Ultimatum

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ULTIMATUM

Radiogramma

di ALIGHIERO CHIUSANO

PERSONAGGI

ÈVA GAY

DANIEL BORA

IL GENERALE

IL PRETE

PAL

FRANZ

IL SIGNOR SCHROEDER

IL MAGGIORE

II dattilo­grafo

La voce dell'altoparlante e varie voci.

Commedia formattata da


Clamore di folla che sfila tumultuosa cantando.

Voci                              - (acute, sul clamore circostante) Vogliamo la libertà! la libertà! Abbasso i traditori del popo­lo! (D'improvviso alcuni colpi isolati di fucile. Poi raffiche di mitra. La folla da un urlo immenso. Gli spari infittiscono, nasce una vera battaglia)

Voci                              - (c. s.) Vigliacchi, schiavisti! Sparano sulla folla! A morte le canaglie! A morte, a morte! (il clamore e gli spari dissolvono incrociandosi con nuo­vo ambiente sonoro: un interno. In secondo piano, macchine per scrivere, squillo di telefoni, concitate voci militaresche, passi frettolosi)

Generale                 - (voce fredda, in p. p. sommesso) Ebbene?

Maggiore                       - (in p. p., piuttosto preoccupato) I ri­belli si sono barricati in via del Duomo e hanno già respinto due attacchi.

Generale                 - Va bene. Ricorriamo ai carri ar­mati. Venite, guiderò io stesso l'azione. (Dissolvenza incrociata. Nuovo ambiente sonoro: una stanza. In sottofondo, una dolce musica americana suonata da una radio o da un grammofono. In p. p. il ticchettio di una macchina per scrivere)

Èva Gay                  - (quasi compitando, come chi segue ciò che sta scrivendo) Stamane, all'alba, i governativi erano padroni della situazione. Ancora qualche spa­ratoria isolata, ma di poco conto... Qualche fabbrica, nei dintorni della capitale, ospita ancora un nucleo di rivoluzionari che non sarà difficile, al governo lo­cale, ridurre al silenzio. (La sua voce dissolve lenta­mente. Poi, su un SF musicale, lento e dramma­tico che farà da stacco a tutte le future sequenze, verrà letto l'annuncio del radiodramma. Finito t'an­nuncio, nasce dal silenzio il primo ambiente sonoro: un ufficio. Ticchettio di macchine da scrivere. In un passo militaresco che passeggia avanti e in­dietro)

Generale                        - (dettando) "Quanto al centro di resi­stenza costituito..." No: "rappresentato dalle acciaie­rie di Nurk..."

Dattilografo                  - (ripete a bassa voce, scrivendo) "rappresentato dalle acciaierie di Nurk..."

Generale                        - (c. s.) "M'impegno con vostra eccel­lenza a liquidarlo entro..." (Gracchia un citofono)

Dattilografo                  - Scusate, generale. (Sblocca il cito­fono) Sili? (Ascolta un attimo i gorgoglii dell'appa­recchio) Un momento. Generale, è in anticamera miss Èva Gay, la giornalista straniera che avete...

Generale                        - (in 2 p.) Che entri subito.

Dattilografo                  - (ai citofono) Fatela entrare subito. Si. (Clic del citofono richiuso)

Generale                        - (in 2 p.) Togliete il foglio dal rullo e portatelo di là. (In p. p. stridio del rullo dal quale vien tolto il foglio) Appena possibile vi richiamo, e finiremo il rapporto. (Bussano a un uscio. In 2 p. inoltrato) Avanti. (Uscio aperto. Passi femminili ma decisi che sì avvicinano. Al dattilografo) Potete an­dare. Buongiorno, miss Gay, accomodatevi. (Passi del dattilografo che si allontana. La porta si richiude. Breve silenzio)

Èva                         - Mi avete fatto venire in gran fretta.

Generale                        - Mi dispiace. La cosa è urgente. (Come tra parentesi) Fumate?

Èva                                - (idem) Grazie. (Scatto dell'accendisigari. Boccata di fumo) Grazie. (Ha una bella voce non pri­va di fascino, ma è spigliata e recisa. Donna del no­stro secolo e, per di più, giornalista. Subito, tranquil­la) C'è qualcosa che non va? Mi si giudica indeside­rabile?

Generale                        - (fumando, con fredda galanteria) No dì certo. Almeno come donna.

Èva                         - Come giornalista, allora?

Generale                        - Nemmeno. A patto, s'intende...

Èva                                - Ah!

Generale                        - ...che le vostre informazioni siano esatte. Mi spiego. Ho qui... Scusate un attimo... (L'ul­tima e le seguenti frasi con la sigaretta in bocca, mentre in 2 p., dove si è recato con pochi passi de­cisi, lo si sente sfogliare in un fascio dì giornali) Do­ve l'ho messo, accidenti. Faccio troppi mestieri, in questi giorni... (Fruga con sfruscio di pagine)

Èva                                - (ironica) Giorni caldi, eh? generale.

Generale                        - (in 2 p., con la sigaretta in bocca, fin­gendo di non capire) No. Trovo anzi che l'autun­no comincia a farsi sentire. Avete visto, stamane, che pioggerella? (Altra voce: si è tolto la sigaretta di bocca. Ha trovato quel che cercava) Oh, finalmente. Ecco qui il giornale su cui riferite dal nostro paese. Purtroppo non parlo la vostra lingua, ma ne so abba­stanza per leggiucchiarla. (Si avvicina in p. p.) Vi dirò: il vostro articolo...

Èva                                - Pollice verso, immagino.

Generale                        - No, perché? Naturalmente siamo due mondi opposti, non si può pretendere l'impossibile. Ma, a parte questo, vi trovo piuttosto obiettiva, an­siosa di dare un quadro reale della situazione, di capire anche ciò che, in partenza, vi riesce ostico.

Èva                         - È il dovere di ogni giornalista.

Generale                        - (ironico) Be', non direi che i vostri colleghi lo osservino molto. (Pausa tesa. Poi, col to­no di prima) Vi dicevo, dunque, che, scorrendo il vostro articolo, ho pensato di farvi una proposta.

Èva                                - Sentiamo.

Generale                        - Come sapete, i disordini sono cessati, le truppe governative hanno ormai in pugno la si­tuazione. La brutta parentesi è chiusa.

Èva                                - Già. Restano solo...

Generale                        - Ecco. Restano solo pochi e isolati fo­colai di resistenza, che saranno liquidati al più pre­sto. Il più consistente di tutti è...

Èva                                - (pronta) II complesso delle acciaierie di Nurk, a dodici chilometri dalla città.

Generale                        - (breve pausa. Quasi piccato) Vedo che siete molto ben informata, miss Gay.

Èva                                - (un po' canzonatoria) Dovere di ogni gior­nalista, generale.

Generale                        - Bene. E allora sentite : io sono di par­tenza per Nurk, dove liquiderò quel centro di ribel­lione. Volete venire con me, ad assistere agli eventi? Vi procurerei un servizio sensazionale ed eviterei che la stampa estera diffonda spiacevoli calunnie sulle nostre presunte crudeltà contro i ribelli. Dì voi mi fido: so che scriverete la verità. Inutile dirvi che avremo la massima cura della vostra incolumità per­sonale. (Pausa) Che cosa mi rispondete?

