Uàn, ciù, frì!

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UÀN, CIÙ, FRÌ!

Un monologo, un enigma e un triangolo

di Mario Alessandro Paolelli

Personaggi:

TUTTO IN PAPPA

DAVIDE

L’INDOVINELLO

PI (uomo o donna)

EFFE (uomo o donna)

CI SONO UN FRANCESE, UN TEDESCO E...

TEDESCO

FRANCESE

ITALIANO

TUTTO IN PAPPA

Buio. La luce si alza lentamente fino ad arrivare ad un mezzo piazzato creando un po’ d’atmosfera. Sull’estrema sinistra, Davide, vestito di tutto punto: giacca, cravatta, camicia, pantaloni e belle scarpe. Sempre nella parte sinistra, ma già un po’ più verso il centro del palcoscenico, si distinguono un letto, con lenzuola, cuscino e un pigiama sotto il cuscino e una scrivania con sopra qualche foglio, un libro, un porta-penne con qualche penna dentro, con una sedia accanto. Nella parte destra, da sola rispetto al resto, una sedia da sala d’aspetto. Davide, mentre parla, passeggia nervosamente sempre restando sulla sinistra del palcoscenico, senza entrare nell’area dove vi sono il letto e la scrivania. La luce è sempre bassa.

DAVIDE - Tutto in pappa… è andato a finire tutto in pappa… ma come è potuto succedere? Come ho fatto a cacciarmi in questa situazione, porcaccia la miseria! Tanto va a finire che la colpa è mia, vedrai se non è co-sì! Eppure deve esserci stato un inizio, un momento in cui il mondo, prendendone atto, possa dire: “Poverino… anch’io avendo passato quello che ha passato, avrei…”. Ma quando? Quand’è che ha cominciato ad andare tutto in pappa?… Quella mattina forse? (ora Davide comincia a spogliarsi, si toglie camicia, cravatta, ma lasciando il nodo fatto, giacca, pantaloni e scarpe: alla fine della battuta resterà in t-shirt e boxer) Certo, perché no? Come ho fatto a non pensarci subito? Come posso dimenticarmela… se non sbaglio avevo circa diciotto anni, ero a letto… saranno state le sei, le sei e mezza del mattino… e non era stata certo una bella nottata… (Davide si sistema sul letto, con qualche cuscino dietro la schiena. Luce piena sulla zona del letto; la parte della sedia singola resta in ombra)

Lo ricordo come fosse ieri. Ero qui, nel mio letto, che dormivo, reduce da una notte piena di incubi, quasi ad annunciare quello che sarebbe successo. La casa era già sveglia e il profumo di caffè non era nell’aria perché nessuno lo aveva ancora fatto, ma nel mio dormiveglia sentivo che era giorno e il profumo del caffè ci sarebbe stato benissimo. Così cominciai a sognare proprio quello. Sognavo che questo profumo mi entrava a forza nelle narici invadendo la mia fase REM e all’improvviso cominciai a dividermi tra due sogni: da una parte sono in Brasile e dall’altra sono accanto a Pippo Baudo nella pubblicità del caffè Kimbo. Che tristezza… l’unica consolazione erano le ballerine Oba-oba che stavano sia nel sogno del Brasile sia nel sogno di Pippo Baudo. Generalmente mio padre a quell’ora accende la televisione, in attesa di sentire le prime notizie del telegiornale. Il problema è che tiene il volume troppo alto cosicché tutti debbono sentire, volenti o no, quelle notizie. Era agghiacciante alzarsi con la musica di Uno Mattina nelle orecchie… Ma stavolta a me non andava di sentire nulla. Avevo si e no dormito quattro ore, ero nelle braccia delle mie Oba-oba e non avevo alcuna intenzione di svegliarmi. (si sdraia) È caduto… ora stavo correndo per le spiagge di Rio. Inseguito da un mucchio di splendide ragazze in monokini, sentivo la sabbia sotto i miei piedi, il calore del sole, il rumore del mare e pensavo a quale di quelle ragazze avrei concesso i miei favori… è caduto. No, Pippo, no! Quella frase non la puoi dire così! Le battute vanno dette con più enfasi! Non guardare i culi delle ballerine, guarda la telecamera! Ricorda che a te piace questo caffè e anche gli altri ne devono essere convinti… è caduto… ora sono in pieno carnevale, ballo insieme a quelle fantastiche… è caduto… ma cosa è caduto? Lasciatemi in pace, lasciatemi dormire!… È caduto… non voglio, non… è la televisione! È caduto? No… non può essere! Sarà il sogno… è caduto… apro gli occhi! Ho sonno, muoio di sonno, ma mi alzo. (si alza dal letto e va verso la parte destra del palcoscenico, senza sconfinare là dove c’è la sedia, come se ci fosse la porta aperta della stanza) Non può essere, non deve essere! Corro a piedi scalzi verso la porta della mia camera e sento, guardo la televisione. Non deve essere accaduto, non ora, non oggi!… Sono qui, inerme… solo… è caduto. (cade sulle ginocchia) Purtroppo è vero. Aspetto una smentita, forse si sono sbagliati, forse… forse… no. È caduto davvero. Forse l’ultimo punto fermo che mi era rimasto, è caduto. (si rialza, si gira e torna verso il centro della stanza) Perché? Perché? Non c’è più niente di vero? Niente in cui poter credere veramente? Come crescerà la mia generazione, quella nata subito dopo il ‘68 e che ha visto cadere davanti a sé tutti i motori immobili sui quali e per i quali avevano vissuto i nostri genitori ed i nostri nonni prima di loro. È caduto… non c’è più il comunismo, non c’è più il fascismo, Michael Jackson sta per diventare bianco e si viene a scoprire che in realtà Amanda Lear è una donna!… È caduto. L’Italia perde i mondiali ai calci di rigore, cercano di sparare al Papa, Agnelli lascia la Fiat. È caduto… Si separano i Take That, cade il muro di Berlino, scompare il capo dei Khmer rossi e i Genesis non si metteranno più insieme. È caduto… Si disgrega la Jugoslavia, a Napoli hanno cominciato a rispettare i semafori, Marlon Brando pesa centocinquanta chili! È caduto… La verità è che noi siamo una maledetta generazione di passaggio. Tutto va troppo in fretta, troppo veloce. Ai giorni nostri non si fa in tempo ad abituarci ad un oggetto, ad un abito, ad una donna, ad un eroe che il giorno dopo è da buttare, è già vecchio. È caduto… Proprio ieri ho preso la licenza liceale… ma l’educazione che ci è stata impartita, su cosa l’applicheremo? Sui culi che inneggiano alle amarene Fabbri che ci propinano ad ogni crocevia stradale o sugli assorbenti che ti costringono a guardare in TV durante l’ora di pranzo? È caduto… Oggi il telefonino, internet, la web cam, domani il treno che va a trecento all’ora e poi? Abbiamo bisogno di sapere che c’è un qualcosa che sta ferma, io ho bisogno di saperlo! È caduto… Io e le persone della mia età siamo gli ultimi romantici, gli ultimi Werther; ci sono state insegnate delle cose poi puntualmente smentite dai fatti… ed è questo che poi ci costringe a rifugiarci nelle droghe, nell’ecstasy, nell’alcool. No, dico, hanno persino scoperto che il fumo fa venire il cancro!!! È caduto… Oggi uno degli ultimi punti fermi della mia vita è caduto… e il mondo non sarà più lo stesso. (Davide si getta nuovamente sulle ginocchia. Le luci si abbassano)

Era caduto il record di Mennea… quel 19.72 fatto nel lontano 1980, sulla distanza di 200 metri, non era più il record del mondo. (si rialza) Ebbene, quello fu il giorno in cui capii che tutto passa… avevo appena preso la licenza liceale e stavo decidendo se iscrivermi o no all’università… Certo, il colpo fu duro, come avrebbe potuto esserlo per chiunque altro al posto mio… ma fu veramente quello a dare inizio alla mia tragedia? È vero che a quel tempo, come punto cardinale della mia vita, mi era rimasta soltanto la Nutella ma il punto è che un evento sportivo mi aveva fatto capire che la mia vita, da quel momento in poi, sarebbe cambiata, che io lo volessi o no. La vita andava avanti ed io ero al primo grande bivio dell’esistenza… ma non credo che fu la causa della mia disgrazia, credo che fu una delle cause… (si dirige, mentre parla, verso il cuscino del letto e prende il pigiama che comincia ad infilarsi; dopodiché va a sedersi alla scrivania) L’altro grosso trauma della mia vita si consumò verso le due del mattino di una notte di qualche anno dopo… Era inverno, me lo ricordo bene, ed io ero seduto, come ero solito fare a fine giornata, alla mia scrivania, intento a scrivere sul mio diario… quando ancora avevo il tempo di scriverne uno… (Luce piena. Davide comincia a scrivere qualcosa su un foglio di carta. C’è un brano soft delle quattro stagioni di Vivaldi come sottofondo musicale)

Prima di diventare scemo guarda nella lavapiatti! Caro diario, oggi voglio iniziare così, con una frase che mi dice sempre papà quando non riesco a trovare qualcosa. Tra l’altro lui è una di quelle persone che dice ma non applica. Proprio ieri me lo ricordo nervosamente in giro per la cucina a caccia di qualcosa mentre tirava giù tutti i santi del calendario, finché, finalmente lo sento gridare: “Dov’è quella cavolo di caffettiera, moglie! Sono tre ore che la cerco!” “Guarda nella lavapiatti, tesoro…”, fu la risposta. E la caffettiera era lì, pulita e pronta all’uso. Ma quella frase non ho mai capito cosa volesse nascondere perché non so se papà sia così filosofo. Spesso ha dato prova della sua ironia e sono sicuro che dietro le sue battute celi un po’ di platonismo! Per esempio, io ho sempre avuto la netta sensazione che lui non sapesse nulla di determinati argomenti, ma quando meno te l’aspetti… zac! L’idea gli balza in mente!… Sono un po’ stanco, è tardi… sono seduto alla solita scrivania, sulla solita sedia, dopo aver studiato per più di otto ore… ormai mi mancano pochi esami per laurearmi e poi? Che farò? Boh… intanto mi laureo e mi tolgo il pensiero, poi si vedrà. Oggi, per scrivere, come musica di sottofondo, ho scelto le Quattro Stagioni di Vivaldi. Le stagioni, il tempo che passa, la vita che fluisce… è molto tardi. (qui Davide si alza e continua a parlare come, però, se in realtà stesse continuando a scrivere) Quand’è stata l’ultima volta che ho fatto così tardi? Ah, già! Avevo il permesso di star fuori fino a una cert’ora… ora che ormai era passata da un pezzo. Invocando gli spiriti di Houdini, Arsenio Lupin e Diabolik, riesco ad aprire la porta di casa senza provocare il seppur minimo cigolio. Con uno sforzo sovrumano, completamente in apnea, con un’attenzione degna del più bravo giocatore di poker del mondo, col sudore che mi dava prurito sotto al collo, riesco a chiudere la porta dietro di me così piano che un’azione al rallenty senza sonoro avrebbe fatto più rumore e tutto completamente al buio! Improvvisamente però si accende la luce: è il babbo. Lo guardo dritto negli occhi; sembra un western di Sergio Leone, un western dove io sono il cattivo e mio padre è il buono. Ma siccome so che è sempre il cattivo ad avere la peggio cerco di capire, dal modo in cui muove il sopracciglio, se prenderà la cinghia dei pantaloni della domenica o quella della divisa da giardiniere. Ma mentre spero nella prima ipotesi, lui si copre uno sbadiglio col dorso della mano e mi dice: “Vaffanculo”. E torna a dormire. Mi sono autopunito per dieci giorni. Sono uscito solo per andare a scuola ed ho persino rinunciato a quel concerto a cui tenevo tanto. Perché dietro a quel vaffanculo c’era una tale amarezza e un tale disprezzo che per un attimo ho letto la sua voglia di non aver voluto dei figli. Ed io che ero e che sono l’unico, in quel momento non gli ho fatto certo venire voglia di averne degli altri: chissà se è stato per quell’episodio che sono rimasto figlio unico? Ma i suoi giochi psicologici sono sottili e talmente imprevedibili da lasciarti sempre a bocca aperta. Si, perché la mattina dopo quel fattaccio anzi la mattina stessa, perché erano più o meno le quattro quando il tutto accadde, mi venne a svegliare alle sei! “Tirati in piedi che andiamo a pescare”. Che bastardo! Erano mesi che glielo chiedevo e le sue risposte erano sempre state “Non ho tempo”, “Oggi non posso, magari domani”, “I giorni di festa io mi voglio riposare”. Come potevo dirgli di no adesso? Se lo avessi fatto avrebbe potuto dire: “Oggi io posso, domani chissà!”. E non ci sarebbe stato più un domani conoscendolo… Così, con due ore di sonno addosso e lo stomaco ancora sottosopra per tutta la birra che avevo bevuto, e lui lo sapeva, affronto tre ore di macchina per andare in un posto dove non avremmo preso un pesce neanche a pagarlo oro, e lui lo sapeva… Che bello questo adagio della Primavera, è detto Danza pastorale, chissà perché… Certo, ora la mia cultura musicale è più vasta di quanto non lo fosse dodici anni fa quando i miei genitori mi portarono a vedere l’Opera. E fu lui, lui a insistere! “È bene che nostro figlio cominci subito a capire il genere di musica da ascoltare!”. Ancora adesso, dopo venticinque anni, non riesco a ricordare una giornata in cui io mi sia più scassato le palle come quella volta. Ma cosa gliene importa della Turandot a un bambino di tredici anni? Di quella serata, noia a parte, ricordo solo papà che diceva ogni cinque minuti “Che bello!”, “Che voce!”. Ma non è sempre così, papà voglio dire. Lui è una di quelle persone che ti dà anche il culo ma ti deve far capire che te lo dà perché è lui che te lo vuol dare e non perché sei tu a chiederglielo. Per esempio, l’anno in cui compii diciannove anni, esposero al concessionario di fronte a casa nostra una favolosa Volvo 380 Turbo: rossa! Uno spettacolo! Era tanto bella che sembrava una donna più che una macchina! Ed infatti io le facevo una corte spietata, e lui lo sapeva… Quando cominciammo ad essere in aria di compleanno io provai a buttare lì l’argomento ma lui era irremovibile: “La macchina, mio figlio l’avrà quando sarà in grado di mantenersela”. La mattina del mio compleanno mi svegliò di buon ora. “Guarda fuori dalla finestra.” C’era una Volvo 380 turbo nuova di zecca tutta per me! Devo ancora capire come ha fatto a trovarne una di color cacarella. Ma era un modo per dare il suo tocco a tutte le cose. Solo qualche tempo dopo venni a sapere da mia madre che lui fece una montagna di cambiali per regalarmi quell’auto… il terzo tempo dell’Estate è meraviglioso… (ora torna a sedersi al tavolino e si rimette a scrivere) E quando andavamo a vedere le partite? Il sogno di ogni figlio avere un papà che ti porta alla partita… di palla a mano! “Non voglio che tu diventi come tutti quei babbei che godono nel vedere ventidue scemi che danno calci ad un pallone!”. Non riuscivo proprio a capire la differenza con questi altri scemi che la palla invece se la passavano con le mani. Senza contare le enormi difficoltà che ho avuto nel fare accettare questo sport di merda ai miei amici. (come rivolto verso qualcuno al di là della stanza, con voce più alta) No, mamma, neanch’io, ma adesso spengo non ti preoccupare. (di nuovo intento a scrivere sul diario, con voce normale) “Davide, neanche tu riesci a dormire?”, mi urla mia madre dall’altra stanza con la voce rotta dal pianto. Ah, già, quasi dimenticavo. Oggi è morto mio padre. (La luce si abbassa lentamente e torna al mezzo piazzato. Davide si alza e, parlando, comincia a rivestirsi di tutto punto, reinfilandosi pantalone, giacca, camicia, scarpe e cravatta. Quest’ultima la lascerà visibilmente allentata, con l’ultimo bottone del colletto della camicia slacciato)

