Triangolo magico

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TRIANGOLO MAGICO

Commedia in tre atti

di ALESSANDRO DE STEFANI

PERSONAGGI

UGO DURBINI

IGNAZIO ULLSTEIN

MATTIA CINTRA

GIUSTO COLLER

UN DELEGATO

GIORGIO, cameriere

FEDERICA ULLSTEIN

GIANNINA,segretaria

CRISTINA DURBINI

GIUDICE ISTRUTTORE

UN NOTAIO

UN PERITO

VARI AGENTI CHE NON PARLANO

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Un smottino ele­gante, benché un po' bizzarro per l’evidente manìa modernista che ha ispirato l’arreda­tore. In fondo, at­traverso una ve­trata, la stanza da pranzo con una tavola apparecchiata per tre: senza tovaglia, na­turalmente, sul ve­tro. Sul davanti un divano e uno stipo, poltrone, scrivania, telefono nascosto e gli amminnicoli d'una donna elegante. A sinistra porta che dà verso l'uscita, e a destra por­ta che dà nell'interno dell' appartamento. Quan­do si alza il sipario, Federica, in abito da sera, è sdraiata sul divano e sta fumando. Mattia Cintra è seduto su una poltrona. Tutte le lampade sono accese.

Federica                      - (dopo una pausa, scoppiando a ridere) Se ti potessi vedere allo specchio ride­resti anche tu! Sei talmente buffo...

Mattia                         - È stato un capriccio, il tuo, che, parola d'onore...

Federica                      - Sei provinciale, borghese, me­schino, egoista e indisponente...

Mattia                         - Tutto quello che vuoi, ma io ho un po' di buon senso in testa.

Federica                      - Di' subito che mi ami, da morire.

Mattia                         - Se non ti amassi, non sarei qui.

Federica                      - Io mi diverto, se tu sapessi! La vita non offre molti, imprevisti...

Mattia                         - Non fumare a quel modo, prima di mangiare, ti prego...

Federica                      - Hai ragione, caro, tutto quello che; vuoi tu. (Spegne la sigaretta e viene a met­tersi in ginocchio ai piedi di Mattia). Forse mi piaci proprio perché sei tutto il contrario di me. E poi, no. Mi sei piaciuto subito, senza una ragione. Dammi una sigaretta, delle tue.(Rinunciando a lottare, Mattia cava il portasi­garette e le offre una sigaretta). Accendi! (Egli eseguisce. Essa si alza). Come ti va questo ve­stito? L'ho messo per te. (Torna al proprio divano).

Mattia                         - Sei elegante. Anche troppo per un pranzo in famiglia.

Federica                      - Quando saremo soli ti farò delle sorprese... Che ne diresti se una sera venissi a pranzo svestita? Senza niente, ma proprio nien­te? Penso al viso del cameriere! E al tuo! Non per la cosa, ma per il cameriere, si capisce. Vedrai che ci divertiremo...

Mattia                         - Federica, io ho il terrore di quello che tu puoi fare fra cinque minuti...

 

Federica                      - Ma mi ami lo stesso? Vero? Dimmi che non hai amato nessuna donna così! Come hai amate le altre donne? Mi par di vederti! A ore fisse. Non era amore, ma manzo lesso. Tu hai cominciato ad esistere il giorno che hai conosciuto me. Bada, che io voglio volare, con te.

Mattia                         - Questo te lo puoi levare dalla testa. In quel che fa parte del mio servizio tu non devi...

Federica                      - (irritandosi) Io, che cosa? Non voglio compartimenti stagni. Tu non devi aver niente di separato da me. La tua vita mi ap­partiene tutta. Nessun segreto. Nessuno. Ca­mpisci?...

Mattia                         - E tu, allora, perché non hai voluto dirmi ieri di chi era la lettera che avevi nella borsetta?

Federica                      - Io, è un'altra cosa! E poi per­itile se t'avessi detto che era dello zio generale che è a Stoccolma tu non avresti sofferto.

Mattia                         - Ma va, che non era dello zio ge­nerale!

Federica                      - Io non mentisco mai. Lo giuro. Era d'un direttore cinematografico che avrebbe voluto farmi un provino.

Mattia                         - Ti fai dare del tu dai direttori ci­nematografici, ora? Ho visto una frase: ti dava del tu.

Federica                      - Era una lettera che mi sono scrit­ta io, per svegliare la tua gelosia. Capirai che le no, non me la sarei fatto trovare nella borsetta. (Cambiando tono) E poi non voglio che tu dubiti di me. Sono una donna onesta. Com'è possibile che io ti tradisca? Preferirei morire. E quando sospetti una cosa simile, mi fai piangere. Vuol dire che non hai l'ombra dell'idea di chi sono io. È triste. Suona il campanello. È, dietro di te. No. Non lo vedi? (Si alza, si avvicina a lui, lo bacia, e mentre lo bacia suona il campanello. Compare da destra il cameriere. Mattia si scioglie seccato che la servitù assista a simili espansioni). I cocktails, Giorgio? (Il cameriere se ne va). Non fare quella fac­cia! Il cameriere sa che sono io quella che gli paga il mensile. Quindi non si permette di pen­sare nulla. Hai fame? Io tanta.

Mattia                         - Se credi che io stasera mangerò...

Federica                      - Perché? Sei delizioso. Un vero bambino. Hai paura, di'? Hai paura di mio marito?

Mattia                         - Che c'entra? Trovo soltanto in­concepibile che m'inviti a pranzo così, senza che io conosca prima tuo marito.

Federica                      - Tu avresti voluto prima la pre­sentazione ufficiale? È così che si usa nel tuo mondo? Quando avrò un altro amante, prima d'invitarlo a pranzo, te lo presenterò. Conten­to? Voglio cambiare automobile. Prendere una «Mercedes». Sono più veloci. Poi faremo una sfida: tu in aria, io in terra.

Mattia                         - Cambiare? Ma se non hai auto­mobile...

Federica                      - Lo so. Ma siccome avevo deciso di prendere un'«Alfa», se prendo invece una «Mercedes» ho cambiato. No? Tu cosa prefe­risci?

Mattia                         - Che tu sia tranquilla... È tuo marito che non ha voluto finora che tu gui­dassi...?

Federica                      - Ignazio non ha mai detto nulla di simile. E poi, guidavo. Avevo un'«Ardita ».. L'ho fracassata contro il parapetto'd'un ponte» È da allora che sono senza macchina. Quattro mesi soltanto. Mio marito ha la sua «Balilla»,, ma io non ci metto piede. Ti piacciono gli asparagi? Ho fatto fare degli asparagi.

Mattia                         - Mi piacciono molto.

Federica                      - Ma non so se siano asparagi. Suona il campanello. Ora sai dov'è.

Mattia                         - No. Non ha importanza.

Federica                      - Fa' quello che ti dico. (Mattia suona il campanello. Compare il cameriere). Ci sono degli asparagi a pranzo, Giorgio? ,

Giorgio                       - Nossignore.

Federica                      - Di' alla cuoca che voglio gli asparagi. Se non ci sono, va' giù a comprarne.

Giorgio                       - A quest'ora non credo che...

Federica                      - Suona al piano di sotto, al piano di sopra: qualcuno avrà degli asparagi. Di' che c'è una partoriente che ha voglia d'asparagi...

Giorgio                       - Sta bene, signora. (Fa per andar­sene).

Federica                      - E invece cosa c'è?

Giorgio                       - Carciofi, signora, come la signora aveva ordinato.

Federica                      - E allora bastano i carciofi. Gra­zie, va' pure. (Il cameriere esce).

Mattia                         - Se non fossi bella come sei, gio­vane, intelligente, saresti la creatura più insop­portabile della terra!

Federica                      - Perché sono un po' tiranna?... Vuoi che ti racconti perché son diventata ti­ranna? Fatti più vicino. È un segreto di fa­miglia.

Mattia                         - Ora stai per inventare una delle tue solite favole...

Federica                      - Ti giuro che... E poi, no: non meriti che io ti faccia delle confidenze... Sei senza fede. Non ti dirò più niente. Resterò sem­pre una sconosciuta per te. Ma quello s'è di­menticato i cocktails... Giorgio! I cocktails... (Giorgio entra con un vassoio, tre bicchieri e lo shaker). Pronti? Bravo. Il mio, vero? Versa. (Giorgio riempie due bicchieri, e porge il vas­soio alla signora). Bevi tu. (Giorgio, senza stu­pore, depone il vassoio e beve un bicchierino, poi toglie il bicchierino e riempie l'altro). Lo faccio sempre per essere sicura di non essere avvelenata... È una vecchia usanza ucraina... (Giorgio esce). E poi, credi che i liquori non piacciano anche a lui? Sono pazza, vero? Per voi, chi non è come voi, è pazzo. Quindi per me sei pazzo tu. Non ti spaventare: mi piaci per questo. E io perché sono così diversa dalle bambolette che lì si mettono e lì restano. Non è vero, forse?

Mattia                         - A che ora rincasa tuo marito?

Federica                      - È già a casa, da mezz'ora...

Mattia                         - E può entrare da un momento all'altro...?

Federica                      - Si capisce. È di là che si veste.

Mattia                         - Senti, anzi senta, sarà più pru­dente...

Federica                      - No, no. Preferisco il tu. E poi è più moderno. Oggi se uno, sbagliando, dà del tu a uno al quale dava del lei, è compromet­tente: ma dare sempre del tu, a tutti, si usa molto.

Mattia                         - Sì, ma io, capirai... Non vorrai che ti dia del tu in faccia a tuo marito! Sarebbe il colmo.

Federica                      - Sei schiavo dei vecchi pregiudizi. Tu sai che mio marito immagina bene che mi dai del tu quando lui non c'è... E allora?

Mattia                         - Sei una specie di vuoto d'aria. Sai cosa sono i vuoti d'aria per noi, aviatori? Be', tu sei un vuoto d'aria costante, senza fine. Dai le vertigini. E ti giuro che io, che non ho mai avuto paura in cielo... con te, invece...

Federica                      - Hai paura? «C'est parfait». E sai anche che sono capace di uccidere, se mi tradissi...?

Mattia                         - Che gusto poi ci provi a parlar sempre di queste cose?

Federica                      - Nella borsetta, assieme a quella lettera « misteriosa » c'era anche una rivoltella. L'hai vista, no? Sempre carica. E poi ne ho un'altra in camera da letto.

Mattia                         - Io non so chi abbia dato il porto d'armi a una creatura pericolosa come te!

Federica                      - Non ho il porto d'arme. Ho l'ar­me, soltanto. Ti dispiace proprio tanto che io fumi?

Mattia                         - Non è che mi dispiaccia, ma fumi troppo.

Federica                      - E allora, per amor mio, fa un sacrificio, non me lo rimproverare più. Promes­so? Sei un tesoro. (Da destra entra Ignazio, il marito. È in frac).

Ignazio                        - Buonasera.

Federica                      - Non vi conoscete? Mio marito. Il mio prossimo marito, l'aviatore Mattia Cintra...

Ignazio                        - Ah, fortunatissimo! Sapevo che stasera avrei avuto l'onore di conoscere il mio successore...

Mattia                         - Ecco: veramente...

Ignazio                        - Per carità! Non faccia quel viso. Io e Federica siamo due ottimi camerati. Essa non mi nasconde niente. Quindi non è il caso... Lei guarda la mia tenuta? No, non sono in frac per lei. Sarebbe esagerato. Ma ho inten­zione d'andare all'Opera. Ci sono i «Maestri Cantori » e io sono un wagneriano appassionato. Lei no? È stata mia moglie a farmi diventare wagneriano. E lei poi ha cambiato gusti. Chi è ora il tuo musicista preferito, Federica?

Federica                      - Come chi è? Ma se l'abbiamo invitato a pranzo due mesi fa! Strawinski!

Ignazio                        - Ecco: Strawinski... (// cameriere apre la vetrata di fondo e annuncia:)

Giorgio                       - La signora è servita!

Ignazio                        - Allora, vogliamo andare...? (/ tre vanno a sedere alla tavola da pranzo e mentre Giorgio li serve, la conversazione continua, men­tre la vetrata rimane aperta).

Federica                      - In ogni modo potevi metterti in frac dopo pranzo...

Ignazio                        - Avrei perso il preludio... Sarebbe stato un vero peccato! (A Mattia) L'idea del divorzio ci è nata così... Forse le interessa, im­magino, dato che... Già, insomma. È stata mia l'idea. Vero, Federica?

Federica                      - C'erano dei precedenti. Il nostro è stato, fin dall'inizio, un matrimonio condi­zionato.

Ignazio                        - Se non fossimo andati d'accordo... Già! E cinque mesi fa, vero Federico?, era­vamo a Budapest. Un viaggio per diporto. E abbiamo avuto una discussione... Non ricordo più il motivo.

Federica                      - Ma sì: io volevo tener chiuso il finestrino dell'automobile; tu, invece, lo vo­levi aperto.

Ignazio                        - No, cara: mettiamo le cose a po­sto. È sempre utile, dato che il signore dovrà... si, insomma... Io volevo tenerlo aperto perché faceva un caldo soffocante. E tu, appunto perché io avevo espresso questa intenzione, ti sei affrettata a dire d'aver freddo.

Federica                      - La tua solita mala fede! Di' che lo facevo apposto per contraddirti!

Ignazio                        - Se dovessi confessare la verità, questo è stato allora il mio convincimento.

Federica                      - Il colmo! Io voglio proprio che Mattia sia giudice...

Mattia                         - Ecco, veramente-...

Ignazio                        - (intervenendo) Non può. Non può darti torto perché ne subirebbe le conseguenze tutta la vita. Non può darti ragione perché è invitato a pranzo da me. E in ispecie perché non era presente e quindi ignora...

Mattia                         - Appunto...

Ignazio                        - Non ha nessuna importanza. Co­munque è stato per il finestrino dell'automo­bile che io, visto che eravamo in Ungheria, le ho proposto: «Vuoi che prepariamo il divor­zio, giacché siamo qui? ». E abbiamo fatto le pratiche. Non credo che in quel momento lei fosse apparso all'orizzonte. C'era invece...

Federica                      - Ti proibisco!... Avevamo con­venuto...

Ignazio                        - Giustissimo. Dimenticavo. Ma lei non mangia niente... Federica, digli tu di man­giare. Forse dà più retta a te che a me. Dopo, naturalmente, al divorzio non abbiamo pensato più. C'è stato anzi il periodo idilliaco di Ab­bazia. Vero, Federica? Un dottore, un cretino, aveva trovato che io avevo non so più che male terribile. Il morbo di Basedow, credo. Ed è andato a dirlo a lei. Di colpo s'è innamorata di me. Bellissimi giorni. Ma io non avevo nes­suna malattia. Quando se n'è accorta me l'ha rinfacciato come se avessi voluto truffarla. Ed è allora che lei... Prenda, prenda questa maio­nese: è squisita. E dato che tutto era pronto in precedenza, abbiamo deciso il divorzio. Ma da buoni amici. Credo anzi che quando avrà ripreso marito, io potrò essere invitato spesso... Posso contarci, signor Cintra?

Mattia                         - Mi scusi, sa, ma sono un po' di­sorientato...

Ignazio                        - Credevo che si fosse già abituato a Federica! È vero che non è una cosa facile...

Federica                      - Ti sembro così insopportabile? Vuoi forse demolirmi nel suo concetto? Non ci riuscirai.

Ignazio                        - Impossibile. Sei una droga. Chi comincia a prenderti non ne può più far senza.

Federica                      - E tu come farai allora?

Ignazio                        - Non ho ancora risolto il problema con esattezza.