Èva                                - (dopo un breve silenzio, con un sospiro deciso) Sono una giornalista e una donna. Che cosa posso rispondervi? Certo che vengo. Quando si parte?

Generale                        - (contento) Subito, naturalmente. E grazie di aver accettato. (In fretta va al citofono, lo sblocca. Gorgoglio nasale dell'apparecchio) II dattilo­grafo, presto. Con la relazione che gli stavo dettan­do. (Chiude il citofono) Bene. Ha smesso di piovere. Il cielo è coperto, ma almeno vedremo i luoghi che attraverseremo. Siete già stata a Nurk, immagino.

Èva                                - Anni fa, sotto il vecchio regime. Una do­menica di agosto. Un caldo da soffocare.

Generale                        - (dogmatico) Si soffocava anche d'in­verno, a quei tempi.

Dattilografo                  - (apre la porta, in 2 p. Inoltrato. Si avvicina) Eccomi, generale.

Generale                        - (sempre in 2 p.) Presto, rimettete il foglio in macchina. (In *>, p. rullo di macchina girato in fretta, qualche battuta del tasto di avanzamento)

Dattilografo                  - Pronto, generale.

Generale                        - Dov'eravamo rimasti? (Poiché il datti­lografo esita) Avanti. Miss Gay può sentire.

Dattilografo                  - (leggendo) "Quanto al centro di re­sistenza rappresentato dalle acciaierie di Nurk, mi impegno con vostra eccellenza a liquidarlo entro..."

Generale                        - (adagio, dando rilievo) "Entro domat­tina alle otto.” (La macchina batte) Su, la firma. (Foglio estratto dalla macchina. Breve pausa) Ecco fatto. Consegnate voi stesso al ministero e dite che sono partito alle... alle 17 e 10 per Nurk. (Si avvici­na) Venite, Miss Gay. Speriamo che tutto si risolva stasera stessa. (Questa frase in allontanamento di vo­ci e passi. Viene su e domina per qualche istante il solito cupo stacco musicale che poi dissolve incro­ciandosi con rumore di automobile in corsa dall'in­terno che fa da SF a tutta la sequenza)

Èva                                - (dopo un po' di silenzio) Splendida, questa campagna. A volte vorrei piantare tutto e andare a vivere in una casetta come quella là, dietro i faggi.

Generale                        - Io non le sento, queste nostalgie buco­liche. Appartengono a un mondo superato.

Èva                                - (d'improvviso, provocante) Ditemi, genera­le: che cosa v'interessa di più?

Generale                        - (dopo una pausa, corazzato) L'uomo, miss Gay. L'uomo in società: come si organizza, co­me si difende dallo sfruttamento, come costruisce un mondo migliore. Nient'altro che questo.

Èva                                - (sospirando) Una cosa grossa. Impegnativa. Ma... per le ore di abbandono, di tenerezza, di follia?

Generale                        - (reciso) Ne ha avute troppe, la storia, ore di abbandono, di tenerezza, di follia. Il risultato : un mondo in cui ci si vergogna a vivere. Non ab­biamo tempo per questo, oramai: urge riparare, ri­parare in fretta. Poi si vedrà.

Èva                                - E quando avrete riparato? Non temete di perdere il gusto alle piccole care cose della vita?

Generale                        - (quasi duro) Siete una donna, miss Gay, e venite da un paese viziato. Capisco che diate importanza a queste sciocchezze, mentre si rischia di perdere l'essenziale. Ma noi non defletteremo, avremo il coraggio di essere spietati, per il bene di tutti. I nostri nipoti ci ringrazieranno.

Èva                                - (cauta) Ma gli uomini d'oggi? Come vi spie­gate la rivoluzione dei giorni scorsi?

Generale                        - (rigoroso) Le parole sono importanti, miss Gay. Se la chiamate rivoluzione, tutto viene falsato, e la vostra domanda ha un senso inquietan­te. Ma chiamatela col suo vero nome : reazione, ri­gurgito di cose morte e condannate, e la vostra obie­zione perderà ogni valore. (Con una sottile risata caustica) I mistici cristiani avevano un nome per de­signare qualcosa di analogo: l'uomo vecchio. Quell'uomo vecchio che non si rassegna a morire, ma che morirà un giorno, e per sempre.

Èva                                - Siete più ottimista dei cristiani, vedo. (Pau­sa) O sareste anche cristiano?

Generale                        - (netto) No. (Quasi tra sé) Che doman­da! (Dopo un silenzio ironico) E voi? Siete cristiana, voi, miss Gay?

Èva                                - (ci pensa; dopo un silenzio) È un pezzo che non ci pensavo più... (Pausa) Sarebbe importan­te saperlo, non vi pare?

Generale                        - (distaccato) Ci sono cose più impor­tanti, a mio giudizio. (Un silenzio. L'automobile rom­ba in SF)

Èva                                - (d'improvviso, femminile) Scusate la do­manda, generale: avete famiglia?

Generale                 - (sulla difensiva) Tutti ne abbiamo una. Padre, madre...

Èva                                - Voglio dire: avete moglie e figli?

Generale                        - (dopo una pausa) Non vedo l'impor­tanza, ma... Si, sono sposato. E ho tre figli : tre ra­gazzi dai quindici ai quattro anni.

Èva                                - (insistente) Quale vi è più caro?

Generale                        - (riluttante) Non... non saprei, che vo­lete che vi dica? (Breve pausa. Poi, vinto, con voce assorta) Forse l'ultimo, il più piccolo...

Èva                                - (inserendosi, quasi senza farsi avvertire) Come si chiama?

Generale                        - (in intima contemplazione, una traccia di sorriso nella voce) Ciucci, lo chiamo... quel bir­bante... Fa certi discorsi... Vuoi fare il discobolo, da grande, figuratevi. Ha visto una gara e... (Si scopre sulla china del sentimento, ripiglia il solito ruolo) Ma si sa, tutti i bambini sembrano unici, e poi... L'importante è quel che diverranno, l'apporto che re­cheranno alla società futura.

Èva                                - (dopo un silenzio) Grazie della parentesi, generale. (Pausa. Il motore, cambiata marcia, romba più forte) Ma cominciamo a salire. Non ricordo più bene: è in collina, Nurk?

Generale                        - Appena a"Dena. Un duecento metri, non più. Ancora un paio di chilometri 'e ci siamo. Però il sole è già basso, e le nuvole ci rubano la lu­ce. Dovremo far presto, se vogliamo sbrigare tutto in serata. (// motore romba per qualche secondo, poi si dissolve. Domina per alcuni istanti la musica di stacco che poi dilegua a sua volta. Nuovo ambiente sonoro: all'aperto. Voci maschili in 2 p. Qualche ri­sata, qualche ordine secco. In lontananza, il fragore di un carro armato in movimento)

Maggiore                       - (in rapido avvicin.) Benvenuto, gene­rale. Agli ordini.

Generale                        - Niente di nuovo, qui maggiore? Que­sta è miss Gay, la giornalista di cui avrete sentito parlare.

