal parrucchiere.

Bernardo                  - Coi capelli che ha.

Michele                    - D'accordo, Bernardo. Ha capelli bel­lissimi, ma c'è il resto.

Bernardo                  - Non ha begli occhi, vorresti dire? Non ha un bel personale?

Michele                    - Ma tu ignori, Bernardo, perché sei ingenuo e senza malizia, che le vesti, i profumi, tutto un insieme di piccoli nonnulla ci avvincono più d'ogni altra cosa.

Bernardo                  - Una madre non può essere futile. Tiene alla sua casa, ai suoi figli e non si cura d'altro.

Michele                    - (scoraggiato) Che vuoi stare a discutere coi bimbetti...

Bernardo                  - (che se ne va) Dal momento che fate il processo alla mamma, mi scuserete ma non voglio essere presente.

Gilberto                    - Bernardo, sei pregato di restare.

Bernardo                  - E allora, smettete di criticarla.

Gilberto                    - Noi non le rimproveriamo nulla. Si studia un problema. Non capisci dunque che la donna che un uomo incontra imbellettata e accon­ciata alla moda, ha partita vinta contro una sposina senza grazia e senza spirito!

Bernardo                  - È un onore, questo.

Michele                    - Spiegagli tu, Cristina.

Cristina                     - Io ho creduto per molto tempo che quello che vi piaceva in noi, era anzitutto il carat­tere, lo spirito, l'intelligenza, ed anche a rigore, la virtù. Riconosco, invece, con mia somma tristezza, che è tutta una faccenda di occhiatine e di polpacci. Vi conosco, purtroppo.

Michele                    - È evidente, abbiamo il coraggio di dirlo: ci son dei giorni in cui la mamma si lascia andare.

La Madre                 - (è entrata, enigmatica).

Michele                    - (che cerca di riprendersi) Andare allo Stadio con un tempo simile?

La Madre                 - Sempre in consiglio? Diventa preoc­cupante.

Bernardo                  - (che si è avvicinato a lei e la guarda) Permetti? (Bernardo ha cavato di tasca il suo pet­tinino e pettina negligentemente la madre).

La Madre                 - Sono molto spettinata?

Bernardo                  - Oh, no!

La Madre                 - Che avete da guardarmi tutti quanti?

Michele                    - Ci interessi. È naturale.

La Madre                 - (a Cristina che le ha teso l'astuccio della cipria) Avete certe maniere, oggi!

Cristina                     - Perché ti vogliamo bella.

Bernardo                  - Lo sei sempre del resto.

Gilberto                    - Ti sei provata il vestito?

La Madre                 - Che vestito? Non capisco.

Gilberto                    - Quel tailleur di velluto nero coi rovesci di lamé, di cui ci avevi parlato.

Michele                    - Ci avevi detto che sarebbe stato pronto per il tuo compleanno.

Bernardo                  - Dovevi anzi posare per me. Lo avevi promesso.

La Madre                 - Ma che andate cercando tutti quanti?

Gilberto                    - (che si affanna senza apparirlo attorno a lei) Sei giovane, siamo fieri di te.

Michele                    - Ci sentiamo più lusingati, se preferisci, quando sei molto bella.

La Madre                 - (s'allontana) Sono impazziti, non c'è che dire...

Michele                    - (piano) Finirà per sospettare qualche cosa.

Bernardo                  - Porse no. È così retta.

Cristina                     - E anche ingenua. Quanto Bernardo.

Bernardo                  - (serio) Non mi offendo se le somiglio.

Michele                    - E tu, Gilberto, credi sinceramente che con qualche piccolo ritocco la faccia possa cambiare?

Gilberto                    - A provare non costa nulla. Tutte le carte sono buone.

Michele                    - La sorveglieremo e se vuole essere adulata la colmeremo di leziosaggini. (Bidè di gusto) Giocheremo ai gagà con la mamma. È un gioco che mi piace.

Gilberto                    - Ce n'è altri da fare. Che il babbo sia ripreso dalla mamma e che la sua grazia, abilmente sfruttata, ritorni in suo favore. Ma ne dubito.

Michele                    - Allora, non vale la pena di cominciare.

Bernardo                  - Perché ne dubiti, Gilberto?

Cristina                     - (risponde per lui) Perché noi donne sappiamo bene che le vostre passioni sono spesse volte inesplicabili e che voi siete capaci di tutte le sciocchezze, eh, Gilberto?

Gilberto                    - Un poco è così, purtroppo. Tutto di­pende dal grado della cotta, e questo lo sa lui solo.

Cristina                     - A cinquant'anni, disgraziatamente, si è più scemi che a diciotto. Ai bambini si può far intendere ragione perché capiscono, ma colle persone grandi, quando s'incapricciano, vacci a capire qualche cosa.

Bernardo                  - (con un sospiro) Ne vengo a sapere di cose, oggi! E se la vita è così sporca come dite voi, mi domando che ci sto a fare io sulla terra?

Gilberto                    - Non drammatizziamo. Tutto dipende dall'età di lei; se per disgrazia è molto giovane, avremo un bel da fare per vincere la partita.

Cristina                     - A vent'anni sono tremende.

Gilberto                    - Altra cosa: nessuno qui ha un sospetto? Non vedete chi possa essere?

Michele                    - Io ho già alzato il dito tre volte.

Gilberto                    - Tu lo sai?

Michele                    - Non mi avete lasciato parlare.

Gilberto                    - Dillo. È importante.

Michele                    - Un giorno in via Richelieu, saranno ormai dieci mesi, ad una traversa chiodata, ho visto passare papà con la signora Morel.

Cristina                     - La suocera?

Michele                    - La nuora.

Cristina                     - La piccola Morel, che ha sposato Morel, il figlio dei Morel dell'Elettricità di Francia?

Michele                    - Quella di Filippo Morel.  Ricordo benissimo. Pioveva ed era quasi notte.

Bernardo                  - Ha ventitré anni e si è maritata la primavera scorsa.

Michele                    - (che alza le spalle) Che c'entrano le stagioni?

Bernardo                  - Son persino venuti in casa a Pasqua. E lui telefona spesso alla mamma.

Michele                    - Bernardo, per favore, accontentati di ascoltare.

Gilberto                    - Come si comportavano?

Michele                    - Erano sotto l'ombrello, traversavano i chiodi di un passaggio, non potevano che avere un contegno decente.

Gilberto                    - A braccetto?

Michele                    - Erano sotto l'ombrello. L'ho detto.

Gilberto                    - Sforza un po' la memoria, Michele. Nel tassì a Montparnasse, poteva anche essere lei.

Michele                    - Anche un'altra volta, ho visto papà alla terrazza del caffè Weber. Ma era solo.

Gilberto                    - Nessuno ha altre osservazioni da fare? (Nessuno si muove) Ecco dunque un secondo punto acquisito. Sta a noi di saperlo sfruttare.

Bernardo                  - (gravemente) Ma quella lettera, Gil­berto, sei sicuro di averla ben letta? E firmata? Che dice quella lettera?

Gilberto                    - È firmata Lina ed è brevissima. Eccola: « Mio caro amico, nel decidere di partire con me per la Svizzera, tu mi dai un pegno magnifico del tuo amore. Ed io sono commossa al pensiero del sacrificio che tu consenti alla nostra felicità. Tu sei il mio Dio e lo sarai fino alla morte. Indovino la tua angoscia, il tuo dolore, i tuoi rimorsi. So che il divorzio sarà cosa lunga e che ci vorrà molta pazienza e anche molta prudenza. Ma che il tuo amore sarà abbastanza forte da trionfare di tutto, ecco quello che mi rende felice di orgoglio. Ti amo, ti amo, ti amo. ». « P. S. mi sono occupata dei biglietti per giovedì. Il treno parte alle 21 e 19. Appuntamento al buffet alle venti. Ho previsto tutto. Lina ». (Gilberto ha rimesso la lettera nella cartella).

Michele                    - (s'è alzato di scatto e s'è diretto verso la porta).

Gilberto                    - Dove vai?

Michele                    - (deciso) Vado dal signor Morel e gli dico tutto. La chiuderà in casa, l'ucciderà, ma non la farà partire. Gli dirò: «Signore, quando non si è capaci di tenere a posto una moglie dopo un anno di matrimonio, si diventa un pericolo per la società ».

Gilberto                    - Ma ucciderà te, disgraziato!

Michele                    - Credi? (Calmato) Allora ci penserò meglio. Ma non rinuncio.

Bernardo                  - Se andassi tu, Gilberto, dalla signora Morel, e le facessi capire il male che fa a tutti noi, non sarebbe più saggio? Che ne pensate? Non sarebbe anche più giusto che andare a turbare la pace d'un pover'uomo che in fin dei conti è un disgraziato più di quanto lo siamo noi?

Cristina                     - Se è innamorato della moglie, non crederà nulla di tutte le vostre chiacchiere. Siete tutti gli stessi.

Michele                    - Non siamo poi tanto stupidi.

Gilberto                    - Abbiate fiducia in me. Ho il mio progetto. Ve lo dirò più tardi.

Bernardo                  - Senza dare scandalo, mi raccomando.

Gilberto                    - Sono abituato. Ma quel che mi preoc­cupa sorpassa - e di molto - l'incidente in questione. E mi domando se la vera soluzione non sia da ricer­carsi altrove. Chi vi dice che non siamo noi i veri colpevoli?

Michele                    - Noi?

Gilberto                    - Proprio noi.

Michele                    - Poco fa era la mamma, ora siamo noi. E il solo che è innocente, è colpevole. Sei davvero straordinario, Gilberto.

Bernardo                  - Siamo colpevoli di che, Gilberto?

Gilberto                    - Ho paura dì non farmi comprendere. (A Bernardo) Da te, forse.

Michele e Cristina    - (insieme) Grazie per gli altri.

Gilberto                    - Il fatto che un dibattito tanto serio e anche doloroso abbia preso una piega così leggera, mi ha molto deluso, sinceramente.

 Bernardo                 - È sempre Michele che ci fa deviare.

Michele                    - Non posso mettermi a piangere se non ne ho voglia. Vuole andarsene? e con questo? Non vedo dove sia il dramma che ci vedete voi.

Gilberto                    - Mi fa male sentirti parlare così. Ti ripudio come fratello. Va via. Vattene in camera tua.

Michele                    - Prego. Sono in casa mia.

Gilberto                    - È appunto casa nostra che è in giuoco.

Michele                    - Non esageriamo. Riconosco che la cosa è grave, ma non posso per questo tenere papà al guinzaglio. Allora decidiamo di rinchiuderlo.

Bernardo                  - Tu manchi di rispetto, Michele.

Michele                    - E lui? Agisce bene, forse? E se mi capita, non mi farò scrupolo di dirglielo.

Cristina                     - Se lo meriterebbe.

Michele                    - Gli direi senza tanti preamboli: « Non potresti essere serio alla tua età? non ti vergogni di fare lo scemo invece di pensare che hai quattro figli? » E io dovrei affliggermi per questo? E pian­gerci sopra? Ma fatemi il piacere.

Gilberto                    - Mi aspettavo ben altre reazioni. Nel mio dolore mi sarebbe stato dì sollievo vederlo con­diviso. Poiché qui non si tratta di una semplice avventura, il problema è ben altro. Non sono un romantico e non mi perdo fra le nuvole. Ma poco fa, a vedere la mamma sorridente e fiduciosa, ignara della condanna che l'attende, ho compreso tutta la ingiustizia e la crudeltà della vita. E questo mi ha fatto veramente pena, tanta pena. A voi tutto questo sembra indifferente.

Tutti                         - (gravi a un tratto) A noi indifferente? Ma che dici? Vaneggi?

Gilberto                    - Io, per conto mio, non le ho mai voluto tanto bene.

Bernardo                  - E io non l'ho mai trovata così bella.

Gilberto                    - Mai ho sentito tanta voglia di difen­derla.

Bernardo                  - La difenderemo, Gilberto, te lo giuro.

Michele                    - Noi quattro ci arriveremo, Gilberto.

Gilberto                    - Eravamo sempre in sei attorno a quella tavola. Quanti saremo dopo?

Bernardo                  - Zero.

Gilberto                    - Hai detto bene, Bernardo. Quello che m'inquieta, ciò che mi rattrista, non è l'avven­tura del babbo, ma le ragioni che l'hanno provocata. Mi capite?

Bernardo                  - Tu le conosci?

Gilberto                    - Un uomo felice non se ne va. E se parte, vuol dire che non è felice, e che spera di esser più felice altrove. E chi sa che un po' dì colpa non l'abbiamo anche noi? Mi spiego?

Michele                    - (che ha alzato un dito) Gilberto?

Gilberto                    - Cosa, caro?

Michele                    - (gli prende la mano) Tu non mi conosci. Potresti giudicarmi male dopo quello che ho detto prima. Eppure, se mi lasciassi andare all'espansione, avresti delle sorprese, e ti convin­ceresti che non è colpa mia se non so sembrare quello che sono. E se non te l'ho mai detto, Gilberto, ecco: tu sei e sarai sempre mio fratello. Comanda e ti seguirò. E se sbaglio, perdonami.

Gilberto                    - Grazie, Michele.

Cristina                     - Gilberto.

Gilberto                    - Che c'è?

Cristina                     - So che tu pensi male di me.

Gilberto                    - Vale a dire?

Cristina                     - Io non sono la vostra confidente, e voi tutti mi tenete in disparte; anche se ho diciotto anni, mi considerate una ragazzina. Perché me ne volete?

Bernardo                  - Nessuno te ne vuole, Cristina.

Cristina                     - È colpa mia se ciascuno si tiene tutto per sé?

Gilberto                    - Hai ragione. Ora ci conosceremo meglio. Alla disgrazia dovremo almeno questo. (La bacia) Senza rancore, Cristina.

Bernardo                  - Ritorno sulla mia domanda, Gil­berto. In che cosa siamo colpevoli?

Gilberto                    - Non ve l'avrete presa a male?

Tutti                         - Ti pare?!

Gilberto                    - Dico che se avessimo anche noi il coraggio di riconoscere i nostri torti, e i nostri errori, ci si accorgerebbe forse che una parte di responsa­bilità l'abbiamo anche noi. Quante volte non ho inteso papà dirci senza commenti: « Mi fate pena » oppure « Quanta delusione mi date! ».

Michele                    - Tutti i genitori dicono queste frasi: è il loro vocabolario.

