Troppo eguali

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TROPPO EGUALI

Commedia in un atto

di GINO ROCCA

PERSONAGGI

BISTA BAI

FULVIA

FILOVANTI

Commedia formattata da

Adesso sì può vivere in soffitta da gran signori.

E così vive Bista Bai, giovin pittore, ma già ficco e celebrato, con una visione di comignoli oltre la larga, vetriata aperta, e il telefono sulla tavola bassa, e gli armadietti pieni di matite e di cartoni, di tazzine candide e di libri ben rilegati, e molte tele che non sono di ragno ma fittamente tessute, sodamente impastate e inchiodate sui telai.

Una di queste tele è collocata sul cavalletto, ad ono­rare l'ultima ispirazione, a far testimonianza della più vicina fatica dell’artista. Dovrebbe splendere con le sue biacche ancor umide: ma invece è secca, quasi rugosa, imbronciata ed abbandonata dopo un vago disegno ed un primissimo abbozzo di colori. Rappresenta l’intenzione per un agile ritratto di signora bionda.

Sul davanzale della vetriata ondeggiano, alla brezza del mattino luminoso, molti piccoli fiori dentro vasi di por­cellana azzurra. Altri vasi antichi, rozzi, vuoti si alli­neano sulla cassapanca.

A sinistra, un andito che conduce alla invisibile por­ticina d'uscita. Un'altra porta è spalancata nella saletta da bagno e nello spogliatoio di Bista. Molte cornici vuo­te vecchie e preziose pendono dalle pareti, accanto ai piccoli specchi macchiati. Un tappeto è per terra grosso e vistoso, sotto il basso divano quasi scomparso in un naufragio di cuscini.

Quassù, come vi ho detto, si può viver da signori: e non si giunge con il fiato grosso delle antiche visite agli abbaini dei pittori: ma il ronzìo di un ascensore pre­annunzia i visitatori, i quali giungono in condizioni ec­cellenti di bronchi e di cuore, non si asciugano la fronte togliendosi il cappello sulla soglia e cominciano subito a ciarlar spediti così come accade negli amichevoli incontri al pian terreno.

Bista esce dallo spogliatoio con le gote fresche e il ciuffo bagnato; ma ha la fronte corrugata e gli occhi fissi; e si asciuga nervosamente le mani.

Anche questa mattinata s'è smarrita fastidiosamente nell'ozio!

Bista si inginocchia su di una panchetta, per sporgersi dal davanzale: e guarda Torà di un campanile lontano. Confronta quell'ora con l'altra che gli batte sul polso, e poi butta l’asciugamano, seccatissimo, guarda il cielo limpido, guarda il quadro non ancora nato e già appas­sito, e carica l'orologio.

E' un giovanotto forte alto e bruno, di trent’anni circa. La sua è l'eleganza sana e pulita degli artisti moderni, i quali fanno il bagno ogni giorno, hanno grande dime­stichezza con i parrucchieri e si appassionano saputa­mente per le contese sportive.

Bista Bai, premio della Corona Nazionale 1936 -  centomila lire tonde e senza trattenute di sorta -  adesso dovrebbe lavorar frettoloso, poi che Fora della sua mag­giore e più lucrosa attività artistica è giunta: e bisogne­rebbe badare al gruzzolo, pensare all’avvenire, alle opere maggiori che si raccomandano ai posteri, alla frigida im­ponenza ed impotenza dei capelli bianchi, che è confor­tata solamente dalle pompe funebri dell'Accademia.

Annodando la cravatta gialla, Bista è inquieto; e guar­da ancora la tela, e par che quello sgorbio sia lo spec­chio dei suoi pensieri.

D'un tratto, decide. Si ravvia i capelli, infila la larga giacca da uomo dinamico, strappa un fiorellino da uni vaso che è sul davanzale, e fa ballare la corolla appena schiusa mordendo il gambo con i denti intatti. ,

Si sente, quasi sotterraneo, il ronzìo dell'ascensore che fila su per la tromba delle scale.» Qualcuno arriva? For­se un amico? Forse -  santo cielo!  la signora bionda e sdolcinata del ritratto?

Bista afferra il cappello chiaro, e si butta verso la porta. Sulla soglia si scontra con Filovanti, che, duro, impettito, quadrato, panciuto, tendendo ed alzando fra i pugni chiusi il bastone orizzontalmente come una sbar­ra, lo costringe a rinculare.

Filovanti                     - (sorride) Uscivi?

Bista                           - (sorpreso senza essere contrariato) Tu?

Filovanti                     -  Io giungo.

Bista                           - (spinto fin nel mezzo della scena) Dopo un mese!