Effettivamente è difficile dire quale dei due momenti fu più traumatico per me ma credo che entrambi ebbero il loro peso in questa faccenda. Comunque di lì a poco mi laureai, trovai un lavoro, più o meno decente e mi sposai con una ragazza meravigliosa. Il matrimonio fu uno di quegli altri crocevia che la vita ti mette davanti. Non fu facile prendere quella decisione. Ero circondato da persone la cui vita era il classico esempio del perché non ci si deve sposare. Matrimoni falliti, separazioni in atto, la casa la prendo io ma tu continui a pagare il mutuo, e così via. Però io, noncurante di quello che avevo attorno, mi volli sposare lo stesso. Le cose andarono avanti piuttosto bene finché… è andato a finire davvero tutto in pappa… Ma come ho fatto a ridurmi così! (Davide si accomoda sulla sedia che stava alla destra del palcoscenico. Luce piena su quest’ultima. Buio sulla restante parte della scena. Una profonda angoscia sembra opprimere il cuore di Davide ed ogni tanto è come se avesse qualche brivido. Con un gesto si allenta ancor di più la cravatta come se cercasse di respirare meglio. Durante il monologo si alza, si agita, mima ciò che dice)

Che ansia! Che ansia! Ormai sono due ore che non si fanno più sentire, fregandosene che io sono qui ad aspettare la mia condanna! Guarda quello, guarda… com’è calmo. Ha l’aria di averne già fatti fuori sette, per cui uno in più o uno in meno, ormai, che differenza gli fa? Per me invece è diverso. Per me è la prima volta. Ma chi me l’ha fatto fare, maledizione, chi me l’ha fatto fare ?! Ah, ma mi sta bene, mi sta. Così imparo a farmi… trascinare dagli eventi! Ma come mi sono permesso, come?! Ma non ti rendi conto, cretino che non sei altro, che dare la morte è la stessa cosa che dare la vita? Come ti permetti? Solo la Potenza Superiore ha il diritto di creare o di distruggere! Chi sei tu, povero essere umano, per fare questo?… Che ansia… che angoscia… lo sento, ho i brividi… tra un po’ verranno e decreteranno la mia condanna. Lo so che sarà prigione, questa è l’unica cosa certa. Spero solo che non venga tramutata in un qualcosa di peggio, ma che ci può essere di peggio di una prigione?… Come ti permetti, uomo, di mettere a morte o di mettere a vita qualcuno? Certo che è la stessa cosa! Così come non devi arrogarti il diritto di far venire alla luce qualcuno in questo mondo, così non hai il diritto di togliercelo dal mondo!… Ho freddo… ma così mi imparo! E tutto per colpa di una donna! È sempre accaduto tutto per colpa delle donne. Guarda Adamo, guarda Antonio, Cesare e guarda com’è finita Troia! (quasi sottovoce) Non per niente poi il nome di quella città è stato spesso usato come aggettivo… (voce normale) Uomini, città, imperi, continenti finiti in rovina per colpa delle donne… non mi stupirei se si scoprisse che Atlantide sia finita in mare per colpa di una femmina. Mal comune mezzo gaudio! Ma questo non mi fa sentire meglio, mi fa solo sentire più stronzo. Io ero lì… e l’ultima cosa che volessi fare era sparare, ma lei no… lei urlava “spara!”, gridava “spara! Che aspetti spara!”, mi guardava negli occhi e godeva, godeva perché aveva capito che io stavo lì lì per cedere… e mi incitava “spara! Spara se sei un uomo, spara!”… ed io ero in balia di questo essere femmineo, completamente plagiato dalla sua bellezza e dalla sua volontà! Mi contraevo cercando di resistere, cercando di non starla a sentire, sudavo, la mano mi tremava, non capivo più nulla, ero solo, ero in balia, ero in balia, “Spara! Spara! Spara!”… Maledizione. Mi sono fatto fregare… (si risiede) Tra poco verranno con quelle loro uniformi a dirmi: “Lei è stato condannato a…”, a quanto? Almeno sette, otto, dieci anni di prigione… almeno… e questo perché? Per un figlio! Per aver voluto dare il mio seme affinché una creatura giungesse su questa terra! La odio questa sala d’aspetto, la odio! Ma quando vengono a dirmi che è tutto finito? Quando vengono, con quel dannato camice bianco e quel finto sorriso altruista a dirmi. “Sua moglie ha avuto una bellissima bambina…”, oppure, “sua moglie ha avuto un bellissimo bambino…”. Stronzi. Tanto sono io poi che me lo ciuccio, mica loro. (si alza infuriato) Poi a me quello mi sta sui nervi! Se ne sta lì, bello bello, a leggersi il giornale… sono certo, guarda, che ne ha già avuti almeno sei o sette di figli… altrimenti non starebbe così tranquillo… Ma non potevo pensarci prima? Non mi poteva venire in mente che magari a lui o a lei non gliene fregava niente di venire in questo mondo? In un mondo dove non vi sono più certezze, dove non vi è più niente in cui credere… a parte la Nutella… ma non può bastare, non è bastata a me, perché dovrebbe bastare a… tanto si sa, se è donna sarò un padre geloso e starò male perché le dovrò proibire di uscire o starò male perché le avrò dato il permesso di uscire. Se è maschio mi starà subito sui nervi perché comincerà a ciucciare le tette di mia moglie, poi vorrà giocare con la mia collezione di soldatini e poi vorrà le chiavi della mia Volvo che sono sicuro che distruggerà dopo la prima curva. E la mia vita? Come faccio adesso a viaggiare, ad andare in Cina, in India, in Brasile? Si lo so che non sono mai andato più in là di Ladispoli ma è l’idea di non poter più fare un qualcosa che mi distrugge. Senza contare che la prospettiva di spalare merda per quattro o cinque anni non mi riempie di gioia: già! Perché loro non dicono che quel coso non farà altro che cagare come una mucca dalla mattina la sera e io lì… a spalare merda… Io vorrei sapere con che faccia tosta mia cugina mi dice che un figlio porta guadagno! Se è per la merda che mi porta in casa non posso che non essere d’accordo, ma si dà il caso che io abbia fatto qualche piccolo conticino. Anzi, è meglio che me lo ripassi così stavolta sarò pronto a risponderle per le rime. (estrae dalla tasca una matitina e un foglio spiegazzato, il retro di un volantino o qualcosa del genere. Estrae gli occhiali dalla tasca interna della giacca e si mette a leggere) Allora… pannolini per circa due anni, al ritmo di sette-otto al giorno… già mi vedo ricoperto da una montagna di… che schifo… poi, fasciatoio, lettino, passeggino, seggiolino per la macchina, fino a un anno, poi crescono e ne serve uno più grande per cui due seggiolini per la macchina, (corregge con la matita) girello, biberon, sterilizzatori vari, borotalco, pasta di Fissan, biscottini, pappine, omogeneizzati, sonaglini, vestitini, scarpine dopo culla, bavaglini, ciuccetti, magliettine della fortuna, dentinale, coprifasce… Ma guadagno cosa??? Qui si parla di 10, 20.000 euro! Mi costerebbe di meno comprarmi la macchina nuova! Che cavolo! Ma dove li prendo tutti questi soldi? Io già mi vedo… ogni volta che tornerò a casa troverò ad aspettarmi da una parte una montagna di rate e dall’altra una montagna di merda! (spossato, rimette a posto gli oggetti che aveva preso) Ma perché non arrivano… perché vogliono prolungare così la mia agonia… Già ieri è stata una giornata terribile. Qualcuno sapeva… ma chi? Chi sapeva che ero incinto, chi? Ma qualcuno sapeva e ha parlato… così, in meno di un attimo, tutto l’ufficio conosceva la mia disgrazia. E subito si sono messi tutti in fila per farmi le congratulazioni! Loro!!! I miei colleghi, tutti provetti papà! Loro… che conoscono perfettamente la tragedia di cui mi sono reso complice ed artefice … io leggevo chiaramente nei loro occhi la voglia di farmi le condoglianze, ma non potevano! Perché erano lì, allupati, accanto alle colleghe giovani e fregne… per cui dovevano far vedere il loro istinto paterno… ed hanno cominciato ipocritamente a sciorinare tutta una serie di frasi di circostanza o di consigli mascherati da orridi modi di dire… (simulando cordiali strette di mano, pacche sulla spalla, sorrisi finti e non, saluti, ringraziamenti, accenni) “Una buona famiglia è l’ornamento della città!”, “Se vuoi che il tuo figlio cresca, lavagli i piè e rapagli la testa!”, “Il ramo si piega quand’è giovane!”, “I figliuoli succhiano la madre quando son piccoli, e il padre quando son grandi!”, “Figliuole e frittelle; quante più se ne fa, più vengon belle!”, “Figlie, vigne e giardini, guardale dai vicini!”, “Mazze e panelli fanno i figli belli!”, “Trulli trulli, chi li ha fatti, se li culli!”… e poi arriva lui! Il mio capo, che è di Varese e mi dice: “Fiö piscinìt, dispiasé piscinìt; fiö grand, dispiasé grand.”… Ma va’ a caghér! Io già sono un uomo distrutto, in più mi si prende anche per il culo! Io… io… non posso essere un buon padre… io farò sicuramente gli stessi errori che mio padre ha fatto con me… e poi… e poi… io sono malato, che razza di involucro avrà come padre? (prende dalla tasca della giacca una pompetta di quelle che usano gli asmatici, tipo Ventolin o Clenil) Io ormai sono più di trent’anni che mi tengo in vita artificialmente grazie a questo aggeggio. E se mi prende un attacco d’asma mentre sto lì che lo rincorro per tutta casa? Già mi vedo per terra, che cerco di strisciare verso la camera da letto, non riesco a respirare e la pompetta è lì, sul comodino. I gomiti si stanno consumando, sto diventando paonazzo, ma ormai ci sono quasi, tendo il braccio, l’ho quasi presa, ci sono… e arriva lui, il bastardo, “Ba… ba…”, sulle sue gambettine… e afferra la pompetta. Io sono senza fiato, cerco di balbettare qualcosa, mi tendo verso di lui, ma lui gioca… prende la pompetta “Ba… ba…” e la butta dalla finestra “Baaaa…”… Assassino! Hai appena ucciso tuo padre! Non posso, questo lo potrebbe capire chiunque, non si può dare a una povera creatura un padre già con un piede nella fossa, è immorale! Io già sono stressato di mio, in più non dormirò più per almeno due anni!!! Una moglie si può contenere, ci si può parlare, con una moglie si trova sempre un compromesso ma con un figlio è diverso, cacchio… non potrò più andare fuori a prendere una birra con gli amici o non potremo più andare a fare i weekend negli agriturismo, perché ci sarà sempre lui “Ba… ba…” (guarda in basso, come se un bambino piccolo gli stesse tirando i pantaloni) E vattene!…(finge di calciarlo via) Ma poi, diciamoci la verità, che futuro gli posso dare, in che mondo lo faccio venire? In un mondo dove non esiste più la pista Polistil? Dove i Lego sono quasi scomparsi? Per lui Heidi sarà una pornostar e non una dolce pastorella svizzera… non avrà mai sentito nominare Furia, Goldrake, Candy Candy, Sandy Marton, l’Uomo da sei milioni di dollari, Love boat!… Ma di che gli parlo io? Oddio… non è che quello mi verrà su come quel ragazzino che ho incontrato l’altro giorno alla stazione? Io me ne stavo lì, tranquillo, ed avevo appena cominciato a scartare il mio pacchetto dei Ringo. All’improvviso mi passano davanti una mamma con la sua piccola peste che le teneva la mano. La madre mi guarda come a dire: “Vedi quant’è cattivo il signore? Ha un intero pacco di biscotti e non te ne vuole dare neanche uno”. E il bambino mi guarda e dice “Ba!”. Allora io con la morte nel cuore ed un sorriso di ghiaccio gli porgo uno dei miei Ringo e gli dico: “Lo vuoi il biscottino?”. Il bambino afferra il biscotto come se fosse suo e mi guarda pensando “Sei un signore cattivo, ba!”, la madre, senza neanche ringraziarmi, trascina via il piccolo pensando “Il signore è cattivo, non ti avvicinare più!” e poi vedo lo scempio! Dopo neanche due passi il bambino mi guarda con disprezzo, afferra il biscotto e se lo ficca tutto in bocca! Nooooooooooooooooooooooo! Cosa hai fatto, maledetto!!! In pochi secondi hai consumato un rito che dovrebbe durare ore!!! Lacrime di amarezza hanno cominciato ad uscire dai miei occhi… ma come? Il Ringo va soppesato, va guardato, va amato! Bisogna prenderlo con cura, scegliere la parte su cui far restare la vaniglia e poi aprirlo piano piano per vedere se si riesce a far restare la dolce crema bianca dalla parte che si era scelta… poi si comincia con gli incisivi a grattare la morbida ambrosia e a gustarne il sapore… in un boccone solo se l’è mangiato! Guarda! Ancora mi viene la pelle d’oca al solo pensiero… Bastardi! Tanti piccoli bastardi! Ecco cosa sono!… È terribile, Dio mio, terribile. Perché mi sono fatto coinvolgere, perché, perché, perché?! La mia vita sarà distrutta, perché??? (Improvvisamente è come se un qualcuno richiamasse l’attenzione di Davide) “Si, sono io!… (si alza dalla sedia e va verso un’apertura o una quinta alla sua destra, come se fosse stato chiamato da qualcuno) Ah! È nata!… Tutto a posto?… E come sta?… E mia moglie… Ah! Fantastico!… Si, grazie… grazie… (si gira verso il pubblico sfoggiando un sorriso a 32 denti e mostrando una felicità senza eguali: quest’uomo è come se avesse visto il Paradiso) Sono padre !!! (Buio. Musica)

