Tre proposte matrimoniali

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TRE PROPOSTE MATRIMONIALI

Il premio di nuzialità

Un caso di vita apparente

Il quarto lato del triangolo

di Samy Fayad

Personaggi:

IL PREMIO DI NUZIALITÀ

GARAVATTI

MARIELLA

IL DIRETTORE

LA DOTTORESSA PURICELLI

IL SENATORE

UN CASO DI VITA APPARENTE

PANDOLFI

HOFFER

WALTER

MADDALENA

DELFRATE

IL MEDICO

IL QUARTO LATO DEL TRIANGOLO

MIRELLA

PAOLO

LUCREZIA

IL COMMISSARIO

Nota:

Questi tre atti unici hanno in comune il tema del matrimonio. Possono essere rappresentati separatamente o tutti e tre nella stessa serata, in modo da costituire uno spettacolo di normale durata. In quest’ultimo caso, l’impianto scenico fisso, utilizzabile per tutti e tre i lavori, consisterà in un interno nel quale verranno sistemati gli elementi di arredamento indicati per ogni singolo atto.


IL PREMIO DI NUZIALITÀ

Ufficio del direttore di un’azienda che produce oggetti sacri destinati al culto e capi di abbigliamento per i suoi ministri. In aggiunta all’arredamento d’uso, un campionario costituito da paramenti, messali ostensori, statuine di santi, ecc. e un manichino con addosso un “completo” da alto prelato. Ad una parete, diagrammi, indici di produzione e una tabella, l’organico della ditta, costellata di spilli diversamente colorati. Garavatti, nella quarantina, occhio vispo e penetrante, si trova in deferente posizione di “attenti” a ricevere la pioggia di effusioni del Direttore.

DIRETTORE - Caro, caro il mio Garavatti, non so dirle quando la notizia mi renda felice. Davvero, sa? Non è che me l’aspettassi, tutt’altro, ma che lo desiderassi, oh, questo si, mi creda, e ardentemente. A un uomo, della sua tempra, laborioso, ad alto indice di produttività, simpatico…

GARAVATTI - Lei mi confonde, signor direttore. Se così posso esprimermi, la simpatia è reciproca.

DIRETTORE - A un uomo dotato delle sue capacità professionali e di tante lodevoli virtù morali mancava solo la compagna della vita. “Non è bene che l’uomo sia solo”, ha detto il Signore; ed io, nelle mie preghiere serali, “Signore”, lo supplicavo, “fa che il Garavatti trovi una brava ragazza e la impalmi”. Ed ecco me esaudito e lei prossimo alla sistemazione. È commovente. Bravo, Garavatti! (gli stringe vigorosamente la mano) Ha già fissato la data?

GARAVATTI - No di certo, signor direttore. Mi guarderei bene dall’assumere motu proprio e unilateralmente un’iniziativa così ardita. Dal momento che l’altra parte interessata, se così posso esprimermi, ha in lei il suo autorevole rappresentante, tocca a lei decidere.

DIRETTORE - Allude al servizio? Nessun impedimento, mio caro. Scelga, decida, fissi, faccia tutto lei. Le esigenze del servizio passano in second’ordine dinanzi al coronamento di un sogno d’amore. In gamba, Garavatti; ci si sposa una volta sola, non le pare?

GARAVATTI - (calmo) Insomma, vero…

DIRETTORE - Qualsiasi data lei fisserà andrà bene anche per l’azienda.

GARAVATTI - (con esplosiva commozione) L’azienda l’è una mamma! L’è una mamma, si, ma se la mamma ti dà il dito, questo è il mio motto, non devi impadronirti del braccio. Il fatto è, signor direttore, che il sogno d’amore, come lei si è poeticamente espresso, lo vorrei coronare assieme alla Mariella, la quale anch’essa è una dipendente dell’azienda. Per la cronaca, è la Mariella Saltavinci.

DIRETTORE - (piacevolmente colpito) La Saltavinci? Ah, birbantelli! Lei e la Saltavinci… Ecco perché il buon Garavatti veniva personalmente a sottopormi le pratiche della sua sezione. C’era da attraversare la mia segreteria…

GARAVATTI - L’ha detto, dottore, l’ha detto: attraversare. Con la trepidante concentrazione di chi guadi un fiume in piena. Senza indulgere, cioè, a galanterie o manipolazioni palesi o sottobanco, ma al solo scopo di appagare l’occhio con la visione dell’oggetto amato.

DIRETTORE - Caro Garavatti, ne sono doppiamente felice: per lei e per la Saltavinci. (scherzosamente burbero) Però, dico, un po’ di risentimento dovrei pur nutrirlo nei suoi riguardi: portami via il miglior elemento della segreteria…

GARAVATTI - Pugnalare lei alla schiena?! Viva e diriga tranquillo, signor direttore. La Mariella nessuno gliela sottrae. La famiglia non l’è mica un allegro carnevale, questo è il mio motto; quindi, mi corregga se sbaglio, lavora il marito? Lavori anche la moglie. Con i tempi che corrono…

DIRETTORE - Può ben dirlo. Tempi duri! (un tempo) Ma guarda: il Garavatti e la Saltavinci… Ah, birbantelli! (Al citofono) Saltavinci.

VOCE DI MARIELLA - Si, dottore.

DIRETTORE - Venga da me, prego.

VOCE DI MARIELLA - Con il blocco-steno?

DIRETTORE - No, cara, en privé.

VOCE DI MARIELLA - Subito, dottore. (il direttore ammicca a Garavatti)

GARAVATTI - (un po’ a disagio) Birbantella, la Mariella…

DIRETTORE - E lei no? (ridacchia)

GARAVATTI - (contagiato ridacchia a sua volta) Birbantelli tutti e due, se così posso esprimermi. (Entra Mariella, alta di gambe, labbra accese e occhiali a mandorla)

MARIELLA - Eccomi, dottore. (A Garavatti, timida) Ciao.

GARAVATTI - (lo sguardo a terra trascinando un piede) Ciao.

DIRETTORE - (A Mariella, con tono falsamente burbero) E allora? Le pare giusto che devo apprenderlo da Garavatti? È questa la stima, la riconoscenza; è questo l’affetto che la cara Mariella nutre per il suo direttore?

MARIELLA - Il Giacinto le ha detto?

DIRETTORE - (andandole incontro con la mano tesa) Auguri mia cara; auguri dal profondo del cuore. Non so dirle quanto ne sono felice. Affermare che l’azienda è una matrice di sane e belle famiglie non è immagine retorica. Ed è confortante che nel suo seno, mentre ferve l’attività che ad alcuni può apparire arida, nel cuore di due dipendenti sbocci il fiore tenero dell’amore.

GARAVATTI - A costo di sembrarle protervo, signor direttore, sento il dovere di insistere: tra la Mariella e me, nel seno aziendale, sono intercorsi solamente rapporti di lavoro. Non nego che alla mensa mi possa essere abbandonato a qualche innocente galanteria quale la cessione di una coscia di pollo particolarmente ghiotta; ma, in quanto al resto, dentro i cancelli, prima e solo il lavoro. L’idillio, poiché ella persiste nel voler sapere come e dove è sbocciato, l’idillio ha trovato terreno fertile allo stadio aziendale. Forse le è noto che la Mariella si allena alla corsa agli ostacoli e io, immeritatamente, lancio il disco.

DIRETTORE - Lei vuole decisamente sbalordirmi, caro Garavatti. Discobolo, oltre che funzionario modello.

GARAVATTI - Insomma, vero…

DIRETTORE - E quale è la sua misura?

GARAVATTI - Cinquantaquattro.

DIRETTORE - Non parlo della taglia. A quanti metri scaglia l’attrezzo?

GARAVATTI - A cinquantaquattro metri.

DIRETTORE - Scherza? Il primato interzonale è di cinquantuno…

GARAVATTI - Insomma, vero…

DIRETTORE - (a Mariella) Dice sul serio?

MARIELLA - (in adorazione di Garavatti) Altro che! Dovrebbe vederlo, dottore: quando lancia il disco il Giacinto, resto estasiata a guardarlo. Per cosa crede che mi sia sentita attratta da lui? Per il fisico tarzanoide, altro che storie! Poi è venuto il sentimento. Un uccello da rapina, ecco cosa è Giacinto.

DIRETTORE - Garavatti, ohe, dico, cinquantaquattro metri, cosa aspetta a gareggiare in campo nazionale?

GARAVATTI - Cosa vuole, si fa per la soddisfazione, sa, mica per altro.

DIRETTORE - Però la soddisfazione la potrebbe dare anche all’azienda. Consideri quanto prestigio le deriverebbe dall’annoverare tra i sui dipendenti un primatista.

GARAVATTI - Avessi dieci anni in meno… Ma adesso… La famiglia… i figli…

DIRETTORE - (ridendo) I figli! Come salta presto al plurale lei! Lo sa che i figli arrivano uno alla volta e che tra l’uno e l’altro intercorrono nove mesi?

GARAVATTI - Insomma, vero…

DIRETTORE - E come ci è arrivato?

GARAVATTI - Spirito di osservazione. A volte intercorrono solo sette mesi, ma il caso non è frequente.

DIRETTORE - Ma no, parlavo del disco. Come è arrivato a cinquantaquattro metri?

GARAVATTI - Costituzione fisica, oltre che perseveranza negli allenamenti. Si degni di osservare. Il buon discobolo deve essere di culo piatto. (percuotendosi le natiche) È qui intorno, infatti, che il vortice aerodinamico raggiunge il punto critico al momento del lancio. Ecco, vede, se si degna di far cadere un filo dalla nuca, noterà che esso scende perfettamente a piombo fino ai talloni. Si vuol degnare?

DIRETTORE - Allo stadio. Verrò ad ammirarla allo stadio. Anzi, interesserò il consiglio di amministrazione per lanciarla in campo nazionale. Lei nel disco e Mariella nella corsa.

MARIELLA - Oh, ma il mio tempo è modesto.

DIRETTORE - (osservandole il sedere) Forse dovrebbe ridurre il vortice aerodinamico…

GARAVATTI - (subito) Per la corsa non occorre. E poi, Mariella mi piace ragionevolmente prosperosa.

DIRETTORE - Ah, birbantello. Bene, chiudiamo la parentesi sportiva e torniamo al nostro argomento. Debbo fissare io la data? E sia. Tra un mese va bene? (stacca uno spillo colorato dal pannello dell’organico) Ecco il Garavatti, capo sezione paramenti sacri… (fa cadere lo spillo in una scatola) Lo mettiamo a letto. (stacca un nuovo spillo) E a letto mettiamo anche la Mariella. (fa cadere lo spillo in una seconda scatola. Garavatti coglie lo spillo corrispondente a Mariella e lo fa cadere nella prima scatola)

GARAVATTI - Nello stesso letto, se così posso esprimermi, signor direttore…

MARIELLA - (a occhi bassi) Giacinto…

DIRETTORE - (rivolto a Garavatti) Garavatti… (spostando altri spilli) Al posto del Garavatti mettiamo il Pinelli… al posto del Pinelli il Valletti… In quanto alla Mariella, chiederò una sostituta pro tempore all’ufficio del personale, e poiché ho nominato ufficio del personale, miei cari, pensiamo alle cose pratiche. Come sapete, ai termini del contratto integrativo, vi spetta un premio di nuzialità.

GARAVATTI - (guardando in alto) Ringraziamo il Misericordioso che nei cieli, signor direttore. A me che ho più di quindici anni di anzianità, tocca il centosessanta per cento dello stipendio. Alla Mariella, poiché sposa un dipendente dell’azienda, spetta solo il cinquanta. Se mi consente l’espressione, è biada per il cavallo. I figli, dottore, i figli sono un pozzo senza fondo.

DIRETTORE - Ma Garavatti, come corre! Previdenza, va bene, ma a sentirla sembra che ne abbia già sei, di figli. Quanti ne vuole?

GARAVATTI - Non si tratta di volerne o no, ma, se così posso esprimermi, la carne è debole: in men che non si dica, lei mi vedrà padre di quindici Garavatti (squilla il telefono)

DIRETTORE - (sorridendo mentre stacca la cornetta) Decisamente lei è nato per battere i primati. Diavolo d’un Garavatti. (al telefono) Si?… Ah, dottoressa Puricelli… Si, si, si… Venga pure. Ah, aspetti, desidero comunicarle subito la bella notizia: il nostro Garavatti prende moglie. (un tempo. A Garavatti) Auguri da parte del capo del personale.

GARAVATTI - Ringrazi la dottoressa per il pensiero squisito.

DIRETTORE - (al telefono) Garavatti la ringrazia… Si certo, venga pure. (riattacca) Bene, la macchina è in moto. Compilate subito la domanda, io la firmerò e la consegneremo a mano alla dottoressa Puricelli.

GARAVATTI - (piegato in due) Grazie dottore. È biada, è biada… comandi.

DIRETTORE - Andate pure e tornate subito con la domanda. (Garavatti e Mariella escono, incrociando la severa e sobria dottoressa Puricelli, la quale li guarda appena, intenta com’è a riordinare i fogli)

DIRETTORE - Avanti, Puricelli.

D. PURICELLI - Ecco la relazione. (gliela consegna. Il direttore si mette a sedere e comincia a sfogliarla) Ho sottolineato i punti essenziali. Noti qui: a giugno scadono i termini per la sistemazione della mano d’opera avventizia.

DIRETTORE - Molto bene.

D. PURICELLI - Questa è la lista preferenziale: anzianità, merito, coniugati e capi di famiglia numerosa. (un tempo) A proposito, poc’anzi al telefono, mi ha detto di qualcuno che si sposa.

DIRETTORE - Si, il Garavatti.

D. PURICELLI - Allora ho sentito bene. Giacinto Garavatti, capo sezione “Paramenti Sacri”. (accigliandosi) Ma non è già sposato?

DIRETTORE - (esaminando la relazione) Il Garavatti? Evidentemente no, dal momento che lo fa tra un mese. Sposa la Saltavinci.

D. PURICELLI - (sempre dietro un suo pensiero) Eppure… è strano…

DIRETTORE - (preso dalla relazione) Come dice?

D. PURICELLI - È l’unico Garavatti dell’azienda. È sicuro che non sia già sposato?

DIRETTORE - Puricelli, andiamo! Le pare morale che nelle mie preghiere io chieda al Signore di trovare una compagna a un uomo ammogliato?

D. PURICELLI - (si stringe il mento) Posso usare il suo telefono?

DIRETTORE - Prego.

D. PURICELLI - (dopo aver formato un numero al telefono) Parla Puricelli. Signorina, prenda, per piacere, la scheda di Garavatti Giacinto.

DIRETTORE - Ah, benedetta donna. San Tommaso, mi sembra, San Tommaso. Non si fida di me?

D. PURICELLI - Di lei si, ma non della mia memoria. (al telefono) Si? Legga, prego… Si, si, si… Ah, basta così, grazie. (depone la cornetta) Coniugato!

DIRETTORE - (levando gli occhi dalla relazione) Prego?

D. PURICELLI - Il Garavatti è coniugato.

DIRETTORE - Il Garavatti? Come fa ad esserlo se si sposa il mese prossimo?

D. PURICELLI - Questo lo chieda a lui.

DIRETTORE - (corrugando la fronte) Ma… (d’improvviso si illumina) Ma certo, vedovo! Le pare che un uomo con la moglie a casa se ne va allo stadio a lanciare il disco?

D. PURICELLI - Il disco?

DIRETTORE - Ma certo. Lo sport è il correttivo della sua solitudine. Mi pare di ricordare che due anni fa il Garavatti usufruì di una licenza per lutto familiare.

D. PURICELLI - (annuendo) Il decesso di una zia.

DIRETTORE - Ne è sicura? Non della moglie?

D. PURICELLI - Impossibile. Da cinque anni a questa parte, nelle famiglie dei dipendenti si registrano decessi solo di zie. È un fatto: la favorevole circostanza che i nostri dipendenti vengano colpiti esclusivamente nelle parentele collaterali fa si che l’azienda venga considerata depositaria di un particolare privilegio, il che ha fatto aumentare vertiginosamente il numero di domande di assunzione.

DIRETTORE - Ma allora come si spiega? (entrano Mariella e Garavatti, questi con un foglio tra le dita)

GARAVATTI - (alla dottoressa Puricelli) A nome mio e della mia promessa sposa qui presente, ottima e materna dottoressa Puricelli, grazie per gli auguri che si è degnata di farci pervenire per telefono. E, se così mi è consentito esprimermi, ho l’onore di consegnarle la domanda per il premio di nuzialità.

DIRETTORE - Senta Garavatti, all’ufficio del personale risulta che lei è sposato.

GARAVATTI - Risulta anche a me, certo.

DIRETTORE - Lei è sposato? Lei ha moglie?!

GARAVATTI - Insomma, vero…

DIRETTORE - Insomma che?

GARAVATTI - Insomma, si.

DIRETTORE - Ma se è coniugato, cos’è venuto a dirmi che sposa la Saltavinci il mese prossimo?

GARAVATTI - Ha cambiato idea sulla data?

DIRETTORE - Quale data? Ma che siamo matti? Ci si sposa una volta sola!

GARAVATTI - (realizzando) Aaaah, credo di capire la ragione del suo sconcerto. Lei si sta domandando, signor direttore: “com’è che il Garavatti, essendo regolarmente sposato, mi viene ad annunciare il suo matrimonio con la Mariella”? (Il Direttore annuisce) La spiegazione c’è, mi creda, perché il Garavatti, che è devoto all’azienda ed al suo direttore, non può venire a raccontare frottole e, meno che meno, a fare degli scherzi da prete. E vuol sapere quale è la spiegazione, signor direttore? (Il Direttore annuisce) La spiegazione l’è, se così posso esprimermi, che io sono musulmano. (Il Direttore annuisce ancora, poi realizza e cade a sedere di colpo)

DIRETTORE - (basito) Lei musulmano?

GARAVATTI - In carne ed ossa.

DIRETTORE - (scambia uno sguardo con la dottoressa Puricelli, si slaccia il colletto e grida) E perché?

GARAVATTI - Ci sono nato.

DIRETTORE - Ma lei non è di Bergamo?

GARAVATTI - sissignore, del ramo musulmano dei Garavatti di Bergamo.

DIRETTORE - Quale ramo musulmano?

GARAVATTI - Quello che discende dal Garavatti che partì per la Turchia con il Donizetti.

DIRETTORE - (saltellando sulla sedia) Donizetti? Chi è Donizetti?

GARAVATTI - (cantando) “Verranno a te sull’aure…” La “Lucia”, conosce?

DIRETTORE - Gaetano Donizetti era musulmano?

GARAVATTI - Non il Gaetano, ma il fratello, il Giuseppe. Se mi consente di confortare con una spiegazione…

DIRETTORE - Se consento? La esigo!

