Ultrà
Un interno molto striminzito, forse quello di una camera da letto o, più probabilmente, di un monolocale angusto tipo scannatoio.
E’ notte fonda, dunque nessuna fonte di luce esterna.
Sul pavimento stanno sparse, in gran quantità, pagine doppie e singole di numerosi quotidiani sportivi.
Il ragazzo, un po’ discosto dal centro della scena e fronte al pubblico, se ne sta sbracato su di una sedia che quasi stenta a contenerlo; sembra debba scivolare tutto in avanti abbrutito dalla sonnolenza e si tiene artigliato con le mani sulla pancia un apparecchio telefonico. A disco.
Ha un’espressione imbambolata e una faccia appesa e stravolta.
Innanzi a lui il video luccicante di un piccolo portatile gli scarica addosso i ‘flasch’ intermittenti di un programma televisivo.
L’audio pasticciato suggerisce l’idea di un dibattito abbastanza casareccio, di stampo senz’altro sportivo e trasmesso da un’emittente privata.
Il ragazzo a tratti si scuote dalla sua flaccidità; guarda spesso l’ora. Si capisce che è stanco e stordito ma pure furioso. Qualcosa lo disturba e lo fa soffrire.
Il chiacchiericcio denuncia una condizione di stallo, come se da un momento all’altro dovessero giungere notizie attese con ansia o comunque cruciali circa una situazione poco chiara.
RAGAZZO: (Con voce lamentosa, sciatta) E andiamo, cazzo, andiamo!...
Sono le tre, porca mignotta - ciò pure sonno!...
(Si stropiccia gli occhi, sbadiglia, si accende una sigaretta.)
Dice: mò, da un momento all’altro... - vaffanculo!... Se questi finisce che nun me fanno sapè ‘n cazzo giuro che me l’inchiappetto tutti in fila uno per uno!... (Puntando la mano contro il televisore) ‘Ste facce de mmerda!... Ce so’ riusciti a famme passà la notte in bianco!...
(Un segnale dal video, come di qualcuno che stia per portare delle novità, riaccende di scatto il suo interesse ma per poco, poi dal brusio emergono frasi tipo... “No, falso allarme, ancora niente... bah, direi che possiamo allora continuare con le nostre telefonate.”)
(Fra i denti) ‘Ffanculo!... (Beve da una lattina di birra; ha una smorfia.) Bleah... piscio purissimo!... (E la getta via con gran chiasso di latta.)
(Si odono pugni picchiati contro la parete.)
(Il ragazzo mugugna piano, rancoroso e senza nemmeno voltarsi) Sè, batti batti... (Poi forte, ma sapendo si non essere ascoltato) Te ce venisse un cancro a quella mano!...
(Ancora pugni.)
(Piano, come sopra) Vecchia merdosa... (E di nuovo forte; scattando sulla spina dorsale, mano alla bocca per amplificare) Che ciai solo da ringraziare Dio se ancora non mi ti sono cucinato i gatti come galletti amburghesi, mortacci tua!... E ciai pure il coraggio di rompere i coglioni!...
(Per un istante ricasca inerte poi ha un sobbalzo; tira su la cornetta, aguzza lo sguardo avanti come a cogliere qualcosa dallo schermo e forma un numero. Ha un’imprecazione. Evidentemente è occupato. Riaggancia.)
(Qualcosa dal televisore torna a richiamare la sua attenzione. Il brusio si fa più concitato ma, a tratti, anche percepibile, al punto in cui un orecchio più fino riuscirebbe a cogliere la frase detta, anzi: letta, con accenti melodrammatici: “Ecco, sì... ce lo comunicano adesso, sicuro al cento per cento: è partito da Fiumicino un’ora fa dichiarando che difficilmente tornerà più agiocare in Italia.”
Il ragazzo trema per la rabbia e lo sconcerto; si copre la faccia con le mani, poi si riattacca alla cornetta e prova a riformare il numero ma anche stavolta senza risultati.
Salta su in piedi, si aggira per la stanza.)
