TROTA ALLE MANDORLE
Monologo
di ALDO NICOLAJ
PERSONAGGI
MARIO
Commedia formattata da
MARIO
(Una minuscola casa: soggiorno, con cucinetta e letto. Mario, è un uomo sui 55 anni: gira per la casa ammirandola compiaciuto. Apre la finestra e si affaccia per guardare il giardinetto)
Come casa, non sarà una meraviglia, ma è comoda e funzionale. Ho sempre sognato una casa come questa, con un piccolo giardino, in una periferia tranquilla, lontano dal traffico. Era anche il sogno di mia moglie, ma, povera Amalia se n'è andata prima che questo progetto, lo potesse realizzare. Morta lei, non ci pensavo nemmeno più, quando mi è capitata un'inserzione, che offriva, a prezzo di occasione, questa casetta. Me ne sono innamorato e ho subito combinato. Un prezzo ottimo, perché questa casa è fornita di tutto e mi viene a costare meno di due stanze in centro. Il proprietario è morto, lasciandola in eredità a un nipote, che vive in America, e lui, me l'ha venduta per procura, così com'era, senza che qui dentro fosse toccato niente. La biancheria è ancora ben ordinata nei cassetti, sul comodino ci sono i suoi libri preferiti, sulla mensola del bagno il suo pennello da barba… in un cassetto delle lettere l'amore… Non ho il coraggio di toccare niente… Mi fa impressione mettere le mani tra le cose di un uomo, che è morto. Dovrò decidermi, visto che qui dovrò vivere. Doveva essere molto metodico… preciso… i suoi cassetti sono in perfetto ordine… sulla scrivania ogni cosa è al suo posto: buste… carta da lettere… matite… Doveva vivere qui in perfetta solitudine. Solo una donna veniva, di tanto in tanto, a fargli visita… Altri amici nessuno. Di parenti non doveva avere che quel nipote, in America… I vicini non sanno dirmi nulla. Soltanto che era, alto, coi capelli grigi e gli occhi celesti… Era vissuto molto tempo all'estero, in India… (osserva alcuni oggetti dell'artigianato indiano posti un po' ovunque) Infatti… Che strana sensazione occupare la casa di un altro. Chissà che valore sentimentale avevano per lui questi oggetti… quanti ricordi gli suscitavano… Invece, a me, questa roba, non dice nulla. Mi pare di essere come un ladro, che si è intrufolato, a forza, in casa d'altri… Perché di questo defunto signor Giovanni Barbarò, ignoro tutto. Forse era un cuoco. Infatti dappertutto libri di cucina… quaderni con appunti di ricette… La sua specialità doveva essere la trota alle mandorle. Ne ha persino la ricetta in cucina, sotto vetro, in una specie di quadretto… Che coincidenza! Era il piatto preferito di Amalia. Una volta al mese, la portavo a mangiarla in un ristorante specializzato, ma nessun cuoco riusciva ad accontentarla… aveva sempre qualche critica: o le mandorle non erano croccanti o la trota era troppo secca… o la cottura lasciava a desiderare… Lei, che, di solito, si accontentava di tutto, per la trota alle mandorle era di un'esigenza straordinaria. In casa si è provata a farla solo una volta. La sera in cui, poi, si è sentita male ed è morta. Ne aveva fatte due, una per lei e l'altra per me. Ma, inesperta com'era di cucina, una l'aveva lasciata bruciare. L'altra, quella rimasta, voleva la mangiassi io. Non ho voluto e l'ho fatta mangiare a lei. Non voleva, ho dovuto obbligarla, mettendomi a urlare. Poverina! Poi, ne ho avuto rimorso. Ma io l'avevo fatta sapendo della sua passione per la trota alle mandorle. Chissà che sorpresa sarebbe stata per lei trovarne la ricetta, appesa sopra il fornello della cucina, (passeggia di nuovo per la casa) Certo, dovrò farne sparire