GARAVATTI - Il Giuseppe Donizetti, musicista anche lui, fu inviato alla corte ottomana per formare una banda. Con lui lasciarono le patrie sponde, come allora usava dire, due Garavatti, Ettore e Francesco, rispettivamente clarinetto e basso tuba. Io discendo da basso tuba, che col tempo diventò visir, si lascio circoncidere e divenne seguace di Maometto. E naturalmente prese moglie turca… scusi, prese mogli.

DIRETTORE - Quante?

GARAVATTI - Mah, tra le venti e le trenta. Mai appurato con certezza perché molte partecipazioni di nozze sono andate perdute. In famiglia, quando se ne parla, si fa la media di venticinque e fine della trasmissione.

DIRETTORE - Oddio… e lei, sulle orme del basso tuba, si è già sposato una volta…

GARAVATTI - Insomma, vero…

DIRETTORE - E ha dei figli suppongo.

GARAVATTI - Insomma…

DIRETTORE - Quanti?

GARAVATTI - Cinque. (Il Direttore si rimette a sedere, allargando ancora il colletto) Dalla prima moglie.

DIRETTORE - Dalla pri… Garavatti, quante mogli ha?

GARAVATTI - Per ora due e… (indicando Mariella) una in arrivo.

DIRETTORE - (asciugandosi il sudore) Due mogli… e cinque figli…

GARAVATTI - Dalla prima. Dalla seconda tre e uno è in viaggio.

DIRETTORE - (a Mariella, con gli occhi fuori dalle orbite) E lei, al corrente della turpe circostanza, sposa un musulmano? Fornito di due mogli e di otto figli e mezzo!

MARIELLA - Perché no, dal momento che sono musulmana anch’io?

DIRETTORE - Anche lei?! (un tempo. Le punta un dito contro) Dei Saltavinci di Bergamo! (Mariella annuisce) Donizetti portò in Turchia anche un Saltavinci…

MARIELLA - Proprio così, il Gianpaolo, flauto dolce della banda.

DIRETTORE - Bella banda! Bella banda!… Tre mogli! Questo qui si mette in casa tre mogli!

GARAVATTI - Vuol conoscere il mio motto? Dove si mangia in quattordici, si mangia in quindici; questo è il mio motto.

DIRETTORE - E dove le ha trovate le prime due?

GARAVATTI - Sorelle del Crescenzi, discendenti del corno inglese.

DIRETTORE - Oddio… oddio… (si alza e rivolta contro la parete il manichino da alto prelato) Ma le autorità… il clero… questa è… è…

D. PURICELLI - Poligamia bella e buona.

GARAVATTI - Insomma…

DIRETTORE - Come insomma? (alla dottoressa Puricelli) Come insomma? Puricelli, dica qualche cosa!

D. PURICELLI - Che posso dire? Giudicando a caldo, mi sembra legale. I Garavatti, i Saltavinci, i Crescenzi, in una parola questa banda di bergamaschi partiti con il Donizetti sono musulmani d’antica data e si comportano secondo i dettami della legge coranica. (rivolta al Garavatti) Immagino che l’anagrafe sia al corrente della sua situazione coniugale.

GARAVATTI - È al corrente, si.

D. PURICELLI - (rivolta al direttore) E dunque… (un tempo) mi sembra legale.

DIRETTORE - Legale!… (rivolto a Garavatti) E lei ha permesso che per un anno io chiedessi al Signore di farle trovare una compagna!

GARAVATTI - Glielo chiedevo anch’io, sa, altro che storie. Con i tempi che corrono, uno stipendio in più che entra in una casa è biada per il cavallo.

DIRETTORE - Per il cavallo? Per la scuderia! Ed io la sera pregavo per uno stallone! (si sbottona la camicia) Oddio… e si becca anche il premio di nuzialità!

D. PURICELLI - Un momento. Premio di nuzialità. Ragioniamoci. Ammesso che il Garavatti si trovi in una botte di ferro per quanto riguarda lo stato civile, a questo punto si pone un dubbio di carattere contrattuale: gli spetta il premio di nuzialità?

GARAVATTI - Porca se mi spetta! Lo stabilisce il contratto integrativo. L’ho già percepito quando sposai la seconda delle ragazze Crescenzi.

D. PURICELLI - Ecco il punto. Lei l’ha già percepito una volta. Il contratto recita: “al dipendente che contragga matrimonio, verrà corrisposto…” eccetera. Che contragga matrimonio. Ma quante volte? (silenzio generale) Non è specificato. Escludendo ovviamente il caso di vedovanza, ci domandiamo: spetta al dipendente che si risposi dopo aver ottenuto il divorzio o la dichiarazione di nullità delle nozze precedenti o, ed è il nostro caso, quando contragga matrimonio in stato di poligamia?

DIRETTORE - Ecco, ecco…

D. PURICELLI - Poiché il contratto di lavoro riguarda i cittadini italiani e lo stato italiano è strettamente monogamo, come va applicata la disposizione contrattuale integrativa? Altra considerazione. Quando l’Italia possedeva delle colonie con popolazioni poligame, come si comportava con i musulmani dipendenti da enti pubblici o da aziende vincolati da contratti collettivi? Bisognerebbe risalire a Crispi e Tripoli, a Giolitti… Temo che dovrò sottoporre il quesito al nostro ufficio legale.

DIRETTORE - Cosa?! Ohe, dico, metter altra gente al corrente dello scandalo? Bisogna soffocare.

D. PURICELLI - Non vedo altra via d’uscita.

DIRETTORE - Ho detto soffocare lo scandalo! Musulmano… Due mogli… Otto figli… una terza moglie…

D. PURICELLI - È indispensabile che mi rivolga all’ufficio legale, poiché il Garavatti ha già percepito una volta il premio.

DIRETTORE - Vuol dire che non lo percepirà una seconda volta.

GARAVATTI - Signor direttore, questo della biada è un tasto che non deve suonare stonato; altrimenti, messi in disparte rispetto, deferenza e devozione, mi vedrò costretto a rivolgermi al consiglio di fabbrica.

DIRETTORE - No, Garavatti, no. Lei non farà una cosa simile, non lo farà al suo direttore. Glielo chiedo in nome dei suoi numerosi figli.

GARAVATTI - Proprio per il loro sostentamento sarò costretto a farlo.

DIRETTORE - Pensi all’azienda, Garavatti. È una mamma, ha detto lei poco fa. Non pugnali dunque la mamma alla schiena. Immagini che ne sarebbe del nostro presidente, il senatore, se gli giungesse una notizia simile. Iperteso come è, arteriosclerotico, non darei cento lire per la sua vita. Immagini se il partito radicale si impadronisse della notizia. Referendum! Tra due anni avremmo la poligamia in Italia! Vuol decretare il finis patriae, Garavatti? (piangendo) La nostra azienda produce articoli religiosi, calici, rosari, ostensori, statue di santi e venerabili; stampa messali, libri di devozione, catechismi, breviari. Lei, Garavatti, lei è capo sezione… (mordendosi un dito) Un sultano a capo della sezione Paramenti Sacri!… Mariella, mia cara Mariella, mi aiuti almeno lei.

MARIELLA - In che modo signor direttore?

DIRETTORE - Prendiamo tempo… rinviate le nozze… Due, tre mesi…

MARIELLA - Come si fa? Giacinto mi ha stregata… È un uccello da rapina. Gliel’ho detto.

GARAVATTI - E poi, sono impaziente.

DIRETTORE - Anche!

GARAVATTI - Si, di coronare il mio sogno d’amore e condurre una serena vita coniugale.

DIRETTORE - Ma se ne ha due, di mogli!

GARAVATTI - Sono obsolete, se così posso esprimermi. (con uno sguardo cupido a Mariella) Ne voglio una nuova.

DIRETTORE - Ed io che ne ho una, sempre la stessa da quindici anni?! Che dovrei fare io?

GARAVATTI - Mortifichi la carne, dal momento che è cattolico.

DIRETTORE - E lei perché non lo è, perbacco?!

GARAVATTI - (in tono umile) Donizetti…

IL DIRETTORE - Donizetti! Donizetti! (al citofono) Signorina, disdica il mio abbonamento al teatro dell’opera! (improvvisamente si immobilizza e sgrana gli occhi, come fulminato da un’idea) Cattolico! Ecco la soluzione! Garavatti, caro Garavatti, lei crede alla sincerità dei sentimenti del suo direttore, vero?

GARAVATTI - Ci credevo, signor direttore, ma noto con accoramento che essi sono mutati.

DIRETTORE - Ma no, niente affatto. Mi lasci dire. Se il suo direttore le chiedesse un piacere, se le proponesse un compromesso in grado di salvare capra e cavoli, se la sentirebbe di dire di no?

GARAVATTI - Per lei sono disposto a mettere le mani nella brace, a patto però che: a) non mi si tocchi nella biada; b) non mi si chieda di procrastinare il coronamento del mio sogno d’amore con Mariella.

DIRETTORE - Niente di tutto ciò. Per quel che ho da chiederle bastano tre parole: si faccia cattolico.

GARAVATTI - Io? E perché?

DIRETTORE - Perché, in tal modo, il tutto si risolverebbe con mutua soddisfazione. Stia a sentire: incarichiamo il cappellano di fabbrica di catechizzare lei e Mariella; poi si va dal parroco, mio buon amico, e gli si chiede di celebrare un matrimonio segreto; un matrimonio cioè, valido per la sua coscienza, ma che non verrà trascritto allo stato civile. Che ne dice?

GARAVATTI - A parte l’affronto disdicevole che farei a Maometto, non ne vedo l’utilità.

DIRETTORE - Dica pure le utilità. Lei corona il suo sogno d’amore con la Mariella e si mette in casa una moglie nuova di zecca. In quanto al premio nuzialità, essendo il matrimonio segreto e non potendo di conseguenza concederglielo a tal titolo, fra quindici giorni organizziamo una riunione atletica: lei scaglia il disco a cinquantaquattro metri alla presenza della stampa e per tale exploit le verrà corrisposto un premio di incoraggiamento pari al centosessanta per cento del suo stipendio. In quanto alla Mariella, borsa di studio di sei mesi per l’apprendimento dei dialetti africani, senza obbligo di frequenza dei corsi. In tal modo, lei ha moglie nuova e biada per il cavallo, la morale e le arterie del presidente sono salve. Garavatti, è un affare, non dica di no.

GARAVATTI - Non è il Garavatti che deve dire si o no, signor direttore, non è il Garavatti: è la sua religione. Quella degli avi.

DIRETTORE - Lei è monoteista, dopotutto.

GARAVATTI - Monoteista, si, ma poligamo.

DIRETTORE - Iddio è uno, Garavatti. Che importanza ha sotto quale bandiera lo si adora? Un artigliere serva la patria alla stregua di un fante, di un marinaio o di un carrista.

GARAVATTI - Lei dice bene, ma Maometto, sa, non è mica un profeta da prendere sottogamba.

DIRETTORE - Il profeta sarà comprensivo, Garavatti. Ai suoi tempi non c’erano le aziende, non c’era il partito radicale, non c’erano senatori con l’arteriosclerosi. E poi, dia retta al suo direttore, in cielo c’è comprensione e misericordia.

GARAVATTI - Le sue parole sono persuasive, signor direttore, ma il sacrificio sarebbe grande, mi creda. Celebrato il matrimonio cattolico, mi precludo la possibilità di coronare altri sogni d’amore.

DIRETTORE - Perché, ne ha ancora l’intenzione?

GARAVATTI - Finché c’è l’esuberanza erotica…

DIRETTORE - Quante volte calcola di poter prendere ancora moglie? Cinque? Ad una media di una moglie nuova ogni quattro anni, eccettuata la Mariella, fa ventiquattro anni. Lei ne ha quaranta. A sessantaquattro anni scemerà la sua esuberanza, spero. Le farò corrispondere una cifra pari a cinque premi di nuzialità.

GARAVATTI - Semmai sei. Ha detto che la Mariella non conta.

DIRETTORE - Vada per sei. Aggiudicato!

D. PURICELLI - Ma il senatore…

DIRETTORE - Troverò il modo… (rivolto a Garavatti) Affare fatto?

GARAVATTI - Certo, la biada sarebbe tanta… (interroga Mariella con lo sguardo)

MARIELLA - Giacinto, meglio l’uovo oggi…

GARAVATTI - Signor direttore, non posso venir meno alla fiducia che l’azienda, per mezzo suo, ripone in me. Del resto, lei si è espresso poeticamente e vorrei aggiungere in modo teologicamente lapidario quando ha affermato che il Signore è uno e poco importa il colore della bandiera sotto la quale si serve. Vuol dire che oggi, invece di servire Allah in fanteria, lo servirò in cavalleria. Vada per il Garavatti cattolico!

DIRETTORE - (commosso) Caro, caro Garavatti! (lo abbraccia) Grazie. Ero certo che non mi avrebbe deluso. (rivolto alla dottoressa Puricelli) Prenda nota, dunque: riunione atletica, sei premi di nuzialità e borsa di studio per la Saltavinci.

D. PURICELLI - E l’ufficio legale?

DIRETTORE - Se lo scordi!

D. PURICELLI - Come comanda. (e esce)

DIRETTORE - (rivolto a Garavatti e Mariella) Sedete, mie cari, sedete. (i due si mettono a sedere ed il direttore parla al citofono) Signorina, riconfermi il mio abbonamento all’opera. (la porta si apre bruscamente ed entra il senatore pletorico e pettoruto)

SENATORE - Martelli, qui si va a rotoli!

DIRETTORE - (trasecolando) Senatore… Signor presidente! (Garavatti schizza su dalla sedia e si piega ad un inchino a 45 gradi)

SENATORE - (rivolto al direttore) Dico, vogliamo arrestare il processo di sviluppo dei paesi in via di sviluppo? (agitando un foglio in aria) La fornitura africana è in ritardo di undici mesi. Di questo passo si va tutti a rotoli: l’azienda e l’Africa. (notando la posizione di Garavatti) Cosa è, artrite deformante?

GARAVATTI - (sempre piegato) È deferenza, signor senatore presidente.

SENATORE - Grazie, ma stia comodo, amico mio. (Garavatti si raddrizza)

DIRETTORE - (rivolto al senatore) Le presento la Saltavinci, della mia segreteria… (Mariella accenna una riverenza)

DIRETTORE - E il Giacinto Garavatti, capo sezione Paramenti Sacri… (Garavatti si piega)

SENATORE - Bravi, bravi. E si raddrizzi, figliolo. (Garavatti si raddrizza)

DIRETTORE - Sono prossimi alle nozze. (e fa un sorrisetto)

SENATORE - Bene, auguri, felicità.

GARAVATTI - Grazie, signor senatore presidente. Le sue parole suonano come musica d’arpa.

SENATORE - (rivolto al direttore) Allora, la fornitura africana…

DIRETTORE - Il ritardo, come al solito, è dovuto alle ditte subappaltatrici. (Garavatti dice qualche cosa all’orecchio di Mariella che annuisce) Se non sciopera l’una lo fa l’altra; noi con le mani legate e l’Africa che scalpita. È già un miracolo se in queste condizioni…

GARAVATTI - (piegato a 45 gradi con voce tonante) Signor presidente senatore!

SENATORE - (sobbalzando) Eh?

GARAVATTI - Reso ardito dalla sua benevolenza, cedo alla tentazione di formulare un desiderio che spero non trovi insensibile il suo gran cuore di politico illuminato e di capitano d’industria. Posso formulare?

SENATORE - Dica pure, figliolo.

GARAVATTI - Come il signor direttore sa, l’azienda per me è una mamma. Ed è a colui che regge il timone della mamma che io elevo la mia preghiera. Signor senatore presidente, vuole ella degnarsi di assistere il Garavatti, in qualità di padrino, nell’imminente sconvolgimento della sua vita?

SENATORE - Perché no? Se i miei impegni me lo consentono… A quando le nozze?

GARAVATTI - (incredulo) Anche alle nozze? (si precipita a baciarli una mano, piegando un ginocchio)

SENATORE - Ma che fa, figliolo? Non sono mica il vescovo!

GARAVATTI - di più, di più deve diventare! Arcivescovo primate, cardinale decano! Alla destra del signor Papa deve sedere, alla sua destra!

SENATORE - Si calmi, si calmi. Troverò sicuramente il modo per disimpegnarmi. (un tempo) Scusi, perché ha detto anche alle nozze? Ci sarebbe dell’altro?

GARAVATTI - Ho detto anche alle nozze perché non credo di meritare tanto. Intendevo parlare solo di battesimo.

DIRETTORE - (sbiancando) Garavatti, il senatore è pressato dall’Africa…

SENATORE - Benissimo… (un tempo. Credendo di capire) Ah… (fa un colpetto di tosse) Un matrimonio a posteriori… a regolarizzazione, insomma.

GARAVATTI - In che senso, se così posso esprimermi?

MARIELLA - Il signor presidente pensa che abbiamo spinto oltre il lecito le nostre effusioni sentimentali, Giacinto… e che adesso si sia in attesa di raccogliere il frutto. No, signor presidente, niente a posteriori: sono illibata.

GARAVATTI - (rivolto al senatore) La Mariella? Illibatissima! Guardi che ventre liscio. Più liscio ancora del mio sedere di discobolo. No, niente battesimo a posteriori come ella si è dottamente espresso. Frequenti il senato e presieda tranquillo, signor senatore presidente: il Garavatti è esuberante, si, ma rispettoso della virtù della fanciulla. Il Garavatti è uomo del buon tempo antico: pregusta, certamente, ma mortifica la carne.

SENATORE - Allora chi dobbiamo battezzare?

GARAVATTI - Me, se così posso esprimermi.

DIRETTORE - (crollando sulla sedia) Garavatti…

SENATORE - Lei? Perché, non è ancora battezzato?

GARAVATTI - Non ancora, dal momento che sono di recentissima conversione. Come ho avuto l’onore di spiegare al signor direttore, io sono musulmano.

SENATORE - (attonito) Lei è musulmano?

GARAVATTI - Noi siamo musulmani. Anche la Mariella qui presente.

MARIELLA - Musulmani di Bergamo.

DIRETTORE - (rivolto al senatore, con un fil di voce) Il Donizetti sa…

SENATORE - (attonito) Porca! (li osserva fisso) Porca, questa è da raccontare.

DIRETTORE - (sollecito) Ormai è tutto sistemato, signor presidente. Gli avrei parlato al momento opportuno.

GARAVATTI - Il signor direttore, una gran persona, sa? Un padre, sa? Usa dei riguardi, usa dei riguardi alle sue arterie incrostate di colesterolo.

