Tutto per bene

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T U T T O   P E R   B E N E

una farsa

per i nostri chiari di luna

 

di

LUIGI LUNARI

Copyright 2014   Luigi Lunari – Via Volturno 80 – 20861 Brugherio (Monza e Brianza)  Tel.+39.039.883177   E-mail luigi.lunari@libero.it

Website www.luigilunari.com


PERSONAGGI

La bella Filumena

Il bell’Humberto

Il Presidente

Angiolino


        

        

         I.

         Un cabaret, o locale notturno di vecchia avanguardia.  Vari tavolini, liberi ed occupati. Camerieri, conigliette, una vendeuse di sigarette: a piacere. Se il tutto è praticamente troppo complicato, basterà – o sarà fatta bastare - una proiezione.

Ad un tavolino alla ribalta, la bella Filumena. Dietro le sue spalle, in piedi, un armadio umano a quattro ante: occhiali neri, doppio petto o maglione, cappello. Inequivocabilmente, un gorilla. Ad ogni avvicinarsi di chicchessia alla bella Filomena, si mette in guardia: mascella contratta,  pugni serrati, a scoraggiare ogni eventuale mala intenzione.  È lei - la bella Filumena - che all'occasione gli fa cenno di lasciar perdere.

Al centro della pista, canta Humberto. Bell'uomo un po' fané, calzoni e giubbetto  alla "fronte del porto", berretto alla Jean Gabin, un fazzoletto rosso annodato al collo, sulla camicia aperta.  La sua è una fiera canzone di protesta.

HUMBERTO (canta) -   Sì, sì, sì!

                                               Verrà quel giorno e noi saremo lì!

                                               Stretti a coorte, tenendoci per mano,

                                               teso lo sguardo al traguardo lontano,

sarà del popolo il terribile Dies irae,

che annuncia il sorgere del sol dell’avvenire.

Allora sì,

venuto il giorno,  noi saremo lì.

E tremeranno nei palazzi e nelle chiese

gli oppressori di giustizia e libertà,

tutto il mondo sarà un solo paese

e la vita allora sì: rifiorirà!              

Trema,

sporco borghese, trema,

che sorseggiando un whisky

di tutto te ne infischi,

e non senti il grido di dolor

dalle officine bagnate di sudor!

Olé!

               (Humberto conclude con aria di sfida rivoluzionaria la sua canzone, tra qualche stanco applauso.  Poi si ritira nel proprio camerino.

               Filumena ne ha seguito l'esibizione dominando a stento una certa agitazione che la possiede.   Ora si alza, fa per muoversi, e il gorilla – alias Angiolino - dà segno di volerla seguire. Filumena ha uno scatto d’irritazione.)

FILUMENA – E lasciami un po’ in pace, accidenti a te!

ANGIOLINO – Signurì’, io sto pagato per chistoqquà!

FILUMENA ­­– Mezz’ora, va bene? 

ANGIOLINO – E ss’o’ssignore o sape?

FILUMENA – Tu sta’ zitto, e lui non sape niente.

ANGIOLINO – Io con vossia ho da stare. E son uomo d’onore e di panza!

               (Filumena ha un attimo di scoramento: Angiolino ora si sente in dovere di confortarla)

               Signuri’, che io sto o non sto con voi, è il medesimo identico preciso. Io niente occhio, niente orecchio, e nulla saccio.

               (Complice, rassicurante)

               Voi vulite andare nel camerino di quello?  Anche in camera, signurì…  Che a me non potrebbe cagarmene di meno. Scusate il linguaggio, signurì, ma voi mi fate bere…  

               (Filumena sembra rassegnata a sopportarlo. Angiolino  precisa:)

               Del resto, signurì, io alla incolumità vostra sono tenuto.  Che non vi faccino del male, che non vi chinnàppino…  Queste sono le regole d’ingaggio.  Tutto il resto… ripeto, e passo e chiudo: io niente vedo, niente sento, niente saccio. E conseguentemente niente spiffero a nessuno. Cornuto, vostro marito?  Né solo, né male accompagnato.  E poi le corna sono  volontà di Dio!  E io, contro Dio volete che mi metta?

               (Ma l’ultima parte della battuta è detta al vento, perché Filumena ha già attraversato la scena ed è entrata nel camerino di Humberto.)

FILUMENA – Umberto!...

HUMBERTO – Filumena!

               (Si alza, la stringe tra le braccia.)

FILUMENA – Oh, Umberto!...

HUMBERTO (correggendola) – Humberto, per piacere. Con l’acca: un po’ aspirato: Hhumberto.  …   Non te lo ricordi mai!

               (Comunque, non è cosa)

               Ti ho vista subito, sai?  E credo di non aver mai cantato con l’energia, con la violenza… la rabbia…. Certamente te ne sei accorta.  È bastata la tua presenza...

FILUMENA – Caro!...

HUMBERTO – Amore mio!

               (Si accorge del gorilla.)

               Sempre tra i piedi!

               Angiolino!...

ANGIOLINO – Signurì....?

FILUMENA  (si fruga in tasca, ne tira fuori una banconota, gliela porge) –

               TÈ, Angiolino.  Se vuoi andare al bar, a bere qualcosa...  Caso mai ti chiamo io.

ANGIOLINO – Grazie, signurì. Ma non è il caso... Andrò alla tualette.

HUMBERTO – Vai, vai.... e fa’ pure con calma.

               (Angiolino esce, Humberto torna a Filumena.)

               Amore, che cos’hai?  Ti vedo turbata, ti intuisco nervosa…  Forse il mio song ti ha fatto troppa impressione…

FILUMENA – No, no…

HUMBERTO – È un canto cubano di protesta. Da Cuba: da dove anche ho preso questa “acca” di Hhhumberto.  Mi pare che mi renda più… non so come dire… più puntuale, più puntuto, più pungente…

               Tu cosa ne dici?

               (Ma Filumena è scoppiata a piangere.)

               Amore mio, ma cosa c’è?...

FILUMENA – Ohhhhumberto!....

               (A fatica, decide:)

               Sono incinta!..

HUMBERTO – Incinta?!

FILUMENA – Incinta...

HUMBERTO – Tuo.... tuo marito?...

FILUMENA –  Ma cosa dici! Tu, tu! Humberto!         Mio marito… lo sai che non esiste!

HUMBERTO – Ma… ma come…   Ma come è potuto succedere?

FILUMENA (con impazienza) – Oddio, Humberto… È successo!

HUMBERTO (dopo una pausa, scuote la testa) – Eh già, tu non vuoi i preservativi!...

FILUMENA –  Sono cattolica e praticante, Umberto! Lo sai che la Chiesa proibisce la contraccezione!          

HUMBERTO – Eh già!  E così, intanto…

FILUMENA – Per l’amor di dio, Umberto… Humberto, non cominciare con i comizi. Non lo vedi che sono sconvolta? 

HUMBERTO – Amore mio, calmati.  Perché non prendere la cosa – se vuoi – come una bella notizia?  Va bene! Per il mondo… d’accordo!, sarà figlio di tuo marito, per l’anagrafe porterà il suo nome…  Ma noi, dentro di noi, sapremo che non è così, e custodiremo questo piccolo segreto nel nostro cuore: vedremo il piccolo nascere, lo vedremo crescere, farsi grande e bello, e penseremo: ecco, è il frutto del nostro amore. Qualcosa che resta! Qualcosa che resterà anche dovessero domani le nostre strade dividersi, la passione che oggi ci avvince perdere la sua violenza, poiché mia cara, è vero quel dice il poeta: “tout passe, tout casse, tout lasse”! Ma il frutto resta!, e sarà lì….
(Altro tono)

               Piuttosto, perché non vedere di  questo – tu che sei credente – un segno del Cielo?  Che ci fa rincontrare, oggi, dopo tanto tempo, – dopo il primo nostro amore...  L’hai forse dimenticato?

FILUMENA – Oh, Humberto, come puoi pensare...?

HUMBERTO   - Un amore limpido, sincero... che poi non è maturato perché tu ad un certo punto... hai voluto altrimenti... Erano rose? Non erano rose?  Sono fiorite adesso, amore mio.  Vent’anni dopo, come nei “Tre moschettieri”!  Allora....

FILUMENA – Non rievocare, Humberto!  Mai mi pentirò abbastanza di quel che ho fatto...   Lasciare te per... per che cosa?

HUMBERTO – Beh, direi che l’hai pur fatto per qualcosa! Hai sposato un uomo ricco, famoso, potente...

FILUMENA – Ohhhhhumberto!

HUMBERTO – Sei in una posizione che tutti ti invidiano...

FILUMENA - Ohhhhhumberto!

HUMBERTO – Basta: ora siamo qui, come se niente fosse mai stato!... come se ci fossimo lasciati ieri! Il nume non ha atteso il cielo per riunirci.

FILUMENA – Chi?...

HUMBERTO – Niente... una citazione, tesoro: la Lucia di Lammermoor. 

               “Se disgiunti fummo in terra /ne congiunga il Nume in Ciel.”

               (Altro tono:)

È maschio o femmina?

FILUMENA (con impazienza) – Ma non lo so…

               Oh, Umberto, tu dici tante belle cose!  “Per il mondo sarà figlio di  mio marito” dici tu. Ma come faccio a… a non so… a attribuirlo a mio marito, se lui non…

HUMBERTO – Se lui “non”… cosa?

FILUMENA – Se lui non cosa!  Sì, sì, se non abbiamo rapporti!  Se non… oh, santo cielo, Umberto!... Ma non capisci?

HUMBERTO – Ho capito. Non avete rapporti.  Ma…  mai?!

FILUMENA – Mai, mai!  Ma lo sai! Te l’ho detto cento volte!

HUMBERTO – Sì, ma….

FILUMENA – “Ma” che cosa?

HUMBERTO - Credevo fosse una di quelle cose che si dicono sempre in questi casi: per non ingelosire l’uomo amato, per non farlo soffrire!...

FILUMENA – Taci!  Vergognati!  Credi dunque che io sarei caduta tra le tue braccia, che io mi sarei data a te, se non vi fossi stata spinta dall’abbandono, dalla solitudine nella quale mio marito mi lascia?

HUMBERTO –  Sì, ma… 

FILUMENA – Sono una donna onesta, Hhhumberto! 

HUMBERTO – Oh, lo so, angelo mio, tesoro!

FILUMENA – Mai potrei essere contemporaneamente di due uomini!

HUMBERTO (un po’ fuori luogo, malgrado la gravità del momento) – Beh, “contemporaneamente”, lo credo bene.

FILUMENA – Io ho un cuore solo, Hhhumberto!

HUMBERTO – Sì, amore mio: ma io credevo che il tuo “mai” fosse appunto una formula retorica. “Mai” per dire… quasi mai.  Ma che qualche volta, eccezionalmente… che so io!... un anniversario, un compleanno….  San Valentino...

Va bene, ho capito: mai.

FILUMENA  - Mio marito è sempre in giro, lo sai: pieno di cose da fare. Prima aveva l’azienda, e già ultimamente lo vedevo poco. Adesso poi che si è messo in politica c’ha il partito, il governo… È pieno di interim… Ogni volta che si dimette un ministro, si fa carico lui… generoso, altruista com’è.

               E poi...

HUMBERTO – E poi?

FILUMENA – E poi... non lo interesso più. Per me non ha occhio. Sono vecchia!...

HUMBERTO – Tu?! Amore mio!

FILUMENA (riflesso condizionato) – Tesoro!

HUMBERTO – Vecchia tu, mio fiore, mia luce...?

FILUMENA – A lui piacciono sempre più giovani, Humberto.  Se ha una sera libera, se la fa con le ragazzine...  A “Porta a porta” ha detto che una coppia dovrebbe avere sempre la stessa età. Quindi più lui invecchia più le altre devono essere giovani... 

HUMBERTO - Però... insomma: scusa la brutalità. Ma se vuoi... se devi... se vogliamo farlo passare per suo... dovrai pure, rassegnandoti, fare in modo che... 

FILUMENA - Io gli servo solo per i viaggi ufficiali...

HUMBERTO – Beh... sono occasioni propizie. Voi due, insieme per forza,  magari in un paese arabo... Cucina molto speziata... banchetti con la danza del ventre... Vi ritrovate soli, in camera....

FILUMENA – Oh, Umberto: e tu vorresti...

HUMBERTO – Lo dico per te, amore mio. Perché se tuo marito deve credere... che sì... insomma....    

FILUMENA – E poi.... anche succedesse... Il prossimo viaggio è tra due mesi.

HUMBERTO – Beh…  sarà un settimino!

FILUMENA – Tu fai tutto facile, Umberto…

HUMBERTO (correggendola) – Humberto.

FILUMENA – Ma tu non immagini neanche in che stato d’animo mi trovo.

HUMBERTO – Amore!

FILUMENA – Tesoro!

HUMBERTO – Baciami!

               (Si abbracciano. L’abbraccio si fa travolgente. Siamo sul punto... ma Filumena si stacca... apre la porta del camerino)

FILUMENA – Angiolino?...