di roba, se voglio portare qui la mia. Non che ne abbia molta, con Amalia siamo sempre vissuti in due camere. La nostra vita ha sempre avuto un senso di provvisorio… Lei diceva che, finché non avessimo avuto la possibilità di comprarci una casa, non valeva cambiare… Le mie poche cianfrusaglie, i miei ricordi, dovrò ora sistemarli qui. Mi serviranno a rievocare i bei giorni che ho avuto con lei, giorni che non torneranno più. Non che mi senta vecchio, ma, ora che lei se ne è andata, la mia vita, devo considerarla chiusa. Rimpianti, non ne ho. Ho avuto un'esistenza serena, mi sono sempre accontentato di quello che la vita mi dava… Avevo il mio lavoro d'ufficio… le mie abitudini… una buona moglie… Povera Amalia, non è che con quello che guadagnavo, abbia mai potuto offrirle molto: una volta al mese al cinema… una volta al mese al ristorante… una volta all'anno all'Opera a vedere un'opera di Verdi… d'estate dal dieci al venti agosto in una piccola stazione climatica, sempre la stessa camera… Una vita abitudinaria, tranquilla… Lei lavorava… io pure… Non litigavamo, perché parlavamo poco. Non avevamo molto da dirci. A volte, in una settimana, ci scambiavamo sì e no qualche frase… Ma eravamo affezionati. E pensare che quando ho cominciato a farle la corte, Amalia non voleva saperne di me. Era innamorata di un certo Nino, non meglio identificato, che credo l'abbia fatta molto soffrire. Infatti, un giorno, mi si buttò tra le braccia piangendo, dicendo mi che accettava di sposarmi a patto che io non le parlassi mai di quell'altro. Ho accettato e ci siamo sposati. Capivo, però, che a quell'altro continuava a pensare. Infatti, mentre io mi chiamo Mario, lei ha sempre continuato a chiamarmi Nino. Persino nei momenti di intimità, mi abbracciava forte e con gli occhi chiusi mormorava «Nino… Nino…». Io, facevo finta di nulla. Prima di tutto per non umiliarla e, poi, il fatto che mi chiamasse Nino o Mario che differenza poteva fare? «Che valore ha il nome» dice Shakespeare… Forse, povera Amalia, per darsi pace, aveva cercato di persuadere se stessa di aver sposato quell'altro… Nino. Infatti, quando doveva farmi un regalo sceglieva sempre cose che non erano per me, ma che, forse, sarebbero piaciute a quell'altro… Se mi comprava un pullover o un pigiama portava sempre a casa delle misure enormi, che forse sarebbero andate bene a quell'altro, che mi aveva detto un giorno, era alto almeno una spanna più di me… Io non ho mai fumato, e lei non faceva che regalarmi delle pipe. Per farla contenta le accettavo con un sorriso. E lei le disponeva, l'una accanto all'altra, sopra la mensola del caminetto… (si ferma davanti al caminetto, sopra il quale c'è tutta una fila di pipe) Chissà se il signore Barbarò queste pipe le fumava… Eh, sì, c'è anche la scatola del tabacco. A me, il fumo ha sempre dato noia. Ma ad Amalia non lo dicevo. A una donna, una qualche illusione bisogna pure concedergliela. Di che cosa mai avrei dovuto essere geloso? Anche se innamorata di un altro, quell'altro lei lo aveva identificato con me… Non ho proprio nulla da rimproverare alla mia Amalia. Non è morta persino col mio nome sulle labbra? Tre volte lo ha ripetuto «Nino… Nino… Nino… ». Peccato che se ne sia andata così presto. Questa casa le sarebbe così piaciuta… Quando mi descriveva, negli ultimi tempi, la casa che avrebbe voluto, mi descriveva una casa come questa… col caminetto… il piccolo giardino… una piccola cucina funzionale… E se avesse anche scoperto il quadretto con la ricetta della trota