Filovanti                     -  E ti chiedo un minuto di ospitalità. Non esagero, come sempre. E non ti pentirai di avermi dato retta, come sempre. Anche un aperitivo ti chiedo. Le sigarette te le offro io!

                                    - (Bista butta il cappello, e va a prendere frettolosa­mente un bicchierino e una bottiglia nella scansia. In­tanto Filovanti s'è comodamente seduto, preoccupandosi di tirar per la piega, sulle ginocchia, i calzoni nuovi e rigati. Esita a togliersi il cappello duro per non scom­porre i pochi capelli ricondotti con tante cure dalle tem­pie fino in cima al cranio aguzzo. E' un severo signore di cinquant'anni: potrebbe essere un ricco antiquario, o pure un critico che sa dosar bene il magro stipendio e la discreta cultura. Ha la catena d'oro sul panciotto, la pappagorgia ripiegata sul taglio del solino duro, la giac­ca nera).

Bista                           - (porgendogli il bicchierino colmo) Un me­se!... Dove sei stato, e come stai?

Filovanti                     - (sorseggia e scruta Bista) Meglio di te, malgrado l'età!

Bista                           - (un po' preoccupato, si tocca le guance) Perché dici questo? Ti sembro molto sciupato?

Filovanti                     -  No.

Bista                           -  E allora?

Filovanti                     -  Non bevi più. Il fegato, eh?

Bista                           -  No!...   (Tenta di ridere) Oh, il fegato  è a posto!  No.

Filovanti                     -  Perché non Levi più?

Bista                           -  Già fatto.

Filovanti                     -  Si ritenta!

Bista                           -  Credi che giovi?

Filovanti                     -  In ogni caso.

Bista                           -  E allora... (Corre alla scansia, riempie un bicchiere e lo tracanna d'un fiato. Sorride) Ecco! Sei contento ?

Filovanti                     -  Tu devi esserlo! Non io.

Bista                           -  Oh, io... (e si rabbuia).

Filovanti                     -  Non sei contento: lo vedo (e guarda le tele intorno. Poi fissa severo e sorpreso Bista) Niente?

Bista                           - (con un sospiro) Niente!

Filovanti                     -  E la marchesa Usberghi, che, poi, ti avevo raccomandato io?...

Bista                           - (indicando lo sgorbio sul cavalletto) Eccola!

Filovanti                     - (incastra il monocolo) Vedo. Da allora? Sarà furente!

Bista                           -  Dice che prima di andare a Capri, almeno...

Filovanti                     - (con lieve scatto) Ma ci andrà fra quin­dici giorni, perbacco!

Bista                           - (desolato, smarrito) E io non posso.

Filovanti                     - (indagando) Colpa del soggetto... o col­pa  tua ?

Bista                           - (siede accanto all'amico, la testa fra i pugni) Colpa mia! E' terribile, Filovanti!... Colpa mia. Non so far più nulla... non sono più buono a nulla! (Morde il fazzoletto, e quasi piange. Poi si butta fra le braccia dell'amico ; il quale lascia che Bista si calmi, si sfoghi, guardando il soffitto e dandogli colla mano alcuni colpettini paterni sulla schiena).

Filovanti                     -  Bista... Bista... Bista Bai! Alla tua età, con il tuo ingegno... Ma questi son nervi... son nervi. Li conosco bene i tuoi nervi. E passeranno. Bisognerà forse andare un poco nella villetta nuova che tu hai comperato per i tuoi vecchi al paese, fra i campi, e ri­posare...

Bista                           - (con uno scatto) Partire? No.

Filovanti                     - (sorride) Ho  capito:  amore. Amore  re­sidente qua. E si può sapere chi è... questa maliarda che è riuscita  a paralizzare...  (raccoglie qualche cartone da terra,   e  lo  osserva)   ...la  proverbiale  foga   creatrice  di Bista Bai, celebre ed opulento a trent'anni, premio del­la  Corona   Nazionale  millenovecentotrentasei,   centomila lire... più centomila commissioni per ritratti? Non si può sapere? So che i tuoi gusti, e soprattutto il tuo pudore artistico, ti fanno disdegnar le modelle... che a me, in­vece, piacciono tanto! Ma io non sono un artista; sono meno   che   una  bestia...  (Ghignando)   Sono   un   critico! Dunque,  modelle  no!   Signore  per bene,  neanche.  Poi che di te non si può dire quello che scrisse l'autore di non so più quale romanzo piramidale e violento:   Una terribile maledizione pesava su di lui : egli era « snob »!  Signorine...  (Sgrana gli  occhi)  Hai pensato  di prender moglie?