ANGIOLINO – Già fatto, signurì!... Io sono al bar o alla  tualette...

               (Esce, con ostentazione.  Filumena torna ad Humberto)

HUMBERTO – Finalmente soli...

               (Ma lei ha un rapido mutamento d’umore, e risponde con dolente e aggressivo sarcasmo)

FILUMENA – Finalmente soli?! Tu, sì, solo: beato, tranquillo!  Che magari pensi “È già incinta: non c’avrò neanche bisogno di stare attento...”

               Ma io?  Io?!

               (La scena che segue – detta anche “scena dell’amplesso” o anche “scena della rapida consumazione” o della “sveltina”- ha per oggetto un veloce connubio sul divano del camerino di Humberto. I due si spogliano sommariamente per quanto basta, consumano, poi si rivestono in fretta – lei soprattutto – sempre accompagnati dallo stream of consciousness di Filumena.)

               Io non  sono sola!  Non sarò mai più sola! Perseguitata dai rimorsi, che si rinnovano, sempre quando ti vedo: perché eccomi qui ancora una volta!  Oh, ma sarà l’ultima: te lo giuro!  Lo giuro sulla testa dei miei due figli – benedetti! – nati, loro sì, nel segno del santo matrimonio.  Loro a casa, che mi aspettano, giocando alla playstation...   che aspettano ch’io torni a casa, per il bacino della buona notte.... mentre io – la loro mamma – qui, dal suo amante!...Sei un vigliacco, ecco cosa sei!  Neanche il pensiero dei miei figli ti ha trattenuto! E non strapparmi la camicetta!  Vigliacco perché  hai approfittato di me, della mia debolezza, per rubarmi a quell’uomo mite, paziente che è mio marito!  Oh, Dio mi punirà!  È certo, è giusto!  Io andrò all’inferno, lo so!  Ma avrò almeno la soddisfazione di saperti lì anche tu, in un girone più basso, sotto il mio!  Lascia stare,  non tirare...  Sono ganci, non sono bottoni!  Faccio io...    Oh, ma è l’ultima volta, sai?  Dovessi scoppiare... Mai più, mai più nella vita!... Non  ce la faccio, non posso andare avanti così! Ladra! Ladra!  Mi sento una  ladra! Solo l’idea di tornare a casa mi fa impazzire. Mi sembra che tutti mi leggano in viso: quello che provo, quello che ho fatto, dove sono stata, e con chi... Con te, che invece di aiutarmi ne approfitti!...    Vigliacco! Traditore!... Stasera avevo anche un concerto, di beneficenza, per i mutilatini di Don Gnocchi...  E invece?  Eh?  Dove sono invece?   Aspetta: non gualcirmi la gonna... Ma perché mi hai guardata?  Quale demonio, quale serpente ti ha suggerito di venirmi a tentare...  E adesso cosa vuoi? Cosa vuoi farmi fare?  No, nuda no: è tardi, vado di fretta....

HUMBERTO – Amore mio... Ti prego!...

FILUMENA – Ipocrita! E mi preghi, anche? Traditore!  E io peggio di te: mille volte peggio di te, che non hai nessuno cui rispondere!  Mentre io invece, ho un marito, due figli innocenti, una casa...

HUMBERTO – Ma noi ci amiamo!...

FILUMENA – E non tirare in ballo l’amore! Vergognati. L’amore è una cosa santa!  Questo invece è solo libidine, perversità,  deboscia....

               ...

               Sì, sì, così.... ancora, ancora!  Mmmm!  Mmmmm!  Oooohh! Che bello....  No, aspetta: ancora un momento!... Ahhhhh!

               (Consummatum est. Una breve pausa.)

               ....

               Basta! Mai più, mai più! Mi hai fatto perdere la testa; sei contento? Guarda: neppure la vera mi son ricordata di togliermela! Dove l’hai buttato il bolerino?  Ridammelo!  Ecco: si sarà tutto impolverato. Ma certo: non ti preoccupi per me, figuriamoci un bolerino! Sei un vigliacco! Ecco cosa sei! Perché sei tu la causa di tutto!  Ma perché mi hai guardata? Che cosa ti ho fatto di male?  Stavo così bene! Un marito d’oro, che non mi ha fatto mai mancare niente!  Salvo...  eh già, e tu l’hai capito, e di questo ti sei servito: per tentarmi, per trascinarmi sulla cattiva strada: della vergogna, del disonore!   Neanche il pensiero dei miei figli, ti ha trattenuto! Piccoli, tesori, adorabili, che stasera mi diranno: “Mamma, mamma... cosa mi hai portato?” Oh, come posso pensare di presentarmi a loro, stasera?  Tutto, mi leggeranno in faccia, come su un teleschermo... E io costretta a mascherare, dovrò sorridere, rimboccargli le lenzuola, fargli dire la preghierina...  E domenica prossima a Messa? Come riuscirò a varcare la porta della chiesa, ad accostarmi all’Eucaristica, a passare davanti agli occhi del parroco, che mi ha unita in matrimonio, che ha battezzato i miei figli!... Tu a questo non pensi, vero?  Tu te ne infischi... Tu in chiesa non ci vai! Non ci sei mai andato! Ma riesci a immaginare che cos’è per me, dovermi andare a confessare?  Questo, glielo dico?   O non glielo dico?  E se non glielo dico, che valore ha l’assoluzione?...  “Mamma, mamma...” mi pare di sentirla, la voce dei miei figli: “non hai pensato a noi, non hai pensato a papà...?” Un giorno ho scritto alla rubrica “Anime in pena” del giornale della mia parrocchia: con un altro nome, naturalmente.  Ho chiesto: è più peccato l’adulterio o il divorzio? Mi hanno risposto che il divorzio è molto peggio, perché l’adulterio passa mentre il divorzio resta.  Ma io non ce la faccio più!

               Ed è tutta colpa tua, mascalzone, profittatore, vigliacco!..

               Che cos’è? 

HUMBERTO – Il tuo reggiseno, cara!...

FILUMENA – Adesso me lo dài? ... Lo metterò nella borsetta: non ho tempo... No, non accompagnarmi! E rimettiti la giacca. Dov’è Angiolino?

HUMBERTO  Al bar o alla toilette... non so. Te lo chiamo?

FILUMENA – E poi?!  Vuoi dirgli: “TÈ riprenditi la tua padrona!  Riportala a casa. Io, quel che volevo l’ho avuto!”?

               (Ha aperto la porta. Chiama:)

               Angiolino!

               (Lui le prende la mani, gliele bacia, cercando di riportare il tutto a una diversa atmosfera)

HUMBERTO – La settimana prossima?...

FILUMENA – Mai più t’ho detto!  Mai più in vita mia! E vergognati!

               (È ricomparso Angiolino. Filumena ha riacquistato un decente aplomb. Humberto la saluta galantemente, con un baciamano che lei comunque non disdegna)

HUMBERTO – Martedì?...   

FILUMENA – No, martedì...  proprio non  posso.  Sabato.

ANGIOLINO – Signurì... agli ordini.

FILUMENA – Andiamo.

               (Escono Angiolino e Filumena)

              

Buio.

              

              

II.

Uno studio. Una grande scrivania, dietro la quale si trovano una autorevole e scenografica libreria, con accanto una bandiera tricolore e una bandiera d’Europa. Alla scrivania siede il Presidente. Davanti alla scrivania, Angiolino.   In mezzo a loro, sulla scrivania, un piccolo gadget, non più grande di un accendino, fa sentire la sua voce.

L’ACCENDINO (ripete talune delle frasi dette da Angiolino nella scena precedente) – “....Del resto, signurì, io alla incolumità vostra sono tenuto.  Che non vi faccino del male, che non vi chinnàppino…  Queste sono le regole d’ingaggio.  Tutto il resto… ripeto, e passo e chiudo: io niente vedo, niente sento, niente saccio. E conseguentemente niente spiffero a nessuno. Cornuto, vostro marito?  Né solo, né male accompagnato.  E poi le corna sono  volontà di Dio!  E io, contro Dio volete che mi metta?”

               (Angiolino stoppa il gadget e se lo rimette in tasca)

IL PRESIDENTE - E poi?...

ANGIOLINO – Poi basta, presidente. Si son chiusi dentro, e io fuori, li ho sentiti parlare. La signora, soprattutto, si è messa a parlare, e ha parlato, parlato, di che cosa... non saccio.  Certo che per chista volta, presidente, potete andar tranquillo. Niente v’è successo! Che come si dice can che abbia non morde, così la donna... se parla la bocca riposa la gnocca.

               Non va bbuono?

IL PRESIDENTE – Che cosa?

ANGIOLINO – Il registrato.

IL PRESIDENTE – No, no... va bene. Va bene. 

               Oddio, se fai a meno di tirar fuori quella storia del cornuto, e che chi se ne frega, e che è volontà di Dio...

ANGIOLINO – Per dare più verità al doppio gioco, presidente!  Per essere più incredulone! Se vostra moglie – con rispetto parlando – sospetta che io poi a voi scarico tutto... voi capite: si prende le sue precauzioni del caso, ci va più attenta a come parla e a quel che fa... voi capite...  

IL PRESIDENTE – E lui?

ANGIOLINO – Lui cosa?

IL PRESIDENTE – Com’è?

ANGIOLINO – Bell’uomo, alto...

IL PRESIDENTE – Meglio di me?

ANGIOLINO - ... Voi siete più simpatico, capo!  Più spitiruale: le barzellette come le raccontate voi... non le racconta nessuno.

IL PRESIDENTE – Va bene, va bene. Puoi andare...

               (Angiolino si alza, fa per andare... esita. Il presidente se ne accorge)

               Che cosa c’è?...

ANGIOLINO – Ecco... io volevo ricordargli.... So che in questi giorni si chiudono gli elenchi...

IL PRESIDENTE – Quali elenchi?

ANGIOLINO –  Quelli dei candidati per le elezioni.

IL PRESIDENTE – Ah, sì. Le liste.

ANGIOLINO – Lei mi avevate promesso...

IL PRESIDENTE – Sì, sì. Certo: sta’ tranquillo. T’ho messo in lista per il Senato.

ANGIOLINO – Collegio sicuro?

IL PRESIDENTE  - Beh, ma senti!  Cosa ne sai tu di collegi sicuri?

ANGIOLINO – M’hanno detto che così bisogna dire.

IL PRESIDENTE – Non ti fidi di me?

ANGIOLINO – Minchia! Più che della Madonna! Più che della cupola!

IL PRESIDENTE (battendogli una mano sulla spalla e accompagnandolo all’uscita) – Collegio sicuro, sta tranquillo! Ciao, “senatore”.

ANGIOLINO – Bacio le mani. E se volete abusare di me... sempre al servizio vostro!

               (Esce.)

III

               (Solo in scena, il Presidente si colloca davanti a un grande specchio, che si trova ovviamente nella quarta parete. Si guarda, con un certo sguardo critico; si atteggia, si riconsidera con espressione più soddisfatta... Si aggiusta la cravatta...  Si passa una mano sui capelli delle tempie...

               Poi, alla scrivania, aziona un citofono.)

IL PRESIDENTE – Signorina...  Faccia passare.

               (Di nuovo, rapidamente, davanti allo specchio. Prova ad infilarsi la mano sotto la giacca del doppiopetto, in posa napoleonica,  Ma la trova eccessiva, e ci rinuncia.

               Bussano alla porta.)

               Avanti!

               (Entra Humberto.)

HUMBERTO (freddamente, dopo una breve pausa.) – Buongiorno.

IL PRESIDENTE (di poco, di pochissimo meno freddo, indicandogli una sedia o una poltrona) – Si accomodi.

HUMBERTO - Preferisco stare in piedi.

               (Gesto del Presidente: “come vuole”.

               Lungo, misterioso silenzio.  I due uomini si affrontano, si scrutano.

                   È il Presidente a rompere – per così dire – il ghiaccio.) 

IL PRESIDENTE -  E così.... ci si rivede!

HUMBERTO – Già.

IL PRESIDENTE - ... Umberto.

HUMBERTO – Humberto.

IL PRESIDENTE – Sempre a sinistra? Sempre... rosso?

HUMBERTO – Sempre “più” rosso.

IL PRESIDENTE - Lei non ha mai votato per me, suppongo: mi corregga se sbaglio.

HUMBERTO – Non la correggo.

IL PRESIDENTE – Già!

               (Pausa)

IL PRESIDENTE – Sorpreso per il mio invito?

HUMBERTO –  Nnn.. no.

               (Pausa)

IL PRESIDENTE – Vent’anni.

HUMBERTO – Vent’anni, sì.

IL PRESIDENTE – Come fosse ieri.

HUMBERTO – Diciamo così.

               (Pausa)

IL PRESIDENTE – Come sta mia moglie?

HUMBERTO – Lo chiede a me?

IL PRESIDENTE – Beh, io sono cinque giorni che non la vedo.  Lei – a quanto mi risulta – l’ha vista anche ieri sera.

HUMBERTO – Anche?  Cosa significa “anche”?  L’ho vista ieri sera: punto e a capo.

IL PRESIDENTE – E martedì scorso, e il sabato prima...