Federica                      - Sei borghese, Ignazio: te l'ho sempre detto. Se tu non fossi stato così bor­ghese forse avresti potuto essere il mio uomo. Ma sei metodico, sempre eguale a te stesso. Ri­cordi le frasi che hai dette un mese prima. Hai appetito sempre alle stesse ore, precise. Ti giu­ro che, con tutta la mia buona volontà, fai ve­nire il mal di testa.

Ignazio                        - (a Mattia) Lei invece antiborghese allora? Ha appetito a ore sempre diverse?... L'ora di stasera, per esempio, non dov'essere quella giusta: non ha mangiato niente. Neanche un frutto? Una pera?

Mattia                         - Grazie.

Ignazio                        - Capisco la sua sorpresa. Lei im­maginava che io fossi il marito con gli occhi bendati al quale la si fa in punta di piedi. No. In questo devo render giustizia a Federica. Con me è sempre stata d'una schiettezza magnifica. Per questo io la stimo infinitamente. È rara una donna così.

Federica                      - Non farmi arrossire.

Ignazio                        - E mi dica, Cintra: progetti di grandi voli?

Mattia                         - Per ora no. Faccio il mio servizio sulla linea Barcellona.

Ignazio                        - Ah! Allora domani?

Mattia                         - Già.

Federica                      - (alzandosi) Vogliamo passare a prendere il caffè di là? (Mattia e Ignazio si alzano e i tre vengono sul davanti della scena mentre il cameriere chiude la vetrata alle loro spalle. Siedono).

Ignazio                        - (offrendo a Mattia) Sigari? Siga­rette?

Mattia                         - Grazie. Una sigaretta.

Ignazio                        - (porgendo un libro, che ha trovato su un tavolino, a Mattia) Conosce questo ro­manzo?

Mattia                         - Io leggo poco, veramente.

Ignazio                        - Guardi che dedica! Di pugno dell'autore a Federica: « Al fascino guizzante di Federica»... Io, se fossi in lei, Cintra, starei in guardia. I letterati, non si sa mai... È vero che è uno scrittore di romanzi gialli. Quindi poco amore...

Federica                      - È un nostro coinquilino. Abita al piano di sotto. Lo conosciamo per questo.

                                    - (Il cameriere entra con il vassoio del caffè).

Ignazio                        - Al caffè non farà torto, spero...

                                    - (Federica serve, il cameriere esce. Federica poco dopo apre il mobiletto del bar).

Mattia                         - Basta zucchero, grazie.

Ignazio                        - A me un whisky, Federica. Ha no­tato, Cintra, che Federica in mia presenza non le ha mai rivolto la parola? Durante il pranzo io aspettavo sempre... Stavo attento... Mai. Non sapeva se darle del tu, francamente, come fa­ceva prima che entrassi io, o del lei. Ma que­sta ipocrisia del lei non è adatta al temperamen­to di Federica. Allora evitava... Divertente que­sto imbarazzo... (A Federica) Il tuo aviatore è molto sconcertato, cara.

Mattia                         - Senta, io non so quale sia la sua intenzione... Ma questo tono ironico...

Ignazio                        - Per carità! Affatto. Non deve giu­dicarmi male, né arrabbiarsi. Non è proprio il caso. Se mi toglie anche il permesso di scher­zare un po', che cosa mi lascia? Sia generoso.

Federica                      - (a Mattia) Su, ribellati!

Ignazio                        - (scoppiando a ridere) Ecco: così va bene, così mi piace. Federica questo vor­rebbe. Che lei insorgesse, magari m'insultasse. O che io la schiaffeggiassi. Un vero duello. Qualcosa di epico, insomma. In fondo, è con questa segreta speranza di vederci alle prese che hai voluto che lui venisse stasera a pranzo! Vero?... Su, confessa: io ti conosco. E sei rimasta delusa vedendo che si fa conversazione come due persone qualunque. E che non trovia­mo nessuna ragione di odio in noi. Io, almeno, nessuna! Che ci vuoi fare, Federica? Io sono borghese. (Entra il cameriere che parla ad Igna­zio, piano).

Federica                      - Che c'è?

Ignazio                        - (al cameriere) Fallo accomodare nel mio studio. Vengo subito. (Il cameriere esce). È tuo fratello.

Federica                      - Giusto?... Che vuole?

Ignazio                        - Ah, non so. Vuole parlarmi. Pri­vatamente.

Federica                      - Vorrà soldi. Non gli dare niente, te ne scongiuro.

Ignazio                        - Va bene. Purché non mi faccia perdere il preludio. (Guarda l'orologio). Lo sbrigo e corro a teatro. Allora, caro Cintra, fortunatissimo di averla conosciuta. E... che vuole che le dica? Auguri! (A Federica) Vuoi vederlo, Giusto?

Federica                      - No.

Ignazio                        - Va bene. Buon riposo. (Esce).

Mattia                         - (prorompendo esasperato) Non ne posso più. Ancora un po' e gli saltavo davvero alla gola.

Federica                      - (vibrante) E perché non l'hai fatto?

Mattia                         - Allora aveva ragione lui! È questo che volevi?

Federica                      - Non faceva che prenderci in giro: me e te. È un uomo diabolico.

Mattia                         - Non esagerare. Come temperamen­to non mi pare che ti possa lamentare. Più do­cile di così...! Troppo docile. Esaspera per quello.

Federica                      - Non lo conosci. Docile? E se ti dicessi che è un violento? Mi ha perfino battuta ad Abbazia!

Mattia                         - Non mentire.

Federica                      - Ti giuro. Battuta.

Mattia                         - Ad Abbazia? Durante l'idillio! È, per questo che lo amavi, allora?

Federica                      - Lo amavo? E tu credi a quelle favole?

Mattia                         - Chi era quell'altro a cui ha fatto allusione tuo marito?

Federica                      - Quale altro?

Mattia                         - Non far finta di non capire. Quan­do eravate a Budapest. Quando avete pensato per la prima volta al divorzio, tu e quel bel tipo di tuo marito. C'era un altro all'orizzonte, al mio posto: chi era?

Federica                      - Non insultarmi.

Mattia                         - Non me n'importa niente. Io non voglio giudicare il tuo passato. Ma siccome sei tu, proprio tu, che mi hai parlato di questo passato, che mi hai giurato che mai niente, nes­suno... Voglio sapere fino a che punto giungono le tue menzogne.

Federica                      - Menzogne? Io, secondo te, men­tisco allora? Vattene, va' via.

Mattia                         - Smettila!

Federica                      - Va' via, ti dico! E non farti mai più vedere da me.

Mattia                         - Federica, ma perché fai a questo modo?

Federica                      - Va' via, insomma. Non voglio che tu rimanga vicino a me!

Mattia                         - Bada che vado via davvero.

Federica                      - E saresti capace? È così che mi ami? Sei indegno...

Mattia                         - Chi era l'uomo di Budapest?

Federica                      - Non era di Budapest. Era un av­vocato genovese. Ma non siamo mai stati aman­ti. Su che cosa vuoi che te lo giuri?

Mattia                         - Non giurare: è meglio.

Federica                      - Ecco: tu ora crederai che io sia stata di chissà quanti... Già, voi uomini fate sempre così. Prima ci volete e poi, per il fatto che abbiamo ceduto, cominciate a pensare: «Se ha ceduto a me, avrà certamente ceduto anche agli altri!». E invece no, amore. No, no, no. Nessuno. Tu solo, sai. Non ho mai amato così. È una cosa nuova. Di' che sono una sgualdrina, allora. Dimmelo in faccia. Su. Avanti.

Mattia                         - E quell'idiota di tuo marito sapeva e tollerava...? Ma che cos'ha nelle vene? Acqua?

Federica                      - Se ti dico che non c'è mai stato niente tra me e l'avvocato...

Mattia                         - Niente, come? Dei baci solo?

Federica                      - Ecco: dei baci solo...

Mattia                         - Non è vero! Quando si concede la bocca non si può fermarsi lì.

Federica                      - Ma io non ho dato la bocca... I Oh, no!

Mattia                         - Baci sulla mano, allora?

Federica                      - Come mi piaci quando fai così! La tua gelosia è quello che mi piace di più in te. M'insulti, mi tratti male, minacci d'andar via, e poi ti sento invece mio, tutto mio, quan­do m'interroghi e cerchi di scoprire la verità della mia vita. Non ho verità. Tu vuoi cono­scere il mio passato per farti un'idea di quello che può essere il mio avvenire. Fai un calcolo sbagliatissimo. Io cambio, sempre. Ti sarò fe­delissima, vedrai. Spenderai un sacco di quat­trini per farmi sorvegliare dalle agenzie private. Vero? Sì: promettimi che lo farai. E avrai la sorpresa di venire a sapere che io conduco la vita più morigerata del mondo. Sarà una noia, in fondo: ma voglio proprio farti questa sor­presa...

Mattia                         - Nessuna agenzia privata: sono cose indegne e meschine.

Federica                      - Oh, sì: indegne e meschine! Al­lora le adopererò io, queste agenzie, per sorve­gliare te! A Barcellona, per esempio, scommet­to che... Eh?... Avanti, confessa.

Mattia                         - Ma va'!

Federica                      - Come siete ipocriti, voi uomini. Non osate mai dire quel che fate. Non vorrai darmi ad intendere che a Barcellona... Che vuoi che m'importi? Capisco benissimo...

Mattia                         - A Barcellona conosco solo...

Federica                      - Chi conosci? Non me n'hai mai parlato. È bruna? Magra? Rassomiglia a Raquel Meller? Come si chiama?

Mattia                         - Conosco solo i dirigenti dell'idro­scalo. Niente donne.

Federica                      - Non ti credo. Andrai in qualche tabarin, la sera.

Mattia                         - Di solito vado a dormire. Ma se vado in qualche posto capirai che non faccio conoscenza con le ballerine o le...

Federica                      - Tu ora pensi: «Dio, com'è asfis­siante questa donna! Insopportabile!». Vero?

Mattia                         - Ma no, cara.

Federica                      - Sì, sì. Lo so. Mi odi. Mi trovi opprimente. Hai ragione, del resto. Se fossi uomo, io, e incontrassi una donna come me, la picchierei in tal modo... E invece non ho mai trovato nessuno che...

Mattia                         - Non mi hai detto che tuo ma­rito...?

Federica                      - Io?... Quando?

Mattia                         - Poco fa. Ora.

Federica                      - Ti sbagli. Non è possibile. Igna­zio è sempre stato anzi correttissimo.

Mattia                         - Come vuoi, cara. Rinuncio.

Federica                      - A che cosa rinunci? A me?

Mattia                         - A lottare. Con te è impossibile.

Federica                      - Come sei caro!

Mattia                         - Chi è quel tuo fratello che è ve­nuto...?

Federica                      - Giusto. L'unico parente che ho al mondo. Gli voglio un bene pazzo. È un uomo sensibile, squisito.

Mattia                         - Ho visto che non lo vuoi ricevere!

Federica                      - Sì: non devo. È su una pessima strada. È sempre stato, fin da ragazzo, su que­sta strada. Non ha fatto altro.

Mattia                         - Come? E allora?

Federica                      - S'è mangiato, in un anno, tutto quel che aveva di suo. Gioco e donne. È un uomo che ha amato moltissimo. Poi, è anche stato frate per due anni, e per sei mesi in una casa di salute. Quando mi vede, mi domanda dei soldi, perché io ho invece conservato quel­lo che avevo. E quando gliene ho dati, li ha buttati in modo insensato. Io voglio invece che guadagni, che trovi un modo di vivere. Non ti pare? L'unico modo per obbligarlo a diventare una persona seria è non accordargli niente. È un anno che non gli accordo niente. Avrebbe avuto il modo di rinsavire. Ma non ho fiducia. E poi non perdiamo tempo a parlare di lui! Che te n'importa? Non lo conosci.

Mattia                         - È maggiore di te?

Federica                      - Si capisce: la donna è sempre più giovane. Eppure le spagnole sono ardenti. Qualche Dolores, eh? Qualche Carmen...

Mattia                         - Com'è questo romanziere del pia­no di sotto?

Federica                      - Bellissimo. Porta il monocolo. Stupido: ha sessant’anni. Meriteresti che ne avesse trenta. (Entra da destra Giusto, uomo di trent’anni circa, un pochino sciupato, ma molto distinto ancora). Eccolo! (Indica Giusto a Mattia). Come va, signor romanziere? Che bella sorpresa! (Gli butta le braccia al collo). Son felice di rivederti.

Giusto                         - (spiegando) Non si meravigli. Sono suo fratello.

Mattia                         - L'avevo immaginato.

Federica                      - Con te non c'è mai modo di di­vertirsi un po', di fare uno scherzo. O fai gli occhiacci o indovini. (A Giusto) Vuoi un whisky?

Giusto                         - Non mi vedi da un anno e tutto quel che trovi da dirmi è: «Vuoi un whisky? ».

Federica                      - Sei diventato astemio in questo anno di assenza?

Giusto                         - No.

Federica                      - (servendogli il whisky) E allora bevi e non protestare. (Facendo le presentazioni) È l'aviatore Cintra. (Al fratello) Hai visto Ignazio?

Giusto                         - Inutilmente.

Federica                      - Allora sei venuto sempre per lo stesso motivo?

Giusto                         - Hai un marito impossibile, Fe­derica.

Federica                      - Per questo lo cambio.

Giusto                         - Ah! Bada che io regali di nozze non ne faccio altri. Ho finito le mie risorse. (A Mattia) Non ho scrupoli di parlare davanti a lei perché immagino che sia lei il candidato successore. O sbaglio?

Federica                      - Esatto! Dunque, hai finito le ri­sorse? Quali, scusa?

Giusto                         - Ho avuto sei mesi di fortuna scan­dalosa al gioco. Volevo anzi restituirti quello che m'avevi prestato. Poi m'è passato di mente. Quando me ne sono ricordato avevo già per­duto quasi tutto. Ma questo, ormai, non c'en­tra: storia vecchia. Be', tuo marito dev'essere anche lui in cattive acque. Non si rifiutano cin­quecento lire a un cognato.

Federica                      - Cinquecento lire?...

Giusto                         - Sterline, naturalmente. Non vivo in Italia: vivo a Londra.

Federica                      - Sono stata io a dire ad Ignazio di non darti niente.

Giusto                         - Ho una sorella snaturata. (A Mat­tia) Non la sposi... (A Federica) A parte gli scherzi, mi servono quei soldi. Non sarei ve­nuto se non mi fossero necessari.

Federica                      - Finche non ti metti a lavorare, lo sai, non ti darò più un soldo.

Giusto                         - Assurdità! Se lavorassi non avrei più bisogno di te! (A Mattia) Perdoni, sono scene di famiglia. (Guardando l'orologio) È tardi, Federica, sbrigati. Mi basta uno chèque.

Federica                      - Sai che quando. io dico no non c'è niente da fare.

Giusto                         - La solita avarizia!

Federica                      - Posso avere dei figli. Devo pen­sare all'avvenire.

Giusto                         - Allora non mi vuoi aiutare?

Federica                      - Dovresti vergognarti a chiedere denari ad una donna.

Giusto                         - A una sorella.

Federica                      - Sono una donna lo stesso.

Giusto                         - Bada che sono in una situazione disperata.

Federica                      - È la centesima volta che sei in una situazione disperata. L'ultima ho saputo a che cosa sono servite le ventimila lire che t'ho date. A comprare una collana per un'attrice. Anche allora situazione disperata! Chi vuoi che ti creda più?

Giusto                         - Non era un'attrice: era una cocotte.

Federica                      - Ecco! E io devo buttare i soldi per le tue cocottesl

Giusto                         - Questa volta, Federica...

