Un altro amore

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UN ALTRO AMORE

Commedia in tre atti

di ELIGIO POSSENTI

A Ruggero Ruggeri

PERSONAGGI

ROBERTO SARNI, 50 anni

RANIERO GERLINI, 30 anni

ALDO BALESTRI, 25 anni

ERNESTO BRENNI, 25 anni

CESARE, 60 anni

EUGENIO, 50 anni

GIORGIO, 23 anni

TINO, 22 anni

FRANCA FURLANI, 24 anni

ELSA, 23 anni

ERMINIA ZARRI, 40 anni

ELVIRA, 50 anni

PLACIDA, 35 anni

ALICE , 30 anni

SAVINA, 24 anni

GERMANA, 20 anni

EMMA, 25 anni

UNA CAMERIERA, 21 anni

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

A Milano, nell'ufficio, di gusto modernissimo, di Raniero Geslini, dottore in chimica. Nella pa­rete di fondo, la porta d'ingresso. Un'altra por­ta a destra mette nel laboratorio. Sulla parete di fondo a destra, e ad angolo, la libreria; e, dinanzi, un tavolo e alcune poltrone disposti a salotto. Alla parete di sinistra una tavola da laboratorio con qualche apparecchio. In primo piano, a destra, la scrivania: su di essa, oltre il telefono, libri e carie in disordine, una sca­tola di sigari avana e una grande fotografia di donna; dinanzi alla scrivania una poltrona dalla spalliera alta, in modo che la persona in essa seduta non possa esser vista da chi ha varcato la soglia di ingresso. Pomeriggio di settembre

Raniero                          - (seduto alla scrivania, sta facendo cal­coli, li sbaglia, si infuria, batte un pugno sopra le carte) Per il diavolo! Non mi riesce. (Con una manata scompiglia i fogli) Non mi riesce! (E intanto raccoglie qualche foglio volato sul pavimento)

Alice                              - (in camice bianco, sta lavorando al ta­volo degli apparecchi. Porta gli occhiali ed è miopissima. Osserva un provino; poi con meraviglia) Dottore!

Raniebo                         - Che c'è?

Alice                              - Un disastro!

Raniero                          - Perdinci! Che avete fatto?

Alice                              - Io? Scusate, ma siete stato voi, ieri sera. Guardate! (E gli porge il provino),

Raniero                          - Per l'amordiddio! Fatemi vedere! (Solleva il provino controluce) Possibile che mi sia sbagliato? (E va verso il tavolo degli apparecchi)

Alice                              - Eh, mi pare! Innanzi tutto il colore. Deve essere azzurro ed è verde!

Eanìero                          -  - (dopo aver osservato) Ma già! Come ho fatto? Accidenti! (Butta con stizza il pro­vino in una bacinella)

Alice                              - Per fortuna, io sono miope e ho visto subito l'errore. Siete persuaso, adesso? Ho ragione di lamentarmi della vostra disatten­zione?

Ranieeo                         - Avete un bel dire! Ma i fastidi non finiscono mai... Anche ora...

Alice                              - Sempre la signorina Franca?

Raniero                          - Ma nooo! Quella oramai è placata. Son nervoso perché (Guarda l'orologio) tra poco viene la mia fidanzata a visitare il la­boratorio.

Alice                              - Ah, è per questo che avete lasciato (Mette il naso sulla fotografia) la fotografia della signorina Franca sulla scrivania?

Raniero                          - (balzando a levare la fotografia) Per amordiddio! La facevo grossa! (Apre il cas­setto) La passo all'archivio. (Ci mette la fo­tografia e richiude con un colpo secco) Ro­manzo terminato! (Chiude a chiave) Che vi dicevo? Ah, che Elsa non viene sola. Viene coi genitori. I quali scruteranno, vorranno sapere... E questo? E quest'altro?... Sono più diffidenti dell'agente delle tasse! (Squillo di campanello) Eccoli, già qui. Presto!