HUMBERTO – Vedo che mi tiene sotto controllo.  Comunque, per essere più preciso, è sua moglie che ha visto me: non viceversa.

IL PRESIDENTE – Oh, lo so, lo so.  È mia moglie che viene a sentirla cantare! È una sua ammiratrice... Lo è sempre stata, del resto: anche.... vent’anni fa. Mi ha parlato molte volte dei suoi songs...

               C’è – nel suo repertorio – una carica di protesta, una volontà di ribellione... in cui penso che mia moglie possa riconoscersi. Se non proprio contro il mondo, come nelle sue invettive a sfondo politico...   contro di me.  Dato che io – questo lo riconosco – non sono un marito ideale...

               Però... questa sintonia tra mia moglie e lei... beh, non può essere di natura politica.   Lei...

HUMBERTO – Lei chi?

IL PRESIDENTE – Mia moglie. Mia moglie non è “di sinistra”, tutt’altro! Mentre lei...

HUMBERTO – Lei chi?

IL PRESIDENTE (indice contro) – Lei... lei.

               Mia moglie non è “di sinistra”: so che viene a sentirla..  Ma anch’io conosco i suoi canti di protesta... “Trema, sporco borghese / che sorseggiando un whisky / di tutto te ne infischi ...”

               E poi?...

HUMBERTO (lieto di potersi citare, con forza) – “...e non senti il grido di dolor / dalle officine bagnate di sudor!”  

               (Con valore di  sfida)

               Proprio così!

IL PRESIDENTE – E mi vuol dire che lei..

HUMBERTO - Lei chi?

IL PRESIDENTE – Mia moglie.  Mi vuol dire che mia moglie, mentre lei...

HUMBERTO – Lei chi?

IL PRESIDENTE (indice contro) – Lei.. lei.

HUMBERTO –  Io? ... Senta: vuole essere più chiaro? Lei sua moglie, lei io...

IL PRESIDENTE – Ha ragione. Le voglio raccontare una barzelletta.

HUMBERTO – Oddio, nooo!

IL PRESIDENTE – C’era una volta un garzone di parrucchiere che ogni mattina chiedeva al padrone un’ora di permesso. Ogni mattina. Finché il parrucchiere gli ha mandato dietro di nascosto uno dei ragazzi spazzola.  E quando è tornato gli ha chiesto: “Beh, si può sapere dove è andato?”  E il ragazzo: “È andato a casa sua e è andato a letto con sua moglie!”   “Bah,”  ha detto il parrucchiere: “Non capisco che bisogno ci sia...”   Il giorno dopo,  idem: stessa spiata del ragazzo spazzola, e stesso rapporto. “È andato a casa sua e è andato a letto con sua moglie”. E così avanti giorno dopo giorno, con il parrucchiere che non riusciva a capire perché quello, per scopare, non potesse aspettare la sera.  Finché il ragazzo spazzola ha perso la pazienza, e gli ha detto:  “Senta, posso darle del tu?  Bene: é andato  a casa “tua” e è andato a letto con “tua”  moglie”.

               (Ride)

               Piaciuta?  Capito perché il “lei” è ambiguo?  Perché non si sa mai se lei vuol dire Lei, o vuol dire tu. Non ride?

HUMBERTO – No. A parte il fatto che è vecchia come il cucco, lei le barzellette non le sa proprio raccontare. Basta dire che ride! Chi racconta una barzelletta non deve “mai” ridere lui. È elementare! Se ride lui non ridono gli altri.

IL PRESIDENTE – Ah sì?  Di solito alle mie barzellette ridono tutti.

HUMBERTO – Solo perché ha tanti soldi:  non creda!  Perché è il padrone, il boss, il capoufficio, il caporale di giornata...

IL PRESIDENTE – È venuto qui per insultarmi?

HUMBERTO – E lei?

IL PRESIDENTE – Lei chi?

HUMBERTO  (indice contro) – Lei... lei.

               (Pausa)

IL PRESIDENTE – Forse è meglio che ci diamo del tu,  In fondo siamo coetanei.

HUMBERTO -  Lei ha dodici anni più di me.

IL PRESIDENTE (correggendolo) – “Tu” hai dodici anni più di me.

HUMBERTO – Io ho dodici anni “meno”!

IL PRESIDENTE – Volevo dire che devi dirmi... “Tu” hai dodici anni più di me.  ...  Diamoci del tu.

HUMBERTO – Preferisco tenere le distanze. Non abbiano niente in comune.

IL PRESIDENTE – Posso fare una battuta?

HUMBERTO – No.

IL PRESIDENTE - La faccio lo stesso. Noi, caro Umberto...

HUMBERTO – Humberto.

IL PRESIDENTE -  ... abbiamo in comune una donna!..

HUMBERTO (in guardia, ma pronto all’indignazione e all’attacco) – Che sarebbe?...

IL PRESIDENTE – Lei!

HUMBERTO – Lei chi?

IL PRESIDENTE – Mia moglie.

HUMBERTO (l’indignazione – vera o recitata che sia – lo soffoca) – Ho capito bene?  Lei dice... in tutte lettere.. che io... E non mi dica, come il suo solito, che è stato frainteso... Ma... è incredibile... è vergognoso! Non  so cosa mi trattenga dal metterti le mani addosso, dallo schiaffeggiarti, dal...  dallo sputarti in faccia... Ma come: tu osi insinuare... che io.. che lei... che tua moglie...  Ah, come sei lontano – tu, con i tuoi miliardi, le tue televisioni, le tue serate ad inviti – dal mondo che... sì: che accomuna tua moglie e me...  in una idealità di alto, altissimo profilo... E io sto qui, ad ascoltare queste infami insinuazioni! Io che potrei giurare su tutto ciò che vi è di più sacro.... che mai, tra me e quella purissima creatura...  Ah, non riesco neppure a parlare!...  

IL PRESIDENTE – Hai finito?

HUMBERTO – No.

IL PRESIDENTE – Beh, facciamo come se avessi finito.

               E adesso... carte in tavola!

HUMBERTO – Cosa vuol dire “carte in tavola”?

IL PRESIDENTE - Facciamo come se fossimo a teatro! Eh? Stiamo recitando, e dobbiamo mettere al corrente il pubblico dell’antefatto...

HUMBERTO – Io e te l’antefatto lo conosciamo benissimo.

IL PRESIDENTE (prosegue per la sua strada) – Dunque: vent’anni fa tu stai recitando, a teatro, in una compagnia... con  lei: tu attor  giovane, lei attrice giovane....  Tra voi... una nascente storia d’amore...   Io... vengo a teatro, vedo questa giovane attrice, me ne innamoro: un colpo di fulmine.

HUMBERTO – Ho detto che so tutto benissimo.

IL PRESIDENTE – Tu: ma il pubblico no.

HUMBERTO – Che cazzo vuol dire...?

IL PRESIDENTE - E poi...scherzi a parte..  mi sembra utile anche per noi, ricapitolare... Una specie di riassunto delle puntate precedenti, per arrivare all’oggi...

HUMBERTO – Okay, ricapitola!

IL PRESIDENTE –  Dunque: io mi innamoro, e decido di conquistare quella donna che in certa misura ti appartiene.  È – in quel momento – la tua donna. Ma io – alla luce del sole, onestamente, come ho sempre fatto ogni mia cosa – ti sfido: un uomo contro un altro uomo per la conquista della donna amata. Faccia a faccia, ad armi pari...

HUMBERTO – Ah, no! Questa la racconti a un altro!  “Ad armi pari”?!  Come se non me li ricordassi, i mazzi di fiori che ogni sera arrivavano nel camerino di lei! Mazzi di fiori, cespi di rose rosse, una volta un affare tanto grande che non è neanche entrato in camerino, e che è stato lasciato fuori, dove tutti l’han visto! Ad armi pari, eh? E poi, quando hai cominciato con i gioielli... gli orecchini di smeraldo, e la broche di rubini...? E poi la berlina ad aspettarla ogni sera, per riaccompagnarla a casa...? E io dietro, con la giardinetta di seconda mano...

IL PRESIDENTE – Ad armi pari nel senso... che se lei davvero ti avesse amato...

HUMBERTO – Ma dài! Una donna è sempre una donna, e neanche madre Teresa di Calcutta resisterebbe alla lunga...  Ad armi pari, eh? Tu con i tuoi fiori da capogiro e i gioielli, e io con le scatole di cioccolatini e il rametto di mimosa l’8 maggio! Proprio tu me lo vieni a raccontare, tu che sei abituato a  comperare tutto quello che vuoi, perché sai che ogni cosa ha un suo prezzo, uomini e donne compresi! Ti sei comperata quella donna come Onassis si è comperata la Callas e Jacqueline Kennedy: lui che era ancora più brutto di te!

IL PRESIDENTE – E tu?

HUMBERTO – Io sono bello. Okay?  Io piaccio!

IL PRESIDENTE – Se è per questo, anch’io piaccio!

HUMBERTO – Sì: togliti i soldi e vediamo! In mutande e senza libretto d’assegni...

IL PRESIDENTE – Comunque, la mia domanda è un’altra. Volevo dire... Se tutto ha un prezzo: qual è il tuo?

HUMBERTO – Il mio prezzo?  Io ho degli ideali, caro il mio presidente; e gli ideali non si trovano sugli scaffali del supermarket!

IL PRESIDENTE – Anche Teresa di Calcutta aveva degli ideali, eppure tu hai detto che neanche lei...

HUMBERTO – Senti: la vogliamo smettere con questi discorsi del cazzo?  Mi hai fatto venire qui. Si può sapere che cosa vuoi?

IL PRESIDENTE – Una cosa semplicissima, caro Umberto..

HUMBERTO – Humberto.

IL PRESIDENTE – Restituirti il mal tolto.

               (Humberto lo fissa, diffidente e in guardia)

HUMBERTO – Cioè a dire?...

IL PRESIDENTE – Vent’anni fa io ti ho fregato la donna. Vero?

               Adesso tocca a te fregarmi la mia.

HUMBERTO - ???

IL PRESIDENTE – Da uomo a uomo.  Io non so quali siano i rapporti tra te e mia moglie. Certo non me li puoi spacciare per simpatia ideologica. Mia moglie – te l’ho detto – è tutt’altro che di sinistra, soprattutto da quando ha sposato me!  Ergo: è una questione di sesso.

HUMBERTO - !!!

IL PRESIDENTE -  Aspetta ad indignarti! Unica controindicazione a questa ipotesi è il fatto che mia moglie è molto religiosa, osservante, cattolica, ligia... ce le ha tutte. Del  resto lo sai anche tu. Vent’anni fa eravate giovani. Te l’ha mai data?

HUMBERTO – ?!?!?!

IL PRESIDENTE -  No! E mai l’avrebbe fatto, fuori del vincolo del santo matrimonio! Tant’è vero che io ho dovuto sposarmela! Oh, feli-cissimo, sia chiaro: ero innamorato cotto. Domanda: è così anche adesso?  Oppure...

               (Decollando:)

               ...l’evoluzione dei costumi, il rilassamento morale, la libertà... ma cosa dico “la libertà”!... la rottura di ogni argine di decenza, la corruzione dei grandi valori della famiglia, l’introduzione del divorzio, dell’aborto, delle nozze gay, il crollo di tutte le sacrosante leggi del passato, il dilagare di ogni arbitrio, per cui nulla più vi è di  sacro...  Tutto questo – dimmi – ha corrotto la sua intemerata virtù, ha inciso – e in che modo – nel rigore del suo animo preconciliare?

               (Tornando a terra)

               In altre parole: adesso, te la dà?

HUMBERTO – Presidente, io Le giuro su quanto vi è di più nobile e prezioso..

IL PRESIDENTE -  Non giurare!  Ed è inutile che passi al “lei”: la verità non dipende dai pronomi!

               E allora?  Rispondi.

HUMBERTO – Sono un gentiluomo!  E mi farei uccidere piuttosto che...

IL PRESIDENTE – Dunque, te la dà!

               (Humberto, con un breve grugnito, si avvale della facoltà di non  rispondere)

               Sì, ma non preoccuparti. Non voglio né muoverti accuse né sfidarti a duello. Brutalmente: se te la fai con mia moglie, non me ne importa niente:  hai la mia benedizione. Non vi chiedo neanche di nascon-dervi. Anzi: voglio che la cosa sia palese, che finisca sui giornali, che tutti lo sappiano!...

HUMBERTO – Non capisco.

IL PRESIDENTE - Mia moglie è circondata da un cerchio magico – e da sempre c’è qualcuno che le consiglia di chiedere il divorzio.

HUMBERTO - Beh, sarebbe il minimo, visto come si comporta lei nei suoi riguardi!

IL PRESIDENTE – Lei chi?

HUMBERTO – Lei... tu!

IL PRESIDENTE – Mia moglie... la conosciamo. È donna di fede, quando c’è stato il referendum ha votato contro... No, no, il divorzio non lo chiederà mai. Lei...

HUMBERTO – Lei chi?