Gilberto                    - No, Michele, è un'altra cosa: noi ce ne infischiamo di tutto, massacriamo senza volere. È vero o non è vero? Mi dicevo che la licenza liceale non è essenziale nella vita. Ne convengo. Ma tu, Michele, son già quattro volte che ti fai bocciare. E se ci pigli una giusta paternale, scrolli le spalle e lo mandi al diavolo. Anche domenica sei stato volgare. Ti rimproverava di non vederti mai col naso su un libro. Ricordati che cosa gli hai risposto. E la settimana avanti, quando rincasasti alle quattro del mattino senza voler dire dove eri stato e che cosa avevi fatto? E la scenata che ne seguì, perché la mamma aveva preso le tue difese? Che serata abbiamo avuta? A lungo andare, faresti perdere la pazienza a un santo.

Michele                    - Io non son fatto per gli studi. Ho la memoria debole. I libri mi stancano. Che colpa ne ho se son fatto così?

Gilberto                    - E al tuo avvenire non ci pensi?

Michele                    - Parò il domestico, se non so far altro.

Gilberto                    - Non credi che con un po' di sforzo?

Michele                    - Vorrei promettere; ma se dopo non mantengo?

Gilberto                    - (con dolcezza) Prova.

Michele                    - E quando ho provato, lo so che mi succede. Apro un libro, mi prendo la testa fra le mani, leggo. Ma leggendo penso ad altro. È così: una malattia, e ci soffro al punto che preferisco non pensarci. Mentre lo sport, è più forte di me. Vallo a spiegare.

Cristina                     - E a me che rimproverate?

Gilberto                    - Tu? Non ti si vede mai; non un gesto, uno slancio. Esci. Ritorni. Non te ne accorgi. Non gli dai mai un bacio, mai un regalino; non hai mai un pensiero gentile. Non è tuo padre. È un estraneo. Da un anno soprattutto. Perché?

Cristina                     - M'aveva sgridata a proposito d'una lettera. Avevo più di quindici anni, e non aveva il diritto di cacciare il naso negli affari miei.

Gilberto                    - Gliene hai voluto per questo?

Cristina                     - Prima mi ispirava fiducia: poi non più. Un giorno mi minacciò uno schiaffo, e da allora non c'è più stato fra noi quell'accordo che c'era una volta. Eppure gli volevo un bene pazzo.

Gilberto                    - E non c'è modo di tornare amici?

Cristina                     - Quando volevo fare del « camping », me l'ha proibito. E non era per divertirmi; volevo fare del «camping» perché almeno si è tra di noi, senza dover rendere conti. Si soffre il freddo, si mangia male magari, ma almeno si è liberi: si ride, si canta, si scherza. Si dimentica tutto. Si vive, insomma. Mentre qui...

Gilberto                    - Non sei poi tanto infelice.

Cristina                     - Siamo soli anche quando siamo insieme. Conto forse qualche cosa per te?

Gilberto                    - Si capisce che conti.

Cristina                     - Lo dici ora. Ma in casa ognuno tiene tutto per sé: si è diffidenti.

Gilberto                    - Ci lasceresti soli in un momento in cui tutti abbiamo bisogno di consolidare i nostri affetti?

Michele                    - Andiamo, Cristina, abbi un gesto. Quante volte io non ho sentito i suoi rimproveri? Gliene voglio forse per questo?

Bernardo                  - Sii buona, Cristina.

Cristina                     - Cercherò, per farvi piacere.

Tutti                         - Grazie.

Gilberto                    - E per provarvi che io sono giusto, dichiaro i miei torti, riconoscendoli. Papà voleva che entrassi alla scuola centrale, per poi succedergli nell'officina. Invece io studio legge.

Michele                    - E dimentichi la signora Martin, quella vedovella che volevi sposare per forza, due anni fa, malgrado avesse trent'anni? L'hai torturato un bel po' il babbo la sera che seppe che eri scappato con lei a Marly. La rabbia che si prese...

Gilberto                    - Ma tutto sommato, io gli ho sacri­ficato il mio amore.

Michele                    - Per forza: prese il volo per New-York con un giovanottone dello stato maggiore.

Gilberto                    - La signora Martin mi voleva un bene folle, se vuoi saperlo.

Michele                    - Voleva bene a tutti, anche a me.

Gilberto                    - Michele, ritira...

Michele                    - Anche a me, ti ho detto.

Gilberto                    - Michele, ritira. Sei un vigliacco. Un mentitore.

Michele -                  - Ciò non toglie che se avessi voluto...

Gilberto                    - (liberandosi) Ah!

Michele                    - A sentir te, se nostro padre ci pianta, è tutta colpa nostra. Anche tu l'hai disgustato.

Gilberto                    - Ma ho riparato, bello mio. E son pronto a spingermi anche più oltre: papà si era dimostrato favorevole a un mio fidanzamento con Giorgina Cordier. Lui e il padre di Giorgina sono quasi soci, e per di più compagni di collegio. Ebbene, se questo può ancora fargli piacere o comunque essere utile a trattenerlo, sposerò Giorgina. È troppo magra per il gusto mio.

Michele                    - Ingrasserà crescendo.

Bernardo                  - Del resto, è pittrice.

Gilberto                    - Se la sposo, non sarà certo per i suoi sgorbi. (Con sfida) Ma la sposo ugualmente per sal­vare la situazione.

Bernardo                  - Bravo Gilberto.

Gilberto                    - Giacché quello che oggi conta è far passare a nostro padre la voglia di partire.

Michele                    - Non partirà.

Bernardo                  - Tu lo credi, Michele?

Michele                    - (forte) Non partirà.

Bernardo                  - Dio t'ascolti.

Michele                    - Ho la mia idea.

Cristina                     - Anche io ho la mia.

Gilberto                    - E tu, Bernardo?

Bernardo                  - Lo spero.

Gilberto                    - C'è di mezzo la mamma e ci siamo noi. Abbiamo otto giorni per giocare e poter vincere la partita. È necessario giocarla.

Tutti                         - (fanno cenni di approvazione).

Gilberto                    - Lo giurate?

Tutti                         - (fanno il gesto del giuramento).

Gilberto                    - Non se ne andrà?

Tutti                         - (scandendo le parole) Non se ne andrà! (Gilberto, deciso, ha incrociato le braccia. Michele ha sbuffato pesantemente. Bernardo furtivamente s'è asciu­gato una lacrima. Cristina, sconvolta, singhiozza. JS i suoi fratelli si sono chinati su lei).

Michele                    - Via, non piangere, Cristina. Dal momento che siamo tutti fratelli, dimostriamo di saper essere uomini. (Il padre è apparso. Ha una cartella in mano. Pausa. È rimasto immobile sulla soglia. Poi con lo sguardo ha cercato la sua cartella, e se ne impossessa dopo aver gettato l'altra sul tavolo).

Il Padre                    - Te ne supplico, Gilberto, una volta per tutte: sta attento alla tua cartella. Son già diverse volte che confondiamo. Oppure cambiamo colore. Mi hai fatto perdere un'ora di tempo con questa storia... (Pausa) Tu non te n'eri nemmeno accorto, scommetto.

Gilberto                    - Infatti.

Il Padre                    - (l'occhio su Michele che negligentemente ha aperto un libro) Come va che non sei alla par­tita di calcio, Michele?

Michele                    - Ho voglia di lavorare.

Il Padre                    - (sorpreso) Vuol morire il diavolo?

Michele                    - (poco convinto) Penso agli esami che s'avvicinano.

Il Padre                    - Finalmente. (A Cristina che l'ha preso per il collo e lo bacia lungamente) Sì, buon giorno. Buon giorno. Cosa c'è che non va?

Cristina                     - T'ho dato un bacio. È naturale.

Il Padre                    - Ne avevi persa l'abitudine.

Cristina                     - Posso riprenderla.

Il Padre                    - Sicuro che puoi... (A se stesso) Ma che hanno? (Indifferentemente ha frugato nella sua cartella e, dopo averla verificata, la chiude soddisfatto).

Gilberto                    - Facciamo un bridge, papà?

Il Padre                    - Un bridge? oggi giovedì? in onore di chi? e con chi?

Gilberto                    - Con te. Per essere insieme.

Cristina                     - Terrò io lo « score ».

Michele                    - Gioca tu per me. Io lavoro.

Bernardo                  - (chiama) Mamma, mamma.

Il Padre                    - Lascia stare tua madre. Perché la disturbi?

Tutti                         - Mamma, mamma.

Il Padre                    - Ma insomma, cosa vi piglia?... (tra se) Son diventati matti.

Gilberto                    - (dolcemente) E tu no?

Il Padre                    - (assai perplesso) Ma che hanno oggi? (La madre è apparsa).

La Madre                 - Sei qui, Giorgio?

Il Padre                    - Avevo dimenticato una carta. Ma esco subito.

Bernardo                  - (alla madre) Avvicinati.

La Madre                 - Perché?

Bernardo                  - Avvicinati. (Al padre) Anche tu. (Senza capirci nulla, dopo un momento d'esitazione i genitori s'avvicinano. D'autorità Bernardo ha congiunto le loro mani. E i quattro figlioli in fila davanti a loro, si son messi serissimi sull'attenti).

Il Padre                    - (sorpreso) Che cos'è?

Michele                    - (celiando) Si fa il blocco.

Il Padre                    - È un nuovo gioco?

Michele                    - In uso nelle migliori famiglie.

Il Padre                    - (sempre più sorpreso) Sono pazzi da legare!

Michele                    - (enigmatico) E non siamo che al principio, ragazzi.

                                                                    Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena. Tre giorni dopo. È domenica, poco prima di mezzogiorno.

 (Il padre è seduto alla scrivania e scorre un incar­tamento. Dietro a lui, Michele, in piedi davanti alla libreria sceglie un libro. Si dà un'aria insolitamente studiosa).

Il Padre                    - Che stai cercando ancora?

Michele                    - Spinaza. Ci dev'essere.

Il Padre                    - Guarda bene e rimetti i libri dove li prendi. (Stupefatto) Spinoza?

Michele                    - Dicono che sia interessantissimo. Stanotte ho letto Descartes.

Il Padre                    - Descartes? E ti ha interessato?

Michele                    - Molto. Avevo un tremendo mal di capo, ma tenevo ad andare fino in fondo.

Il Padre                    - Fino in fondo a Descartes?

Michele                    - Anche quando non capivo un acci­denti, persistevo.

Il Padre                    - A non capire.

Michele                    - Mi son messo in testa di essere pro­mosso. E lo sarò.

Il Padre                    - Non bisogna poi andare da un eccesso all'altro. Mai finora t'avevo visto col naso su un libro.

Michele                    - Ho deciso di riguadagnare il tempo perduto.

Il Padre                    - T'ha preso tutto in una volta?

Michele                    - Ci pensavo da un pezzo, ma esitavo perché mi sentivo stanco.

Il Padre                    - Mi compiaccio del tuo ardore allo studio, ma lasciami dire che mi sorprende piace­volmente.

Michele                    - Grazie papà. (Oli dà un bacio).

Il Padre                    - (sorpreso di tanta espansione) Speriamo che duri.

Michele                    - Anch'io, benché mi domandi come me la caverò agli esami.

Il Padre                    - Ci vuol misura in tutto.

Michele                    - Disgraziatamente per me, sono una testa dura, ma cercherò di ritenere più che posso. Grazie papà. (Altro bacio).

Il Padre                    - Mi hai già baciato. Grazie di che?

Michele                    - D'essere mio padre.

Il Padre                    - Strano linguaggio.

Michele                    - Non ti piace?

Il Padre                    - Ma sì, figurati. Dirò anzi che mi preoccupa.

Michele                    - (spontaneamente) Se sapessi. (Pausa. Il padre guarda Michele con crescente stupore. Il telefono chiama. Il padre stacca).

Il Padre                    - Pronto. (Passa l'apparecchio al figlio) Per te.

Michele                    - (al telefono) Sì... Chi?... Martino?... Sono Michele... Un match di boxe alla sala Wagram? Non posso, caro. Ho da studiare. Domani? al cinema? Nemmeno, purtroppo. Lavoro. (Un sospiro) Più tardi, sicuro... Grazie. (riattacca).

Il Padre                    - Vedo che ti sei messo proprio sulla buona strada. Speriamo che duri.

Michele                    - Si vedrà fra otto giorni.

Il Padre                    - Perché fra otto giorni?

Michele                    - Perché andando di questo passo, sarò presto a terra.

Il Padre                    - Per questo ti consigliavo una giusta dose.

Michele                    - Tanto peggio per me. Gli eventi decideranno.

Il Padre                    - Quali eventi?

Michele                    - Essere forti: tutto qui. (Si allontana carico di libri. Il padre lo segue con gli occhi).

Il Padre                    - Puoi metterti qui; non mi disturbi affatto.

Michele                    - Starò meglio in camera mia: per concentrarmi.

Il Padre                    - Ti riesce?

Michele                    - Cerco. Non è una cosa comoda... Non hai altro da dirmi papà?

Il Padre                    - Non mi resta che ringraziare il cielo e pregare.

Michele                    - È quel che ho fatto, questa mattina alla Messa.

Il Padre                    - Sei andato a Messa?

Michele                    - Delle sette. Per essere poi a casa più presto. Ciao, papà. (Si allontana con un mucchio di libri sotto il braccio).

Il Padre                    - (lo richiama) Michele?

Michele                    - Papà?

Il Padre                    - Avvicinati.

Michele                    - Che c'è?

Il Padre                    - Avvicinati. (Michele esegue, ma con prudenza).

Michele                    - Si tratta d'uno scherzo?

Il Padre                    - Sei diventato tutto ad un tratto ragionevole. Mi sembri un pazzo. Non sei mica matto, di'?

Michele                    - Non ancora...

Il Padre                    - Qualche cosa dev'essere accaduto.

Michele                    - In me? Non posso definirlo.

Il Padre                    - Come a Lourdes?

Michele                    - Se ci sarà bisogno, ci andrò.

Il Padre                    - Per ottenere il passaggio?

Michele                    - Per questo, e il resto.

Il Padre                    - Quale resto?

Michele                    - Vuoi sapere la verità, papino?

Il Padre                    - Lo esigo.

Michele                    - Ebbene, te la dirò.

Il Padre                    - Senza mentire?

Michele                    - Senza. Perché, ti dirò, ne ho abbastanza di essere preso in giro perché sempre bocciato. Intel­ligente o no, voglio arrivare. E arriverò. Voglio che tu sia orgoglioso di me, papà. E farò il liceo, e perché tu non debba più rispondere quando ti parlano di me: « Oh, quello! ». Ebbene, « quello » non ha detto ancora la sua ultima parola; ma la dirà, e strapperà la sua licenza liceale. E forse un giorno, se saremo ancora tutti insieme, tu sarai il primo a dire: « Quello sgobbone di Michele, tanto ha detto e tanto ha fatto, che l'ha spuntata ». E un giorno mi vorrai con te all'officina per darti una mano, si capisce, quando gli anni cominceranno a pesarti e ti sarai ritirato a Montmorency, con la mamma. (Lunga pausa. Michele cerca di percepire lo sguardo emozionato di suo padre, Bernardo è entrato con una tela sotto il braccio. È andato ad appenderla bene in vista, di faccia alla porta. È il ritratto della madre).