SIPARIO

L’INDOVINELLO

La scena propone una struttura a ‘scatola con tre pareti’ di questo tipo:


Questo è il palcoscenico visto in pianta, dall’alto. In grigio è il pavimento dello stesso e in nero sono le pareti della scatola. I due cerchi sono le teste dei personaggi CI ed EFFE.


Questo è il palcoscenico visto in prospetto, così come lo vedrebbe lo spettatore seduto in platea. In grigio è il pavimento dello stesso e in nero sono le pareti della scatola. I due cerchi sono le teste dei personaggi CI ed EFFE. Se questo tipo di effetto non potesse essere raggiunto, vuoi per l’inclinazione del palcoscenico vuoi perché le quinte non sono abbastanza alte da coprire quasi totalmente i protagonisti, oppure se si ritiene che gli attori non siano sufficientemente esperti nel poter supportare l’intero atto con il solo dialogo, si suggerisce di dotare entrambi i personaggi di calzamaglia nera con la quale possono uscire dalla scatola e recitare sfruttando tutto lo spazio che loro, ed il regista, ritengono opportuno. In questo caso gli attori si vestiranno solo alla fine, recitando le ultime battute. L’illuminazione non è spinta anzi, dovrebbe essere fioca o comunque non eccessiva dato che, alla fine della commedia, dovrà notarsi un cambio di luce come se dall’alto arrivasse un raggio di sole. CI ed EFFE possono essere sia uomini che donne oppure un uomo ed una donna, non ha importanza ai fini della storia. Sono vestiti in un modo particolare che non dovrà essere visibile allo spettatore fino alla fine. Ecco perché è possibile vedere solo la testa dei personaggi o, al limite, le braccia che saltuariamente potranno essere appoggiate sui bordi della ‘scatola’ in cui CI ed EFFE si trovano.

EFFE, quello sulla destra, sembra quasi assente.

CI - Sembri assorto in chissà quali processi mentali! (Effe non risponde) Dicevo che oggi ti vedo particolarmente allegro… (Effe non risponde) Forse sarebbe più divertente parlare con un tartufo: anche lui sta zitto, ma almeno profuma!

EFFE - Eh? Dici a me?

CI - No, spesso mi capita di parlare da solo e purtroppo spesso mi prendono per matto. Ma sono contento di avere amici come te che sanno ascoltare i disturbati di mente come il sottoscritto…

EFFE - Scusami, inseguivo i miei pensieri…

CI - Pensieri? Come può un cervello in quiescenza come il tuo avere dei pensieri?

EFFE - Pensavo alla nostra vita.

CI - Nostra? Però!

EFFE - Però cosa?

CI - È bello pensare che qualcuno pensi alla tua vita…

EFFE - Ma no, dicevo nostra per demagogia. È alla “mia” vita che pensavo.

CI - Però…

EFFE - Però cosa?

CI - Io divido la tua stessa sorte, per cui l’aggettivo “nostra” non è del tutto sbagliato, giusto?

EFFE - Già, già…

CI - Però…

EFFE - Però cosa?

CI - È anche vero che fortunatamente io non sono te, altrimenti mi sarei già ammazzato, per cui quel “nostra” non mi piace più… che ne dici?

EFFE - Già, già…

CI - Però…

EFFE - Però cosa?

CI - Qui non c’è nulla, quattro pareti, i nostri amici che dormono qui in terra e noi. Le interazioni sono poche e sempre le stesse. Credo che il “nostra” sia corretto. Sei d’accordo?

EFFE - Già, già…

CI - Ma non puoi rispondere sempre con un “già, già”! Crea un contraddittorio, dimmi cosa pensi di quello che dico! Sembra che sto parlando da solo! Quasi quasi avallo di nuovo l’ipotesi del tartufo…

EFFE - Ma scusa, se sono d’accordo con te che altro ti devo dire?

CI - Tra dire “si” e dire “no” c’è tutto lo Zingarelli in mezzo! Che cavolo!

EFFE - Forse dovremmo dormire, come fanno loro.

CI - Ma che tristezza! Lavoriamo e dormiamo, dormiamo e lavoriamo. Movimentiamo un po’ la faccenda.

EFFE - Un Alli-galli?

CI - Ora non esageriamo…

EFFE - Beh, allora proponi tu.

CI - Facciamo un gioco.

EFFE - Che gioco? Lo sai che più di tanto non ci possiamo muovere…

CI - Facciamo un gioco tranquillo, in fin dei conti bisogna solo ammazzare il tempo in modo diverso dal solito… Un indovinello?

EFFE - Tipo?

CI - Tipo un indovinello, che vuol dire “tipo”? Io ti dico un indovinello…

EFFE - E io trovo la soluzione?

CI - No, come ti viene in mente! Io ti dico l’indovinello e ti do anche la soluzione, poi torno a parlare col mio tartufo. È chiaro che tu devi trovare la soluzione!

EFFE - Shhh. Ho capito ma tu parla piano altrimenti li svegli. Dai, dimmi questo indovinello.

CI - Calma, prima fissiamo le regole.

EFFE - Un po’ come il nostro lavoro…

CI - Si, cioè no, va beh supponiamo di si, come il nostro lavoro. Dicevo, io ti descrivo una situazione e un certo fatto che è accaduto e tu devi capire come è accaduto questo fatto facendomi delle domande. Attenzione però perché io potrò rispondere solo “si” o “no”. Capito?

EFFE - Si.

CI - Non preferisci che ti faccia un esempio?

EFFE - (sembra che si sforzi per dire qualcosa ed invece esclama un semplice) No.

CI - Allora se sei sicuro comincio…

EFFE - (sembra che si sforzi per dire qualcosa ed invece esclama un semplice) Si.

CI - Guarda che sono io che devo rispondere solo con un “si” o con un “no”, non tu!

EFFE - (sembra che si sforzi per dire qualcosa ed invece esclama un semplice) Si.

CI - Mmmmh… i tuoi neuroni hanno l’agilità di un gatto di marmo. Ascolta: io spiega te storia strana. Tu fa domande e io risponde. Se tu bravo, tu indovina perché storia essere strana!

EFFE - Ah! Ho capito, ho capito! Dai, dimmi la storia.

CI - Finalmente. Dunque, c’è un tizio che vive in un grattacielo, al tredicesimo piano. Ma ogni volta che deve salire al suo appartamento, prende l’ascensore, arriva al sesto piano, scende e si fa gli altri sette piani a piedi. Perché?

EFFE - Boh. (Ci guarda Effe come se fosse un minorato e, comunque, aspettandosi qualche domanda dopo quel secco “boh”. Invece non accade nulla, Effe non dice più nulla e continua a guardare Ci aspettando chissà che cosa. La situazione dei due che si guardano assolutamente muti va avanti per qualche interminabile secondo)

CI - Tu non sei normale.

EFFE - Perché?

CI - Ma come perché? Ti ho detto che mi devi fare delle domande se vuoi arrivare alla soluzione dell’indovinello!

EFFE - Va bene.

CI - Forza. Ma ricordati che io posso rispondere solo con un “si” o con un “no”!

EFFE - Allora… perché questo tizio che vive in un grattacielo, al tredicesimo piano, ogni volta che deve salire al suo appartamento, prende l’ascensore, arriva al settimo piano, scende e si fa gli altri sei piani a piedi?

CI - (dopo una piccola pausa) Eppure non mi sembrava di averti spiegato la Critica della Ragion Pura.

EFFE - Secondo cui l’intuizione sensibile coglie solo il singolare e di conseguenza ogni concetto astratto dai dati è un concetto empirico?

CI - Si, quella quella. Pensavo di averti esposto un concetto semplice. Tu domandi e io rispondo solo in due modi, non è complicato!

EFFE - Ma io la domanda te l’ho fatta!

CI - Ma se ti rispondo è finito il gioco! E poi non posso rispondere con “si” o “no” a una domanda così. Devi arrivare alla soluzione per passi successivi. Riprova, dai!

EFFE - D’accordo… questo tizio abita al tredicesimo piano… ma invece di farsi tutto il tragitto in ascensore si ferma al sesto piano e prosegue a piedi… mmh… vuole fare ginnastica?

CI - Oh! Finalmente una domanda intelligente…

EFFE - (con entusiasmo) Hai sbagliato! Hai sbagliato! Ho vinto! Ho vinto!

CI - Cosa hai vinto? Ma che stai dicendo?

EFFE - Non hai risposto con un si o con un no! Ti sei tradito! Ho vinto! Ho vinto!