Federica                      - È un'arciduchessa in miseria, vero? Inutile che ti sprema il cervello per inventare qualcosa di patetico. Non crederei.

Giusto                         - Non tento neppure. (A Mattia) Lei dovrà pensare di me che sono un uomo sprege­vole: vero? Non è dignitoso mendicare a questo modo da una sorella. Ma lei forse ignora che mia sorella è ricca, ricchissima. E cinquecento sterline per lei sono una sciocchezza. Perché è sempre stata avara, Federica: e per questo i suoi quattrini li ha ancora tutti. Mentre io... E non li ha voluti dare neanche a suo marito. Regime separato. Quindi...

Federica                      - Cerchi un alleato? Non serve.

Giusto                         - Come vuoi. (Cavando di tasca del­le bollette) Tutte bollette di pegni. Londra, Pa­rigi, Barcellona... Ho seminato i miei gioielli un po' dappertutto...

Federica                      - A Barcellona? Sei stato a Bar­cellona?

Giusto                         - Vuoi le bollette? Te le vendo. Cinquecento sterline! Avanti. È un affare. Le vuole lei?

Mattia                         - Grazie. Mi mancano le cinquecento sterline.

Giusto                         - (a Federica) Allora, no? Deciso?

Federica                      - Prendi le tue carte.

Giusto                         - Te le regalo. Io sono generoso. Se non fossi mia sorella direi che sei una canaglia! Parlo castigato perché c'è una terza persona. Siccome sei mia sorella dirò che forse hai ra­gione. Vuoi farmi riaccompagnare?

Federica                      - Credo che Giorgio se ne sia già andato: gli avevo dato licenza. Comunque, suo­na. (Giusto suona il campanello).

Mattia                         - Verrò via anch'io.

Federica                      - No: tu resta.

Giusto                         - (prendendo la bottiglia di whisky e versandosi) Un altro po' di whisky è concesso almeno? (Beve). Ma! pazienza... Il cameriere evidentemente non c'è. Vado da solo. Buona notte, Federica. E grazie lo stesso. (A Mattia) Fortunatissimo. (Esce. Una pausa).

Mattia                         - Hai fatto male. Ho la sensazione che si trovasse davvero in una situazione di­sperata.

Federica                      - È un commediante. Non lo co­nosci.

Mattia                         - Non gli vuoi bene.

Federica                      - Io? Se Giusto fosse malato mi trascinerei in ginocchio a Lourdes per invocare la sua guarigione. E quello che faccio, lo fac­cio appunto per guarirlo.

Mattia                         - E se morisse?

Federica                      - Che dici? Non bestemmiare!

Mattia                         - Se veramente quello fosse stato allo stremo delle sue risorse e, uscito di qui, andasse a uccidersi?

 Federica                     - (mettendogli una mano sulla bocca) Taci!

Mattia                         - Non si può mai sapere.

Federica                      - (cupa) Gli farei fare un monu­mento di porfido.

Mattia                         - (alzando le spalle) Ci vuol altro che un monumento!

Federica                      - Tu credi che Giusto fosse vera­mente...?

Mattia                         - Tu lo dovresti conoscere meglio di me: è tuo fratello!

Federica                      - Appunto.

Mattia                         - Però queste sono bollette autenti­che di pegni. Non sono menzogne.

Federica                      - (osservando le bollette) Un anel­lo di platino con doppia croce... Un anello con uno smeraldo... (Febbrile, andando a un mobi­letto) E dire che io... (Apre il mobiletto: apre un cassetto: ne cava una busta bianca sigillata con un timbro di ceralacca rossa) Sai che cos'è questo?... Il mio testamento!

Mattia                         - Che c'entra con tuo fratello!

Federica                      - So io. (Rimane pensierosa). Mat­tia... (Pentendosi) No... (Cambiando tono) Vedi come sigillo io le mie carte? Col pollice. Im­pronta digitale... (Richiude il mobiletto, dopo aver riposta la busta). Ora sai anche dov'è il mio testamento.

Mattia                         - Quante volte all'anno lo rifai?

Federica                      - Perché? No: quello è di tre anni fa. Non l'ho più cambiato. Credi davvero che Giusto...? Chissà in che albergo è? (Scotendosi) Mano! Sono pazzie... Prendi questa bolletta di Barcellona. Io ti do i denari e tu riscatti que­sto anello. Va bene?

Mattia                         - Federica!

Federica                      - Che c'è?

Mattia                         - Tu sei molto ricca, a quel che ho sentito.

Federica                      - Molto, no. Ho del denaro.

Mattia                         - Quanto?

Federica                      - T'interessa?

Mattia                         - Sì.

Federica                      - Non so con precisione.

Mattia                         - Un milione?

Federica                      - Qualcosa di più, forse.

Mattia                         - (dopo una pausa) Non lo sapevo.

Federica                      - E allora?

Mattia                         - Questo cambia molte cose.

Federica                      - Che cosa?

Mattia                         - Tu parli di matrimonio come d'una gita, mettiamo d'una crociera. Se non ci si è trovati bene, l'anno venturo si cambia Compa­gnia di navigazione. Per me, il matrimonio è una cosa molto più seria.

Federica                      - Ci si può sbagliare anche nelle cose più serie della vita.

Mattia                         - E per questo io non vorrei sba­gliare. Io credevo che tu, una volta divorziata, rimanessi, non dico povera, ma normale. Quindi in grado di poter vivere accanto a me, sullo stesso piano.

Federica                      - Ma io vivrò accanto a te come vorrai tu. Non toccherò un centesimo del mio denaro!

Mattia                         - Ma lo avrai. E in ogni modo farei la figura del marito povero con la moglie ricca.

Federica                      - Vuoi che regali quello che ho?

Mattia                         - Non ne saresti capace!

Federica                      - È vero.

Mattia                         - E poi una moglie non è la stessa cosa d'un'amante.

Federica                      - Deve essere: io voglio essere sem­pre amante.

Mattia                         - Moglie è diverso. Saranno vecchie cose tradizionali ma io la famiglia la concepisco con i figli, con la serenità, la fiducia... Non credo sia il caso di parlare di figli con te: ed è forse un bene. Serenità, neanche da pensarci. E in quanto a fiducia...

Federica                      - Ecco la verità: ma che milioni, figli... La tua è gelosia. Non credi in me. Le parole di quel mio infame marito ti hanno messo gli scorpioni nel cuore. Vero, amore? Confessalo. Mi credi una donnaccia. Dillo: non mi offendo. Ebbene, non è vero. Sono sempre stata fedele. E poi, sarò tutta diversa con te. Un'altra donna. Vedrai.

Mattia                         - Non potrò mai credere, mai, a quello che mi dici. Era tuo fratello quell'uomo di poco fa? Sei veramente russa?

Federica                      - Oh, è troppo!

Mattia                         - Oramai con te c'è da aspettarsi tutto! E come posso sposare una creatura così?

Federica                      - Allora non vuoi? Ritiri la pro­messa?

Mattia                         - Intanto non c'è stata nessuna pro­messa. Ci siamo amati, e basta. Sei tu che hai organizzato tutto, senza neanche chiedere il mio parere: divorzio tuo, matrimonio nostro. E io, invece, ho l'abitudine di fare a modo mio, di non subire imposizioni...

Federica                      - Non mi ami. Tu non mi ami...

Mattia                         - Non è possibile intenderci! Ma quest'introduzione nella tua vita, questa tua conoscenza di tuo marito, di tuo fratello, delle tue abitudini, è stata disastrosa: devo confes­sarlo. Prima mi mostravi di te quel che volevi, era un'altra cosa.

Federica                      - Grazie. Ti ho conosciuto. Meglio conoscersi in tempo, no? Peccato perché mi piacevi.

Mattia                         - Federica!

Federica                      - No: signora Ullstein, prego.

Mattia                         - Ma io ti amo egualmente.

Federica                      - Ah, sì?

Mattia                         - Cerca di capirmi. Tu non sei fatta per una vita regolare, borghese, di famiglia. La mia ragione me lo ripete e devo am­metterlo. Ma rinunciare a te, no. Ora­mai è impossibile. Sento che non po­trei più...

Federica                      - Eppure...

Mattia                         - No, Federica, non fare così...

Federica                      - Non abbiamo più niente da dirci...

Mattia                         - Se tu mi ami...

Federica                      - Io?... Ragiona! Ho avuto un sacco di amanti, sono una pazza...

Mattia                         - Smettila!

Federica                      - Sono le tue parole. Sono una donna che non si può sposare. Ma come amante, sì, vero? Eppure rinun­cerai. Tu non subisci imposizioni: neanche io. Ti piaccio ancora? Meglio così. Avrai modo di pentirti di quello che hai fatto.

Mattia                         - Federica, non esasperarmi!

Federica                      - Credi di farmi paura? (Egli le è vicino, minaccioso; squilla il telefono). Vuoi rispondere? Può dar­si che sia uno dei miei amanti! (Il te­lefono squilla di nuovo). Non vuoi ri­spondere tu?

Mattia                         - (sibilando) Tu non sai di che cosa sia capace un uomo spinto al parossismo! Finora tu hai avuto tra le mani dei fantocci...

Federica                      - (rispondendo al telefono) Eccomi... No... Che altro vuoi?

Mattia                         - (piano) Chi è?

Federica                      - (alzando le spalle a Mattia e rispondendo al telefono) Non ho neanche il cameriere in casa... Lo sai... Insomma... Non dire sciocchezze an­che tu! Cosa...? Ti avverto che è inu­tile... Va bene. Farò aprire la porta giù. Tra dieci minuti. (Riappende). Volete essere così cortese da scendere e tenere la porta di casa aperta finche mio fratello sia venuto?

Mattia                         - Quello non è tuo fratello!

Federica                      - Altrimenti dovrei scen­dere io. E capirete...

Mattia                         - (prendendole i polsi) Non è tuo fratello!

Federica                      - Chiunque sia, vi prego di scendere ad aprirgli la porta!

Mattia                        - (staccandosi da lei, livido, a denti stretti) Va bene.

                                                             Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Lo studio dello scrittore Ugo Durbini: dispo­sizione d'ambiente identica a quella dell'atto precedente. In fondo c'è la biblioteca. Sul da­tanti una grande poltrona, divano, ecc. A una scrivania piccola è seduta la segretaria steno­grafa, Giannina. Un'altra scrivania, più grande, è quella di Ugo. Ma il romanziere sta passeg­giando su e giù. È notte. Lampade accese.

Ugo                             - (guardando l’orologio) Lei ha sonno? Sono quasi le due.

Giannina                     - Oramai sono abituata: dormo di giorno.

Ugo                             - Se ha sonno, lo dica senza compli­menti, perché allora smettiamo.

Giannina                     - Lei non ha voglia di lavorare e allora cerca dei pretesti...

Ugo                             - Io non ho voglia? Dove eravamo ri­masti?

Giannina                     - Dovevamo ancora cominciare.

Ugo                             - Già, è vero. Il difficile è sempre lì: nel cominciare. Dopo, lei lo sa, si corre. È il principio...

Giannina                     - Ma, scusi. Sa press'a poco di che cosa tratterà questo romanzo?

Ugo                             - Come no? (Breve pausa). Se sapessi l'argomento avrei già cominciato a dettare. No. Non so ancora... Volevo fare un romanzo di corse, la sostituzione del vincitore del Derby: lei m'ha detto che c'è già qualcosa di simile...

Giannina                     - Sì, sì. Un romanzo inglese.

Ugo                             - Si poteva scegliere la sparizione di un cadavere in una tomba. Era insolito, diver­tente...

Giannina                     - C'è un romanzo tedesco...

Ugo                             - Ma come fa a conoscere la letteratura gialla del mondo intero, lei?

Giannina                     - Per aiutarla: mi sono specia­lizzata.

Ugo                             - È una segretaria preziosa, non c'è che dire. Ma paralizzante. A me pareva che la. fac­cenda della tomba vuota... Be', pensiamo ad altro. Che ne direbbe d'un delitto su uno Zep­pelin? Le ricerche dei presunti colpevoli sareb­bero limitate, ai passeggeri.

Giannina                     - C'è un romanzo olandese: «Il mistero dello Zeppelin». Proprio questo argo­mento.

Ugo                             - È incredibile: c'è tutto.

Giannina                     - Più si complica, più si va nel già fatto. Tutti gli autori inseguono le compli­cazioni. Se restassimo nel semplice? Nel quo­tidiano?

Ugo                             - Allora è il pubblico che non s'interessa: io ho bisogno di vendere trecentomila copie. Se la storia è semplice chi compera il mio libro?

Giannina                     - Lei ha il nome: qualunque cosa pubblichi, oramai...

Ugo                             - Ci vuol altro che il nome. Ci vogliono fatti... Dia un po' il giornale. La verità è una gran fonte... (Giannina va a prendere dei gior­nali e li depone sulla grande scrivania). Ha se­gnato in rosso tutti i delitti?

Giannina                     - Regolarmente. Ugo   - (scorrendo) Omicidio per vendetta... Terribile tragedia... Per carità! Un morticino da niente. «Uccide la moglie e vuol vendere a un giornale il primo racconto del delitto»... Be', questa potrebbe essere un'idea...

Giannina                     - È un romanzo francese.

Ugo                             - Il colmo! Sono i delinquenti, ora, che si mettono a plagiare gli scrittori! Che ha se­gnato qui? «Un furto ingegnoso»... Le ho già detto che i furti soli non m'interessano. Il pub­blico vuole il morto. Guardi Wallace: ogni ro­manzo almeno cinque cadaveri. Non bada a spese.

Giannina                     - Il furto può servire come ele­mento di fianco, come episodio. (Rumore di porta che si apre; entra dalla comune Cristina in pelliccia e, sotto, grande toilette da sera. Si avvicina alla segretaria. Guarda i suoi appunti).

Cristina                       - A che punto siamo?

Ugo                             - (continuando a scorrere i giornali) Ti sei divertita?

Cristina                       - Grazie. E il romanzo?

Ugo                             - Non ci pensare. Va' a letto e lasciami

lavorare.

Cristina                       - Quante pagine?

Giannina                     - Ecco, signora...

Cristina                       - Niente...? Lo sapevo! Che cosa hai fatto? Avrai chiacchierato, al solito!

Ugo                             - No, sto cercando. Vedi: cerco.

Cristina                       - Bel modo: sfogli i giornali. Al­lora tutti sarebbero capaci di fare gli scrittori. Venti centesimi di «Corriere della Sera». E la fantasia dov'è? Io te l'ho sempre detto: a te manca la fantasia. E per un autore di romanzi gialli, scusate se è poco.

Ugo '                           - Non ti lamentare. Mondadori ogni mese ti passa una discreta somma ed è tutta dovuta a quella mia povera fantasia. Dunque, ti sei divertita?

Cristina                       - Oh! Uno spettacolo noioso. L'ul­timo atto non l'ho neanche sentito. Siamo an­dati a ballare, invece.

Ugo                             - Sarai stanca, allora. Va', va' a ri­posare.

Cristina                       - Tu continui a restar alzato per non far niente?

Ugo                             - Aspetto le idee. (Prepara la macchina automatica per il caffè: accende).

Cristina                       - Be', allora buon lavoro.

Ugo                             - Grazie. Buon riposo. (Cristina esce da destra; poi ricompare).

Cristina                       - Ricorda che domani c'è da pa­gare la rata del pellicciaio. (Esce).

Giannina                     - Ci sono anche le tasse, domani!

Ugo                             - E devo inventare un delitto! So io che delitto inventare!... Ma siamo alle solite: non interesserebbe. È quello a cui pensano tut­ti. E allora... (// caffè è pronto). Ne vuole un po' signorina? Chissà che rischiari un po' il cervello. (Ne offre a Giannina, che beve. Poi beve lui).