Maggiore                       - (ringalluzzito, battendo i tacchi) I miei omaggi, miss Gay. (Pausa. Di nuovo in tono ufficiale) Tutto come prima, generale. Gl'insorti non danno più segno di vita. C'è stata una sparatoria, stamattina, dalle finestre, e ci pare di aver colpito qualcuno. Poi silenzio.

Generale                        - Avete completato l'accerchiamento coi carri armati?

Maggiore                       - Si. Praticamente si. Qualche piccolo spostamento, come adesso, per ragioni di opportunità.

Generale                        - Avete intimata periodicamente la re­sa, secondo gli ordini?

Maggiore                       - Si. Ogni due ore l'altoparlante di quel­la camionetta ripete il solito invito. Ma nessuno ri­sponde.

Generale                        - Vorrei sapere che cosa sperano.

Maggiore                       - Forse... un aiuto dall'estero...

Generale                        - (con riso sprezzante) Se non hanno altri miraggi !

Èva                                - (per troncare) Quanta gente c'è, in quella fabbrica?

Maggiore                       - (al generale) Posso?

Generale                        - (un po' "grand seigneur") Ma certo, miss Gay è un'amica.

Maggiore                       - Bene. Un centinaio di ribelli, supper­giù. Meno di duecento, comunque.

Èva                         - Sapete chi li comanda?

Maggiore                       - Si. Un giovane ingegnere. Un certo Bora.

Èva                         - Ah, Daniel Bora, quello che ha già avuto una parte nei tumulti del primo giorno, in piazza del Municipio.

Maggiore                       - Precisamente.

Èva                                - (dopo una pausa, esitante) E... cosa avverrà se non si arrendono?

Generale                        - Non parliamo di tristezze, miss Gay. Maggiore, fate leggere quest'avviso dall'altoparlante. E facciamo presto, il buio aumenta. (Qualche bat­tuta della musica di stacco, che poi si dissolve)

Voce dell'alt,                 - (in 2 p.) Attenzione! Attenzione! I ribelli asserragliati nell'edificio centrale delle ac­ciaierie di Nurk sono invitati a prestare ascolto! Av­viso straordinario! Il generale comandante la zona è giunto in questo momento e desidera avere un collo­quio col vostro capo! Il vostro rappresentante esca dal portone centrale e percorra venti passi in dire­zione della strada maestra! Il generale gli verrà in­contro e avrà con lui, in quel punto, un breve ab­boccamento. Non vi sarà, da parte nostra, la minima azione di disturbo, tranne che siate voi i primi a far fuoco! Il vostro capo potrà ritornare in mezzo a voi, indisturbato, dopo la fine del colloquio. Se siete d'accordo, esponete un panno alla finestra sovrastan­te il portone centrale. Ho finito! (La musica erompe in p. p,, minacciosa ed emotiva, poi si tronca. Qual­che istante di silenzio)

Generale                        - (mentre, intorno a lui, si leva un improv­viso mormorio, subito represso) Ecco il segnale. Hanno accettato. A tra poco, miss Gay.

Èva                                - (esitante) Generale, posso... posso venire con voi?

Generale                        - (con noncuranza) È. uno scherzo, im­magino. A tra poco... (Il suo passo si allontana, calmo)

Maggiore                       - (dopo un silenzio) ~ - Ritornerà subito, miss Gay. Una cosa breve. (Qualche battuta della solita musica, che poi dissolve. Sempre all'aperto)

Daniel                           - (in p. p. E un uomo sulla trentina, deciso, secco, con un fondo di arida tristezza) Sono Da­niel Bora, il capo della resistenza. Che cosa volete dirmi?

Generale                        - Aspettate. Qui è troppo buio. (Gridan­do) Accendete i riflettori, laggiù! Svelti! (Pausa) Co­si va meglio.

Daniel                     - (con amara ironia) Non vorrete girare un film, spero... (// colloquio è interrotto da grida minacciose in lontananza, mentre Èva si avvicina di corsa, ansante)

Voci                              - (lontane) Ferma, voi! Dove andate? Tor­nate indietro o sparo!

Generale                        - (seccato) Che accade? (Gridando) Miss Gay, siete impazzita?

Èva                                - (arriva in p. p., trafelata) Scusate, genera­le, ma sono una giornalista... non potete pretendere...

Generale                        - (con gelido furore) Non posso preten­dere?! Ma io vi faccio fucilare!

Èva                                - (con malizia) Non credo, generale. Non cre­do proprio.

Generale                        - Bene. Intanto vi arresto. Poi si vedrà. Maggiore !

Daniel                     - (reciso) Fermo! Il colloquio è tra noi due soli. Non mi oppongo alla presenza di questa giornalista. Ma non chiamate altra gente, o torno subito in fabbrica. (Pausa)

Èva                                - (che sa di averla fatta grossa) Vi chiedo scusa, generale. So che ho agito...

Generale                        - (furente) Da pazza, avete agito! Mi ero fatta un'altra opinione, di voi. Se avessi saputo, non... (Si domina a fatica. Poi, sdegnoso) Comunque ormai siete qui: restateci. Ma non dite una parola! Siete una testimone muta, nient'altro. Ricordatevelo.

Èva                                - Va bene, starò zitta.

Generale                        - (quasi tra sé) Trasformate in operetta qualunque cosa, voi donne. (Da un rabbioso sospiro. Poi, più calmo, ma ancora nervoso) Veniamo a noi, Daniel Bora. Vi ho fatto chiamare perché, prima che sia troppo tardi, vorrei scambiare quattro chiacchiere con voi.

Daniel                           - (svogliato) Scambiate pure. Ma non cre­do che serva.

Generale                        - Noi ci atteniamo alle regole. Delle con­seguenze, poi, risponderete voi stessi.

Daniel                           - E la sorte degli sconfitti.

Generale                        - Sconfitti... Se un gruppo di carcerati si ribella e vien ridotto all'obbedienza, non parlerei di sconfitti, ma di puniti, di castigati, di domati.

Daniel                     - Usate il nome che vi pare. Ma approvo il paragone del carcere. Rispecchia bene la realtà del nostro paese.

Generale                        - (seccato) Non fate l'arguto, Daniel Bo­ra. Si tratta di cose molto serie.

Daniel                           - Anche troppo.

Generale                        - Ecco. E allora non perdiamoci in schermaglie. Siete discosti, vi chiedo, voi tutti anni­dati in questa fabbrica, a uscirne immediatamente per consegnarvi all'esercito regolare?

Daniel                           - No. Lo sapete. Ve l'abbiamo ripetuto a sazietà. (Pausa)

Generale                        - Posso chiedervi che cosa sperate?

Daniel                           - (ironico) ~ Un miracolo, generale.

Generale                        - (ignorando la risposta) Lo sapete che dopo mezz'ora di fuoco la fabbrica è distrutta e i car­ri armati vi passeggeranno sopra?