Alice                              - (esce)

Raniero                          - ( si da d'attorno a far ordine)

 

Alice                              - (rientra introducendo Elsa, bella figlio­la sui vent'anni, modernissima; Elvira, sui cinquanta, vestita con pretesa; Cesare, tipo di funzionario sessantenne),

Raniero                          - (con eccessiva giovialità) Oh, final­mente! Benvenuti nel mio ufficio. Non oc­corre dirvi quanto io sia compiaciuto e orgo­glioso. Ricevervi qui dove lavoro, è ammet­tervi nella mia più vera intimità. L'intimità d'una donna è la stanza dove si spoglia; l'in­timità d'un uomo è la stanza dove suda per vestirla.

Cesare                            - Tutto giusto! Bravo! (Guardandosi attorno) Ma non vedo molto ordine!

Elsa                                - (a scusarlo) Ma papa, è giorno di la-voro.

Elvira                             - Ci sarà molto ordine la domenica, vero, Raniero?

Raniero                          -  - (assentendo) La domenica e le altre feste comandate.

Cesare                            - Non vuoi dire. L'ordine è di tutti i giorni. (Osservando la scrivania) Queste ma­tite, per esempio, vanno collocate così, pari pari, una vicina all'altra (Eseguisce) E que­ste carte! E questi libri! (Mentre riordina) È la nuova usanza, il disordine! Dappertut­to. In questo palazzo son tutti uffici, vero? Be', son certo che sono tutti in disordine. Sul mio tavolo, invece, all'Intendenza di Finanza...

Elsa                                - (rimproverando) Ma papa!

Elvira                             - (rimproverando) Cesare, ti pare il momento?... (A Raniero) Lo scuserete, vero?

Raniero                          - (falso) Se lo scuso? Ma io lo ascolto incantato!

Elsa                                - Io, invece, le, ti guardo delusa.

Raniero                          - (allarmato) Perché? Che ho fatto?

Elsa                                - Ma come? Questo è l'antro dell'alchi­mista? Dove sono le storte, gli alambicchi, i gatti e i gufi impagliati?

Raniero                          - I] laboratorio è di là, con gli appa­recchi. Ma senza gufi e senza gatti. Voglia­mo vederlo?

Cesare                            - Sì, volentieri! (E s'avvia)

Elsa                                - (fermandolo, con intenzione) No, papa, tu no. È in un disordine spaventoso. Vero, Raniero, che è in uno spaventoso disordine?

Raniero                          - (assecondandola) Spaventosissimo! (A Elsa) Prego! (E la fa uscire a destra)

Elvira                             - (A Cesare) Non capisci che vogliono restar soli? Ne hanno il diritto. Sono fidan­zati ufficialmente! (Ad Alice) Ve l'ha detto anche a voi, no?

Alice                              - Me l'ha detto sicuro!

Cesare                            - Scusate un po', voi: venite qua!

Alice                              - (s'avvicina)

Cesare                            - Volete togliervi gli occhiali?

Alice                              - Se non è che questo... (Se li toglie)

Cesare                            - (la osserva, e poi soddisfatto) Miope! Miope per davvero. Brava! Sì, perché non sarebbe la prima volta che si trucca da mio­pe una segretaria per nascondere agli altri il fascino dei suoi occhi. Ma ora sono tran­quillo! (La osserva ancora) Fascino, non ce n'è proprio.

Elvira                             - Ma Cesare, non tormentarla!

Alice                              - No, signora, non ho nulla da nascon­dere. Sono qui da due anni tutti i giorni, dalle nove alle dodici e dalle quattordici alle diciannove.

Cesare                            - E il dottore?

Alice                       - II dottore altrettanto.

Elvira                             - Poverino! Chi sa quanto lavora! Noa vorrei che trascurasse la mia figliola! Non vorrei che fosse come mio marito: tutto per l'ufficio e           - (Con un sospiro) niente per la donna! (Torna a sospirare)

Alice                              - Oh, state tranquilla, signora! Col dottor Raniero questo pericolo non c'è.

Cesare                            - Come come? Si dedica anche alle donne? Come si comporta con le donne?

Alice                              - Domandatelo alla signorina. Ora che è di là, sola con lui, è certo in grado di dirvelo più di me.

Cesare                            - Ho capito. Non volete parlare. Com-plice!