Partito... partito... se ne è andato, capito?... - E stavolta per davvero... andato via, via... per sempre, cazzo!... Se ne è andato per sempre!... Cioè che non torna... che non torna più... mai più in Italia! Mai più qui! Mai più nostro! Con noi! Mai più! Mai più!... Andato via! Via! Via!... Oh merda! Qua davvero me sembra d’esse’ tornato a tre anni fa, anzi peggio... che stavolta è per davvero! Per davvero!
(Non si trova più la sigaretta tra le labbra, se ne accende un’altra ma al contrario; tossisce; bestemmia.)
Cristo, se penso che questo era pure il primo anno, cazzo, che non dovevano esserci problemi, col contratto già firmato, vaffanculo!... E questi stronzi sono loro a cacciarlo via - ma io dico come si può, come... come può solo venire in mente una cosa del genere!?
No, cazzo, questa non dovevano farcela, questa no! Una mignottata simile no che non dovevano, non è possibile! Non è possibile!...
(Si agita, come uno che non ci si raccapezzi più; dice un minimo di quello che vorrebbe; singhiozza, quasi cercando di piangere ma senza riuscirci. E’ come alla ricerca di qualcosa che lo blocchi, che lo tenga fermo. Dopo alcuni secondi di forte disorientamento questo qualcosa lo trova ancora nel video, contro il quale va a fissare uno sguardo feroce.
Quindi, con chiaro riferimento allo ‘speaker’...)
Burino di merda pure tu! Che poi a te manco te ne frega un cazzo... mi ci giocherei le palle che non te ne frega un cazzo, e anzi che ci godi!...
‘Sta faccia da preservativo frosolano, mortacci sua!... E’ ‘na vita che ce la sta a tirà appresso e mò ce fa pure il paravento... ce fa l’aria da funerale!... Tiè, guardalo là... come si nun t’avessi visto l’anno scorso dopo la finale de Coppa che te ne stavi a Corso Francia a brindà co’ l’amici... ‘sta razza de frocio cor sugo de fica che j’esce dar culo!
(Ancora colpi contro la parete.
Lui ha il guizzo violento e pericoloso di una vipera. Vorrebbe sbottare ma non lo fa e, di fatto, s’azzitta. Leva il pugno a un passo dal muro come trattenendosi dal colpire a sua volta e, in una sorda imprecazione, mugugna a mezza bocca, quasi tra sé...)
E ancora!... E ce rifai!... Ma io te stacco le orecchie e te le annodo ar collo come ‘na cravatta si nun te la pianti... ‘sta stronza!
(Certo è che, come sempre è accaduto, i colpi della donna lo hanno riportato a toni di voce più contenuti e ad atteggiamenti più controllati. Ora il ragazzo, ancora sotto congestione, tenta un respiro ritmato. Si ricorda del telefono. Tiene lo sguardo fisso sullo schermo per seguire la trasmissione. Reagisce con un’espressione infastidita ad alcune battute del dibattito.
Qualcuno dice: “Era pure chiaro che doveva finire così. Se davvero aveva intenzione di rimanere, non si capisce perché tutta quella manfrina per qualche lira in più o in meno. E dài e dài, a furia di tirare la corda si spezza.”)
Sentilo, và!... Ma te c’empicchi co’ ‘sta corda!... Certo che ce ne stanno teste de cazzo a piede sciolto.
(Prova a fare il numero. Niente. Traffica col il telecomando; gli scappa il volume altissimo, s’affretta a regolarlo.
Tende l’orecchio in attesa dei pugni sul muro che stavolta, però, non arrivano.
Ascolta.
Stessa voce di prima, in un continuo bisbiglio petulante.)
E ci insiste!... A uno che ragiona così che je vòi fa’?... E poi è co’ questi che te tocca de combatte’... co’ gente che più je lo sbatti ar culo e più è contenta!...
(Pausa. Continua ad ascoltare, si agita.
Sul suo viso si fissa sempre più incontestabile una segnata sofferenza.