Daniel                           - Lo sappiamo. Ed è appunto questa la no­stra briscola. Le acciaierie di Nurk sono importanti. Sarà duro, per voi, dopo queste giornate, ricomincia­re daccapo, con le acciaierie in poltiglia. Questo lo sapete anche voi. Ecco perché ci avete risparmiati fin qui. Se ci fossimo rifugiati in un castello del trecen­to, anche zeppo di opere d'arte, ci avreste già mas­sacrati tutti. (Pausa)

Generale                        - D'altra parte non possiamo restare qui in eterno, ad aspettare che moriate di fame. Entro domattina alle otto ho promesso al governo di liqui­dare la faccenda in un modo o nell'altro.

Daniel                           - Pensateci voi.

Generale                        - (grida, di colpo, perdendo le staffe) Che cosa sperate, pazzi? Nessuno vi aiuterà, mettetevelo bene in mente! Ogni paese bada alle sue rogne! Qual­che corteo di protesta, qualche deplorazione ufficiale: ecco tutto quel che faranno per voi!

Daniel                           - Peggio per loro.

Generale                        - (c. s.) Macché peggio per loro! Peggio per voi, idioti!

Daniel                           - State mettendo in imbarazzo miss Ga"generale. Ve ne accorgete?

Èva                                - (tormentata) Smettetela. (Una pausa piutto­sto lunga)

Generale                        - (si è ripreso, freddo) Allora, Daniel Bora, che cosa facciamo? Devo dar ordine di attac­carvi subito?

Daniel                           - Non pretenderete che lo decida per voi;

Generale                        - (pausa. Poi, duro) E va bene. Oramai è notte e se buttiamo giù la fabbrica qualcuno dei vostri potrebbe sgusciar via tra le macerie, appro­fittando del buio...

Daniel                           - Già.

Generale                        - (alzando la voce) Ma domattina, alle sei in punto, vi daremo l'ultimatum. O resa incondi­zionata entro un quarta d'ora, o bombardamento im­mediato della fabbrica. Tutti coloro che saranno tro­vati all'interno verranno passati per le armi senza processo.

Daniel                           - E cosi, se non avete altro da dirmi, vi auguro la buona notte.

Generale                        - (chiuso) Non ho altro da dirvi.

Daniel                           - Buona notte, allora, miss Gay. (Si allon­tana di qualche passo. Poi in 2 p.) Ah, dimenticavo. Mi direte di no, ma tento lo stesso. Abbiamo un fe­rito, là dentro. Soffre molto, ed è appena un ragaz­zo. Potreste mandarci qualcuno      - che so, un medi­co, un infermiere      - a fargli una fasciatura a regola d'arte, a disinfettarlo? Ripeto...

Èva                                - (subito, avida) Va bene. Ci vengo io.

Generale                        - (stupito e gelido) Miss Gay, voi...

Èva                                - (c. s., travolgendo le sue parole) Ho preso il diploma di infermiera, tre anni fa. E ricordo ancora parecchio. Ci vado subito: precedetemi signor Bora!

Generale                        - (sottovoce, furente) Miss Gay, voi state passando i limiti. Non vi ho portata qui per.,.

Èva                                - (irritata) „, per starmene a sentire i vostri discorsi. Dovevate lasciarmi dov'ero, allora. È una co­sa che non potete rifiutarmi. Che direbbero, all'este­ro, sapendo che negate un'infermiera a un ragazzo ferito? Tutte le convenzioni internazionali...

Generale                        - (c. s., ma freddamente controllato) Mi pento della mia idea. Voi mi state ricattando. (Bre­ve pausa. Come uno sparo) Andate! Fate quel che vi pare! Passateci la notte, anche, là dentro! Se farete cattive esperienze, peggio per voi. E se domani mat­tina, al nostro ultimatum, non uscirete più che in fretta, resterete sotto le macerie insieme agli altri. (Rapidi passi in allontanamento)

Èva                                - (smarrita) Perché tutta la notte? Un mo­mento solo, per... (Tace mentre i passi del generale si allontanano)

Daniel                           - (in 2 p. con cordiale ironia) Vi ha pian­tata? Non fateci caso. Vi faremo passare la notte come meglio potremo. Dovrete accontentarvi, si sa.

Èva                                - (dopo una pausa, decisa, quasi sdegnosa) Va benissimo. Andiamo, signor Bora. (I loro passi si allontanano in fretta. Il solito stacco musicale. Quin­di dissolvenza- Nuovo ambiente sonoro: l'interno di una fabbrica, naturalmente senza fragore di macchi­ne. Passi e voci in 2 p. o in lontananza, disordi­nati. Ogni tanto un'esclamazione, una imprecazione)

Franz                             - (ragazzo sedicenne, voce arida, di febbre. Da un grido) Ah! Mi fate... Be', non importa.

Èva                                - (intenta) Dovete resistere un poco. Vi han­no scheggiato la spalla, e vi ci vuole una fasciatura seria.

Franz                             - Si, si, grazie.

Èva                                - (dopo un istante) Vi chiamate Franz, vero?

Franz                             - (da un grido) Ah! (Poi controllandosi) Si: Franz.

Èva                         - (dopo una pausa) Quanti anni avete?

Franz                      - (a denti stretti) Quasi... quasi sedici.

Èva                                - Vi comportate come un uomo.

Franz                             - (dopo un silenzio) Finché c'è Daniel non ho paura.

Èva                                - Volete bene, a Daniel?

Franz                             - Tutti gli vogliono bene.

Èva                                - (quasi scherzosa) Come mai?

Franz                             - (c. s.) Voi venite da lontano, e non sa­pete chi è. Daniel Bora è l'uomo che non ha mai tollerato un'ingiustizia, che ha sempre pagato per gli altri. Ci faremmo tagliare a pezzi, per lui.

Èva                                - (dopo una pausa, piuttosto tenera) Dovete essere un bravo ragazzo, Franz.

Franz                             - (quasi duro) Non lo so. Non credo. Ma vorrei assomigliare a Daniel, prima di morire. E poi presentarmi a Dio.

Èva                                - (tace un attimo, Poi, sottovoce) Voi... cre­dete in Dìo, Franz?

Prete                              - (in 2 p., uomo di mezz'età, di una timidezza ardita e pulita) Non turbatelo, miss Gay. Lascia­telo riposare.

Èva                                - (stupita, dopo una pausa) Ma... se non sba­glio, voi siete un...

Prete                              - (2 p. con un risolino vergognoso) Già. La veste talare è un po' lacera, un po' lisa. Ma è pur sempre una veste talare.

Èva                                - (fredda) Interessante. (Come tra parentesi) Ecco fatto, Franz, ora potete riposare.

Franz                             - (con voce assonnata) Grazie, sorella.

Èva                                - (fa qualche passo. Giornalista, inquisitrice) Ferito, anche voi, reverendo?

Prete                              - Invalido, piuttosto. Non ho più l'uso del­le gambe.

Èva                                - (c. s. dopo una pausa di osservazione) È molto che siete qui?

Prete                       - Dal primo giorno.

Èva                         - E prima?

Prete                              - In carcere.

Èva                         - (dopo breve pausa) Per quale accusa?

Prete                       - (con pudore) Non ha importanza. Le solite.

 Èva                        - (quasi crudele) Accuse false, nel vostro caso?

