Uccidere un uomo

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 UCCIDERE UN UOMO

Commedia in un atto

di JACK LONDON

PERSONAGGI

LA SIGNORA SETLIFFE

L’UOMO

IL MAGGIORDOMO

Commedia formattata da

 

Salone da pranzo riccamente arredato,  porta nel fondo al centro, un’altra porta a destra. All’alzarsi del sipario, tanto la porta del centro, quanto quella di destra sono chiuse;  il salone in piena oscurità. Subito dopo si apre la porta al centro che lascia così vedere il vestibolo leggermente illu­minato e sull'uscio, nell'atto di entrare, la signora Setliffe. Giovane, bella, capelli biondi e una espressione di stu­pita innocenza. Rimane sulla soglia esitante, l'orecchio teso, Improvvisamente il salone è inondato di luce. Indietreggia, mandando un piccolo grido soffocato: «Oh! » e poi rimane rigida fissando l'uomo che è addossato alla parete. L'uomo tiene in mano una pistola, e la sua mano non trema. La pi­stola è puntata al petto della signora, non col braccio teso, ma col gomito al fianco. L'uomo è di media statura e di normale corporatura, veste malamente, occhi neri e pelle. abbronzata dal sole. Appare freddo e guarda la signora con occhi decisi e sospettosi.

La signora                     - (indietreggiando e mandando un grido represso;Oh! Scusate! Mi avete spaventata. Che volete?

L’uomo                         - (con una leggera smorfia) Uscire. Ho smarrito la via in questo labirinto: se avete la bontà di indicarmi la porta di uscita non vi torco un capello.

La signora                     - (con tono di voce di chi è abituato a comandare) Ma che cosa facevate?

L’uomo                         - E me lo domandate? Rubavo, signorina; sceglievo gli oggetti che facevano al caso mio. Credevo che non foste in casa; vi avevo visto uscire col vecchio in automobile, vo­stro padre; credo. Non siete la signorina Setliffe, voi?

La signora                     - (osserva, l'errore, ma decide di non disingannar­lo) Come sapete che io sono la signorina Setliffe?

L’uomo                         - Non è la casa, questa, del vecchio Setliffe?

La signora                     - Sì.

L’uomo                         - Non sapevo che egli avesse una figliola. Ed ora, se non vi spiace, indicatemi la via di uscita. (Il tono è serio, la maniera pacifica, composta).

La signora                     - Perché dovrei farlo? Voi siete un ladro.

L’uomo                         - Se non fossi un idiota in questo genere di lavoro, invece di usarvi dei riguardi, vi toglierei ora gli anelli che avete alle dita... Sono venuto per portar via un po' di roba al vecchio Setliffe, non a derubare una donna. Lasciatemi passare, la troverò da me la via d'uscita.

La signora                     - (comprende che da un uomo simile c'è poco da temere; non le sembra un delinquente tipico, il suo accento non lo dice nativo della città. Le sembra d'intuire in quell'accento l'aria libera e familiare dei grandi spazi, in quella voce la curiosità) Temete che io gridi? Che chiami aiuto? Voi non potrete uccidermi.., Uccidere una donna?

L’uomo                         - (negli occhi c'è un fuggevole turbamento: esita un istante; poi lentamente e gravemente) Immagino che dovrò, allora, soffocarvi e malmenarvi alquanto.

La signora                     - Una donna?

L’uomo                         - (stringe le labbra) Purtroppo! (Pausa) Voi sì, non siete che una debole donna, ma vedete, signorina, non posso permettermi il lusso di andare in prigione. No, si­gnorina, proprio non posso. Un amico mi aspetta nel West. Poveraccio, è in un grosso guaio, ed io debbo aiutarlo. (Le sue labbra si stringono ancora di più) Cercherò di farvi il meno male possibile.

La signora                     - (gli occhi di lei assumono un'espressione d'innocente incredulità mentre lo sorveglia) Non ho mai incontrato in vita mia un ladro, ma non saprei dirvi quanto la cosa m'interessi.