SENATORE - (rivolto al direttore) Si occupi dell’Africa invece delle mie arterie. (un tempo) Però… due musulmani nell’azienda… (i suoi muscoli facciali si distendono) Direi che è una pennellata di colore…

GARAVATTI - (rivolto al direttore) Vede? Anche se arteriosclerotico, il signor senatore presidente ha vivo il senso cromatico. (rivolto al senatore) Il signor direttore, invece, ne aveva fatto un dramma della mia decisione di prendere una terza moglie.

DIRETTORE - (sull’orlo del collasso) Garavatti…

SENATORE - Una terza… Vuol dire che la signorina sarebbe…

MARIELLA - Appunto la terza, se così si può esprimere.

GARAVATTI - E, in virtù dell’accordo tra gentiluomini raggiunto da poco, purtroppo anche l’ultima.

SENATORE - Purtroppo, dice? Quante ne vorrebbe avere?

GARAVATTI - Non si tratta di volere, ma di potere. Alla volontà non c’è un limite, ma ci si regola secondo l’estro e la disponibilità di biada.

SENATORE - Porca! Ma perché si battezza, scusi?

DIRETTORE - (cercando di salvare il salvabile) Ho aperto gli occhi al Garavatti… L’aspetto morale della situazione… il decoro dell’azienda da salvaguardare… l’opportunità di non gettare il paese in pasto ai radicali. E, a onore del Garavatti, egli ha ricompensato i miei sforzi: abbraccia il cattolicesimo.

SENATORE - Ma l’aspetto legale?

DIRETTORE - La dottoressa Puricelli ha vagliato il caso. È un lungo processo storico: parte da Donizetti e, attraverso Crispi e Giolitti, arriva a Tripoli…

SENATORE - Donizetti… Crispi… Giolitti… Che mi racconta? Domando se la sua posizione è legale.

DIRETTORE - (affranto) Anagraficamente, sembrerebbe di si.

SENATORE - Questa poi! (rivolto a Garavatti) Sicché lei può avere un numero illimitato di mogli…

GARAVATTI - Insomma, vero, illimitato… Diciamo fin dove aiuta la biada.

SENATORE - Ma cosa è questa biada?

GARAVATTI - I mezzi di sostentamento, se così posso esprimermi.

SENATORE - La grana, insomma.

GARAVATTI - Il volgo così la definisce, ha colto nel segno.

SENATORE - (lo osserva, si accarezza il mento, maturando un’idea) Senta Mangiagatti…

GARAVATTI - Garavatti, scusi la rettifica.

SENATORE - Garavatti, certo. Si metta a sedere. Sediamoci tutti. (Siedono. il senatore studia Garavatti, sempre accarezzandosi il mento) Lei Garavatti, conosce il detto, dove si mangia in tre si mangia in quattro?

GARAVATTI - (annuendo) L’ho anche sviluppato, facendone il mio motto: dove si mangia in quattordici si mangia in quindici.

SENATORE - Bravo, constato con piacere che le sue idee di economia domestica coincidono con le mie. Data la premessa, non avrà difficoltà ad ammettere che dove si mangia in quindici si mangia in sedici. La biada consentendo, naturalmente.

GARAVATTI - Non pongo limiti, signor senatore presidente, purché, come lei si è scientificamente espresso, la biada consenta.

SENATORE - Bene. Garavatti, sono un uomo di parola chiara, ho poco tempo a disposizione e quindi vengo subito al nocciolo. Mi trovo tra i piedi una giovane… diciamo meglio: una giovanile zitella di quarantasei… diciamo ancora meglio: di quarantasette, quarantotto anni…

GARAVATTI - Arrotondi pure a cinquanta e auguriamole cento anni di aspetto giovanile.

SENATORE - Vada per cinquanta. Pia, devota, casalinga, diplomata in arpa a Santa Cecilia. Ha ricevuto un’educazione di prim’ordine dalle suore francesi, ma è sfortunata, Garavatti tanto sfortunata. È ancora in attesa di marito.

GARAVATTI - Se è virtuosa come lei l’ha descritta, signor senatore presidente, diplomata in arpa e poliglotta, non tarderà a trovare un giovanile professionista degno di lei.

SENATORE - Ecco il punto. Non potrebbe essere lei questo giovanile professionista?

GARAVATTI - Io?

DIRETTORE - Il Garavatti ha deciso di farsi battezzare…

SENATORE - (rivolto al direttore) Che battesimo e che ciance! Qui si parla di affari. Stia zitto lei! (rivolto a Garavatti) Allora, pensa di poter prendere in considerazione la mia proposta?

GARAVATTI - Signor senatore presidente, un uomo come lei che trasuda miele e irradia benevolenza merita una risposta meditata. Come fa il Garavatti a sposare una giovanile cinquantenne per la quale non prova alcun trasporto, dal momento che non ha l’onore di conoscerla? I matrimoni del Garavatti non sono frutto di calcolo materiale. Ma, se posso esprimermi in linguaggio alato, rappresentano il coronamento di sogni d’amore lungamente vagheggiati.

SENATORE - Alla corte, Garavatti. Parliamo di biada. Mia sorella, perché di mia sorella si tratta, dispone di biada, intendo dote, per l’ammontare di tre miliardi di lire tra beni mobili e immobili.

GARAVATTI - (facendo vibrare violentemente un mignolo nell’orecchio) Quante lire?

SENATORE - Tre miliardi. (Garavatti annuisce e sviene in posizione rigida, sorretto da Mariella e dal senatore)

MARIELLA - Giacinto! Una notizia così clamorosa e tu ti estranei… Respira, Giacinto… (gli dà dei buffetti)

SENATORE - Respiri, Giacinto. Glielo ordino!

GARAVATTI - (rinviene e con un fil di voce) Il primo premio della lotteria di capodanno…

SENATORE - Dico, si parla di affari e lei smette di respirare!!!!

GARAVATTI - L’apnea non era dovuta all’ammontare della biada, signor presidente… sebbene anche quella… Porca! Altro che premio di nuzialità… A mozzarmi il fiato è stato il constatare che lei non disdegnerebbe di accogliere il Garavatti in seno alla sua famiglia.

SENATORE - Amico mio, pur di togliermi Guglielmina dai piedi… Beh, non è l’espressione esatta. Diciamo meglio: pur di vederla sistemata… mi farei turco. Oh, ma sia chiara una cosa, Garavatti: non è lei che entra in seno alla mia famiglia, bensì Guglielmina che entra nel suo harem.

DIRETTORE - (disperato) Ma signor presidente, Garavatti si è deciso ad abbracciare la nostra religione…

SENATORE - Che abbraccia! Ne ha gente da abbracciare!

DIRETTORE - E se la notizia dovesse trapelare?

SENATORE - L’opinione pubblica apprezzerebbe la tolleranza dell’azienda in materia di libertà religiosa.

GARAVATTI - Allora il battesimo…

SENATORE - Se lo scordi. Battezzato o no, lei resta nella schiera dei monoteisti, mio caro Garavatti. La salvezza non gliela toglie nessuno.

GARAVATTI - C’è del giusto in quel che dice. Monoteista, salvo e nell’attesa agiato. Tutti contenti: Garavatti, Mariella, il signor senatore presidente e Maometto.

SENATORE - Affare fatto allora?

GARAVATTI - (piegato a 45 gradi) Sempre obbediente ai comandi dell’azienda.

SENATORE - Non ne dubitavo. Si brucino le tappe. Corro da Guglielmina ad annunciarle la buona notizia. (rivolto al direttore) E lei pensi alle forniture africane, invece di svolgere attività missionaria in seno all’azienda. (rivolto a Garavatti) A più tardi mio caro.

GARAVATTI - Porga i miei complimenti alla signorina Guglielmina. (il senatore esce sotto lo sguardo sbigottito del direttore. Squilla il telefono)

DIRETTORE - (risponde al telefono) Si?… Ah, sei tu, cara?… come? Certo, si, si, si… Nel pomeriggio? Si… Anche questa sera? Si… Quale tono? Dico si… Nessun tono… (seccato) Si, si, si! Quindici anni che ti dico si, si, si. (riattacca) Mia moglie… una tortura giornaliera da quindici anni… Ma che posso fare per liberarmene? Debbo ucciderla?

GARAVATTI - Mi duole vederla disperarsi in questo modo, signor direttore. E poi, uccidere sua moglie… Un po’ di carità musulmana, se così posso esprimermi… Abbiamo il divorzio, no? Divorzi pure, se proprio non può farne a meno, e la sua signora troverà sempre aperta la casa del Garavatti.

DIRETTORE - (speranzoso) Davvero se la prenderebbe?

GARAVATTI - Perché no, se ben dotata di biada? Dove si mangia in diciannove, si mangia in venti, questo è il mio motto. Ci pensi e mi faccia conoscere la sua decisione… (esce con Mariella allacciati alla vita)

SIPARIO


UN CASO DI VITA APPARENTE

Ufficio di direzione di una ditta di arte mortuaria. Arredamento tra il cocottesco e il chiesastico. Su una parete un grande cartello: “Voi pensate a morire; al resto provvediamo noi”. A sinistra, due porte: una immette nell’anticamera, l’altra in uno sgabuzzino guardaroba. Una porta a destra dà nei laboratori. Da destra entrano Hoffer, in tight e fiore all’occhiello, e Walter, capelli arruffati e cravatta a nocca: lo si direbbe un artista. Fanno ala con aria compunta a Maddalena e Delfrate, che entrano arretrando. La vedova, in gramaglie, è molto attraente; si preme un fazzoletto sulle labbra e grava col braccio libero sulla mano di Delfrate, che la sorregge.

MADDALENA - (Verso l’interno, con un filo di voce) Povero Guglielmo mio… (Si lascia guidare da Delfrate e Hoffer fino a una poltrona, senza distogliere lo sguardo dalla porta aperta) A ben guardare, lo si direbbe più vivo che morto, non trovate? Sembra il ritratto della salute.

HOFFER - (con contenuta letizia) Il miglior complimento che possa farci, signora vedova Pandolfi… E non siamo che alla fase preliminare.

MADDALENA - Dopo morto appare, come dire, più vivace e giovanile. (Cerca conferma) Vero?

HOFFER - Merito del signor Walter. (Questi abbassa modestamente gli occhi, allargando le braccia)

DELFRATE - A che cosa è dovuto l’eccellente aspetto del povero signor Pandolfi?

WALTER - (un po’ bieco) Al bicloruro di mercurio iniettato per via intracarotidea.

HOFFER - Non solo, non solo. Il nostro trattamento conservativo è un felice connubio dell’arte egizia, della cosmesi parigina e della petrolchimica (A Maddalena) Fra giorni riavrà suo marito come nuovo.

MADDALENA - (con tono apologetico) Self-made-man! Melofilo! Tennista di campi d’erba! Umorista sarcastico! Dio! (E sviene emettendo un lamentoso sospiro)

DELFRATE - (premuroso, dandole buffetti) Coraggio, coraggio; la vita continua. (Con un lampo di concupiscenza gli occhi) Se provassimo a slacciarle busto e reggicalze? Giova.

MADDALENA - (rinvenendo) È passato… Solo uno stordimento. (A Delfrate) Mi stia vicino in queste ore, Delfrate. Ho bisogno del conforto della sua poesia.

DELFRATE - (appassionato) Vivrò devotamente ai suoi piedi, mia cara amica, sollecitando la Musa.

MADDALENA - (A Hoffer) È un poeta. (A Delfrate) Adesso, se lo desidera, l’ufficio stampa dell’azienda è suo.

DELFRATE - (baciandole una mano) La ringrazio, generosa ispiratrice, ma lei sa che non è l’ufficio stampa quel che ardentemente desidero. (Maddalena abbassa lo sguardo sorridendo mestamente)

HOFFER - (a Maddalena) Perdoni se mi vedo costretto a sollecitare la sua decisione in merito al trattamento conservativo, ma la stagione è particolarmente favorevole. Un vero e proprio boom del restauro, me lo lasci dire.

MADDALENA - So bene quanta fatica costi mandare avanti un’azienda al giorno d’oggi, signor Hoffer. Dica pure.

HOFFER - (porgendole un fascicolo aperto) Possiamo incominciare dalla scelta del cerone. (Mostrando) Quest’anno usa molto il “Notte di Capri”.

MADDALENA - Un po’ troppo scuro, non trova?

HOFFER - Corrisponde all’abbronzatura di un mese al mare.

MADDALENA - Colorito, il povero Guglielmo non lo è stato mai.

HOFFER - Ragione di più per conferirgli l’aspetto della buona salute. In America, cento soggetti su cento dormono il sonno eterno abbronzati. (Con un riso senza allegria) Eccetto i negri e i messicani, naturalmente.

MADDALENA - (compunta) Direi… una tinta leggermente più sfumata, no? “Noce di cocco delle Bahamas”, ha presente?

HOFFER - (mondano) È dai piccoli particolari che si riconosce la donna di gusto. Lasci fare al signor Walter. Proviene dalla nostra casamadre di Nuova York, ha frequentato l’accademia dei necrofori indiani ed ha una spiccata attitudine per le arti figurative. (Walter allarga le braccia come a dire: “Bontà sua!”) E questo è il trattamento che mi sono permesso di scegliere per il suo defunto marito, certo di interpretare i suoi desideri. Ho tralasciato il C, il B e l’A, non degno del suo rango e sono arrivato diritto al Super A. (Preme un pulsante e su una parete viene proiettata una diapositiva che raffigura una salma sorridente)

MADDALENA - Bell’uomo. È un viso conosciuto…

HOFFER - Il defunto armatore Gaspare Colicchio. Noti il velluto dello sguardo, la carnosità della bocca, la compostezza e lucentezza dei riccioli e delle basette. Non sto a soffermarmi oltre, signora vedova Pandolfi, sulla qualità del trattamento; è una cosa che salta alla vista… Colorito, vivacità dello sguardo, serenità dei tratti: sfido chiunque a sostenere che si tratti di un defunto. Opera del signor Walter. Non fosse per difficoltà di carattere burocratico, il defunto armatore Colicchio sarebbe oggi esposto al Museo d’Arte Moderna di Nuova York. (Un tempo) Vent’anni di garanzia.

MADDALENA - Va bene questo. (Hoffer spegne il proiettore)

HOFFER - Ero certo che la sua sarebbe stata una scelta di gusto.

MADDALENA - (commossa) Per il mio Guglielmo, qualsiasi cosa è troppo poco. (Sta per svenire)

DELFRATE - (pronto) Slacciamo busto e reggicalze?

MADDALENA - (riprendendosi) Non occorre, grazie… Sto bene. (A Walter) Le affido il mio povero caro. Che non sfiguri al confronto col Colicchio.

WALTER - Non sarà impresa difficile, signora. (Con occhi spiritati) Io non imbalsamo! Modello accarezzando! (Esce da destra)

HOFFER - Se poi il defunto suo marito aveva un carattere autoritario, possiamo conferirgli un’aria battagliera.

MADDALENA - Era tutt’altro che autoritario. Fermo nelle decisioni questo sì, per il buon andamento dell’azienda. Lei potrà pensare che una moglie amata e felice non è la persona più adatta a giudicare spassionatamente, ma la conferma alla mia affermazione gliela può fornire il signor Delfrate, che lavora da vent’anni nell’azienda. (Delfrate annuisce)

DELFRATE - Un padre delle maestranze, era.

MADDALENA - Ah, signor Hoffer, non è mai esistito uomo migliore del mio Guglielmo. Tutto casa e lavoro. Mai uno svago: amanti, opera, sci, safari, jet party. Mai. (A Delfrate) Lei porterà a compimento il poemetto in sua lode, vero?

DELFRATE - Non ne dubiti…

MADDALENA - Un vero poeta, sa? Ho voluto che scrivesse lui la necrologia. L’ha letta sui giornali?

HOFFER - (elusivo) Molto superficialmente.

MADDALENA - (a Delfrate) Gliela declami.

DELFRATE - (A Hoffer) Mi sono ispirato alla lapidarietà degli antichi greci. (Pausa. Scandendo) “Si è spento serenamente, con i conforti della religione e della repubblica, il capitano d’industria Guglielmo Antonio Pandolfi.” (Pausa. Hoffer continua a guardarlo con l’aria d’attendere il seguito) È finito. (Un po’ irritato) Lei ha fatto gli studi classici, signor Hoffer?

HOFFER - Spiacente, no.

DELFRATE - (secco) Si spiega.

HOFFER - (Aiutando Maddalena ad alzarsi) Restiamo intesi, allora, che ci rivedremo fra tre giorni. Le assicuro che avrà una vera sorpresa. I nostri sistemi, mi conceda l’immodestia, sono insuperabili. Una sorpresa, le prometto una straordinaria sorpresa.

MADDALENA - (muovendo qualche passo verso la porta di destra) Guglielmo! (Tende le braccia verso la porta) Guglielmo mio! (La porta di destra si apre di schianto, entra Walter e la richiude con forza. L’uomo, che indossa un camice bianco ed ha tra le dita una gigantesca siringa contenente un liquido verdastro, ha i capelli ancora più scomposti, gli occhi allucinati e muove le labbra senza emettere alcun suono. A quel tempestoso ingresso in risposta alla sua invocazione, Maddalena sviene tra le braccia di Delfrate)

HOFFER - (con tono di rimprovero) Signor Walter!

DELFRATE - (trascinando Maddalena verso la poltrona) Io direi di slacciare senza frapporre indugi. (La rianima assieme a Hoffer. Maddalena rinviene)

MADDALENA - (a Delfrate) Mi riaccompagni a casa…

HOFFER - Prima, si riposi qualche minuto nel nostro salottino. È bene arieggiato e troverà qualcosa da bere. (La aiuta ad alzarsi. Apre la prima porta a sinistra. A qualcuno che si trova nella stanza accanto) Faccia accomodare i signori nel salottino.

DELFRATE - (uscendo assieme a Maddalena) Si lasci slacciare, amica mia. Giova. (Escono. Hoffer richiude la porta e poi si volge verso Walter, sempre come paralizzato)

HOFFER - Mi sbaglio, signor Walter, o lei è scompostamente terrorizzato?

WALTER - (indicando con il pollice alle proprie spalle) Il signor Pandolfi…

HOFFER - Che cos’ha? Non mi dirà che si è decomposto…

WALTER - Peggio. È vivo.

HOFFER - (battendo un pugno sulla scrivania) Signor Walter, non le permetto! Questa è una seria ditta di arte mortuaria. Non sono un misantropo e ammetto che si possa lavorare in letizia per tenere su il morale. Ma lei sta passando i limiti.

WALTER - La mia affermazione non contiene alcuna intenzione scherzosa.