Giannina                     - Grazie.

Ugo                             - Sentiamo: se lei dovesse uccidere qualcuno, così, per forza, chi sceglierebbe?

Giannina                     - Non ci ho mai pensato.

Ugo                             - Ma se le dicessero: è obbligata, bi­sogna. Scelga una vittima.

Giannina                     - Il cameriere del piano di sopra.

Ugo                             - Oh, bella! Perché?

Giannina                     - È insopportabile. Mi fa delle proposte ogni volta che m'incontra. Siccome sono sua segretaria mi crede al suo livello. Non so che gli farei.

Ugo                             - No: neanche da questa parte può ve­nire l'idea. (Campanello). Il campanello!? A quest'ora? (Meccanicamente guarda l'orologio). Chi può essere?

Giannina                     - Devo andare ad aprire?

Ugo                             - Un momento. Può essere un errore. (Il campanello suona di nuovo con insistenza).

Giannina                     - Io vado.

Ugo                             - Aspetti: vengo con lei. (/ due escono verso la comune. Intanto il campanello suona di nuovo, e Cristina compare in vestaglia da notte sulla porta di destra).

Cristina                       - Che c'è? Che succede? (Da si­nistra compaiono Ugo, Giannina e Ignazio in frac). Signor Ullstein, che accade?

Ignazio                        - (lasciandosi cadere su una poltrona) Che orrore!

Ugo                             - Ma che c'è?

Cristina                       - Su: parli.

Ignazio                        - (indicando appena il piano di so­pra) Di sopra...

Ugo                             - Ebbene?

Ignazio                        - Federica... Uccisa...

Ugo                             - Uccisa?!

Cristina                       - Sua moglie? (Ignazio fa col capo un cenno affermativo).

Ugo                             - Ma come? Si spieghi!...

Ignazio                        - Andate... andate su...

Ugo                             - Cristina, vuoi tu...?

Cristina                       - È di sopra? (Cenno del capo di Ignazio, il quale porge le chiavi di casa). Non si può...? Un dottore...

Ignazio                        - Oh, niente da fare.

Cristina                       - (a Giannina) E lei venga, su. Si muova anche lei. (Le due donne escono da sinistra).

 

Ugo                             - Uccisa? Un delitto, allora?

Ignazio                        - Una pugnalata nella schiena. Spaventoso. In casa non c'è nessuno. Neanche servitù. Sono corso qui... So che a quest'ora è alzato a lavorare... Capirà...

Ugo                             - Si calmi. Mi. spieghi.

Ignazio                        - Lei non ha udito niente di sopra'

Ugo                             - Io? No. Niente di anormale.

Ignazio                        - Io ero all'Opera.

Ugo                             - Anche mia moglie.

Ignazio                        - Avevo lasciato Federica tranquilla, sorridente. Son rincasato due minuti fa; era lì, distesa per terra, in un lago di sangue,

Ugo                             - E non ha idea del come possa essere accaduta la disgrazia?

Ignazio                        - Niente.

Ugo                             - Quando lei è uscito ha lasciato sola sua moglie?... Scusi, questo non è cosa che ri­guarda me.

Ignazio                        - No. Io non ho misteri. C'era un ospite. E c'era suo fratello... (Con improvvisa preoccupazione) Pur che di sopra la sua signora non tocchi niente. Si tratta di un delitto...

Ugo                             - Ha avvertito la polizia?

Ignazio                        - No: son corso giù. Mi dica, mi dica lei che è pratico....

Ugo                             - Che cosa? Ah, già. Sì: in teoria. In ogni modo credo che sia necessario avvertire subito la polizia. Ecco il telefono...

Ignazio                        - Sarà debolezza, la mia, non ho co­raggio. È ridicolo in un uomo. Se sapesse che cosa vuol dire...

Ugo                             - Vuole che telefoni io?...

Ignazio                        - Sì: la prego.

Ugo                             - (consultando la guida telefonica) Com­missariato... Ecco... (Forma un numero). Pron­ti... C'è il commissario di notturna? Sì, per fa­vore... Io sono Ugo Durbini... Pronti. Sono Durbini. Via Venti Settembre, quarantadue. In casa nostra, al piano di sopra, è avvenuto un delit­to... Sì, la signora Ullstein... Federica Ullstein... Stein... È stata trovata morta. Una pugnalata. Ho qui nel mio studio il marito che ha fatto la scoperta poco fa rincasando... No: niente da fare. Viene con lei un dottore per le constata­zioni? Va bene. Grazie. (Riappende).

Ignazio                        - Povera donna! Era un po' pazza, ma finire così...

Ugo                             - E non c'erano indizi?... Niente?... La porta di casa?...

Ignazio                        - Chiusa. Tutto era in ordine. La luce spenta. L'assassino deve essersene andato tranquillamente.

Ugo                             - Disordine? Tracce di lotta?

Ignazio                        - No: niente.

Ugo                             - Manca qualcosa in casa?

Ignazio                        - Non ho avuto il tempo di control­lare. Ma non m'è parso, così, a occhio.

Ugo                             - Ma la servitù di casa?

Ignazio                        - La cuoca dorme con la cameriera all'ultimo piano: e Giorgio, stasera, aveva avuto licenza. È uscito subito dopo servito il caffè. In casa non c'era nessuno. (Squilla il telefono).

Ugo                             - (al telefono) Pronti? Sì, sono io. Sì., [Sì. Esatto. Prego... Aspettiamo. (Riappende). Era ancora la polizia. Voleva la conferma. Temono sempre si tratti di qualche scherzo. E la 'signora era ancora vestita...?

Ignazio                        - Sì: non era andata a coricarsi. È stata colpita in salotto. Di schiena: mentre scri­veva qualcosa. (Da sinistra rientra Giannina).

Ugo                             - Ebbene?

Giannina                     - Credo che sia morta almeno da un'ora.

Ugo                             - Come lo sa?

Giannina                     - Dalle cognizioni che ho acqui­state lavorando con lei...

Ugo                             - Se lei bada a quello che le ho detto io!... Spero che non avrete toccato il corpo?

Giannina                     - So quel che si deve fare. Non è stato toccato niente. Però ho stenografato tutto quanto ho potuto notare.

Ugo                             - Perché?

Giannina                     - Può sempre servire. La signora ha voluto rimanere lì. Finché non giunge qual­cuno.

Ignazio                        - La polizia è stata avvertita. Non può tardare.

Ugo                             - È stata colpita mentre stava scriven­do, vero?

Giannina                     - Nel caso, quando aveva già fi­nito di scrivere. Sulla scrivania c'era una busta chiusa con un indirizzo. Eccolo: «A Giusto Coller - Hotel Métropole - Città».

Ignazio                        - È suo fratello.

Ugo                             - Ma lei non ha detto che suo fratello, stasera, si trovava in casa?...

Ignazio                        - Sì. Essa non lo voleva ricevere. Ma Giusto, dopo aver parlato con me, mi ha detto che intendeva vedere la sorella. Sono usci­to quando egli appunto passava di là, in salotto.

Ugo                             - E allora perché la signora gli avrebbe scritto?

Ignazio                        - Non so.

Giannina                     - Per terra ho visto delle polizze di pegno. Ecco i dati. (Leggendo i propri ap­punti) «Un anello di platino con smeraldo... Giusto Coller... Parigi... Quatremillefrancs... -Una spilla con rubini... Giusto Coller: teelve pounds... Londra...». Una polizza era semi­coperta dal corpo della signora. Non ho potuto leggere.

Ugo                             - Tutto fa capo a questo Giusto Coller. (Pausa). «Hotel Métropole», ha detto?

Giannina                     - Sì.

Ugo                             - Se lo chiamassimo al telefono? Come fratello, sarà bene avvertirlo.

Ignazio                        - Non è meglio lasciare alla polizia questo compito?

Ugo                             - Forse. E l'altro ospite? Lei aveva detto di avere un'ospite stasera in casa, quando è uscito.

Ignazio                        - Infatti. Un signore che non avevo mai visto prima. E che mia moglie aveva invi­tato. Un aviatore. Aviazione civile. (A Giannina, che stava frattanto scrivendo) Che cosa scrive?

Giannina                     - (enigmatica) Abitudine profes­sionale.

Ugo                             - Ma perché possono aver ucciso la sua signora? S'è chiesto quale possa essere stato il motivo?

Ignazio                        - Non ho idee.

Giannina                     - E se le avesse non le direbbe.

Ignazio                        - Come?

Giannina                     - Immagino che le direbbe alla polizia, non a noi.

Ignazio                        - (ad Ugo) Lei conosceva bene Fe­derica, vero?

Ugo                             - Bene forse è dir troppo. Sì: era ve­nuta qui da me qualche volta. M'aveva anzi detto che aveva intenzione... Non so se fosse vero, di divorziare...

Ignazio                        - Erano in corso le pratiche, infatti.

Ugo                             - Allora, scusi l'indiscrezione, ma ora­mai...

Ignazio                        - Dica, dica. Ho bisogno di parlare, di sfogarmi...

Ugo                             - Allora non c'era amore tra lei e la sua signora?

Ignazio                        - Io le volevo molto bene; e anche lei, a modo suo, mi voleva bene. Ma era capric­ciosa. Ora le era preso il capriccio di sposare un aviatore. E con i suoi capricci non si lotta­va, sa. Non c'era che da arrendersi. E così ho fatto io.

Ugo                             - L'aviatore che stasera era rimasto in casa? ...

Ignazio                        - Era quello! Mattia Cintra. È pi­lota sulla linea Barcellona. Parte domani. Un simpatico giovane.

Ugo                             - E questo fratello, di cui s'è parlato, chi è?

Ignazio                        - Ma! Io non voglio gettare la croce addosso a nessuno. Finora è stato un disgraziato. Non ha avuto fortuna. Un po' il tempera mento della sorella. Ma più squilibrato ancora Si figuri che è stato anche frate. Ma è stato cacciato dall'Ordine. Del resto io lo conosco poco

Ugo                             - E ieri sera, quando è venuto da lei che cosa voleva?

Ignazio                        - Sempre la stessa cosa: soldi! M'ha raccontato una storia complicata e romanzesca. Conclusione: voleva cinquecento sterline.

Ugo                             - E lei gliele ha rifiutate?

Ignazio                        - Federica m'aveva detto di non dar­gli niente, a nessun costo.

Ugo                             - Capisco. Era un violento questo fra­tello?

Ignazio                        - Non m'era sembrato. Federica sì, almeno a parole. Minacciava sempre tutti. Portava una rivoltella carica nella borsetta... Ma non le è servita gran che... (Alzandosi). Vado su. Il mio dovere è di trovarmi lì quando giun­gerà la polizia. Oramai non può tardare. Un po' di forze le ho riprese. E poi non voglio abusare della sua povera signora... Io la ringrazio. Mi scusi quest'irruzione. Ma lei può capire... E se mi può aiutare in qualche modo... Lei ha mol­ta competenza in materia per scoprire...

Ugo                             - Se potrò, volentieri.

Ignazio                        - Sembrava che avesse mille vite, ricorda? E ora... Ma! (Stringe la mano ad Ugo ed esce. Ugo si alza, fa qualche passo).

Ugo                             - Be', ora può anche andarsene. Ora­mai... Non vorrà mica che lavori con una mor­ta sulla testa?

Giannina                     - È l'argomento che cercava.

Ugo                             - Cosa?

Giannina                     - Il romanzo. Non trova che sia abbastanza complicato? C'è una morta. Una morta interessante; una situazione viva. Il di­vorzio in corso, l'aviatore, il fratello ex frate, il marito all'Opera. Non vede il quadro? Lei conosceva bene la vittima: quindi la può de­scrivere...

Ugo                             - - In fondo, sì: un'idea c'è...

Giannina                     - Un'idea? Ce ne sono molte.

Ugo                             - Sì: ma per scrivere una cosa del ge­nere bisogna sapere prima chi è il colpevole.

Giannina                     - Perché?

Ugo                             - Per far cadere i sospetti su tutti, meno che su di quello. È l'abbiccì del mestiere. E qui...

Giannina                     - Scusi, sa, se non sono del suo parere: ma oramai tutti conoscono questo trucco. E più i sospetti pesano su un indiziato più il lettore pensa: «Allora è innocente». Il col­pevole è sempre il non sospettato.

Ugo                             - Già: è vero. Sarebbe un'originalità scoprire all'ultimo che il vero colpevole è pro­prio quello del quale s'era sospettato in prin­cipio. Certo sarebbe una sorpresa. Non so però come la prenderebbe il lettore. (Pausa). Povera Federica! Era una russa, o una lituana. Da quelle parti lì. (A Giannina) E poi, no, im­possibile.

Giannina                     - Perché? Io il materiale l'ho rac­colto appositamente.

Ugo                             - Impossibile. C'è troppo poco margine di sospetto. Due indiziati: o quel fratello o quell'aviatore. Come si tira avanti un romanzo di trecento pagine con due soli elementi del genere?

Giannina                     - Intanto perché due soli? C'è il cameriere... Giorgio.

Ugo                             - Aveva licenza.

Giannina                     - Può aver finto di allontanarsi.

Ugo                             - Ma no! Siccome non lo può vedere, lei ora mi vuol far credere... Per carità! Perché mi vuole...?

Giannina                     - - Questo è compito suo, del romanziere, trovare i moventi! »

Ugo                             - Vediamo un po'... (Siede e prende degli appunti). Fratello... Aviatore... Cameriere...

Giannina                     - Poi il marito stesso...

Ugo                             - Era all'Opera.

Giannina                     - Questo lo dice lui. Chissà se è vero?

Ugo                             - Mettiamo: marito.

Giannina                     - E poi l'X necessario, la persona misteriosa, insomma quella che alla fine vena a dire: «L'ho assassinata io!».

Ugo                             - Alla fine si potrebbe anche risolvere dicendo che è stato un suicidio, o una disgrazia,

Giannina                     - Non credo: un pugnale nella schiena.

Ugo                             - Già: com'era? Distesa sulla schiena?

Giannina                     - Piegata: sul fianco. Una mano stretta a pugno, l'altra aperta. Un po' di ros­setto sulle labbra sbavato. Come se avesse dato di recente un gran bacio.

Ugo                             - Voi donne non pensate che ai baci. Quello dipendeva dall'assassino che le ha messo una mano sulla bocca per impedirle di urlare.

Giannina                     - Può essere vero.

Ugo                             - E allora... Su, raccogliamo gli ele­menti, prima che la polizia ci preceda, faccia gli arresti, ci impedisca i contatti. Quell'avia­tore domani parte per Barcellona. Bisogna farlo venir qui, subito.

Giannina                     - Se ha ucciso lui, non verrà...

Ugo                             - (cercando sulla guida telefonica) Cin­tra... Cintra... Verrà. Se no, sarebbe come rico­noscere la propria colpa. Ecco... (Forma un nu­mero). Lei, intanto, mi cerchi il «Métropole»... (Giannina cerca sulla guida telefonica. Ugo, mentre attende al telefono che rispondano, ac­cenna al piano di sopra) La polizia. Sono giun­ti... (Al telefono) Pronti! Il signor Cintra, per favore?... Mattia Cintra. Ah, ecco... Scusi se la disturbo a quest'ora... Era a letto? No? Be', tanto meglio. Bisognerebbe che lei venisse su­bito in Via Venti Settembre quarantadue. Dal signor Durbini. Sì. Il romanziere. Lo so, ma è necessario ed urgente. Scusi se insisto. Sì, è per Federica. Ecco. No, no. Ma venga subito! Ah! Credevo che lei avesse la chiave... Mando giù io ad aprire. Grazie. E scusi. (Riappende) Tro­vato?