Prete                              - (col sorriso nella voce) Siete disposta a credermi?

Èva                         - (dopo una pausa) Si, padre.

Prete                              - (con semplicità) Grazie. Erano false, in­fatti.

Èva                         - (subito interessata) E adesso?

Prete                              - Che cosa?

Èva                                - Quali prospettive avete?

Prete                              - (sorride) Prospettive... Doveri, forse. As­sistere costoro, vedere un po' quel che succede.

Èva                         - (dura) Ci sarà poco da vedere, temo.

Prete                       - (serio) Lo temo anch'io. (Un silenzio)

Èva                                - (aggressiva) Lo sapete, padre, che molti vo­stri... colleghi stanno dall'altra parte? Coi governa­tivi? Giustificandosi?

Prete                              - Lo so.

Èva                                - (acuta) Li condannate?

Prete                              - Io non condanno nessuno. (Con una pun­ta di umorismo) Sono io il condannato, se mai. (Pausa) Non sono stati divertenti questi tre anni di carcere. Capisco che non tutti vogliano fare la stes­sa esperienza.

Èva                                - (inesorabile) Dei vili, dunque?

Prete                              - (signorile) Non esageriamo. Lo spirito ha infinite sfumature.

Èva                         - (tra sé) E anche la viltà. Avete ragione, padre.

Franz                             - (in 2 p. come destandosi) Attenti, at­tenti alla cascata! Vedo...

Prete                              - Calma, Franz, stavi sognando, non agi­tarti.

Franz                      - (sempre in 2 p.) Che sete. Scusatemi. Dov'è Daniel?

Prete                       - Sta parlando con gli uomini, tra poco viene. (Stacco netto. In un altro punto della fab­brica Daniel sta parlando agli uomini radunati. Qualche colpo di tosse, qualche mormorio breve, ma predomina un silenzio teso)

Daniel                           - (dopo una pausa. Con voce moderata) Questo è quanto, ragazzi. Un colloquio inutile, ma si sapeva già prima. E domani si scatena l'inferno. Ora decidete voi. Le mie ragioni le sapete, ma son disposto a rivederle, se avete da proporre qualcosa di meglio. (Lungo silenzio turbato da qualche bor­bottio)

Pal                                 - (grosso operaio brutale, ma di buon cuore) Anche questo è un discorso inutile, Daniel. Ne ab­biamo già parlato cento volte, e le cose non cam­biano. Se ci arrendiamo siamo spacciati. Se resistia­mo, può sempre succedere qualcosa...

Una voce                       - (iraconda) Che cosa, Pai?

Pal                                 - (forte) Un accidente qualunque, che volete che sappia? Sempre meglio che finire al muro, o dentro un campo spinato, a mangiar bucce di pa­tate e a prender calci a volontà.

Altra voce                     - Potrebbe anche andarci meglio!

Pal                          - Si, potremmo finire in galera, invece che in campo di concentramento. E allora ce la godremmo a passeggiare in cerchio, sotto i mitra spianati. Per anni. Forse per sempre. Vi fa gola?

Voce                       - (con un grido) Ma è la vita, almeno! (Lungo angoscioso silenzio)

Pal                          - (senza durezza, ma con robusta nausea) La volete, questa vita? E allora tenetevela! Io re­sto qui a sparare fino all'ultimo.

Diverse voci                  - Anche noi, Pai! Ci siamo già ri­bellati perché quella di prima non era vita. Io non mi arrendo di sicuro, piuttosto mi ammazzo.

Voce isolata                  - La vita! Ma poi non ce la lascia­no! Ci fucileranno tutti, senza misericordia. Devono dare un esempio. Guai se la gente comincia a dir basta.

Diverse voci                  - Ha ragione. Allora non dovevamo sollevarci. Ora bisogna andare a fondo.

Voce                       - (dopo un silenzio) Daniel Bora, perché non parli? Noi facciamo quel che vuoi tu.

Daniel                           - (con amara stanchezza) Vi ho già detto che cosa pensavo. Ora volevo che decideste voi.

Voce                             - (irritata) Ma che vuoi decidere? Non vedi in che pasticcio siamo? Chi dice una cosa, chi un'al­tra. Giochiamo a testa e croce: quel che risolvi tu, lo   accettiamo anche noi.

Pal                                 - E allora è inutile fare altri discorsi. Tor­niamo ai nostri posti e diciamo agli altri che si re­siste fino all'ultimo. Va bene, Daniel?

Daniel                     - Per me, si. E per voi?

Molte voci                     - Va bene anche per noi. Deciso. Fino all'ultimo.

Daniel                           - (Pausa. Quasi mormorando) Così sia. Tornate ai vostri posti, ragazzi. Si resiste a oltranza. (Mormorio e passi che si allontanano. Segue un breve silenzio)

Èva                                - (si avvicina dal 2 p.) Posso?

Daniel                           - (come frastornato) Ah, siete voi. (Pau­sa) Venite, qui abbiamo chiuso. (Pausa) Come sta Franz?

Èva                                - Non bene. Temo una setticemia. Ci vorreb­be la penicillina. Ma dove trovarla?

Daniel                     - Già. Ma è ancora una cosa importante?

Èva                                - (stupefatta) Come dite?

Daniel                     - (si riprende. £ andato troppo oltre) Venite, miss Gay. Vi porto a mangiare un boccone, prima che vi mettiate a riposo.

Èva                         - Non ho fame, grazie. E tanto meno sonno.

Daniel                           - (allontanandosi) Venite, comunque. Vi fa­rò vedere la nostra fortezza. (Alcune pesanti battute della musica consueta. Indi dissolvenza)

Daniel                           - (cammina con Èva attraverso l'immenso opificio, pili silenzioso di prima. Parlano a voce mo­derata) Sono le undici, ormai, miss Gay. Non vo­lete almeno sedervi?

Èva                                - (turbata) Non dormirà nessuno, vero? sta­notte.

Daniel                           - (calmo) Mi sembra difficile.

Èva                                - (dopo gualche altro passo, in silenzio. Fer­mandosi di colpo, quasi aggrappandosi al suo mu­tismo) Daniel, sentite, di me potete fidarvi: co­me potete essere cosi calmo?

Daniel                     - Vi siete guardata intorno, miss Gay?

Èva                                - (sconcertata) Si...

Daniel                           - Avete visto scene di panico, di dispera­zione?

Èva                                - (perplessa) No... (Si riprende: ha trovato l'argomento) Ma gli altri si affidano a voi, Daniel, si son rimessi nelle vostre mani. Voi, invece...

Daniel                           - Io... (Dopo una pausa, con un sospiro amaro) Io sono stanco, miss Gay. E solo. Terribil­mente solo. Voi non immaginate che cosa sono stati questi giorni; qui dentro. Non soltanto per me. Ma per me specialmente. A volte vorrei ritirarmi in un angolo e coprirmi la faccia con le mani.

Schroeder                      - (si avvicina in 2 p. Tra i 50 e 60 anni, uomo disfatto dalla paura, ma con residui di antico splendore padronale) Signor Bora, vi chiedo la grazia di due parole.

Daniel                           - (sfinito ma paziente) Dite, signor Schroeder.