alle mandorle… Chissà se il proprietario, il signor Barbarò, è mai stato felice con una donna come lo sono stato io con Amalia… Questo signor Barbarò mi incuriosisce… (apre un armadio e ne tira fuori una stampella con una vestaglia) Doveva essere raffinato… Questa vestaglia è una meraviglia… Pura seta indiana. (decide di provarsela. La vestaglia gli arriva ai piedi) Mamma mia, com'è lunga. Il signor Barbarò doveva essere altissimo. Almeno una spanna più di me… (si toglie la vestaglia, la rimette nell'armadio, lo richiude e quindi alza un portaritratti che si era capovolto sul comò. Si tratta di una fotografia di donna, con una dedica, con una cornice d'argento. Con tranquillità alla fotografia) Proprio una gran bella casa, vero Amalia? (ha un attimo di perplessità) Ma quand'è che ho portato qui questa fotografia? Possibile che non me lo ricordi? E che non mi ricordi nemmeno di averla messa in cornice? Eppure è dedicata a me. (legge la dedica) «Al mio Nino, unico grande amore. Amalia». Invecchio. Non riesco a ricordare che Amalia mi abbia dedicato una fotografia. E questa cornice non mi pare di averla mai vista. Eppure, ricordo benissimo quando se l'è fatta e quando s'era comprato quel vestito che indossa… Tre anni fa… Per andare a una festa… Non so nemmeno con chi. Alle feste andava sempre sola… Io odiavo uscire la sera, tranne quelle volte che andavamo al cinema o al ristorante… (ha un ripensamento) No, non è che abbia perso la memoria: ne sono sicuro. Amalia non mi ha mai dedicato nessuna fotografia. E io non ho mai portato nessuna fotografia di Amalia qui. Eppure questa fotografia è sua ed è dedicata a me, a Nino. Nino, per lei, sono sempre stato io. O… possibile che sia all'improvviso rispuntato nella sua vita quell'altro Nino? Il Nino vero? E che io non me ne sia mai accorto? E che questo Nino… questo Nino, sia Giovanni Barbarò, Giovannino… Nino?!? Che il vero Nino sia lui? (più che il sospetto ha ora la certezza. Corre alla scrivania, apre il cassetto, tira fuori un grande fascio di lettere, legato con un nastro. Scioglie il nastro e prende la prima lettera, quindi la legge) «Mio adorato Nino, la felicità di sapere che tu sei tornato dall'India e mi hai cercato, come io in cuore mio avevo sempre segretamente sperato…» La firma è sua: «Amalia». (prende un’altra lettera) «Mio adorato Nino, ora che ho ritrovato il tuo amore, la vita vicino a quell'imbecille di mio marito mi è diventata insopportabile…» La firma è sua, «Amalia». (prende un'altra lettera) «Mio adorato Nino, hai ragione devo sbarazzarmi in qualche modo di lui. Stanotte non ho fatto che sognarti e ti chiamavo. Quel cretino di mio marito credeva chiamassi lui…» (prende un'altra lettera) E questa è del tre aprile, la vigilia della sua morte. (legge) «Mio adorato Nino, mi sono decisa: farò due trote alle mandorle e nella sua metterò la polverina che mi hai dato tu. Domani spero di telefonarti per dirti che sono libera di vivere con te per tutta la vita…» (posa la lettera) Guarda… guarda… La trota alle mandorle… Allora era la sua che si era bruciata e io ho obbligato Amalia a mangiare la mia… Non è stata una peritonite a portarsela via, ma una trota… E Nino Barbarò avrà atteso invano la sua telefonata… E forse, nell'attesa è morto anche lui. Di crepacuore. Questi grandi amori… L'ho scampata bella. E il caso ha voluto che venissi a vivere io, nel loro nido d'amore…
(ha ancora un attimo di perplessità)
E pensare che io ho fatto incidere sul marmo della sua tomba «moglie esemplare»…
FINE