Alice                              - Se dubitate di lui, non avete che a rifiutargli la mano di vostra figlia.

Elvira                             - Ci mancherebbe altro! Si fa tanta fa­tica a farsele chiedere, queste benedette ma­ni! li mondo è una selva di mani in attesa di essere chieste! Figuriamoci!

Elsa                                - (rientra, seguita da Raniero) Straor­dinario! Ho provato una cosa straordinaria I Una combinazione chimica speciale! Si fa con le labbra, così! (E da un bacio a Raniero )

Elvira                             - Ah, l'avete visitato bene il labora­torio!

Elsa                                - Benissimo. E adesso vorrei visitare lo studio, altrettanto bene.

Cesare                            - Ah no, per oggi basta! Non voglio altre combinazioni chimiche.

Elvira                             - E abbiamo ancora la modista e la sarta.

Elsa                                - Ecco, mamma, ti raggiungo dalla sarta. Lasciami qui ancora un po'.

Cesare                            - Sola con lui?

Alice                       - Ci sono anch'io. Non ci vedo, ma ci sono.

 Elvira                            - Ah già, manco male. Andiamo noi, Cesare!

Cesare                            - Un momento! (va a raddrizzare un quadro) Non posso vedere i quadri storti! (A Raniero) Stasera siete a pranzo da noi! (A Elvira) Vero, Elvira?

Elvira                             - Ah sì, pranzo solenne. E dopo pran­zo, ti darò finalmente del tu. Arrivederci! (S'avvia)

 Cesare                           - A più tardi! (La segue, e ad Alice che l’accompagna) Mi raccomando! (Esce con Elvira)

Alice                              - Non dubitate! (Li segue)

Elsa                                - Caro caro caro! (Abbraccia Raniero) E adesso che siamo soli, ispezione! (Va alla scrivania ci si siede e fruga tra le carte)

Raniero                          - Elsa, ti prego!

Elsa                                - Perché? C'è qualcosa che non devo vedere? Voglio veder tutto. Non sono venuta per i tuoi apparecchi, son venata per i tuoi segreti. Apri i cassetti.

Raniero                          - Ma tu sei matta!

Elsa                                - Allora hai paura.

Raniero                          - Ma di che?

Elsa                                - Però, non apri.

Raniero                          - Non apro perché la tua curiosità è sconveniente.

Elsa                                - No, è legittima. Tu sei giovinotto da parecchi anni. E dunque devi avere sulla tua pelle di vecchia valigia i cartellini di dove sei passato. E sarò più contenta che i cartellini siano tanti, piuttosto che uno solo. Di tante non sono gelosa, ma di una si; per­ché una, più o meno, lascia il segno. E se anche la scoprissi dopo sposati, io ne sarò gelosa lo stesso. Non pretendo di essere la tua prima donna, ma il tuo primo amore sì. Se tu ne avessi avuto già uno, non te lo potrei perdonare mai. Guai a te!

Raniero                          - E ti arrabbi, anche!

Elsa                                - Sì, perché ti voglio bene. Abbiamo co­minciato, così, per ridere, e ora siamo, così, sul serio. Giurami che non c'è un'altra don­na nella tua vita!

Raniero                          - Ma nooo, non c'è!

Elsa                                - Più deciso.

Raniero                          - Non c'è.

Elsa                                - Più esplicito: sì o no.

Raniero                          - No.

Elsa                                - Dimmelo un'altra volta.

Raniero                          - Ma dieci volte! (Contandole sulle dita) No. No. No. No...

Alice                              - (entra, interrompendo) Un telegramma! E' cosa urgente (Con intenzione) E' della... ditta Franca e C. Annunzia il suo... (Correg­gendosi) l'arrivo del rappresentante alle di­ciassette per quella tale contestazione.

Raniero                          - (allibisce e guarda l'orologio) Fra dieci minuti?... (Fingendo) Dio mio, che sec­catura! Scusami, Elsa! Gli affari!...

Elsa                                - Figurati! Fa pure. Io ti lascio. Ci ve­diamo stasera. Me lo dai il bacio?

Raniero                          - (sopra pensiero) Sì, stasera!