Il Padre                    - L'hai fatto tu, Bernardo, quel ritratto?

Bernardo                  - Farò anche il tuo quando vorrai, se avrai pazienza di posare.

Michele                    - Farà pendant con quello della mamma. Molto bello.

Bernardo                  - Ti piace?

Michele                    - Mica male.

Bernardo                  - Lo domando al babbo.

Il Padre                    - È somigliante, e non disprezzabile.

Bernardo                  - È bella, vero?

Michele                    - Ha saputo cogliere gli occhi, eh, papà? Guarda se non brillano.

Il Padre                    - Via, Michele, un po' di calma.

Bernardo                  - L'ho ringiovanita un poco, non vi pare?

Michele                    - Si direbbe mia sorella!

Il Padre                    - Quel décolleté non ti sembra esagerato?

Michele                    - Perché? ti sembra osceno?

Il Padre                    - Ha posato per te, tua madre?

Bernardo                  - L'ho disegnata a memoria.

Il Padre                    - Non ti sapevo così bravo. Complimenti.

Michele                    - Grazie, papà.

Il Padre                    - Non l'ho detto a te.

Michele                    - (con intenzione) Se la famiglia è una sola, fa lo stesso, eh, Bernardo? (Bacia Bernardo).

Il Padre                    - E le tue buone disposizioni di poco fa?

Michele                    - Le avevo completamente dimenticate. Scusa. E bravo, Bernardo. Sia detto tra noi, la Gio­conda, sì, non dico... Ma anche questa qua... (indica il quadro).

Il Padre                    - Non si dice « questa qua » parlando di tua madre.

Michele                    - D'accordo. Scusa. Ma come lavoro, c'è poco da ridire. D'altronde di Bernardo nulla mi sorprende, dopo quello che m'han detto.

Il Padre                    - Che altro t'han detto?

Michele                    - L'altro giorno, da Dogan, c'era quel famoso pittore; non mi viene il nome... al quale avevano mostrato dei bozzetti di Bernardo. Sai che ha detto? « Questo ragazzo sarà un grande ritrat­tista! ». L'ha detto davanti a dieci persone. Io ho anzi azzardato, aggiustandomi il colletto: « E io sono suo fratello ...

Il Padre                    - Che c'entravi tu?

Michele                    - Ero fiero dal momento che siamo dello stesso sangue.

Il Padre                    - Hai l'istinto della famiglia, meno male...

Michele                    - Non l'avevo mai tanto sentito da giovedì scorso.

Il Padre                    - Da giovedì? Perché da giovedì?

Gilberto                    - (entrando) La mamma ti vuole.

Il Padre                    - (uscendo) Perché giovedì? Non devono avere il cervello a posto questa mattina.

Gilberto                    - Ebbene, è contento che studi?

Michele                    - M'ha domandato se non sono impazzito. Non faccio che trasportare libri dalla mattina alla sera. Non vado più allo stadio. Ne invento di tutti i generi per tenermelo buono. Ci son momenti che ho paura della congestione a forza di star sempre rinchiuso in casa. E se con tutto questo non siete contenti...

Gilberto                    - Gli sei andato a dire: « da giovedì ». Non dovevi.

Michele                    - Non è la verità? Dal giorno della famosa lettera...

Gilberto                    - Lo so, ma hai fatto male a dirglielo.

Michele                    - Beh, m'è scappata...

Gilberto                    - Ma sta attento. (A. Bernardo) E il quadro gli è piaciuto?

Bernardo                  - Credo di sì. (A Michele) Ma potevi fare a meno di mostrargli decisamente i seni. È la mamma, no?

Gilberto                    - Non hanno mica telefonato?

Michele                    - Sì, Martino. Per me.

Gilberto                    - La vostra impressione?

Bernardo                  - Spero bene.

Michele                    - Se non ce la facciamo, vorrà dire che quella donna l'ha stregato. Dopo quello che sto facendo. Da questa mattina, l'ho baciato tre volte. Ne è rimasto di stucco. E dal lato Morel?

Gilberto                    - Non è affar mio.

Michele                    - Hai visto la signora Morel?

Gilberto                    - Più tardi, se sarà necessario.

Michele                    - E lui, Morel? Se gli mettessi la pulce nell'orecchio?

Gilberto                    - Esce presto papà?

Michele                    - Se gli dò il permesso.

Gilberto                    - Non dire stupidaggini.

Michele                    - Bè, sì, se io gli dò il permesso. Esco forse io?

Gilberto                    - Bernardo ha preparato il complimento?

Bernardo                  - Te lo mostrerò più tardi, Gilberto. Credo che ti piacerà. (Il padre è entrato).

 Il Padre                   - E Spinoza, Michele? Non ci pensi già più?

Michele                    - Esito a cominciarlo: una volta inol­trato, non sarò più capace di fermarmi.

Il Padre                    - Ti chiameremo quando ci metteremo a tavola. Va pure.

Michele                    - (andandosene dopo aver indicato il quadro che Bernardo ha fissato alla parete) Bernardo, un giorno sarai Raffaello. (Piano a Gilberto) Sotto, Gil­berto. Lo teniamo. (Esce).

Il Padre                    - (sorpreso) Non beve mica di nascosto?

Gilberto                    - Non credo.

Il Padre                    - È così sovraeccitato da un paio di giorni.

Gilberto                    - Son riuscito a scuoterlo dalla sua poltroneria. È per questo.

Il Padre                    - I miei complimenti.

Gilberto                    - (serio) È naturale, io sono il pri­mogenito... (A Bernardo) Puoi lasciarci, Bernardo. Ho due parole da dire a papà.

Il Padre                    - E bravo Bernardo. Mi hai fatto vera­mente piacere.

Bernardo                  - (che bacia il padre religiosamente) Grazie. (E scappa di corsa per nascondere la sua emozione).

Il Padre                    - In vita mia non sono mai stato tanto baciato come oggi.

Gilberto                    - (come un uomo) Sono ragazzi.

Il Padre                    - Hai da parlarmi?

Gilberto                    - Siediti qui e parliamo, da buoni amici.

Il Padre                    - (obbedendo come un automa) Ci vorrà molto?

Gilberto                    - Cinque minuti. Prendi una sigaretta.

Il Padre                    - Non vorrei privartene.

Gilberto                    - No, no, tieni pure il pacchetto, se lo vuoi. Accendi.

Il Padre                    - (un po' sbigottito) Mi comandi come se fossi mio padre.

Gilberto                    - Press'a poco, disgraziatamente. Posso cominciare, sì? Allora, ecco qua due o tre cosettine, punto gravi del resto.

Il Padre                    - Preferisco.

Gilberto                    - Lo dirai dopo. Se mi interrompi perdo il filo e buonanotte. Prima di tutto, ì miei studi: ho deciso di prepararmi per il concorso alla Facoltà. So che è duro, ma capisco benissimo che non se ne ha mai abbastanza. E giacché, per nostra fortuna, tu ci hai dato l'esempio del lavoro, per conto mio, voglio che tu sia orgoglioso di me. Se io non sarò il grande ingegnere che avevi sperato, cercherò di essere un giurista apprezzabile. Va bene?

Il Padre                    - Benissimo.

Gilberto                    - Almeno lo spero. Altra cosa. Senza voler tornare sul passato...

Il Padre                    - Morto e sepolto...

Gilberto                    - Completamente, ti giuro.

Il Padre                    - Ne sono felicissimo.

Gilberto                    - Tutti ci lasciamo prendere dallo scherzo... Nulla di mortale se si ripara in tempo. La natura umana ha le sue debolezze. Io ho avuto le mie. Ognuno ha le sue... Un buon consiglio basta alle volte a riparare... capisci? (Pausa. Il padre ha l’aria di non capire) Io avevo diciannove anni. Lei era vedova. Io ne ero innamorato. Tu mi hai fermato in tempo. (Gli prende la mano) Grazie. Io sono andato sulle furie. Ho compreso soltanto dopo. Non parlia­mone più. Tutto è finito, grazie a te. Hai fatto bene. Mi hai fatto comprendere allora che una vita non si può costruire su di un colpo di testa, che non è il piacere di un momento, ma l'armonia di mille par­ticolari composti con amore e indulgenza; che non c'è gioia se non in un focolare costruito pazientemente malgrado gli ostacoli e gli errori. Avevi ragione. Hai ragione tu... (Un po' confuso) Eccoti del fuoco, la sigaretta è spenta.

Il Padre                    - E allora?

Gilberto                    - Non andrai in collera, per quello che sto per dirti'? Prometti?

Il Padre                    - Prometto.

Gilberto                    - Tu conosci la canzone: « Non si vive senza amore »?

Il Padre                    - Che c'entra questo?

Gilberto                    - Mi sono innamorato, ma questa volta saggiamente, ragionevolmente.

Il Padre                    - Allora, non ami.

Gilberto                    - Aspetta. È il risultato d'una scelta: amo Giorgina Cordier.

Il Padre                    - La figlia di Francesco?

Gilberto                    - È intelligente, colta, sensibile, musi­cista. Un po' spilungona e magra a gusto mio, ma non importa.

Il Padre                    - Del resto, ha una bella carnagione e un bel personalino, almeno mi pare.

Gilberto                    - Sì, a guardarla bene... ma questo è secondario. Sarà, ne sono sicuro, una buona moglie e una padrona di casa ideale. E grazie a voi due, a te e alla mamma, ho compreso che le sole gioie dura­ture e pure son quelle della famiglia. È questo che mi ha guidato nella scelta fatta.

Il Padre                    - Tu conosci la mia amicizia per Cor­dier che è un vecchio compagno, oltre ad essere un socio prezioso.

Gilberto                    - Nessuna opposizione?

Il Padre                    - Nessuna.

Gilberto                    - Affare liquidato, dunque?

Il Padre                    - E t'ha preso tutt'assieme, anche a te?

Gilberto                    - C'era una vaga simpatia reciproca tra Giorgina e me, da due o tre mesi. Oggi, dal momento che tu sei d'accordo, non abbiamo più ragione di fare i misteriosi, no?

Il Padre                    - Avrai riflettuto bene, naturalmente?

Gilberto                    - Naturalmente. Altra cosa; altra faccenda. Ma siamo soli e ne approfitto. Le elezioni t'interessano? Sai che si terranno in autunno. Parlo delle elezioni amministrative. Non ti piacerebbe di essere sindaco?

Il Padre                    - Sindaco di Neuilly? Io?

Gilberto                    - Me ne hanno parlato. Avresti la maggioranza assoluta.

Il Padre                    - Chi te ne ha parlato?

Gilberto                    - Non importa. Sono stato incaricato di «sondar il terreno» ufficiosamente, così. Si sa che sei a sinistra, ma non troppo; altri dicono che sei a destra. In un giusto mezzo ti andrebbe? Hai tutto il tempo di riflettere.

 Il Padre                   - Sai che la politica io...

Gilberto                    - Io ti ho avvertito. Neuilly è sempre un comune importante.

Il Padre                    - In principio... No... Proprio no. (Pausa, nondimeno lusingato) Ci penserò.

Gilberto                    - Ne riparleremo. Ed ora, vengo al sodo.

Il Padre                    - Finalmente!

Gilberto                    - Non ridere, è cosa seria e soprat­tutto delicata. Accendi, hai ancora spento. Non hai notato nulla qui in casa... nulla di anormale, di preoc­cupante, se preferisci, insomma, diverso da quello che era prima?

Il Padre                    - Sì.

Gilberto                    - Ah!

Il Padre                    - Ho, infatti, l'impressione di una specie d'effervescenza, che d'altronde non riesco a capire. Una nervosità, un'aria di nulla ben definito, eppure qualcosa d'insolito.

Gilberto                    - Ah!

Il Padre                    - Il semplice fatto che voi siete tutti in casa, mentre prima non vi si vedeva quasi mai.

Gilberto                    - Ah!

Il Padre                    - Non dire sempre « Ah! ». E non farmi più domande da pazzo. Ho i miei pensieri, io, e non ho tempo di ascoltare le tue sciocchezze. Converrai che ci sono altri problemi da risolvere.

Gilberto                    - Quali?

Il Padre                    - Riguardano me.

Gilberto                    - Siamo tutti solidali qui dentro.

Il Padre                    - Te ne prego.

Gilberto                    - A me puoi dir tutto. Ho quasi la tua età, giacché tu avevi press'a poco la mia età quando io sono nato. Non sei più cresciuto da allora.

Il Padre                    - Se permetti, io ho i miei pensieri e nessuna voglia di scherzare.

Gilberto                    - Eppure hai tutto per essere felice.

Il Padre                    - Tutto, tranne quello che non sai e che del resto non ti riguarda.

Gilberto                    - Indovino, piccolo mio.

Il Padre                    - E in primo luogo, io non sono il tuo piccolo. Indovini cosa?

Gilberto                    - Cose che non si dicono, ma che tutti sanno.

Il Padre                    - (che s'impazienta) Gilberto, che modo di parlare è questo? Spiegati una buona volta.

Gilberto                    - (con eccesso di familiarità) Povero papà, che non capisce. Ci credi, dunque, tutti in­genui e ciechi. Da dove vieni?

Il Padre                    - Da dove vengo?

Gilberto                    - Confessati, via, sarà meglio. Ti sentirai più leggero.

Il Padre                    - Non ho niente da confessare a nes­suno, e ancora meno a te. Siete straordinari tutti quanti.

Gilberto                    - E tu, allora! D'altronde fai male a prendertela tanto. Conosco la mamma.

Il Padre                    - Che c'entra tua madre?

Gilberto                    - Di che ti parlavo poco fa? se non di lei? Anch'io del resto ho avuto i miei dubbi. Che altri le facciano la corte, malgrado l'età, lo si può in certo qual modo concepire, è talmente incantevole mammà... (Il padre si è alzato) Bè, dove vai?

Il Padre                    - A prendere un cachet, dieci se occorre, una doccia se è necessario, ma fuggire in ogni modo da questa follia collettiva nella quale vorreste tra­scinare anche vostra madre... questa tua storia non ha senso comune. (Il telefono chiama e nervosamente il padre stacca il microfono. Risponde prima brusco; poi sorridente) Pronto, sì, che altro c'è? Oh, scusi... (Amabilissimo) Buon giorno... appunto, stavo per telefonare... pronto... Ma non l'ho fatto prima per la semplice ragione che ho avuto sempre gente... anche in questo momento... non ho potuto per questo... benissimo, precisamente... capisco... a fra poco...