IL PRESIDENTE  – Lei... mia moglie.  Potrà anche andare a letto con te, per quel che immagino, ma questo è un altro discorso: l’adulterio è un peccato. Una bella  confessione, tre Pateravegloria... e tutto ritorna di bucato. Il divorzio invece è sempre lì. Potrà al massimo subirlo, perché in effetti... dato che a me farebbe comodo... finirò con l’essere io a chiederlo.

HUMBERTO – E io cosa c’entro?

IL PRESIDENTE – Ma in questo caso – stammi bene a sentire – per un sacco di ragioni, non esclusi i soldi – io ho “bisogno” di dimostrare che lei è in colpa! Capito che cos’è che c’entri?

               È chiaro il discorso?

HUMBERTO (di nuovo ostentando indignazione) – E io dovrei....?  Ma per chi mi ha preso?  Ma non si vergogna...

IL PRESIDENTE (interrompendolo, con intenzione) – ...Quanto?    

               (Pausa. Il Presidente passa subito a spiegare)

               Vàluta bene.  Per te significa ponti d’oro verso la televisione: i miei canali, ma anche quelli pubblici, dove in pratica comando io. Idem per i giornali, i settimanali, il cinema... Interviste, foto, inviti alle sfilate di moda, alla prima dello Scala... la gente che ti riconosce, che ti ferma per strada, che ti chiede l’autografo, che ti abbraccia per scattare un selfie... Tutto in cambio di che cosa? Della pura e semplice verità!  che io già conosco – figùrati: con tutti i servizi segreti di cui dispongo!... Ma mi manca un’immagine, capisci? Tu, sorpreso con mia moglie in atteggiamento... equivoco. Non voglio correre rischi! E voglio anzi essere io, prima di lei, a chiedere il divorzio! Perché?, mi chiederanno. E io: perché eccola qui, signor giudice, mia moglie... con il suo amante. Humberto! Il grande Humberto, la star del momento...

               Oppure… posso lasciarti lì, nel tuo brodo, ad insultare gli sporchi borghesi che ti sorridono e ti battono le mani... perché tanto ti considerano un innocuo pagliaccio.... E farti il vuoto intorno.

               Non rispondere subito! Pensaci! E ricordati: Parigi val bene una messa!

               (Breve pausa. Dopo la tirata ricattatoria, il Presidente ritorna sorridente alla  cordialità salottiera)

               Ed ora scusami: ho l’ambasciatore degli Emirati Arabi.

               Forse gli vendo il Milan.

               (Con un gesto gli indica la porta)

                                       

                                               Buio.

IV

               Di nuovo il camerino di Humberto.

               A un tavolino sono seduti, l’uno di fronte all’altra, la bella Filumena e il bell’Humberto. In mezzo a loro, sul tavolino, un gadget, sul quale armeggerà Humberto. È una penna Stilografica, da cui sentiamo l’ultima battuta della scena precedente:

LA STILOGRAFICA – “...Perché eccola qui, mia moglie... con il suo amante.  Humberto!  Il grande Humberto, la star del momento...

               Oppure. posso lasciarti lì, nel tuo brodo, ad insultare gli sporchi borghesi che ti sorridono e ti battono le mani... perché tanto non gli fai niente.... E farti il vuoto intorno.

               Non rispondere subito! Pensaci! E ricordati: Parigi val bene una messa!

               Ed ora scusami: ho l’ambasciatore degli Emigrati Arabi.

               Forse gli vendo il Milan.”

FILUMENA (quasi in lacrime) – Vigliacco!...

HUMBERTO (rimette via la penna, restituita alla sua funzione apparente) -

               Amore mio!

FILUMENA – E adesso?

HUMBERTO – Adesso... in che senso, amore mio?  “Adesso”...  adesso, o... adesso andando avanti?  Perché sei qui?  E dov’è Angiolino?

FILUMENA – Angiolino è al bar, non preoccuparti...

HUMBERTO (sorride, fa per togliersi la giacca, si “accinge”) ­– Allora, luce della mia vita, possiamo finalmente...  Non sai con quale ansia di desiderio ti ho attesa....

FILUMENA – Oh, Umberto...

HUMBERTO – Humberto...

FILUMENA – Oh, Humberto... come puoi pensare a queste cose in un momento come questo?

HUMBERTO – No, certo, hai ragione.  Però, sai... nell’attesa...

FILUMENA  -  Nell’attesa di cosa?

HUMBERTO –  Beh... non so... 

FILUMENA – Dobbiamo parlare, Humberto: discutere, prepararci.  Io non mi fido, Humberto!  Non mi fido di lui, non mi fido di te...  Non ti rendi conto del ricatto che ti ha teso?   Non vedi la tentazione in cui  cerca di farti cadere?  E tu, Hhhumberto? E tu?

HUMBERTO –  Oh, Fffilumena!  Puoi pensare che io, per un piatto di fagioli...   no: di lenticchie...?

FILUMENA  - Le chiami lenticchie?  Non l’hai sentito? Non me l’hai fatto sentire?  Il successo, la fama, la gloria... la televisione! Oppure il buio, il vuoto attorno a te... Sta tentando te come vent’anni fa ha tentato me!  Mi hai accusato di aver ceduto alle sue lusinghe...

 HUMBERTO – Ma no, ma no: lo sai! Ti ho sempre giustificata: neanche Madre Teresa di Calcutta - l’ho sempre detto -  avrebbe resistito ai fiori, ai gioielli...

FILUMENA – Ecco, vedi? Giustifichi me, giustifichi Madre Teresa di Calcutta...  Perché? Ti stai preparando a giustificare te stesso?

HUMBERTO – Oddio, umanamente parlando... e non solo umanamente, e non  solo parlando... la tentazione è forte, non posso negarlo!  Certo:  il mio senso dell’onore mi vieta...  però anche l’onore, sai, come dice il Falstaff... è una parola, è un po’ d’aria che vola... 

FILUMENA – Cosa vuoi dire con questo? Che saresti capace di gettarmi in pasto...

HUMBERTO – Oh no, anima mia: come puoi pensarlo?  Volevo dire solo che, come ha detto anche tuo marito... si può andare a Messa anche a Parigi... In fondo, cosa chiede? Un’ammissione. Neanche una “confessione”. Ammettere, visibilmente, che ci amiamo. Una cosa che lui sa già, che tutti al mondo sanno... E io, francamente...

FILUMENA – E a me, non pensi! Non pensi alla condizione di inferiorità in cui verrei  a trovarmi. Di fronte a un giudice, che dichiara il divorzio, come potrei io – colpevole, fedifraga, adultera – chiedere i soldi che potrei fargli tirar fuori? Non hai un cuore, tu, Hhhhhumberto? Non hai sentimenti? Non sai fare un minimo di conti?

HUMBERTO– Amore mio, ma cosa dici? Cosa dici!  Del resto, scusa, il fatto che tu sia rimasta incinta... non è già quella prova che lui chiede?  Non è già quella ammissione che lui vorrebbe da me?

FILUMENA – Ah, mai, mai!  Quel figlio dev’essere suo, Humberto! 

HUMBERTO – Sì, amore!  Ma se tu dici che lui non... non  cosa...

FILUMENA – Mi hai messo tu nei guai?  Devi “tu” trovare una via d’uscita!

HUNBERTO (la abbraccia) – Va bene, ci penseremo, con calma.  Adesso... tra poco... devo andare a cantare...

               Baciami!

FILUMENA – Eh già, baciami, dice lui! Sei un egoista! Un vigliacco! Sei un un venduto! E io peggio di te, sì sì, lo so non hai bisogno di dirmelo; che sono qui, anche oggi, dopo tutti i giuramenti che faccio ogni volta che i miei occhi si specchiano in quelli dei miei bambini! Dio mi castiga: è giusto! Lo sapevo; e ecco che non ci sono solo i rimorsi, la vergogna, a tormentarmi!  Cosa che a te non te ne importa niente, perché tanto tu quel che vuoi lo ottieni, vigliacco!  Lasciami stare, faccio da me. Adesso c’è anche questa storia dei soldi! Ecco il nuovo castigo! Gli alimenti! Oh, come me la vedo la scena! Il giudice che pronuncia la sentenza del divorzio, e dietro di lui l’arcangelo Gabriele con la spada di fuoco. E ai suoi piedi i miei bambini, che mi guardano, tristi, con occhi di pianto!  Come potrò mantenerli se quel mostro – no, non tu stavolta!: mio marito – mi coprirà di fango, lui che è bravissimo in queste cose, che se vuol distruggere uno lo distrugge; rivelerà al giudice tutta la mia infamia, “ecco l’adultera!” dirà! Ma non per perdonarmi, come ha fatto il Cristo!  “Va’, donna, e non peccare più!”  Anzi “pecca” – penserà: “tu e il tuo drudo!” Tu, sì, vigliacco! “Perché ad ogni vostro incontro... ogni volta che vi abbracciate lascivi tra le lenzuola del peccato... sono milioni e milioni di alimenti in meno!”  O la villa sul lago! O la baita a Saint Moritz! O il complesso dei trulli in Puglia!  Certo, tu te ne infischi!  Tu hai un trelocali e ti basta e ti avanza!  Ma io?  E i miei figli?  Ma cosa vuoi? Stai fermo! 

HUMBERTO – Amore mio... Ti prego!...

FILUMENA – Ipocrita! E mi preghi, anche? Traditore!  E io peggio di te: mille volte peggio di te, che gli alimenti non li devi contendere a nessuno! Mentre io invece....

HUMBERTO – Ma noi ci amiamo!...

FILUMENA – E non tirare in ballo l’amore! Vergognati. L’amore è una cosa santa!  Questo invece è solo libidine, perversità.... che mi fa velo alla coscienza, mi fa dimenticare tutto... i figli... i trulli...

HUMBERTO – Sì, ma adesso non pensiamo ai trulli...

FILUMENA – Lascia almeno che mi tolga la vera. Almeno quello... Dove la metto, per non dimenticarmela?  La metto sulla destra.

HUMBERTO – Ecco, sì: sulla destra! 

FILUMENA  - Basta che poi mi ricordi di spostarla!... Ma cosa fai?

HUMBERTO – Ti aiuto...

FILUMENA – Ecco l’aiuto che mi dài!, egoista, vigliacco! Invece di aiutarmi davvero a recuperare la mia dignità: di madre, di sposa, di donna...

               Sì, sì, così.... ancora, ancora!  Mmmm!  Mmmmm!  Oooohh! Che bello....  No, aspetta: ancora un momento!... Ahhhhh!

               (Consummatum est. Una breve pausa.)

               Ecco! Fatto! Tutto qui! Hai visto? No, non dico a te! Lo dico a me stessa, che per un attimo di piacere – sì, sì, chiamiamolo pure così – si condanna ad una vita di rimorsi, di tormenti, di preoccupazioni! La mia guêpière! Aiutami, dài, non stare lì con le mani in mano. Oh, a quale prezzo pagherò questi istanti... lo sa solo Iddio. Dammi la guêpière. È l’ultima volta che ti accontento anche in questo. Non bastava il reggicalze di pizzo? No! Attento con  la lampo: mi fai male. Tutto un lastricato di vergogna è la mia vita! Oh, potessi tornare bambina, quando le suore mi insegnavano a star lontana dalle tentazioni. Un attimo di piacere, mi dicevano, e poi? Il rimorso, il senso di indegnità per sempre, per sempre!...

               (Sottovoce, quasi come “a parte” Humberto accenna, la celebre melodia di Padre Martini “Plaisir d’amour ne dure qu’un moment; / chagrin d’amour dure toute la vie...”)

               Ma cosa canti a fare?  Ma sì, ma sì, canta! Per quel che sei capace di dire.. tanto vale.  Ma stavolta non te la lascio passare, sai?  Qui ci son di mezzo gli alimenti; e questa è una cosa che capisci anche tu, anche nella tua brutalità, nel tuo rozzo egoismo! Certo: finché si trattava dei miei sentimenti feriti e oppressi... non t’importava di niente, vero?  Ma adesso ci son di mezzo i soldi, e allora anche tu “cominci” a preoccuparti, eh, i soldi sono importanti, come no! Questo lo capisce anche Humberto, il rosso, il fedifrago, lo sfruttatore, il demonio!  E allora, se lo capisci, datti da fare!  Deve essere figlio di mio marito, hai capito? Almeno sulla carta... almeno agli occhi del mondo!

HUMBERTO – Sì, ma...

FILUMENA – “Sì, ma” cosa?   Simacosa!  “Sì”, ma cosa?  

HUMBERTO – Amore mio, tra poco devo cantare.

FILUMENA – Sì, certo!  E io con le mie storie ti impedisco di concentrarti.

               Va bene. Io vado in sala. E vedi di non farla troppo lunga...

HUMBERTO – Un canto di protesta, tesoro.

FILUMENA – Certo: è lui quello che protesta! Io... per me va tutto bene!

HUMBERTO – Baciami.

               (Si baciano. Lei ne rimane immediatamente, violentemente conta-giata, e gli si avvinghia)

FILUMENA (con tono preorgasmatico) – Oh, Hhhhumberto... Sì, sì...