Per alcuni istanti si può avere la sensazione che la spossatezza stia per prendere il sopravvento, poi di nuovo una reazione e il ragazzo torna ad accanirsi sul telefono.
E’ un’azione prolungata: fa girare il disco nevroticamente e con velocità crescente, trovando ogni volta occupato e ricominciando daccapo. Il ragazzo accompagna la frenesia dei movimenti con il ritornello del numero ormai imparato a memoria. Alla fine, affranto e ansimante, riaggancia rassegnato.
Nel frattempo si intuisce che il dibattito è stato interrotto per lasciare spazio a una serie di filmati: da quel che si capisce, sequenze di ‘goals’ con sottofondo di musichetta.
L’espressione del ragazzo si fa meno contratta, anzi... quasi tenera e malinconica.
Giungono dal televisore vaghissimi rumori di folla puntualmente festante per delle reti messe a segno.)
Che è?... Mò che fanno rivedè, i gòl?...
(Si porta in avanti sul busto. Scruta lo schermo con avidità tornando col pensiero al ricordo di passati trionfi.
Sul suo volto proteso picchiano pulsanti fasci di luce colorata.)
Oh, cazzo, questa è Pisa!... E chi se la dimentica?... La domenica del sorpasso - e vai!... (Commentando quello che vede) Dodo sulla destra in area, entra Gesù di testa e rete!... C’è da piangere, ragazzi, c’è da piangere!... (Tornando a guardare) E questa quale sarebbe?... Ah, Cagliari, certo!... Col Cagliari qui a casa. Ma dimmi tu se non sembra un angelo?... Cià quel collo che pare je s’allunga... un cigno! Guardalo là... t’ariva sulla palla che ce sarebbe solo da fasse una sega, porca puttana...
(L’estasi lo conquista e, in qualche modo, lo calma. A tratti si lascia andare, ma con molta contenutezza, a qualche esclamazione di giubilo, se non d’ammirazione o d’entusiasmo; poi rimette mano al telefono.
Inaspettatamente trova libero.
Ha un sobbalzo. Resta in trepida attesa. Fianalmente qualcuno gli risponde. Lui esplode a tutto volume credendo di essere già in linea.)
Pronto, Alberto, pronto?...Pronto?... Alberto ciao, mi chiamo Sandro. Io sarei un tifoso de...
(Evidentemente qualcuno dall’altro capo del filo lo interrompe, mentre in trasmissione riprende il cicaleccio delle chiacchiere in studio.)
Pronto? Pronto?... Ma con chi ca... - con chi sto parlando?... - Ma non sono in linea?...
No, cioè, io pensavo... - Ah, devo aspettare?... - Occhè, occhèi - no, va bene, ho capito; sì, aspetto. E’ che è un’ora qui che sto provando e mi fa sempre occupato... - Ma allora cosa debbo fare? Rimanere in linea?... Ma mi richiamate voi, sì?... - Oh, non è che poi perdo il turno e mi tocca ricominciare tutto daccapo?... - Che? Il mio?... Sì... posso dire?... Cià da segnare?... Allora - 21, 30... ma cià da segnare?... 21, 30, 4, 3, 8... (ripete)... - Sì, sì, d’accordo, aspetto... grazie, grazie, molto gentile.
(Si siede più composto, deglutisce. Si capisce che è emozionato. Fissa il video; stringe la cornetta a due mani, poi ha come un lampo.)
Oh, aspetta ‘n attimo! Cos’è che dovevo dì che già non me lo ricordo più?... Sì, che me l’ero pensato prima tutto per benino... - Ah, certo... per cominciare la cosa dei biglietti... oh, poi pure di quel coglione che stava parlando adesso, e poi de... de... - oh, cazzo, una penna! Una penna!...
(Di fretta poggia il ricevitore e corre alla ricerca di un foglio e di una penna. Borbotta eccitato fra i denti. Foglio e penna sono introvabili.
A tratti tende l’orecchio per cogliere eventuali richiami che potrebbero giungere dalla cornetta.