Gilberto                    - Non disturbo1?

Il Padre                    - Adesso non più.

Gilberto                    - (che riprende la questione con prudenza) Del resto non ti ho mai detto che la mamma...

Il Padre                    - (sempre più nervoso) Basta con tua madre! Basta con questi discorsi! Basta con queste stupide storie... M'avete seccato abbastanza. (Alla parola « storie » Michele è entrato sulla punta dei piedi, carico di libri) Li hai già letti tutti? Ne vuoi ancora?

Michele                    - Debbo rileggere Victor Hugo.

Il Padre                    - Prendilo, e portatelo via. Imparalo a mente. E lasciami lavorare in pace. In tutta la mia vita non mi era mai capitata una storia simile. (A Michele che s'allontana sempre sulla punta dei piedi) Prendi una carriola e smetti di giuocare alla libreria fantasma... hai capito?

Michele                    - (a bassa voce) Sì, papà... (Esce dicendo a suo fratello) Attacca?

Gilberto                    - (tenace) Scusami, papà, se mi sono permesso di tirare in ballo la mamma. Credo bene che sia donna da difendersi da sé, o allora non varrebbe davvero la pena di averci avuti tutti e quattro, ma talvolta in certi momenti...

Il Padre                    - Di follia.

Gilberto                    - Mi domando perché tu non debba più uscire, come facevi prima, con lei.

Il Padre                    - Io ho le mie occupazioni. Lei ha le sue. Non ti immischiare di queste cose.

Gilberto                    - Anche ieri sera, è andata sola all'Opera.

Il Padre                    - Le piace la musica. Io avevo un pranzo d'affari. Potevi andare tu con lei, nessuno te lo proibiva. Ho un mal di capo tremendo. Lasciami solo.

Gilberto                    - Tutti i sabati è la stessa cosa.

Il Padre                    - Il sabato ho i miei agenti di pro­vincia. Vorrei veder te.

Gilberto                    - Eppure, quanti uomini paghereb­bero per uscire con lei.

Il Padre                    - (che macchinalmente tocca il telefono) Quelli che non han nulla da fare forse. Non è il caso mio. Sono io che faccio bollire la vostra pentola. E una pentola non bolle da sola.

Gilberto                    - Ti vuol bene, lo sai.

Il Padre                    - Lo so. Lo so... Ah, ma questi ragazzi.

Gilberto                    - Non sei felice, in fondo, di averci?

Il Padre                    - Non sul groppone tutto il santo giorno.

Gilberto                    - A me sembra che se fossi un uomo con una buona e bella mogliettina al fianco, como­damente sistemato in un appartamento ben tenuto, perché non mi dirai che questo non sia tenuto bene...

Il Padre                    - (scocciatissimo) È tenuto benissimo.

Gilberto                    - Mi direi: « È talmente bello, è talmente sano, è talmente ideale, che avrei paura, se a non ne approfittassi, che la vita si vendicasse e me lo facesse perdere ».

Il Padre                    - (che trae di tasca un tubetto d'aspirina) Vammi a prendere un bicchier d'acqua... o finirete per mandarmi al manicomio... (Lo discosta) Mi bacerai un'altra volta... non sapete far altro da questa mattina. Su, va... Che vita! (A Bernardo che è entrato, con una tavolozza sotto il braccio) Che vuoi ancora tu?

Bernardo                  - Volevo dirti se vuoi posare per me... Cinque minuti soli... Perché possa fare il «pendant».

Il Padre                    - Che pendant?

Bernardo                  - Il pendant della mamma.

Gilberto                    - (sulla soglia) Un bicchiere grande, papà?

Il Padre                    - Una bottiglia. Ho la gola in fiamme. (Gilberto è uscito, dopo aver scambiato con Bernardo!  uno sguardo complice).

Bernardo                  - (con calma) Vuoi sederti, papà? E 1 non muoverti.

Il Padre                    - Hai scelto proprio il momento.

Bernardo                  - Sei così di rado in casa. Ne approfitto...

Il Padre                    - (che non sa più quello che fa) Basta che ti spicci. Mi siedo.

Bernardo                  - Ma no, non sei seduto.

Il Padre                    - Con le vostre chiacchiere cosa vuoi che mi raccapezzi... Non so neanche se sono in piedi o se sono seduto... Mi fate passare delle belle domeniche.

Bernardo                  - (che disegna con impegno) Sei ancora giovane, lo sai?

Il Padre                    - (lusingato) Davvero?

Bernardo                  - È meraviglioso. Sembrate ancora ' sposi, tu e la mamma.

Il Padre                    - Dipingimi in mutande se vuoi, ma fa presto. (A Gilberto che gli porta il bicchiere d'acqua) Grazie. (Inghiotte le compresse, tre o quattro, una dietro l'altra. A. Michele che torna) Hai già visto Victor Hugo?

Michele                    - È in versi: non lo sapevo. Troppo difficile per me.

Il Padre                    - Portati via la biblioteca e scegli; quello che vuoi, ma non qui.

Michele                    - (agli altri) Si sente male?

Il Padre                    - Perfettamente: mi sento male.

Michele                    - Si sentono male tutti, allora?

Il Padre                    - Chi altro si sente male?

Michele                    - Cristina. Trentotto e sei. (Fa segno ai 1 fratelli che non è vero) Non ha chiuso occhio tutta la notte. (Stesso segno complice di diniego che il padre, ben inteso, non vede).

Il Padre                    - Non ci mancava che questo. E che ha Cristina?

Gilberto                    - Beato chi può dirlo. Lei stessa nonlo sa.

Il Padre                    - Come? Tu lo sapevi?

Gilberto                    - Michele me l'ha detto adesso.

Il Padre                    - Michele non ci ha detto niente. Dove soffre?

Michele                    - Lo dirà il medico, se sarà bravo.

Il Padre                    - Si lamenta, suppongo.

Michele                    - (con falsa gravità) Non dice una parola. Da questa mattina è muta: tiene gli occhi aperti e fissi al soffitto. Non le si può cavare una parola di bocca. Oltre a questo, ha le mani giunte e contratte e quando la si interroga, non sa dire altro che una parola: « Papà ».

Il Padre                    - (visibilmente inquieto) Tua madre che ne dice?

Michele                    - Non è tornata ancora dalla Messa.

Il Padre                    - L'ha vista prima d'uscire?

Michele                    - In quel momento si sentiva benino.

Bernardo                  - (disegnando, ma senza convinzione) Povera Cristina.

Tutti                         - (come sopra) Povera Cristina.

Michele                    - (che finge una grande afflizione) Io mi sono inginocchiato ai piedi del letto e le ho detto: « Parlami, Cristina. Sono tuo fratello. Ti capisco a volo. Se hai avuto uno choc o un colpo duro, con­fidati con me, cercherò di accomodare ».

Il Padre                    - E allora?

Michele                    - (falsamente drammatico) Per tutta risposta, due grosse lacrime le sono calate sulle pal­lide gote, e io non ho potuto trattenere le mie... Una cosa straziante... (Tira fuori il fazzoletto e non può trattenere un singhiozzo. Tutti fingono la dispe­razione e portano i fazzoletti agli occhi).

Il Padre                    - Ha mangiato?

Gilberto                    - Niente, da ieri a mezzogiorno.

Il Padre                    - (sorpreso) Eri al corrente, tu?

Gilberto                    - Me l'ha detto ora Michele.

Il Padre                    - (che si passa una mano sulla fronte-sbigottito) Mah!

Tutti                         - (quasi in lagrime) Povera Cristina.

Il Padre                    - Non le avete fatto niente, spero?

Gilberto                    - Noi?

Michele                    - Ti pare? Altri forse, ma noi...

Il Padre                    - Chi altri? Quali altri?

Michele                    - Ha i suoi segreti, senza dubbio.

Il Padre                    - Respira bene?

Michele                    - Benissimo.

Gilberto                    - Con delle lunghe pause, e poi un sospiro lungo, lungo, lungo. Ma non proviene certo dalle vie respiratorie.

Il Padre                    - Che ne sai tu? Non sei medico. Mi fanno ridere queste vostre diagnosi.

Bernardo                  - (che disegna) Vuoi alzare leggermente la testa, papà?

Il Padre                    - È proprio il momento di chiedermi di alzare la testa. Avete un senso delle situazioni, voi altri! Vostra sorella è malata e non trovate altro da dirmi? E vostra madre è andata alla Messa senza preoccuparsi di nulla. È incredibile.

Gilberto                    - Il nostro vicino, il signor Menard, la stava aspettando fuori dalla Chiesa con la sua mac­china.

Il Padre                    - È anche andata alla Messa accompa­gnata da Menard.

Gilberto                    - Tutte le domeniche. Non lo sapevi?

Il Padre                    - Mentre sua figlia geme, tutto quello che sa fare è d'andare a pregare. E con Menard.

Bernardo                  - (con calma) È utile, qualche volta.

Il Padre                    - E fino ad ora voi non avevate riscon­trato nulla d'anormale in Cristina?

Gilberto                    - Questa mattina cantava.

Il Padre                    - E non aveva toccato cibo da ieri a mezzogiorno... Chi è il pazzo, qui, me lo domando.

Gilberto                    - (affettuosamente) Porse tu, papino mio.

Michele                    - Vuoi che le vada a dire di scendere?

Il Padre                    - Non dire sciocchezze. È un giuramento che avete fatto, tutti quanti?

Bernardo                  - Tu ti muovi continuamente, papà.

Il Padre                    - Non mi seccare. (S'è alzato) Quello che succede in questa casa, passa i limiti. Rimanete qui tutti... (Si accinge a salire la scala, quando il telefono chiama. Torna nervosamente sui suoi passi e stacca) Pronto... Sì, lo so... Ma appunto... È questa la ragione... Bisogna comprendermi... Verrò fra poco... Mi dovete scusare,.. (Riattacca) Ah, questi affari. Neanche la domenica.

Michele                    - (in un sospiro voluto) Com'è complicata la vita.

Il Padre                    - (che sorprende un sorriso) E tu cosa hai da ridere, imbecille?

Michele                    - Papà, non rido: è nervoso.

Il Padre                    - (agli altri) Anche voi?

Tutti                         - (subito gravi) Povera Cristina.

Il Padre                    - Non sono i vostri gemiti che la gua­riranno. A nessuno di voi è venuto in mente di chia­mare il medico... Si dipinge, si legge, si sospira, ma non si chiama il medico. Che casa di matti. (Sale le scale) .

Michele                    - (in confidenza) Che ne dite, riusciremo?

Gilberto                    - Zitto. Lascia fare a me. (Una porta s'è aperta al momento in cui il padre è a mezza scala. Cristina è apparsa, l'occhio smarrito, pallida, spet­tinata. Avanza come un automa senza dire una parola. Scende lentamente un gradino, appoggiandosi contro la rampa. Poi un altro. Il padre retrocede di un gradino).

Il Padre                    - Ebbene, Cristina?

Cristina                     - (debolmente) Dov'è... mio padre?

Il Padre                    - È qui. Son qui. Vieni, figlietta mia.

Cristina                     - (con una voce sepolcrale) Vado in cerca di mio padre.

Il Padre                    - (che l'ha presa fra le braccia) Cristina, mia piccola Cristina. Tuo padre è qui, rassicurati. Dove hai male?

Cristina                     - Non mi sento male.

Il Padre ;                   - Sogni, allora?

Cristina                     - Ho sognato che avevo perduto mio padre.

Il Padre                    - (distende Cristina sul divano) Ma no, non l'hai perduto. Ti parla, ti bacia. (Ai figli che si sono chinati su lui) Scostatevi, voi altri. E lasciatela almeno respirare... E ognuno vada per i fatti suoi, per favore. Circolate. Sembro un agente di polizia.

Bernardo                  - Poserai per me, più tardi?

Il Padre                    - (con forza) Bernardo, per amor di Dio!

Michele                    - (quando uno meno se lo aspetta) A proposito, «La Leggenda dei Secoli» è in prosa?

Il Padre                    - In versi. In versi barbari. Lasciami in pace.

Gilberto                    - Parlale con dolcezza, mi raccomando.

Il Padre                    - Non ricevo consigli da nessuno. Guardate un po'!

Gilberto                    - Scusa. (I tre fratelli sono usciti dopo uno scambio d'occhiate discretamente complici).

Il Padre                    - Ascoltami bene, mia piccola Cristina. Mi senti?

Cristina                     - Ti sento. Chi sei?

Il Padre                    - Sai bene che sono tuo padre. Non riconosci la mia voce?

Cristina                     - Papà è partito!

Il Padre                    - Per dove!

Cristina                     - Gli son corsa dietro tutta la notte.

Il Padre                    - Vedi bene che l'hai raggiunto.

Cristina                     - Mi ero distesa sui binari per fermare il treno. Sventolavo il fazzoletto. E il treno m'è passato sopra.

Il Padre                    - Ma no, cara. Sei pazza?

Cristina                     - (di slancio si getta fra le sue braccia e lo bacia).

Il Padre                    - Hai un dispiacere? (Cristina lo fissa negli ocelli, senza rispondere) Un segreto? Hai avuto uno spavento, forse? Cerca di ricordarti. Me ne vuoi sempre per quel piccolo diverbio che ci fu tra noi l'anno scorso? È per questo? Era per il tuo bene, lo sai, Cristina, perché tu eri ancora troppo piccola. Ma t'ho perdonato. E tu, no?

Cristina                     - Oh, io ho dimenticato.

Il Padre                    - E allora? (Pausa) Parla... Rassicu­rami. Giuro che rimarrà fra noi. Non ti fidi di me?

Cristina                     - La vita mi disgusta.

Il Padre                    - Alla tua età?

Cristina                     - È troppo brutta.

Il Padre                    - In che?

Cristina                     - A dirlo non serve a niente. Nessuno capirebbe.

Il Padre                    - Io, sì.

Cristina                     - Nessuno.

Il Padre                    - Che ragione hai di dire questo, oggi?

Cristina                     - Perché oggi tu me lo chiedi. Non si vede che gente che soffre e nessuno si cura delle sofferenze altrui. Tutti mentiscono.

Il Padre                    - Non tutti, via...