HOFFER - (con sarcasmo) Vuol farmi credere che il defunto signor Pandolfi non è più tale? (Walter annuisce con vivace spavento) Ridicolo! È morto sei giorni fa. (Walter allarga le braccia. Hoffer si dirige verso la porta, l’apre, fa per varcarne la soglia. Ha una resipiscenza, osserva Walter che si allontana strisciando lungo la parete, verso il proscenio, poi entra. Ne esce immediatamente, come tallonato dal diavolo) Oh Dio! (Lo segue Pandolfi, insaccato in una bianca tunica. Si ferma ad osservare i due uomini)

PANDOLFI - Pretendo troppo se chiedo di sapere dove sono miei indumenti? (Hoffer e Walter si guardano costernati. Gridando) Almeno i calzoni!

HOFFER - (riprendendo il dominio di se stesso) Il defunto… ehm… il signor Pandolfi, se non sbaglio?!

PANDOLFI - Sì, e lei?

HOFFER - (presentandosi) Hoffer, della Smoke-Hoffer italiana, filiale della Smoke di Nuova York… (Indicando) Il signor Walter.

WALTER - (balbettando) Piacere.

PANDOLFI - (Osservando intorno) Arte mortuaria, eh? E allora, questi indumenti… (Apre la porta del guardaroba, entra, esce con cappello e bastone) Non c’è altro?

HOFFER - Come si sente, signor Pandolfi?

PANDOLFI - (misurandosi il cappello, che gli calza largo) Ottimamente, e lei?

HOFFER - Sa che cosa le è accaduto?

PANDOLFI - Dall’insieme direi che dovevo essere morto. Insomma, questi calzoni!

HOFFER - Ecco, doveva. Deve! E sei giorni dopo la sua morte se ne va in giro alla ricerca dei suoi calzoni?

PANDOLFI - Perché, secondo lei dovrei uscire in tunica? (Sollevando il ricevitore del telefono) Avverto mia moglie. E quella bestia del medico…

HOFFER - (fermando la mano di Pandolfi che sta per formare il numero) La signora Pandolfi è di là. (Ripone il ricevitore) Ma non le si presenti di colpo. La povera vedova è molto provata. Lasci che sia io a comunicarle la notizia con le dovute cautele.

PANDOLFI - Ha sofferto?

HOFFER - Eccome! Una moglie ideale.

PANDOLFI - Bene. Dia la buona nuova alla signora Pandolfi, mi procuri degli indumenti del ventesimo secolo e telefoni per un tassì,.

HOFFER - Posso farla accompagnare da un furgoncino della ditta.

PANDOLFI - (secco) No!

HOFFER - Come vuole. (Apre la porta di destra) S’accomodi qui, intanto.

PANDOLFI - Abbia pazienza, lì dentro c’è un odore insopportabile di medicinali, unguenti e olio solare…

HOFFER - Pochi istanti, la prego.

PANDOLFI - Va bene, purché si faccia presto. (Esce. Hoffer chiude la porta)

WALTER - Ha visto? Ha visto?

HOFFER - Corra dal dottor Celsius e lo conduca immediatamente qui, ma senza rivelargli il motivo della convocazione. Il caso non è comune; non vorrei che si rivelasse dannoso per la ditta. (Walter si è sfilato il camice e lo ha gettato nello sgabuzzino) Corra, signor Walter; non perda un istante.

WALTER - Volo. (Depone la siringa sul piano della scrivania ed esce precipitosamente da sinistra)

HOFFER - (al citofono) Signorina, preghi la vedova… ehm… la signora Pandolfi di venire da me. (Va alla porta di destra, fa girare la chiave nella porta. Da sinistra entrano Maddalena e Delfrate. Hoffer gli va incontro con un radioso sorriso, a mani tese) Cara, cara signora Pandolfi… (Maddalena, stupita da tanta gaiezza, si lascia accompagnare alla poltrona)

MADDALENA - Ha ricevuto qualche buona notizia, signor Hoffer?

HOFFER - Ho in serbo per lei una straordinaria sorpresa.

MADDALENA - Non doveva farmela fra tre giorni?

HOFFER - Non è quel che pensa. (Picchiano alla porta di destra. Maddalena e Delfrate guardano in quella direzione) Secondo lei, cara signora, chi mai picchia a quella porta? (Scambio di sguardo Maddalena e Delfrate) Stia attenta che l’aiuto. Nel laboratorio, poc’anzi, c’erano due persone. Ricordano chi?…

DELFRATE - Un vivo e una salma.

HOFFER - (col tono di un presentatore televisivo) Risposta esatta! (Un tempo) Ora, il signor Walter, il vivo, è per strada. (Si sente picchiare) Dunque, chi bussa?

DELFRATE - La salma del signor Pandolfi.

HOFFER - (c.s) Risposta esatta!

DELFRATE - Non vedo il nesso logico tra… (Sbarra gli occhi) Il signor Pandolfi! (Cade a sedere)

MADDALENA - (alzandosi) Signor Hoffer, se questa ridicola messinscena fa parte del trattamento Super A, mio marito preferisco farlo tumulare.

HOFFER - (prendendole le mani) Non è una messinscena! Esulti! Esulti! Miracolo o catalessi ce lo dirà tra poco il dottor Celsius, che ho convocato. Il defunto signor Pandolfi è in posizione verticale, cerca un paio di calzoni e picchia alla porta!

MADDALENA - Il mio Guglielmo?!

HOFFER - Ascolti che vitalissima bussata. Esulti! (Maddalena cade a sedere. Hoffer va ad aprire la porta seguito da Delfrate come in stato di sonnambulismo. Entra Pandolfi, sempre con la tunica addosso, cappello in una mano, bastone nell’altra)

PANDOLFI - (radioso) Maddalena! (Fa per muoversi, scorge Delfrate, gli consegna cappello e bastone e muove verso la moglie a braccia tese) Piccola mia, quanto avrai sofferto… (La abbraccia e la bacia. Lei è impietrita) Non ci perdiamo in dettagli; diciamo che è stato uno scherzo e chiudiamo la faccenda. I miei indumenti, un tassi e ce ne torniamo a casa.

DELFRATE - (basito, porgendo) Cappello e bastone.

PANDOLFI - Bravo, Delfrate. (Un tempo) Ohe, dico, non è contento di vedermi?

DELFRATE - Capirà… Poco fa l’ho lasciata sotto forma di salma e adesso mi sento rintronare nelle orecchie la sua inconfondibile voce. Ammetterà che la sensazione è un po’ forte.

MADDALENA - Guglielmo, sto per avere una crisi di nervi. Ho la testa come una cattedrale vuota. Come mi debbo comportare?

PANDOLFI - Sfogati con un bel pianto di gioia.

MADDALENA - Ho già pianto tanto.

PANDOLFI - Via, non è la prima volta che una donna rivede il marito creduto morto. Pensa alle guerre, ai naufragi.

MADDALENA - È diverso. Anche se piange per un disperso, in fondo al cuore una moglie nutre sempre la speranza. Ma io ti ho visto morire, ti ho abbassato le palpebre, ho composto la tua salma; da sei giorni sono la tua vedova.

HOFFER - Tecnicamente è così.

PANDOLFI - Ohe, dico, bel modo di accogliere un marito ritornato dalla tomba!

MADDALENA - (disperata) Mi sono comportata come una vedova esemplare, puoi chiedere in giro. Ho tentato di ingerire i barbiturici.

DELFRATE - Gliel’ho impedito io.

PANDOLFI - Bravo, Delfrate.

MADDALENA - Ho ritentato con la tromba dell’ascensore.

DELFRATE - Gliel’ho impedito ancora io.

PANDOLFI - Bravo, Delfrate. Si è guadagnato l’ufficio stampa.

MADDALENA - In sei giorni ho perduto sei chili.

PANDOLFI - (con altro tono) E bravo Delfrate…

HOFFER - Una vedova esemplare.

DELFRATE - Una vedova dal cuor d’oro.

PANDOLFI - La smettano di chiamarla vedova!

DELFRATE - Tecnicamente è così.

MADDALENA - La parentesi era ormai chiusa ed invece eccoti qua, vivo e vegeto, che vieni a riaprirla…

PANDOLFI - Dopotutto è una riapertura piacevole, no?

MADDALENA - No, no, no! Ho già provato il dolore per la tua morte. Non è giusto che lo provi una seconda volta nella vita.

PANDOLFI - È scritto che debbo morire prima di te?

MADDALENA - Sei già morto una volta. A certe cose ci si prende gusto…

DELFRATE - Ecco!

PANDOLFI - Ecco che? Scusi, che c’entra lei?

DELFRATE - No, dico, poiché mi è morto una prima volta, vero, vuol dire che lei è di salute cagionevole. Che ne sappiamo se vivrà a lungo?

PANDOLFI - Insomma, sono diventato un incomodo…

MADDALENA - Non è la parola giusta…

PANDOLFI - Badiamo alla sostanza. Il fatto che io non sia morto viene a sconvolgere i tuoi progetti.

MADDALENA - Progetti… progetti… Viene a turbare l’ordine delle cose, ecco.

PANDOLFI - Fammi un esempio.

MADDALENA - Ne potrei fare cento. Dalle piccole cose alle più importanti; che so, dalla qualità dei pasti all’amministrazione dell’azienda.

PANDOLFI - Questo è tutto? Fa’ pure la dieta macrobiotica, via, non era necessario aspettare la mia morte. In quanto all’azienda, non pensavi certo di amministrarla meglio di come facessi io.

MADDALENA - Meglio o peggio, non lo so. Comunque, a modo mio. Ed essendo tu morto, il tuo giudizio sulla mia amministrazione non ci sarebbe stato.

PANDOLFI - Non vorrai farmi credere che in sei giorni hai impresso un nuovo andamento alle cose.

MADDALENA - Un nuovo andamento no; ma certi provvedimenti li ho presi.

PANDOLFI - Cioè?

MADDALENA - Che so, tanto per dirne una, ho offerto l’ufficio stampa a Delfrate.

PANDOLFI - Gliel’ho offerto io tre minuti fa. Vedi, Maddalena, le tue insistenze perché nominassi Delfrate capo dell’ufficio stampa trovavano sempre la mia opposizione non perché vedessi in te una Desdemona che interveniva a favore di Cassio, ma per ragioni più obiettive. L’ortografia di Delfrate lascia a desiderare.

DELFRATE - Che cosa ha da eccepire sulla mia ortografia?

PANDOLFI - Un po’ di tutto, Delfrate. Non se l’abbia a male, amico mio, lei dell’ortografia ha un’opinione del tutto personale… diciamo un concetto arcaico, va’. Ma la difficoltà è superata; le darò un vice, in qualità di assistente ortografico.

DELFRATE - Questa è nuova! Questa è nuova. Io mi ispiro alla prosa di Vittorio Alfieri!

PANDOLFI - Appunto. (A Maddalena) Quale altro provvedimento hai adottato?

MADDALENA - Ho fatto liquidare le cointeressenze in Svizzera e in Inghilterra. Erano investimenti pericolosi.

PANDOLFI - Beh, anche se sono state quelle cointeressenze a farmi scoppiare il fegato, debbo riconoscere che erano investimenti solidissimi.

MADDALENA - Lo vedi? Se tu fossi morto, ed eri morto, non staresti qui a contraddirmi. (Pandolfi la guarda a bocca aperta)

PANDOLFI - Bel modo. Bel modo davvero di riaccogliermi in seno alla famiglia! (Gridando) Arriva questo medico?

HOFFER - Sarà qui a momenti.

MADDALENA - Perché vuoi vedere il medico?

PANDOLFI - Perché deve rendermi conto! (Un tempo) E anche a te, dal momento che sto sconvolgendo i tuoi piani.

DELFRATE - I nostri piani sono più che leciti.

PANDOLFI - (guardando successivamente Delfrate e Maddalena) I vostri piani? (A Maddalena) Tu e Delfrate?

MADDALENA - (timida, a occhi bassi) Beh, non c’è da vergognarsene. Trascorso il doveroso periodo di lutto…

DELFRATE - …due, tre settimane…

MADDALENA - …forse sposerò… avrei sposato… Tirsi.

PANDOLFI - Tirsi. (Un tempo) Chi è Tirsi?

MADDALENA - (sempre ad occhi bassi, indicando Delfrate) Lui.

DELFRATE - Tirsi il pastore.

PANDOLFI - Scusi, le dispiace parlare in italiano popolare?

DELFRATE - Tirsi il pastore è il mio nome d’arte.

PANDOLFI - Dopo la mia morte lei si è votato all’arte?

DELFRATE - La pratico da sempre. Sono un poeta bucolico e compongo delle egloghe in onore di Galatea. (Indica Maddalena)

PANDOLFI - Galatea… (Un tempo) E da quanto tempo dura questa tresca boschereccia?

MADDALENA - (insorgendo) Guglielmo, non ti permetto!

DELFRATE - (vibrato) Da vent’anni, da quando, cioè, ho l’onore di far parte dell’azienda in qualità di intendente di palazzo, provo una viva ammirazione per la signora Maddalena. Ma niente di più, fino al momento del suo decesso. Ora, però, mentirei se dicessi che i miei sentimenti non sono mutati. No! (Salendo di tono) Questa vedova la concupisco, la sola vista della sua carnalità scatena in me una bufera ormonica; se potessi, qui e subito, le slaccerei busto e reggicalze! Rispettosamente, dixi; vale a dire, in italiano popolare: ho detto.

PANDOLFI - (con un grido) Voglio subito qui il medico!! (Da sinistra entra Walter)

WALTER - Il dottor Celsius è di là.

HOFFER - Signori, ci vuole cautela. Siano gentili, si accomodino nel laboratorio. (Spinge Delfrate e Maddalena verso la porta di destra, li fa uscire) Signor Pandolfi…

PANDOLFI - Io lì non entro. C’è un odore che mi dà il voltastomaco. (Con tono acuto) E poi, perché debbo uscire? Voglio vedere subito il dottor Celsius!

HOFFER - Sia ragionevole. È stato lui a stilare il suo certificato di morte. Se la incontra senza la dovuta preparazione, poi mi tocca imbalsamarlo.

PANDOLFI - E gli starebbe bene! (Indicando io sgabuzzino) Aspetto lì.

HOFFER - Non è un ambiente molto confortevole.

PANDOLFI - Ciò la indurrà a sbrigarsi. (Entra nello sgabuzzino)

HOFFER - (a Walter) Faccia passare il dottore. Stia a porta di voce: se sorgono complicazioni, chiederò il suo intervento. Vada, vada. (Walter esce da sinistra. Hoffer si ricompone e assume un atteggiamento professionale. Da sinistra entra il dottor Celsius)

MEDICO - Caro signor Hoffer.

HOFFER - Mio caro dottor Celsius (Si stringono la mano) Come va la salute pubblica?

MEDICO - Non ci lamentiamo. E i suoi affari?

HOFFER - Non ci lamentiamo.

MEDICO - Il signor Walter mi ha detto che si tratta di cosa urgente. L’ascolto.

HOFFER - Mi dica tutto sulla morte apparente. (Il medico, un po’ sorpreso, lo scruta)

MEDICO - Ho sentito bene? La morte apparente? (Hoffer annuisce) Lei è credente, signor Hoffer?

HOFFER - In linea di massima.

MEDICO - In che cosa crede?

HOFFER - In qualsiasi cosa; purché non mi danneggi.

MEDICO - Crede nella sopravvivenza dell’anima?

HOFFER - Dell’anima e del corpo. È il mio mestiere.

MEDICO - Naturalmente. Date queste premesse, rispondo alla sua domanda: la morte è sempre apparente. Parlo da un punto di vista filosofico-teologico, in quanto un uomo non muore, ma trapassa. Il corpo cessa di vivere, ma l’anima, l’essenza, la conoscenza, no.

HOFFER - Mi piacerebbe conoscere il suo parere di medico.

MEDICO - Presto detto. Si può avere la cosiddetta morte apparente in casi di cloroformizzazione, di emorragia, di asfissia meccanica, nel congelamento. (Un tempo)

HOFFER - Tra i suoi clienti si è verificato qualche caso?

MEDICO - (con orgoglio professionale) Mai! I miei pazienti muoiono tutti di morte vera. E non le nascondo che, in quanto medico, ne meno vanto.

HOFFER - Lei ricorda certamente il signor Pandolfi.

MEDICO - Altro che! Pover’uomo, il fegato gli è letteralmente scoppiato.

HOFFER - Le sue testuali parole.

MEDICO - Di chi?

HOFFER - Del signor Pandolfi.

MEDICO - Lo conosceva?

HOFFER - L’ho conosciuto dopo il decesso.

MEDICO - (accigliandosi) E allora la frase “le sue testuali parole” a chi si riferisce?

HOFFER - Al signor Pandolfi.

MEDICO - Vuol prendersi gioco di me…

HOFFER - Tutt’altro, dottor Celsius. Ha constatato di persona il decesso del signor Pandolfi?

MEDICO - Naturalmente.

HOFFER - E che cosa ha constatato?

MEDICO - Santo cielo, il rigor mortis, la faccia ippocratica… Una faccia ippocratica bella come quella del Pandolfi un medico ha la fortuna di riscontrarla sì e no due volte nella sua carriera.

HOFFER - Nel suo caso, quindi, era da escludere la morte apparente?

MEDICO - Nel modo più assoluto. Si può presumere la morte apparente in caso di decesso subitaneo, ma non come exitus di una malattia degenerativa durata mesi. Non ho mai visto un cadavere più cadavere di quello del signor Pandolfi.

HOFFER - Si prepari allora a ricevere un colpo. Il signor Pandolfi è vivo. (Il medico lo guarda a lungo, serio. Poi crede di aver capito e incomincia a ridacchiare)

MEDICO - Ma no, e dov’è? (ridacchia divertito)

HOFFER - (indicando lo sgabuzzino) Lì dentro. (Il dottore si alza)

MEDICO - (ridacchiando) La conosco, vecchio mio. Il trattamento è risultato talmente perfetto, che alla salma manca solo la parola. Ammiriamo dunque questo capolavoro del signor Walter. (Gira la maniglia dello sgabuzzino) Ohè, dico, non è che mi ha preparato uno scherzo tipo film americano…

HOFFER - Cioè?

MEDICO - Io apro la porta e il cadavere mi viene addosso in rigida posizione di “attenti”. (Hoffer fa di no con la testa. Il dottor Celsius apre la porta ridendo) Ah, questi artisti… (Entra ridendo. Il riso cessa di colpo. Il dottore, in rigida posizione di “attenti”, cade all’indietro, sostenuto in tempo da Hoffer, che lo trascina faticosamente fino alla poltrona. Pandolfi, uscito dallo stanzino, si china sul medico e gli fa aria con il cappello. Celsius rinviene. Alla vista di Pandolfi si rannicchia nella poltrona. Tentando un sorriso) Buo… buongiorno… Come va?