L’azione si protrae così fin quando, con forza, si udrà dalla televisione una voce che invita l’ascoltatore in linea a prendere la parola.
Sulle prime il ragazzo nemmeno ci fa caso e continua a cercare. Infine, la minaccia di passare a un’altra telefonata richiama la sua attenzione.
Si precipita al telefono e afferra il microfono urlando: “Pronto, Alberto?...”.
Sull’impeto si porta a un passo dallo schermo; ne segue, immediato, un fischio assordante.
Il ragazzo fa un balzo all’indietro.)
Pronto, Alberto?... Scusa, come?... - Sì, sto lontano - Ah, certo sì, aspetta che abbasso... (e abbassa) occhèi, così io ti sento bene; tu pure, mi senti, sì?...
(Le voci che giungono dall’apparecchio sono adesso molto più impercettibili, quasi del tutto inascoltabili.)
Alberto, ciao. - Beh, innanzitutto io sono Sandro. Ora forse tu non ti ricordi, ma io e te ci siamo già conosciuti una volta... - sì, l’anno scorso, la serataccia dopo la finale di Coppa in un bar su a Corso Francia... - Sì, no, cioè così, per caso, che stavamo tutti un po’... beh, manco c’è bisogno de dillo, te lo pòi immaginà come stavamo. - Insomma, gnente, che semo stati a parlà un pochetto - vabbè, comunque adesso non è tanto questo, e scusa se pare che sbarello ma... (e tossicchia) che sto anche a pezzi... capirai, già a quest’ora - e scusa se è poco, ma che d’altronde volevo pure restà a sentì - poi mò, co’ ‘sta bella notizia che m’hai dato. (Ascolta) - Vabbè, sì certo che tanto se sapeva, però credimi, guarda, che a sentirlo proprio così definitivo fa un male tremendo, una roba allucinante. - Io... io... non so cosa dirti, ma a me ‘sta cosa m’ha proprio ammazzato, cioè... che sia andato via così...
(Si blocca. Scuote il microfono.)
Pronto, Alberto?... Mi senti, sì?... No, me pareva ch’era caduta la linea. Niente... ah, sì! Te volevo dì... ora tu onestamente, scusa, a parte tutto quello che si può dire su certi atteggiamenti che, va bene, anch’io posso essere d’accordo che so’ stati esagerati, ma insomma... quello che un giocatore come lui ha significato per noi come cazzo se pò dimenticà...? -- (Ascolta e incalza) Sè, sè, ho detto: come cazzo se pò...
(Dallo studio, evidentemente, giunge una replica di rimprovero per la parolaccia.)
Ah, certo! Scusa, m’è scappata. - Sì, gnente, dicevo che... aspetta, cos’è che... ah, sì!... Dico, ce lo siamo dimenticati quello che eravamo solo fino a qualche anno fa?... No, perché se ce lo siamo dimenticati, beh, allora vediamo di ricordarcelo e pure in fretta, perché quello che eravamo prima mò ce ritocca adesso, e allora li voglio proprio vedè tutti ‘sti... ‘sti... (si trattiene) tutti ‘st’imbecilli che se n’escono a dì che in fondo la Società ha pure fatto bene... - Ma tu facce caso, pensa solo a questo: l’anno che è venuto lui, tu prova a considerare, chi altro è arrivato? No, davvero, facce caso: nessuno - e semo cambiati dal giorno alla notte. Anzi, mejio: dalla notte al giorno. Vabbè, quello che è, se semo capiti. - No, tu dimme solo si me sbajio! E’ vero o no?... Per questo che quando poi me tocca de sentì...
(Breve pausa. Ascolta una stringata replica.)