Bista                           - (che di queste chiacchiere ha sentito soltanto il ronzìo, cercando sulla punta del naso di Filovanti la traccia di un ricordo, impercettibile prima ed ora gi­gante, balza con uno scatto ed afferra l'amico per i polsi) Ma tu c'eri?

Filovanti                     - (trabalza) Che cosa fai? Mi vuoi uc­cidere?

Bista                           -  Sicuro, c'eri anche tu.

Filovanti                     - (riordinando la giacca) Io, ragazzo mio, manco da Milano  da circa un mese!...

Bista                           -  E fu appunto un mese fa.

Filovanti                     -  Che cosa?

Bista                           -  Alla « Barchetta »... quella sera che sia» andati a cena alla « Barchetta», con Canisoli, Berretti, Tano, e quelle ragazze, c'eri anche tu!

Filovanti                     -  Sì, mi  ricordo.  E faceva anche fresco,: E voi avete voluto lo  stesso andare a vogare sul lago!

Bista                           -  (socchiude gli occhi) C'era la luna!

Filovanti                     -  Ma le ragazze chi erano?

Bista                           -  (esita) Fulvia Nastrucci...

Filovanti                     -   Si,  mia  buona  vecchia   amica... Ma io volevo  dire:  le altre?

Bista                           -   Le altre non contano.

Filovanti                     - (con uno scatto  insolito) Fulvia?... Ma non fare il cretino!

Bista                           -   Non è bella?

Filovanti                     -  Bella no: troppo volitiva e severa... Però, è tipo.

Bista                           -   Il mio tipo!

Filovanti                     -  Scherziamo?

Bista                           -   Affatto. Io ti dico che uscivo, poco fa, per...

Filovanti                     - (incredulo) Andare da lei, nel suo uf­ficio?  Quella  -  vedi  - è  una  ragazza  che se non si telefona prima,  è  difficile  possa  ricevere. Lasciati illu­minare da me. E i giovinomi del tuo stampo, con i quali va magari a  cena  a  mezzanotte  sulle  rive  del lago di Como, in ufficio non li riceve mai!

Bista                           -   Ma se mi ha detto lei...

Filovanti                     -  Alla direzione?

Bista                           -   Sì.

Filovanti                     -  E tu ci sei andato?

Bista                           -   No, ma perché non ho voluto!

Filovanti                     - (ride) E lei ti ha invitato perché sapeva che tu non avresti voluto! Non è stupida quella là!

Bista                           -  (offeso) Oh, non si sporcherebbero mica quei corridoi di piastrelle e con il pavimento di sughero, se ci passa un uomo come me! Io non sono un accattone!

Filovanti                     -  Sei un grande artista! Ma il mondo delle macchine e degli affari chiude la porta in faccia agli artisti, grandi e piccini. Forse      -  vedi -  l'accesso è più facile per i piccini.

Bista                           -  (fremendo) Perché là dentro soltanto si con­fezionano   cose   serie,   quelle   che  fanno   camminare il mondo!... E qui, invece, il mondo è pitturato: e perciò è sempre «sbronzo»  e sembra sempre in maschera!...

Filovanti                     - (tenta di placarlo) Non dico questo, io!

Bista                           -  (serrando i pugni) Tu no, ma loro... (Mutando improvvisamente tono)  Vedi, ho  perso la calma. (Cam­mina su e giù per lo studio, gesticolando) Io, se non cam­bio carattere... (Con un pugno sul divano) E lo devo, e lo voglio cambiare! (Quasi umile, rigirandosi) Io sono un povero diavolo innamorato, vecchio mio! Innamorato per la prima volta, e innamorato cotto,

Filovanti                     - Di Fulvia?  (Reciso) Bista... no! Tu no. Ascoltami...

Bista                           -   Non incominciamo la solita paternale con le solite parole «non è una ragazza seria»... intendiamoci subito!

Filovanti                     -  Ma io ti dico che è fin troppo seria. Però...

Bista                           -   Che cosa?

Filovanti                     -  Appartiene alla razza dei vincitori.

Bista                           -   E io?

Filovanti                     -  E tu come lei, ma su di un'altra pista. Dunque, vedi che sarebbe l'assurdo.

Bisia                            - (pensoso) Infatti... Ma tu la conosci bene?

Filovanti                     -  Da bimba, si può dire. Venne in città e si buttò nella mischia armata soltanto di fede in se stessa e di coraggio. Aveva una qualità indispensabile per vin­cere: la disistima per ogni nemico, il disprezzo per ogni ostacolo. Io la conobbi nello studio dell'avvocato Zebra, dove si guadagnava il pane scalpitando sulla macchina da sorivere, nell'antisala. E, quando entrava qualcuno, squas­sava i corti riccioli neri, dilatava  le narici e  guardava

così!  ...