Giannina                     - Venticinque-quattro-trentuno.

Ugo                             - Forse è meglio che chiami lei. Voce di donna. (Giannina forma il numero). Ha in­teso come deve fare, vero?

Giannina                     - (accenna di sì; poi, al telefono) «Hotel Métropole»? Sì... Il signor Coller, per favore. Giusto Coller... Lo so, ma è urgente.

Ugo                             - (piano) È rientrato?

Giannina                     - Pronti... Parlo col signor Col­ler? Scusi, sa, ma è necessario che lei venga subito in Via Venti Settembre quarantadue. No. Al piano di sotto. Durbini. Lo scrittore. Capisco, ma è una cosa urgente e necessaria. Si tratta di Federica. Ecco. Ci sarà giù qualcuno ad aprirle. Grazie. (Riappende).

Ugo                             - Ed ora vada di là: svegli Severina e la mandi giù. Che non dica niente. Visitatori per me, e basta. Intesi?

Giannina                     - Va bene. (Esce da destra. Ugo siede alla scrivania e prende degli appunti).

Ugo                             - Moventi possibili... Gelosia... Vendet­ta... Interesse materiale... Amore contrastato... (Da sinistra rientra Cristina e cade a sedere su una poltrona).

Cristina                       - Non ne posso più! Disgraziata...

Ugo                             - La polizia è venuta, vero?

Cristina                       - Si: Ora stanno interrogando il marito. Hanno frugato dappertutto, sequestrato tutto.

Ugo                             - Che cosa hanno trovato?

Cristina                       - Niente. Una lettera indirizzata al fratello.

Ugo                             - Questo Io so. L'hanno aperta?

Cristina                       - Credo di sì. Ma non m'hanno detto che cosa c'era scritto. Poi è tornato, men­tre ero lì, il cameriere. Rincasava allora. L'han­no arrestato, o almeno l'hanno rinchiuso in una stanza, con una guardia di sentinella. Pare che debbano interrogare anche lui. Povera signo­ra!... (Da destra rientra Giannina che va al proprio posto).

Giannina                     - Fatto.

Cristina                       - (a Ugo) Potresti mandare a dor­mire la segretaria. Oramai...

Ugo                             - No. Questo è il romanzo che cercavo...

Cristina                       - Eh? Vorresti...?

Ugo                             - Già.

Cristina                       - Sfruttare una disgrazia di que­sto genere?

Ugo                             - Cambio i nomi, le città, le professio­ni, tutto. Ma questo è l'argomento. Signorina: ecco la lista dei possibili moventi. Prepari quat­tro cartelle e poi cominciamo a raccogliere dati.

Giannina                     - Sta bene. (Prende gli appunti che Ugo le dà e prepara le cartelle).

Cristina                       - E tu cosa credi? Chi sarà stato?

Ugo                             - Per ora non credo niente. Siamo nella fase delle ricerche. Su, aiutami anche tu. Fuo­ri qualche pettegolezzo. Se non li sai tu... La vita di questa signora Federica come si svol­geva?

Cristina                       - Oh, Dio! Ora che è morta, bi­sogna dirne bene, si capisce.

Ugo                             - Fa finta che ancora sia viva. Su, co­raggio. Che si diceva nel casamento?

Cristina                       - Be', che era un po' stravagante. Intanto era ricca, molto ricca.

Ugo                             - (o Giannina) Segni nella cartella « In­teresse materiale », vittima molto ricca. Ma ric­ca lei o ricco il marito?

 

Cristina                       - Ma se a tavola te l'ho detto cento volte... La ricca era lei. E non aveva dato il suo denaro al marito.

Ugo                             - A tavola non bado alle tue chiacchie­re. Ora, invece, c'è il motivo professionale. Be­nissimo. Ricca. Parenti? Eredi probabili?

Cristina                       - Non so. Intanto il fratello, il marito.

Ugo                             - (a Giannina) Prenda nota, sempre. (A Cristina) Amanti? Mi pare che a tavola tu m'abbia parlato anche d'amanti...

Cristina                       - Sì, insomma, non credo che con­ducesse una vita castigatissima.

Ugo                             - Nomi. Vogliamo dei nomi.

Cristina                       - L'anno scorso c'era un maestro di musica. Gagliardi. Remo Gagliardi.

Ugo                             - Scriva, signorina. Remo Gagliardi.

Giannina                     - Attualmente si trova in Ame­rica a dirigere al «Colon».

Ugo                             - Ne è sicura?

Giannina                     - Certissima.

Ugo                             - Allora cancelli. (Alla moglie) Altri nomi. Qualcuno di più recente non c'è?

Cristina                       - Dicevano che anche un corridore automobilista... Pergovic...

Giannina                     - Correva oggi la « Coppa delle 4O ore» a Spa.

Ugo                             - Allora niente. Nessun altro?

Cristina                       - Non saprei...

Ugo                             - Impossibile che a una coinquilina voi donne attribuiate solo due o tre amanti. È in­verosimile.

Cristina                       - Ah, sì... C'è stato...

Ugo                             - Volevo ben -dire io. Avanti...

Cristina                       - Uno che veniva tutte le sere a suonare la chitarra. Lo ricorderai anche tu!... Abbiamo anzi fatto una protesta perché ti di­sturbava nel lavoro.

Ugo                             - E tu credi che quel suonatore pelatino...? Ricordo infatti.

Cristina                       - Uno non viene tutte le sere a suonare la chitarra per niente.

Ugo                             - È una cosa un po' vaga. Comunque, signorina, scriva: suonatore di chitarra, pelatino. (Alla moglie) E il marito, secondo l'opi­nione pubblica, era geloso o no?

Cristina                       - Il marito era come tutti i ma­riti: geloso di chi non era pericoloso. E poi, geloso no: con una moglie russa, o si spara dopo tre giorni di matrimonio, o non si spa­ra più.

Ugo                             - Esatto. (A Giannina) Scriva: «Il ma­rito da troppo tempo sopportava tacendo per poter ammettere una tardiva reazione». (A Cri­stina) E ora va' a letto.

Cristina                       - Ho perduto il sonno.

Ugo                             - Va' a letto egualmente perché noi qui abbiamo da lavorare. Un momento. Di sopra hanno identificato di dove veniva il coltello con cui è stato commesso il delitto?

Cristina                       - Sì, sì. È un banale coltello da cucina. Di casa loro. Il cameriere l'ha ricono­sciuto.

Ugo                             - Benissimo. Teste, potete ritirarvi. Va' pure, cara.

Cristina                       - Se credi che potrò chiuder occhio con quel che è accaduto lassù...

Ugo                             - Non lo chiudere. Ma va egualmente.

Cristina                       - E va bene. Però, se vuoi sapere: quando tra di noi si parlava di Federica, dice­vamo sempre: «Quella finirà male!». E infat­ti... (Esce da destra).

Ugo                             - Bisognerebbe sapere con esattezza che cosa la vittima aveva scritto in quel biglietto... Nella cartella « Interesse » aggiunga: « Fratello bisognoso di cinquecento sterline ».

Giannina                     - Per me, il fatto che è stato ado­perato un coltello da cucina, indica che l'as­sassino appartiene alla servitù.

Ugo                             - (alzando le spalle) Che idee!

Giannina                     - E le impronte digitali? Sul ma­nico del coltello ci saranno state...

Ugo                             - Ma no, andiamo. Mi meraviglio di lei. Da quando la polizia ha scoperto il trucco delle impronte digitali, non c'è più delinquente che non adoperi guanti. Non c'è da fare nessun affidamento sul coltello. Invece, ragioniamo. Se l'assassino non si trovava in casa con lei...

Giannina                     - E perché non doveva trovarsi in casa con lei?

Ugo                             - Per quella lettera. È strano che una signora si metta a scrivere una lettera se ha ospiti in casa. Più strano ancora che scriva al fratello, se il fratello è lì. Quindi, ammettiamo per un istante che tutti fossero andati via. Co­m'è entrato, in tal caso, l'assassino?

Giannina                     - Con una chiave falsa. O era na­scosto in casa.

Ugo                             - Faccio questa domanda perché verso mezzanotte abbiamo udito suonare insistente­mente, ripetutamente un campanello al piano di sopra. Non ricorda?

Giannina                     - Già. È vero.

Ugo                             - Ecco. Quindi, tra i dati positivi met­tiamo: «Ripetuti squilli di campanello alla por­ta della vittima: mezzanotte». (Udendo dei pas­si verso sinistra) Qui c'è qualcuno... (Va a si­nistra). Avanti. Avanti. Ah, tutt'e due? Benis­simo. (Entrano da sinistra Mattia e Giusto, ve­stiti come al primo atto).

Giusto                         - Siamo giunti insieme... E non sap­piamo...

Ugo                             - (presentandosi) Permette? Durbini.

Mattia                         - Cintra.

Giusto                         - Coller. Giusto Coller...

Ugo                             - Siete rimasti sorpresi di questa mia chiamata in piena notte...

Mattia                         - Ecco... Veramente... Infatti...

Giusto                         - Ma siccome ha detto che si trattava di Federica...

Ugo                             - Appunto. È accaduto qualcosa di grave.

Giusto                         - Che è accaduto?

Ugo                             - Purtroppo è accaduta una disgrazia,

Giusto                         - A mia sorella?

Ugo                             - Sì.

Giusto                         - (alzandosi di scatto) Che le hanno fatto? Dov'è?

Ugo                             - È inutile. È stata trovata uccisa.

Giusto                         - Federica? (Fa per slanciarsi, ma Mattia, di colpo, lo afferra per un braccio e lo trattiene).

Mattia                         - Non ti muovere, assassino!

Giusto                         - Cosa? Cos'hai detto?

Mattia                         - Che l'hai uccisa tu!

Giusto                         - Ah, canaglia! (Si scaglia contro l'aviatore. Breve colluttazione. I due vengono separati da Ugo e Giannina).

Ugo                             - Andiamo. Siamo calmi, per carità...

Giusto                         - Lasciatemi andare. Voglio andar di sopra...

Ugo                             - Si faccia forza. Di sopra non c'è nien­te da fare. Federica, oramai, non ha più biso­gno di nessuno. E lei, probabilmente sarebbe arrestato.

Giusto                         - Io?... Perché?

Ugo                             - C'è la polizia di sopra. Lei stasera è stato in casa di sua sorella. E ha udito il signor Cintra - è facile sospettare...

                                   

Mattia                         - Io ho altri motivi...

Ugo                             - Ah, sì? E vuol dirci quali?

Mattia                         - Ma scusi, lei che c'entra?

Giusto                         - Sì. Perché ci ha fatti venir qui? Perché c'interroga?

Ugo                             - Capisco che il mio intervento possa sembrare strano. Ma c'è un delitto. Cerchiamo per un momento di dominare i sentimenti che la disgrazia suscita in noi, e vediamo di aiutare l'opera di ricerche della verità. Voi due sarete tanto più interessati alla scoperta del colpevole in quanto che eravate legati, in modo diverso, ma entrambi, alla povera signora, e siete stati con lei poche ore fa. Quindi se io vi do modo di far luce su questo delitto, dovete essermi rico­noscenti ed aiutarmi. Sì, lo so. Io sono solamen­te romanziere. Ma ho una certa competenza in materia, e vi dico: «Mettiamo insieme e ten­tiamo di chiarire il mistero prima che altri ce lo ingarbugli».

Mattia                         - Io so chi è stato: gliel'ho detto. Lo denunci pure.

Ugo                             - Va bene. Ma ci vogliono le prove. (A Giusto) Anche lei vorrà sapere le prove che il signore crede di possedere contro di lei.

Giusto                         - Avanti, sentiamo. Perché anch'io ho dei sospetti. E poiché si vuol conoscere la verità, può darsi che quel che so io serva.

Mattia                         - Il signore dice di essere il fratello di Federica.

Giusto                         - Come dice? Sono il fratello.

Mattia                         - Sì, anche Federica l'ha detto. An­che suo marito.

Ugo                             - E allora?

Mattia                         - Può darsi. Ma io...

Ugo                             - Andiamo. Non bisogna lasciarsi so­praffare dalla gelosia. Capirà che questo è un elemento facilmente controllabile.

Mattia                         - Se è fratello, peggio. Ieri sera era venuto a chiedere dei quattrini alla sorella. Io ero presente. Federica si è rifiutata di darglieli. E il signore se n'è andato dopo aver buttato per terra, a dimostrazione del suo stato di bisogno, le polizze dei suoi gioielli impegnati un po' qua e là nel mondo.

Ugo                             - (a Giusto) È esatto?

Giusto                         - Sì.

Mattia                         - Io, anzi, dopo che egli se n'era andato, ho rimproverato Federica di questa sua durezza, facendole presente che realmente il fratello poteva trovarsi in una situazione cri­tica. Ed essa è rimasta un po' scossa. Ricordo che ha avuto la tentazione di richiamare il fra­tello, ma non sapeva in che albergo alloggiasse. Più tardi il fratello le ha ritelefonato: ho udito la telefonata. Insisteva. La voleva rivedere. La supplicava: sempre per quelle cinquecento ster­line. E Federica m'ha detto allora di scendere ad aprire lo sportello al signore.

Ugo                             - Che ora era?

Mattia                         - Saranno state le undici, al massimo. Io sono disceso. Ho aperto lo sportello al signore, che è entrato, e sono rimasto lì ad aspettare.

Ugo                             - Ad aspettare che?

Mattia                         - Volevo sapere quanto il signore sarebbe rimasto.

Ugo                             - Che dubbi aveva?

Mattia                         - Ebbene. Io ero innamorato della signora Federica.

Ugo                             - Lo so, e lei doveva anche sposarla, credo, non appena avesse divorziato.

Mattia                         - Forse. Ma ieri sera avevamo avuto una discussione un po' vivace.

Ugo                             - Per che motivi?

Mattia                         - Non so. Perché avevo saputo che essa era più ricca di quanto credessi. E poi perché ero geloso. Sì, lo confesso. Geloso. E Fede­rica aizzava questa mia gelosia. Mi esasperava. Era una donna... E poi, se la conoscevate, inu­tile che vi dica...

Ugo                             - Quando l'avete lasciata, ieri sera, in che termini vi siete separati?

Mattia                         - Essa aveva detto di non volermi più rivedere.

Ugo                             - Dunque, lei è rimasto giù, durante questo secondo colloquio tra fratello e sorella?

Mattia                         - Sono rimasto giù. Non credevo che fosse suo fratello... Lo credevo un amante. Im­maginavo che sarebbe rimasto con lei chissà quanto. Volevo sapere. E poi volevo rivederla. Appena fosse andato via quell'uomo volevo ave­re una spiegazione. Non potevo rimanere sotto il peso di quei dubbi, di quella lite. Io l'ama­vo, ed ero sicuro che anch'essa mi amava!

Ugo                             - E quanto tempo è durato questo col­loquio tra fratello e sorella?

Mattia                         - Quasi un'ora. Doveva essere circa la mezzanotte quando il signore è ridisceso.

Ugo                             - (a Giusto) In questo colloquio che vi siete detto?

Mattia                         - (insorgendo) È stato allora che l'ha uccisa! Le ha chiesto ancora del denaro e l'ha uccisa perché essa rifiutava!

Giusto                         - (cavando di tasca il portafogli e apren­dolo) Ecco le cinquecento sterline che Fede­rica m'ha dato.

Mattia                         - Ve le ha date?

Giusto                         - Ho dovuto insistere per quasi un'ora. Alla fine mi ha firmato questo chèque. Viene dunque a cadere il movente di questo mio supposto delitto. Durante il colloquio che io ho avuto con Federica essa m'ha annunziato che non avrebbe più sposato il signore. Che aveva aperto gli occhi sul suo conto e che, mal­grado le insistenze di cui l'aveva minacciata, non l'avrebbe più ricevuto.