PANDOLFI - Non mi lamento.

MEDICO - (con un sorriso inespressivo) Quando c’è la salute c’è tutto…

PANDOLFI - Già.

MEDICO - Come… come mai da queste parti? Qual buon vento?

PANDOLFI - È quel che lei mi deve spiegare.

MEDICO - (sul punto di piangere) Lei non può, non deve essere qui.

PANDOLFI - (buttando il cappello per terra. Rabbiosamente) Lei mi deve una spiegazione!!

MEDICO - Non c’è! (A Hoffer, che ha raccolto il cappello e lo ridà a Pandolfi) Morte apparente? Dopo ventiquattro ore gli ho praticato una iniezione endocardiaca che basterebbe a uccidere dieci uomini. (Notando la siringa sul piano della scrivania) Ecco, questa roba, questa roba gli ho iniettato… Morte apparente? Non mi facciano ridere!

HOFFER - Come si spiega allora la posizione verticale del signor Pandolfi?

MEDICO - Non si spiega. Non esiste una spiegazione razionale. (Si ferma) Signor Pandolfi, permette che effettui un controllo?

PANDOLFI - Faccia pure (Il medico lo fa sedere, gli saggia i riflessi, gli tasta il polso, lo ausculta, gli osserva la cornea. Poi si mette a sedere a sua volta, desolato)

MEDICO - Signor Hoffer, ci può lasciare soli?

HOFFER - Tenterà di trovare una spiegazione?

MEDICO - Una spiegazione e possibilmente una soluzione.

HOFFER - (rincuorato) Grazie, grazie. (Ed esce da sinistra)

MEDICO - Signor Pandolfi, quando venni convocato al suo capezzale, se ben ricorda, le diedi esattamente sei mesi di vita. Lei è morto secondo le previsioni, giorno più giorno meno. È stato un trionfo, signor Pandolfi. Non mio, beninteso, ma della diagnostica. Io l’ho seguita per sei mesi con trepidazione di madre; temevo, glielo confesso, di aver sbagliato; temevo che lei sopravvivesse. Lo paventavo come medico, naturalmente, non come uomo. Ma lei, da vero gentiluomo, non mi ha deluso e si è spento con una puntualità che ho vivamente apprezzato. Lei, adesso, minaccia dì distruggermi, e con me di distruggere la Medicina in blocco. Concludo: in nome della Medicina e mio personale le chiedo di non rimettersi in circolazione.

PANDOLFI - È quel che pensa anche mia moglie.

MEDICO - Sono lieto di constatare questa perfetta identità di vedute tra me e la sua signora. Signor Pandolfi, sono disposto a ospitarla in caso mia fino al secondo exitus, che dobbiamo augurarci definitivo. (Bussano alla porta di destra. Il medico sobbalza) Chi è.

PANDOLFI - Mia moglie e Tìrsi il pastore. (Entrano Maddalena e Delfrate)

MEDICO - (andandole incontro) Costernato, signora. Sono vivamente costernato. (Le bacia una mano)

DELFRATE - (al medico) È vivo?

MEDICO - (con mesta gravità) Amici miei, sì, è vivo! (E lui stesso dà il via alla costernazione generale, portando una mano alla fronte. Maddalena scoppia in pianto. Da destra entrano Hoffer e Walter)

HOFFER - Coraggio! Coraggio! Il momento richiede nervi saldi.

MEDICO - Fa presto a parlare, lei!

MADDALENA - Ricominciare tutto da capo… (Pandolfi le dà un fazzoletto che prende dalla borsetta di lei)

DELFRATE - La mia Musa si inaridisce, lo sento…

MADDALENA - Avevo rinnovato l’intero guardaroba… diramato duecento inviti per un funeral-party…

MEDICO - Sapere almeno com’è accaduto, in seguito a quale fenomeno… Chi si trovava vicino a lui?

WALTER - Io.

MEDICO - Ricorda i particolari, Walter?

WALTER - Certamente. La salma era distesa sul lettino e avevo accanto a me il carrello con i ferri e le sostanze d’uso. Ero in uno stato particolare di grazia, lo confesso, perché il signor Pandolfi, come soggetto, è un boccone prelibato: carni sode, assenza d’adipe, pelle già disidratata grazie alla lunga malattia. Ricordo che nel preparare la soluzione di cloruro di zinco era tale la mia forza creativa, che ho modulato una canzonetta.

HOFFER - Una canzonetta durante il lavoro?

PANDOLFI - Alla faccia della serietà della ditta!

WALTER - (a Hoffer) Ho usato impropriamente il termine canzonetta. In realtà era l’inno del sindacato indiano dei fachiri. (Intona una nenia orientale) E il signor Pandolfi è resuscitato.

PANDOLFI - (minaccioso) Lei mi ha resuscitato? E chi le ha dato il diritto?!

WALTER - Ho solo cantato un inno.

PANDOLFI - Prima di impararlo avrebbe sentito il dovere professionale di accertarsi sui suoi poteri. Ma già, da buon italiano, le è bastato ascoltare una canzone qualsiasi e mandarla a memoria come un pappagallo!

HOFFER - Mi associo all’indignazione del signor Pandolfi.

MADDALENA - Lei è un irresponsabile, signor Walter! La citerò per danni.

PANDOLFI - La precedenza spetta a me. Io sono il maggior danneggiato.

WATER Danneggiato?

PANDOLFI - Danneggiato, sissignore.

MADDALENA - Bravo, Guglielmo, fatti sentire.

PANDOLFI - (a Walter) Errore medico era un conto. Ma morto, morto, morto per davvero, perdio, è diverso.

MEDICO - Ben detto.

HOFFER - Metta che questo inno si diffonda nel mondo occidentale. Me lo dice il pane come ce lo andiamo a guadagnare? Ho cinquant’anni suonati, signor Walter; un po’ tardi per iscrivermi a un corso serale di idraulica!

PANDOLFI - Ero morto, capisce? Avevo concluso il mio ciclo. E lei con la sua leggerezza…

WALTER - Solo che avessi sospettato…

PANDOLFI - Io mi ero liberato della più pesante schiavitù: la paura della morte.

WALTER - Sebbene innocente, sono disposto a fare qualsiasi cosa lor signori mi ordineranno.

PANDOLFI - (soddisfatto) Benissimo. (Un tempo) Che gli ordiniamo di fare? (Si stringono tutti nelle spalle) Possibile che nessuno abbia uno straccio di idea?

MEDICO - (raschiandosi fa gola) Beh, la soluzione ci sarebbe. Un’idea… buttata lì… improvvisata… (si raschia fa gola) Se dico male mi corregga…

PANDOLFI - Dica, dica.

MEDICO - Ecco, il signor Pandolfi, se capite quel che voglio dire, dovrebbe morire.

PANDOLFI - Eh?

MEDICO - E questa volta, se Dio vuole, definitivamente.

MADDALENA - (Con un grido di esultanza) Guglielmo, è l’uovo di Cristoforo Colombo!

PANDOLFI - Signori, siamo fuori strada. Non ho chiesto di essere riportato in vita, ma poiché la vita mi è stata ridata me la tengo.

MADDALENA - E la paura della morte?

PANDOLFI - Mi tengo anche quella.

HOFFER - Lei aveva invocato uno straccio di idea qualunque. A me, per discorrerne accademicamente, la proposta del dottor Celsius mi sembra ragionevole.

MEDICO - Posso prescriverle delle suppostine. Avrà l’impressione di cadere in un sonno ristoratore.

DELFRATE - Mi si affaccia un’idea che ha il pregio di essere eroica e di stampo classico. “Un bel morire tutta la vita onora”, signor Pandolfi. Le proporrei di nobilitarsi, svenandosi nella vasca da bagno. La morte dello stoico. (Pandolfi gli si avventa contro alzando il bastone)

MADDALENA - Non farlo, Guglielmo. È un poeta ipoteso!

PANDOLFI - La morte dello stoico la faccio fare a lei! Lascio il gregge senza pastore! Tirsi dei miei stivali!

DELFRATE - Scusi: (declama) “Muoiono le città, muoiono i regni, copre i fasti e le pompe arena ed erba; (con irritazione) e l’uom d’esser mortal par che si sdegni”!

PANDOLFI - (urlando) Toglietemi dai piedi questo cane di poeta! (Si porta una mano all’addome con una smorfia di dolore) Ahi!

MEDICO - Stia calmo, benedetto uomo. Pensi al suo fegato! (Lo fa sedere)

PANDOLFI - Il mio fegato… Me lo farà scoppiare. (Senza sapere quel che si dice) Mi farete morire… (Tutti lo guardano in speranzosa attesa. Pandolfi si rende conto del significato delle sue parole e si alza di scatto) Invece no. Questa soddisfazione non l’avrete. (Maddalena singhiozza sulla spalla di Delfrate) Signor Walter, accetti le mie scuse per le parole dure di poco fa.

WALTER - Non me ne vuole?

PANDOLFI - In realtà, lei mi ha reso un grande servizio. Ecco il mio programma: l’assumo con uno stipendio doppio di quello che percepisce qui; mi starà vicino, sarà la mia ombra. Viaggeremo, avremo delle avventure…

HOFFER - Signor Pandolfi, lei era… lei è un uomo in vista. Immagini il caos che produrrebbe la sua ricomparsa in pubblico… il panico alla Borsa, a Wall Street.

PANDOLFI. (senza badargli) Voglio finalmente godermi la vita, signor Walter…

DELFRATE - Quale vita? Legalmente, lei non esiste più.

MADDALENA - (speranzosa) Davvero?

DELFRATE - Certo, cara amica; nella sua borsetta c’è un certificato di morte del signor Pandolfi.

MADDALENA - Ma lui è vivo!

DELFRATE - Risponda a questa domanda. È possibile far rinascere anagraficamente un defunto? Per vivere bisogna essere figli di qualcuno. E il signor Pandolfi è notoriamente orfano.

PANDOLFI. Ho degli zii a Rovigo.

DELFRATE - Niente da fare, signor Pandolfi. Si nasce figli, non nipoti.

PANDOLFI - Zitto lei! (A Walter) Basta con l’azienda, con il mal di fegato, con i piani di produzione. Lo sa? Sono proprietario di un fiume in Bolivia, il Cirimoto.

WALTER - Cirimorto, bel nome!

PANDOLFI - (correggendo) Cirimoto. Sceglieremo una tribù rivierasca nella foresta. Io ne diventerò il capo e lei lo stregone. (Un tempo) Signori, questo è lo straccio d’idea che invocavo e che m’è venuta solo adesso. Per ricomporre il mosaico, debbo scomparire. Tirsi il pastore consolerà Galatea con la poesia boschereccia e con l’ardore accumulato in vent’anni. (Al medico) Lei continuerà a beneficiare del prestigio che le è derivato da una diagnosi esatta e (a Hoffer) i suoi affari non saranno minacciati da un ometto che si scopre il potere di resuscitare i morti. Tutto come prima, signori. Il mosaico è ricomposto.

HOFFER - (esultante) Vedete? Vedete? È bastata un po’ di riflessione e il problema è stato risolto.

MEDICO - Basta che non venga riconosciuto da qualcuno…

PANDOLFI - Mi travestirò. (A Hoffer) Telefoni per un tassì e mi procuri una barba finta. Il signor Walter e io prendiamo il primo aereo per la Bolivia. Ci aspetta il Cirimoto.

MADDALENA - Guglielmo. (Un tempo) Guglielmo, prometti di non andare in collera se ti dico una cosa che riguarda il Cirimoto?

PANDOLFI - Che cosa?

MADDALENA - Promettimi di non andare in collera.

PANDOLFI - Va bene, lo prometto.

MADDALENA - Il Cirimoto. L’ho liquidato.

PANDOLFI - (incredulo) Liquidato?

MADDALENA - Liquidato!

PANDOLFI - (gridando) Ha liquidato il Cirimoto! (Scaglia il cappello per terra e si porta una mano al fegato)

MADDALENA - Ma eri morto! Potevo mai prevedere questo seguito.

PANDOLFI - (con un fil di voce) Ha liquidato il mio fiume.

MADDALENA - Non per dire male di un defunto, signor Hoffer, ma lei capisce l’enormità? Un capo d’azienda che acquista un fiume. Un fiume.

HOFFER - Aurifero, immagino.

MADDALENA - Magari! No, invece: un fiume in piena foresta equatoriale, infestato di coccodrilli e di selvaggi. Che se ne fa un uomo di un fiume?

PANDOLFI - Niente se ne fa.

MADDALENA - (A Hoffer) Vede? Lo ammette lui stesso.

PANDOLFI - (a Maddalena) È possibile che tu non riesca a capire? (Agli astanti) La mia è stata la vita di un somaro. L’azienda, l’azienda, l’azienda… Solo l’azienda. Qualche sabato sera, in compagnia di quattro amici, davanti a una bottiglia di vino e fine della trasmissione. Un giorno vengo a sapere che il governo boliviano vende un fiume. Settecento chilometri, giungla, tropico, selvaggi, aria, sole. Il prezzo, un pezzo di pane. Lo compero. Non ci sono mai stato, non ci sarei mai andato, mai, per via sempre dell’azienda. Ma la sera… Ah, la sera! Aprivo sul tavolo la mappa della regione e mi dicevo: Pandolfi, quando avrai le tasche piene, te ne andrai sul Cirimoto, su una piroga, la colazione al sacco e una carabina. Ci saranno caimani, paludi, bellezze esotiche, indigene compiacenti. Mi spuntavano le lacrime agli occhi e mi facevo otto ore di sonno di fila. (A Maddalena) Hai capito adesso perché sorridevo nel sonno? (Un tempo) E adesso… liquidato…

MADDALENA - Molto bello, molto commovente, ma perché comperare un fiume in un posto così lontano?

PANDOLFI - Non ci sarei mai andato. Avevo comperato l’idea del fiume.

MADDALENA - Ragione di più, se proprio ci tenevi ad avere un fiume tutto tuo per giocarci la sera, per comperare uno di casa nostra… Che so, il Tevere.

PANDOLFI - Il Tevere è in vendita?

MADDALENA - Chiedilo al suo proprietario.

PANDOLFI - Maddalena, al solito, non hai capito niente! Se comperavo il Tevere, o l’Arno o il Po, aggiungevo un nuovo pensiero a quelli che mi hanno fatto schiattare il fegato; tasse, alluvioni, sorveglianza degli argini, vincoli del paesaggio. Il Cirimoto l’ho comperato perché si trova in Bolivia. E forse non ci sarei mai andato, perché mi diventava Tevere o Arno. (Un tempo) Delfrate, lei si è autoproclamato poeta e io le voglio credere. Da poeta, mi capisce?

DELFRATE - Certo. L’aspirazione a possedere un fiume, simbolo della vita che scorre, è segno di disposizione a concepire pensieri elevati.

PANDOLFI - Bravo, Delfrate.

DELFRATE - Ma il giusto, come sempre, è nel mezzo. Poteva accogliere il suggerimento della signora vedova e tentare il colpo del Tevere. L’utile e il dilettevole. (Pandolfi lo fissa) No?

PANDOLFI - (urlando) L’ufficio stampa se lo può scordare!! (Si porta una mano all’addome, strabuzza gli occhi, cade sulla poltrona con lo sguardo fisso nel vuoto. Il dottor Celsius si china su di lui e gli tasta il polso)

MADDALENA - Dottore, non ci tenga in ansia… (Il dottore si raddrizza)

MEDICO - (compunto e grave) Andato.

MADDALENA - Andato, andato in Bolivia? (Con un grido vedovile) Andato dove il mio adorato Guglielmo?

MEDICO - (baciando la mano a Maddalena) Ha reso la sua bella anima al Signore. Ha smesso di soffrire…

MADDALENA - Ma come? Così d’improvviso?

MEDICO - Il suo male non lasciava adito a speranza. (Grave e paterno) Coraggio! (Un tempo) Era un chiaro caso di vita apparente.

MADDALENA - (in un torrente di lacrime) Guglielmo mio!

DELFRATE - Si faccia animo, cara amica. La consolerò con le molli cadenze dei versi pastorali…

WALTER - (timidamente) Potrei provare a cantare l’inno…

HOFFER - (terribile) Cosa?! Chiuda la bocca! (Con occhi satanici) Quell’inno lei se lo scorderà per sempre! (Prende dalla scrivania la gigantesca siringa)

MEDICO - Suggerirei di tumularlo subito, rinunciando al trattamento. La Medicina è salva!

MADDALENA - (Mordendo il fazzoletto) Guglielmo mio! Self-made-man… Tennista di campi d’erba… Umorista sarcastico. Addio… Che breve durata ha avuto la tua vita apparente!

DELFRATE - Si lasci slacciare busto e reggicalze, adorabile Galatea… Giova!

HOFFER - (si avvicina a Walter, atterrito, impugnando la gigantesca siringa) A noi due, signor Walter. Si rimbocchi la manica! (Walter arretra boccheggiando. Maddalena piange sul corpo di Pandolfi. Il dottor Celsius e Delfrate consolano la vedova inconsolabile)

SIPARIO


IL QUARTO LATO DEL TRIANGOLO

Studio-soggiorno in casa di Paolo. È un ambiente “vissuto”, proprio di chi sta e lavora a lungo in casa. Mobili e quadri sono disposti asimmetricamente; vi sono libri e riviste un po’ dappertutto, oltre che nelle scaffalature e sulla scrivania. Molti soprammobili non sono tali, bensì degli oggetti che hanno trovato dove si trovano una sistemazione provvisoria. Sulla scrivania, oltre a carte e libri in disordine, l’apparecchio telefonico e una macchina per scrivere. Sul fondo, una portafinestra si apre sul terrazzo. A destra, la porta d’ingresso con accanto il citofono; a sinistra, una porta che immette nella camera da letto. Un pomeriggio invernale. Paolo, sulla quarantina, un vistoso cerotto sulla fronte, è al telefono e va avanti e indietro per quanto glielo consente la lunghezza del filo. A tratti cerca di interloquire, “No, dico…”, “Vorrei…”, “Posso dire…”, ma la persona che si trova all’altro capo sembra inarrestabile. Dopo qualche sbuffo e qualche arruffamento di capelli, Paolo grida con quanto fiato ha in corpo.