Cristina                     - Sì, tutti. Quel che c'è di bello si demo­lisce. Quel che c'è di puro, s'insozza. Non vi sono amici. Non vi sono fratelli. Non c'è nessuno. Si è soli a difendersi contro tutti. Tutti commedianti, io per la prima... Non voglio vedere più nulla di tutto questo sudiciume. Voglio farmi monaca.

Il Padre                    - Ecco brava, fatti monaca.

Cristina                     - Voglio prendere il velo.

Il Padre                    - Due, se c'è bisogno... Ma non star qui ad affliggerti così. Su, confidati con me. Siamo soli. Ed ho l'impressione che tu mi parli per la prima volta. Eravamo due estranei; ora non più. Eh, Cristina?

Cristina                     - Farò come Anna Maria. Ha ragione lei.

Il Padre                    - Quale Anna Maria?

Cristina                     - La mia compagna di scuola. Ha ragione.

Il Padre                    - Ha avuto dei dispiaceri?

Cristina                     - E come. E io farò come lei. Ha deciso di entrare in convento. A diciassette anni, ha ca­pito, lei.

Il Padre                    - Quando l'hai vista?

Cristina                     - Ieri.

Il Padre                    - E che t'ha detto?

Cristina                     - Che importa, tu non la conosci.

Il Padre                    - Tutto quel che ti tocca, mi preoccupa, ne dubiti?

Cristina                     - Non ne son troppo sicura, disgrazia­tamente. Se fosse così... (S'arresta).

Il Padre                    - Via, dì... Che è accaduto a Anna Maria!

Cristina                     - I suoi genitori divorziano, niente altro.

Il Padre                    - E si affligge per questo?

Cristina                     - Siete curiosi voi padri, a fare domande simili. Sicuro che soffre, poverina. I figliuoli non vogliono essere immischiati alle beghe dei genitori, e non si fa loro prendere le abitudini di una casa per poi un bel giorno piantarli là con tutti i loro ricordi... Anna Maria soffre per questo. Quando si scopre, a diciassette anni, che l'amore conduce allo sfacelo, che un focolare domestico si distrugge invece di rinfocolarsi, che la saggezza degli uomini seri consiste nell'ipocrisia, mi confesserai che è troppo. Da parte mia, non amo e non amerò mai nessuno, grazie a Dio, perché ne so già troppo. E quello che so ho dovuto impararlo a mie spese, no? Sta ora a te rispondermi.

Il Padre                    - (un po' impacciato) Non vedo troppo bene, come dire? la... la... insomma come i dispiaceri di Anna Maria abbiano potuto sconvolgerti a tal punto.

Cristina                     - Ah, no?

Il Padre                    - Se si dovessero prendere a cuore nella vita, tutti i guai degli altri, non si finirebbe più. Son già troppi quelli che abbiamo noi.

Cristina                     - Ah, sì?

Il Padre                    - Ci son delle ragioni, il più delle volte segrete, che fan sì che il disaccordo... Sono problemi complessi, personali, difficilmente spiegabili. Soprat­tutto a una ragazzina come te. Non è una cosa nuova. È stato sempre così.

Cristina                     - Sei tu che l'hai voluto sapere.

Il Padre                    - Ero inquieto, è naturale.

Cristina                     - E ora non lo sei più. Fai presto a guarire. (Si getta fra le sue braccia) Povero papà mio!

Il Padre                    - Perché povero papà mio?

Cristina                     - (più fermamente) Povero papà mio. Se ti capitasse qualcosa di simile, se la mamma se ne andasse... che razza di frittata avremmo fatta tutti quanti? Assuefarci a altre voci, ad altri occhi, ad altri gesti, e ripartire da zero, dopo una simile addizione: segno zero e riporto zero... Vorrei vedere la tua faccia, senza parlare della nostra... (Spontanea fra le sue braccia) Povero papà mio.

Il Padre                    - Calmati, via, tu ti strapazzi troppo. È proprio necessario che tu vada a riposare, Cristina.

Cristina                     - Sto benissimo, qui, fra le tue braccia... Ti tengo. Tu sei un poco mio... abbiamo fatto cono­scenza finalmente... una figlia è sempre una figlia, non ti pare? anche se fosse una figlia cattiva... forse anche una pazza, che non sa più quel che si dice... né perché lo dice... senza nessuna ragione... solo perché oggi ci si parla, cosa che non ci era mai capitata.

Il Padre                    - (che si discosta da lei) Torna in camera tua, Cristina.

Cristina                     - No. Bimani... (Avvinta a lui in un singhiozzo) Povero papà mio! (Un silenzio. Michele è entrato. Ha un grosso dizionario sotto il braccio, un asciugamano bagnato in testa, stremato di forze).

Il Padre                    - Sei malato tu pure?

Michele                    - Da due giorni non faccio che riempirmi la testa di cose terribili. Porse sto per scoppiare. Va meglio Cristina?

Il Padre                    - Non farmi domande. Sono nostri segreti.

Michele                    - (a Cristina) Come la si mette?

Cristina                     - Spero bene.

Michele                    - Sei una furbetta, tu, che vale un tesoro. Bacia tuo fratello.

Il Padre,                   - Non la scombussolare troppo. Ha bisogno di riposo... Dov'è Bernardo?

Michele                    - Ti sta dando gli ultimi tocchi di sopra. Sei molto bello.

Il Padre                    - E Gilberto?

Michele                    - È andato a prendere la mamma in Chiesa.

Il Padre                    - E voi restate qui, tutti e due? o salite? Tu ritorni a letto, Cristina?

Cristina                     - Sto bene qui.

Il Padre                    - (preoccupato) Io... vado dal tabac­caio. Se mi chiamano, torno subito. (Il telefono chiama al momento in cui il padre aveva già varcato la soglia. Michele stacca vivamente).

Michele                    - Pronto? No, signora... Non c'è. (Attacca).

Il Padre                    - Perché dici che non c'è quando ci sono? Di che t'impicci?

Michele                    - Vuoi che richiami?

Il Padre                    - Chi vuoi richiamare?

Michele                    - Dimmelo, faccio il numero.

Il Padre                    - (andando) Povero Michele.

Michele                    - Povero papà. (Piano a Cristina mentre il padre esce) Lo tiene forte. È dura.

Cristina                     - Hai riconosciuto la voce al telefono?

Michele                    - No. Ma ci scommetto la testa che era lei.

Cristina                     - Che ne sarà di noi con quell'arpia?

Michele                    - Non me ne parlare. Ho la testa che mi brucia. Come è andata?

Cristina                     - Gli ho detto tutto quello che potevo.

Michele                    - Hai fatto la discesa dalla scala, da grande attrice. Una meraviglia.

Cristina                     - Eppure, hai visto? non ha giovato a nulla. Non otterremo niente se quella donna lo tiene.

Michele                    - Dovrà lasciare la preda. Noi abbiamo il diritto di fare delle sciocchezze. Loro no. Noi siamo liberi. Lui no. Ha firmato. Ci ha creati. Siamo qui.

Cristina                     - Gli uomini della sua età non è tanto facile tenerli.

Michele                    - D'accordo, è un'altra generazione. (Tenace) Ma fa lo stesso. La pianterà... Tu gli hai dato del filo da torcere, povera Cristina. Sei stata meravigliosa. Soprattutto la faccenda di Anna Maria: Una trovata.

Cristina                     - Hai sentito?

Michele                    - E le porte a che servono? In te c'è la stoffa della grande attrice, te lo ripeto.

Cristina                     - Mi sono troppo immedesimata della parte: alla fine, ero sincera.

Michele                    - Io sono lo stesso... per cambiare discorso, hai intenzioni di digiunare per un pezzo? Dovrai sentirti lo stomaco alle calcagna, a furia di far lo sciopero della fame.

Cristina                     - Ora non più.

Bernardo                  - (è sceso col quadro sotto il braccio. Lo appende di faccia a quello della madre) Vi piace?

Michele                    - Quando si dice: « Sarai dell'Accademia » non è un complimento: dovresti già esserci.

Bernardo                  - Buone notizie?

Michele                    - Cristina è stata un amore. Una mera­viglia. Io poi non ti dico. Siamo stati sublimi.

Bernardo                  - E il risultato?

Michele                    - Schiacciante. Ma l'altra è sempre al telefono e non ci dà pace... L'avevo detto: è la piccola Morel.

Bernardo                  - (gravemente) In ogni modo c'è speranza.

Michele                    - Non siamo mica bambini.

Bernardo                  - Gilberto, soprattutto. S'è rivelato un portento d'intelligenza e di scaltrezza. Ieri, per esempio, non so se l'avete notato, è uscito con la mamma tutto il pomeriggio. E sapete dove sono andati?

Michele                    - Da Old England. Lei doveva com­prargli un golf.

Bernardo                  - Macché. Gilberto ha accompagnato la mamma dalla modista, dalla sarta e all'istituto di bellezza. Ha scelto lui stesso i cappellini: uno con la veletta che pende, l'altro minuscolo, adorabile... L'ha infiocchettata lui stesso come un giovane marito. Ha consigliato la pettinatura. Invece di far ricadere i capelli, li ha fatti rialzare con un leggero « chignon » arrotolato sul collo. Un amore. Quando sono ritor­nati, s'è rinchiuso in camera con lei per vedere l'ef­fetto... E prima di coricarsi, mi da detto: «Parola d'onore, la mamma ha di nuovo vent'anni. La si direbbe una sposina. Oggi ero fiero di vederla al mio braccio. Ti dico io che la mamma, questa mat­tina, in chiesa, era senza dubbio la più bella signora; l'avrei preferita anche se non fosse mia madre. »

Michele                    - D'accordo, ma vallo un po' a mettere nella zucca di quel benedetto uomo di nostro padre.

Il Padre                    - (è entrato. Un silenzio. Indifferentemente, apre un pacchetto dì sigarette come per giustificare la sua uscita. E distrattamente si informa) Mi hanno chiamato dall'officina?

Michele                    - No.

Il Padre                    - È finita la Messa?

Michele                    - Li aspettiamo da un momento all'altro.

Il Padre                    - Va meglio, Cristina?

Cristina                     - Non bisogna occuparsi di me. Conto così poco.

Il Padre                    - Non dire sciocchezze.

Michele                    - (indica il quadro) Ti sei visto?

Il Padre                    - (che non ha capito) Se mi son visto

Michele                    - Non ti sei guardato?

Il Padre                    - Che modo di parlare. (Vede il suo ritratto).

Michele                    - Ti piace, papà?

Il Padre                    - Confesso che è ben fatto.

Michele                    - E che pendant.

Bernardo                  - Io penso che tutti e due stanno bene insieme.

Michele                    - T'ha pure ringiovanito.

Bernardo                  - Sei contento, babbino, che v'abbia appesi lassù tutti e due?

Il Padre                    - Contentissimo, grazie.

Michele                    - Chi sa quanti ricordi ti deve ridestare.

Il Padre                    - Ma lasciami un po' in pace, seccatore.

Michele                    - Credevo di farti piacere, scusa. (Una pausa).

Il Padre                    - (preoccupato) Nessuno ha chiesto di me al telefono? (Vuol telefonare, ma è imbarazzato dalla presenza di tutti) Ma insomma, avete fatto qui il vostro quartier generale? Vorrei sapere il perché.

Cristina                     - (gettandoglisi al collo) Per essere con te, semplicemente.

Michele                    - (fa altrettanto) Perché oggi è domenica, e vogliamo approfittarne.

Bernardo                  - (baciandolo) Perché tu sei il nostro papà.

Cristina                     - (lo stringe fra le braccia) E ti vogliamo tutto per noi.

Michele                    - (stessa azione) Solo per noi.

Bernardo                  - (gravemente) Nostro prima di tutto. (E mentre fan cerchio attorno a lui, si sente il rumore d'una macchina, e dopo pochi istanti entra la madre, molto elegante e bella, al braccio di Gilberto, bello anche lui, fiero della sua genitrice. Una pausa. Con rimasti un istante sotto l’arco della porta).

Michele                    - Come son belli. (Gilberto posa).

Bernardo                  - Che successo avete dovuto avere, all'uscita.

Gilberto                    - Un po', è vero... e non vi dico le signore.

Cristina                     - E il cappellino di mammà: che amore.

Gilberto                    - Grazie. (S'è avanzato verso il padre, poi, solennemente ma scherzoso) Padre mio, vi pre­sento la vostra signora. Vi piace così? Avete nulla da ridire? E dividete l'orgoglio di vostro figlio?

La Madre                 - Non dire sciocchezze, Gilberto.

Il Padre                    - (alla madre) Buon giorno, Elena. Si va a tavola?

Gilberto                    - Convenitene, mammina, che siete incantevole.

La Madre                 - Gilberto, sei ridicolo.

Gilberto                    - Confessa, che il signor Menarci, riaccompagnandoci, conduceva tutto di traverso a forza di sbirciare verso di te. E che t'ha detto quando ti ha salutata: « Ho già visto delle regine; oggi vedo più che una regina ».

Il Padre                    - Basta, vi prego, con tutte queste storie di Menard. Non sono di buon gusto.

Gilberto                    - (amichevolmente e in confidenza al padre) Geloso.

Il Padre                    - Andiamo a tavola: andiamo a tavola. (Michele è entrato con un mazzo di fiori che posa con precauzione, Cristina lo segue recando un vassoio coi cocktails. Bernardo al piano suona una marcia nuziale).

La Madre                 - In onore di chi, questi fiori?

Gilberto                    - In vostro onore, genitori cari. Sem­plicemente per darvi la prova che malgrado la nostra reputazione, siamo esseri delicati. (A Bernardo che gii parla all'orecchio) Dopo... (si indovina un mistero) Volete mettervi a posto? (Alla madre) Tu mammina, qui. (Al padre) Tu, accanto, come si conviene. Pronti!

Il Padre                    - Ci fotografate?

Gilberto                    - Tu, Michele, lascia quel libro. Hai lavorato abbastanza.

Michele                    - Hai ragione.

Gilberto                    - Cristina, accanto al papà.

Cristina                     - Meglio, sui suoi ginocchi. (Al padre) Permetti?

Gilberto                    - (a Bernardo) Tu, bel giovane, a sinistra di mammina.

Il Padre                    - Un giorno ho visitato una casa di matti...

Gilberto                    - Se ti hanno lasciato uscire, non parliamone più.

Michele                    - Io dove mi metto?

Gilberto                    - (che serve gli aperitivi) In nessuna parte: occupi troppo posto. Ed ora, se volete, ber­remo alla salute e alla felicità di tutti, di noi tutti. (Alza il suo bicchiere) È un gesto che non si usa quasi mai, in famiglia, come se la felicità familiare andasse da sé, e non avesse più bisogno di auguri. Ma io non vedo perché le cerimonie degli affetti debbano essere riservate ai soli amici. Conta anche un poco la famiglia. Soffiati il naso, Michele.