L’uomo                         - (vedendo l'espressione di lei tra di­vertita e incredula, si affretta ad aggiungere) Non sono un ladro, signorina! Un ladro di professione, voglio dire. Sembrerebbe che lo fossi dal fatto che mi trovo qui in casa vostra. Ma è la prima volta in vita mia che commetto un'azione simile. Ho bisogno di denaro... gran­ de bisogno. E poi, per me è come se prendessi quello che mi è dovuto.

La signora                     - (con un sorriso incoraggiante) Non capisco. Venite qui a rubare: rubare è prendere ciò che non vi appartiene...

L’uomo                         - Sì e no, nel mio caso particolare, ma è meglio che me ne vada. (L'uomo si avvia verso la porta, ma essa s'interpone facendo di sé un ostacolo seducente. Il braccio sinistro di lui si tende come per afferrarla, poi esita. E' soggiogato dalla dolce femminilità di lei).

La signora                     - (dolcemente trionfante) Ecco! sapevo che non mi avreste toccata!

L’uomo                         - (imbarazzato) Non ho mai mal­menato una donna, la cosa non è facile. Ma lo farò certo se gridate!

La signora                     - (con sollecitudine, ma ingenua­mente) Non volete trattenervi un momento a colloquio? La cosa è tanto interessante! Vor­rei che mi spiegaste come mai rubare sia per voi prendere quello che vi spetta.

L’uomo                         - (con ammirazione nello sguardo e nel tono) Ho sempre creduto che le donne avessero paura dei ladri. Ma voi, a quanto ve­do, non ne avete affatto.

La signora                     - (ride gaiamente) Vi sono ladri e ladri, no? Io non ho paura di voi, perché non vi credo capace di far male a una donna. Venite, parlate con me un poco. Nessuno ci disturberà. Sono sola. Mio... mio padre ha preso il treno della notte per New York. I servi dormono tutti. Vorrei darvi qualche cosa da mangiare... Le donne preparano sempre delle cene per i ladri che colgono sul fatto, almeno così si legge in certe novelle moderne. Vera­mente non so proprio dove trovare qualche cosa da mangiare. Berreste qualche cosa? (L'uomo esita e non risponde, ma nei suoi oc­chi cresce l'ammirazione per lei.) Non avrete paura, eh? Non vi avvelenerò, sapete? Berrò con voi per farvi coraggio.

L’uomo                         - (francamente fiducioso, abbassa per la prima volta la rivoltella) Siete una crea­tura sorprendente. Nessuno potrà più dirmi che le donne di città sono paurose. Voi sì... non siete un gran che... una donna fragile, ma graziosa. Certamente avete del coraggio; e non vi manca una buona dose di fiducia.

La signora                     - (sorride per il complimento e la voce sembra sincera) E' perché mi piace il vostro aspetto. Avete l'aria troppo per bene per essere un ladro! Non dovreste commettere più azioni simili. Avete dei guai? Perché non lavorate? Via, mettete da parte quell'orribile ri­voltella e discorriamo della faccenda. A voi conviene lavorare.

L’uomo                         - (con amarezza) Non in questi pa­raggi. Ho consumato due paia di scarpe per cercar lavoro. Prima un uomo onesto e ro­busto...

La signora                     - (ride allegramente, e, notando che la risata piace all'uomo, ne approfitta, an­dando difilato verso la credenza) Venite, mi racconterete tutto mentre vi darò da bere. Che cosa volete, whisky?

L’uomo                         - (la segue, pur tenendo in Piano la rivoltella e guardando riluttante la porta aper­ta rimasta libera) Sì, signorina.

La signora                     - (riempie il bicchiere per luì) Ho promesso di bere con voi, ma il whisky non mi piace. Io... io preferisco lo sherry. (Alzan­do la bottiglia dello sherry come per chiedere il suo consenso).

L’uomo                         - (con un cenno del capo) Certo. Il whisky è per gli uomini. Non mi è mai pia­ciuto vederlo bere da donne. Un po' di vino fino conviene loro di più.