Schroeder                      - (ormai in p. p.) I miei ossequi alla signorina. Gran potere, la stampa. Errore madorna­le, imbavagliarla. Lo stiamo scontando tutti amara­mente. In un paese libero...

Daniel                           - (con pazienza stanchissima) Volevate dirmi, signor Schroeder?

Schroeder                      - Ah, giusto. Volevo dirvi che mi si tratta in un modo indecente. Sono fatto segno a continue beffe, persino a minacce. Mi si chiama "la sanguisuga", il "latifondista marcio", "la...".

Daniel                           - (c, s.) Non badateci, signor Schroeder. Il vostro passato di proprietario terriero... Schroeder      - (patetico) II mio passato! Ah, dite bene, egregio signor Bora: il mio passato! Mai pas­sato fu più passato di questo! Chi sono io oggi, si­gnor Bora, se non un pezzente? H la parola: un pez­zente, vestito di stracci e inviso alle autorità. Nes­suno ha più diritto di invidiarmi, e trovo vergogno­so che in queste condizioni...

Daniel                           - (c. s.) Signor Schroeder, vi prego: non fate una tragedia per cosi poco. Stanno accadendo cose molto importanti, lo avrete capito.

Schroeder                      - (fiero) E difatti son qui, signor Bora. Fin dal primo giorno. A rischiare la mia vita per amore della giustizia.

Pal                          - (in 2 p., ha sentito) O non piuttosto per­ché credi di riacciuffare le tue terre? (E giunto in p. p.)

Schroeder                      - (furente e atterrito al tempo stesso) Signor Bora, mi appello a voi. Quest'uomo non per­de occasione di...

Daniel                           - (severo ma triste) Che c'è, Pai? Ti ho chiamato?

Pal                          - (intimidito) Nnn... Volevo... volevo dirti che ho preparato un giaciglio per la signorina, qui, dietro l'affinatolo.

Daniel                           - (c. s.) Va bene. Pai, grazie. Puoi andare.

Pal                          - (ingrugnato) Posso andare, si. E me ne vado!

Èva                         - (a mezza voce) Siete stato molto gentile, Pai. Grazie.

Pal                                 - (andando via, borbotta ben chiaro) Si cre­dono, 'ste mignatte che abbiamo fatto la rivoluzione per rimetter su loro! Ma si sbagliano di grosso, si sbagliano !

Daniel                           - (dopo un silenzio) Parole giuste, signor Schroeder, mi dispiace. Non crediate che si voles­sero far tornare le cose come prima. Volevamo an­dar oltre, invece: con più giustizia e con un minimo di libertà. (Pausa) Mi avete_ capito?

Schroeder                      - (batte quasi i denti, annichililo) Mmm... si, signor Bora, si, ma...

Daniel                           - (con un sospiro) Del resto, credo che ormai siano parole oziose.

Schroeder                      - (sfatto dal terrore) Credete... credete che non ci sia più nulla da sperare? (Lunghissimo silenzio. Schroeder comincia a piangere) Ecco... ecco la mia vita, cos'è stata... Valeva la pena di vivere? Rispondetemi voi, signorina, che vivete in un paese felice: valeva la pena di vivere cosi?

Daniel                           - (freddo, disgustato, ma anche fraterno) Dominatevi, signor Schroeder, siete un brutto spettacolo. Andate a riposare. E pensate a tutti coloro che hanno avuto meno di voi, che non ricorderanno neanche un giorno di benessere, un minuto di vera felicità. (Si sente Schroeder che si allontana pian­gendo e balbettando)

Èva                                - (dopo un attimo, sfinita dalla pietà e dalla commozione) E orrendo, Daniel, tutto questo. Non se ne ha un'idea, da noi.

Daniel                     - (severo, come un padre che non da retta a un bambino) Venite, miss Gay. Andiamo a se­derci da qualche parte. (Alcune battute della solita musica. Poi dissolvenza assai lenta. Nuovo ambiente sonoro: è notte e domina il silenzio. A tratti, di qua e di là, un gemito soffocato, un colpo di tosse, un bisbigliare subito interrotto)

Èva                                - (dopo qualche attimo, con voce assonnata, sorpresa) Daniel... ma che ho fatto?

Daniel                           - (a mezza voce, come sarà tenuto tutto que­sto colloquio, senza sorpresa) Credo che vi siate assopita.

Èva                                - (ancora un po' torpida, ma rauca di vergo­gna) Scusatemi. Sono... Non capisco proprio. Ho dormito cosi poco, in queste ultime notti. (Pausa)

Daniel                     - Volete un po' d'acquavite?

Èva                                - Grazie, un goccio.

Daniel                           - Copritevi le spalle con la coperta. Co­mincia a far fresco, non sentite? (Con tristezza) La salute, per voi, è ancora importante. (Le versa da bere)

Èva                                - (con voce strozzata)Grazie. (Beve)

Daniel                           - (dopo una pausa) Sapete bere, miss Gay. D'un sol fiato, come un uomo.

Èva                                - (quasi afona) Ne ho bisogno. (Pausa) Ho bisogno di calore. E di coraggio. (Un tempo. Poi, decisa) Daniel, sentite, parliamo della situazione, qui dentro...

Daniel                           - (spossato ma reciso) Miss Gay, vi pre­go: cambiamo discorso. Se no, andate a coricarvi e cercate di dormire un'altra oretta.

Èva                         - (dopo un silenzio, delusa) Che ore sono?

Daniel                     - Le quattro e tre quarti.

Èva                         - (con smorto terrore) Di già? (Ha un tremante sospiro. Tace. Poi, di colpo, ma senza alcuna gioia, quasi un dovere) Avete avuto un'infanzia fe­lice, signor Daniel?

Daniel                           - (mestamente scherzoso) Parlo con la corrispondente dell'"International"?

Èva                                - No. Con Èva Gay.

Daniel                           - Meglio cosi. (Pausa) Mi avevate chie­sto? Ah, della mia infanzia... Be', felice non so. Fu molto povera, certo. Ma forse anche felice, chi può dirlo? Basta cosi poco, da piccoli, per essere felici. (Pausa) Mio padre, ad esempio... un piccolo artigia­no della capitale, abitavamo nei sobborghi... Mio pa­dre, ricordo         - (Con un risolino di commossa tenerez­za) ... Pover'uomo, che anima candida, Dio lo bene­dica. Aveva letto su una rivista che per sviluppare il torace bisogna dormire supini, con le braccia al­zate, gli avambracci ripiegati intorno alla testa...

Èva                                - (in un soffio) Si...