Bista                           -  (va a prendere un cartone nella scansia, e lo porge) Guarda, Filovanti: cosi!

Filovanti                     - (ammirando) Bravo. Bello! Ed è strano che per certe analogie, io abbia pensato... Sì: proprio a te. Oh, non per vedervi a braccetto uscir di chiesa. No! Ma anche lei, come te, rosicchiava un pezzo, di pane sui libri, frequentava le scuole serali... e camminava così sicura incontro al buio... Oggi, lo saprai, è braccio de­stro di Galosio. La sovrintendenza generale si può dire che è affidata a lei. Lei ha messo a posto il disordine, ha dato vita al dopolavoro delle fabbriche riunite, che è il più bello...

Bista                           -  (nervoso) Ma sì, lo so! Vuoi che non lo sap­pia? Non mi ha parlato che di questo, sempre... E io l'ho ascoltata una volta, due, tre...

Filovanti                     -  Pratica, energica, senza chimere, positiva, ha però anche un  certo  gusto  artistico...

Bista                           -  (sorpreso) Davvero?

Filovanti                     -  Le sarà piaciuto elogiar le tue tele. Nei suoi giudizi è cauta, avrai notato... Pare che tasti il ter­reno intorno a se prima di spiccare il salto. E poi, supe­rato quello che per lei è sempre un piccolo ostacolo, si volge a guardarti, sorridendo.

Bista                           -  (con la voce cupa) Non mi ha parlato mai delle mie opere!

Filovanti                     -  Mai?

Bista                           -   Però, gliene ho parlato io... per forza, con rabbia talvolta, quasi con disperazione. Mi sono accorto che badava ad altro.

Filovanti                     -  O... fingeva?

Bista                           -   Si seccava.

Filovanti                     -  Fingeva. Forse le hai parlato della villa che hai comperato per i tuoi vecchi, lassù.

Bista                           -   Le ho mostrato anche la fotografia.

Filovanti                     -  Ah! (e sorride).

Bista                           -   La teneva in mano, guardando il soffitto... (Im­provviso, aggressivo quasi) Ma tu la conosci, mi hai det­to, da anni!...

Filovanti                     -  Certo.

Bista                           -   E perché ti devo parlar io? Perché non mi parli di lei?

Filovanti                     - (dopo un attimo) Bista, ti volevo dire una cosa  importante:   anche   lei,   giunta  poverissima   qui,  è riuscita a comperare, in campagna, una casetta e un po­dere per i suoi vecchi!...

Bista                           -   Lo so.

Filovanti                     -  Vedi? E questo è tutto.

Bista                           -   Non capisco. Perché?

Filovanti                     -  Tu sei superbo. Ne hai ben donde. E forse lei ha sentito il peso della tua forza, simile alla sua, e si è ribellata.

Bista                           -   Ha fatto bene! Io non voglio più essere così!

Filovanti                     -  Ti ha giovato in molte circostanze, ricor­dalo! Perché la superbia nuoce solo agli imbecilli.

Bista                           -   Ma se ho del talento, a che mi giova? Co­munque, vedi con lei! Io da dieci giorni non vivo più. E capisco che ha ragione, ha ragione, ha mille ragioni!... Perché forse anch'io, quando lei mi parlava del suo reg­gimento di impiegati, della cieca fiducia che il commendator Galosio ripone in lei, dei miracoli che ha saputo fare...

Filovanti                     -  Oh, miracoli!  Veramente miracoli. Bisogna sentire Galosio.

Bista                           -   ... anch'io guardavo sbadatamente il soffitto... Chi sa?

Filovanti                     - (volutamente) Bista! Vedi, Galosio...

Bista                           -   Che tu conosci...

Filovanti                     -  Oh, da sempre, si può dire. Pensa, per la villa dei principi Prada, per i sanatori al mare di tutta la spiaggia tirrena, i mobili lucidi  di metallo  smaltato, li ho ordinati da lui... E lei si è rivelata anche artista, una squisitissima artista, caro mio, discutendo non soltanto la praticità, ma  anche l'armonia  di  certi  modelli,  con me.

Bista                           -   Però non mi conosceva neanche di nome, la tua squisita artista... Infatti quella sera, prima di andare alla « Barchetta », volle che il mio nome le fosse ripe­tuto due volte, come quello di un droghiere suburbano...