CI - Ma che c’entra? Mica stiamo giocando a Taboo! La mia era solo una considerazione! E poi che c’entra il fatto di vincere! A questo gioco non si vince, devi solo cercare di risolvere l’indovinello e se dopo un certo tot di domande non ci riesci ti do la soluzione lo stesso.

EFFE - Ma allora perché non me lo dici subito perché questo tizio non arriva al tredicesimo piano con l’ascensore?

CI - Ma per passare il tempo! Anche il tartufo adesso l’avrebbe capito! Dobbiamo solo passare il tempo! Dobbiamo aspettare che ci vengano a prendere, giusto? Non riesci a dormire come fanno loro? E allora passiamo il tempo in questo modo! Mi sembrava che fossimo d’accordo!

EFFE - Mh… non ho capito benissimo ma non importa, mi adeguo. Ti farò un sacco di domande.

CI - Oooh! L’ansia mi hai fatto venire, l’ansia! Tanto ci voleva? Avanti…

EFFE - Beh, allora io ripartirei da…

CI - Scusa un attimo.

EFFE - Dimmi.

CI - Com’era la faccenda dell’intuizione sensibile e del concetto astratto?

EFFE - Ma di che parli?

CI - Come fai a sapere che… va beh, non importa, passiamo oltre altrimenti non arriviamo a capo di nulla. Fammi le domande.

EFFE - Io ricomincerei dall’ultima che ti ho fatto.

CI - Va bene. (Effe e Ci si guardano senza parlare per qualche secondo come se uno di loro si aspetti che sia l’altro a dire qualcosa, ma niente accade, come è già successo qualche attimo fa) Vogliamo restare così fino alla fine dei nostri giorni?

EFFE - Tu non mi rispondi!

CI - Ma rispondi a cosa?

EFFE - Alla domanda che ti ho fatto prima!

CI - Ma non me la ricordo più qual è la domanda che mi hai fatto prima! Prima urli “Ho vinto! Ho vinto!”, poi mi citi Kant, il tartufo, la confusione, l’ansia, non me la ricordò più. Rifammela, per piacere!

EFFE - Volevo sapere se quel tizio si faceva i piani di scale a piedi per tenersi in forma, per fare ginnastica.

CI - No.

EFFE - C’entra qualcosa il nome di questo tale con la storia?

CI - No.

EFFE - Allora ti dispiace se gliene do uno? Così gli do una connotazione e mi sento più a mio agio…

CI - E dagli un nome…!

EFFE - Erberto, ti va bene?

CI - Si, fai come ti pare, Erberto.

EFFE - Se non ti piace lo cambio.

CI - Ma non me ne frega niente di come lo chiami, basta che mi fai le domande, mi devi fare le domande!!!

EFFE - Fammi pensare. Erberto non vuole fare ginnastica…

CI - No.

EFFE - Ma c’entra qualcosa il piano numero tredici? È un tipo superstizioso?

CI - No.

EFFE - Sai perché te lo chiedo? Perché anche il numero sette, esotericamente parlando, può entrare in un ottica fideistica…

CI - Scusa ma dove lo vedi il numero sette?

EFFE - Sono tredici piani, Erberto si ferma al sesto, tredici meno sei fa sette: per cui si fa a piedi esattamente sette piani. Secondo me è indicativo.

CI - No.

EFFE - Ne sei sicuro?

CI - Si.

EFFE - Sicuro sicuro?

CI - Ho detto di si. Se ti ho detto che la superstizione non c’entra nulla non insistere, no?

EFFE - Peccato… poteva essere una buona strada…

CI - No-o!

EFFE - Per cui niente ginnastica e niente superstizione. Ah! Ho capito! L’ascensore è rotto e si ferma sempre al sesto piano. Era facile.

CI - No.

EFFE - Come no? Era facilissimo.

CI - No.

EFFE - Ma si, se ci sono arrivato alla terza domanda era facilissimo. Dai fammi un altro indovinello, mi piace questo gioco.

CI - No! Ho detto di no!

EFFE - Ma perché? Non ti va più di giocare con me? Preferisci farlo con la tua trifola?

CI - Non sto dicendo “no” al fatto che non voglio più farti gli indovinelli, sto dicendo “no” alla tua domanda di prima. No, l’ascensore non è rotto!

EFFE - Ah. Davvero? Peccato, poteva essere una buona soluzione.

CI - Poteva ma non è.

EFFE - Era così logica, così lineare…

CI - Ti ho detto che non è quella la soluzione!

EFFE - Va beh. (Effe guarda l’infinito mentre Ci lo osserva senza parlare per qualche secondo, come è già successo qualche attimo fa)

CI - Tu pensi che se ne accorgano se uno di noi muore?

EFFE - Che dici?

CI - Mi devi fare le domande!!! Le domande!!! Il gioco non è finito, devi andare avanti con le domande!

EFFE - Ma scusa tu mi hai detto che dopo un tot mi dicevi la soluzione.

CI - Un tot non è tre domande e basta!

EFFE - E quant’è un tot allora?

CI - Non lo so, lo deciderò sul momento, il gioco è mio e decido io! Il tot finirà quando mi sarò stancato di starti a sentire. Ora, ti prego, vai avanti con le domande.

EFFE - Okay. Ricapitoliamo. Erberto prende l’ascensore per salire al tredicesimo piano e l’ascensore non è rotto. Però si ferma sempre al sesto piano e prosegue a piedi. Corretto?

CI - (sbuffando) Si.

EFFE - E si fa i restanti sette piani a piedi.

CI - Si.

EFFE - Restando il fatto che secondo me lui è superstizioso, forse compie questa strana azione perché vuole spiare qualcuno che sta al sesto piano?

CI - No.

EFFE - Al settimo piano?

CI - No.

EFFE - All’ottavo piano?

CI - No!

EFFE - Al nono piano?

CI - No! A nessun piano, non vuole spiare nessuno!

EFFE - Guarda che puoi rispondere solo con si e no.

CI - Ho capito ma così facciamo notte!

EFFE - Però raggiungiamo prima il tot!

CI - (con la faccia tra le mani) Io non ce la faccio…

EFFE - Non è che in realtà Erberto è un addetto alla sicurezza degli ascensori e deve controllare un malfunzionamento al sesto piano?

CI - Ti ho detto che l’ascensore non è rotto!

EFFE - Ricordati, “si” o “no”…

CI - Allora no.

EFFE - Vive da solo?

CI - Non importa…

EFFE - Si o no?

CI - Ma che t’importa? Sì, allora vive da solo.

EFFE - Animali? Un cane magari…

CI - Si, ha pure un cane.

EFFE - Che si chiama Bobby?

CI - Si, ha un cane che si chiama bobby!

EFFE - Tipico…

CI - Ma tipico di che, ma che stai dicendo?

EFFE - Superstizioso, vive da solo, per cui un tipo timido, riservato, che parla spesso solo col proprio cane che, guarda caso lo chiama Bobby! E magari è anche scontroso, non ha amici, a scuola lo prendevano in giro per quel nome strano.

CI - Quale nome?

EFFE - Erberto! Ti sembra normale uno che si chiama Erberto? Come minimo ha delle turbe psichiche. Ha mai avuto dei traumi infantili?

CI - Tu sei veramente agghiacciante.

EFFE - Perché? Sto cercando di tracciare un profilo psicologico di Erberto per capire le motivazioni della sua strana abitudine, tu limitati a rispondere.

CI - Quando cerchi di ragionare sei raccapricciante…

EFFE - Ha mai avuto dei traumi infantili?

CI - Si. Comunque penso di si…

EFFE - A-ha! Lo vedi?

CI - Ma non c’entra niente col nome, che tra l’atro gli hai affibbiato tu, col cane che non esiste e con tutto il resto!

EFFE - Tu lascia fare a me, l’importante è sapere che lui ha subito dei traumi infantili.

CI - Contento tu…

EFFE - Gli sono morti i genitori?

CI - Ma che cacchio ne so?! Si, no, non lo so!!!

EFFE - Dai, cerca di essere preciso.

CI - Esco pazzo… No, i genitori sono ancora vivi.

EFFE - Però vivono in un’altra città e non si sentono da anni…

CI - Si, anzi no… (arrabbiato) No, vivono a un passo dallo stesso grattacielo e si sentono spesso, anzi, sono molto uniti!

EFFE - Soprattutto con la mamma, immagino…

CI - Si, soprattutto con la mamma.

EFFE - Chiaro complesso di Edipo. Ovviamente è figlio unico.

CI - Ovviamente.

EFFE - Si o no?

CI - Si!

EFFE - Sento che il cerchio si sta chiudendo… Dunque, lui ha sicuramente un rapporto conflittuale col padre… non serve che ti faccio la domanda, ormai è chiaro… però il fatto del cane mi lascia perplesso… di che razza è?

CI - Ma chi?

EFFE - Il cane di Erberto di che razza è? È un Chihuahua, vero?

CI - Raccapricciante, è raccapricciante… Si, è un Chihuahua…

EFFE - Un Chihuahua. Un cane piccolo… Erberto ha un cane piccolo… litiga spesso col padre, ha avuto un infanzia difficile… ma non per cause interne… ci sono, ci sto arrivando… lui è molto simile al padre, ecco perché lo odia, ecco perché si odia! Erberto si odia! Non si sopporta, parla solo col cane… ma perché, perché… forse perché è brutto… brutto come il padre? No. C’è di più, c’è… ci sono!!! È un difetto fisico, un difetto in tutti e due. Rispondi con attenzione. Se il padre di Erberto volesse andare a trovare il figlio a casa e prendesse l’ascensore… anche lui si fermerebbe al sesto piano per farsi gli altri sette a piedi?

CI - Cavolo, si!

EFFE - È un nano! Erberto, il padre, la sua famiglia. Sono tutti nani! Ecco perché arriva al sesto piano e scende. Non lo vuole fare, lo deve fare, perché non arriva ai pulsanti più in alto!

CI - Che mi venga un colpo! È giusto. Hai trovato la soluzione. Non ho assolutamente idea di come tu abbia fatto ma ci sei riuscito!

EFFE - Du savoir-faire il a!

CI - Ma la smetti! Lasciamo stare i giochi, forse è meglio dormire come questi altro quattro disperati.

EFFE - No, no, questo gioco mi piace, è facile. Fammi un altro indovinello.

CI - Ah, sarebbe facile secondo te? Va bene allora, te ne faccio un altro, voglio vedere come te la cavi stavolta.

EFFE - Dai, dai, che mi sento carico!

CI - Fai attenzione. Siamo in una stanza. La finestra è aperta. Per terra c’è dell’acqua ed Antonio e Cleopatra morti. Che cosa è successo?

EFFE - Antonio e Cleopatra?

CI - Antonio e Cleopatra.

EFFE - Cioè Antonio da una parte…

CI - …e Cleopatra dall’altra, si. Ti ho detto: Antonio e Cleopatra. Basta tre volte o ti ci devo riempire un’enciclopedia?

EFFE - (con aria sognante e interrogativa) Antonio e Cleopatra… (pausa) Antonio… e Cleopatra…

CI - Fai le domande.

EFFE - (con aria sognante e interrogativa) …tttonio… aaatra… morti!

CI - Fai le domande!!!

EFFE - Uhm… di che colore sono le pareti della stanza?

CI - Ma che cosa c’entrano le pareti della stanza? Che cosa c’entra il colore delle pareti dico io?!

EFFE - Perché ti arrabbi? Mi dici sempre che ti devo fare le domande ed ogni volta che te ne faccio una ti arrabbi. Sei tu che sei strano, altro che il tartufo!

CI - Ma mi fai delle domande del cavolo! Dimmi tu che ci azzecca adesso il “colore” delle pareti!

EFFE - Dipende dal colore.

CI - Ma no che non dipende dal colore, quelli sono morti a prescindere dal colore delle pareti della stanza.

EFFE - Dipende…

CI - Ma lo saprò, io, no? Chi te l’ha fatto l’indovinello?

EFFE - Non mi hai ancora risposto.

CI - Verdi!!! Sono tutte verdi!!! Le pareti sono tutte dipinte di un disgustoso verde bottiglia!!! Ti va bene adesso? Ho risposto?

EFFE - Ah!

CI - Ah, cosa???? Cosa, ah? Cosa?!

EFFE - Shhh, che li svegli…

CI - (sottovoce) Ecchissenefrega!

EFFE - Ho la soluzione.

CI - Ah! Stavolta lo dico io, Ah! Dai, sentiamo. Ah!

EFFE - Antonio e Cleopatra sono due pesciolini, è il nome di due pesciolini che stavano in un piccolo acquario messo sopra un tavolo. Il vento ha fatto aprire la finestra che era stata chiusa male e questa, nell’aprirsi, è andata a colpire l’acquario che è finito in terra rompendosi, causando così l’improvvisa dipartita dei due poveri animali.