La signora                     - (versa il vino e alza il suo bic­chiere verso quello di lui) Bevo augurando­vi di trovare lavoro... ma... (S'interrompe perché nota un' espressione di spiacevole sorpresa sul volto di lui e una smorfia... La sua voce è ora ansiosa) Che cosa c'è? Non vi piace? Mi sono forse sbagliata?

L’uomo                         - E' certo un whisky strano: ha un sapore di bruciato, di affumicato...

La signora                     - Oh, che sciocca! Vi ho dato whisky scozzese. Naturalmente, voi siete abituato al whisky di segale. Lasciate che lo cam­bi. (Nel cercare un'altra bottiglia, mostra una premura quasi materna) Migliore?

L’uomo                         - (beve quasi avidamente) Sì, si­gnorina. Non vi è fumo in questo. E' vera­mente eccellente. Non bevo da una settimana, neppure un bicchierino. Buono, proprio buo­no: pastoso come un olio, non fatto certo in una fabbrica di prodotti chimici.

La signora                     - (mezza domanda e mezza sfida) Voi bevete?

L’uomo                         - No, signorina, non posso dire di essere un bevitore. Qualche volta, presentan­dosi l'occasione, non dico... Ma proprio di ra­do. In certi frangenti, però, un buon sorso ri­mette in piedi, e questo è il caso mio di stasera. Ora, signorina, vi ringrazio e me ne vado.

La signora                     - (si avvia verso la tavola da pran­zo, sorridendo) Non mi avete ancora spie­gato come rubare, nel vostro caso, significhi semplicemente prendere quello che vi spetta. Venite qui, sedetevi alla tavola, e toglietemi la curiosità. (Accortamente essa raggiunge la sua sedia alla tavola e colloca lui al lato vi­cino).

L’uomo                         - (si siede, ma rimane in guardia e vigile. Diffida ancora, ritorna sempre a fissar­la con ravvivata ammirazione, ma non a lun­go: tende l'orecchio ad altri suoni che non siano quelli della voce di lei, e posa la rivol­tella sull'angolo della tavola, vicino alla sua mano destra) Le cose stanno così, signorina. Il vecchio Setliffe una volta m'imbrogliò in un piccolo affare. Non era giusto, ma vi riuscì. Quando «i è protetti come lui da qualche cen­tinaio di milioni, tutto riesce pienamente e le­galmente a questo mondo. Non mi lamento, né voglio sparlare di vostro padre. Egli non sa neppure che io esista come suo prossimo in Adamo, e immagino che non saprà neppure di avermi imbrogliato. E' troppo potente lui che pensa e agisce in milioni, per aver potuto sen­tir parlare di un povero diavolo come me. E' un finanziere con ogni specie di periti e spe­cialisti ai suoi ordini, tutta gente che fa pro­getti e li eseguisce per lui. Alcuni di essi hanno stipendi che superano quello del Pre­sidente degli Stati Uniti. Io non sono che uno dei molti mandati in rovina da lui, ecco tutto. Vedete, signorina, avevo un piccolo buco di miniera, con una piccola macchina idraulica di un cavallo. E quando la gente di Setliffe si mise ad acquistare terreni e riorganizzare il monopolio delle fonderie, col grande pro­getto idraulico di Twin Pines, io fui natural­mente schiacciato. Non ebbi un centesimo per il tempo, le fatiche e il denaro speso. Così, stasera, trovandomi privo di mezzi e dovendo a ogni costo aiutare un mio amico, sono entrato qui con l'idea di riprendermi un po' di quello che vostro padre mi prese.

La signora                     - Pur stando le cose come dite, non vuol dire che rubare non sia rubare. Voi non potete sostenere una tale tesi in Tribunale.