Filovanti                     - (sorride)  Se ben ricordi, la  gita l'orga­nizzai io:  e foste tutti  miei  ospiti.  Ebbene, lei sapeva tutto di te, e aveva visto anche il quadro che ti ha fatto vincere il premio della Corona Nazionale!

Bista                           -  (trabalza, s'illumina) No!

Filovanti                     -  Ti dico di sì!

Bista                           -   Giura!

Filovanti                     - (paterno) Quando fai  così, ridiventi un fanciullo: e mi piaci... Guarda: mi piaci di più.

Bista                           -   Vedi, io stavo per uscire, per andare da lei, per dirle:   «Perdonami!».

Filovanti                     -   Avete  litigato?   Era  logico.  Litigherete ancora.

Bista                           -   Non litigheremo più! L'adoro. Ho compreso di adorarla, così diversa da tutte le altre donne, così viva, così forte e leale, durante questi dieci giorni di sordo ed insopportabile dolore. Devo io umiliarmi! E lo-saprò fare. Lei è una donna, ed ha vinto contro tutti, ed ha mille ragioni per essere fiera della propria vittoria, che io onorerò con devozione... Non guarderò più il sof­fitto, non sbadiglierò più, non schiaccerò più i mozziconi delle sigarette nelle ciotole, quando lei parla del pro­prio mondo, dei propri affari, dei propri successi quoti­diani. Non sogghignerò più se mi dirà, ancora un'altra, un'ennesima volta, che i vecchi impiegati con la com­menda e gli occhiali si alzano in piedi quando sentono la sua voce al telefono... Mi perdonerà. Non credi che mi perdonerà? Vado ad aspettarla dinanzi alla porta della direzione... E' tardi, ma lei esce sempre dopo l'ultimo. Vieni con me, andiamo.

Filovanti                     - (sorride) Vuoi che ti accompagni? Siamo giunti a questo grado di timidezza?

Bista                           -  (con un istintivo' scatto di ribellione) Oh, no!  Ma qui non resta alcuno.

Filovanti                     -  Io aspettavo qui un amico, anche un amico tuo, che avrebbe voluto parlarti.

Bista                           -  (nervoso) Ora no. Ma tu puoi benissimo re­stare solo, se ti garba. Basta che tu chiuda, quando esci... (Gli consegna una piccola chiave ed afferra il cappello) Ti lascio la chiave che consegnerai giù al portiere. (Si avvia).

Filovanti                     - (seguendolo fin sulla soglia) Perché, tu non torni subito?

Bista                           -   Non lo so.

Filovanti                     -  Buona fortuna!

Bista                           -   Grazie. Ciao. (Esce a precipizio).

Filovanti                     - (rimasto solo, scrolla il capo. Guarda ancora le poche tele, i disegni dei cartoni sparsi dovunque. Si affaccia a contemplare il cielo oltre i tetti; si sporge per vedere il brulichìo ideile strade ire fondo. Passa per Paria tersa una musica di campane. Filovanti, stupito, cava di tasca l'orologio) Mezzogiorno, di già? Allora non verrà più alcuno! (e liscia con cura i pochi capelli prima di coprirsi e di impugnare il bastone. Il ronzìo dell'ascensore annunzia qualcuno; e questo qualcuno bussa sommessa­mente di là) Avanti!

Fulvia                          - (appare ansante, con il cappelluccio in mano, ì riccioli scomposti, la bocca schiusa da un sorriso impac­ciato e un mazzo di fiori sotto l'ascèlla e quasi nascosti da una sciarpa di seta. E' giovane sana balenante e strana. Una ruga netta ed erta le attraversa la fronte bianca; il mento pare trattenuto da due briglie che le tagliano la bocca e ne incurvano le labbra all'ingiù, costringendola a tener sempre lo sguardo alto e il collo ripiegato all'in­dietro. Pare infatti che ella si curvi sempre con enorme fatica. La sua eleganza è semplice, un po' mascolina: cra­vatta e gonna nere, camicetta grigia e ripiegata abbondan­temente sulla gola. Vedendo Filovanti, Fulvia trabalza sor­presa, un po' delusa e un po' confusa) Voi, Filovanti? (gli tende la mano).

Filovanti                     -  Io, cara! Sorpreso, naturalmente, come voi.

Fulvia                          - (rinfrancandosi) Oh, io non sono sorpresa! A me fa piacere vedervi.

Filovanti                     - (ironico) Qui?

Fulvia                          - Dovunque. Si parlava di voi, l'altro giorno appunto, con il commendatore. Mi chiedeva:   «Dov'è?».

Filovanti                     - (c. s.) Ora potete rispondergli:   «Qui».