PAOLO - Silenzio!… Sì, lo dico a te… Col diritto di chi ha telefonato per primo. Hai telefonato tu a me o io a te?… Io a te, ecco; e allora vorrei parlare io! Voglio sapere dove sono finiti i volumi sull’opera buffa napoletana… Lucrezia, li cerco da mezz’ora. Come niente li hai portati a qualcuna delle tue amiche analfabete che posano a intellettuali… Si, analfabete. Come te! Come te che arraffi i miei libri e li porti in giro per Roma… I libri non sono in casa, perdio! Li ho cercati perfino nel frigorifero… Va bene, va bene. Va’ al diavolo! (posa il ricevitore e si mette a sedere davanti alla macchina per scrivere, tastandosi il cerotto con smorfie di dolore. Solleva il foglio infilato e legge) “Il ritorno d’Idomeneo in Creta”… Ma quante ne ha composte? E questo Idomeneo quando l’hanno rappresentato? (Si alza e incomincia a gettare in aria le carte che ingombrano la scrivania. Da qualche istante sul terrazzo è apparsa una informe creatura infagottata in una tuta da ginnastica di almeno due misure più grande del necessario. Porta dei grandi occhiali e si rivela di sesso femminile grazie a due trecce che le spiovono sul petto. La donna o ragazzina, che tale è il suo aspetto, batte con le nocche sul vetro. Paolo la guarda, strizza gli occhi per accertarsi di aver visto bene e va ad aprire la portafinestra. L’informe creatura si soffrega le mani stretta nelle spalle e batte i piedi per terra)

MIRELLA - Fa freddino, eh? Buon giorno.

PAOLO - (un po’ basito) Buon giorno, piccola.

MIRELLA - Sono la sua vicina. Permette la presentazione? (Tendendogli la destra) Mirella Piòl. (Gli stringe la mano con una forza insospettabile in una creatura dall’aspetto così linfatico) Posso usare il suo citofono per chiamare il portiere? (Adesso che ha parlato un po’ più a lungo tradisce la sua intonazione veneta)

PAOLO - Faccia pure.

MIRELLA - Grazie. (Si avvicina al citofono e preme il tasto mentre Paolo guarda fuori, cercando di capire) Sempre che risponda, quel benedetto.

PAOLO - Scusi, com’è che si trovava sul mio terrazzo?

MIRELLA - Ho saltato il divisorio.

PAOLO - (guardandola fisso) Ah, ecco… Il divisorio alto un metro e ottanta. (Un tempo) L’ha saltato per citofonare al portiere…

MIRELLA - Appunto.

PAOLO - Non poteva suonare alla porta d’ingresso?

MIRELLA - No, questo è il punto. Mentre facevo ginnastica sul terrazzo, un colpo di tramontana ha chiuso la porta e l’ha bloccata. Così, adesso, chiedo la chiave al Gaspare.

PAOLO - (realizzando) Ah, ecco… La mamma non è in casa?

MIRELLA - No, è a Treviso.

PAOLO - Il papà…

MIRELLA - A Treviso anche lui.

PAOLO - E hanno portato via la chiave dell’appartamento…

MIRELLA - Mai avuta. In sessant’anni non si sono mossi una volta da Treviso.

PAOLO - Non ha delle zie?

MIRELLA - Certo, sei o sette, ma sono…

PAOLO - …tutte a Treviso. E lei, così giovane, vive sola a Roma?

MIRELLA - Eh, ma so difendermi, sa? (Al citofono) Gaspare, risponda, benedetto.

PAOLO - Non può risponderle, piccola. Ha dimenticato l’orario di chiusura della portineria?

MIRELLA - Ma sì, l’orario… Oh, madre santa!

PAOLO - (consultando l’orologio) Ancora un’ora.

MIRELLA - Mi dispiace imporle la mia presenza per un’ora.

PAOLO - (con un fil di voce) Se ha deciso così…

MIRELLA - Da lei c’è un così buon calduccio.

PAOLO - S’accomodi. (Rassegnato) La vita passa in un soffio; figuriamoci un’ora. (Liberando il divano da libri e riviste) Si metta comoda. Vuole un bicchiere di latte caldo?

MIRELLA - No, grazie; è già tanto il disturbo. (Si mette a sedere sul divano)

PAOLO - Prenda qualcosa da leggere. Se permette, continuo a lavorare. Ho molta fretta.

MIRELLA - Prego, prego. Faccia conto che io non ci sia. (Paolo batte a macchina. Lei sfoglia distrattamente una rivista e di colpo osserva Paolo, torcendo il collo) Che genere di lavoro fa?

PAOLO - (smettendo di battere per un attimo) Musica. (Riprende a battere. Mirella aggrotta la fronte, pensosa)

MIRELLA - Questa è nuova. Scrive musica a macchina? (Paolo smette di battere ed ha un lieve moto di stizza)

PAOLO - Scrivo su argomenti musicali. Lo sa cos’è un musicologo?

MIRELLA - Certamente. A Treviso c’è il maestro Costantin. Famoso. (Lui riprende a scrivere) E che scrive, adesso? (Paolo inspira lentamente e a fondo)

PAOLO - Un saggio sull’opera buffa napoletana. (prima che lei lo interrompa) Debbo consegnarlo fra due giorni.

MIRELLA - Fa in tempo?

PAOLO - Se faccio conversazione, no! (Un tempo) Mi scusi non volevo… Sa com’è, la mancanza di un volume di consultazione mi crea dei problemi.

MIRELLA - Se posso rendermi utile…

PAOLO - Grazie, ma non vedo.

MIRELLA - Lasci che la ripaghi dell’ospitalità. Qual è il suo problema?

PAOLO - (più a se stesso che a lei) “Il ritorno di Idomeneo in Creta”.

MIRELLA - Ah, Paisiello.

PAOLO - (stupito) Lo conosce?

MIRELLA - Altro! Libretto del Salsi.

PAOLO - Non mi dica che conosce anche l’anno della prima rappresentazione…

MIRELLA - L’anno, la città e il teatro: 1792, Perugia…

PAOLO - Allora lei studia musica, piccola?

MIRELLA - No, insegno lettere.

PAOLO - Insegna? Ma quanti anni ha?

MIRELLA - Ventisei.

PAOLO - (alzandosi) Oh, scusi. L’ho chiamata piccola e le ho offerto del latte caldo. (Un tempo) Vuole della grappa?

MIRELLA - Non bevo, grazie.

PAOLO - Poi, con quella tuta addosso…

MIRELLA - È più grande di due misure, ma l’ho presa a una liquidazione. Sa, no i xe tempi di follie, questi; e quando si può risparmiare…

PAOLO - Com’è che conosce le opere di Paisiello?

MIRELLA - (minimizzando) Un po’ di letture, un po’ il maestro Costantin di Treviso… (prende una rivista) Ma si rimetta pure al lavoro, altrimenti non fa in tempo per la consegna.

PAOLO - (rimettendosi al lavoro) Scusi, ma ho davvero premura. (Riprende a battere, Mirella lo osserva)

MIRELLA - Senta… (Lui non la sente) Senta!

PAOLO - (smettendo di battere) Prego?

MIRELLA - Lei è sessualmente soddisfatto?

PAOLO - Cosa?!

MIRELLA - Le ho chiesto se lei è sessualmente soddisfatto.

PAOLO - In un certo senso sì, perché?

MIRELLA - È bene saperlo, adesso che conosce la mia età. Sa, si capita in casa di un uomo solo e non si può prevedere gli sviluppi della situazione. Dopo la sua dichiarazione mi sento più tranquilla. Metta che fossi capitata in casa di un erotomane… madre santa! Sebbene, penso che bisogna abituarsi ad affrontare situazioni difficili e insolite. Ecco uno dei motivi per cui faccio ginnastica: alleno i muscoli per ogni evenienza. (Senza cesura) Al Teatro del Verzaro.

PAOLO - Prego?

MIRELLA - “Il ritorno di Idomeneo”, 1792, Perugia, Teatro del Verzaro. Avevamo lasciato fuori il teatro.

PAOLO - (stupidito) È vero. Che sciocchi… (Un tempo) Io riprendo.

MIRELLA - Riprenda… (Paolo esita, la sbircia, porta le mani alla tastiera) Strano che non conosca il maestro Costantin. Docente e musicologo, ma guai quando compone le sonatine per violoncello. Interminabili. Una volta ho misurato un suo spartito: alto sedici gomiti veronesi, pensi.

PAOLO - Che sono i gomiti veronesi?

MIRELLA - È un unità di misura locale, si dice gomito veronese, ma solo a Treviso; a Verona non lo conoscono. Quando se ne parla, fanno la faccia che ha fatto lei. I ragazzi che vanno al militare lo imparano da sottufficiali di Treviso e continuano a usarlo nella vita civile. Serve soprattutto per le scommesse. “Il mio è lungo quaranta gomiti veronesi”, “Quello del Ferruccio quarantacinque”. Si misura, e chi perde paga il Valpolicella. (pausa)

PAOLO - (pacatamente) Perdoni la curiosità: cosa può avere un giovanotto sia pure di Treviso lungo quarantacinque gomiti veronesi?

MIRELLA - Non le pare? È mai possibile che qualcuno l’abbia tanto lungo? Il suo, ad esempio, ad occhio e croce, sarà lungo, diciamo tra i venti e i venticinque gomiti.

PAOLO - (dopo essersi raschiato la gola) Per non crearci reciproche illusioni, a quanto corrisponde in centimetri il famoso gomito veronese?

MIRELLA - In centimetri non saprei; glielo posso tradurre in unghia.

PAOLO - Unghia.

MIRELLA - Unghia. (Mostrando) Questa è l’unghia. Faccia conto, il gomito veronese corrisponde a un quarto d’unghia.

PAOLO - Quale unghia?

MIRELLA - Una qualsiasi. Si va per approssimazione. Fa differenza?

PAOLO - Fa, fa. Vuol mettere l’unghia di un mignolo siciliano con quella di un mignolo continentale?

MIRELLA - Eh, ma lei va sul difficile. Faccia un quarto d’unghia di un cittadino medio dell’Italia Centrale.

PAOLO - Insomma, sarebbero venti quarti d’unghia. (Prende un righello dalla scrivania e si misura un’unghia) Il mio sarebbe lungo cinque centimetri, unghia più, unghia meno.

MIRELLA - Corrisponde al mio occhio e croce?

PAOLO - Niente affatto!

MIRELLA - Se lo misuri, allora, che vediamo.

PAOLO - Cosa?!

MIRELLA - (alzandosi) Mi dia il righello. Glielo misuro io. (Gli prende il righello. Paolo arretra)

PAOLO - Non penserà che io…

MARIELLA Avanti, faccia conto di trovarsi in una cantina di Treviso.

PAOLO - Qui o a Treviso non la differenza. Senta, signorina, prima di misurare, conosciamoci un po’ meglio.

MIRELLA - Dai, è fatto in un momento. (Gli applica il righello sul naso. Quindi, con aria soddisfatta) Cinque centimetri e passa. In pieno.

PAOLO - (ridacchiando sollevato) Ah, lei si riferiva al naso…

MIRELLA - E a che cosa, sennò?

PAOLO - (ridacchiando amaro) I ragazzi di Treviso… Quarantacinque gomiti… (Truce) Divertenti, i ragazzi di Treviso.

MIRELLA - Non sempre, sa? Non sempre giocano scherzi leciti. Prenda quando si va al ballo. Non c’era volta che ballassi con uno che non mi sentissi premere da un rigonfiamento.

PAOLO - Un naso contro la sua guancia.

MIRELLA - No, no, il turgore era più giù.

PAOLO - Il portafogli…

MIRELLA - Più giù, le dico. Lo sentivo con la coscia.

PAOLO - il portachiavi.

MIRELLA - È fuori strada. Dica ancora. Dica la cosa più schifosa che le viene in mente.

PAOLO - Un cetriolo veronese.

MIRELLA - (sillabando) Una rana in una tasca dei calzoni.

PAOLO - (subito) Che schifo.

MIRELLA - Non trova?

PAOLO - Schifosi ragazzi di Treviso.

MIRELLA - Una rana viva che palpitava e faceva qua-qua-qua.

PAOLO - Quanta degenerazione. Ma cediamola all’Austria, questa Treviso!

MIRELLA - Tutti matti. (Un tempo) Ma continui a lavorare. Le ho già preso tanto tempo.

PAOLO - (allentando il colletto) Ho bisogno di riconcentrarmi. (Sedendo alla macchina per scrivere) Rane… (Un tempo) Legga, legga… Si concentri anche lei. (Riprende a battere, ma con poca convinzione, il pensiero altrove)

MIRELLA - La signora della fotografia è sua moglie?

PAOLO - Sì.

MIRELLA - Cara! Non le è difficile essere sessualmente soddisfatto. Bella, cara… (Un tempo) Lei è geloso?

PAOLO - Di mia moglie? Puah!

MIRELLA - (furbastra) A parole. Vorrei vedere la sua faccia se scoprisse qualcuno che parla fitto fitto all’orecchio di sua moglie e lei lo ascolta rapita.

PAOLO - (meditabondo) A mia moglie nessuno riesce a parlare fitto fitto. Le dico di più: a mia moglie nessuno riesce a parlare.

MIRELLA - (con apprensione) Poveretta, è sorda?

PAOLO - (esplodendo) È una sbirressa! Se qualcuno le parlasse fitto fitto, lo incoraggerei per farli fuggire insieme! Ma nessuno la vuole.

MIRELLA - (scoppiando a piangere) Malignasso!

PAOLO - (sbalordito) Che le prende?

MIRELLA - Non posso sentir parlare male di sua moglie.

PAOLO - È sua amica?

MIRELLA - È una donna bella e la bellezza ha bisogno di affetto e di protezione, altrimenti appassisce come un fiore reciso al tramonto.

PAOLO - Quella non appassisce. Ci sotterra tutti.

MIRELLA - Non ne parli male, mi ferisce. Perché non è con sua moglie invece di dedicare il suo tempo a Paisiello?

PAOLO - Perché la signora è andata a una tavola rotonda sul cinema polacco degli anni ‘20. E quando non è il cinema polacco è la pittura cosmogonica, o l’agopuntura, o la masticazione ieratica, o la piattaforma radicale, o il linguaggio onirico, o lo specifico pop. Insomma, la sbirressa non ha altro da fare, eccetto che tormentarmi. Lo vede questo cerotto? Sotto si cela una cicatrice che a stento raggiunge un gomito veronese: una cisti da nulla, invisibile. Da quando ho smesso di fumare mi ha tenuto compagnia. Nossignore: bisogna estirparla. In una clinica con la moquette, naturalmente; niente anestesia locale, ma ipnosi. Un ceffo importato dalle Filippine che esercita ai margini della legalità. Mi ha fatto ipnotizzare, capisce? Da un filippino!

MIRELLA - E se ne duole? La sua signora coltiva lo spirito per essere all’altezza di un intellettuale come lei e cura la sua estetica facendole rimuovere un mostruoso bitorzolo.

PAOLO - Non era un bitorzolo e non era mostruoso. Adesso che non ho più la cisti, non so dove mettere le dita.

MIRELLA - Bella gratitudine, “sbirressa” l’ha chiamata. Senza considerare che è sorda, poveretta.

PAOLO - Chi?

MIRELLA - Sua moglie. Ha detto che nessuno riesce a parlarle.

PAOLO - Perché non lascia parlare nessuno. Parla solo lei.

MIRELLA - Bravo, la vorrebbe muta.

PAOLO - La vorrei sorda e muta. Meglio, non la vorrei affatto.

MIRELLA - (commossa) Continui, continui a ucciderla.

PAOLO - Ah, sono io che uccido lei.

MIRELLA - Disprezzare la moglie, mettere in risalto i suoi difetti, ammesso che parlare sia un difetto, non significa uccidere una donna a poco a poco? Se ha deciso, smetta di essere crudele e usi misericordia: la uccida con un colpo solo.

PAOLO - Ben detto, le sparo!

MIRELLA - (scuotendo il capo, con un fil di voce) Assassino, assassino… Madre santa, che tempi… Scommetto che la tradisce, anche.

PAOLO - (annuendo) Se Paisiello me ne desse il tempo, sì, la tradirei con impegno e assiduità.

MIRELLA - Anima persa, lei non ha affatto un concetto santo del matrimonio. Accetterebbe il solito triangolo, se ho ben capito…

PAOLO - Il triangolo? Ma c’è già. L’ha costruito mia moglie e mi ci ha chiuso dentro come nella cella di un carcere. E sa cosa cerco? Il quarto lato del triangolo, quello con la porta d’uscita.

MIRELLA - Ma sentitelo: il quarto lato del triangolo! Ma se è un assurdo matematico. Ah, basta, basta. Faccia conto che io non ci sia e riprenda il suo lavoro… Tenga impegnata la mente con pensieri sani.

PAOLO - Posso far conto che lei non ci sia?

MIRELLA - Sì, per piacere. Non reggo.

PAOLO - A un patto.

MIRELLA - Dica.

PAOLO - A patto che il conto lo faccia anche lei. D’accordo? Legga, faccia un sonnellino… (Si mette a sedere davanti alla macchina per scrivere) …ma soprattutto dimentichi Treviso, i gomiti veronesi e le rane…

MIRELLA - Posso contemplare la fotografia di sua moglie?

PAOLO - Contempli, ma in silenzio.

MIRELLA - Sì, sì, in silenzio.

PAOLO - Guardi e ammiri, allora. (Incomincia a battere, mentre Mirella osserva la fotografia con espressione triste, scuote il capo e a tratti si porta il fazzoletto alle labbra e agli occhi. Dopo qualche istante, Paolo si arresta e si gratta il mento) Dica un po’ …

MIRELLA - Comandi.

PAOLO - “Alcide al bivio”. Anno della prima rappresentazione…

MIRELLA - 1780.

PAOLO - (Mentre scrive) Libretto…

MIRELLA - Metastasio.

PAOLO - Città…

MIRELLA - Pietroburgo.

PAOLO - Teatro…

MIRELLA - Imperiale.

PAOLO - (Sempre battendo a macchina) Ecco, invece di assumere difese d’ufficio, metta a frutto la sua memoria. Ha provato in televisione? Periodicamente compare un mostro che sa tutto su tutto. Chi sa che un giorno lei non possa diventare il mostro che sa tutto su Paisiello…

MIRELLA - Sì, scherzi lei. Intanto, mi ha fatto andare in collera e ho la caldane… Questa tuta di lana, poi…

PAOLO - (meccanicamente) Se la tolga. (Continua a battere a macchina, mentre Mirella si alza ed esce dalla tuta. O meglio, ne esce una creatura in slip e reggiseno, un conturbante monumento alla bellezza e alla grazia) Si coltivi; con un po’ di applicazione vedrà che le sue doti nascoste verranno alla luce. Ho un buon naso, io, gomiti veronesi a parte, e so intuire dove c’è del contenuto. Insista con Paisiello… Ha ancora caldo? (Si volta a guardarla e balza in piedi, facendo rovinare la sedia) Porca! Lei chi è ?

MIRELLA - Sempre Mirella Piòl.

PAOLO - Quella che era dentro la tuta?

MIRELLA - Per servirla.