Daniel                           - (c. s.) Lo credereste? C'impose quella posizione, a me e ai miei fratelli, senza durezze, ma con una pazienza infinita, disarmante. I miei fratelli si abituarono presto, ma io ricadevo sempre nella mia tendenza a dormire sul fianco. E lui, la notte, con delicatezza di madre, a rivoltarmi pian piano, a rimettermi le braccia in posizione giusta. Una not­te, ricordo, mormorai: "Grazie, babbo." E lui mi si sedè sull'orlo del letto e mi bisbigliò, carezzandomi : "Non stupirti, Daniel, se insisto. E per il tuo bene. Ne dovrai affrontare, da grande, di lotte. È sempre meglio avere qualche carta in più. Anche un torace da atleta può servirti.” (Con improvviso scoramento, quasi una stanca rabbia, tra i denti) E difatti: mi serve a morire come un cane, sotto le macerie di una fabbrica bombardata, a capo di un gruppo di... (Da un ringhio come di nauseato orrore. Poi beve avidamente, schioccando la lingua con fare da ta­verna)

Èva                                - (dopo un lungo silenzio, con voce rotta e mal­ferma) Daniel, voi dovete uscire di qui, con tutti costoro. Salvate la vita, intanto. Molte cose possono cambiare.

Daniel                           - (con disperato sarcasmo) Si, miss Gay l'abbiamo visto, come cambiano le cose.

Daniel                     - Possiamo fare un altro po' di chiasso, tra due o tre anni, e finire allo stesso modo, tra l'in­dignazione universale. Ne vai proprio la pena. (Pausa) E quanto a uscire di qui con la vita... Bah! (Ha quasi un'esplosione di schifo. Si frena, poi, teso) E voi, miss Gay, avete avuto un'infanzia fe­lice?

Èva                                - (tace, colpita. Poi, secca) No, tutt'altro. Ma non ha nessuna importanza.

Daniel                           - (dopo un silenzio, cauto) Povera anche voi?

Èva                                - AI contrario. Stavamo anche troppo bene. Ma non mi ci fate pensare. Sappiate solo che v'invi­dio vostro padre, Daniel. Che veniva, la notte, a ri­girarvi delicatamente nel letto. Perché poteste... (La voce le si strozza ed ella tace)

Daniel                           - (dopo una pausa. Assorto) Basterebbe poco, in fondo, per sentirsi fratelli.

Èva                                - (la voce ancora sciolta dal pianto, dal batti­cuore. Con ansia) Ditemi una cosa, Daniel. Da qualche ora mi sta ossessionando. Voi credete in Dio?

Daniel                           - (dopo una pausa. Con profondo pudore) È strano. Non so perché, quasi me ne vergogno: ma devo rispondervi di si.

Èva                                - (allibita) Quasi ve ne... vergognate?

Daniel                           - (c. s. Si sente che non la guarda in faccia) È un tal tesoro, credere in Dio, e sta diventando cosi raro, che quasi ci si vergogna di essere cosi ricchi.

Èva                                - (dopo un momento di raccoglimento) E a Cristo, Daniel, ci credete?

Daniel                     - (c. s.) Cristo e Dio sono tutt'uno. Ed è un aiuto, sapete, in momenti come questo, credere in un Dio sconfitto, in un Dio crocifisso, che ha chiu­so la prima parte della sua opera con una disfatta. Ispira fede nella rivincita finale, anche nostra, anche quaggiù. La giustizia arriva, un giorno o l'altro. Intanto, accontentiamoci del Calvario.

Èva                                - (dopo un altro silenzio) Un'ultima doman­da, Daniel : non lasciate nessuna donna che vi sia cara, quaggiù?

Daniel                           - (richiudendosi in sé) Non ha più impor­tanza, oramai. In 2 p. Improvviso scoppio di gemiti e di singhiozzi. Voci irose o dolenti che si levano, una piccola confusione)

Èva                                - (atterrita) Che cosa succede?

Daniel                           - (con un secco sospiro) Le cinque e mez­zo. C'è qualcuno che comincia a perdere la testa. Bi­sogna che vada, miss Gay. Bevete un altro po' di ac­quavite. E preparatevi a lasciarci. (Quest'ultima fra­se già in allontanamento)

Èva                                - (salta su, quasi gridando) Daniel, sentite, ho preso una decisione!

Daniel                           - (già lontano) Non posso, ora, miss Gay. Preparatevi! (Momento musicale altamente drammati­co con emotivo rullo di timpano. Poi nuovo ambiente sonoro: il solito locale, ma in piena animazione. Voci eccitate in 2 p. o in lontananza, passi che vanno e vengono, ecc.)

Franz                             - (tremante, convulso) Daniel, stiamo proprio per morire?

Daniel                           - (controllato, sereno) Su, Franz, coraggio. Ora devi dimostrarti un uomo.

Franz                             - (c. s.) Va bene Daniel. Vorrei solo... Se po­tessi fumare una sigaretta...

Daniel                           - Ottima idea, Franz. Ne avete una di quel­le buone, miss Gay?

Èva                                - (è del tutto sconvolta, ma regge per forza di nervi) Si, Daniel. Dove... dove le ho messe? Ah, ec­cole. Tenetele tutte.

Daniel                           - Bene. Cosi ci facciamo una fumata di lus­so in parecchi. Ne volete una anche voi, padre?

Prete                              - (2 p.) Grazie, ne faccio a meno. Date pure a qualcun altro.

Daniel                           - Aspetta, Franz, ora ti accendo.

Franz                      - Mi trema molto la mano, eh?

Daniel                           - Sta tremando anche a me, come vedi. (Sottovoce in p. p.) Siete pronta, miss Gay? Tra pochi istanti verrà il loro ultimatum e allora dovete essere lesta a uscire di qui.

Èva                                - (id.) No, Daniel, sentite : ho deciso di restare con voi.

Daniel                           - (c. s., irritato) Siete pazza?

Èva                         - (c. s.) Forse. Ma resto con voi.

Daniel                           - (violento) E io vi sbatto fuori, capito?

Èva                                - (c. s., con un'ombra di sorriso nella voce) Non ci credo.

Daniel                           - (tace un attimo, disorientato. Poi, sottovoce, sdegnoso) Siete una donnetta isterica, miss Gay. Volete vivere un'avventura. Ma toglietevelo dalla te­sta. Vi sbatto fuori conie un gatto. Qui si fa sul serio!

Franz                             - (alzando la voce) Sorella!

Èva                                - (forte) Dite, Franz.

Franz                             - Volevo... ringraziarvi per le vostre cure. E anche per la sigaretta. È molto buona.

Èva                                - (si è allontanata un poco, verso Franz) Mi fa tanto piacere, caro Franz.

Daniel                           - (tra sé, in p. p. angosciato) Le sei! Che aspettano, quelli, a far finire questa tortura? (Da lon­tano ecco alzarsi la voce metallica dell'altoparlante che bercia, ben distinto) :

Altoparlante                  - Attenzione! Attenzione! (Ammuto­liscono tutti) Ci rivolgiamo ai ribelli asserragliati nelle acciaierie di Nurk! Sono le ore sei e il termine è scaduto. Ecco il nostro ultimatum: se entro quin­dici minuti esatti voi non avrete esposto un panno, come segno di resa, alla finestra centrale dell'edificio, aperto il portone di ingresso e cominciato a uscire - in fila indiana, senza armi e a braccia levate - dall'interno della fabbrica, le nostre batterie inizie­ranno a far fuoco su di voi, non cessando che alla distruzione totale dell'edificio. Chiunque, allora, sarà trovato in vita, verrà passato immediatamente per le armi! Intanto, vi invitiamo a far uscire senza indu­gio la corrispondente estera Èva Gay. Vi abbiamo letto il nostro ultimatum! I quindici minuti decor­rono da quest'istante.