Fulvia                          -  Già  (e sbircia l'uscio dello spogliatoio).

Filovanti                     -  Già. Ma Bista Bai non c'è.

Fulvia                          - (dominandosi) E’ uscito?

Filovanti                     -  Sicuro.

Fulvia                          -  Pazienza!

Filovanti                     -  Peccato!

Fulvia                          - (torcendosi fieramente) Perché?

Filovanti                     -  Gli avrebbe fatto piacere vedervi... a lui.

Fulvia                          - (sospettosa) Credete?

Filovanti                     -  Ma certo!

Fulvia                          - (abbassa gli occhi) Temevo che fosse ancora arrabbiato con me.

Filovanti                     -  Lo avete trattato male?

Fulvia                          -  Forse... l'ho offeso.

Filovanti                     -  E lui?

Fulvia                          -  Oh, lui... è andato su tutte le furie, ha urlato, mi ha indicato quella porta. Io, per uscire, son passata di gusto su tutti quei disegni che egli urlando aveva spar­pagliati. Mi ha detto: «Regina Taitù! ».

Filovanti                     - (sorride) Oh, mascalzone!

Fulvia i                        -  E aveva ragione, Filovanti! (Con uno slancio confidente) Aveva ragione. In questi giorni ho pensato tanto, troppo, ed ho sofferto come non credevo. Voi mi conoscete. Sapete che la modestia non è la mia virtù fon­damentale...

Filovanti                     -  Io so, Fulvia, che avete vinto la vostra  battaglia sopra tutto perché avete avuto sempre una enorme fede in voi stessa!

Fulvia                          -  E' vero. E quando mi son trovata di fronte a lui, superbo anche lui, vittorioso anche lui... io non ho voluto dargli nessuna soddisfazione. Mi chiedevo: cosa crede di essere? Vedrà ». E avevo sempre le unghie fuori. Quando lui mi faceva vedere un suo quadro, io guardavo il soffitto, o fingevo di sbadigliare... Quando l'ho conosciuto di persona, e per merito vostro, mi è piaciuto subito... tanto!  Quando mi sono accorta che non gli dispiacevo, ho sentito per la prima volta un brivido qui…. (chiude gli occhi e si tocca la nuca). Non sapevo, Filovanti, che quello fosse l'amore. Non avevo mai avuto tempo per pensare all'amore, lo sapete. Era l'amore. E se bui  donna come me ama, è disposta a tutto!  Ho sofferto troppo. Ho capito di essere stata ingiusta, stupida, mediocre, g Sono venuta per chiedergli scusa. Devo io umiliarmi. Almeno con lui devo umiliarmi. Lui è un uomo, ed ha mille ragioni per essere fiero della propria fama, della propria arte, delle proprie vittorie in un campo molto più arduo del mio, e, sopra tutto, molto più vasto. Io, quando esco dal mio ufficio, non sono in fondo che una piccola donna qualunque.

Filovanti                     - (incredulo, sbalordito) Fulvia, queste parole pronunziate da voi...

Fulvia                          -  Sì, Filovanti! Una povera piccola donnetta, che è venuta qua con due fiori per metterli in quei vasi là, che ho visto sempre vuoti, e che lui stava per but­tarmi, giustamente, sulla testa. Se l'avesse fatto, avrebbe avuto ragione. Non avrei pianto. E mi sono accorta che piangevo, giù per le scale, perché non l'aveva fatto! (ha gli occhi umidi).

Filovanti                     -  Come ora.

Fulvia                          -  Sì, come ora! (Si soffia il naso e vu a infi­lare i fiori nei vecchi vasi della cassapanca. Poi, ù tv gira). E non tornerà più stamane?

Filovanti                     -  Chi sa?

Fulvia                          -  Dove è andato?

Filovanti                     -  Non so.

Fulvia                          - (rassegnata) Stasera... so dove pranza. Lo cercherò. Anche lui, con i primi risparmi, sapete?, ha comperato un podere e una villa per i suoi vecchi... E mi amerà ancora, potrà amarmi ancora?... Lo credete, Filovanti?

Filovanti                     -  Da quel giorno non ha lavorato più!

Fulvia                          -  Anche lui.

Filovanti                     - (va a prendere il cartone con il ritratto di lei, e glielo porge) Ha fatto questo!

Fulvia                          - (con un guizzo, riconoscendosi) Io?

Filovanti                     -  Voi.

Fulvia                          -  Oh, mettiamolo qui! (Mette il cartone a pie della tela, sul cavalletto). Gli direte voi che io stessa l'ho ammirato e l'ho messo lì. Poi che voi certo lo vedrete prima di me.