PAOLO - Oddio! (Le si avvicina con occhi fiammeggianti) La nascita di Venere dalla tuta… Perché aveva quella roba addosso?

MIRELLA - Perché fa freddino. La rimetto.

PAOLO - (subito) No!

MIRELLA - No?

PAOLO - Si lasci guardare, si lasci toccare…(Le sfiora le braccia, il collo, i fianchi)

MIRELLA - (arretrando) Senta, signor… Qual è il suo nome?

PAOLO - (con voce roca) Paolo Evangelista.

MIRELLA - Signor Evangelista, poco fa mi ha confidato di essere sessualmente soddisfatto.

PAOLO - Ho mentito. (Puntando un dito contro la foto della moglie) Colpa della sbirressa.

MIRELLA - Ecco il motivo del suo sconcerto. (Compunta) Certo, è una situazione incresciosa, non le pare? Davvero incresciosa. Che si fa?

PAOLO - Avrei un’idea allettante. Si metta comoda sul divano.

MIRELLA - Preferisco di no. Pizzica.

PAOLO - Ma le pare? Sono un gentiluomo.

MIRELLA - Non lei; è il divano che pizzica. (Muovendosi a disagio) Tra il divano e questa tuta…

PAOLO - Se la ritolga. Le do una vestaglia, eh?

MIRELLA - No, no, tra poco debbo andar via. E poi, credo di capire che in lei vi sono delle inclinazioni morbose.

PAOLO - (seduttore, con un sorriso a fior di labbra) Via, che c’è di morboso nei rapporti tra un uomo e una donna? (Lirico) È la natura che lo vuole!

MIRELLA - Da severo uomo di studi quale mi era sembrato, lei, benedetto, ora mi appare come un indemoniato. Ecco un uomo di talento superiore, anima eletta e musicale, maestro dell’espressione sobria, che d’improvviso mi sfodera questa faccia da satiro gaudente. (Senza cesura, muovendosi tutta) Madre santa, che pizzicore!

PAOLO - Venga fuori dalla tuta. Si offra all’aria e alla mia ammirazione.

MIRELLA - Signor Evangelista, com’è d’uso nelle Venezie, regioni bianche, ho ricevuto una severa educazione religiosa; non posso indulgere a certe libertà e cedere a certe debolezze della carne.

PAOLO - Allora non le sono indifferente, se si sente debole.

MIRELLA - Questo non posso negarlo. Tutto sommato, adesso lei ha assunto l’aspetto dell’uomo dei primordi della civiltà, il che presenta un certo lato affascinante.

PAOLO - Cara! Lo sento: lei è già un poco mia.

MIRELLA - Mi faccia concludere. Fascino o no, non posso deflettere dai principi che mi sono stati inculcati: la continenza è un dovere per le persone che non sono unite dal vincolo del matrimonio.

PAOLO - Non più. La Chiesa ha allargato le maniche.

MIRELLA - Lei è male informato. E quand’anche la Chiesa le avesse allargate, io le mie le tengo ben strette. Lei dovrebbe apprezzare i piaceri della castità, signor Evangelista.

PAOLO - Preferisco quelli della lussuria! (Un tempo) Ho più esperienza di lei. Lasci che la guidi. Lasci che la inizi.

MIRELLA - Ah, benedetto omo! Adesso mi la fare la figura della maleducata… Mi ospita in casa sua… Ha interrotto il lavoro per colpa mia… e io… Mi corregga se sbaglio, quel che mi sta proponendo è di venire a letto con lei.

PAOLO - (annuendo con vivacità) Eh, eh, eh!

MIRELLA - Ecco, sesso, sesso, sesso. Chi sa poi che ci trovate di così eccitante, benedetti uomini.

PAOLO - Per saperlo non ha che da provare.

MIRELLA - Ci tiene proprio? (Paolo annuisce vivacemente) Quando?

PAOLO - Subito.

MIRELLA - Lei dice, dal momento che ci siamo…

PAOLO - (indicando verso sinistra) Il letto è a due passi.

MIRELLA - Maria vergine! Ecco quella che chiamo una situazione difficile e insolita. Certo, è mio dovere ricambiare in qualche modo l’ospitalità. (Un tempo) Però, sono sicura che non sarà un passatempo lecito, né per me, né per lei.

PAOLO - Poi cambierà idea, cara… (La prende sottobraccio e la guida verso la porta di sinistra) Mi permetta di dimostrarglielo… (Escono da sinistra. Le loro voci si udranno fuori scena)

MIRELLA - (con un gridolino) Oh che bel letto! Rustico americano.

PAOLO - Esca dalla tuta.

MIRELLA - È proprio necessario? Viene meglio?

PAOLO - È il primo passo, cara. Lasci fare a me.

MIRELLA - Pianino con la chiusura lampo: a volte pizzica.

PAOLO - Tutta bella, tutta calda, tutta morbida…

MIRELLA - Me lo farebbe un piacere? Una grattatina alla schiena… Ecco, così… Che bravo a grattare. (Un tempo) Che fa, adesso? (flebile) Ahi… Oh Signore, ma questa è proprio nuova… (Con voce che illanguidisce) È proprio nuova… (La luce si attenua lentamente fino a spegnersi. Si riaccende dopo qualche istante sulla scena vuota. È giorno. Squilla il campanello della porta. Da sinistra entra Paolo, si scompone i capelli, assume un’espressione allucinata e va alla porta)

PAOLO - Chi è?

COMMISSARIO - (fuori di scena) Polizia. (Paolo apre l’uscio. Entra il commissario)

PAOLO - Finalmente!

COMMISSARIO - Sono il commissario Girardi. È stato lei a telefonare?

PAOLO - Io, io. Ce ne ha messo del tempo.

COMMISSARIO - Scusi sa, non abbiamo le ali. Ha detto che è stato commesso un reato. (Si guarda intorno) Furto?

PAOLO - (sdegnato) Cosa?

COMMISSARIO - Un reato contro il patrimonio?

PAOLO - Un reato contro il matrimonio, signore mio. (Un tempo) Ho ammazzato mia moglie. (Il commissario, incallito dal mestiere, non ha alcuna reazione)

COMMISSARIO - Dov’è la vittima?

PAOLO - Eccomi. Sono io la vittima del matrimonio.

COMMISSARIO - (paziente) Dov’è la signora?

PAOLO - Certamente all’inferno.

COMMISSARIO - (un po’ spazientito) Insomma, stia calmo e mi dica dove si trova il cadavere.

PAOLO - (indicando a sinistra) Di là.

COMMISSARIO - È stato un atto accidentale?

PAOLO - Accidentale? Mai in vita mia ci ho messo in un atto tanta intenzione, mai tanto accanimento, mai tanta rabbia. (Altro tono) Mi porti via, commissario. L’ergastolo sarà un soggiorno sulla Costa Azzurra a confronto di quel che ho sopportato per dieci anni…(Il commissario, che era uscito da sinistra, rientra adesso a braccia larghe)

COMMISSARIO - Non c’è nessun cadavere.

PAOLO - (ad occhi sbarrati) Cosa? Ma che dice?

COMMISSARIO - È sicuro di averla ammazzata?

PAOLO - Uno ammazza la moglie e non ne è sicuro? Gesù!

COMMISSARIO - Forse l’ha solo ferita e la signora è riuscita a fuggire.

PAOLO - (superiore e beffardo) Sì, tsè! Fuggita! Oltre alla camera da letto e al bagno non c’è altro. Niente uscite secondarie e siamo al quarto piano.

COMMISSARIO - Dove si trovava esattamente il cadavere?

PAOLO - Ai piedi del letto, in una pozza di sangue.

COMMISSARIO - Venga, mi faccia vedere (Paolo lo raggiunge sulla soglia e guarda verso l’interno)

PAOLO - (stupito) Non c’è più.

COMMISSARIO - E neanche la pozza di sangue. Non c’è un oggetto fuori posto e la finestra è chiusa.

PAOLO - Si è fatta sequestrare. Il mostro infierisce anche dopo morto. Si è fatta sequestrare per richiedermi il riscatto. (Il commissario lo prende amichevolmente sotto braccio, conducendolo verso il divano)

COMMISSARIO - Quando l’ha ammazzata?

PAOLO - Con dieci anni di ritardo; mezz’ora fa.

COMMISSARIO - E in che modo?

PAOLO - Con un colpo di rivoltella. (Sadico) Le ho appoggiato la canna sulla nuca e ho premuto il grilletto.

COMMISSARIO - Ha sparato un colpo solo?

PAOLO - Sei ne ho sparati. Uno nella nuca e cinque in aria, per festeggiare la mia liberazione.

COMMISSARIO - Quindi la signora è caduta al primo colpo. Com’era?

PAOLO - Una sbirressa, una carnefice: contraddittoria, violenta, ossessiva, afflittiva. (Afferrando le mani del commissario) Mi faccia riconoscere la legittima difesa.

COMMISSARIO - (paziente) Scusi, le ho chiesto come era la posizione del cadavere. La signora è caduta di fianco, prona, supina?

PAOLO - Di tre quarti. Vanitosa anche nella morte. Diceva che il tre quarti era il suo lato migliore. (Il commissario lo guarda fisso. Si alza sospirando, esce da sinistra e rientra sorreggendo un ragguardevole proiettile a ogiva)

COMMISSARIO - Sua moglie l’ha uccisa con un colpo di mortaio?

PAOLO - Ma no, quello è un cimelio patriottico. Lo portò mio padre dal Monte Grappa.

COMMISSARIO - Dov’è la rivoltella?

PAOLO - Sul letto. Ricordo lucidamente: l’ho gettata sul letto.

COMMISSARIO - (paziente) Non c’è. Né sul letto, né altrove, almeno lì dentro. (E posa la granata. Paolo si alza, si fruga nelle tasche, apre un cassetto)

PAOLO - Ma dove si è cacciata? Prima scompare il cadavere del mostro e adesso la rivoltella. (Allarmato) Commissario, abbiamo avuto i ladri in casa…

COMMISSARIO - (rassicurante) Chiariremo. Si metta a sedere, stia calmo e mi racconti con ordine, eh? (Paolo si mette a sedere) Cosa ha fatto alla testa, è caduto?

PAOLO - Dice per il cerotto? Mi hanno asportato una piccola cisti. (Sul punto di piangere) Mi ci ha obbligato lei… Sapesse la compagnia che mi teneva dacché ho smesso di fumare. (Il commissario annuisce con comprensione)

COMMISSARIO - E per l’intervento le hanno praticato l’anestesia?

PAOLO - Mi ha fatto ipnotizzare. “Lei è troppo nervoso”, ha detto il professore. “La voglio completamente immobile”.

COMMISSARIO - Ah, ecco: “troppo nervoso”.

PAOLO - Così ha detto il primario.

COMMISSARIO - Ma lei un tantino lo è, via.

PAOLO - E chi non lo è al giorno d’oggi?

COMMISSARIO - Nessuno può capirla meglio dì me. Nel mio mestiere se ne vedono che se ne vedono. (Prende un flaconcino dalla tasca e glielo mostra) Ecco qua: vado in giro con i tranquillanti in tasca.

PAOLO - Nervoso, eh?

COMMISSARIO - Eeeeh! (Ripone il boccettino in tasca) Certi giorni, gliel’assicuro, mi sembra dì vedere asini volare.

PAOLO - Anche lei?

COMMISSARIO - Anch’io, altroché. Come sarà capitato delle volte a lei, immagino.

PAOLO - (facendo roteare una mano) Eeeeh! Asini, vecchie sulle scope, deputati radicali…

COMMISSARIO - (battendogli sul ginocchio) Ma sappiamo che sono fenomeni di nessun conto. Basta un tranquillante al momento giusto, una sana dormita e gli asini rimettono gli zoccoli a terra. (Un tempo) Lei quale attività svolge?

PAOLO - Scrivo per giornali e riviste, traduco…

COMMISSARIO - Uomo di lettere. Lavoro faticoso.

PAOLO - Dica pure inumano. Fretta, fretta, hanno tutti fretta: editori, direttori, impaginatori…

COMMISSARIO - (con un sospiro) Eh, abbiamo scelto una brutta epoca per viverci. Ma la difesa c’è, sa? Consiste nel saper alternare pause di riposo al tran-tran di ogni giorno. Lei avrà una casa fuori città, suppongo.

PAOLO - Due stanze e servizi al lago di Bracciano.

COMMISSARIO - Ci va spesso?

PAOLO - Mai. Il mostro dapprima mi fa contrarre un mutuo e investire tutti i risparmi nella casa al lago e poi scopre che l’aria lacustre la deprime. Non c’è iodio, capisce? Voleva il mare; più stimolante. Quindi non ci vado mai.

COMMISSARIO - D’ora in poi, invece, dovrà andarci spesso. Ogni fine settimana, direi.

PAOLO - La riforma carceraria prevede libere uscite per il week-end?

COMMISSARIO - Senta, signor Evangelista, come vede, lei mi ha telefonato e io sono accorso subito. L’ho ascoltata e non ho motivo di dubitare di quel che mi ha raccontato. Però, sono certo che mi capirà, io posso agire a patto di rispettare una procedura rigorosa. Lei dice di aver ucciso sua moglie… ma del cadavere non c’è traccia, manca il corpus delicti, mi segue? Afferma di averle esploso contro un colpo di rivoltella, e l’unico proiettile che trovo è una granata austriaca della prima guerra mondiale. Con tutta la buona volontà, non è un reperto. Pozza di sangue? Neanche uno schizzo sullo scendiletto. Non c’è segno di colluttazione. Che cosa ne debbo arguire?

PAOLO - Che in questa casa accadono delle cose misteriose.

COMMISSARIO - Non tanto misteriose, in verità. La sua vita, caro amico, non sarà felice, lo ammetto. Mi spingo oltre: magari sarà catastrofica; ma da questo ad accettare a scatola chiusa la sua versione di un fatto che… come dire… lei ha immaginato o… auspicato…

PAOLO - Lei è fuori strada.

COMMISSARIO - Mi lasci finire, la prego. Lei lavora con troppo accanimento, è assillato da editori e direttori… Ci aggiunga che è stato ipnotizzato di recente e, non ultimo, metta in conto le tempeste solari. Sul sole è in atto un periodo di turbolenza e questo fenomeno può provocare degli squilibri… scusi, dei disturbi nervosi.

PAOLO - Vuol dire che mi crede un pazzo visionario?

COMMISSARIO - (minimizzando, con una risata) Pazzo! Suvvia; non mi permetterei… Diciamo meglio che lei è dotato di una fantasia accesa, un dono, intendiamoci, un dono elargito agli artisti, una fantasia che reagisce in forma abnorme a determinati stimoli. Tutto qui. Signor Evangelista, sia lei che io abbiamo visto degli asini volanti. Ieri è toccato a me, oggi è toccato a lei. (prende dalla tasca il boccettino dei tranquillanti) Prenda due di queste. Le garantisco otto ore di sonno filato. Domani mattina mi telefoni: ci faremo due risate.

PAOLO - Commissario, lei sta commettendo un errore. Mi arresti; il giudice mi riconoscerà le attenuanti. (Aggrappato ai baveri della giacca del commissario) Compro un giornale di enigmistica e trovo i cruciverba risolti con la penna a sfera. Inchiostro indelebile. Nell’elenco dei personaggi del libro poliziesco che mi appresto a leggere trovo sottolineato in rosso il nome dell’assassino… Le volte che desideravo conferire un carattere piccante ai nostri intimi colloqui coniugali, mi si presentava indossando il collant. (Gridando) E sapeva che ero cresciuto nel culto del reggicalze. Se al ristorante ordinavo l’ossobuco o il baccalà alla biscaglina, mi rimproverava di non avere dei pensieri elevati. Mi risponda col cuore in mano: a una moglie così, lei, cosa le farebbe?

COMMISSARIO - (fraternamente accondiscendente) Le tirerei il collo.

PAOLO - Io sono andato sul sicuro. Le ho sparato alla nuca. Mi arresti.

COMMISSARIO - Si rilassi e prenda le pillole.

PAOLO - (singhiozzando) Ho capito, mi abbandona! Vada., vada pure. Ma ci ripensi, torni più tardi. Non mi muovo di casa. Torni con le manette.

COMMISSARIO - Mi telefoni domani, amico mio. E, mi raccomando, prenda le pillole. Subito. L’effetto è prodigioso. Mi telefoni, che ci facciamo due risate. A rivederla… (Esce da destra. Paolo chiude la porta e di colpo si rasserena. Si stropiccia le mani, saltellando, e poi va al citofono)

PAOLO - (al citofono) Gaspare? Senta, questo sciopero dei netturbini è una calamità. Tra rifiuti e vecchie carte avrò accumulato un quintale di roba da buttare via L’inceneritore del condominio è sempre in attività? Ah bene. Allora riempirò un sacco e lei mi farà il piacere di portarlo via. L’avverto io. Grazie, Gaspare. (Riaggancia, si soffrega le mani. Siede sul divano a gambe larghe e, canticchiando un motivo, si immerge nella lettura del giornale. La porta di destra si apre ed entra Lucrezia come una furia)

LUCREZIA - Dopo il calamitoso intervento chirurgico al quale ti sei sottoposto, sei in grado di intendere e di volere? Allora sta a sentire. Il tuo amico Cantalamessa è un ladro. Non contento di taglieggiarci pretendendo centomila lire al mese per un box nel suo lercio garage, non contento di prosciugare sistematicamente il serbatoio della benzina, ieri ha rimosso il carburatore nuovo della mia macchina e l’ha sostituito con uno fabbricato nella Costa d’Avorio. Capirai! Quei negri le macchine le fanno andare a succo di datteri e di ananas! Paolo, a solito, non difendere Cantalamessa. Me la sono presa con il garagista avventizio, ma domani mi sente lui, il tuo amico. Bella amicizia per uno scrittore: un garagista unto di grasso e avvolto in un tanfo di lubrificante! (Paolo sbadiglia, continuando a leggere il giornale) Non è necessario domandarti che cosa hai fatto tutta la giornata. Lo vedo da me: stravaccato a leggere il giornale. La convalescenza, dice. Neanche ti avessero tolto due etti di calcoli renali, come tre anni fa a me: ossigeno, fleboclisi, sala di rianimazione, conforti religiosi e telegramma del Papa. Troppa fatica accompagnare tua moglie a un dibattito sul teatro gestuale, una buona occasione per dirozzarti. Ma già, o film gialli o niente. Avevi in mente di vederne uno in televisione questa sera, vero? Risparmiati la fatica. L’ha visto su un altro canale la Guidobaldi. La solita minestra con il colpo di scena alla sequenza finale. Naturalmente, oh, sorpresa, l’assassino è chi meno t’aspetti: il direttore d’orchestra. Ma non voglio privarti del piacere, per carità. Guarda pure il tuo film poliziesco alla televisione. Il teatro gestuale può aspettare, l’Umanità può aspettare che tu sia presente alle manifestazioni dello spirito. Sei incapace di avere pensieri elevati, Paolo. Il tuo destino è di essere un mediocre, un inferiore. Guarda Terenzi: chiamato per merito a dirigere un quotidiano. Azzolino, per maneggi politici nominato sovrintendente all’Opera; tu puoi sperare solo nella beneficenza altrui. Sei un vinto, Paolo: riconoscilo, ammettilo, gridalo ai quattro venti, scrivilo nelle tue “Memorie”… (Notando il cimelio patriottico del Monte Grappa) Non mi dire. Nonostante il grave intervento chirurgico, ti sei messo a fare il lancio del peso con la granata di tuo padre… Bene, è un passo avanti. Le forze non le hai perdute, quindi…il che dimostra che, nonostante le tue angosce notturne, la tua insonnia molesta e le tue ridicole apprensioni, si trattava davvero di una piccola, insignificante escrescenza.