Elsa                                - Come stasera? E subito, no?

Raniero                          - Ah si, scusa! (E la bacia)

Elsa                                - Addio! (Esce)

Raniero                          - II telegramma!

Alice                              - (glielo da)

Raniero                          - (legge) « Indignata sarò tuo ufficio oggi ore diciassette. Aspettami. Non farò anticamera Franca ». Ma cosa vuole an­cora?

Alice                              - Non era tutto finito?

Raniero                          - Finito, finito!

Alice                              - E allora, come si spiega?

Raniero                          - Non si spiega affatto.

Alice                              - Non vi fate trovare.

Raniero                          - Brava! Quella mi sconquassa tutto.

Alice                              - Come l'altra volta!

Raniero                          - Meglio affrontarla. Almeno saprò che diavolo è successo... Non mi lascia nean­che il tempo di riflettere... Non posso neanche consigliarmi con qualcuno... Ci sarebbe Giovanni... ma abita troppo lontano. E quel­la sta per arrivare!... (Ci pensa, ha trovato) Roberto, chiamatemi Roberto!

Alice                              - (compone rapidamente il numero al te­lefono) .

Raniero                          - Sarebbe stato meglio Giovanni, che è un amico sicuro. Questo non si sa mai come la pensa... Ma non ho tempo di sce­gliere.

Alice                              - Eccolo! (E gli porge il ricevitore)

Raniero                          - (ali' apparecchio) Roberto, sei tu ?... Puoi scendere un momento da me?... Che salga io? Non posso! Aspetto gente. È ap­punto perché aspetto gente che ho bisogno di te... Ma subito, ti prego, ti supplico!... Grave? Gravissima!... (Depone il ricevitore con un respirone) Scende! Scende!

Alice                              - E una fortuna che abbia l'ufficio qua sopra.

Raniero                          - Per questo mi sono rivolto a lui.

Alice                              - Ma anche voi, mettervi in questi im­brogli!

Raniero                          - Io? Mi ci hanno messo le circostan­ze. Ab, vivere sotto una campana di cemen­to armato, e non vedere nessuno!

Alice                              - Nessuna, nessuna!

Raniero                          - Ma ci si vede. Bisognerebbe avere tutti come voi otto diottrie.

Alice                              - Non otto: dieci.

Raniero                          - Meglio! Più le diottrie e meno le ten­tazioni.

Roberto                         - (entra. È un bell'uomo sui cinquan­ta, elegante, vissuto) Ai tuoi ordini!

Alice                              - (esce)

Raniero                          - Ti ringrazio di essere venuto subito.

Roberto                         - Che t'è successo?

Raniero                          - Tragedie!

Roberto                         - Mi spaventi!

Raniero                          - Franca, sempre Franca!

Roberto                         - Ancora! Non mi avevi detto...?

Raniero                          - Che la faccenda si era risolta per il meglio? Sicuro. Ieri le ho mandato il mio ragioniere, lo Scotti, per definire. Doveva andare a Genova e s'è fermato apposta a Pavia. Le ha parlato, e la sera, prima di proseguire, mi ha telefonato che tutto era andato bene, e che stessi tranquillo. E io, - tranquillo - ieri sera mi sono fidanzato ufficialmente!

Roberto                         - E invece lei?...

Raniero                          - Leggi qua! (E gli porge il telegram­ma)

Roberto                         - (godendone) Ah, benissimo!

Raniero                          - Come benissimo?

Raniero                          - Dico per dire. E la ricevi?

Raniero                          - Se la respingo, chissà che terremoto! Sono disperato.

Roberto                         - Hai fatto male a mandarle il ra­gioniere. Quello ha rovinato tutto. I conta­bili rovinano tutto.

Raniero                          - E stasera ho il pranzo dì fidanza­mento! Coi parenti e con gli amici!

Roberto                         - Be' se non esci vivo dalla visita di Franca, se Franca ti spara, tutto è risolto!

Raniero                          - Eh già, Io sapevo... Per questo non volevo chiamarti. Io ho la febbre e tu ti diverti.

Roberto                         - Non più di quel che ti sei divertito tu alle mie spalle quando ho avuto guai seri col marito di Adelina, e ho dovuto tron­care.