CI - (urlando sottovoce e prendendolo per la collottola) Ma come hai fattooo??? (lasciandolo) Ti prego, resto calmo, però mi spieghi come hai fatto a risolverlo con una domanda sola, tra l’atro con una domanda del cavolo?

EFFE - Beh, è stato piuttosto semplice. È chiaro che l’indovinello portava a credere che Antonio e Cleopatra fossero i famosi personaggi storici. Ma il verde bottiglia…

CI - Che c’entra il verde bottiglia, che c’entra?

EFFE - E fammi finire! Nell’antico Egitto le pareti erano bianche o di color ocra, al massimo le cripte funerarie erano ricche di rossi, turchesi ed ori. Questo mi ha fatto capire che non ci trovavamo in Egitto. Allo stesso modo, fossimo stati in una stanza dell’antica Roma, avremmo trovato bianchi, porpora, celesti o azzurri, sai nelle terme…

CI - (afflitto) Le terme…

EFFE - Eh si, c’era l’acqua! Però, dato il verde, non eravamo neanche a Roma. Lì ho cominciato a capire che quei due non potevano essere quello che tutti credevano!

CI - (afflitto) Tutti chi?

EFFE - Beh, io, te e la trifola. Allora ho pensato all’acqua, al mare e il verde mi ha ricordato le alghe.

CI - Il verde…

EFFE - Si, il verde. Poi da lì l’associazione con i pesci è stata tutta in discesa.

CI - Il verde…

EFFE - Ne facciamo un altro?

CI - Il verde…

EFFE - Dai fammene un altro!

CI - E tutto perché ho inventato il verde… ma tu pensa…

EFFE - Allora? Ti sei stancato, ho vinto?

CI - No, non hai vinto manco per niente! Facciamo così, ora te ne faccio un altro, l’ultimo. Se riesci ad indovinare hai vinto tu ma se non ci riesci ho vinto io, d’accordo?

EFFE - D’accordo!

CI - Bene. Allora, questo è l’ultimo indovinello. (qui potrebbe essere messa in sottofondo una musica da “Rischiatutto” o qualcosa sul genere) C’è un tale. Ogni volta che questo tale si ferma davanti ad un certo albergo, dà dei soldi al padrone di questo albergo. Perché?

EFFE - Beh, perché gli deve dei soldi.

CI - Esatto.

EFFE - Allora ho vinto, e senza neanche una domanda!

CI - Che cosa hai vinto? Non hai ancora indovinato nulla!

EFFE - Scusa, tu mi hai chiesto perché questo tale va dal padrone dell’albergo e gli dà dei soldi. E la risposta è: perché gli deve dei soldi. Non era complicato, ma con un po’ di deduzione…

CI - Ma che dici! Devi capire “perché” gli deve dei soldi, chi sono questi tizi, perché questo tale si ferma lì davanti, eccetera, eccetera… devi ricostruire tutta la storia!

EFFE - Questo non era nei patti!

CI - Ma come non era nei patti? Prima con l’indovinello di Antonio e Cleopatra mi hai descritto come si è svolta l’azione nei minimi particolari, ancora un po’ e mi dicevi di che colore erano le tendine alla finestra, ed ora non vuoi…

EFFE - Avana chiaro, fatte di macramè.

CI - Cosa?

EFFE - Avana chiaro, fatte di macramè.

CI - Ma cosa stai blaterando?

EFFE - Le tendine alla finestra della stanza di Antonio e Cleopatra erano avana chiaro, fatte di macramè.

CI - Mi stai prendendo in giro?

EFFE - No.

CI - Ma come fai a dirlo???

EFFE - Ah, se io avessi una stanza con delle pareti verde bottiglia potrei mettere solo quel tipo di tendine alla finestra.

CI - Per favore, vai avanti col terzo indovinello, prima che ti ammazzi.

EFFE - Calma, calma, adesso ci arrivo.

CI - Ma arrivi dove?

EFFE - Alla soluzione, no?

CI - Se non mi hai fatto neanche una domanda come speri di arrivarci alla soluzione?

EFFE - Col ragionamento, è ovvio. Ora lasciami pensare.

CI - E poi come funziona? Quando hai finito mi svegli?

EFFE - Si, se stai dormendo ti sveglio, come vuoi.

CI - (arrabbiato) Ma porcaccia la…! Non è che se mi fai meno domande vinci di più. Il bello del gioco è proprio questo, domanda-risposta, domanda-risposta! Tra l’atro se non mi fai le domande io mi rompo le palle a vedere te che insegui i tuoi pensieri, se permetti.

EFFE - Ma sono io che devo indovinare, che ti importa se…

CI - Non è importante che indovini è importante che giochiamo, che ci divertiamo, che parliamo, che passiamo il tempo, ma tutti e due non tu da solo. Altrimenti io che faccio? Mi metto a giocare a campana col tartufo mentre tu sei lì che pensi?

EFFE - Ho capito, ho capito. È che troppe risposte poi mi confondono…

CI - Per avere troppe risposte devi fare troppe domande e non me ne hai fatta neanche una!

EFFE - Va bene, adesso comincio.

CI - Grazie. Meno male che è l’ultimo…

EFFE - Perché dici che è l’ultimo?

CI - È quasi ora, tra un po’ ci verranno a prendere, come tutti i giorni a quest’ora del resto. Lo sai che sono metodici.

EFFE - Già, già.

CI - Non ricominciamo col “già già” adesso. Vai con le domande.

EFFE - Questo certo tale in un certo momento dà una certa somma a un certo padrone di un certo albergo.

CI - Certo.

EFFE - Si o no?

CI - Si, per carità, sì! Ma il momento non è “certo”. Il padrone dell’albergo prende i soldi dal tizio solo quando questi si ferma davanti all’albergo.

EFFE - E come lo paga?

CI - Che vuol dire come lo paga?

EFFE - Con la carta di credito, con un bonifico, magari ha il POS.

CI - Lo paga in contanti.

EFFE - Niente POS?

CI - Niente POS.

EFFE - E se fosse a corto di contanti?

CI - Ricordati che posso rispondere solo si o no.

EFFE - Okay. Se fosse a corto di contanti potrebbe pagare col Bancomat?

CI - Ho detto di no!

EFFE - Niente POS…

CI - Niente POS.

EFFE - E come glieli dà i soldi?

CI - Solo si o no, come te lo devo dire? Comunque, per non farla troppo lunga, a questa ti rispondo. Glieli dà in mano.

EFFE - E quello che dà i soldi è a viso scoperto?

CI - Si.

EFFE - Taccheggio?

CI - No.

EFFE - Il passaggio dei soldi è legale?

CI - Si. Ma poi che c’entra il taccheggio. Sarebbe taccheggio se fosse il contrario, se fosse il padrone dell’albergo a dare i soldi al tale.

EFFE - Guarda che me lo puoi dire se il passaggio dei soldi è illegale, non lo dico a nessuno.

CI - Ti ho detto che è legale.

EFFE - Stai tranquillo, da me non uscirà una parola.

CI - Ti ho detto che è legale!

EFFE - Ma che ti costa, tanto loro dormono, non ci ascolta nessuno…

CI - Stavolta non mi trascinerai dove il tuo torbido cervello può macchinare illogiche ma esatte soluzioni. Ho detto che è tutto legale!!!

EFFE - Mafia?

CI - È legale!!!

EFFE - E niente POS…

CI - Niente POS!!!

EFFE - Buffo…

CI - Cosa è buffo?

EFFE - Nulla, nulla, pensavo al POS… ci sono dei cartelli che indicano che chiunque capiti davanti all’albergo in questione debba pagare qualcosa?

CI - No.

EFFE - Quanti soldi gli dà?

CI - Si-no, si-no, si-no, si-no, si-no…

EFFE - Ho capito, ho capito. Gli dà una cifra sempre uguale?

CI - Si.

EFFE -  Alta?

CI - Si.

EFFE - Mah… girare con tutti quei contanti… sei davvero certo che…

CI - Niente POS!!!

EFFE - Ma questo tale ci va di proposito davanti a questo albergo?

CI - No.

EFFE - (ridendo) E certo, altrimenti sarebbe proprio scemo, eh eh…

CI - (sfottendolo e ridendo) Eh, eh, e poi tu ne sai qualcosa…

EFFE - Come?

CI - (volendo cambiare discorso) Niente POS.

EFFE - Niente POS… e se ci passasse solo davanti, senza fermarsi? Glieli darebbe lo stesso i soldi?

CI - No.

EFFE - Ah! Quindi paga il padrone dell’albergo solo se si ferma.

CI - Si.

EFFE - Siamo in campagna?

CI - No.

EFFE - In montagna?

CI - No.

EFFE - Al mare?

CI - No.

EFFE - Nel deserto?

CI - No.

EFFE - Nella steppa?

CI - No. Ma la città non ti viene in mente, no? Il posto più semplice!

EFFE - Eh, non lo so…

CI - Ma come “non lo so”, se te lo dico io…

EFFE - È che in città senza POS mi sembrava difficile. (Dopo una brevissima pausa)

CI e EFFE - (insieme) Niente POS.

EFFE - I due sono amici?

CI - Si.

EFFE - Sono in cattivi rapporti però!

CI - No.

EFFE - Sono in buoni rapporti?

CI - Si.

EFFE - Però ogni volta che questo amico gli si ferma davanti all’albergo gli chiede dei soldi, tanti soldi. Quello magari non ha neanche tutti i contanti, l’albergo è senza POS, e succede il patatrac! A proposito che succede se non ha tutti i soldi che gli deve con sé? L’albergatore è abbastanza umano da aspettare che l’amico si procuri i contanti?

CI - Si.

EFFE - E quindi il tale va in banca a prendere i contanti…

CI - No.

EFFE - Ce li ha a casa?

CI - No.

EFFE - E allora li prende in banca!

CI - No.

EFFE - Ma come no??? Scusa, va allo sportello automatico, prende il Bancomat e… (Ci scuote vistosamente la testa) No!

CI - Si.

EFFE - Ma veramente?

CI - Si.

EFFE - Tutta la città è senza POS???

CI - Si.

EFFE - È terribile… ma le banche ci sono, si?

CI - No.

EFFE - Una città senza banche?

CI - Si.

EFFE - Siamo nel futuro?

CI - No.

EFFE - Nel passato?

CI - No.

EFFE - Nel presente?

CI - Tu che dici, eh? Se non siamo nel passato e non siamo nel futuro mi sembra chiaro che siamo nel presente!

EFFE - Questa volta l’indovinello è veramente difficile… mi sa che mi arrendo.

CI - Veramente?

EFFE - Si, guarda, non ce la faccio, tutte queste risposte strane mi hanno confuso, non riesco più a ragionare, è troppo difficile.

CI - Allora? Ti arrendi?

EFFE - Si.

CI - È la tua risposta definitiva?

EFFE - Si.

CI - Il Monopoli! Sono due amici che stanno giocando a Monopoli! Capisci? Un giocatore ha una strada con l’albergo, l’altro ci capita sopra e gli deve dare i soldi!

EFFE - Ma è diabolico! Non ci sarei mai potuto arrivare!

CI - Eh! Caro mio! Mica potevi indovinarli tutti!

EFFE - Questo però era troppo difficile. Uno pensa subito alla realtà, alle cose di tutti i giorni, come facevo a pensare al Monopoli, scusa?

CI - Dovevi fare più domande.

EFFE - Neanche con mille domande ci sarei arrivato!

CI - Peccato, hai perso! (Arriva un fascio di luce di traverso, dall’alto)

EFFE - Eccoli! Prepariamoci, dai! (In fretta i due si chinano per raccogliere i loro ‘cappelli’ e ricompaiono alla visuale degli spettatori indossando l’uno un enorme cappello a fungo e l’altro una sorta di cappello a candela. Una volta messi i cappelli, escono dalla scatola e si sistemano davanti alla stessa, fronte pubblico. Sono vestiti da ‘funghetto’ e da ‘candela’, due dei sei segnalini del Monopoli. Effe, mentre si mette il cappello o si veste) Comunque non sgarrano neanche un giorno, eh? Ogni pomeriggio alle cinque si fanno la loro partitina.

CI - (mentre si mette il cappello o si veste) Te l’ho detto che sono metodici. E poi prendono sempre noi per giocare, mai una volta che scelgano la pera.

EFFE - O il fiasco… comunque l’ultimo indovinello era troppo difficile…

CI - Ha-i perso, ha-i perso!

EFFE - E ricordati: quando passi dal via…

CI - Ventimila lire, lo so…

EFFE - (uscendo) Non saranno venti euro adesso?

CI - (uscendo) Ha-i perso, ha-i perso!

SIPARIO

CI SONO UN FRANCESE, UN TEDESCO E...

L’arredamento dovrebbe essere un po’ futurista, con cubi che fungono da sgabelli, qualche sfera qua e là. Altrimenti vanno bene anche un paio di sedie, un tavolo e una poltrona.