PAOLO - Mai stato in apprensione. (Sbadiglia) Una cisti non è importante come il sacchetto di calcoli che hanno asportato a te. Sei stata tu a drammatizzare, disdicendo mostre, dibattiti e tavole rotonde perché “mio marito entra in clinica”. Per una cisti.

LUCREZIA - Ah, ti hanno detto una cisti?

PAOLO - Come mi hanno detto? Era una cisti.

LUCREZIA - Non insisto, per carità. Non vorrei essermi lasciata sfuggire una parola più del necessario. Certo, una piccola cisti…

PAOLO - Scusa, tu cosa hai detto in giro alle tue amiche: un’ernia frontale?

LUCREZIA - Io? O che sono medico? Non dare corpo alle ombre, adesso.

PAOLO - Corpo alle ombre? Tu hai parlato di angosce notturne, di quel che mi avrebbero detto, di parole lasciate sfuggire…

LUCREZIA - Lo vedi? Per una frase innocente uscitami chi sa come dalla bocca…

PAOLO - Senti, Lucrezia, tu hai un’idea precisa.

LUCREZIA - Io? Sono chirurgo, io? Che cosa ti ha detto il chirurgo, che era una cisti?

PAOLO - Questo mi ha detto.

LUCREZIA - Vuoi credere a quel che ti ha detto?

PAOLO - Perché non dovrei?

LUCREZIA - Appunto. Bisogna credere a quel che dicono i medici. Tu ci credi?

PAOLO - Insomma, debbo crederci o no?

LUCREZIA - Certo che sì.

PAOLO - Oh!

LUCREZIA - Dicono o non dicono, hanno sempre i loro buoni motivi. Dio mio, facciamo sempre le dovute riserve, come dire crediamo ai medici col beneficio dell’inventario. Lo conosci il detto: gli errori dei medici sono ricoperti dalla terra.

PAOLO - Quale errore ci può essere nell’asportazione di una cisti?

LUCREZIA - Oh, ma riconduci sempre il discorso a te. Cosa credi di essere, l’ombelico del mondo?

PAOLO - Lucrezia, questo discorso insistito sulla mia cisti non mi piace. Mi stai nascondendo qualche cosa.

LUCREZIA - Non ho niente da nascondere, signor Evangelista dei miei stivali. Vivo alla luce del sole e quel che ho da dire lo dico fuori, dai denti, chiaro? In quanto alla tua cisti, le voci che si erano diffuse in clinica evidentemente erano senza fondamento.

PAOLO - (incominciando ad allarmarsi) Voci?

LUCREZIA - Si fa presto a bisbigliare, a lanciare sguardi apprensivi, ad avanzare ipotesi senza alcun senso di responsabilità e di carità cristiana.

PAOLO - Quali ipotesi sono state avanzate sulla mia cisti? (Realizzando) Voci… Sguardi apprensivi…

LUCREZIA - E non mettere allo scoperto la tua anima di coniglio. Affronta virilmente la situazione! Ti pare che un uomo col tuo colorito abbia avuto o abbia qualcosa di più di una cisti? Invece di stare affondato in una poltrona, esci, offriti al sole, va’ a sciare, goditi la vita, che oggi ci siamo e domani chi sa… A che pensi? Perché ci pensi? Ci pensa, con quel colorito da montanaro tirolese. Te la ricordi, invece, la cera di zio Maurizio, che Dio abbia in gloria?

PAOLO - Ma zio Maurizio è morto di… di…

LUCREZIA - Ti proibisco di pronunciare quella parola! Adesso si spiega l’origine delle voci. A zio Maurizio incominciò con un senso di formicolio all’orecchio destro. E siccome anche tu…

PAOLO - Così gli cominciò?

LUCREZIA - Perché, non ricordi? Un formicolio all’orecchio e il colorito acceso. Come il tuo in questo momento.

PAOLO - Che c’entra il mio colorito con quello di zio Maurizio?

LUCREZIA - Nessuna relazione. Il chirurgo, infatti, non vi attribuisce alcuna importanza.

PAOLO - Hai parlato con il chirurgo…

LUCREZIA - Certo. “Buongiorno, professore”; “Buongiorno, signora”. È vietato essere educate con i chirurghi?

PAOLO - Che ti ha detto?

LUCREZIA - Che il piccolo intervento è perfettamente riuscito.

PAOLO - Allora gli hai parlato. Sei andata oltre il “buon giorno, professore”.

LUCREZIA - Gli ho parlato, gli ho parlato. Ha fatto un buon lavoro.

PAOLO - Un buon lavoro… Quella frase la usano quando si illudono di…

LUCREZIA - Ecco di nuovo il coniglio. Senti, Paolo, debbo meditare sui messaggi sociali del teatro gestuale e non mi va questa dispersione di energie intorno alla tua cisti. Mettiamoci una pietra su, va bene?

PAOLO - Da dieci anni stai tentando di mettere su di me una lastra di marmo con il mio nome inciso tra due date. Me ne infischio del teatro gestuale e voglio parlare della cisti.

LUCREZIA - Ma sentitelo! Anche arrogante e aggressivo. E va bene, parliamo ancora della tua cisti. Il formicolio all’orecchio lo senti ancora?

PAOLO - No.

LUCREZIA - Allora pazienta due o tre settimane per vedere se ricompare, come accadde al povero zio Maurizio. Aspetta a vedere se si propaga al ginocchio. Se sì, vuol dire che siamo al principio della fine. Io vorrei sapere, sant’Iddio, perché ti intestardisci a voler mettere in relazione il tuo formicolio con quello di zio Maurizio. Del resto, pochi giorni di pazienza e il risultato dell’esame istologico fugherà speriamo ogni apprensione.

PAOLO - Ma come, hanno mandato la mia cisti all’esame istologico?

LUCREZIA - È prassi comune. Con i mali che vi sono in giro, le precauzioni non sono mai troppe. Altro che sequestri di persona, furti negli appartamenti e scippi… A proposito di scippi, io so; guardami negli occhi: io so che domani il tuo amico Cantalamessa si negherà tutto. E so anche che tu non batterai ciglio. Il che significa che la nostra macchina circolerà con il carburatore della Costa d’Avorio. Ma già, quando si abita in un quartiere qualunque, come gente qualunque, è il meno che possa capitare. Non dirmi che non ho fatto di tutto, in questi lunghi interminabili dieci anni di matrimonio per scuoterti dalla tua abulia, per risvegliare in te una parvenza di ambizione. A quarant’anni, l’età in cui la gente è almeno vice presidente tu fai il collaboratore. Se tu fossi vice presidente come un uomo normale, oggi abiteremmo in una residenza d’elite. Coltiveremmo lo spirito, daremmo un senso alla nostra vita, invece di trascorrere le giornate a parlare della tua cisti. La quale, detto di passaggio, quando il chirurgo l’ha gettata nel secchio dei rifiuti, l’ho vista, sai? Era la disgustosa cisti di un miserabile pubblicista e traduttore.

PAOLO - L’ha gettata nel secchio dei rifiuti o l’ha mandata all’esame istologico?

LUCREZIA - Perché doveva mandarla?

PAOLO - L’hai detto tu.

LUCREZIA - Quando?

PAOLO - Due minuti fa.

LUCREZIA - Senti, Paolo, il formicolio all’orecchio ti sarà passato ma in compenso ti è venuto un disturbo all’udito.

PAOLO - L’hai detto, perdio. Hai detto che è prassi normale.

LUCREZIA - Ah, ho detto forse; forse l’hanno mandata perché è prassi comune.

PAOLO - Non hai detto forse. Se l’avessi detto, adesso non avrei le extra sistoli.

LUCREZIA. Oh, senti: l’ho detto, non l’ho detto. Che importanza ha?

PAOLO - Ne ha. Ti risulta che l’abbiano mandata?

LUCREZIA - (gridando) Mi risulta che l’hanno buttata nel secchio. L’ho vista con i miei occhi. Questi occhi.

PAOLO - E allora non parlare. Sta zitta!

LUCREZIA - Tu dici a me di stare zitta, non solo per telefono, ma anche dal vivo? È diventata una certosa, questa casa, e tu ne sei il padre guardiano? Vita spirituale, no; vita intellettuale, no; vita mondana, no… E debbo stare zitta? Vuoi il silenzio attorno a te? Prendi un appartamento in una residenza d’elite; trascorrerai le serate silenziosamente seduto sulla terrazza-giardino e io frequenterò personaggi stimolanti. Ma il signor traduttore ha la possibilità economica di farlo? No. Il signor musicologo non può sottrarsi al suo destino. (Esce da sinistra. La sua voce continuerà e udirsi con spietata chiarezza) E al tuo destino, caro Paolo, hai legato purtroppo anche il mio che, senza false modestie, poteva essere migliore. (Paolo solleva un cuscino dal divano e ne sfila una rivoltella. Fa scattare il proiettile in canna e guarda torvamente verso sinistra) Occasioni non me ne sono mancate, ti prego di darmene atto. Lombardi e Della Bassa, hai detto pifferi! Uno è presidente della Banca Americana di Credito; l’altro è consulente economico degli emirati del golfo Persico. E ieri, se vuoi saperlo, proprio ieri, alla retrospettiva, mi è stata fatta una proposta di fuga romantica. In Guatemala: banane, civiltà Maya e quel che segue. Perché non ti ho lasciato allora e non ti lascio adesso? Forse per masochismo, forse per autopunirmi; chi potrà mai analizzare la mia mente di intellettuale complicata? Forse Antonioni, se decidessi di fare del cinema. (A grandi passi, Paolo esce da sinistra) E la cosa più tragica è che non vedo vie d’uscita. Tira giù questa chiusura lampo, va’, renditi utile almeno in una cosa. Tira giù e levati dai piedi. (Un tempo. Allarmata) Paolo, che fai?

PAOLO - Ti mando in Guatemala.

LUCREZIA - Bada, Paolo… Bada. (Si ode una detonazione che pone fine alle parole di Lucrezia. Poi, altre cinque detonazioni, seguite da altrettante grida di esultanza di Paolo)

PAOLO - Hurrà, hurrà, hurrà, hurrà, hurrà. (Rientra in scena. È sorridente e disteso. Soffia sulla canna della rivoltella e va al citofono) Gaspare, ho riempito il sacco. Più tardi venga su e lo porti all’inceneritore. Bisogna bruciarlo oggi stesso. (Fuori di scena si sente un fragore di vetri andati in frantumi. Paolo corre alla portafinestra, mentre sul terrazzo appare Mirella. Ha l’aria dimessa, gli occhi bassi, indossa una tunica grigia una sorta di veste monacale e sorregge un involto e un libro dalla copertina nera) Cos’è stato?

MIRELLA - Non ero in condizioni di spirito di saltare; ho tentato lo stesso e ho fatto crollare il divisorio. (Scoppia a piangere)

PAOLO - (consolandola) Che importanza vuoi che abbia un divisorio? Ne sistemeremo un altro. (Euforico) Sono solo, Mirella; finalmente solo.

MIRELLA - Non c’è la signora Evangelista?

PAOLO - È accaduta una cosa meravigliosa: la signora Evangelista, pfui! È volata via.

MIRELLA - Volata dove?

PAOLO - In Guatemala.

MIRELLA - Così, d’un colpo?

PAOLO - Un colpo solo. Non è meraviglioso?

MIRELLA - Dovrei andarci anch’io a fare la missionaria tra i lebbrosi. (Cade in ginocchio e si batte tre volte il petto) Ho peccato, ho peccato, ho peccato!

PAOLO - (facendola rialzare) Ma come, definisci peccato la nostra devastante esperienza di ieri?

MIRELLA - (guardando in cielo) Non ero in me, Signore. Ero obnubilata dalla lussuria. (Un tempo. Indicando Paolo) Sua. (Gli porge il libro aperto) Legga le righe sottolineate.

PAOLO - (leggendo) “A un prete che domandava se convenisse toccare il polso a una moribonda, San Vincenzo rispose di no, perché lo spirito maligno se ne potrebbe servire per tentare il vivo e anche la moribonda”.

MIRELLA - Tastare il polso, madre santa!… E noi, ieri, altro che tastare il polso… (Cade di nuovo in ginocchio e si batte il petto) Ho peccato, San Vincenzo; ho peccato, ho peccato!

PAOLO - (facendola rialzare di nuovo) Suvvia, San Vincenzo è un uomo di mondo…

MIRELLA - Dobbiamo riparare, signor Evangelista. La castità è una cittadella che per la sua difesa ha bisogno di avamposti fortificati, che io avrei dovuto sforzarmi di erigere, praticando le virtù dell’umiltà, della mortificazione e dell’applicazione ai doveri del mio stato. E invece ho ceduto a un momento di debolezza sul rustico americano costruito dal demonio. (Andando verso sinistra) Bisogna bruciarlo.

PAOLO - (trattenendola) Non adesso… E poi, se lo brucio, dove dormiamo?

MIRELLA - Per terra, ognuno in casa propria. (Porgendogli l’involto) E con questo ben stretto addosso.

PAOLO - (aprendo l’involto) Che cos’è?

MIRELLA - Un cilicio.

PAOLO - Un cilicio… per me?

MIRELLA - Io ci ho già passato la prima notte (E solleva la tunica, mostrando il cilicio che porta attorno alla vita e una cintura di castità) E per il buon peso, ci ho aggiunto una cintura di castità.

PAOLO - La chiave! Subito la chiave a me!

MIRELLA - Buttata via. Fra un anno ci penserà un fabbro.

PAOLO - Fra un anno?

MIRELLA - Ho fatto voto di non togliere cilicio e cintura per un anno.

PAOLO - Bella prospettiva. Bella davvero!

MIRELLA - Nel voto ho incluso anche lei: dovrà portare i cilicio per un anno.

PAOLO - Cosa?! Ma io non ha rapporti con San Vincenzo!

MIRELLA - Lo indossi, lo indossi, benedetto: dobbiamo fare penitenza.

PAOLO - Senti, cara; capisco il tuo sconcerto per la rapidità con cui si sono svolti gli avvenimenti peccaminosi. Nelle Venezie, regioni bianche, lo so che bisogna procedere per gradi. Ma non è il caso di drammatizzare e di buttare via la chiave del coso lì. C’è modo di sistemare la faccenda. Mia moglie è partita; nel Guatemala si ferma per l’eternità. Bene, allora: io chiederò il divorzio e…

MIRELLA - Il divorzio! Santi del Paradiso!

PAOLO - Chiederò il divorzio e partiremo. Andremo lontano.

MIRELLA - Ah, sì, questo sì; l’ho programmato.

PAOLO - Vedi che un accomodamento si trova? Quando si parte e dove andiamo?

MIRELLA - Si parte oggi stesso e si va a Loreto.

PAOLO - A Loreto? A cento chilometri da Roma? Perché a Loreto?

MIRELLA - Perché c’è il Santuario. Andremo in pellegrinaggio, con il cilicio addosso, ci getteremo ai piedi della Vergine e imploreremo il suo perdono.

PAOLO - Con il cilicio addosso…

MIRELLA - Certamente.

PAOLO - Oggi, poi. (Adirato) E Paisiello?

MIRELLA - Meglio perdere Paisiello che dannarsi l’anima. Non mi alzo se prima non dice di sì. Anzi, si inginocchi anche lei e recitiamo il rosario.

PAOLO - (scompigliandosi i capelli) E va bene, mi arrendo Indosserò il cilicio e verrò in pellegrinaggio a Loreto Adesso alzati e vieni di là con me.

M1RELLA A far che di là?

PAOLO - Mi aiuti a indossare ‘sto cilicio e poi partiamo per il santuario.

MIRELLA - Finalmente le mie parole hanno aperto una breccia nel suo cuore perché vi entrasse il pentimento e vi mettesse radici il ravvedimento. Signor Evangelista, il Signore è misericordioso… (Si alza e si incammina verso sinistra continuando a parlare. La sua voce si udrà fuori di scena fino all’exitus)

PAOLO - Certo, certo.

MIRELLA - (uscendo da sinistra) La continenza è un dovere per le persone che non sono unite dal santo vincolo del matrimonio, mi sembra di averglielo già detto. Quindi, noi saremo continenti. Lo saremo gioiosamente, anche perché con il cilicio e la cintura non vedo altre possibilità. Eviteremo ogni occasione di peccato, lei standosene a Roma e io ritornando a Treviso. (Paolo entra nella camera armato di pistola) Che possibilità vi sono di peccare, quando avremo frapposto tanta distanza fra noi? Con il servizio ferroviario italiano, poi, non c’è pericolo di cedere in pericolose tentazioni… Si rialzi la camicia e si cali i calzoni…

PAOLO - Cosa?!

MIRELLA - Debbo aiutarla a indossare il cilicio, no? (Un attimo di silenzio e quindi una detonazione, Paolo rientra soffiando sulla canna della rivoltella e va al citofono)

PAOLO - (al citofono) Gaspare, i sacchi da bruciare sono diventati due. Quando vuole… (Riaggancia, va al telefono e forma un numero) Il Commissario Girardi?… Sono Paolo Evangelista… Come? No, non le telefono per farci quattro risate… (Tragico) Commissario, ho ucciso la mia amante. È ai piedi del letto in una pozza di sangue, con addosso il cilicio e la cintura di castità… Sì, cilicio e cintura di castità… Commissario, non rida, per favore… Si, c’era un triangolo, ma adesso l’ho fatto diventare di quattro lati… Le pillole? No, non le ho prese… Ma lei non viene ad arrestarmi? Non mi muovo di casa… Va bene, farò come vuole: prenderò le pillole… Certo, certo, una bella dormita… (Va alla macchina per scrivere e incomincia a battere, mentre cala il sipario)

SIPARIO