HUMBERTO – No, no... tesoro, basta...

FILUMENA (desiste, rassegnata) – Vado in sala.

HUMBERTO – Anzi... fammi un favore. Mandami qui Angiolino. Un momen-to, un momento solo.

FILUMENA – Cosa vuoi fare?

HUMBERTO – Non lo so: vedere, provare... Lui, in fondo, è l’unico tramite tra noi e tuo marito... 

FILUMENA (in un  improvviso riaccendersi di fede) – C’è anche la preghiera, Humberto!

HUMBERTO – Tu prega, non so cosa dirti. Io intanto provo a sentire Angiolino.

               (Lei è già sulla soglia, ha aperto la porta, chiama:) Angiolino!...

ANGIOLINO (è già lì, pronto, scattante) – Signurì...

FILUMENA – Il signore ti vuole.

ANGIOLINO (sospettoso) – E voi...?

FILUMENA -  Sono al solito tavolo.

ANGIOLINO - ... perché io v’ho da starvi attento. Questo lo saccete.

FILUMENA – Lo so, lo so.

HUMBERTO – Solo un attimo, Angiolino.  Le stai attento anche da qui.

               (Filumena è andata)

ANGIOLINO – ...perché per ogni fausta venienza... per me son cazzi amari!

V

               (Pausa. Humberto e Angiolino prendono posizione)

HUMBERTO – Stavi ascoltando?

ANGIOLINO – E quanno mai? Io non ascolto... io qualche volta “sento”: che non posso evitarlo.

HUMBERTO – E poi?

ANGIOLINO – Poi finis.

HUMBERTO – Poi riferisci.

ANGIOLINO - Dottó, io quel che voglio riferisco, quel che non voglio non  riferisco neanche morto.

HUMBERTO – Angiolino, sta’ a sentire: la tua fedina penale... com’è?

ANGIOLINO – Vergine come mamma l’ha fatta.

HUMBERTO – Vuoi dire che non hai fatto mai niente di male, che hai la coscienza tranquilla, che il mondo non può rimproverarti niente...

ANGIOLINO – Dottó, voi state facendo d’ogni erba un fascicolo! Voi confondete le cose. La coscienza tranquilla ce l’ho al mille per cento, ma che il mondo non può rimproverarmi niente, ci andrei piano a dirlo. Dipende dai punti di vista.

HUMBERTO – Hai mai ammazzato nessuno?

ANGIOLINO – L’uomo civile non sputa e non bestemmia. E io né sputo né bestemmio.

HUMBERTO – La mia domanda era un’altra: hai mai ammazzato nessuno?

ANGIOLINO – Dottó, mio padre stava dietro  ai maiali, e mio nonno neanche quello. Si può fare, secondo voi, la carriera che ho fatto io, senza ammazzare qualcuno? Dovevo aspettare che gli altri ammazzavano me? Scelta obbligata, dottó. Legittima difesa. Casa di forza mag-giore.

HUMBERTO – Ho capito.

ANGIOLINO – Dottó, se lo dite così, vuol dire che non avete capito un bel niente.  Io, visto che mi onorate di un colloquio, (che già ho un’idea di dove va a imparare...), vi dico subito le mie coordinanze: io ho due o tre princìpi, dottó! Uno: tra te e me... scelgo me. Due: mai farsi beccare, neanche il giorno di Natale.  Tre,  sempre dalla parte del più forte.

HUMBERTO – Quindi....

ANGIOLINO (conclusivo) – Quindi!

               (Pausa. Poi Humberto riparte)

HUMBERTO – Angiolino tu sei un uomo fedele?

ANGIOLINO – Fedelissimo. Come l’edera, che dove s’attacca muore. Come l’arma dei carabinieri, fedele nei secoli.

HUMBERTO – Quindi... sei incorruttibile.

ANGIOLINO – No, questo no: questo non l’ho detto!

HUMBERTO – Ma se hai detto che sei fedelissimo: che dove t’attacchi muori!...

ANGIOLINO – Sì, ma se muore quello dove m’attacco?

HUMBERTO – E adesso, dove sei attaccato?

ANGIOLINO – Tra il presidente e voi? Al presidente. 

HUMBERTO – Ma se senza tradire il Presidente tu potessi aiutarci... Tu sai che io e la signora ci amiamo...

ANGIOLINO – Questi son cazzi vostri, dottó, scusate il doppio senso.

HUMBERTO – Ma l’amore... non  ti dice niente.

ANGIOLINO – Mi dice poco, dottó.  Statemi a sentire: al paese di mia nonna, che è siciliana...

HUMBERTO – Siciliana?  Anche mia nonna era siciliana!| Vedi quante cose ci uniscono?

ANGIOLINO – Non c’è donna siciliana senza un nipote che può dire “io tengo una nonna siciliana”.  E comunque, io un’altra cosa volevo dire, che - senza offesa – se la capite vi spiega le cose.  Al paese di mia nonna – a memoria d’uomo e di donna – si dice che “Cumannari è megghiu ca fùttiri”. Che vuol dire...

HUMBERTO – Ho capito, ho capito: comandare è meglio che fottere. Ma non capisco....

ANGIOLINO – Allora: al di là di ogni altra considerazione, fermo al principio che io come regola di vita sto col più forte...  tra voi e il presidente, chi è che ha scelto checcosa?: voi di fottere, e lui di comandare. Dove sta il “megghiu”?

               (Pausa. Humberto prende nota, recupera, riparte:)

HUMBERTO – Sta’ a sentire, Angiolino. Io non ti chiedo certo di mollare il presidente o di non far niente contro di lui. Chiaro?

ANGIOLINO – Recoaro.

HUMBERTO – Però io ho un problema.

ANGIOLINO – Lo so.

HUMBERTO – O meglio: io e la signora abbiamo un  problema.

ANGIOLINO – Lo so.

HUMBERTO (un po’ nervoso, con irritazione) – Che cosa sai?

ANGIOLINO – Dottó, so che a furia di fottere la signora è rimasta imba-razzata, e voi siete nella merda.

HUMBERTO – Come sarebbe a dire “imbarazzata”?

ANGIOLINO -  Napoli, Quartieri spagnoli, dottó. Imbarazzata vuol dire incinta.

HUNBERTO – Ma come ti permetti?

ANGIOLINO – Vi permettete voi a farlo, e io non posso permettermi di dirlo?..  L’avete imparato a Cuba?

               (Pausa)

HUMBERTO – Angiolino, io ti parlo da uomo a uomo, con il cuore in mano, come a un amico, come a un fratello!

ANGIOLINO – Ahi!  Quando uno comincia così, scusate il doppio senso, tre per due è per mettertelo nel culo.

HUMBERTO (intenso) – No, Angiolino, questa volta non è così!  Non con me, non con te, non in questo caso! Tutt’altro! Dimmi: tu ami il tuo presidente, vero?

ANGIOLINO – Diciamo che...

HUMBERTO – Esatto!  E dunque certamente, senz’altro, di sicuro, non puoi sopportare l’idea che domani sua moglie – agli occhi di tutti: giornali, televisione – dia alla luce il figlio di un altro! Ti rendi conto? Lo scandalo, la vergogna... Bisogna che questo non avvenga: mi capisci?

ANGIOLINO – Oddio, se davvero così volete, non ci vedo il problema: una abortisce...

HUMBERTO – Mai! La signora è dama di San Vincenzo... Al referendum sull’aborto ha votato contro... Mai!

ANGIOLINO – E allora non so che vi dire.  Mia nonna diceva “Li guai di la pignata li sapi la cucchiara.” 

HUMBERTO – Che sarebbe?...

ANGIOLINO – “Se la pentola è nei guai, la colpa è del mestolo”.

HUMBERTO – Cioè?  

ANGIOLINO – Dovevate tirarlo fuori in tempo: il mestolo! Scusate la bruta-lità, dottò; ma voi capite le cose a rate...

HUMBERTO –Ma allora... e se intervenisse allora...?

ANGIOLINO – ...un altro mestolo?

HUMBERTO – Voglio dire che...

ANGIOLINO – Ho capito, dottó. Io le cose le capisco subito, anche se poi le esprimo a modo mio.  

HUMBERTO (un po’ d’irritazione) – Che cos’è  che è che hai capito?

ANGIOLINO – Che il vostro problema è che il mestolo del presidente si occupi una tantum della pignata di sua moglie...

HUMBERTO – Angiolino, per piacere!...

ANGIOLINO – Posso dirlo con altre parole, dottò, ma non è il mio stile e poi voi capite tutto a rilento. Comunque il senso è quello.

               (Torna all’oggetto)

               Anche voi sapete le cose come stanno: il presidente e sua moglie sono separati in patria. Lui nella sua villa di lui, lei nella sua villa di lei...

HUMBERTO – Ma tu... non gli vivi fianco a fianco?

ANGIOLINO – Culo e camicia, dottò: culo e camicia!

HUMBERTO – Non lo vedi ogni giorno, non entri e esci dal suo ufficio quando vuoi, non sei tra i suoi uomini di fiducia, tra i suoi protetti, tra i suoi confidenti? Non puoi trovare il modo di un incontro... di un’occasione... Tu che possiedi ambo le chiavi del cuor di Fede-rico....

ANGIOLINO - ???

HUMBERTO - Angiolino, io ti parlo da uomo a uomo, con il cuore in mano, come a un amico, come a un fratello!

ANGIOLINO – Ahi! 

               Vedete, ottó: se voi e la signurì mi chiedeste di ammazzarlo... occhei; posso dire di sì, posso dire di no (più probabile), comunque se ne può discutere. Un colpo di pistola, un incidente di macchina, un veleno per topi nel bicchiere, il cesso che esplode quando fai andare l’acqua.... tutte cose provate e riprovate, mai una lamentela, mai un insoddisfatti e rimborsati!.... Ma qui c’è una questione di fondo, dottó: una questione filosofica: in pratica voi chiedete al presidente di abbandonare il “cummannari”  e di scendere al “futtiri”!  È come... non so....

HUMBERTO – Ma per una volta!  Un pomeriggio, una sera...

ANGIOLINO – Perché non dite alla signurì , “per una volta”,  di abortire? ...

               (Sospira, scuote la testa.)

               Vedete?  Siamo in un vicolo cieco. 

               Eppure...  Conoscete Totò?

HUMBERTO – Totò chi? Totò Schillaci, Totò Orlando, Totò Riina...?

ANGIOLINO – Totò nudo e crudo, dottó: Totò!        

HUMBERTO – Ah, l’attore.

ANGIOLINO – E vi ricordate “L’uomo, la bestia e la virtù”?

HUMBERTO – Ah, sì... un libro di Pirandello... mi pare.

ANGIOLINO – Ma no: Pirandello chi?  Un filme. Un filme di Totò!

HUMBERTO – E che cosa c’entra?

ANGIOLINO – C’entra perché la storia è la storia vostra, fatta e sputata. C’è un capitano di marina, sempre in giro per il mondo, con una moglie che lo vede una volta ogni tre mesi, quando fa scalo a Napoli. Lei – abbandonata e solitaria – che si trova un amante e resta incinta. E che –  almeno una volta – deve farsi scopare da suo marito.

HUMBERTO – E ci riesce?

ANGIOLINO - E ci riesce... e l’onore è salvo...

HUMBERTO - E come fa?

ANGIOLINO – Eh, “come fa”! Vedete, dottó, a cosa serve la cultura? Ecco che un filme ti insegna una cosa, che torna buona come il formaggio sui maccheroni.  Lui fa uno scalo di ventiquattr’ore, che già è di partenza il giorno dopo. La moglie gli prepara la cena… e lui - l’amante – le fa preparare una torta imbottita di afrodisiaci. Sapete cosa sono gli afrodisiaci?

HUMBERTO – Sì, sì...  Va’ avanti.

ANGIOLINO – Sono delle cose che uno ne prende un po’ e...

HUMBERTO – T’ho detto che lo so. Va’ avanti con la storia.     

ANGIOLINO – Fine! Lui si arrappa come neanche “sangirolamo a lu deserto”, e avanti savoia per quanto basta.    

               (Pausa. Non  breve, ma intensa. Humberto passeggia nervosamente)

HUMERTO – E tu, Angiolino, ci daresti una mano?

ANGIOLINO (deciso, fermo) – No!

HUMBERTO - ...tu che sei culo e camicia....

ANGIOLINO – No, rienaffèr, come dicono gli inglesi. Io ho già fatto fin troppo additandovi la via; che l’ho fatto più che altro per dimostrarvi a voi, i vantaggi della cultura! Dopodiché son minchie vostre. 

HUMBERTO (molla l’osso, conclude) – Okay, va bene...  Puoi tornare a fare il cane da guardia.  Io... ci penserò.

ANGIOLINO – Beh, pensateci bene.  Perché potrebbero esserci conseguenze anche per il paese. Voi, con la vostra smania di mettere le mani avanti, e di incastrare il presidente... sapete cosa fate? Già ve l’ho detto: lo degradate, lo retrocedete in serie B:  da uno che comanna a uno che fotte! Brutta cosa, dottó: brutta cosa! Già la gente brontola che è vecchio, e parla di scambio generazionale... e racconta di cene a casa sua... di orge...che invece sono tutte balle, inventate da chi gli vuol male...