Daniel                           - (tra il brusio degli altri) Avete sentito? C'è qualcuno di voi che ha cambiato parere? (Si­lenzio) Non abbiate paura. Tanto non c'è più nulla da perdere. Chi vuoi consegnarsi ai governativi, lo faccia senza rossore. Gli diremo : " Buona fortuna, fratello. E parla di noi a chi resta.” (Pausa) Allora?

Pal                                 - (gridando) Non perdere tempo, Daniel. Sia­mo ormai d'accordo. Tutti. Nessuno di noi vuoi fi­nire fucilato o in campo di prigionia. Siamo uomini, mi pare, no?

Schroeder                      - (nel silenzio di tutti gli altri, con un im­provviso pianto isterico) Apritemi la porta, perdio! Non avete diritto di farmi morire! Ho quattro figli e ho sempre detto che quest'avventura era una pazzia! (Strillando) Apritemi la porta, vi ho detto !

Pal                                 - (furente, mentre gli altri imprecano sottovoce) Sporca carogna! Solo un ex capitalista poteva agire cosi. Signor prete, volete uscire anche voi? (Gli si strozza la voce, colpito da un sonoro ceffone, poi, con immenso, amaro stupore) Daniel! Non mi sarei mai aspettato uno schiaffo da te.

Daniel                           - (nel silenzio allibito degli altri) Non vo­lermene, Pai, vecchio amico. Ma te lo sei meritato. Questo sacerdote non merita che tu Io insulti.

Pal                                 - (dopo un attimo, confuso) Dicevo per dire. Non volevo offendervi, padre.

Prete                              - (in 2 p.) Non mi avete offeso, Pai, sciocchezze.

Schroeder                      - (piangendo) Io... io voglio... non avete diritto...

Daniel                           - (con pietosa cortesia) Ma certo, signor Schroeder. Siete libero della vostra scelta. Aprite la porta, ragazzi! (Rumore di portone barricato che viene faticosamente aperto) Prego, signor Schroeder, il passo è libero. Buona fortuna.

Schroeder                      - (c. s. abietto di vergogna) Dovete ca­pire, ho quattro figli... sono un poveruomo, signore...

Daniel                           - (un po' disgustato) Andate, Schroeder, fate presto, non abbiamo tempo da perdere         - (Passi di corsa in allontanamento, grida) Schroeder, non cor­rete! E posate quel mitra, stupido! (pi lontano raf­fica di mitra, gemito strozzato, poi silenzio)

Voci                              - (vicine) Ben gli sta, vigliacco. Esce con le armi in mano, proprio lui! Ha finito di aver paura, adesso.

Prete                              - (in 2 p.) "Ego te absolvo..."

Daniel                           - (dopo una pausa) Esponete il panno alla finestra, ragazzi! Che non accada lo stesso con Miss Gay. Poi, appena sarà arrivata dall'altra parte, riti­reremo la bandiera e aspetteremo il loro attacco.

Èva                                - (esaltata) Vi ho detto che non me ne vado. Resto con voi, sino alla fine.

Pal                          - (entusiasta) Oh, questo si! L'avete capito che non è una faccenda soltanto nostra, eh? (Qualche mormorio di approvazione)

Voce                             - Brava! Finalmente un po' di coraggio an­che da parte di quelli!

Daniel                           - (gridando, terribile) Silenzio! Siete tutti pazzi! (Gli altri, mormorando, si acquietano) Non ce n'è uno che ragioni, in mezzo a voi! (Pausa) Pa­dre, voi che cosa dite?

Prete                              - (in 2 p. con tristezza irresoluta) Mi chiedete una cosa... Forse non dovrebbe, certo, ma... Un po' di eroismo, a volte, è un tal refrigerio! (Mormo­rio di approvazione)

Voce                             - Bravo! Ecco! Ce ne fossero.

Èva                                - (felice) Lo sentite, Daniel?

Daniel                           - (sprezzante, logico) Volete fare la santa Giovanna, miss Gay? E allora si, avete ragione voi. Voi e il prete e Pai e tutti questi matti intorno. Ma io penso alle conseguenze pratiche. Abbiamo già fal­lito la rivoluzione: ci volete anche diffamati? Dalla parte del torto? Aborriti come omicidi?

Pal                          - (forte) Che c'entra?

Daniel                           - (più forte di lui) C'entra si, zucconi! Ve la immaginate, domani, la notizia diramata dai go­vernativi, e che correrà per tutto il mondo? "I ribelli delle acciaierie di Nurk hanno sequestrato come ostag­gio una giornalista straniera, facendola morir con loro sotto le macerie.” (Mormorio desolato, stupito) Ve lo immaginate il giornale su cui scrive miss Gay, listato a lutto? "La nostra eroica corrispondente, ca­duta in mano dei rivoluzionari, perde la vita durante un bombardamento.” (Urlando, esasperato) E que­sto che volete, cretini? Sarà questo, tutto ciò che avremo guadagnato dal nostro martirio? (Lungo, an­goscioso silenzio)

Una voce                       - (in 2 p.) Abbiamo esposto la bandiera, Daniel. (Silenzio)

Prete                              - (in 2 p. con dolcezza) Andate, miss Gay. Tornate dall'altra parte. Ci sono molte specie di eroi­smo. Quella di sopravvivere, a volte, è la più amara.

Daniel                           - (dopo un altro silenzio, con voce rauca e bassa) Andate, miss Gay. E quando vedrete, nel vostro mondo, gente immersa nel dolore e nella gioia, nei suoi piccoli dolori e nelle sue stupide gioie, cieca e sorda e ottusa nel soffrire e nel godere, raccontate loro la nostra storia... (quasi senza suono) e dite co­me siamo morti. (Lungo silenzio)

Èva                                - (con voce bassa, esausta) Addio, Daniel. Addio a tutti.

Daniel                           - (secco) Via, miss Gay. Correte! (Dopo un indugio, passi di donna che si allontanano di corsa. In lontananza, qualche ordine gridato dai governati­vi, poi silenzio)

Pal                                 - (a un tratto, con strana voce) Padre... non per me, ma in ricordo di mia madre, che a queste cose ci teneva... credo che sia venuto il momento di darci una benedizione.

Prete                              - (in 2 p.) Si, Pai, certo. (Pausa) Vorrei al­zarmi in piedi, fratelli, ma purtroppo non posso. Vi impartirò l'assoluzione "in articulo mortis". (Inizia in SF, discretissima, una musica esprimente una ter­ribile attesa)

Daniel                     - (in 2 p, tra sé) È arrivata. (Pausa) Le sei e un quarto. Ci siamo. Addio, vita. (In lonta­nanza i carri armati si mettono in movimento, avan­zano su SF musicali con tetro fragore di cingoli. Do­po un attimo si scatena il cannoneggiamento infer­nale, impastato alla musica sempre pili tragica e dis­sonante. Una tempesta di suoni che domina per un certo tempo il campo sonoro finché lentamente dis­solve inghiottita in ultimo dal silenzio)

FINE