L’uomo                         - Lo so. Quel che è giusto non sem­pre è legale, ed è per questo che mi trovo a disagio stando qui, seduto, a parlare con voi. Non che io non goda della vostra compagnia... ne godo molto, anzi... ma non voglio farmi ac­ciuffare. So quale sorte mi attenderebbe in questa città se mi acciuffassero. Un giovanotto si ebbe quindici anni di galera per aver de­rubato di due dollari e ottantacinque centesimi un passante. L'ho letto nel giornale. In temili difficili, quando il lavoro manca, gli uomini non indietreggiano dinanzi a qualsiasi azione disperata. E coloro che hanno di che essere derubati, diventano a loro volta anch'essi di­sperati, e si difendono colpendo il più che pos­sono. Se mi acciuffassero, vedrei il sole a scac­chi per non meno di dieci anni. Ecco perché voglio andarmene.

La signora                     - (alza la mano come per trattenerlo, e nel contempo toglie il piede dal bottone del campanello elettrico, fisso al pavimen­to sotto la tavola, campanello che ha ripetuta­mente premuto per chiamare i servi) No, aspettate. Non mi avete ancora detto il nome,

L’uomo                         - (esitante) Chiamatemi Davide.

La signora                     - (ridendo con graziosa confusio­ne) Allora... Davide... si deve fare qualche cosa per voi. Siete giovane e siete a una cat­tiva svolta. Se cominciate col cercare di pren­dere quello che credete vi spetti, più tardi prenderete quello su cui non potete accampare diritti di sorta. Bisogna trovare invece per voi un lavoro onorevole.

L’uomo                         - (ostinatamente) Ho bisogno di danaro, e subito. Non per me, ma per l'amico che vi ho detto. Quel poveraccio va aiutato su­bito o abbandonato al suo destino.

La signora                     - (prontamente, impulsivamente) Posso trovarvi un'occupazione. Ah! sì! Pro­prio la cosa che va per voi... Vi presterò il da­naro che vorrete mandare al vostro amico. Ma lo potrete pagare poi col vostro salario.

L’uomo                         - (lentamente) Basterebbero tre­cento dollari. Trecento lo salverebbero. Con­sumerei le dita lavorando un anno intero in cambio di questa somma, vitto e alloggio, e pochi centesimi per comprarmi del tabacco.

La signora                     - Ah, voi fumate! Non ci avevo pensato!

L’uomo                         - Muoio dal desiderio...

La signora                     - Fumate pure, fumate pure. Non mi disturba. Anzi... Sigarette, natural­mente. (L'uomo con la sinistra trae di tasca una cartina di sigarette che passa nella destra, ac­canto alla rivoltella. Cava in un secondo tempo un pizzico di tabacco scuro e filamentoso, e arrotola la sigaretta con le due mani sulla ri­voltella. Lei sorride, ma in tono un po' di rimprovero... gentile) A giudicar dal modo con cui tenete stretta codesta orribile arma, si di­rebbe che abbiate paura di me.

L’uomo                         - Paura di voi? Veramente no, si­gnorina, ma le circostanze... Sono un pochino timido io...

La signora                     - Io non ho avuto paura di voi.

L’uomo                         - Che cosa potete temere voi?

La signora                     - La vita mi è cara.

L’uomo                         - Lo credo. Pure non avete avuto paura di me. Forse io sono troppo agitato.

La signora                     - (gli occhi di lei esprimono il candore dell'onestà mentre il suo piede cerca il bottone del campanello e lo preme) Io non vi farei nessun male. Voi siete un buon cono­scitore di uomini, lo so, e di donne. Io non cerco che di distogliervi da una vita criminosa e di procurarvi una onesta occupazione.

L’uomo                         - (contrito) Vi chiedo scusa, signo­rina. (Ritira la mano dalla tavola, e dopo aver acceso la sigaretta, abbassa la mano al fianco).

La signora                     - (un leggero sospiro) Vi rin­grazio della vostra fiducia.

L’uomo                         - Quanto a quei trecento dollari, io potrei spedirli stanotte nel West, e accetto di lavorare un anno per tale somma, più vitto e alloggio.

La signora                     - Guadagnerete di più. Posso promettervi, al minimo, settantacinque dollari il mese. Ve ne intendete di cavalli?

L’uomo                         - (raggiante) Sì, signorina.

La signora                     - Allora lavorerete per me... O, dirò meglio, per mio padre, benché assuma io i servi. Ho bisogno di un secondo cocchiere...