Michele                    - Sono commosso.

Gilberto                    - Anch'io. Il bello è di non lasciarlo vedere... (Pausa) « Nostri cari genitori... » (Al padre) Dico « nostri cari genitori » perché parlo a nome di tutti noi. (Pausa) « Voi vi domandate senza dubbio perché oggi mi rivolgo a voi in una forma e in un linguaggio insoliti, perché abbiamo provato il desi­derio di anticipare di qualche giorno la data dell'anniversario del vostro matrimonio, che ha pure segnato un non piccolo avvenimento nelle vostre due vite. Ed anche nelle nostre. Tre maschi e una femmina, è già un bilancio onorevole. Noi vi rin­graziamo, cari genitori, e ci congratuliamo in questo giorno di festa ».

La Madre                 - Ma noi ci siamo sposati il 24 settembre, e oggi ne abbiamo 19. Non è un anniversario.

Gilberto                    - Potrei rispondere che ogni giorno è un anniversario di letizia o di tristezza, e che i più importanti spesso passano sotto silenzio; ma non è questa la vera ragione. In primo luogo il 24 non cadeva di domenica, che è il solo giorno in cui pos­siamo essere tutti riuniti; il 24 Michele ha un match a Lilla; il 24 Cristina, se la sua salute glielo permet­terà, sarà dai Gautier, a Póronne, per l'onomastico di Anna Maria. In fine, avrebbero potuto esserci altre assenze, o sorgere dei contrattempi. Cari genitori, noi non vi abbiamo abituati, lo sappiamo, a deli­catezze di questo genere: siamo egoisti, ingrati, indif­ferenti e facili a dimenticare. Non ci curiamo che dei nostri piaceri. Estranei gli uni agli altri, riservati, rinchiusi, e spesso crudeli. Noi, soprattutto. Anche voi, qualche volta. Non ce ne accorgiamo che dopo, quando è troppo tardi. Ma lasciateci la gioia e la speranza di essere, per lungo tempo ancora, i testimoni della vostra felicità, che è anche la nostra' felicità che ci sforzeremo in tutti i modi di difendere (con dolcezza) col vostro consenso  (con intenzione) giacché questo dipende « anche » e « prima di tutto » da voi. (Gilberto, con gesto rapido, s'è asciugato gli occhi. Michele fa altrettanto più goffamente. I benia­mini Bernardo e Cristina, son saltati al collo della madre. Il padre è in certo qual modo impacciato. Come non esserlo?).

La Madre                 - Siamo stati molto sensibili, Gilberto, a questo tuo complimento imprevisto. (Con dolcezza al marito) Non è vero, Giorgio?

Il Padre                    - (impacciatissimo) Tanto sensibili.

La Madre                 - Sei stato commoventissimo, Gil­berto. (Guarda il marito) Non è vero Giorgio?

Il Padre                    - (seccatissimo) Molto commovente.

Michele                    - (al quale nessuno domanda nulla) Grazie. (Il telefono chiama. Il padre si è alzato, visi­bilmente impacciato, ed è andato al telefono. Lo si sente rispondere con prudenza).

Il Padre                    - Sì, no, inteso... a tra poco. Promesso. (Riattacca il ricevitore. Dopo una pausa, impacciatis­simo). Avete avuto una buona idea di anticipare di qualche giorno la data. Figuratevi che sono costretto a partire giovedì per la Svizzera... Non avrei potuto essere presente...

Michele                    - (s'è allontanato con passo rapido).

Il Padre                    - Dove vai, tu?

Michele                    - (con sfida) Io? Alla sala Wagram.

Il Padre                    - E il tuo lavoro?

Michele                    - Per quello che serve?! ho capito.

Gilberto                    - (che l'ha raggiunto) Non te la prendere Michele, non è ancora giovedì, e non sono ancora partiti.

                                                                  Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Tre giorni dopo, la stessa scena, la sera della partenza.

 (Gilberto e Michele son l'uno di fronte all'altro. Un lungo silenzio. Essi scambiano uno sguardo carico d'imbarazzo e d'inquietudine).

Michele                    - Che altro posso fare di utile?

Gilberto                    - Niente.

Michele                    - E non vedi nessun mezzo per impedire?

Gilberto                    - Sto cercando.

Michele                    - Io pure. Ma se tu non hai trovato, immaginoso come sei, è perfettamente inutile che io stia a lambiccarmi il cervello. Il treno a che ora parte?

Gilberto                    - Alle 20 e 19. Deve ripassare da qui.

Michele                    - E dopo, non lo vedremo più?

Gilberto                    - Lo vedremo, o andremo a trovarlo dove sarà.

Michele                    - Un uomo è capace di questo?

Gilberto                    - Ma sì.

Michele                    - Andarsene?

Gilberto                    - Semplicemente.

Michele                    - Come se niente fosse?

Gilberto                    - Precisamente.

Michele                    - Per una donna?

Gilberto                    - Non di più.

Michele                    - Eppure quando ci si sposa?

Gilberto                    - Si è sinceri.

Michele                    - E quando ci si lascia?

Gilberto                    - Si è sinceri lo stesso.

Michele                    - Che si porta come bagaglio?

Gilberto                    - Poca roba, ma questo non vuol dir niente.

Michele                    - Tu l'avresti creduto, un'azione simile da lui?

Gilberto                    - Nulla mi sorprende, Michele. Ho già visto tante cose.

Michele                    - A vederlo, papà, sembra una persona ragionevole.

Gilberto                    - Ciò che si vede, è soltanto l'esteriorità, ma quel che conta, si tiene nascosto. Noi stessi...

Michele                    - È vero.

Gilberto                    - Hai preso mai delle cotte, tu?

Michele                    - Due o tre, ma passeggere. Nulla di paragonabile... Mai al punto di abbandonare moglie e figli.

Gilberto                    - E chi vuoi incolparne? Nessuno. Puoi forse incolpare i pazzi d'essere pazzi?

Michele                    - Secondo te, è pazzo?

Gilberto                    - E un genere di pazzia che conosco bene, dal momento che sono stato innamorato e l'ho provata. Si ha tutta la lucidità di mente, si ragiona, si sa benissimo quello che si fa.

Michele                    - Ma si è matti lo stesso.

Gilberto                    - Pensa che io avevo venduto la mia bicicletta per comprare una borsa di coccodrillo alla signora Martin.

Michele                    - È terribile arrivare a tal punto.

Gilberto                    - Avevo smesso di fumare; andavo a Messa tutte le domeniche, aspettavo delle ore sotto il lampione, volevo un bimbo. E tante altre sciocchezze.

Michele                    - Sì, ma noi siamo giovani, Gilberto.

Gilberto                    - Anche loro. Alla loro età sono più giovani di noi. Noi andiamo per la nostra strada; abbiamo tutto il tempo davanti a noi; loro corrono per riprendere il tempo perduto. Papà non è cattivo. Non è nemmeno un egoista, poiché per vent'anni ha sgobbato per noi. È anche sensibile, a modo suo. Ma disgraziatamente è innamorato e soprattutto ha trovato chi lo tiene.

Michele                    - Sa niente la mamma?

Gilberto                    - Le madri sanno sempre e non parlano mai. È la loro specialità.

Michele                    - Allora, soffre?

Gilberto                    - Che domanda. Non parliamone più, sarà meglio. (Una pausa. Michele ha teso la mano a Gilberto).

Michele                    - Tu non ci lascerai mica, Gilberto?

Gilberto                    - Non prenderò mai moglie, Michele. È una buona lezione.

Michele                    - (semplicemente) Ti ringrazio in nome di tutti noi. Sinceramente.

Gilberto                    - Cerca di studiare e di farti onore. Qui ognuno avrà bisogno di tutti.

Michele                    - Non appena la bufera sarà passata, ti prometto di rimettermi al lavoro.

Gilberto                    - Grazie.

Michele                    - E tu sei andato a trovare la signora Morel?

Gilberto                    - Naturalmente.

Michele                    - Ebbene?

Gilberto                    - Le ho parlato con tutta franchezza. L'ho messa di fronte alle sue responsabilità. Le ho detto tutto ciò che potevo dirle. Disgraziatamente ho avuto la prova che lei non entra per nulla in questa faccenda. Avrei fatto meglio ad astenermi.

Michele                    - (sincero) Anch'io.

Gilberto                    - (sorpreso) Anche tu?

Michele                    - Io sono andato a trovare al suo ufficio il signor Morel, e ti giuro che non ho avuto peli sulla lingua. Poi mi sono accorto d'aver fatto una stupi­daggine.

Gilberto                    - Gli faremo le nostre scuse.

Michele                    - Non c'è bisogno. Mi son ritrovato sul marciapiede con le ossa rotte per tutte le pedate ricevute. (Entra Bernardo. Va a sedersi accanto a loro. Una pausa. Un silenzio. Ha guardato l'orologio).

Bernardo                  - Siete sicuri che ripasserà da qui?

Gilberto                    - (mostra il bagaglio).

Bernardo                  - Che devo fare?

Gilberto                    - (Fa segno che deve star zitto).

Bernardo                  - La mamma è normale?

Gilberto                    - Va e viene come al solito. Per il momento veglia Cristina.

Bernardo                  - È grave quello che ha?

Gilberto                    - Non si sarebbe creduto che fosse sensibile a tal punto. A forza di fingere ci è cascata sul serio.

Bernardo                  - Non lo vedrà partire?

Gilberto                    - Bisogna impedirglielo, assolutamente.

Michele                    - Una ragazza non è un maschio, for­zatamente.

Gilberto                    - Tu avrai la forza, Bernardo?

Bernardo                  - Te lo prometto.

Gilberto                    - Zitti tutti. Non una parola.

Bernardo                  - Faremo quello che ci dirai tu, Gilberto.

Gilberto                    - Noi abbiamo fatto tutto il possibile. Non abbiamo nulla da rimproverarci. E solo il silenzio darà alla condanna tutto il suo peso. Siamo d'accordo?

Michele e Bernardo - D'accordo.

Gilberto                    - La nostra ultima carta è questa: al momento in cui varcherà la porta di casa, saremo qui tutti e tre, muti, indifferenti. Arrivederci? Arri­vederci. Prenderà la valigia. Senza dubbio ci bacerà. E via. Senza muoverci d'un passo lo guarderemo partire.

Bernardo                  - Sono stato a trovare il signor Nabot, l'architetto. È disposto a prendermi. Avrò ottomila per cominciare. Non c'è male.

Michele                    - (perplesso) Che diavolo potrò fare io, per non essere a carico? Potrei andare in marina. Ma soffro tanto il mare.

Gilberto                    - Io non conosco bene la vera nostra situazione, ma credo che non ci lascerà in imbarazzo.

Bernardo                  - Questa villa è nostra?

Gilberto                    - Credo.

Bernardo                  - Non sono separati di beni?

Gilberto                    - Lo sapremo dal notaio. Ci andrò martedì, dopo la lezione. Papà è onesto: avrà pensato a noi.

Bernardo                  - Gilberto ha ragione. (Pausa) Atten­zione! (Tutti si voltano e vedono Cristina, immobile e muta, pericolosamente enigmatica. È in vestaglia).

Gilberto                    - Come ti senti, Cristina?

Cristina                     - Mi sento benissimo.

Bernardo                  - Sei pallida.

Cristina                     - (inquietante) Come una morta. Sono in anticipo?

Gilberto                    - Che intendi dire con questo? (Cristina li guarda senza dire una parola). Perché hai detto « Sono in anticipo »? (Cristina ha richiuso la porta. Tutti la richiamano).

Tutti                         - Cristina! Cristina! (Sono andati fino alla porta di camera sua).

Gilberto                    - Apri, Cristina... Aprici... Ti spie­gheremo. Non se ne va. Apri!

Bernardo                  - Passate dalla camera azzurra. Comu­nica.

Michele                    - Ecco i drammi che cominciano.

Gilberto                    - Cerca d'entrare dal giardino. Tu, Bernardo, resta qui... Via.

Michele                    - (andando) Brutta cosa avere genitori che han poco giudizio...

Bernardo                  - (rimasto solo) Cristina, rispondi. (La Madre è entrata).

La Madre                 - Che c'è, Bernardo?

Bernardo                  - Niente. Stavamo giocando. È andata in collera.

La Madre                 - E te la stai a prendere per questo? Sembra tu voglia piangere.

Bernardo                  - Lo dici tu,

La Madre                 - Non c'è vergogna a confessare le nostre pene. A me, specialmente.

Bernardo                  - Sei tutto, tu.

La Madre                 - Non tutto.

Bernardo                  - Sì, tutto. (S'è gettato fra le sue braccia. Pausa) Senza di te, non c'è più nulla.

La Madre                 - Perché tu sei troppo sensibile.

Bernardo                  - Io sono sensibile perché tu sei mia madre. (Le accarezza ì capelli) Mammina cara... Mammina cara...

La Madre                 - Bernardo, vuoi dirmi cosa c'è! (Bernardo la guarda senza rispondere) Rispondimi! (Pausa. Michele ha aperto la porta della camera di Cristina).

Michele                    - Niente paura. Tutto accomodato. (E richiude la porta).

La Madre                 - Bernardo, adesso voglio sapere. Mi devi dire il segreto del tuo dolore. È la partenza di tuo padre, non è vero, che ti addolora tanto? È questo? Questo? È la paura che non ritorni? È questo? Tutto il trambusto di questi ultimi giorni si deve a questo, non è vero. Bernardo, come avete saputo? Dobbiamo essere alleati in questa faccenda. Non ho forse il dovere di recare anch'io il mio concorso? Devi dirmi la verità, Bernardo. Anche se io credo di saperla, voglio che mi sia detta da te... Come avete saputo?

Bernardo                  - Abbiamo giurato.

La Madre                 - Dinnanzi a certi fatti, i giuramenti non contano più.

Bernardo                  - Ho promesso ai miei fratelli.

La Madre                 - Allora, vuoi che ti dica io quello che tu rifiuti di dirmi? Credi che io non lo sappia, che non abbia indovinato, che non abbia capito? Avrei sofferto di meno se voi aveste ignorato. Non sono storie per la vostra età. E come avete potuto sapere che non tornerebbe più? Chi vi ha dato la bella notizia? Chi vi ha detto ciò che nascondevo a tutti?

Bernardo                  - Lo sapevi?

La Madre                 - Temevo.

Bernardo                  - Ma non eri sicura?

La Madre                 - Speravo.

Bernardo                  - Come noi.

La Madre                 - Chi ve lo ha detto?