Siamo al buio. I tre attori sono già sistemati sulla scena, chi seduto, chi in piedi appoggiato di spalle alla quinta, chi seduto a leggere il giornale.

VOCE FUORI CAMPO - Tutti, almeno una volta nella vita, hanno raccontato o sentito raccontare una barzelletta. E tutti, almeno una volta nella vita, hanno sentito una barzelletta che cominciava così: “C’erano un Francese, un Italiano e un Tedesco…” (Le luci si accendono a illuminare la scena. Dopo l’accensione delle luci, c’è un minuto di perfetto silenzio. Si nota che il Francese, quello in piedi, è insofferente, il Tedesco, quello seduto, ha un’aria indifferente e l’Italiano, quello che legge il giornale è molto tranquillo e assorto nella sua lettura. Il francese è vestito da pittore di Montmatre, il tedesco ha un costume tipo folklore Sud-tirolo e l’italiano veste jeans e maglietta. Dopo il minuto di silenzio)

TEDESCO - E quella… quella della riunione di femministe? C’è la presidentessa che dice: “È ora di finirla con lo strapotere maschile, è necessario affermare la indiscussa superiorità femminile obbligando gli uomini a svolgere tutti quei compiti per anni affibbiati alle donne. Da domani tutti i vostri mariti dovranno fare le pulizie di casa, fare la spesa e andare a prendere i bambini a scuola.” Alcune settimane dopo, nello stesso luogo, si rincontrano tutte le femministe per raccontarsi com’è andata. Si alza una donna che dice: “Io sono di origine inglese ed avendo sposato un italiano pensavo che avrei incontrato qualche difficoltà. Ho detto a mio marito: da domani tu dovrai fare le pulizie di casa, fare la spesa e andare a prendere i bambini a scuola. Il primo giorno non ho visto nulla, il secondo effettivamente ha fatto tutto quello che gli ho ordinato”. Poi si alza un’altra donna che dice: “Io sono di origine francese ed anche io ho sposato un italiano. Ho detto a mio marito: da domani tu dovrai fare le pulizie di casa, fare la spesa e andare a prendere i bambini a scuola. Il primo giorno non ho visto nulla, il secondo non ho visto nulla, il terzo giorno effettivamente ha fatto tutto quello che gli ho ordinato.” Poi si alza un’altra donna che dice: “Sugnu Carmela, sugnu siciliana e mi maritai un siciliano. Dissi a me maritu: da domani tu devi stuiare la casa, fare la spisa in a pigghiari li bambini. Lu primu iornu un vitti nenti, lu seconnu iornu un vitti nenti, lu terzu iornu un vitti nenti, lu quartu iornu accuminciai a vidiri dall’occhiu destru.” (ride, ma poi si accorge che gli altri due non ridono) Beh? Non vi ha fatto ridere?

FRANCESE e ITALIANO - La sapevamo.

TEDESCO - Ma allora perché me l’avete fatta dire? Io li odio quelli che sanno la barzelletta ma te la fanno raccontare lo stesso per farti un piacere! Se non c’è nessuno che ride è inutile raccontarla!

FRANCESE - Te l’ho fatta dire per passare un po’ di tempo. Qui è una noia mortale… e poi secondo me ha barato! (pausa di qualche secondo) Lo vedi? Sta zitto! E chi tace acconsente, no? Te l’ho detto, ha barato!

TEDESCO - E piantala con questa storia.

FRANCESE - Guardalo, come se ne sta lì tranquillo a leggere. E dillo che hai barato. Ammettilo anche davanti a lui!

ITALIANO - Ma che vuole questo?

TEDESCO - Ma lo sai che ogni tanto gli prende male… (rivolto al Francese) Dai, mettiti seduto e falla finita.

FRANCESE - Ma cosa falla finita, cosa? Ma tu sei contento di essere il “Tedesco”? Sei felice di rimanere il “Tedesco” per sempre? Beh, io no! Io non ci sto a fare sempre il “Francese” specie se mi ci hanno costretto con l’inganno!!

TEDESCO - Ma quale inganno! Abbiamo sorteggiato all’inizio e a te è toccato fare il francese, stacci!

FRANCESE - Ma quale stacci!!! Quei dadi erano sicuramente truccati, ne sono certo! Forza, tu! Prova a dire il contrario se ne sei capace! (l’italiano fa un verso)

TEDESCO - E dai, mettiti tranquillo. Non è il caso di litigare tra di noi, se no lo sai come va a finire… e poi non ti bastano tutte quelle situazioni che ci fanno passare?

FRANCESE - Voglio un altro sorteggio!

TEDESCO - Cosa?

FRANCESE - Voglio un altro sorteggio!

ITALIANO - (alzandosi di scatto con l’animo di chi si è scocciato di sentire questo chiacchiericcio) Va bene! Facciamo un altro sorteggio! Così forse la pianti di rompere le scatole e io potrò finire di leggere il mio giornale. Dove ho messo i dadi… (si fruga in tasca)

FRANCESE - No, no, niente dadi… stavolta non mi freghi! Facciamo la conta, forza!

ITALIANO - E facciamo la conta, dai… tu non vieni?

TEDESCO - Arrivo, arrivo… almeno facciamo qualcosa di diverso…

FRANCESE - Pronti? Allora da me ultimo te, chi esce fa l’italiano, d’accordo? Vai! (Fanno la conta: il Francese cala un cinque, il Tedesco un tre e l’Italiano un uno) Cinque più tre otto più uno nove. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto e… ma andate a cagare…

TEDESCO - (tornando a sedersi) Poi lo sa che va sempre a finire così, perché si intigna…

ITALIANO - Cercate di non disturbare più per favore. E portate rispetto… (si rimette a sedere)

FRANCESE - Ma sentilo, sentilo! Non ne posso più! Ma perché non fai qualcosa anche tu?

TEDESCO - Lascia stare, è inutile! Ma perché poi te la prendi tanto non capisco…

FRANCESE - Perché? Perché? Ma io ho il mio orgoglio! La mia dignità! Ma insomma, che uomo sei?

ITALIANO - Cosa stai dicendo? Quale uomo? Tu non esisti, sei un’idea, una fantasia, un gioco! Ragion per cui stai calmo, non rompere e… porta rispetto!

FRANCESE - Ma io ti… (cerca di scagliarsi addosso all’Italiano ma il tedesco lo ferma).

TEDESCO - Stai buono… stai buono…

FRANCESE - Ma lo senti quante arie si dà? E lasciami! Ma non sei stufo di fare sempre quelle figuracce? Non sei stufo?

TEDESCO - No, ormai mi ci sono abituato. (Fa per calmarsi un attimo e se ne va, poi riparte all’attacco)

FRANCESE - (rivolto al Tedesco) Ti ricordi la primissima volta come abbiamo fatto? Senza sorteggio! Si era detto che faceva il Francese o il Tedesco chi sapeva il Francese o il Tedesco, ti ricordi?

TEDESCO - Lascia perdere…

FRANCESE - Io me lo ricordo benissimo! Ma come è possibile… io non so una parola di francese…

TEDESCO - Lascia perdere…

FRANCESE - Quindi è tutto sbagliato fin dall’inizio… mi ha fregato fin dall’inizio! Bene! Ringraziami “ex-tedesco”! Tutto a monte! Tutto a monte! Allora, ricominciamo da capo!

TEDESCO - Lascia perdere…

ITALIANO - Che ti si è scucito stavolta? Possibile che non si riesca mai a stare in pace? Neanche in pausa?

FRANCESE - C’è che sei spodestato, bello mio! Credevi di avermi ingannato coi tuoi trucchetti da quattro soldi, vero?

ITALIANO - (rivolto al tedesco) Ma di cosa sta parlando?

FRANCESE - C’è che io non so una parola di francese, ecco di cosa sto parlando!

ITALIANO - Ah, no?

FRANCESE - No! (L’italiano si alza e gli si mette di fronte. Ora il dialogo inizia normalmente e poi si fa sempre più serrato)

ITALIANO - Come si chiamano quei pezzi di plastica che si usano per puntare quando si gioca a carte?

FRANCESE - Fiche…

ITALIANO - Come si chiama quel panciotto senza maniche che si porta sotto la giacca?

FRANCESE - Gilet…

ITALIANO - Quel mobile col cassettone a ribalta che spesso funge da scrivania?

FRANCESE - Trumeau…

ITALIANO - Come si chiama quel posto pieno di tavoli da gioco?

FRANCESE - Casino…

ITALIANO - Il completo femminile con giacca e gonna?

FRANCESE - Tailleur…

ITALIANO - Il pavimento di legno?

FRANCESE - Parquet…

ITALIANO - Il più alto della pallacanestro?

FRANCESE - Pivot…

ITALIANO - La lista del ristorante?

FRANCESE - Menu…

ITALIANO - Lulù?

FRANCESE - C’est moi!

ITALIANO - (buffetto sulla guancia) Mio bel francesone! (si rimette a sedere)

FRANCESE - (arrabbiatissimo, rivolto al tedesco) E tu non dici niente?!!

TEDESCO - Wurstel, krapfen, panzer, Hitler, Octoberfest e Derrick. Ha fregato anche me con lo stesso sistema.

FRANCESE - Lo vedi? Lo hai detto anche tu! Ci ha fregato!!!

TEDESCO - (alzando la voce, arrabbiato) Sì, ci ha fregato! E lo sai perché è sempre lui a fare l’Italiano? Perché è più furbo! Per cui mettiti l’animo in pace e smettila di rompere!

ITALIANO - (guardando non si sa bene dove verso l’alto, come se avesse una sensazione) Ragazzi! Ci tocca! Mettiamoci in posizione! (Tutti e tre si sistemano davanti sul palcoscenico come se dovessero essere passati in rassegna da un generale. Mani dietro la schiena. Le luci si modificano, si abbassano. Si crea una strana atmosfera. Una voce fuori campo dice)

VOCE FUORI CAMPO - Allora sentite questa… Ci sono un italiano, un francese e un tedesco ai quali viene proposta una scommessa. Devono riuscire a resistere una notte intera in una casa infestata dalle formiche. Il francese si fa avanti e, sprezzante del pericolo, (contemporaneamente sul palcoscenico il francese fa un passo avanti e tutto altezzoso fa dei gesti per far capire che lui è sprezzante del pericolo) entra nella casa e chiude la porta dietro di sé. (il francese mima i movimenti) Dopo neanche un’ora il francese esce e scappa via urlando ricoperto da migliaia di formiche! (il francese sul palcoscenico mima il tutto, compreso le urla non sonore e, scappando, si sistema dietro agli altri) Allora si fa avanti il tedesco che, sprezzante del pericolo, entra anche lui nella casa e chiude la porta dietro di sé. (Stavolta è il tedesco a mimare il tutto) Dopo neanche un’ora il tedesco esce e scappa via urlando ricoperto da migliaia di formiche! (Anche il tedesco mima le urla, scappa via e si sistema dietro insieme al francese) Allora si fa avanti l’italiano che entra nella casa tranquillo e chiude la porta dietro di sé. (L’italiano mima il tutto) Passano le ore. Passa la notte. Arrivato il giorno l’italiano esce fresco e riposato. “Ma come hai fatto?”, gli chiedono gli altri… “Ho ammazzato una formica e le altre sono andate al funerale!”. (la voce fuori campo esplode in una fragorosa risata. Le luci tornano normali e l’italiano e il tedesco si risiedono negli stessi posti di prima)

FRANCESE - Ma ti rendi conto? Io non ce la faccio più! Non ce la faccio più! Senza contare che oltre a fare delle figuracce terribili dobbiamo sentire sempre le solite barzellette che sono delle stronzate terrificanti! E siamo costretti a fare sempre gli stessi movimenti ogni volta! Ti ricordi quando quel bambino rideva come un matto e volle riascoltare la stessa barzelletta dieci volte? “Siete in cima a un grattacielo e io butto una sveglia di sotto, vediamo chi riesce a prenderla prima che tocchi terra”. E noi tutte le volte a far finta di scendere di corsa un dannato palazzo per cercare di prendere una sveglia che non avremmo mai preso! E poi ogni volta arrivava lui, scendeva con calma, si prendeva il caffè, si leggeva il giornale e afferrava tranquillamente la sveglia al volo… e perché? Perché l’aveva caricata due ore indietro!!! Capisci che stronzata?