HUMBERTO – Dici? Tutte balle? Le ragazze in tubino, quella vestita da suora...

ANGIOLINO – Ma sì, ma sì!  Teatro, dottó: burlesche, come che ha detto lui. Ma tutto lì! Guardare e non toccare, che tra dire e fare ci sta di mezzo il mare.  Alla sua età, dottó!...

HUMBERTO – Però con sua moglie dovrebbe...

ANGIOLINO – Io non dico altro, dottó.  Buona sera a voi.

               (Esce)

VI.

Di nuovo il cabaret. Il solito tavolo cui è seduta la bella Filumena. Una proiezione illustra il resto, come già visto all’inizio. Su uno schermo, come a rappresentare la pista da ballo del nightclub, un qualsiasi numero di spetta-colo: un giocoliere, una contorsionista...

La bella Filumena segue distrattamente, un occhio alla quinta dove vediamo un tizio di spalle. Non ne distinguiamo i lineamenti. Vediamo solo che ha un qualcosa di bianco in testa.

Entra Angiolino.  Si avvicina al tavolo di Filomena.

ANGIOLINO – Ecchime qua.  Todo buono, signurì?

FILUMENA – Non lo so. Dà un’occhiata a quell’uomo là in fondo: mi sembra che mi ronzi intorno....  Quello con quel tovagliolo in testa...

               (Angiolino ha già portato la mano alla pistola)

               Senza storie, mi raccomando!

               (Angiolino si avvicina al tizio. Lo squadra da dietro. Lo tocca su una spalla, richiamandone l’attenzione,)

               A guaglió...!

               (Il tizio si volta: al pari di Angiolino, anche noi lo vediamo in faccia: ha il volto a metà coperto da un enorme paio di occhiali neri. È comunque riconoscibile, e anche Angiolino in effetti lo riconosce:)

               Presidente!...

IL PRESIDENTE (allarmato) - Ssssst!

ANGIOLINO – Voi qui, presidè’?  Ecchè ci fate.

IL PRESIDENTE (sottovoce, imperioso) – Gira al largo, Angiolino. Alla si-gnora penso io.

ANGIOLINO – E addó devo andare?

IL PRESIDENTE – Dove vai di solito?

ANGIOLINO – Al bar o alla toalett!

IL PRESIDENTE – Beh, va al bar.  Se occorre ti chiamo. Sparisci.

               (Angiolino obbedisce. Il presidente si assetta: ritocca l’affare bianco che ha in testa, gli occhiali neri... e sempre movendosi con aria circospetta, si porta al tavolo della bella Filumena, dove siede, ex abrupto.

               Filumena ne è colta di sorpresa. Un attimo di incertezza, poi...)

FILUMENA – Tu? Tu qui?

IL PRESIDENTE          (come ad invitarla ad abbassare i toni) – Sssst! Sono qui in incognito.

FILUMENA – Sei venuto a sorprendermi?

IL PRESIDENTE (più tranquillo, ora quasi normale) – Con tutti i servizi segreti di cui dispongo?  No, sta’ tranquilla.

FILUMENA – Che cos’è quella cuffia?

IL PRESIDENTE – Non è una cuffia: è una bandana.

FILUMENA – E che cosa te ne fai?

IL PRESIDENTE – Non voglio che la gente mi riconosca.

               (Una breve pausa. Il presidente si guarda in giro, circospetto. Lei lo osserva)

FILUMENA – Un po’ di tempo che non ci si vede.

IL PRESIDENTE – I casi della vita. Ci voleva il tuo lui per farci rincontrare.

FILUMENA – Smettila. Non è il mio lui.

IL PRESIDENTE – Quand’è che canta?

FILUMENA – Adesso.

IL PRESIDENTE – Solita roba anarchico-leninista?  A morte i ricchi, a fuoco il Vaticano...?

FILUMENA – Il suo repertorio.

IL PRESIDENTE – Comunque devo dire che ho sentito un nastro e...  non è male. Canta con forza, con convinzione! Bella voce, ben impostata...  Mi incuriosisce vederlo di persona: come sta in scena, come si muove. Anche se non è più un ragazzino... potrebbe avere una grande carriera.  La stoffa c’è.

FILUMENA – Purché....?

IL PRESIDENTE (finto ingenuo) – Nessun “purché”: dico quello che penso.

FILUMENA -  Salvo poi dire che sei stato frainteso.

IL PRESIDENTE (scarta l’ipotesi con un gesto di fastidio) – Sai che giorno è sabato prossimo?

FILUMENA – Lo so.

IL PRESIDENTE – È l’anniversario del nostro matrimonio.

FILUMENA – E con questo?

IL PRESIDENTE – Ceniamo insieme?

               (Filumena lo guarda ostentando stupore. Poi, non senza sarcasmo)

FILUMENA – Dove vuoi arrivare?

IL PRESIDENTE – Da nessuna parte. Come sei sospettosa.

FILUMENA – E tutti i tuoi impegni?

IL PRESIDENTE – Posso o non posso, una volta tanto, metterli da parte per una cena con mia moglie?

FILUMENA  - Te l’hanno suggerito i tuoi avvocati?

IL PRESIDENTE – I miei avvocati?! Ma cosa ti salta in mente?

FILUMENA – Ti conosco. Comunque, sia chiaro: se l’idea è quella del divor-zio... mai! Hai capito? Mai!

               Eccolo!

               (Il “numero” in  scena su è concluso tra un paio di stanchi applausi. Entra Humberto.  Sorride al pubblico, volge gli occhi al tavolo di Filumena,con il previsto sguardo adorante di saluto... ma subito prende nota del nuovo venuto, lo riconosce, cambia espressione, mentre il Presidente muove appena le dita della mano posata sul tavolo, in cenno di saluto.

               Debita pausa per digerire il tutto, poi Humberto prende a cantare. Canta con intenzione, con rabbia contenuta, con gesti e toni provocatori, una canzone evidentemente dedicata al “rivale”.)

HUMBERTO -    Sai che è che vive senza

                                      orologio e calendario,

                                      e non sa che il tempo passa?

                                      È il bravo reazionario.

                                      Se il mondo avanti va

                                      poco o niente gliene importa:

                                      tutto quel che è novità

                                      lui lo caccia dalla porta.

                                      È coerente, questo sì,

                                      anche nelle cause più diverse:

                                      egli qui non si sbaglia mai:

                                      sposa sempre quelle perse.

                                      Nella bufera della storia sta

                                      saldo come un monumento:

                                      fissa il guardo al passato

                                      e... e piscia contro vento!

                                      E.... e piscia contro vento!

Buio

Trarne occasione per qualche  minuto di mezzasala.

VII.

               (Il camerino di Humberto. Filumena seduta al tavolo, assieme ad Humberto. Si sfila l’elegante orologino da polso, ne schiaccia un invisibile bottone, lo mette al centro del tavolo. Intanto...)

HUMBERTO – Cosa mi fai sentire?

FILUMENA – Quello che ha detto lui.

HUMBERTO – Non m’interessa: non mi hai già detto tutto tu?

FILUMENA – Ha parlato anche di te...

HUMBERTO – Peggio che andar di notte! Immagino tutte le cattiverie sul mio conto... ma quel che più mi turba è che tu, amore mio, sia costretta ad ascoltarle....

               (L’orologino è ora in funzione:)

L’OROLOGINO -  Un po’ di tempo che non ci si vede.  - I casi della vita.  Ci voleva il tuo lui per farci rincontrare. - Smettila. Non è il mio lui. - Quand’è che canta? - Adesso. -  Solita roba anarchico-leninista?  A morte i ricchi, a fuoco il Vaticano...?

HUMBERTO – Lo senti? Irride, irride, l’infame! Intollerante, come sempre! Incapace di porgere orecchio...

L’OROLOGINO - ... Comunque devo dire che ho sentito un nastro e...  non è male. Canta con forza, con convinzione! Bella voce, ben impostata...  Mi incuriosisce vederlo di persona: come sta in scena, come si muove. Anche se non è più un ragazzino... potrebbe avere una grande carriera.  La stoffa c’è.

HUMBERTO (mentre Filumena interrompe l’audizione) – Beh, però... Intol-lerante, certo!  Ma di musica sembra comunque che se ne intenda.  Ha buon  gusto, l’infame! Sa cogliere il valore delle cose, anche al di là delle divergenze ideologiche.

FILUMENA – Humberto! Humberto! Sta’ attento: questi elogi sono una trappola!

HUMBERTO – Ma stava parlando con te!

FILUMENA – L’ha detto a me perché lo dica a te: sapeva benissimo  che stavo registrando tutto!

HUMBERTO – Lo sapeva?!

FILUMENA – Mai stati segreti tra noi.  E quegli elogi sono una trappola: la solita lusinga per trascinarti dalla sua parte, per spingerti a confessare pubblicamente il nostro amore, Humberto. Oh, il suo disegno è chia-rissimo! Vuole chiedere il divorzio per colpa mia, darmi la metà di quel che dovrebbe, spingermi sul lastrico...

HUMBERTO – Beh, sul lastrico... relativamente!

FILUMENA – Anche questa cena è una trappola! Se ne servirà per far sapere in giro che siamo una coppia di coniugi felici, e che lui è l’eterno innamorato che corre da lei, strappandosi alle cure del governo.  Già me li vedo, i fotoservizi sui suoi settimanali: lui che arriva a casa mia – finto nascosto, come Hollande – e la didascalia: “il presidente  e la sua notte d’amore”. E io? Dopo pochi mesi, i primi segni della gra-vidanza: le prime domande, i dubbi, i sospetti, le maldicenze; e il tiggì di Emilio Fede a insinuare i primi sospetti. E i fotoservizi, a sottolineare con un circoletto rosso la mia circonferenza, e di fianco le foto del volto di lui, segnato dalle rughe, macerato dal dolore... Lui la vittima, io la fedifraga, la donnaccia, la puttana...

HUMBERTO – Oh, no, no!  Tu... mio giglio, mia santa...

FILUMENA  - Avrò tutti contro: l’opinione pubblica... i giudici...  Oh, Hum-berto, sono disperata...

               (Scoppia a piangere: Humberto la raccoglie tra le sue braccia)

HUMBERTO – Calmati, amore mio!  Ti prego, non fare così!  Certo  che se tu non fossi così ligia...  se tu, una tantum... rinunciassi – come dire – alle gioie della maternità...

FILUMENA – Un aborto?!  E tu accetteresti, Humberto, che questa viva prova del nostro amore venisse sacrificata..

HUMBERTO – No,  certo, anima mia! Non sai quanto ci soffrirei anch’io. Eppure...  è un passo che chissà quante fanno... e che la legge auto-rizza.... non è più come una volta...

FILUMENA – Una volta, una  volta! Una volta si poteva anche discuterne, c’era il beneficio del dubbio! Ma oggi, che con il DNA ficcano il naso dappertutto....

HUMBERTO – Beh, appunto: motivo di più, direi! A mali estremi rimedi estremi.

FILUMENA - Mai, Umberto! Almeno questo ultimo baluardo, rimanga fermo alla mia coscienza di donna, di madre...  

HUMBERTO – Ricordati comunque che ci sono novanta giorni di tempo...

FILUMENA – Lo so, lo so, mi sono informata, taci, vade retro...

HUMBERTO – Amore mio, tesoro, luce della mia vita... perché non pensi invece a volgere a tuo vantaggio l’occasione di questa cena?  Vi trovereste soli, tu e lui... Lui ti ha amata... molto... Possibile che sotto la cenere di questa passione spenta non viva ancora una brace, una scintilla...  che possa essere ravvivata, riaccesa...

FILUMENA – Ma come, come?...

HUMBERTO - ...soffiandoci su...    

FILUMENA – Ohhhhhumberto!  E tu sopporteresti l’idea di sapermi tra le braccia di quell’uomo?

HUMBERTO – Oh, come puoi pensarlo, anima mia?  Soffrirei da morire,  certo. Tuttavia... se è per il tuo bene!... Del resto l’hai detto tu: dev’essere figlio di tuo marito. Devi sedurlo... riconquistarlo... non vedo altra strada...

FILUMENA – Ohhhhumberto, a lui piacciono le ragazzine!... Non le vedi, le foto? Bionde, lisce, tutte tubini e chiodi e tacchi a spillo...

HUMBERTO – E tu sei forse da meno? Tu, mio angelo, mia madonna, rosa fresca aulentissima, alba di ogni mio giorno, primavera della mia vita...

               (La abbraccia, la stringe a sé. La bacia. Lei – come ormai da tradi-zione  - ne è tosto contagiata.)