Filovanti                     -  Può darsi.

Fulvia                          - (lo guarda con invidia) Ah!... Deve essere -  a parte il carattere, che nessuno sa comprendere me­glio di me -  tanto dolce e buono. Capirà il mio sforzo immenso, e lo apprezzerà.

Filovanti                     - (stridulo) Ma non deve capire niente, figliola mia! Se no, è inutile.

Fulvia                          - (ribellandosi) Volete dunque che pensi che io sono sempre e con tutti una pupattola che obbedisce ad ogni cenno sorridendo?

Filovanti                     -  Con tutti no, Ma, con lui, la donna che s'è ridestata con l'amore, e che perciò è soltanto mite, umile e sottomessa.

Fulvia                          -  Quali parole, amico! Enormi. (Dopo un at­timo). Ma avete ragione voi. Lo amo, e basta. Mi pare che basti, no?

Filovanti                     - (incredulo, fissandola) Chi sa?

                                    - (Rientra Bista, frettoloso, rabbuiato: ma si ferma sor­ridendo e impacciato quando vede Fulvia).

Fulvia                          - (arrossisce) Oh!

Filovanti                     - (a Bista) Non ti aspettavo più. Stavo per andarmene.

Bista                           -   Già... mezzogiorno è suonato da un pezzo. Ed io son giunto quando tutti erano già usciti... (Tende la mano a Fulvia) Come va?

Fulvia                          -  Bene. E tu?

Filovanti                     -  Ah, vi davate già del tu? Questo biso­gnava dirmelo!... Adesso... poi che siete in confidenza, posso lasciarvi soli. Io ho invitato gente a casa a cola­zione. (A Fulvia, stringendole la mano, sottovoce) Mi rac­comando! (A Bista che lo accompagna verso la soglia, sottovoce) Mi raccomando! (Esce rinculando e sorridendo poco persuaso).

Bista                           -  (guarda i fiori nei vecchi vasi e, poi, sorride a Fulvia) Tu hai portato i fiori?... Come mai?

Fulvia                          -  Avrei dovuto portarne tanti, ogni giorno, prima... Non avrei sofferto tanto! E avrei dovuto, prima di sudare in ufficio, ogni giorno, venir a toglier la pol­vere qua dentro... Il portiere non ci pensa quasi mai, ed io me ne ero accorta...

Bista                           -  (sbalordito) Tu?

Fulvia                          -  Io, sì.

Bista                           -  (prendendole le mani) Con tutto il da fare, con tutte le responsabilità che hai?... Tu così diligente, così puntuale nel controllare l'arrivo in ufficio degli altri, nel telefonare in fabbrica, nel far trovare al presidente la corrispondenza già tutta sbrigata alle nove del mattino?...

Fulvia                          - (sì difende, va ad accovacciarsi sul divano) Sciocchezze! Cose di nessuna importanza... Che si potreb­bero fare anche se dentro il cervello e sulla scrivania ci fosse un palmo di polvere. -Il tuo lavoro, invece, basta che passi il velo di una nube davanti al sole e l'ispira­zione si offusca, e magari un capolavoro si guasta.

Bista                           -  (la guarda un po' all'erta, preoccupato) Non esageriamo!

Fulvia                          - (energica) Non esagero. Lo hai capito su­bito, vedendomi qua. Oh, il tuo sguardo è così traspa­rente! (Con forza) Sono venuta a chiederti perdono!

Bista                           -  (forte) No, sono io che devo chiederti per­dono, Fulvia... e in ginocchio! (S'inginocchia sul divano).

Fulvia                          - (balzando ginocchioni) In ginocchio tu? Ma neanche per sogno! (e tenta invano di farlo alzare).

Bista                           -  (resiste) Sì, io.

Fulvia                          - (recisa) No, io!... O tutti e due, allora, così! (Sono ginocchioni, come due gatti, sul divano, e sì guar­dano fissi, soffiando).

Fulvia                          -  Guardami bene: io voglio essere la tua pic­cola donna, senza albagie, senza capricci, senza vanità sciocche,.. Non ti parlerò mai di me!

Bista                           -  Sono io che non ti parlerò mai di me, scusa! Tu dovrai, anzi...

 Fulvia                         - (con un lampo negli occhi) Io « dovrò » che cosa?

Bista                           -  (gridando) Urlarmi la tua forza... ignorare tutto di me, del mio lavoro, delle mie speranze! Quello che tu hai conquistato e saprai conquistare ancora nella vita è...