Ugo                             - (a Mattia) Allora era avvenuta una rottura completa tra lei e la signora?

Mattia                         - Credevo fossero liti passeggere. Quando si ama è facile avere dei contrasti.

Ugo                             - Dunque, lei ha veduto, verso mezza­notte il signor Coller allontanarsi?

Mattia                         - Sì. E io sono risalito.

Giusto                         - Me ne sono accorto. Era rimasto lì, accanto al portello.

Mattia                         - Perché non richiudesse. Il portello si apre senza chiave solo dall'interno.

Giusto                         - Sono rimasto stupito di vedere il signore ancora lì. E quando ho veduto che egli saliva, gli ho detto: «Non vi riceverà».

Mattia                         - Perché sapevate che era morta!

Giusto                         - Perché mi aveva detto che non vi avrebbe più ricevuto.

Mattia                         - Ma come sapete che fossi io?

Ugo                             - (a Mattia) Lei, dunque, è risalito...

Mattia                         - Sì. Ho suonato una, due, tre volte insistentemente...

Ugo                             - (a Giannina) La scampanellata a mez­zanotte.

Mattia                         - L'ho anche chiamata, attraverso la porta, per implorarla. Immaginavo che potesse ascoltarmi. Niente. Nessuno è venuto ad aprire. Era morta!

Giusto                         - Non ha voluto aprirvi. Udiva e non apriva.

Mattia                         - Era morta. Mi amava.

Giusto                         - Voi non la conoscevate! Era osti­nata!

Mattia                         - Non la conoscevate voi. Mi amava. Non avrebbe resistito. Era morta.

Giusto                         - E chi dice che non vi abbia aperto?

Mattia                         - Che cosa?

Giusto                         - Siete voi solo a sostenere che la porta sia rimasta chiusa. Io so che a mezzanotte ho lasciato mia sorella viva. E so che voi siete risalito in casa sua. Poco dopo l'hanno trovata uccisa. Chi mi garantisce che essa non vi abbia aperto e che...?

Mattia                         - Farabutto!

Giusto                         - Volete che abbia dei riguardi con chi mi accusa di fratricidio?

Mattia                         - Ma voi...

Giusto                         - Contro di me non c'è nessun mo­vente possibile. Io ero venuto a chiedere dei quattrini a mia sorella, perché era ricca. Essa me li ha dati. Eccoli qui. Perché mai avrei do­vuto ucciderla? Voi invece eravate un innamo­rato respinto, cacciato...

Mattia                         - Se vi giuro che nessuno mi ha aperto la porta!

Giusto                         - Bisognerà provarlo!

Mattia                         - (a Ugo) Senta, io non posso am­mettere...

Ugo                             - Voi due vi accusate a vicenda: eppure entrambi eravate legati da un profondo, sincero affetto alla vittima...

Mattia                         - Io, ucciderla? Preferirei morire io.

Giusto                         - Voi non sapete che cosa sia il vin­colo tra due fratelli, da noi!

Mattia                         - Eppure siete stato voi...

Ugo                             - (a Mattia) Lei ha detto, mi pare, che la signora ignorava in che albergo alloggiasse il fratello.

Mattia                         - Non lo sapeva...

Ugo                             - (a Giusto) E lei, durante il secondo colloquio avuto con la sorella, le ha detto il nome del suo albergo?

Giusto                         - No, non me l'ha chiesto. Non c'era nessuna ragione che...

Ugo                             - E allora come mai è stata trovata una lettera sulla scrivania del salotto, una lettera chiusa, scritta dalla vittima, sul cui indirizzo c'era: «Giusto Coller, Hotel Métropole »? Se essa ignorava che lei abitasse all'« Hotel Métro­pole » come mai ha scritto quell'indirizzo?

Giusto                         - Una lettera a me?

Ugo                             - Già.

Giusto                         - E che aveva da scrivermi?

Ugo                             - Questo lo sapremo dalla polizia che avrà aperta la lettera. (Campanello). Chi altro può essere a quest'ora?

Giannina                     - Vado io?

Ugo                             - Dev'esser ancora alzata Severina.

Delegato                     - (entrando) Permesso?... Scusi­no. Sono il delegato di notturna. Al piano di sopra è stato commesso...

Ugo                             - Sappiamo.

Delegato                     - L'agente che era giù di servizio m'ha detto che due signori sono venuti poco fa... I signori, forse?

Ugo                             - Infatti.

Delegato                     - Non ci sarebbe, per caso, tra loro un certo signor Giusto Coller?

Giusto                         - Sono io. Perché?

Delegato                     - Ecco. Lo immaginavo, infatti Ho il dovere di dichiararla in arresto.

Giusto                         - Io?... Perché?

Mattia                         - È stato lui. È stato lui.

Delegato                     - È stata trovata una lettera della vittima.

Giusto                         - E se io avessi uccisa mia sorella avrei lasciato lì una lettera perché mi accusasse?

Delegato                     - È quel che ci siamo detto anche noi. Ma forse nell'emozione dell'istante non è stata scorta. Può accadere... (Leggendo la let­tera) La lettera dice...

Ugo                             - (a Giannina) Stenografi...

Delegato                     - « So che tornerai a me. Ho udito il tuo passo. E mi conosco: non cederò. La mia vita sarà spezzata dalla tua collera. So che non c'è più speranza. Ti perdono egualmente. Federica ».

Giusto                         - È impossibile.

Delegato                     - La lettera è chiara.

Giusto                         - È falsa!

Delegato                     - Faremo periziare la calligrafia. A prima vista sembra autentica. Come sembra l'impronta del sigillo di ceralacca: impronta fatta col pollice...

Mattia                         - Chiudeva sempre le sue lettere così!

Giusto                         - Ma è assurdo! Incredibile! Perché avrebbe scritto una lettera simile? Io ero stato da lei, sì, ma avevo avuto quello che chiedevo. Non è ammissibile che...

Delegato                     - Vuol favorire con me?...

Ugo                             - Vada, vada.

Giusto                         - Io, uccidere Federica! È mostruo­so. (A Ugo) Senta, avverta almeno all'albergo. Avevo lasciato qualcuno. Una donna. La infor­mi con cautela. (Al Delegato) Andiamo. Sarà bene che lei tenga gli occhi addosso anche al signore. È l'uomo che avrebbe dovuto sposare mia sorella.

Delegato                     - Ah, Mattia Cintra?

Mattia                         - Precisamente.

Giusto                         - Ed è l'ultimo che l'ha veduta viva!

Mattia                         - Non è vero!

Delegato                     - Comunque, domani si presenti spontaneamente a dire tutto quello che sa alla questura. Nel suo interesse.

Mattia                         - Domattina sarò in questura.

Delegato                     - Buonanotte. Prego. (Esce con Giusto).

Ugo                             - Lei crede proprio che Giusto abbia ucciso la sorella?

Mattia                         - Certo; quello chèque... Ma chi vuole che sia stato?

Ugo                             - (calmo) Lo chèque potrebbe essere stato falsi­ficato... Ottima idea... (A Giannina) Scriva, signorina: «Chèque falsificato ». E met­ta un punto interrogativo vicino.

Mattia                         - È certo falsi­ficato.

Ugo                             - Ma dubito. Caro signor Cintra: quella lette­ra lasciata dalla morta era scritta a lei.

Mattia                         - A me?

Ugo                             - Sì, a lei. (A Gian­nina) Signorina, la rilegga.

Giannina                     - « So che tor­nerai da me. Ho udito il tuo passo... ».

Ugo                             - Quando lei suona­va il campanello...

Giannina                     - « E mi co­nosco. Non cederò...».

Ugo                             - Era innamorata. E non avrebbe ceduto...

Giannina                     - « La mia vita sarà spezzata dalla tua col­lera... ».

Ugo                             - È la lettera di un amante. Era scritta a lei.

Mattia                         - E l'indirizzo?

Ugo                             - Quello è falsifica­to. L'ho immaginato subito quando ho saputo che la vit­tima non conosceva la resi­denza del fratello.

Mattia                         - Ma... E il si­gillo con l'impronta del pollice?

Ugo                             - Se si tratta del pollice della morta, vuol dire che è stata adoperata la mano di Federica dopo che era morta!

Mattia                         - (nascondendo il viso tra le mani) Orrore!

Ugo                             - (piano alla segreta­ria, accennando a Mattia) Indubbiamente adoperare il dito d'una morta - e d'una morta che è stata la propria amante - adoperarlo come sigillo dopo averla assassi­nata, è una cosa che deve lasciare un ricordo d'orro­re. Scriva, signorina.

 

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena del primo atto: è mattina. Tutto è in perfetto ordine. Sono in scena Ugo ed Ignazio. Lo scrittore è seduto accanto alla scrivania, mentre Ignazio passeggia.

Ignazio                        - Queste formalità sono un suppli­zio, creda a me. Per quanto io sia un uomo abituato a tutte le emozioni, un delitto è sem­pre un 'delitto.

Ugo                             - - Già. Capisco.

Ignazio                        - Io cambierò casa. Non posso più vivere tra queste pareti.

Ugo                             - E l'alluminio, come va?

Ignazio                        - Che c'entra l'alluminio?

Ugo                             - Perché credo che l'unico modo di distrarsi in questi casi sia proprio quello di tuf­farsi negli affari: ora lei si occupa della pro­duzione nazionale dell'alluminio, mi pare.

Ignazio                        - Sarà la maggiore indipendenza economica conquistata, indispensabile in ispecie in caso di conflitto. L'alluminio...

Ugo                             - Sono competentissimo...

Ignazio                        - Ah, sì? Come mai?

Ugo                             - Noi scrittori, dobbiamo farci delle competenze svariatissime.

Ignazio                        - E a che cosa crede che possa ser­vire questa ricostruzione del delitto?

Ugo                             - Ma l'Autorità ci tiene a precisare i dati di fatto...

Ignazio                        - Oramai... mi pare che tutto sia chiarito...

Ugo                             - Quel fratello si difende con un'osti­nazione...

Ignazio                        - È logico. Ma i periti hanno stabi­lito l'autenticità di quella lettera trovata sul ta­volino.

Ugo                             - Già.

Ignazio                        - E allora?...

Ugo                             - Manca sempre il movente. Tutta la questione oramai è lì. Perché avrebbe dovuto ucciderla? I periti hanno provato anche che lo chèque di cinquecento sterline era perfettamen­te autentico.

Ignazio                        - Non so. Non riesco a capire.

Ugo                             - A quanto ammonta la sostanza della signora?

Ignazio                        - Con precisione non l'ho mai sa­puto. Era gelosissima dei suoi beni e se li am­ministrava da sé.

Ugo                             - Erede di tutto?

Ignazio                        - Lo sapremo appena il notaio apri­rà il testamento.

Ugo                             - Stamane.

Ignazio                        - Come?

Ugo                             - La lettura del testamento avverrà stamane, qui.

Ignazio                        - Qui?

Ugo                             - Sicuro. Il giudice istruttore è dell'opi­nione che il movente del delitto si nasconda proprio nel testamento.

Ignazio                        - Non capisco però perché si debba fare qui tale formalità...

Ugo                             - Si è voluto abbinare la ricostruzione! del delitto con la lettura del testamento. Le confesserò che è un'idea mia. L'ho esposta al giudice. È un uomo di prim'ordine, sa, il giu­dice. C'è da fidarsi. E ha aderito.

Ignazio                        - Per me, del resto, qui o in casa del notaio, fa lo stesso.

Ugo                             - Infatti... Giorgio è in casa?

Ignazio                        - Sì, perché?

Ugo                             - Vorrei chiedergli un' informazione. I Che vuole? Curiosità professionale. Io mi appassiono a questo genere di misteri.

Ignazio                        - Glielo chiamo subito. (Suona il campanello).

Ugo                             - In questo caso, poi, essendomi un poco trovato mescolato nella cosa, il mio inte­resse è doppio. Badi che anche mia moglie e la mia segretaria sono state convocate.

Ignazio                        - Ah, sì?

Ugo                             - Sono state le due prime persone estra­nee che hanno visto il corpo, quella notte. E allora...

Ignazio                        - Il primo sono stato io...

Ugo                             - Ho detto estranee. Lei, come marito, non è estraneo. (Intanto è comparso Giorgio). Di' un po': la sera famosa della morte della signora, tu avevi avuto licenza, vero?

Giorgio                       - Sissignore.

Ugo                             - E chi era stato che t'aveva personal­mente dato questa licenza?

Giorgio                       - La signora stessa. È una domanda che m'ha fatto anche il giudice.

Ugo                             - La signora stessa?

Giorgio                       - Sissignore.

Ugo                             - Chissà poi perché la signora, proprio quella sera, t'aveva dato licenza?

Ignazio                        - Ma perché desiderava rimanere sola in casa col suo aviatore, è logico.

Ugo                             - Ecco. Già. Quindi, «era logico». (Te­lefono).

Ignazio                        - (al telefono) Pronti... Sì... Sono io. Prego... Va bene. Allora aspetti un istante che metta la comunicazione in studio e prenda gli appunti... (A Ugo) Permette?

Ugo                             - Si figuri. Faccia, faccia pure. (Igna­zio ha spostato l'interruttore del telefono. Esce da destra). E, dimmi un po', giovanotto: hai visto il coltello col quale è stata uccisa la po­vera signora?

Giorgio                       - Sì, sì. Poi me l'ha fatto vedere anche il giudice.

Ugo                             - L'hai riconosciuto?

 

Giorgio                       - Sissignore. Era uno dei nostri col­telli da cucina.

Ugo                             - E sapresti dirmi con esattezza dove si trovava quel coltello la sera del delitto?

Giorgio                       - Certamente. Perché siccome non tagliava molto era stato messo da parte per darlo all'arrotino.

Ugo                             - Ah, benissimo. Da parte dove?

Giorgio                       - Nella cassetta dei ferri che è in dispensa.

Ugo                             - Quindi il coltello non si trovava in cucina?

Giorgio                       - No.

Ugo                             - Questo fatto, che il coltello si trovasse nella cassetta dei ferri, chi lo sapeva?

Giorgio                       - Nessuno, perché ce l'ho messo io.

Ugo                             - E chi t'ha interrogato su questo? Il giudice?

Giorgio                       - No. Dove si trovasse il coltello non me l'ha chiesto nessuno. E allora io non l'ho detto a nessuno.

Ugo                             - E non lo dire a nessuno.

Giorgio                       - Perché?

Ugo                             - Non si sa mai! Potresti essere accu­sato tu.

Giorgio                       - Non aprirò bocca. (Suonano il campanello).

Ugo                             - Va', va'. Hanno suonato. (Giorgio esce da sinistra e rientra subito dopo col giu­dice istruttore). Caro giudice... (Strette di mano).

Giudice                       - (a Giorgio) Gli altri testimoni li fate rimanere di là finché non chiamo io.

Ugo                             - L'imputato?

Giudice                       - C è. (Giorgio esce). Dunque è questa la stanza del delitto?

Ugo                             - Questa, signor giudice...

Giudice                       - Benissimo. Ho letto il vostro ma­noscritto...

Ugo                             - Ah, troppo buono.

Giudice                       - La scrivania alla quale era seduta la vittima è questa, vero?

Ugo                             - Questa.

Giudice                       - Bello. Ben scritto. Interessante.

Ugo                             - Grazie.

Giudice                       - Ma capirete che io non posso mica basarmi per la mia istruttoria su un ro­manzo.

Ugo                             - Però, vede che un poco... Il fatto di procedere all'apertura del testamento proprio qui... durante la ricostruzione del delitto, c'era nel mio libro...