Bernardo                  - Resta tra";noi?

La Madre                 - D'accordo.

Bernardo                  - Aiutami tu. Mi sarà più facile.

La Madre                 - Tuo padre parte questa sera. Per Losanna. Accompagnato. E voi l'avete saputo.

Bernardo                  - Da una lettera.

La Madre                 - Finalmente. Una nuova. E che diceva questa lettera? Dov'è?

Bernardo                  - Almeno credo che sia stata una lettera.

La Madre                 - L'hai detto. L'hai vista?

Bernardo                  - Non mi dicono tutto, lo sai! E d'altronde non avrei avuto il coraggio di leggerla, capirai...

La Madre                 - E in quella lettera era scritto che non tornerebbe?

Bernardo                  - Oh, no... No... Siamo noi...

La Madre                 - Come, siamo noi?

Bernardo                  - Siamo noi che abbiamo creduto. Tu capisci? Soprattutto Gilberto che conosce la vita meglio di noi. Ha diffidato.

La Madre                 - Si trattava solo d'un appuntamento?

Bernardo                  - È tutto qui. Vedi?

La Madre                 - Null'altro?

Bernardo                  - La lettera non conteneva, per così dire, nulla di più di quanto contengono lettere di questo genere. È per te che se n'è fatto un romanzo... T'assicuro... Altrimenti, nessuno ci avrebbe fatto caso. A te non ha detto nulla?

La Madre                 - Nulla.

Bernardo                  - Ragione di più. Con tutti gli affari che ha in testa avrebbe preso delle disposizioni. Papà è un uomo troppo bene organizzato e troppo attaccato ai suoi interessi per lanciarsi alla leggera in un'avventura... E banale per giunta.

 La Madre                - È questo il tuo parere?

Bernardo                  - E poi, insomma, noi che ti abbiamo da meno tempo, non potremmo fare a. meno di te.

La Madre                 - Sei molto carino di volermi consolare ad ogni costo.

Bernardo                  - Io dico quello che penso, mammina. Ed ho molto riflettuto, sai. A scuola se ne sentono, puoi immaginarlo. Hai conosciuto i Rimet? Il padre era andato via, anche lui. È ritornato, e tutto si è rimesso bene come prima; anzi, meglio di prima. Rolando me lo diceva ieri, perché tra noi ci si con­fida tutto. (Pausa) Tu non soffri troppo, almeno?

La Madre                 - Ma no!

Bernardo                  - Si dice « ma no » quando è « ma sì »; ma bisogna essere ragionevoli.

La Madre                 - Io lo sono, lo vedi.

Bernardo                  - Che cos'è una lettera, in fondo? Parole scritte, che non vogliono dir nulla. A riflet­terci bene, io mi sento già più tranquillo. Tu un pochino?

La Madre                 - Ma sì!

Bernardo                  - Si dice « ma sì » quando è « ma no ». E poi, parliamo sinceramente. Vuoi dirmidove potrebbe star meglio di qui, circondato dalle tue cure e vegliato da tutti noi? Dove? In nessuna parte. Io gli dò otto giorni per convincersi di questo. Per conseguenza, lo vedi: non è niente. Fra otto giorni è di nuovo qui. (Con lagrime agli occhi) Ho quasi voglia di riderci sopra... se tu mi aiutassi un poco... Sul serio, certe volte voi dite che noi ve ne diamo di pensieri, ma ornando vi ci mettete voi, signori genitori, non fate davvero complimenti.

La Madre                 - (ride) Proprio così.

Bernardo                  - E con questo, ci lasciamo.

La Madre                 - Non parliamone più. Ti sei condotto benissimo.

Bernardo                  - Senza volerlo, ti giuro.

La Madre                 - Appunto per questo. Grazie.

Bernardo                  - I miei fratelli anche, sai. Abbiamo fatto anche la prova.

La Madre                 - Di che?

Bernardo                  - Di ciò che ciascuno è in confronto agli altri.

La Madre                 - Per una volta tanto vi siete trovati tutti d'accordo?

Bernardo                  - Gilberto è formidabile. Ti raccon­terò. È un curioso miscuglio: duro e tenero in pari tempo. Mi ha commosso.

La Madre                 - Perché tu sei sensibile.

Bernardo                  - Non tanto. Michele è più semplice. (Michele è uscito dalla camera).

Michele                    - (ingenuamente) Gilberto sta facendo una partita a carte con Cristina.

La Madre                 - Come si sente?

Michele                    - S'è fatto del chiasso. Ora sta meglio.

La Madre                 - Niente drammi, spero?

Michele                    - Nessuno. Puoi domandarlo a Bernardo. Eh, Bernardo?

La Madre                 - Mi sembravate tutti così eccitati. Non ero tranquilla.

Michele                    - Non darti pena per noi, mamma. Ti stupiremo! eh, Bernardo?

La Madre               - Speriamo che duri. (Prima d'uscire) E parlate a voce bassa, mi raccomando... Si sente tutto in questa (La madre s'è allontanata).

Michele                    - Mi domando se non abbia già mangiato la foglia.

Bernardo                  - È furba.

Michele                    - Dal tuo architetto non hanno bisogno di un fattorino?

Bernardo                  - Provvederemo noi ai tuoi studi.

Michele                    - Non voglio essere di peso a nessuno.

Bernardo                  - Di', Michele, Cristina s'è calmata?

Michele                    - È una ragazzina furba che dà dei punti a tutti noi. Gilberto m'ha anzi detto che era mitomane. Hai capito che roba? Cristina mitomane? Che vuol dire?

Bernardo                  - È una faccenda pericolosa,

Michele                    - Benone! Abbiamo in casa anche una mitomane. (E il padre è entrato: fedeli alla tattica stabilita i figli non gli rivolgono la parola e stornano il capo. Egli va allo scrittoio e prende delle carte. Guarda il suo orologio. Affibbia la cartella).

Il Padre                    - Buona sera a voi.

Tutti e due                - (discretamente) Buonasera.

Il Padre                    - C'è Gilberto? Vorrei dirgli due parole.

Michele                    - (chiama) Gilberto. (Pausa).

Il Padre                    - E il mio ritratto, Bernardo? Dov'è?

Michele                    - Sparito. (Gilberto è apparso, enigmatico).

Il Padre                    - Ah, sei qui? (Gilberto non risponde) Potresti dirmi buonasera?

Gilberto                    - (glaciale) Buonasera.

Il Padre                    - È una parola d'ordine che vi siete data?

Gilberto                    - M'hai fatto chiamare?

li. Padre                    - Hai tempo di condurmi in macchina alla stazione?

Gilberto                    - Mi dispiace. Sono occupato.

Il Padre                    - Ti ringrazio. Pensavo che t'avrebbe fatto piacere di riportare la macchina. E mi avresti reso un gran servigio. Non importa, grazie. Lascerò la macchina in un garage: ti scrivo l'indirizzo. Andrai a riprenderla domani, a meno che non ti disturbi.

Gilberto                    - Sta bene.

Il Padre                    - Posso darti qualche istruzione?

Gilberto                    - Quali?

Il Padre                    - Consegnerai a Cordier la corrispon­denza d'affari. Passerà tutti i giorni.

Gilberto                    - Benissimo.

Il Padre                    - Ho visto Giorgina, poco fa. Si sta formando.

Gilberto                    - Staremo a vedere.

Il Padre                    - Credevo che t'interessasse.

Gilberto                    - I sentimenti vanno e vengono...

Il Padre                    - Non parliamone più.

Gilberto                    - Se vuoi.

Il Padre                    - (mentre si prepara, a Michele) E la licenza, tu?

Michele                    - Si vedrà.

Il Padre                    - Son finite le belle disposizioni?

Michele                    - (che copia Gilberto) Le disposizioni vanno e vengono...!

Il Padre                    - Non parliamone più.

Michele                    - Se vuoi.

Il Padre                    - (a Bernardo che disegna) Che stai disegnando, Bernardo?

Bernardo                  - Un caro ricordo.

Il Padre                    - Non sono mica morto.

Bernardo                  - I viaggi, non si sa mai.

Il Padre                    - Tante grazie, mi rassicuri. Non me ne vado mica al Capo Verde. E non parto nemmeno per l'eternità. Vi secca che me ne vada?

Gilberto                    - Nessuno ha aperto bocca.

Il Padre                    - Sapete bene che non sono un ragazzo. E non mi lascio prendere dalla vostra commedia. Di che v'impicciate?... Sta a vedere che non ho più il diritto di amministrare i miei affari. Ci vuole il vostro permesso. Credete che mi diverta a viaggiare in treno di notte? Sono i genitori che comandano o sono i figli? Rispondetemi, perbacco! Il mese scorso ero a Roma; ho passato il Natale a Londra. E nessuno ha protestato, né ha manifestato la più piccola con­trarietà impertinente e ridicola... (Gilberto fa dei segni agli altri di tacere) Senza esigere da voi un rispetto, che, a quanto pare, non si usa più, ho però la pretesa di dirigere i miei atti senza render conto... (A Michele impassibile) Oh, te ne prego, Michele, inutile che tu torca la bocca e che alzi gli occhi al cielo come un santo che implora... (Brusco) Chi vuoi implorare, di'? Vuoi rispondere? (Michele non fiata) Capisco che avete fatto lega contro di me, ma se credete d'impormi, cari miei, sbagliate di grosso... E se la vostra gene­razione ha la strana ambizione di governare la mia, le consiglio la prudenza: ci penserà la vita...

Michele                    - (semplice) A che?

Il Padre                    - (vivamente) Non rispondo alle tue domande... Le faccio io... Dov'è la mia cartella?

Michele                    - Laggiù.

Il Padre                    - E dov'è vostra madre?

Gilberto                    - Lassù.

Il Padre                    - (che guarda l'orologio) Stavo per per­dere il treno, per giunta. Sarebbe il colmo. (S'è allontanato, ma s'è voltato bruscamente al momento in cui Michele che si accingeva a fare un gesto di minaccia si è immobilizzato goffamente) Non fare il pagliaccio, Michele! Le arie di gattamorta che ti dai non incan­tano nessuno. E se il troppo lavoro ti affatica non perdere quel poco di cervello che ti rimane. (Andan­dosene) Guardate un po' che s'ha da vedere. Signori in erba che consigliano, biasimano, manifestano, discutono, rivendicano, sofisticano... E non sono mai contenti... Parola d'onore, si crederebbe che son loro che v'han messo al mondo... quando la corbelle­ria l'abbiamo fatta noi grulli. Ecco il bel risultato! (È scomparso dopo aver sbatacchiato la porta).

Michele                    - Era ora che se ne andasse. Andava a finir male, ve lo dico io.

Gilberto                    - È molto meglio tacere, credete a me.

Michele                    - Buon per lui che è mio padre.

Bernardo                  - Gli dobbiamo la vita.

Michele                    - Nessuno gliel'ha chiesta.

Gilberto                    - Dal momento che ce l'ha data, pren­diamola com'è, e basta.

Michele                    - Come si chiamano gli uomini che non possono soffrire le donne1?

Gilberto                    - Misogeni.

Michele                    - Lo sto diventando.

Bernardo                  - Non credete che, se fosse alla vigilia di compiere il gesto che tutti temiamo, avrebbe un contegno ben diverso?

Gilberto                    - I contegni che ci diamo non corri­spondono mai ai nostri pensieri.

Bernardo                  - Quando uno si sente colpevole, è piuttosto conciliante, si mostra triste, confuso, no?

Gilberto                    - Non sempre.

Bernardo                  - Se non dovesse tornare, si mostre­rebbe, suo malgrado, afflitto.

Michele                    - È bravo chi ci capisce qualche cosa.

Gilberto                    - Qualunque cosa sia, serbiamo il silenzio e la più assoluta indifferenza fino all'ultimo. E soprattutto... (Ma la porta sì è riaperta e il padre, con una valigia in mano, è apparso. Si è voltato, e ha detto a sua moglie: «Siamo intesi così. Non appena arrivato, d'accordo. Arrivederci, Elena...». Ridiscende la scala: ha il soprabito da viaggio sul braccio. Silenzio generale. Ognuno si dà un contegno. Falso. Per quanto lo si voglia rendere naturale).

Il Padre                    - Per la macchina, Gilberto, non te ne occupare... (Pausa) Spero d'altronde che avrete tutti il desiderio di far piacere a vostra madre e di com­pensare così la mia assenza... (Macchinalmente) Ah! dimenticavo la pipa... (Si fruga nelle tasche per assi­curarsi di avere tutte le sue carte) Ed ora, figlioli, desidero solo che prendiamo un commiato cordiale e che siano cancellati i nostri piccoli rancori a pro­fitto dei soli bei ricordi che ci uniscono. E ne abbiamo, grazie a Dio. (Conciliante) Per parte mia, ritiro volen­tieri tutte le brutte parole che han potuto spiacervi come io dimentico le vostre. È acqua passata. Non parliamone più. (Sguardo rapido all'orologio) Meno dieci... Non vi domando altra riconoscenza che quella del bene che vi ho fatto. (Ha preso i guanti, poi il cappello) E un poco di bene debbo pure avervelo fatto, credo, per quanto diciate... Un giorno ve ne renderete conto. (Durante la scena, si vede Cristina che spia la conversazione e i preparativi della partenza. Ha un'espressione piuttosto strana, anzi inquieta. Il padre s'è avvicinato a Michele) Arrivederci, Michelone... (Lo bacia. Michele lascia tare) Non sei cattivo, lo so. Non darti dunque delle arie. (A Bernardo) Addio, Bernardino. L'altra guancia. (Sconvolto, malgrado il desiderio di non apparirlo, Bernardo l'ha stretto un po' più forte di Michele) Sei un bravo figliolo. Grazie. (A Gilberto) A te che sei il più grande. (Gilberto gli ha teso la mano) Conto su te, eh? Tu hai l'autorità, il buon senso, mille altre qualità delle quali ti felicito di tutto cuore. (Lo bacia) Con te parto tranquillo. Sei un vero maestro... (Rumore di porta. Cristina è apparsa: il padre ha alzato la testa) Ciao, Cristina.

Cristina                     - (rabbiosa, pallida, quasi minacciosa) Ciao. (Bruscamente sbatte la porta).

Il Padre                    - È nervosetta... Non la trascurate... (Una pausa) Arrivederci a tutti... Patemi un sorriso, almeno.

Tutti                         - (con lo stesso tono) Arrivederci. (Il padre ha fatto qualche passo. Una detonazione si fa sentire: tutti sì sono immobilizzati, poi si sono precipitati fino al primo piano, eccetto Bernardo: paralizzato dallo, choc, si è attaccato alla rampa della scala e chiama disperatamente: «.Mamma! Cristina!»(Più forte) « Cri­stina! ». Il telefono suona invano. Bernardo non s'è mosso. Gilberto è apparso e si è precipitato su Bernardo).