No, ecco, sì... mò vengo alla domanda... che no, poi non sarebbe nemmanco una domanda, ma tu me devi capì... è che qua uno cià proprio bisogno de sfogasse, perché io, te giuro, me sento un magone addosso che ciavrei ‘na vojia d’ammazzamme, Arbè... - ma guarda, davero: mica sto a dì pe’ scherzo o pe’ famme bello. Ce mancherebbe!... Ma perché a me de tornà nella mmerda, scusa il termine, ‘ndo stavamo solo sino a du’ anni fa, beh... è ‘n’idea che me mette un angoscia che te nun poi sapè. Questo pe’ fatte capì come posso sentimme io adesso. E uno! - Secondo... si poi voi sapè come la penso, beh... te lo dico subito - e anche a proposito de quello che stava a parlà prima, che diceva della corda che se spezza e che a me me pare scemo... allora vabbè , ricapitolamo: lui con quel figlio di buona donna del suo procuratore ha sbagliato e posso, al limite, essere d’accordo, ma te dico pure che il Presidente stava lì che nun vedeva l’ora e se n’è fottuto altamente di quello che volevano i tifosi, e a me è questa è la cosa che meno me va giù, hai capito?... Perché quello, quanno je fa comodo, se mette a fa’ tutti i teatrini che il rispetto pe’ i tifosi è innanzi a tutto, e che il nostro diritto è sacrosanto, eccetera eccetera e giù chiacchiere - poi però, e dimme tu si nun ciò ragione, com’è che ‘ste storie le tira fori solo quando se tratta de mannacce a fa’ l’abbonamenti, eh?... Come mai?... Prima tutto così, dopo però, ‘na vorta che j’avemo portato i sordi in cassa, chiuso il discorso - come non detto! - E no, allora a me nun me sta più bene... - perché noi come la pensavamo su ‘sta faccenda lui lo sapeva benissimo... (ascolta) Sì che lo sapeva! - Guarda, Arbè... io, pè ditte, so’ uno der gruppo ‘Ultrà’, tu ce conosci... io poi personalmente so’ uno che s’è sempre fatto un mazzo tanto pe’ annà appresso alla squadra, per cui ciò tutte le ragioni de parlà - e te posso dì che a Genova, prima della partita, noi ce semo annati dar Presidente e je l’avemo detto chiaro e tondo come la pensavamo. Io stavo cor gruppo de Davide - mò so che tu lo conosci a Davide... beh, prova a domannajelo si è vero o no e vedi che te risponne!... (E deglutisce) Ma poi nemmeno è questo... (ascolta) No, scusa un attimo che ho finito!...
(Più o meno da questo punto, in coincidenza con il riaffiorare del turpiloquio, il monologo del ragazzo si farà sempre più serrato e quasi del tutto disinteressato alla presenza di eventuali ascoltatori. E’ un parlare alla cieca, molto condizionato dal sonno e dalla fatica ancor più che dalla rabbia.)
Solo un’ultima cosa e chiudo. - Quello mò se mette a fa’ i conti dei cento mijoni in più o in meno, occhèi... - Ma, mortacci tua, me lo voi spiegà chi è che te li dà ‘sti cento mijioni che pare li sta a caccià de tasca sua?... Semo noi che te li damo, capito?... Semo noi e so’ nostri quei soldi - perché se tu, coglione, me metti a quattordicimila i distinti-curva, e vedrai tu si nun va a finì così, vor dì che quei cento mjioni che te voi tenè in saccoccia so’ tutti fatti de quattordicimila lire che t’avemo dato noi, una sull’altra - e che te l’avemo date pe ‘ venì alla partita e stassene piazzati dietro un pilone da quattro ore prima e senza manco vedè ‘n cazzo, me so’ spiegato?... Ma tu ce lo sai che a Torino, mò a parte tutto il resto, l’abbonamento ai popolari costa solo sessantamila lire? L’abbonamento, eh! - Queso coi drughi, a Torino. Cioè... almeno fra noi dimosele ‘ste cose!...
(Colpi alla parete. Il ragazzo ha uno scatto violento e si gira a gridare in direzione dei colpi tappando con una mano la cornetta.)
Ma te le voi ficcà ar culo quelle mani, troia?... E piàntatela!