Giudice                       - Mi era parsa una buona idea... Dunque, voi dite che in quel testamento c'è la chiave del segreto, vero? La sorpresa? Vedre­mo, vedremo.

Ugo                             - La logica, almeno...

Giudice                       - La logica, con le donne, caro scrit­tore... E quella povera signora, da quanto s'è raccolto, era un tipo che con la logica aveva proprio poco a che vedere!

Ugo                             - Lei, forse. Ma qui si tratta dell'as­sassino.

Giudice                       - Donne così, fanno perdere il lume della ragione anche alle persone più normali. (Da destra rientra Ignazio). Caro signor Ullstein... (Strette di mano). Ho condotto con me anche il perito calligrafo.

Ignazio                        - Perché?

Giudice                       - Per il testamento. Si fa qui la lettura. Lei lo sa, vero? Quel perito oramai è diventato competente in merito alla calligrafia della vittima. Ed è bene che dica subito se per caso il testamento non sia stato... Sa, alle volte capita!... Vogliamo allora cominciare con la let­tura del testamento o con la ricostruzione del delitto? Be', cominciamo col testamento, sarà meglio. Dunque, mi dica, signor Ullstein: il testamento lei l'ha trovato?...

Ignazio                        - Non l'ho trovato io. È stata la polizia che...

Giudice                       - Si capisce, si capisce.

Ignazio                        - In quel mobile.

Giudice                       - Benissimo. Sigillato, vero? Sigil­lato con l'impronta del pollice sulla ceralacca, come la lettera che era lì, sulla scrivania. Be­nissimo. Abbiamo fatto rilevare tali impronte digitali. Autentiche. Sono entrambe della vit­tima. Benissimo. (A Ugo) Voi non avete mai dubitato che fossero autentiche? Mi compiaccio. Avreste potuto fare il giudice istruttore. Avreste fatto carriera. Il corpo della signora Federica è stato trovato... lì, vero?

Ignazio                        - Quando io sono entrato, l'ho vista lì, distesa.

Giudice                       - Col viso contro terra o riversa?

Ignazio                        - Era piegata sul fianco.

Giudice                       - Voi non avete toccato il coltello, vero?

Ignazio                        - No, no. Appena mi sono accorto che non c'era più niente da fare, sono corso giù, dal signore...

Ugo                             - Esatto. È così anzi che comincia il romanzo.

Ignazio                        - Che cosa?

Giudice                       - Niente. Del resto le impronte di­gitali sul manico del coltello, zero. L'assassino aveva i guanti. (A Ugo) Come avete scritto voi, mi compiaccio. E allora sono salite qui la mo­glie del nostro scrittore e la sua segretaria... (Andando alla porta di sinistra) Moglie dello scrittore e segretaria... (Cristina e Giannina entrano). Prego, prego. Dunque, le signore sono salite non appena hanno saputo che qui c'era un morto... Benissimo.

Cristina                       - Siamo accorse.

Giudice                       - Era ai «Maestri Cantori», lei, quella sera?

Cristina                       - Sì.

Giudice                       - Bell'opera. E appena entrata ha visto la signora Federica distesa in un lago di sangue, vero? Lì, accanto alla scrivania?

Cristina                       - Sì, era lì. Oh, oramai era spirata da un pezzo.

Giudice                       - Aveva in mano, mi pare, una polizza.

Giannina                     - No, la polizza era sotto il corpo, non nella mano.

Ignazio                        - Non dovevamo cominciare dall'a­pertura del testamento?

Giudice                       - Infatti così faremo. Dunque la polizza non era nella mano della morta... Ma hanno osservato come fossero le mani della vit­tima? La destra? M'interessa solo la destra.

Giannina                     - Era aperta. Ricordo benissimo.

Giudice                       - (a Ugo) Mi compiaccio... E allo­ra... Vogliamo far entrare il signor notaio? (Va alla porta di sinistra) Signor notaio... signor pe­rito... (Entrano il notaio e il perito. Brevi sa­luti). S'accomodi, signor notaio. S'accomodi. Sì, sì. Devono restare anche le signore. Lo desidero io. Ah, ci vuole anche l'imputato, e l'aviatore. Già. Tutti. (L'agente che era sulla porta di si­nistra esce e introduce Giusto, che è tra due agenti, e Mattia). È veramente deplorevole che l'imputato non abbia ancora voluto scegliere un difensore. Deplorevole.

Giusto                         - Non mi occorre. Sono innocente.

Giudice                       - Ragione di più. Chi me la dimo­stra la sua innocenza? Provvederemo d'ufficio. S'accomodino, s'accomodino.

Ugo                             - (al perito) È lei il perito calligrafico?

Perito                          - Sono io.

Ugo                             - Sono Ugo Durbini.

Perito                          - Piacere.

Ugo                             - Dunque, la famosa lettera della signo­ra, era autentica, di suo pugno?

Perito                          - Indiscutibilmente.

Ugo                             - Ecco. E l'indirizzo...?

Perito                          - Ho esaminato il testo. Non l'indi­rizzo.

Ugo                             - Infatti. Era inutile.

Notaio                         - Allora...

Giudice                       - Un momento. Ci vuole anche il cameriere. (Ignazio suona il campanello. Com­pare Giorgio).

Ignazio                        - Rimani qui.

Giudice                       - Ecco, signor notaio, può comin­ciare.

Notaio                         - Questa busta, signori, dovrebbe contenere il testamento della signora Federica Coller Ullstein. Dico ce dovrebbe » perché nella busta non c'è alcuna indicazione. È una busta sigillata e l'impronta del sigillo è stata esami­nata dall'Autorità Giudiziaria che ha stabilito trattarsi del pollice della defunta.

Giudice                       - Pollice della mano destra.

Notaio                         - Questa busta è stata trovata in un mobile...

Giudice                       - Quell'armadietto lì, e un teste ci ha detto che la defunta, la sera stessa della sui morte, avrebbe affermato, indicando appunto detta busta in detto mobile: « È il mio testamento». È esatto, signor Cintra?

Mattia                         - Esatto.

Notaio                         - Quindi io posso rompere il suggel-lo... Ecco fatto.

Giudice                       - Prego il signor perito di voler ve­rificare se si tratta della calligrafia della signora Federica Coller in Ullstein.

Perito                          - (esaminando il documento che il notaio gli porge) Salvo le riserve necessarie pei» un esame scientifico rigoroso, posso dichiarare che la calligrafia sembra quella della signora Federica Coller in Ullstein.

Giudice                       - Sta bene. Si tratta realmente del testamento?

Notaio                         - Porta questa scritta in testa: «Mio testamento ».

Giudice                       - Allora dia lettura.

Notaio                         - « Lascio ogni mio avere in beni mobili ed immobili, salvo un legato di L. 5OOO al mio servitore Giorgio Patti, al mio unico pa­rente Giusto Coller, mio fratello carissimo. Fat­to oggi, 23 novembre 1934, in Genova». Segue firma. Acclusa c'è la lista dei titoli e dei valori con le esatte indicazioni delle loro giacenze. Per un ammontare di 3.468.OOO lire italiane.

                                    - (Segue una pausa).

Giusto                         - lo sono l'erede?

Giudice                       - Così sembra!

Ugo                             - Posso prendere visione del documento?

Giudice                       - Vi prego... Sorpreso, eh? Io no, dico la verità. (Ugo si avvicina alla tavola ed esamina il testamento).

Ugo                             - Signor giudice...

Giudice                       - Che c'è?

Ugo                             - Che ne dice di questa macchia?... Guardi...

Giudice                       - (esaminando) Ma... (Al perito) Guardi un po' anche lei...

Perito                          - Si direbbe una macchia di sangue.

Ugo                             - Dirò di più. Si direbbe che una mano leggermente macchiata di sangue abbia toccato questa lettera.

Perito                          - Non si scorgono impronte digitali, però.

Ugo                             - Naturale. Era la stessa mano inguan­tata che ha impugnato il coltello per vibrare il colpo.

Giudice                       - Mettereste in dubbio l'autenticità del testamento?

Ugo                             - No: il perito dice che sembra auten­tico. Voglio crederlo autentico. Ma l'uomo che ha ucciso la signora Federica ha aperto il testa­mento subito dopo aver commesso il delitto. Il sangue prova che il delitto era già avvenuto.

Giudice                       - E perché l'avrebbe aperto?

 

Ugo                             - Per rendersi conto del suo contenuto.

Giudice                       - Che deve averlo soddisfatto se non lo ha distrutto.

Ugo                             - Infatti.

Giudice                       - E allora?

Giusto                         - Ma l'impronta digitale del sigillo?

Giudice                       - Si può adoperare un pollice mor­to come un pollice vivo, signor Coller.

Giusto                         - Per cui le apparenze sono tutte contro di me?

Giudice                       - Non vedo chi altri avrebbe avuto interesse alla morte della signora Federica: in ispecie se l'assassino ha avuto tanta premura di leggere il testamento, di rinchiuderlo e lasciarlo lì. È evidente che non c'è altro movente se non quello finanziario. E nessun altro interessato tranne voi, signor Coller. Su, confessate!

Giusto                         - Giuro che sono innocente.

Giudice                       - Va bene. Procederemo allora alla ricostruzione del delitto. Il signor notaio e il signor perito possono ritirarsi. Li ringrazio.

Notaio                         - Signor giudice...

Perito                          - I miei rispetti...

                                    - (Il notaio e il perito escono da sinistra).

Giusto                         - C'è anche il cameriere che ha avu­to un legato. E per cinquemila lire un uomo può...

Giorgio                       - Io non ero in casa quella sera.

Giusto                         - (esaltandosi nella propria disperazio­ne) E chi sa dov'eravate quella sera? Avete provato la vostra assenza? In che modo?

Giudice                       - Il compito di stabilire gli alibi spetta a me, in ogni modo.

Giusto                         - Adoperare un coltello da cucina, indica che si è gente da cucina. È stato lui, ve lo dico io!

Giorgio                       - Io volevo molto bene alla signora!

Giudice                       - Va bene, questo lo sappiamo. Ce lo avete detto molte volte.

Giorgio                       - Ma quando vedo che si osa...

Ignazio                        - Della moralità di Giorgio io ri­spondo pienamente.

Giudice                       - Non c'è bisogno. Il suo alibi è stato controllato ed è risultato assolutamente esatto. Potete ritirarvi, Giorgio. (Giorgio esce. Rivolgendosi ad Ignazio) Vorrei ora cominciare a ricostruire il colloquio che lei ha avuto nel suo studio col signor Giusto Coller.

Ignazio                        - Ai suoi ordini.

Giudice                       - Voglio rievocare gli stati d'animo. È un mio sistema. Allora possiamo andare? Accompagnate anche l'imputato. Voi, intanto, potete rimanere. (// giudice, Ignazio, Giusto e gli agenti escono da destra, ed in scena riman­gono Ugo, Mattia, Giannina e Cristina).

Cristina                       - Mi pare un po' maniaco quel giudice!

Ugo                             - Deve avere qualche sua idea precisa dietro quei suoi occhiali.

Mattia                         - (prorompendo, dopo un lungo sforzo per dominarsi) Io non ne posso più! Non ne posso più!

Cristina                       - Che ha?

Ugo                             - (intervenendo) Ssst! Lascialo stare...

Mattia                         - È più forte di me. Sarò un senti­mentale, un romantico... Che ci posso fare? A forza di volare si diventa sentimentali per for­za! Ebbene, io solo ora capisco quanto l'amavo! Solo ora. Era una pazza, una donna esasperan­te, pericolosa: dava le vertigini, ma era una vera donna. Indimenticabile. Unica. Aveva ra­gione suo marito: diceva che era una droga. E che se uno cominciava ad abituarcisi non po­teva farne più a meno. Ritrovarmi qui, dove l'ultima volta l'ho veduta... È un incubo! Sì: è vero. Quella sera m'ero rifiutato di sposarla. M'aveva fatto paura... Ma sono stato uno stu­pido! E poi... l'avrei sposata, avrei fatto qua­lunque cosa pur di non perderla. E invece l'ho perduta. Me l'hanno portata via!... (Pausa).

Ugo                             - (piano, a Giannina) Ha avuto quelle informazioni?

Giannina                     - (piano) Stamattina. (E gli passa dei foglietti che Ugo scorre e poi mette in tasca).

Mattia                         - (sempre esaltato) Capisco anche che si potesse ucciderla. Con quella donna tutto era possibile. Sfidava ogni pazienza. Ma ucci­derla per denaro, no, no, no! Ucciderla perché era infedele, perché rideva quando doveva pian­gere, perché insultava quando doveva suppli­care... Capisco che un uomo esasperato per­desse anche il lume della ragione con lei. Ma a freddo, alle spalle, per calcolo... Suo fratello! Ed essa gli voleva bene, malgrado lo trattasse male. Gli voleva bene. E lui...

Ugo                             - Ho parlato con quella donnina che era al « Métropole » ad attendere il signor Coller...

Mattia                         - Ebbene?

Ugo                             - Il bisogno di denaro che quel Coller affermava non era poi così imperioso come egli diceva. Sì: era in difficoltà, ma come era stato molte altre volte. Quella fanciulla esclude che Giusto fosse un violento. Un impulsivo, forse. Ma questo delitto è troppo meditato, studiato, costruito per essere opera d'un impulsivo.

Mattia                         - Ma allora?

Ugo                             - Lei vuole veramente scoprire il col­pevole?

Mattia                         - Io? Non so che darei...

Ugo                             - A qualunque costo?

Mattia                         - Sì. Almeno questo fare per quella creatura...

Ugo                             - Badi, che bisogna correre dei rischi...

Mattia                         - Qualunque rischio.

Cristina                       - Ma Ugo, ti prego...

Ugo                             - Silenzio. (Passeggia). Forse ha ragio­ne mia moglie. È troppo.

Mattia                         - Troppo che?

Ugo                             - Troppo pericoloso.

Mattia                         - E crede che io abbia paura dei pericoli? Dica, dica se posso fare qualcosa...

Ugo                             - Non c'è che lei che possa fare qual­cosa. Lei o Giorgio, il cameriere. Ma quello oramai ha il suo alibi che l'ha rovinato...

Cristina                       - Come?

Ugo                             - Rovinato per la mia idea. Lei invece no. Lei, malgrado tutto, potrebbe...

Mattia                         - Che cosa?

Ugo                             - Essere stato l'assassino!

Mattia                         - Che cosa dice?

Ugo                             - È questo il solo modo...

Mattia                         - L'assassino, io?

Ugo                             - Già, come vede, è una cosa un po' audace. Capisco benissimo che lei rifiuti. Io non posso insistere. Ma se veramente lei ci tiene a mettere in luce la verità...

Mattia                         - E le pare un mezzo per mettere in luce la verità?

Giannina                     - Il solo mezzo.

Ugo                             - Stia zitta, lei.

Mattia                         - Ma se io dicessi una cosa simile... a chi intanto?

Ugo                             - Al giudice istruttore, qui, tra poco.

Mattia                         - Ma quello potrebbe anche cre­dermi.

Ugo                             - Bisogna anzi che le creda! Che lei faccia di tutto per farsi credere.

Mattia                         - Non riesco a capire.

Ugo                             - Solo così credo che il « vero » assas­sino si tradirà, confesserà.

Mattia                         - Il vero assassino sarà più che con­tento se c'è qualcuno che si confessa autore del suo delitto. Si troverà maggiormente al sicuro.

Ugo                             - Non credo.

Mattia                         - Ma perché?

Ugo                             - Non glielo posso dire. Io non voglio accusar nessuno se non c'è prima qualche ele­mento positivo...