Raniero                          - Ti dura il rancore?

Roberto                         - Sì e no. E forse più no che sì, dal momento che sono qui. Ad ogni modo, avan­ti, dimmi, che vuoi? Che ti aiuti? A far che?

Raniero                          - Se non la ricevo, son dolori; se la ricevo, è una scenata da far accorrere tut­to il casamento... Bisognerebbe - capisci? che non parlasse con me... Bisognerebbe capisci? - che un altro le parlasse in vece mia... (Lo guarda e poiché l'altro tace, rinforza) Che un altro, un amico - capisci? - un amico, vedendomi, coi suoi occhi, in un frangente simile... si commovesse... (Lo guarda, e poiché l'altro seguita a tacere, si irrita) Uno che non rimanesse inerte, insen­sibile... (Lo guarda e con più stizza) .. che avesse uno slancio generoso... (Lo guarda e più stizzoso ancora) .. che fosse disposto a un piccolo sacrificio...

Roberto                         - Già... Ma trovarlo!

Raniero                          - Tu, scusa, tu. Chi meglio di te? Tu la ricevi. Lei non ti conosce. Non vi cono­scete. Avrà un po' di riguardo, di imbaraz­zo, non oserà far chiassate. Tu le parli... ma siii, tu sai parlare alle donne... Me la calmi, me la rispedisci via, e domani si vedrà.

Roberto                         - Capiti male. Ormai mi son detto: noie, basta! donne, basta! Avrei potuto prender moglie; ma quella che avrei preso volentieri, l'unica, sarebbe stata Adelina. Ma non è vedova. Dunque, alla larga dalle don­ne. Domani io parto: vado sul lago, a Bellagio, solo, a godermi queste prime giornate dì settembre. Tanti saluti a Milano. Ah, non mi par vero! E tu vorresti farmi affrontare una donna che non ho mai visto e che è tua e non mia?... Ma non ci penso nem­meno.

Raniero                          - Bel gusto avere un amico.

Roberto                         - Lo dissi anch'io, allora, quando tu non sei intervenuto per me. E mi saresti stato tanto utile!...

Raniero                          - E sta bene. Ripicco e rivalsa. Scusa il disturbo. Non ti trattengo! (E fa l'atto di congedarlo)

Roberto                         - Mi dispiace, ma proprio... (S'avvia, Poi si volta, e con un lampo di malizia) Com'è? È bella?...

Raniero                          - Che domanda!... Si capisce.

Roberto                         - Vuoi proprio che mi ci metta di mezzo? Mi dai pieni poteri? Ma dopo non rammaricartene.

Raniero                          - Ti sarò grato in eterno.

Roberto                         - Non firmare cambiali in bianco. E intanto, fila; va su nel mio ufficio. Quando se ne sarà andata, ti chiamerò.

Raniero                          - Grazie! (Sulla porta, premuroso) I sigari, quelli grossi che piacciono a te, sono là sulla scrivania!

Roberto                         - Grazie, ma ora niente sigari. Quan­do sono seccato, sigarette. I sigari li fumo soltanto quando sono molto contento di me. Quando mi vedi col sigaro in bocca, devi dire: « gli è andata bene! ». Mandami l'assi­stente. (Leva il portasigarettet si prende una sigaretta)

Raniero                          - (premuroso) Subito! (Esce)

 Roberto                        - (accende la sigaretta)

Alice                              - (entra)

Roberto                         - Adesso verrà una persona...

Alice                              - La signorina Franca.

Roberto                         - Ah, lo sapete? Allora, quando arri­verà... (Trillo di campanello) Ah, puntuali le donne, per litigare!-.. Le direte queste pa­role: « Siete attesa! ». E la fate passare subito.