FILUMENA – Ma dove le trovi queste parole, traditore, seduttore, demonio! Ma possibile che tu non ti renda conto del vortice in cui mi attiri? O forse lo fai apposta, vero, vigliacco? Anche la tua è una trappola, confessa! Tu che mi hai strappato alla mia missione di sposa, di madre, e ora anche di donna, che mi vuoi doppiamente adultera! Perché non  ti basta che io abbia tradito mio marito con te, ora vuoi che tradisca te con mio marito! E me ne insegni l’arte, me ne suggerisci il modo! Invece di incoraggiarmi alla preghiera, sì: alla preghiera!  Poiché solo un miracolo a questo punto può salvarmi.... Sì, sì, ho capito: sta fermo... faccio io...

               (Ma a interrompere la ben nota trafila, ecco un deciso bussare alla porta. I due si lasciano, lei di mal grado)

HUMBERTO – Bussano.

               (Si avvicina alla porta, e senza ancora aprire:)

               Chi è?

UNA VOCE (da fuori) – Sono il senatore Scillipotto.

HUMBERTO – Chi?

LA VOCE (c.s.) -  Sono Angiolino, dottó!  Fatemi trasì! Aprite.

               (Humberto apre. Entra Angiolino.)

ANGIOLINO – Senatore non ancora, lo so. Ma faccio per prenderci la mano.

HUMBERTO – Che cosa vuoi?

ANGIOLINO – Dottó... signurì... ecco...  io sono qui perché..  vengo a canossa.

HUMBERTO – Come sarebbe  a dire?

ANGIOLINO – Esattamente non lo so.  Ma mi han detto che così si dice quando uno vuol far diverso da quel che ha fatto prima.  Ecco: io... vengo a canossa.   Come dire... che ho cambiato idea.

HUMBERTO -  Ma a che proposito? Non capisco...

ANGIOLINO – Ecco, dottó... Però... son discorsi tra masculi. E se è presente anche la signora... 

FILUMENA – Dovrei andarmene, insomma. È così?

ANGIOLINO - Signurì... c’è qui fuori la scorta. E se volete avere la compia-cenza...

               (Humberto si avvicina a Filumena. Fatalista:)

HUMBERTO – Filumena... chissà...

FILUMENA – Va bene, va bene. Vado...

ANGIOLINO – Per il bene vostro, signurì...

               (Filumena è già uscita)

HUMBERTO – E allora, che cos’è questa storia?

ANGIOLINO – Due notti che non dormo, dottó!... Tra una voce che mi dice “fai” e un’altra che mi dice “non fare”. Vengo a voi  con il cuore in mano, da uomo a uomo, da amico, da fratello....

 HUMBERTO – Uhm, tu hai detto che quando si comincia così, di solito è per metterlo...

ANGIOLINO – No, non questa volta, lo giuro: sul mio onore.

HUMBERTO – Insomma, non capisco. Non...

ANGIOLINO – Per il bene del mio presidente, per il bene del mio Paese... ho pensato che avevate ragione voi: e che megghiu di tutto sia togliergli di sopra la testa l’aiuola di cornuto. Ho deciso... sì: di aiutarvi! Che per una tantum il fùttiri prevalga sul cummannari, e che il mestolo ripari all’imbarazzo della pignata.

HUMBERTO – Tu faresti questo...  per noi?

ANGIOLINO – Parola di gentiluomo! 

               La cena a casa della signurì.  Io – culo e camicia – ho carta bianca e libero accesso.  E come nel filme di Totò, sarò io quello che penserà agli afrodisiaci.... Sapete cosa sono gli afrodisiaci?

HUMBERTO – Lo so, lo so....

ANGIOLINO – Ve l’ho già spiegato. Bene: io mi son dato da fare, ho procu-rato il necessario, e con il vostro via libera... sono pronto.

               (È piuttosto agitato ed emozionato.)

               Un bicchier d’acqua, per piacere.

               (Humberto gli versa e gli porge il bicchier d’acqua. Angiolino beve, siede, tira fuori di tasca una boccetta)

               Questo è quanto, dottó.

HUMBERTO – L’afrodisiaco?...

ANGIOLINO – Il massimo umanamente possibile, dottó.

               Il meglio afrodisiaco – lo sanno tutti – sarebbe lo sperma di canguro. Ma è difficilissimo da trovare, perché i canguri sono bestie poco collaborative e non stan fermi un minuto.  Ma subito dopo c’è lo sperma di scarafone, e al mercatino del porto di Trapani con un minimo di culo lo si trova. Stesso principio attivo, efficace tale e quale. Certo, bisogna stare attenti alle contraffazioni, perché se non siamo in Italia siamo in Sicilia, e ci vuol niente a far passare un tonno o una sardina per uno scarafone.  Ma io a Trapani sono bene introdotto, grazie anche all’onorevole Dell’Utri, e nessuno mai si rischierebbe a taroccarmi. Quindi, dottò, con questa potete andar tranquillo: provenienza tracciabile al mille per cento, spedita in cella frigorifera, corriere diplomatico, arrivata stamattina.

HUMBERTO – E... e come si usa?

ANGIOLINO – Una o due gocce sotto i cinquant’anni, tre o quattro sopra i cinquanta. Lui però ne ha settanta.

HUMBERTO –E allora?

ANGIOLINO –  Cinque o sei.

HUMBERTO – Basterà?

ANGIOLINO – So di un caso, in Vaticano, che tutti dubbiavano e che ha funzionato da dio.  Se volete ve lo racconto...

HUMBERTO – No, no, non importa.

ANGIOLINO – Pensate che era addirittura il decano della Commissione Pontificia...

HUMBERTO – Va bene: me lo racconti un’altra volta.

               (Considerando la boccetta)

               Dov’è meglio?

ANGIOLINO – Sciampagn! Al primo brindisi con la signora. Direttamente nella bottiglia; aumentando la dose, naturalmente, perché non berrà tutto lui.

HUMBERTO – Dovrà bere anche la signora!

ANGIOLINO – Quel che volevo dire io.

HUMBERTO – Ma allora anche lei... subirà gli effetti...

ANGIOLINO – Dottó: saltare al solo bicchiere di lui è molto difficile. Ci vuole destrezza, manualità, tempismo... Son cose da professionisti. Io non c’ho più la mano...

HUMBERTO – Cazzo, ma se fa effetto anche su di lei...

ANGIOLINO – E con quibus?...  Che cosa vi intruglia se anche lei ci mette un po’ d’impegno, un po’ d’entusiasmo?... Non è il risultato che vi interessa a voi?  C’è un proverbio, nel paese di mia nonna siciliana, che dice “lu fine justifiche li mezzi”. Saggezza popolare, dottó. Mica cultura da intellettuali segaioli!

HUMBERTO – Sì, ma insomma...

ANGIOLINO – “U prinniri u lasciari”, dottó.  Ma pensate anche all’interesse del paese!   Ci giova, a voi, a noi, a tutti...  un presidente con la fama di cornuto?

HUMBERTO (si arrende)  – Va bene.

ANGIOLINO – Altra cosa: sempre da quel filme di Totò. Megghiu sarebbe che anche la signurì si accomodasse un poco ai gusti suoi di lui?

HUMBERTO – Cioè?

ANGIOLINO – Tubino a mezza coscia, capelli biondi a cascata, lisci come nelle reclame in tivù.

HUMBERTO – Lei?!  Ma andiamo! Non ha l’età!...

ANGIOLINO – Non ha l’età e neanche il peso, se è per quello. Ma qui non si deve lasciar niente d’intentato.  La signurì nulla sape di afrodisiaci e di quant’altro. In queste cose meno gente è al corrente, megghiu è. Deve pensare di essere lei a smuovere le acque. Voi date retta: convincetela ad addobbarsi  commilfò , e poi...

HUMBERTO – E poi?....

ANGIOLINO – Quand’è la cena a casa sua di lei?  Domani. Io sarò là e voi venite con me, come con l’arcangelo Gabriele che va e viene come gli pare. Voi vi travestirete da fotografo, che i fotografi sono i benvenuti e il presidente non cerca altro. Voi vedete la signurì... la vestite, le fate coraggio... insistete col brindisi... E la bottiglia di sciampagn sarà lì, garantita dal sottoscritto.

               Chiaro?

HUMBERTO (rassegnato, cedendo, dopo intensa pausa) – Recoaro.

              

Buio.

VIII

 a)

               Saletta in casa della bella Filumena. Forse, già imbandito, un tavolo per un elegantissimo e raffinatissimo tête-à-tête, con tanto di cande-labro d’argento e candele, e secchiello per le bottiglie in ghiaccio.

               In lontananza un sordo brontolio di tuoni, come a preannunciare un temporale

               Entrano, di soppiatto, come due ladri, il bell’Humberto e Angiolino.

               Il primo fa strada: si guarda intorno, e con un gesto fa segno all’altro di venire avanti, ché il campo è libero.

               Humberto ha al collo una macchina fotografica da professionista.  Angiolino reca in mano una bottiglia di vino (champagne, ovvia-mente), che depone con cura nel secchiello del ghiaccio, togliendovi la bottiglia che vi si trova.

ANGIOLINO – Fatto, dottó.

HUMBERTO – È quella?...

ANGIOLINO – È quella.  La marca preferita del Presidente. Adesso tocca a voi. Mi raccomando. Io mi piantono qui fuori, è lì vi aspetto: tra le siepi di bosso, davanti alla villa. Ecco la signurì!

               (Entra in effetti Filumena. A disagio: indossa un tubino, ha in mano altre cose: un chiodo di pelle nera, una lunga parrucca bionda....)

               Signurì... siete un fiore!

               Compermesso...

               (Sparisce.

               Humberto e Filumena si affrontano.)

HUMBERTO (intenso) – Angelo, angelo, angelo mio!

FILUMENA  - Oh, Humberto. Non so più dove sono, e quel che faccio! Mi sento un’altra, non mi riconosco!

HUMBERTO – Ti credo bene, anima mia.  Tu così elegante, raffinata, essen-ziale... costretta in questo miserabile travesti... per compiacere un laido maniaco sessuale, di flaccida natica...

FILUMENA – Oh, Humberto!  Sapessi come vorrei strapparmi da qui, correre via, con te, con il frutto del nostro amore... mettendo tutto in non cale.  Fedifraga, adultera, puttana... non importa!

HUMBERTO – Mia Giuditta, mia Oloferne...!

FILUMENA – Ma poi penso ai miei figli – gli altri – e a questa casetta che i giudici potrebbero togliermi... assieme ai trulli, allo yacht cui ho dato il nome di mia madre... per non parlare degli alimenti.  E allora mi dico: se Dio non allontana da me questo calice... se debbo vuotarlo fino in fondo... sia fatta la Sua volontà.

HUMBERTO –  Sante parole, amore mio! Ma... a proposito di calici: ricordati il brindisi.

FILUMENA – Perché?

HUMBERTO (un po’ in difficoltà) – Perché... da uomo di spettacolo, penso che sia quello che ci vuole per introdurre un’atmosfera... cordiale... Forse però, sarebbe bene che tu ti uniformassi di più ai corrotti gusti del satiro... 

               Vieni: ti aiuto io.

               (La aiuta ad infilarsi il chiodo di pelle nera)

               Ecco, così è ancora meglio!

FILUMENA – Oh, Humberto! Se mi vedessero i miei figli... io con un chiodo.

HUMBERTO – E la parrucca? Quella è davvero essenziale...  Siediti, ti aiuto io.

               (Humberto le acconcia la parrucca.)

               Tu sapessi come mi sento io! Anch’io costretto a vuotare l’amaro calice fino in fondo.  Eppure... pronto a tutto pur di ridarti pace e sicurezza! Eccomi qui, a preparare l’amore mio per l’estremo sacri-ficio. Come l’antico sacerdote che adorna con corone di fiori le cor-na del caprone destinato al sacrificio...

FILUMENA – Un caprone, Humberto?!

HUMBERTO – No, hai ragione: una pecora, una pecorella... un agnello!  Una colomba! Vai, mia colomba.... ecco, alto sopra l’altare sacrificale, il falco rapace pronto a ghermirti....

               Fatti vedere?

               Perfetto!

               Tra poco sarà qui.

               Io sarò fuori, davanti alla villa, tra le siepi di bosso. A soffrire, a macerarmi.  E ti prego:  onde porre termine al mio martirio... quando lo scopo sarà stato raggiunto.... un segnale!

FILUMENA – Un segnale?

HUMBERTO – Sì... non so... Che si accendano, per esempio, le luci in una stanza della villa... io vedrò, capirò, penserò “consummatum  est!”, e il mio martirio apparterrà ormai al passato.

               Prometti.

FILUMENA – Prometto.

               (Si abbracciano. Poi, accomiatandosi:)

HUMBERTO – Non so cosa dire...

FILUMENA – Non  dire niente...

HUMBERTO (non trova di meglio...) – In bocca al lupo.

FILUMENA (ovvio) – Crepi!

               (Il temporale è maturato. Ora siamo al terz’atto del Rigoletto. “Lampi, fulmini continui e pioggia”.   Qualche attimo di questa tre-genda, mentre Humberto di allontana ed esce, e Filumena, rimasta sola, cerca di dominare l’agitazione che evidentemente si è impa-dronita di lei. Fino a che giunge la mani in preghiera, di cui sen-tiamo solo le prime parole, coperte dai tuoni:)

               Madre, madre santa! Tu che, come me, rimasta incinta d’altri che il tuo legittimo sposo... hai saputo dissipare ogni sospetto e ogni maldicenza...