(Tornando furibondo al telefono) No, scusa, che ciò ‘na gattara rompipalle che m’abita affianco. - Comunque, insomma, m’hai capito quello che voglio dire o no?... Perché qua, per me, è arrivato il momento che bisogna urlare ‘basta’!... E che allora, con tutta la bona volontà di questo mondo, ma che se n’annasse via lui - che mò pure co’ tutta ‘sta storia della riconoscenza quello, da’ retta a me, ce sta a marcià. Ma se ne annasse, guà, e pure in fretta. Perché sennò, piuttosto che continuà a prennelo in culo, qua è la volta che davero-davero nun so come potemo reagì. De tutto pò succede’, Arbè, de tutto!... E guarda, sai, che è semplice, perché se a certi je sta bene che tu te faresti ammazzà pe’ ‘na squadra de carcio - e io, al limite, me ce farei pure ammazzà - nun te crede’ che a fa’ ‘n artro passo ce vojia mica tanto!... Poi, dice, ce scappa er morto. Ma ringrazia quanno è uno!... E qua se semo rotti le palle dei padroni, che poi so’ padroni della roba nostra, e che te vengono a magnà sulla testa come stanno facendo adesso co’ noi. E il punto è che loro mica l’hanno capito che a je ce vò poco pe’ spigne due, trcento persone ad ammazzà - e non dico ad ammazà quarcuno de preciso, che già sarebbe ‘n artro fatto, ma così: ad ammazzà... chi c’è, c’è. A ammazzà e basta. E io nun te dico che lo giustifico, ma che lo capisco sì e che ce posso pure sta. Minimo minimo, in linea de principio, capito?... - Guarda me rendo conto da me che so’ esagerato, Arbè, ma che io davvero non ce la faccio più. Proprio una questione... ma che ne so?... Che non reggo, capito?... Perché tu adesso nemmeno te l’immagini io quanto ce sto male. Nemmeno te l’immagini!...
A me sembra come se m’avessero tolto tutto - le cervella, le palle, er sangue, tutto!... Ma ce pensi che mò l’altri ricominceranno a sfotte’ e noi ricominceremo a perde’?... E a me questo nun me pare giusto. Ma manco un po’. - Io mò, giusto pe’ fatte ‘n esempio... sono le tre del mattino, e cosnsidera che è dalle sei che sto in piedi a trottà e ciavrei pure un sonno da svenì - manco da addormimme ma proprio da svenì!... Beh, credimi, io sto a soffrì talmente tanto che preferisco resta svejio, me capisci?... Arbè, scusa se t’ho un po’ rotto i coglioni ma proprio che me veniva. E scusa si me so’ fatto scappà quarche parolona, ma che quando a uno je pjia proprio da sfogasse - su certe cose, poi - vallo a fermà!... Che, d’artra parte, si nun lo dico a te a chi lo dico?... (Breve pausa) Ma pronto?... Pronto?... Oh, me stai a sentì o no?...Pronto?... ( E scuote la cornetta; chiama la linea) Pronto? Pronto?...
(Alza gli occhi al televisore, e anche per quello che vede si accorge che già da qualche tempo gli hanno troncato la comunicazione.)
‘Sti figli di puttana... ma che me lasciate a parlà da solo come un matto?...
(Impugna il telecomando e porta su l’audio.
Breve pausa.
Il ragazzo, con la mandibola allentata, ascolta le parole che seguono inebetito, quasi trasognato.)
VOCE DEL PRESIDENTE: (Il suo tono, più che sprezzante, è addolorato ma fermo; affatto metafisico. Il forte accento di sincerità che si avverte in questa voce deve rendere ancora più insopportabile e umuliante per il ragazzo il contenuto delle parole che vengono dette.)