ITALIANO - Diciamo che rosichi perché non è venuta a te, l’idea…

FRANCESE - E certo! Come poteva venire a me l’idea visto che sei tu il furbo qui dentro! Io sono solo un povero francese!… Io poi lo odio questo cappello!!! (sbatte la scoppola per terra, la raccoglie, la spolvera e se la rimette in testa. Poi sconsolato, quasi piangente) Sono il francese… va bene. Io sono il francese! Ahh… che bello essere francesi! La patria del vino, dell’Opera, dei Castelli della Loira, di Zidane, del Cognac, dello Champagne. Ma si dà il caso che sia anche la patria dei più buoni formaggi del mondo come il Brie, il Rochefort, il Caprice des dieux, il Camembert!… Ma allora come faccio ad aver paura del fantasma formaggino, porcaccia la miseria!!! (sbatte nuovamente il cappello per terra, lo guarda un po’ e poi se lo rimette in testa)

TEDESCO - (a consolarlo) Non fare così. In fin dei conti, se ci pensi bene, ci sono dei lati positivi anche nel fare il Francese, no?

FRANCESE - Ah, si? E quali?

TEDESCO - Beh… per esempio… (titubante) per esempio… beh, ora non mi viene in mente niente ma ce ne sarà pure qualcuno, giusto?

FRANCESE - Allora facciamo così. Dimmi tu quali sono i lati buoni nel fare il Tedesco!

TEDESCO - Eeeh! Te ne potrei dire un migliaio!

FRANCESE - A me ne basta uno, pensa come mi accontento di poco!

TEDESCO - Uno… dici? Beh… tanto per prenderne uno, allora, direi che… fare il Tedesco mi entusiasma perché… perché…

FRANCESE - Perché… non ce ne sono di motivi validi! Svegliati! Lo capisci che la nostra è una condizione disgraziata?

TEDESCO - Non esageriamo, in fin dei conti quando siamo in pausa…

FRANCESE - Ma non siamo sempre in pausa, lo sai benissimo! Sono poche le pause rispetto ai momenti in cui quel profittatore dice…

ITALIANO - (guardando non si sa bene dove verso l’alto, come se avesse una sensazione) Ragazzi! Ci tocca! Mettiamoci in posizione! (Tutti e tre si sistemano davanti sul palcoscenico come se dovessero essere passati in rassegna da un generale. Mani dietro la schiena. Le luci si modificano, si abbassano. Si crea una strana atmosfera. La voce fuori campo dice)

VOCE FUORI CAMPO - Allora sentite questa… Ci sono un italiano, un francese e un tedesco ai quali viene proposta una scommessa. Devono riuscire a resistere una notte intera in una casa infestata dal terribile fantasma formaggino. Il tedesco si fa avanti e, sprezzante del pericolo (contemporaneamente, sul palcoscenico, il Tedesco fa un passo avanti e tutto altezzoso fa dei gesti per far capire che lui è sprezzante del pericolo) entra nella casa e chiude la porta dietro di sé…

FRANCESE - (quasi tra sé) Questa no… (il Tedesco mima i movimenti)

VOCE FUORI CAMPO - Dopo neanche un’ora il Tedesco si vede arrivare di fronte un terribile fantasma…

FRANCESE - (quasi tra sé) Questa no…

VOCE FUORI CAMPO - …che dice: “Uuuuh! Sono il fantasma formaggino!!! Uuuuh!!!”. E il Tedesco fugge via dalla casa urlando di paura. (il Tedesco sul palcoscenico mima il tutto, compreso le urla non sonore e, scappando, si sistema dietro agli altri)

FRANCESE - (quasi tra sé) Questa no…

VOCE FUORI CAMPO - Allora si fa avanti il francese che, sprezzante del pericolo, entra anche lui nella casa e chiude la porta dietro di sé. (Stavolta è il francese a mimare il tutto)

FRANCESE - Questa no… questa no! Non ce la faccio! (recalcitrante si rifiuta di restare al suo posto)

ITALIANO - (sottovoce) Che fai cretino, stai fermo!

TEDESCO - Rimettiti a posto, vuoi rovinare tutto?

VOCE FUORI CAMPO - Dopo neanche un’ora il francese si vede arrivare di fronte un terribile fantasma…

FRANCESE - Non ce la faccio! Non ce la faccio!!! (esce definitivamente dalle righe e se ne va)

TEDESCO - Fermati, dove vai?

ITALIANO - Torna qui, cretino! Non farci fare queste figure!

TEDESCO - Sbrigati, torna qui!

ITALIANO - Dai che forse sei ancora in tempo!

FRANCESE - No! Io lì non ci torno!!!

ITALIANO - Dai, pirla! Se non ti sbrighi…

VOCE FUORI CAMPO - …e quindi arriva il fantasma e… e… curioso… adesso non me la ricordo più… Dunque c’era il francese che… che scemo… scusate ragazzi ma non me la ricordo più! (Le luci tornano normali)

ITALIANO - Ecco, hai visto cosa hai combinato?

TEDESCO - Ma non potevi aspettare che finisse la barzelletta?

FRANCESE - No! Ho detto che quella del fantasma formaggino non la faccio più!

TEDESCO - Ma dai! È un classico, anzi è il classico dei classici! La base di ogni barzelletta del genere! Non puoi non farla!

FRANCESE - Posso, posso.

ITALIANO - Non insistere! Che ti puoi aspettare da un pistola come quello!

FRANCESE - E certo! Per te è semplice! Tu vai lì, lo spalmi sul panino e te la sei cavata! Ma siamo noi, Noi, a farcela sotto dalla paura ogni volta!

ITALIANO - Ma che corbellerie dice sto qua?

TEDESCO - Ha il suo orgoglio, non puoi biasimarlo per questo… (rivolto al Francese) Senti, non puoi non fare più la barzelletta del fantasma formaggino, altrimenti milioni di bambini di tutto il mondo come farebbero? Te la senti davvero di prenderti questa responsabilità? Te li immagini tutti quei bambini che pendono dalle labbra del pirla di turno e sul più bello si sentono dire… “non me la ricordo più”. E io vedo nei loro occhi la tristezza, la malinconia, l’afflizione. Mentre tu puoi dargli il sorriso, la gioia, l’allegria! (Il Francese sembra quasi che stia piangendo dalla commozione)

ITALIANO - Quante menate! Lo deve fare e basta! È il suo lavoro!

FRANCESE - (piangendo tra le braccia del tedesco) Io non voglio far piangere i bambini… è che io… io… io ho paura del fantasma formaggino…

ITALIANO - Di tutte le stronzate…

TEDESCO - Dai, (consolando il Francese) ci sono qua io… lo sapevo, sai? Lo sapevo che tu non volevi far piangere i bambini…

FRANCESE - È che io sono stufo di fare il Francese… se potessi… almeno per una volta…

TEDESCO - Cosa?

ITALIANO - Cosa?

FRANCESE - Se potessi fare… almeno per una volta…

TEDESCO - Cosa?

ITALIANO - Cosa?

FRANCESE - Se potessi fare l’Italiano… almeno per una volta…

ITALIANO - Non se ne parla.

TEDESCO - Dai, che ti costa!

ITALIANO - Ho detto di no!

TEDESCO - Ma su, non fare il duro, lo so che hai un cuore lì dentro!

ITALIANO - No! Ognuno ha i suoi ruoli qui. E questa regola va rispettata!

TEDESCO - Lo so, lo so che le regole vanno rispettate… ma uno strappino? Non lo puoi fare…? (gli indica il Francese che aspetta come un bambino, l’Italiano tituba) Un piccolo sforzo…? Guarda come soffre… Per una volta sola…?

ITALIANO - (dopo un po’ di pausa) E va bene… ma solo per una volta, chiaro?

FRANCESE - Sì, sì! Solo per una volta, grazie!

ITALIANO - E poi non dite più che sono cattivo.

TEDESCO - No, non preoccuparti, lo sappiamo che non sei cattivo.

ITALIANO - Poi non mi rompete più le balle con i sorteggi? Con frasi del tipo “ha barato”, “ci ha fregato”?

FRANCESE - No, no, prometto!

ITALIANO - (guardando non si sa bene dove verso l’alto, come se avesse una sensazione) Ragazzi! Ci tocca! Mettiamoci in posizione! (Stavolta è il Francese a mettersi al posto dell’Italiano, ovvero ultimo a destra. Mani dietro la schiena. Le luci si modificano, si abbassano. Si crea una strana atmosfera, dal buio, dal nulla, appare un vassoio con tre bicchieri e una bottiglia di vetro scuro piena di liquido; una voce fuori campo dice)

VOCE FUORI CAMPO - Allora sentite questa… Il tedesco, la mattina, riempie il bicchiere di birra e va al lavoro. (Il Tedesco prende un bicchiere dal vassoio apparso, lo riempie, ne beve il contenuto con somma soddisfazione e fa come per andare al lavoro) Il francese, la mattina, riempie il bicchiere di vino e va al lavoro. (Il Francese, ex italiano, prende un altro bicchiere dal vassoio apparso, lo riempie, ne beve il contenuto con somma soddisfazione e fa come per andare al lavoro) L’italiano, la mattina, (Qui, l’italiano, ex francese, fa in anticipo tutti i movimenti e, alla fine della barzelletta, sta già bevendo) riempie il bicchiere… di pipì e va alla mutua! (L’Italiano, ex francese, sputa quello che ha bevuto, disgustato. Le luci tornano normali. Il Tedesco ridacchia e torna a sedersi nello stesso posto dov’era ad inizio commedia)

FRANCESE - Ma che schifo! (sputa) Puah… che barzelletta orribile, puah!

ITALIANO - Ecco bravo. Scherza col fuoco. (scansa il francese che stava davanti alla sedia dove, all’inizio, era seduto l’Italiano) Scansati… ci sono cose che devono fare solo i professionisti. E ora non rompete più le scatole! Basta co’ ste storie sui bambini tristi, sui dadi truccati, sui sorteggi falsati. Ringraziate la vostra buona stella che è toccato a me fare l’Italiano. E pensate a chi sta molto peggio di voi invece! Pensate ai Carabinieri! O alla rana dalla bocca larga o alla maestra di Pierino! E perché, i matti? Pensate a quante barzellette sui matti che ci stanno. Senza contare gli esploratori! (Il Tedesco sussulta)

FRANCESE - Ma che dici! Magari potessi fare io l’esploratore delle barzellette! Vedrei un sacco di posti esotici, andrei a letto con un sacco di belle donne, guiderei gli aerei da turismo, mangerei delle pietanze squisite… non qui… costretto a fare il Francese! (L’Italiano va verso il Tedesco che è visibilmente turbato)

ITALIANO - Diglielo.

TEDESCO - No.

ITALIANO - Diglielo!

TEDESCO - Ho detto di no.

ITALIANO - Glielo devi dire!

TEDESCO - Lo sai benissimo che non ne voglio parlare.

ITALIANO - Eh, no! Ora tu glielo dici, così la facciamo finita una volta per tutte con queste menate e lui si rende conto della fortuna che ha!

FRANCESE - Di cos’è che mi devo rendere conto?

TEDESCO - Lo sai che mi fa male ricordare. Non ne sono ancora uscito del tutto, non me la sento. Non voglio nemmeno pensarci.

FRANCESE - Ma cos’è che non vuoi ricordare? Da cos’è che non sei uscito? Insomma, mi dite cosa c’è?

ITALIANO - Diglielo!

TEDESCO - No.

ITALIANO - E va bene, allora glielo dico io.

TEDESCO - Fai come ti pare.

FRANCESE - Ma cos’è che mi dovete dire?

ITALIANO - Il tuo amico Tedesco è un ex esploratore delle barzellette.

FRANCESE - No?!

ITALIANO - Sì.

FRANCESE - Ma è fantastico! (rivolto al Tedesco) Che fico! Chissà quante cose hai fatto, quante cose hai visto! Avrai un milione di cose da raccontare, dai snocciola qualche aneddoto piccante!

TEDESCO - Non ne voglio parlare…

FRANCESE - Ma dai! Non fare il prezioso! Cerchiamo di rendere meno noiosi i pochi momenti di pausa che abbiamo, raccontami qualche avventura!

ITALIANO - Sì, dai, e magari cerca di raccontargli l’ultima che hai avuto…

FRANCESE - Sì, sì… raccontami, ti prego!