Cristina                       - E tu, senza nessun elemento po­sitivo, vorresti che il signore arrischiasse...?

Ugo                             - Lo so che domando l'impossibile. È appunto quel che si può chiedere solo agli in­namorati. (A Mattia) Ma le sue esitazioni sono logiche. Si vede che era meno innamorato di quel che credevo io. Rinuncio.

Mattia                         - Non creda questo...

Cristina                       - Non voglia fare dei gesti eroici, ora. Mio marito è un romanziere ed ha dei grilli per la testa. Non si metta nei pasticci, dia retta a me.

Ugo                             - Ho fatto la proposta davanti a voi due, testimoni, appunto per evitare, in caso di errore da parte mia, delle conseguenze deplore­voli al signore. Voi due potreste sempre deporre come la sua autodenuncia non sia stata che l'e­sito di un mio consiglio.

Mattia                         - E poi che m'importa? Io ho fi­ducia in lei. Molta fiducia. Lei crede vera­mente...?

 

Ugo                             - Il colpevole non permetterà che si creda ad una sua colpa, signor Cintra. E per evitare questa eventualità, arrischierà tutto: an­che la propria sicurezza.

Mattia                         - Ma perché?

Ugo                             - Questo è il mio segreto.

Mattia                         - (guardando Giannina) E lei cono­sce questo segreto?

Giannina                     - Sì.

Cristina                       - Sono solo le mogli che non co­noscono i segreti del marito!

Ugo                             - (piano alla moglie) Sta zitta! Credo che questo romanzo ti renderà più d'una pel­liccia!

Cristina                       - Sfruttatore di cadaveri!

Ugo                             - Vuoi che non scriva più?

Cristina                       - Non bestemmiare...

Mattia                         - E se mi chiedono dei particolari?

Ugo                             - Lei conosce oramai abbastanza bene, mi pare, i particolari del delitto. Può quindi essere preciso finché vuole. Del resto la lettera di Federica, lei lo sa, era scritta a lei. Solo l'indirizzo è falso. Dica d'averlo falsificato lei per far cadere la colpa sul fratello.

Mattia                         - Ma la cosa apparirà inverosimile!

Ugo                             - Deve apparire inverosimile! Se l'om­bra di Federica chiede la verità, lei deve osare. Le giuro che avverrà qualcosa d'inatteso. O Giu­sto confesserà d'essere stato lui...

Cristina                       - Allora mi pare tutto inutile. È già imputato.

Ugo                             - Ma non confesso... O qualcun altro aprirà bocca. Zitti: ecco il giudice. (Rientrano da destra il giudice, Ignazio, Giusto e gli agenti).

Giudice                       - La scena mi sembra sia stata ri­costruita con sufficiente verosimiglianza. Dev'es­sere stata così. Il signor Ignazio un po' nervoso, si capisce, per quei « Maestri Cantori » che lag­giù stavano aspettando... A proposito! Sarà giunto in ritardo a teatro?...

Ignazio                        - Un po'...

Giudice                       - E allora come ha fatto ad entrare? Avrà perduto tutto il primo atto...

Ignazio                        - No. Nei palchi si può entrare an­che a spettacolo iniziato...

Giudice                       - Ah, lei era in palco? Non sarà stato solo in palco?...

Ignazio                        - No: ero con degli amici...

Ugo                             - (cavando di tasca un foglietto - quello che Giannina gli aveva dato poco prima - e leggendo) I signori Gomez, credo.

Ignazio                        - Sì; come lo sa?

Ugo                             - La solita curiosità dei romanzieri. Bi­sogna perdonarci.

Giudice                       - Ed è rimasto a teatro fino alla fine dello spettacolo, vero? È un'opera un po' lun­ghetta i «Maestri Cantori». Finisce...

Ugo                             - Dopo l'una, signor giudice.

Ignazio                        - Sì: sono rimasto lì fino alla fine.

Giudice                       - lo dicevo per ricostruire qui il delitto nei suoi particolari esatti, anche di tem­po. Dunque, il delitto è avvenuto, a detta dei periti, tra le 24 e le 24,3O. Mettiamo l'orologio sulle 24,3O. (Eseguisce). Ecco fatto. Lei, scusi signorina, vorrebbe avere la compiacenza per un istante, di prendere il posto della povera signora Federica? Ecco: brava. Venga qui. C'è stata una scena tra lei, il signor Giusto e il si­gnor Cintra. Nuova richiesta di denari alla so­rella, vero?

Giusto                         - Infatti.

Giudice                       - Ripulsa da parte della signora.

Giannina                     - Devo farlo?

Giudice                       - Non occorre. Veniamo alle 24,45. La scena tra la signora Federica e il signor Cin­tra si può supporre.

Mattia                         - No: non si può supporre.

Giudice                       - Come? Come? Credo che ci fosse del tenero tra i due... Mi scusi il signor Igna­zio. Ma è necessario...

Ignazio                        - Oramai...

Giudice                       - E le scene d'amore press'a poco...

Mattia                         - No. È stata una scena aspra, vio­lenta, quasi brutale. Io, accecato dalla gelosia, volevo frugare nel suo passato. L'accusavo. E quando il fratello le ha telefonato supplican­dola di riceverlo un'ultima volta, ed essa mi ha detto di scendere ad aprirgli la porta, le ho det­to l'estremo insulto: le ho detto che Giusto non era suo fratello, ma il suo amante.

Giusto                         - Vigliacco!

Mattia                         - L'amavo, ed ero geloso!

Giudice                       - Questo non cambia la situazione. Lei, dunque, è sceso ad aprire la porta di casa a Giusto Coller, e poi, in preda al suo dubbio, è rimasto giù aspettando. È così, vero?

Mattia                         - Sì.

Giudice                       - Eccoci dunque alla scena capitale. Alla scena del delitto. Il signor Giusto Coller sale: giunge alla porta dell'appartamento. Era aperta la porta del pianerottolo?

Giusto                         - Credo fosse socchiusa. Ma ho suo­nato egualmente.

Giudice                       - Benissimo. E chi è venuto ad aprire?

Giusto                         - Mia sorella. Non c'era altri in casa.

Giudice                       - E siete entrati qui, in questo salotto?

Giusto                         - Qui.

Giudice                       - E lei ha continuato nelle sue in­sistenti richieste di denaro...

Giusto                         - Sì: ho spiegato a mia sorella il mio stato. Ho finito col confessarle che era per amore d'una donna che volevo quelle cinque­cento sterline. Le ho parlato del mio amore. E questo è stato l'argomento che l'ha decisa. Aveva detto di no a tutto il rimanente: nean­che la commedia della fame l'aveva commossa. Si è seduta lì, a quel tavolino.

Giudice                       - (a Giannina) Sieda, signorina, sie­da. (Giannina eseguisce).

Giusto                         - Ed ha riempito lo chèque.

Giudice                       - E quand'essa l'ha riempito lei... Avanti, su, confessi... Che ha fatto?

Giusto                         - L'ho ringraziata e me ne sono andato.

Giudice                       - Ne è certo?

Giusto                         - Ma appunto se ha ricostruito la scena nei suoi particolari, non vede, signor giu­dice, che non posso, in nessun modo, aver com­piuto il delitto?

Giudice                       - Dimostri.

Giusto                         - Intanto, come avrei potuto procu­rarmi il coltello che, evidentemente, non era qui in salotto? E come mia sorella avrebbe avuto il tempo di scrivermi quel biglietto che è stato trovato sulla scrivania e che è autentico? Dove colloca lei questi fatti?

Giudice                       - Lei ha finto di allontanarsi. Ha salutato. È invece andato di là, si è armato. La vittima intanto ha scritto il biglietto...

Giusto                         - E perché l'ha scritto allora se ora­mai non c'era ragione di temere di me?

Giudice                       - Sentiamo la sua versione.

Giusto                         - Avuto lo chèque me ne sono an­dato. Ho incontrato giù l'aviatore, l'ho visto che risaliva e l'ho avvertito che Federica non l'a­vrebbe ricevuto. Essa m'aveva detto che tutto era finito tra lei e quell'uomo.

Giudice                       - Mattia Cintra, lei dunque è sa­lito...

Mattia                         - Sì.

Giudice                       - Ha suonato invano alla porta...

Mattia                         - No.

Giudice                       - Come? Non ha detto...?

Mattia                         - Ho mentito.

Giudice                       - Ma anche il signor Durbini ha udito le scampanellate...

Mattia                         - Ora le spiego. Oramai non posso più tacere. Il fratello, scendendo, aveva lasciato la porta socchiusa.

Giudice                       - È vero signor Coller?

Giusto                         - Non so. Non ricordo.

Giudice                       - E allora lei...?

Mattia                         - Sono entrato, piano. Federica era seduta lì, e stava scrivendo.

Giudice                       - Ancora viva, allora?

Mattia                         - Sì, sì, viva. Stava scrivendo a me, signor giudice. Quella lettera sigillata era per me. Io non lo sapevo. Ero accecato dall'ira e dalla gelosia. Ero il suo amante ed ero certo oramai che essa mi tradisse. Sono andata di là, in cucina. Mi sono armato d'un coltello...

Giudice                       - Confessate d'essere stato voi...?

Mattia                         - Sì, sono stato io, io, io.

Giudice                       - Badate, ciò è molto grave.

Ignazio                        - Assurdo. La lettera era indirizzata a Giusto Coller.

Mattia                         - Ho scritto io quell'indirizzo imitando la calligrafia di Federica, per sviare i sospetti. Ero d'un tratto diventato lucido. Vo­levo salvarmi. Ho sigillato la busta. Con la mano sua...

Ignazio                        - E il testamento aperto...

Mattia                         - Io, io.

Giudice                       - E per quale motivo?

Mattia                         - Volevo accertarmi che essa avesse lasciato tutto al fratello.

Giudice                       - Perché?

Mattia                         - Così i sospetti d'una sua colpevo­lezza sarebbero stati rafforzati da un movente di tale natura. Poi sono uscito. Ho chiuso la porta ed ho suonato ripetutamente il campa­nello. Immaginavo che. qualcuno, in casa, avreb­be udito. E mi sarei così costituito un alibi.

Giusto                         - (scattando) Infame! Assassino!... (Ugo interviene fermando Giusto).

Ugo                             - Fermo!

Giusto                         - E mia sorella m'aveva detto, cin­que minuti prima, che l'amava ancora.

Giudice                       - Ci sono dei punti oscuri nella vo­stra confessione.

Mattia                         - Quali? È la verità.

Ignazio                        - Chi volete che vi creda? Chi vo­lete salvare?

Mattia                         - Nessuno.

Ignazio                        - Voi, con tutto il vostro amore...?

Mattia                         - Per il mio amore.

Ignazio                        - Voi mentite.

Mattia                         - No. È così.

Ignazio                        - Voi avete vibrato il colpo?... Voi?

Mattia                         - Io. Sì.

Ignazio                        - Con che arma?

Mattia                         - Non so.

Ignazio                        - Dovete sapere. -Ricordate, su.

Mattia                         - Con un coltello...

Ignazio                        Che avete trovato dove?

Mattia                         - In cucina.

Ignazio                        - Siete andato in cucina a prenderlo?

Mattia                         - Sì.

Ignazio                        - Come facevate a sapere dov'era la cucina se non eravate mai stato in questa casa?

Mattia                         - Ho immaginato. Ho visto di dove veniva il cameriere durante il pranzo.

Ignazio                        - Bravo! E com'è questa cucina? A destra o a sinistra del corridoio?

Mattia                         - Non ricordo.

Ignazio                        - Voi mentite. Signor giudice, men­tisce... E il coltello dov'era?

Mattia                         - Nel cassetto della tavola.

Ignazio                        - Non è vero. Il coltello era in di­spensa. Non era in cucina. Era nella scatola dei ferri.

Mattia                         - Era nella...?

Ignazio ...................... - Sì: nella scatola dei ferri. E voi non potevate saperlo. Nessuno poteva saperlo. Tranne una persona...

Ugo                             - Tranne l'assassino. Signor giudice, arrestate Ignazio Ullstein. È l'assassino di Federica Ullstein.

Ignazio                        - Io?... Siete pazzo!

Ugo                             - Solo l'assassino poteva sapere dove si trovasse quel coltello e ora s'è tradito...

Ignazio                        - Io avevo veduto quel coltello aprendo per caso...

Ugo                             - No: era stato messo lì poco prima, dal cameriere. Nessuno poteva sapere che era lì se non chi ve l'aveva trovato. E poi ho un cumulo di prove...

Giudice                       - Ne ho qualcuna anch'io. Aspet­tavo soltanto l'errore definitivo.

Ugo                             - Ah, sì? (Stringe la mano al giudice) Sareste diventato un ottimo romanziere, allora,

Giudice                       - E voi un ottimo funzionano...

Ignazio                        - Vorrei conoscere anch'io queste prove... Perché poi avrei dovuto io uccidere?...

                                    - (Da questo momento la scena si andrà oscu­rando man mano che Ugo parla, in modo che rimanga illuminato il solo romanziere).

Ugo                             - I primi sospetti mi sono nati quando ho visto sulla busta l'indirizzo di Giusto Coller, «Hotel Métropole», e sapevo che la vittima ignorava che Giusto abitasse all'cc Hotel Métro­pole». Evidentemente l'assassino, avendo tro­vata la lettera concepita in termini tali da po­ter costituire un elemento d'accusa, aveva vo­luto dirigere i sospetti contro il fratello ed aveva scritto quell'indirizzo falso. Ignazio Ull­stein doveva aver saputo da Giusto Coller, du­rante il loro colloquio nello studio, che Giusto abitava all'« Hotel Métropole». Basta una scioc­chezza alle volte... (Ora la luce illumina anche Giannina che sta stenografando quel che Ugo le detta). Mi segue, signorina?

Giannina                     - Sì, sì.

Ugo ........................... - Perché l'assassino voleva far cadere i sospetti proprio sul fratello della morta. Per­ché se Giusto Coller fosse stato riconosciuto colpevole d'omicidio in persona della sorella non avrebbe più potuto ereditare. E la sostanza della morta sarebbe andata al marito, unico pa­rente che essa avesse, o per meglio dire con­ giunto. Ecco come ho cominciato a sospettare di Ignazio Ullstein. E il testamento che sem­brava accusare definitivamente Giusto Coller è stato per me la prova della colpevolezza del marito. Mi sono informato allora ed ho stabi­lito che i suoi affari di alluminio andavano as­sai male e che aveva necessità assoluta di un apporto di capitali. E che la sera dei ce Maestri Cantori » aveva lasciato il palco dei Gomez prima dell'ultimo atto. Come fare per indurlo a tradirsi? Ho immaginato che un altro, uno che non fosse Giusto Coller, si accusasse del delitto. La reazione del colpevole avrebbe dovuto essere enorme perché in tal modo vedeva sfumare tutto lo scopo del suo crimine. Assolto, Giusto avrebbe regolarmente ereditato, ed Ignazio si trovava allora ad aver ucciso per nulla. Non avrebbe quindi potuto lasciarsi sfug­gire i frutti della sua azione. Avrebbe tentato qualunque cosa per impedire ciò. E su questo contavo appunto. Che, disperato, egli commet­tesse l'errore definitivo. Come infatti è avve­nuto. Perché non scrive, signorina?

Giannina                     - E se non avesse commesso l'er­rore definitivo?

Ugo                             - Se... Se... Bisogna pur contare sulle reazioni psicologiche. Come ha visto, ho avuto ragione. Il giudice, del resto, da un pezzo se­guiva la mia stessa pista. E poi sono i risultati quelli che contano. Non vada a cercare quel che sarebbe accaduto se... Scriva invece... Così il romanzo è finito.

FINE