... Voi sapete che non è mia abitudine intervenire così a sorpresa nel corso di una trasmissione, tanto più a quest’ora di notte, o comunque espormi alla leggera. Sia come funzionario della Società, sia come una qualunque persona provvista di un normale senso civico, il gusto dell’effetto gratuito non ha mai fatto parte del mio carattere ma, stavolta, l’indignazione mi obbliga a prendere la parola, innanzitutto per tutelare gli interessi della Società che rappresento e presiedo, quindi per ribadire la nostra ferma condanna nei confronti di certa... di certa teppaglia, non saprei chiamarla in altro modo, tipo quella di cui abbiamo appena avuto uno squallido esempio nella vergognosa telefonata che mi ha preceduto. E, dico, gente che non ha nulla, ripeto: nulla, a che spartire né con lo sport né tantomeno con la nostra tifoseria. Anzi, è con infinito dolore che debbo, ma a nome di tutti i nostri veri sostenitori, prendere posizioni così drastiche, ma è orrendo che all’indomani di fatti tanto luttuosi come quelli che abbiamo vissuto si possano sentire certe cose. Noi non possiamo assolutamente tollerare questi eccessi animaleschi... sì, non trovo altro termine: animaleschi...
(Su quest’ultima frase il ragazzo punta fermo contro lo schermo il telecomando come fosse una pistola e spegne spingendo il pulsante con forza esagerata, quasi volesse simulare un colpo.
Per alcuni istanti rimane immobile e stralunato. Poi, prostrato, sembra stia a scoppiare in lacrime, ma è proprio a questo punto che, invece, attacca con rabbia...)
RAGAZZO: Bella presa per il culo!... Complimenti, bella presa per il culo!
E parla a me così!... Mi dice a me ‘ste cose!... Stronzo!... Ma centomila volte più stronzo io di te!...
Ma come, Cristo... venti volte almeno mi sarò fatto in giro mezza Europa solo quest’anno, e venti a dire poco! Dove c’era da andare andavo, senza vedere chi veniva e nun veniva... sempre lì pronto sull’attenti, pure da solo, e ‘march!’, a buttarci tutto quello che m’ero risparmiato, e sulla pelle mia, mia, mia! Mia e di nessun altro!... Malato, non malato, senza pensarci mai una sola volta una a tirarmi indietro, mai!... Manco co’ l’ossa rotte, ma manco col colera!... Mai m’è passato per l’anticamera del cervello! Mai!... Ficcato in quelle merde di vagoni come un’acciuga a girarmi l’Italia da sotto a sopra per tutto l’anno, e vai!... La birra calda come piscio e i cessi peggio di fogne puzzolenti? E vai!... Piove? Diluvia? E vai!... - Senza un cazzo di tetto per ripararsi, fradici allo stadio da cinque ore prima coi Pi Esse lì pronti a farti il culo!... Tutto occhèi!...
(Ancora colpi.)
Giusto, benissimo... tutto giusto, ma poi?... Ci vuole un cazzo e ti chiamano ‘teppista!’. No, com’è che diceva prima quello?... ‘Animale’... ti chiamano ‘animale’!... Giusto, d’accordo! D’accordissimo per primo!... Anche un cane merdoso è più di noi che siamo fottutissimi animali!... Ti sugano i coglioni, da ravesciarti capo e piedi, finché, capito?, si rompono le palle e vengono lì con quelle loro belle faccette da frocio a dirti: ”Vaffanculo! Vaffanculo!... Noi qui non ti vogliamo!”
(Una violenta scampanellata alla porta. Il ragazzo non sembra sentirla.)
Figli troia... perché lo sanno che ti tengono in pugno, perché lo sanno che ciai bisogno e non puoi farne a meno!
(Campanello.)
“Vaffanculo, noi qui non ti vogliamo! Vaffanculo, noi qui non ti vogliamo!”
(Il campanello prende a suonare ininterrottamente.
Il ragazzo finalmente ne è distratto. Si volta feroce in direzione della porta. Serra i pugni. L’espressione si contorce in un ringhio truce.)
Cazzo vuoi pure tu?... Te lo faccio vedere io “Vaffanculo, noi qui non ti vogliamo!”... Te lo faccio vedere io!...
(Il telecomando viene scagliato via.
Nelle mani del ragazzo compare un coltello.)
Sè... batti batti, che mò te apro!
(Il campanello continua nevrastenico a suonare.
Il ragazzo ha uno scatto che lo slancia verso la porta.
Buio.)