Fulvia                          - (più forte) E' niente in confronto all'opera tua ed alla fama che la circonda. Il mio mondo è pic­colo...

Bista                           -   Quattromila operai, un presidente milionario che fa tutto quello che tu vuoi, cinquecento im­piegati...

Fulvia                          -  Non lo so.

Bista                           -   Lo sai e devi ricordatelo sempre. Io, invece...

Fulvu                          -  Tu centomila visitatori alla mostra di Roma in due mesi!

Bista                           -  (rabbioso) Non è vero!

Fulvia                          - (id.) E' vero!

Bista                           -   Comunque non sentirai più parlare di loro!

Fulvia                          -  Non sentirai tu invece parlare più della mia caserma.

Bista                           -  (dopo un attimo) E di che cosa parleremo allora?

Fulvu                          -  Di noi!

Bista                           -   Di noi, senza...

Fulvu                          -  Di te!

Bista                           -  (balza in piedi, da padrone) No, di te. E' de­ciso:  di te.

Fulvu                          - (scatta) Non è deciso un... Di', che hai de­ciso?

Bista                           -  (duro) Sì. E così sarà. Quando io voglio, per il bene di entrambi...

Fulvu                          - (ride nervosa ironica) Oh, quando « tu » vuoi!... (e scrolla i riccioli neri).

Bista                           -   Sì.

Fulvia                          -  E io?

Bista                           -   E tu sarai sull'altare, sempre!

Fulvia                          -  Come un pupazzo che non ha volontà? Bista, ti avverto che il nostro dialogo sta assumendo il tono dell'ultimo!

Bista                           -  (torcendosi) Perché tu...

Fulvia                          -  Io?

Bista                           -   Non sei calma; e stai facendo perdere la calma anche a me.

Fulvia                          -  Ti sbagli: sono calmissima. (Imperiosa) E tu lo sarai!

Bista                           -  (fremendo) Dico io ora che tu ti sbagli.

Fulvu                          - (più forte) Lo sarai!

Bista                           -   Forse, se esci.

Fulvia                          - (afferra rapidamente U cappello e la sciarpa) Mi scacci ancora?

Bista                           -   Non è possibile. Ci siamo rannicchiati là per parere più piccini, tutti e due: e ci siamo trovati con la testa dura, più bassa, ma allo stesso livello. Ora siamo in piedi, e il livello non muta. Vattene, forse può rimanere una buona amicizia... (Ad un gesto di Fulvia) Neanche? Un buon ricordo...

Fulvia                          - (aspra accennando ai vecchi vasi) Dammi quei fiori...

Bista                           -   Perché?

Fulvu                          -  Ti ripeto -  e non sono abituata a ripetere una cosa due volte, Mai: dammi quei fiori! 

Bista                           -  (le mani in saccoccia) Non te lì do. Ma non ti impedisco di prenderli.  (Mentre Fulvia raccoglie malamente i fiori e fa l'atto di affacciarsi al davanzale, Bista si avvicina al cavalletto e prende in mano il cartone).

Bista                           -   Ti avverto che se li butti, io strappo questo!

Fulvia                          - (dopo un attimo di esitazione, strappa il di­segno dalle mani di Bista, e lacera fiori e disegno rabbio­samente, e butta tutto nel vuoto).

Bista                           -  (duro) Non ti resta che di andar a vedere se ti riesce di raccogliere qualche petalo o qualche bran­dello di cartone, giù. Io sono in. casa mia e non mi muovo.

Fulvia                          - (lo guarda con una smorfia e lo saluta cori un cenno del capo).

Bista                           -   Senza rancore?

Fulvia                          -  Senza niente. Così! (Gli volge le spalle e se ne va).

                                    - (Bista è solo, ma non pare molto turbato. Tenta di sorridere e ci riesce. Accende una sigaretta, e butta i buffi di fumo verso il cielo. Poi si avvicina al telefono e compone un numero).

Bista                           -  (telefonando) Il dottor Filo vanti è giunto?... Parla Bista Bai. Sandro, eri a tavola? Scusa, Volevo dirti che l'amica tua mi assomiglia troppo. Che cosa dici? Sì: identica. Dunque, l'essere più spregevole della terra. Se hai un'oca vergine mansueta e grassa fra le tue cono­scenze, avvertimi subito. Ho assolutamente bisogno di sposarmi presto!... (Ride ascoltando. Poi) Buon appetito. Grazie. No, io no. Io  resto qua, e, forse, lavorerò.

                                    - (Depone il ricevitore, afferra distrattamente un pen­nello e morsicandone il legno si toglie la giacca e si av­vicina risoluto e pensoso al cavalletto).

FINE