L’uomo                         - (interrompendola bruscamente, col sogghigno nella voce e sulle labbra dell'uomo libero del West) E indossare una livrea?

La signora                     - (sorridendo benigna) Già, non ci stareste. Lasciatemi pensare... Ecco! potre­ste domare e condurre i puledri?

L’uomo                         - (con il volto ridente) Sì, signo­rina, e come!

La signora                     - Abbiamo un allevamento di cavalli, e vi è posto per un uomo come voi. Accettate?

L’uomo                         - (con voce piena di gratitudine e di entusiasmo) E me lo domandate, signorina? Non avete che a dirmi dov'è, e incomincio do­mani stesso. E siatene certa, signorina, non vi pentirete mai di aver beneficato Ugo Luke...

La signora                     - (con lieve tono di rimprovero) Mi pare che avevate detto Davide...

L’uomo                         - E' vero, signorina. E ve ne chie­do scusa. Mentivo per timore. Il mio vero nome è Ugo Luke. E se mi date l'indirizzo di code­sta vostra tenuta e l'importo del biglietto, mi metto in viaggio col primo treno domattina.

La signora                     - Accettate dunque la mia oro­posta? Ne sono tanto contenta. Non abbiamo molto da aggiungere, vero? Ma voi dovrete, innanzi tutto, fidarvi di me: vado di sopra a prendere la borsetta. (Una breve pausa; negli occhi dì lui passa un dubbio: un lampo solo) Anch'io mi fido di voi dandovi i trecento dol­lari...

L’uomo                         - (ritornando fiducioso) E' vero, signorina. Ma non posso fare a meno di essere un po' nervoso.

La signora                     - Allora, posso andare a prende­re il danaro? (In questo momento si ode un lieve rumore fuori... un fruscio di una porta a battenti si apre. L'uomo trasale).

L’uomo                         - Che c'è? (Si volta un po' verso la parte dalla quale viene il rumore. La mano della donna, tira a sé la rivoltella e quella dell'uomo si chiude vuota dove era l'arma. E"li balza in piedi, si volta verso la donna e vede la canna della rivoltella puntata non alla pro­pria testa, ma al petto).

La signora                     - (seccamente: una voce nuova)  Sedetevi! Non vi muovete! Tenete le mani sulla tavola!

L’uomo                         - (sedendosi, guardandola freddamen­te, nota che la mano di lei non trema. Ora ella alza il cane della rivoltella) Vi avverto che il grilletto funziona alla minima pressione. Non premete troppo, se non volete fare in me un buco grande come una noce. (Vedendo che essa abbassa il cane a metà) Ecco! Meglio così. Fareste meglio ad abbassarlo del tutto. Vedete come funziona facilmente? Un attimo e potete insudiciare il vostro bel pavimento. (Dietro di lui si apre una porta ed entra il maggiordomo. Il ladro non volta il capo, non leva gli occhi dalla donna... e ascolta).

La signora                     - (la voce dura, gli occhi crudel­mente freddi) Tommaso, andate al telefono e chiamate la polizia. Perché ci avete messo tanto a rispondere?

Il maggiordomo            - Son venuto appena ho udito il campanello. Domando perdono. Sve­glio i servi?

La signora                     - No, chiamate la polizia. Posso tenere a bada io quest'uomo. Andate a telefo­nare... svelto! (Il maggiordomo esce).

                                      - (Un silenzio di un istante: la donna e l'uo­mo si fissano negli occhi. Gli occhi di lei sono pieni di una gioia eccitante; gli occhi dell'uo­mo, benché la fissino, si direbbero assenti, ve­lati).

La signora                     - (sorride trionfalmente) Perché tacete ora? Quando sarete in galera avrete il tempo di meditare sui casi vostri. Minacciare una donna con la rivoltella alla mano... E' sciocco, credete a me. Avrete tempo di trar profitto dalla lezione. Ora ditemi la verità: voi non avete alcun amico nei guai. Avete men­tito. Perché non supplicate di essere lasciato libero?