ITALIANO - (stizzito ed arrabbiato, si alza) E va bene! Ma poi non dirmi che non ti avevo avvisato! Vuoi che ti racconto un aneddoto piccante? Te ne racconterò uno piccantissimo allora! (le luci si abbassano notevolmente. Occhio di bue sul Tedesco. Musica drammatica a condire il momento, ad esempio, brano 17 del CD di Amelie dal secondo 36) Ci sono due esploratori che stanno sorvolando con un piccolo aereo da turismo il cuore dell’Amazzonia. All’improvviso però l’aereo comincia a perdere colpi. È successo qualcosa al motore. L’aereo perde quota e si abbatte su un grosso albero al centro di una radura. I due esploratori restano miracolosamente illesi, ma purtroppo per loro l’albero che hanno distrutto era una specie di totem sacro agli indigeni del luogo che subito accorrono e catturano i due malcapitati. Portati nel loro villaggio, gli si fa avanti il capo che, rivolto ad uno di loro, dice: “Voi avere distrutto nostro albero sacro. Io allora dare a te scelta. Volere essere squartato vivo e tue viscere mangiate da formiche rosse o volere Bumba Bumba?”. L’esploratore, atterrito, guarda per un attimo il suo compagno di sventura e, pensando al fatto poco piacevole di essere squartato, esclama: “Scelgo Bumba Bumba.” “Tu avere scelto Bumba Bumba?”, dice il Capo, “E così essere!” Allora l’esploratore viene portato in una capanna dove ad uno ad uno entrano a turno tutti gli indigeni e se lo strainchiappettano. Finito con il primo esploratore, il capo va dall’altro e gli fa la stessa proposta: “Voi avere distrutto nostro albero sacro. Io allora dare a te scelta. Volere essere squartato vivo e tue viscere mangiate da formiche rosse o volere Bumba Bumba?”. L’Esploratore avendo ancora nelle orecchie le strilla del compagno, senza esitare esclama: “Voglio essere squartato!” E il capo dice: “Tu volere essere squartato? E così essere… (con vocina allegra) ma prima un po’ di Bumba Bumba!!!”. (La musica cessa e le luci si normalizzano. Il Tedesco è visibilmente scosso)

FRANCESE - Scusami… non potevo immaginare…

ITALIANO - Ecco, bravo. La prossima volta immagina e prima di dire voglio questo, voglio quello, prova a pensare alle conseguenze!

FRANCESE - Scusa. Deve essere stato terribile…

TEDESCO - Non importa. Quello che è stato è stato. Fu dopo quella barzelletta che chiesi il trasferimento qui.

ITALIANO - E hai fatto bene! Quindi è ovvio che rispetto alla tua precedente situazione fare il Tedesco per te è un’esperienza esaltante, giusto?

TEDESCO - (ancora un po’ tremante) Sì, qui sto bene… (Il Francese abbraccia commosso il Tedesco)

ITALIANO - Oh! E adesso che siamo tutti amici vediamo se riesco a finire di leggere il giornale.

FRANCESE - Beh, effettivamente fare il francese non è poi così male… in fin dei conti se lo avessi fatto nella barzelletta precedente mi sarei bevuto un buon bicchiere di vino rosso, no?

ITALIANO - Bravo. Devi solo pensare positivo.

FRANCESE - Sì, giusto. Devo pensare positivo.

ITALIANO - Ecco, (guardando non si sa bene dove verso l’alto, come se avesse una sensazione) ma comincia col farlo subito che dobbiamo lavorare. Ragazzi! Ci tocca! Mettiamoci in posizione! (Tutti e tre si sistemano davanti sul palcoscenico come se dovessero essere passati in rassegna da un generale. Mani dietro la schiena. Le luci si modificano, si abbassano. Si crea una strana atmosfera. L’italiano al Francese, sottovoce) E tu vedi di non farci fare la brutta figura di prima altrimenti ti faccio mettere con gli esploratori insieme a un gorilla che vuole fare Bumba Bumba! (Una voce fuori campo dice)

VOCE FUORI CAMPO - Allora sentite questa… Si incontrano un francese, un tedesco e un italiano. Il Tedesco dice: (Il Tedesco fa un passo avanti e mima la battuta seguente) “Io sono di Dusseldorf e noi in Germania abbiamo un aereo che vola a 20.000 metri d’altezza!” (Il Tedesco riprende posto con gli altri) E il Francese dice: (Il Francese fa un passo avanti e mima la battuta seguente) “Io sono di Parigi e noi in Francia abbiamo una Citroen che fa i 400 Km/h!” (Il Francese riprende posto con gli altri) E l’Italiano dice: (L’Italiano fa un passo avanti e mima la battuta seguente) “Io sono di Genova e ce l’ho lungo 42 centimetri.” (L’Italiano riprende posto con gli altri) Dopo un po’ tutti e tre si rendono conto di averla sparata troppo grossa, così ritornano sui propri passi. Inizia il Tedesco: (Il Tedesco fa un passo avanti e mima la battuta seguente) “Sapete, vi ho mentito. Il nostro aereo, a dire il vero, volerà massimo a 10.000 metri…” (Il Tedesco riprende posto con gli altri) E il Francese dice: (Il Francese fa un passo avanti e mima la battuta seguente) “Sapete, vi ho mentito. La Citroen farà al massimo i 220Km/h…” (Il Francese riprende posto con gli altri) E l’Italiano dice: (L’Italiano fa un passo avanti e mima la battuta seguente) “Anch’io vi ho mentito: non sono proprio di Genova Genova…” (Si sente che la voce fuori campo ride. Le luci tornano normali)

ITALIANO - (tornando a sedersi) E anche questa è fatta. (si rimette a leggere il giornale)

FRANCESE - Mi fai una rabbia mi fai!

ITALIANO - Dai buonino. Che stavolta non ti è successo niente.

FRANCESE - Sì, ma mi fai rabbia lo stesso. Come fanno ad andarti tutte lisce? Riesci ad essere sempre così preciso, puntuale. Hai una prontezza di spirito particolare. Ti va tutto sempre bene e fai in modo di cavartela in ogni situazione. Mai una sbavatura, mai un’esitazione. Ma come fai?

ITALIANO - Beh, diciamo che un po’ bisogna esserci portati, però molto fa l’esperienza.

TEDESCO - Sì, ma adesso non esageriamo, caro il mio Italiano. Teniamo i piedi per terra! E chi ha orecchie per intendere… intenda!

FRANCESE - Ma che vuol dire con questo?

ITALIANO - Ma niente. Ormai avrai capito che da quel piccolo incidente, sragiona. Dunque, dicevamo che l’accuratezza nei dettagli è alla base di tutto…

TEDESCO - Senti “accuratezza”, perché non gli racconti di quella volta…

FRANCESE - Che volta?

ITALIANO - Ma niente.

TEDESCO - Diglielo.

ITALIANO - No.

TEDESCO - Glielo devi dire!

ITALIANO - Lo sai benissimo che non ne voglio parlare.

TEDESCO - Eh, no! Ora tu glielo dici, così la facciamo finita una volta per tutte con queste menate sulla perfezione, sull’accuratezza nei particolari!

FRANCESE - Ma di cosa parlate?

ITALIANO - Lo sai che non ne voglio parlare. Sono errori di gioventù…

FRANCESE - Quale errore di gioventù? Insomma, mi dite cosa c’è?

TEDESCO - Diglielo!

ITALIANO - No.

TEDESCO - E va bene, allora glielo dico io.

ITALIANO - Carogna.

FRANCESE - Ma cos’è che mi dovete dire?

TEDESCO - Lo sai che il tuo amico Italiano è stato anche nello spazio?

FRANCESE - No?!

TEDESCO - Sì.

FRANCESE - Ma è fantastico! (rivolto all’Italiano) Che fico! Chissà che emozione deve essere stata! Voglio dire, avrai passato dei momenti indimenticabili!

TEDESCO - Ah, questo è sicuro!

FRANCESE - Dai! Raccontami cosa hai provato.

ITALIANO - Vuoi che ti dica cosa ho provato? E va bene. (le luci si abbassano notevolmente. Occhio di bue sull’Italiano. Musica drammatica a condire il momento, ad esempio il brano 17 del CD di Amelie dal secondo 36) La Nasa ha programmato un esperimento per provare la resistenza dell’uomo in totale solitudine nello spazio. Per l’esperimento vengono scelti tre uomini: un noto play boy svizzero, un famoso lettore di gialli e un accanito fumatore, me. Tutti e tre, secondo il progetto Nasa, dovranno essere spediti nello spazio su tre navicelle separate, dove dovranno rimanere in solitudine per ben sei mesi!! Gli viene concesso solo di portare con sé qualcosa che li possa aiutare a passare il tempo durante il periodo di permanenza nello spazio. Arriva il giorno della partenza. Il play boy entra nella sua navicella con un’enorme borsa contenente filmini sexy e parte. Il lettore di gialli porta con sé una mezza biblioteca di gialli di tutti i generi e parte. Il fumatore, ovviamente, si presenta con qualche migliaio di sigarette e sigari di vario genere, sale sull’ultima navicella e parte. Passano i sei mesi e le tre navicelle tornano sulla Terra. Il primo ad uscire è il play boy, che sembra piuttosto soddisfatto dell’esperienza. Ringrazia e se ne va. Si apre poi il portellone della navicella su cui era il lettore di gialli, anch’esso sembra soddisfatto dell’esperienza fatta. Ringrazia e se ne va. Infine si apre il portellone della navicella sulla quale ero io, il fumatore, e appaio: una figura sconvolta, con gli occhi a palla, tremante, con otto sigarette in bocca due nelle orecchie e due nel naso. Ad un tratto apro la bocca e dico: “I Fiam… mi… fe… riiiiiii!!!” (La musica cessa e le luci si normalizzano. L’Italiano è visibilmente scocciato. Il Francese ed il Tedesco ridono a crepapelle) Ridete, ridete. Che ne sapete di quello che ho dovuto passare. (Il Francese ed il Tedesco gli fanno il verso, imitano il modo in cui l’Italiano è sceso dalla navicella spaziale, tutto tremante nel dire la parola “Fiammiferi”)

ITALIANO - Fate gli scemi. Non è un piccolo errore di valutazione ad oscurare anni di onorato servizio.

TEDESCO - Chiamalo errore di valutazione! Sei mesi senza (gli fa il verso) “fiammiferi”! (ride, insieme al Francese)

ITALIANO - Prendete, prendete pure in giro. Anzi, la volete sapere una cosa? Mi dimetto. D’ora in poi non farò più l’Italiano. D’ora in poi farò… (si avvicina al Francese, gli prende il cappello e lo indossa) il Francese. Ecco, fallo tu l’Italiano che ti piace tanto. Basta responsabilità, miei cari. Rimetto il mandato!

TEDESCO - Dai, non te la prendere, stiamo scherzando. Prendi fuoco subito! (guarda il Francese e riscoppia a ridere)

ITALIANO - Quello che è detto è detto. Io ora sono il Francese.

FRANCESE - Guarda che ti prendo in parola, eh?

ITALIANO - E fai bene! Sei tu l’Italiano ora. Ma ricorda: ride bene chi ride ultimo!

FRANCESE - Allora sono l’Italiano? E per sempre?

ITALIANO - Già! Anzi, (indicando verso l’alto) vedi di cominciare a fare il tuo lavoro.

FRANCESE - (guardando verso l’alto) È vero. Che emozione. Posso dirlo?

ITALIANO - Sei tu che lo devi dire adesso.

FRANCESE - (visibilmente emozionato) Ragazzi. Ci tocca. Mettiamoci in posizione! (Tutti e tre si sistemano davanti sul palcoscenico come se dovessero essere passati in rassegna da un generale. Mani dietro la schiena. Le luci si modificano, si abbassano. Si crea una strana atmosfera)

VOCE FUORI CAMPO - Allora sentite questa… Tre esploratori, un Tedesco, un Francese e un Italiano, vagano da giorni nel deserto. Hanno terminato da un pezzo viveri ed acqua e sono sul punto di morire quando trovano, semisepolta nella sabbia, una vecchia lampada. La sfregano e immediatamente vedono apparire un genio alto e possente. “In cosa posso servirvi?”, chiede il genio. I tre rispondono che vogliono bere, che desiderano immediatamente una borraccia, anzi no, una piscina per dissetarsi… Il genio fa apparire una piscina vuota e poi spiega ai tre che ognuno di loro dovrà correre verso la piscina, spiccare un salto pronunciando il nome di ciò con cui desidera riempirla e quindi potrà nuotare liberamente nel liquido desiderato. (Il Tedesco si prepara a correre verso l’uscita dalle quinte alla sua destra) Parte il Tedesco che spicca un gran balzo e urla…

TEDESCO - (saltando, uscendo di scena ed urlando) Birra!

VOCE FUORI CAMPO - La piscina si riempie all’istante di birra fresca e dissetante. Il Tedesco nuota e se la gode. Quando ha finito ed esce fuori, la piscina si svuota (L’Italiano si prepara a correre verso l’uscita dalle quinte alla sua destra) e parte il Francese. Anche lui fa un gran balzo e urla…

ITALIANO - (saltando, uscendo di scena ed urlando) Vino!

VOCE FUORI CAMPO - La piscina si riempie all’istante di vino rosso e il francese gode alla grande del suo bagno dissetante. Alla fine tocca all’italiano che parte, spicca un gran balzo e urla… (Il Francese si prepara a correre verso l’uscita dalle quinte alla sua destra. Parte, ma un attimo prima di uscire dalla quinta inciampa vistosamente ed urla)

FRANCESE - (uscendo di scena) Merdaaaaaaaaa!!!

SIPARIO