Gilberto                    - (che ha staccato il telefono) Non è nulla, Bernardo. Avrei dovuto avvertirti. Era stato com­binato fra noi. Non piangere. Non è nulla. Un altro stratagemma per non farlo partire.

Bernardo                  - Mi giuri che non è nulla?

Gilberto                    - Parola. Ti basta?

Bernardo -                - Grazie.

Gilberto                    - Era stabilito che al momento di varcare la porta, lei l'avrebbe fermato ad ogni costo. Non c'era altro mezzo. La mia sola paura era quella, che, nervosa com'è, non le passasse per la testa qualche brutta idea. Ma avevo preso le mie precauzioni, puoi immaginartelo. Non piangere dunque; Cristina non ha nulla. (Il padre è apparso. Niente lascia prevedere la sua decisione. E sempre in tenuta di partenza. E scende le scale più pesantemente).

Il Padre                    - Cristina non t'aveva confidato nessun segreto, Gilberto?

Gilberto                    - Nessuno.

Il Padre                    - Secondo te, è un dispiacere d'amore?

Gilberto                    - Sono storie che io...

Il Padre                    - È stata a causa di quella lettera?

Gilberto                    - Quale lettera?

Il Padre                    - Quella lettera che io avevo trovata e per la quale m'ero mostrato forse troppo severo.

Gilberto                    - Non sapevo.

Il Padre                    - Ha diciassette anni. Avevo paura per lei. È naturale. È così? Mettiti nei miei panni, Gil­berto; un padre è sempre responsabile. Di chi può essersi innamorata? È cosa seria? Aiutami. (Pausa. Gilberto ha fatto segno al padre d'avvicinarsi a lui. Il padre eseguisce. Poi di sedersi. Il padre si siede un po' come un automa).

Gilberto                    - Puoi lasciarci, Bernardo? (Bernardo sale la scala lentamente e s'allontana) Grazie. (Pausa. Al padre) Posso parlare?

Il Padre                    - Devi parlare.

Gilberto                    - A cuore aperto?

Il Padre                    - Si capisce.

Gilberto                    - Non andrai in collera, qualunque cosa io dica?

Il Padre                    - Qualunque cosa tu dica. Promesso.

Gilberto                    - Avvicinati per la confidenza.

Il Padre                    - Racconta.

Gilberto                    - Ai tuoi occhi io sono un bambino o sono un uomo?

Il Padre                    - Spiegati senza tanti preamboli.

Gilberto                    - (gli prende la mano) Povero papà mio! Te ne andavi? Ci lasciavi? Malgrado tutto quello che siamo per te e tu per noi? Da vent'anni e più che ci conosciamo, che abbiamo imparato a vivere insieme, a festeggiare gli stessi avvenimenti, a portare gli stessi lutti, a sederci tutti qui alla stessa tavola... Tu te ne andavi malgrado noi? Rispondi a questo, prima di tutto.

Il Padre                    - Ma, mio caro... me ne andavo... sicuro che me ne andavo... in Svizzera per i miei affari... ci siete abituati.

Gilberto                    - Papà, non attacca più.

Il Padre                    - Ma insomma, gli affari non si trattano a domicilio, dovresti saperlo... soprattutto i miei. E quando mi chiamano... sei straordinario...

Gilberto                    - Tu soprattutto, papà.

Il Padre                    - In che?

Gilberto                    - (che si animerà sempre più) Mi sono spesso domandato, da otto giorni a questa parte, se tu ci reciti una commedia perché ti sarai accorto da un pezzo che qui succedono cose niente affatto nor­mali. Sei troppo intelligente per questo. 0 ci hai preso per sciocchi, se hai potuto crederci di prenderci nel tuo gioco. Bisognerebbe intenderci una buona volta... lasciami dire. Parlerai dopo. Se mi interrompi prima di cominciare, e ti metti a sofisticare, non sapremo mai né io né tu l'esatta verità. E tu vuoi che ti dica la verità, no? Me l'hai detto. Hai anzi pre­cisato: «A cuore aperto ». Allora tanto peggio per te. Avrai sempre tempo di arrabbiarti... lasciami dire... Cristina non ha niente, e questo è l'essenziale. E tu sei qui, rassegnato ad ascoltarmi e puoi immagi­narti se mi lascerò sfuggire l'occasione... Allora sfammi a sentire.

Il Padre                    - (che guarda macchinalmente l'orologio) Ma non faccio altro da cinque minuti.

Gilberto                    - Dammi il cappello che stai tormen­tando come un colpevole. Là. E parliamo pacata­mente, con misura, ma senza debolezze il tuo treno ormai l'hai perduto. Tanto peggio. Lo prenderai domani. Gli affari della Svizzera possono attendere. Ce ne sono altri qui. (Celiando) Una sigaretta? Oggi è festa. Ti permetto.

Il Padre                    - Non t'ha dato mica di volta il cer­vello, Gilberto?

Gilberto                    - Nessuna importanza, se il tuo è sempre a posto.

Il Padre                    - Come?

Gilberto                    - lo ho sempre il tempo di curarmi. Non c'è nessuna fretta. Il tuo caso è molto più urgente, credi a me... Allora, ecco qua: non sta certo a me farti della morale lo so bene, sarebbe piuttosto il contrario. Ma dal momento che tu hai scelto la parte ingrata e mi hai obbligato a immischiarmi dei fatti tuoi, il protocollo è rovesciato. E ti parlerò come se tu fossi mio figlio. Ti va?

Il Padre                    - Non troppo. Mettiti al mio posto.

Gilberto                    - È proprio quello che faccio. Lo prendo semplicemente perché tu vuoi lasciarlo. A quale scopo, diciamolo fra noi? Da figlio a padre? Da buoni amici, per una volta tanto? Ti sei incapricciato di una donna? Bene. Nessuno ti rimprovera nulla. Come molti uomini della tua età, ancora in gamba, lo ammetto, e tentati dal diavolo, anche tu un bel giorno hai sentito il bisogno di spezzare le tue catene e di andare a spassartela altrove. Nessun uomo, e con maggior ragione io per il primo, possiamo arrogarci il diritto di fartene un rimprovero. So purtroppo cos'è, ricordati...

Il Padre                    - Gilberto...

Gilberto                    - Troppo tardi, ormai, caro. Bisogna che tu compia il bel gesto a tua volta. Ci siamo cascati tutti e due.

Il Padre                    - Confessa che tu ti spingi un po' troppo.

Gilberto                    - Lo so. Ma se tu sapessi quello che abbiamo tutti sul cuore... Torniamo a noi. Ti pare una buona ragione - dimmelo - perché ti sei inna­morato di lasciarci qui, tutti in panna? E senza parlare di me che sono in età di sbrogliarmi da solo, di abbandonare la casa che ti è costata tanta fatica a fabbricare e a difendere? Ma che ne sarà della mamma senza il tuo appoggio? Lei alla quale dob­biamo tutto, compreso te? Rifletti un momento. Lei di cui tu sei la gioia, la sola ragione di vivere? Lei che è a sua volta tua madre, la nostra sposa, poco importa il contrario, e che ci ha tutto dato? Papà! Stavo per dire « figlio mio », a forza di darti dei consigli. Mio caro papà, rifletti cinque minuti. Tu te ne vai. Non si cancellano con un colpo di spugna venti anni di vita. E tu sai anche che una volta pas­sato, solo i rimpianti o i rimorsi restano in bilancio. E allora, perché? No. Aspetta. Una parola ancora e avrò finito. Ma almeno, avrò fatto fino all'ultimo il mio dovere di padre - pardon - di Aglio. Tu puoi essere lusingato, sai, c'è voluto il bene che ti vogliamo perché all'idea della tua partenza tutta la casa si sia messa in rivoluzione. Se tu sapessi in questi otto giorni, tutto il trambusto che s'è avuto qui dentro. Su, dunque. Ora t'ascolto. Ma soprattutto non mentire. Conosciamo i fatti.

Il Padre                    - Che fatti?

Gilberto                    - Andiamo, via.

Il Padre                    - Permetti?

Gilberto                    - Di' pure.

Il Padre                    - In primo luogo il tuo ragionamento è semplicemente insensato e io mi domando come ho potuto avere la debolezza di ascoltarti. La mia vita privata riguarda me solo.

Gilberto                    - Riguarda anche noi. O allora, dovevi astenerti.

Il Padre                    - Da che?

Gilberto                    - Dal prendere moglie, se volevi essere libero.

Il Padre                    - Ammettiamo che abbia pensato a rifare la mia vita.

Gilberto                    - Niente frasi da romanzo, ti prego. Tu vali assai di più.

Il Padre                    - Chi può dire che non avrei trovata, senza cercarla, una felicità che m'era sconosciuta

Gilberto                    - Non dire sciocchezze, sei troppo intelligente.

Il Padre                    - Te ne prego, Gilberto! E finiamola con questa discussione.

Gilberto                    - Ti fa paura?

Il Padre                    - Sono troppo abituato alle responsabilità.

Gilberto                    - Ed io assumo le mie, al mio posto di figlio maggiore: mi ci hai messo tu.

Il Padre                    - Niente frasi ad effetto, ti prego.

Gilberto                    - (con dolcezza) E tu, papà, perdonami se, mio malgrado, mi son lasciato andare un po' troppo... e poi ti prego soprattutto di credere, perché è la verità, che all'idea di perderti ci siamo sentiti tutti tanto infelici. Che la sola speranza di tratte­nerti ha guidato i nostri atti. Che improvvisamente s'è avuto coscienza, Cristina, Michele, Bernardo ed io, che la morte stessa sarebbe preferibile alla par­tenza, perché essa non ci lascerebbe che il dolore e il ricordo delle nostre immagini. O allora, bisogne­rebbe dire che la nostra presenza ti sia divenuta intollerabile, e che un amore ne abbia scacciato mille altri, quelli della sera e quelli del mattino, quelli di tutti i minuti che abbiamo vissuto insieme, buoni o non buoni. Ma che ci sono comuni, mi capisci? Do­manda qualunque cosa. Esigi quello che vuoi. (La­grime nella voce) Di' il tuo prezzo, papà, pagheremo. (Ra fissato suo padre negli occhi, poi rispettosamente ha abbassato la testa e si è irrigidito in un « attenti » senza calcolo e, dolcemente, dopo una pausa) Come ho potuto osare di parlarti così? Perdonami.

Il Padre                    - Ascoltami bene, Gilberto... Io non so se dovevo partire... Credo però che sarei ritor­nato... Ma ti dico: «Resto».

Gilberto                    - Grazie, papà.

Il Padre                    - E ti devo una confessione che mi perdonerai a tua volta. Una confessione che nulla mi obbliga a farti, ma che, per la sua stessa crudeltà, è un omaggio al mio grande figliolone... (Pausa) Questa confessione non mi difende, né mi accusa. Prèndila soltanto come una testimonianza d'amicizia... Non è un padre che ti parla, come il linguaggio che tu hai tenuto non era il linguaggio di figlio. Sta a te di comprendere e soprattutto di non concludere alla leggera. Il dono che ti faccio è cento volte meritato. L'hai meritato tu, tutti voi, tua madre più di ogni altro. E nondimeno è un dono. (Ha lasciato il sopra­bito e l’ha gettato su un mobile) Un dono che voi avete guadagnato. Giacche nessuno al mondo lo saprà mai... nessuno all'infuori di te. (Gli ha preso le due mani) Passeremmo dunque tutti la nostra vita a trascu­rare di conoscerci? Tu ti sei comportato benissimo, sai... (Il telefono suona) Rispondi che sto male, un male improvviso, che sono a letto, insomma che mi trovo nella impossibilità materiale di partire...

Gilberto                    - (che ripete la frase con tutta calma) Pronto... Sì, signora... No signora... Suo figlio, signora... Mio padre si è sentito male, improvvisamente... è a letto... nell'impossibilità materiale di partire. Mi ha detto di scusarlo.

Il Padre                    - Riattacca.

Gilberto                    - (prima di attaccare) I miei rispetti, signora.

Il Padre                    - Avrò bisogno di te, domani. Ti spie­gherò. Un'altra domanda. Come avete saputo?

Gilberto                    - Da una lettera, il giorno in cui ti eri sbagliato di cartella, e senza averla cercata, ti giuro.

Il Padre                    - Tua madre sapeva?

Gilberto                    - Ha saputo da Bernardo. M'è stato detto poco fa.

Il Padre                    - Che idea di metterla al corrente.

Gilberto                    - È buona la mamma, lo sai. Non com­plicherà niente, sta tranquillo.

Il Padre                    - Me ne vorrà. Mi terrà il broncio chi sa per quanto tempo.

Gilberto                    - Lei? Lascia fare a me. Ci penso io.

Il Padre                    - Dimmi, Gilberto, te lo chiedo come un amico, puoi farmi un favore?

Gilberto                    - (familiare) Dimmi papà, che favore?

Il Padre                    - Sarà una bugia di più.

Gilberto                    - Non importa. Una più una meno...

Il Padre                    - Se le si desse ad intendere che quella lettera mi era stata affidata da un amico che voleva nasconderla? Che non era mia, insomma. Che era destinata... A Morel, per esempio?

Gilberto                    - E vada per Morel... (Sorride).

Il Padre                    - Perché sorridi?

Gilberto                    - Niente, non ci badare.

Il Padre                    - Lo crederà? Che ne dici?

Gilberto                    - Certamente. In ogni modo avrà l'aria di crederci.

Il Padre                    - Deve crederlo, Gilberto. È importante.

Gilberto                    - Allora, lo crederà. Garantito.

Il Padre                    - Grazie, vecchio mio.

Gilberto                    - (gli salta al collo) Anche a te. Grazie per il dono...

Il Padre                    - Ah, questi figli.

Gilberto                    - (stesso tono) Ah, questi padri. (Da qualche istante, dalla porta dischiusa, si è visto Michele far ad un tratto grandi cenni. Corre per chiamare tutti e spiegare che non se ne va. Tutti i figli scendono le scale correndo e si gettano fra le braccia del padre. Un po' in disparte, la madre, che è entrata dietro a loro, ha sorvegliato la scena).

La Madre                 - (sorridente e rassegnata) Grazie lo stesso.

Il Padre                    - Vieni, Elena. (Poi cercando di strin­gere tutta la famiglia fra le braccia) Stringetemi forte forte. (Pausa) E voi avevate paura che partissi con tutte queste catene?

FINE