L’uomo                         - (calmo) Lo farei se... (Esita).

La signora                     - (duramente) Se?... Dite...

L’uomo                         - Cerco la parola... Dicevo, lo farei se foste una donna per bene.

La signora                     - (in tono mordace) Badate!

L’uomo                         - (con un ghigno) Voi non oserete uccidermi. Voi siete certamente malvagia, ma il male si è che siete debole nella vostra mal­vagità. Non ci vuol molto per uccidere un uomo, ma voi non ne avete il coraggio. No. Ecco dove voi vi perdete.

La signora                     - Badate a quel che dite, se vi preme qualche cosa al mondo.

L’uomo                         - (in tono indifferente) Vi è qual­cosa di inafferrabile nella volontà di Dio: met­tere al mondo una creatura come voi. E' al di là di ogni mia possibilità di comprensione.

Il maggiordomo            - (entrando ansioso) Il tele­fono non funziona, signora!

La signora                     - Mandate qualcuno a cercare di una guardia. (Il maggiordomo esce).

L’uomo                         - (sempre calmo, composto) Volete avere la bontà di rispondere a una domanda? Quel vostro servo ha parlato di un campanello, Vi ho sorvegliato come un gatto: voi non avete sonato alcun campanello.

La signora                     - Il campanello è sotto la tavo­la, povero voi. L'ho suonato col piede.

L’uomo                         - Grazie, signora. Credevo che non vi fossero al mondo creature come voi. Manca­vo di esperienza. Io, ladro, vi parlavo con sin­cerità e fiducia; voi, gentildonna, mi mentivate come il diavolo.

La signora                     - (con un riso di derisione) Dite pure quel che vi piace! E' molto interessante.

L’uomo                         - Mi avete fatto gli occhi teneri e dolci, avete tirato in ballo le vostre gonne, in­tanto il vostro piede lavorava per voi. Eppure, credete, anche questa è una consolazione. Pre­ferisco mille volte essere il povero Ugo Luke che sconti i suoi dieci anni di carcere anziché essere nella vostra pelle. Signora, l'inferno è popolato di donne come voi.

La signora                     - Continuate! Dite! Dite pure!

L’uomo                         - (gli occhi esprimono una decisione: sono fermi, calmi) Sì, signora, dirò qualche cosa. Dirò certamente qualche cosa. Sapete che cosa farò adesso? Mi alzerò e uscirò da quella porta. Potrei togliervi la rivoltella, ma vi rinuncio: potreste commettere la sciocchezza di lasciar partire il colpo. Potete tenervela la ri­voltella. E' ottima. Come dicevo, uscirò da quella porta, e voi non sparerete affatto. Ci vuol del fegato per uccidere un uomo, e voi, certamente, non ne avete. Vediamo un po' se avete il coraggio di tirare quel grilletto. Io non vi farò alcun male. Uscirò da quella porta, ecco: esco. (Tenendo gli occhi fissi su di lei, spinge indietro la sedia e lentamente si alza. Intanto la donna alza a metà il cane della ri­voltella; entrambi guardano il cane: ma egli parla sempre con calma). Tirate più forte. Non è ancora alzato a metà. Avanti, tirate, uccide­ te, spargete le cervella di un uomo sul pavi­mento, aprite in lui un foro grande come il pu­gno della vostra mano. Questo vuol dire Ucci­dere un uomo. (7/ cane si abbassa dolcemente: l'uomo si avvia a lenti passi verso la porta. La donna gira la rivoltella, puntandola alla schie­na dell'uomo. Per due volte ancora essa è lì lì per far fuoco, ma non osa. L'uomo prima di varcare la soglia si volta verso di lei. Ha un'e­spressione di profondo disprezzo nel volto: dice alla donna, con calma, una sola parola, la quintessenza di ogni vituperio) Baldracca! (Mentre il sipario cala, l'uomo sparisce. Giun­ge un rumore sordo di passi sveltì. La donna è ancora seduta al suo posto come pietrificata: la mano che stringe la rivoltella rimane inerte sulla tavola).

FINE