               (In dissolvenza,  sotto il rumore di tuoni.  Intanto...)

b)

               (In un angolo della scena, vicino al proscenio, una siepe di bosso, dietro – o davanti – la quale sta acquattato Angiolino.  Humberto lo raggiunge, di corsa, affannato e si acquatta con lui.)

ANGIOLINO – Tutto buono, dottó?

HUMBERTO – Anche la pioggia, accidenti!

ANGIOLINO – Buona per l’agricoltura|

               (Al rumore del temporale si sovrappone il rombo di un corteo di macchine.)

HUMBERTO – Che cosa sono tutte quelli macchine? È lui?

ANGIOLINO – È il presidente che sta arrivando.

HUMBERTO – Ah, giusto in tempo!  E guarda i fotografi!  Certo! Deve im-mortalare la sua presenza di marito affettuoso, l’infame!

ANGIOLINO – Le avete ricordato lo sciampagn? E vi siete combinati per il segnale?

HUMBERTO – Quale segnale?

ANGIOLINO – Il segnale che sta per misscion accomplisc...

HUMBERTO – ...Sì...  a cose fatte si illuminerà una finestra...

c)

               (Ora di nuovo a fuoco la saletta nella villa di Filumena.

               Il presidente sta evidentemente per arrivare. Filumena si predi-spone ad affrontarlo.)

FILUMENA - ...ecce ancilla domini...

               (Una porta si apre. Entra il Presidente. Lei, con intensità...)

               Silvestro...

IL PRESIDENTE – Filumena!

               (Un attimo di stupefatta contemplazione, poi un immediato crollo di tensioni, e il passaggio a un linguaggio e a un tono di spicciolo verismo.)

               Ma... come ti sei conciata? Accidenti a te! Ma sei irriconoscibile!

               (Scoppia a ridere.)

               Ma che cosa ti sei messa in testa? No, non parlo della parrucca! Dico in testa... “dentro”! Cos’è che vuoi fare? Sedurmi? Riconquistarmi?   Trasformare una discussione d’affari in incontro d’amore e di sesso?

               Beh, sei fuori strada, bellezza! Niente da fare: sono qui per altro, lo sai. Alle tue voglie c’è già chi ci pensa, no? Ergo, togliti di dosso quella roba, sbaràccati, anzi: sbaldràccati... e parliamo di cose serie.

               Oltre tutto... ho fame. Ho avuto una giornata d’infermo, sono stanco morto: non avrei energie non solo per te, ma neppure per eventuali tue belle copie!

               Che cosa mi hai fatto preparare? I miei piatti preferiti, suppongo.  Anche il menù come arma di seduzione.  Beh, in questo caso...okay.

               (Si è avvicinato al secchiello del ghiaccio, ne tira fuori la bottiglia, la esanima)

               Dom Perignon, rosé, Epinay grand cru, 2004...

               Subito!

               (Stappa rapidamente la bottiglia. Ne riempirà due bicchieri, porgen-done uno a Filumena.)

               La marca, il cru, l’annata che preferisco! Te lo ricordi ancora! Lo interpreto come un gesto affettuoso, un pensiero gentile... Ti rin-grazio... al di là di questa orrenda e ridicola messinscena...

d)

               (Di nuovo davanti alla villa, tra le siepi di bosso. La saletta all’interno è scomparsa, nascosta da un fondale che ora è disceso e che rappresenta la facciata della villa stessa. Torniamo ai due congiurati in attesa.  Humberto in grande tensione, che  non stacca gli occhi dalla villa, Angiolino del tutto tranquillo e rilassato.)

ANGIOLINO – Quella della finestra che si illumina, è un’ottima idea di sfizia! Ma vulite sapere – per curiosità – come ce ne dà fuori Totò nel filme che vi ho patlato?...

               Bene: anche isso, con il vostro problema identico preciso, si mette d’accordo con  la donna, che se e quando il marito capitano di marina, mangiato un dolce che trabocca di afrodisiaci, passa all’azione... lei, la mattina dopo, porta sul balcone un vaso di fiori che prima é dentro casa. Lui, Totò, la mattina all’alba si presenta lì davanti a casa – che frigge tutto dall’ansia – e aspetta; talisetequalis noi: e voi in particolare. Mi venite dietro?

HUMBERTO – Vai, vai, ti sento...

ANGIOLINO – Mi sentite, occhei.  Ma mi ascoltate anche?  Perché mi sem-brate un po’ distratto...

HUMBERTO – Vai, vai ti ascolto.

ANGIOLINO - ...E infatti, ecco la donna che apre la porta del balcone, esce con in braccio un vaso di fiori, e lo piazza lì, in bella vista, sul davanzale davanti. Capito?  Capito il messaggio?

HUMBERTO –  Capito, capito.

ANGIOLINO – Voleva dire che occhei!, la scopata c’era stata. Anche qui... misscion accomplisc.

HUMBERTO – Bene.

ANGIOLINO - .... Solo che lei torna dentro in casa, e poi torna fuori con in braccio un altro vaso, e piazza anche quello lì sul davanzale davanti. Capito?

HUMBERTO – Ho capito: le scopate erano state due.

ANGIOLINO – Sì. O meglio: no! Perché la donna va avanti, dentro e fuori, sempre con altri fiori in braccio, fino al numero di cinque. Missione altro che accomplisc!  Cinque scopate!

HUMBERTO – Cazzo!  E poi?

ANGIOLINO – E poi finis.  Ma il filme non dice se erano finite le scopate o se non c’erano più vasi.  Comunque, come diceva mia nonna “a tavola e a letto, megghiu  ci andare largo che ci andare stretto”.

               Novità?

HUMBERTO – Niente.

               (Un lungo istante di spasmodica attesa con gli occhi puntati sulla villa.

               Dalla quale poi, improvvisamente, un grido belluino.)

LA VOCE DEL PRESIDENTE – Ahhhhh!

ANGIOLINO (tripudiante) – Ecco!  Lo riconosco! È desso!  Non c’è dubbio, dottó!  Questo è l’effetto dello scarafone!  Minchia, minchia e doppia minchia al cubo!  Altro che lo sperma di canguro, come che strom-bazza la reclame in tivù con i soldi dell’America!  Ha ragione il pre-sidente, quando che dice che bisogna dar fiducia al paese e ai suoi prodotti locali! Non c’è canguro che regge, di fronte allo scarafone del mare nostrum!  Viva l’Italia, dottò!  Viva l’Italia!

HUMBERTO (tetro, funereo, cita, quasi tra sé) – Il sacrificio della patria no-stra è consumato...

ANGIOLINO – Cos’è?!...

               (Improvvisamente, dalla villa, un altro grido belluino: stavolta fem-mina:)

LA VOCE DI FILUMENA – Ohhhhh!

HUMBERTO (sull’orlo dell’infarto) – E questo... e questo cos’è? Sempre il tuo maledetto scarafone?

ANGIOLINO (serafico, saggio) ­– Dottó, non potete addimandari a un povero scarafone di fare distinguo tra masculo e femmina, quando pure noi tante volte facciamo confusione. Come che dice il Vangelo... nessu-no è perfetto. Quel che conta è il risultato, dottó. E qui mi pare proprio che ci siamo.

HUMBERTO – Sì, ma cazzo...

ANGIOLINO – Chetatevi, dottó. Fate come vedete che fa anche il cielo. Non chiove più... passata è la tempesta.  Non ci resta che aspettare -  assicome Noè, passato il diluvio – l’arcobaleno: l’arco di diu, come lo dicono al paese di mia nonna.

               Ecco, vedete anche vobis: una luce si è accesa, una stanza si è diste-nebrata.

               (In effetti, una delle finestre della facciata si è illuminata.)

               Vedete? Ora davvero potete starvi tranquillo.

               (Ma in rapida – seppur non realistica – successione, ad una ad una tutte le finestre della facciata si illuminano. Humberto guarda, gli occhi sbarrati, esterrefatto.  L’ultima parola è ancora di Angiolino:)

               “Molto” tranquillo.

               “Più che tranquillo.

               (Con condolente partecipazione, quasi abbracciandolo:)

               Coraggio...

Buio.

IX

               (Una musica di grande pace e serenità campestri introduce – quasi un tableau - la scena conclusiva. Sono passati alcuni mesi. In scena – in quella che è forse una piccola veranda sul mare – siedono a un tavolino il bell’Humberto e la bella Filumena, sorseggiando lui un whsky, lei – forse – un’anisette.  Filumena è in stato di avanzata gravidanza. Un po’ in disparte, nascosto da un giornale che sta leggendo,  è seduto un tizio, per ora non identificato.

HUMBERTO (serenamente) –  “Passata è la tempesta:

                                                  odo augelli far festa, e la gallina,

                                                  tornata in su la via,

                                                  che ripete il suo verso....”

               (Grandi, teneri sorrisi. Lui posa la mano sul ventre di lei)

FILUMENA -  Amore...   Petrarca?

HUMBERTO – Leopardi, tesoro.

               (Cala il giornale – che a titolo di cronaca è La gazzetta dello Sport – e rivela la presenza di Angiolino)

ANGIOLINO – Eh, voi dovreste scrivere canzoni per Sanremo, dottó: voi che c’avete cultura e buon gusto!

HUMBERTO – Sanremo?  Figùrati, è tutta una mafia anche lì, bisogna far parte dell’ambiente, caro senatore!

ANGIOLINO – Ma qua’ senatore e senatore. Per voi sempre Angiolino, dottó!

FILUMENA (seccata) – Sempre Angiolino per tutti, direi. E sempre tra i piedi! Ma non ti dà niente da fare il Senato?

ANGIOLINO – A me?!   E quand’anche?... Signurì, le mie regole d’ingaggio sono sempre quelle: starvi attento, che non vi succeda niente...   Perché anche se ormai il divorzio l’avete avuto, e i vostri soldini li avete in proprio, chiaro é che se vi chinnappano...  ricattano il pre-sidente. Quindi per me...  niente è cambiato, come sempre succede in Italia. L’unica differenza è che una volta mi pagava il presidente, adesso mi paga il senato.

               (Ma gli altri due non seguono il discorso di Angiolino, tutti presi dl loro idillio)

FILUMENA – Amore!

HUMBERTO – Tesoro!...

FILUMENA – A che ora registri il tuo show?

HUMBERTO – Alle cinque. Vieni anche tu?

FILUMENA – Non so...

ANGIOLINO – Scusate se mi ci azzecco... dottó, signurì...  ma megghiu che no.

HUMBERTO – Perché? Ordine del presidente?

ANGIOLINO – “Consiglio”, del presidente. Meglio non farsi vedere insieme. Adesso poi che siete un divo, che la gente vi vede per strada... Ah, dottó, voi dovreste andargli dietro, al presidente, e in ginocchio baciare la terra dove lui c’ha lasciato l’orma del piede!,,,

HUMBERTO – Ma secondo te? Lui...  cosa sa?

ANGIOLINO – A me lo chiedete?

HUMBERTO – Non siete culo e camicia?

FILUMENA (infastidita) -  Humberto!...

ANGIOLINO – Il culo e l’anima son due cose diverse, dottò. Il nome stesso lo dice.

FILUMENA – Ma se è stato lui, a chiederti di fare il padrino al battesimo!

ANGIOLINO – E allora?...

               (Filumena alza le spalle, ancora infastidita, e non risponde. È Hum-berto a spiegare)

HUMBERTO – Vuol dire che non  sa niente: convinto che il padre è lui.

ANGIOLINO – Bah, quel che sa o non sa non lo sape neanche dio.  Lui sa quel che vuole sapere, e quel che non vuole sapere non lo sape.

HUMBERTO – Occhio  non vede,  cuore non duole!

FILUMENA (c.s.) – Humberto.

ANGIOLINO – Ma anche il contrario, signurì: cuore non duole e occhio non vede.

HUMBERTO – Cioè?

ANGIOLINO – Con tutte le cose che ha da fare il presidente, forse che forse anche poco gliene importa.  Del resto, come diceva mia nonna, “li cunti al ristorante si fanno dopo u caffè”.  E qui, in fondo, di che cosa possiamo far lamento?  Il divorzio risolto con buona pace di tutti...

FILUMENA – Sì, sì, ma quel che ho penato per i soldi, lo so soltanto io! 

HUMBERTO (a Angiolino) -  E quel che ha speso in avvocati?

ANGIOLINO –  Dottó: quisquiglie, come che direbbe Totò. Stiamo ai fatti: non solo il divorzio, ma tutto il resto: lui ha rivinto le elezioni, io senatore, voi divo tivù,  la signurì – scarafone o non scarafone – si è tolta d’imbarazzo, e voi farete da padrino al nascituro... E come an-cora dicono al paese di mia  nonna... “tuttu è bene quel che bene va a finiri.”

               (Ma gli altri due non  lo sentono)

HUMBERTO – Amore...

FILUMENA – Tesoro...

Lentamente a buio sulla musica di cui sopra