Alice                              - Bene! (Esce)

Roberto                         - (siede nella poltrona, accanto alla scri­vania, e rimane bene in vista del pubblico, e ben nascosto a chi entra. Tranquillo e sor-ridente, seguita a fumare)

Franca                            - (dopo Un momento spalanca di colpo la porta e entra d'impeto, È una bella gio­vine sui ventiquattro anni, elegante, moder­na. Chiude la porta e si ferma in fondo) Ah, sono attesa! Si capisce che sono attesa! Ti ho telegrafato! E lo sai perché son qui? Per dirti quello che ho nell'animo... Rivolta, disgusto: ecco quel che ho... Masc...! Mi mandi un ragioniere con le cifre, i biglietti da mille! Non li voglio! Non li- vo- glio! Il tuo ragioniere se n'è andato, sicuro di avermi ammansita, comprata. È un imbecille. Gli ho detto di sì, sempre di sì, di sì, di sì... per levarmelo di torno, per troncare quel suo untuoso colloquio, per godere fino in fondo la sua ipocrisia tutta miele. Falso! Falso come falso sei stato tu con me, da sempre, dal primo giorno!

Roberto                         - (appoggia la nuca allo schienale, alza la fronte e soffia sottili fili di fumo in aria)

Franca                            - E non fumare almeno, non fumare! Ma cosa credi? Che io non sia ancora venuta a guardarti per tema di commuovermi? Non ti vengo dinanzi, perché mi fa orrore quella tua faccia da impostore. E dire che mi hai promesso mari e monti. Non mai di sposar­mi, quest'è vero! Sei sempre stato cauto, prudente... Non ti sei mai compromesso con le parole. Furbo, tu dici; falso, dico io. Quando mi hai presa, belavi; ora si che sei tu... Bella roba!... E sposi un'altra!... Oh, non credere che mi metta a piangere. No, non piango, non te la do questa soddisfazio­ne. Io rido di me, di te, dell'amore, rido di tutto! (Una risata nervosa) Di tutto!

Roberto                         - (alza la mano destra e con l'indice fa cenno di no)

Franca                            - Come no? Non mi credi? (Altra ri­sata) Non mi senti? Non senti che rido? (Al­tra risata) Ah, non hai neanche il coraggio di alzarti, di mostrarti! E bada! Io saprò tutto, giorno, ora, minuto. Al momento giu­sto... al momento giusto... - giusto!... mi vedrai davanti a te, e dovrai ben guardarmi, come non osi guardarmi adesso... e giù ceffoni a te, e anche a lei... giù il velo, giù i fiori, giù l'arancio, giù tutto, a terra, sotto i piedi, calpestare fiori arancio tutto... così, cosi! (E pesta i piedi) Ti giuro io, che tu, all'altare, con quella clorotica, non ci vai!

Roberto                         - (alzandosi, cortèsissimo) Ma io non ci tengo affatto!

Franca                            - (sbalordita e senza fiato) Oh Dio, ho sbagliato ufficio!

Roberto                         - Mah... In che ufficio volevate en­trare?

Franca                            - In quello del chimico Gerlini.

Roberto                         - Ramerò Gerlini? E dunque, è pro­prio questo.

Franca                            - E perciò ho creduto che lì ci fosse lui.

Roberto                         - E invece c'ero io.

Franca                            - Ma quella sciocca mi ha detto: siete attesa, passate pure!

Roberto                         - Si sarà sbagliata.

Franca                            - Ma voi, chi?...

Roberto                         - Io sono un cliente del dottor Gerlini. Lo stavo aspettando.

Franca                            - Dio mio, che figura! Perché non mi avete interrotta?

Roberto                         - Perché non c'è nulla di più bello di una donna in collera. Mai la donna è viva come quando si infuria. È più viva nel fu­rore che nell'amore. Ve lo dice uno che se ne intende.

Franca                            - Ma intanto avete saputo.. Non pen­sate che io sia .. Il dottor Gerlini è stato il primo e l'unico. L'unico; capito?

Roberto                         - A me lo dite? A me non importa gran che. Caso mai sarà importato a lui!

Franca                            - No, ve lo dico per me... Perché non dovete credere che io sia... una poco di buono. No. Io mi son fatta la mia vita da me, ho cominciato presto a lavorare , ho faticato, mi son logorata negli uffici... Poi una sera... era un lunedì... rincasando dal cinema, non mi riusciva di aprire il portone, - un gua­sto o .,non so che altro, - è sopraggiunto lui, mi ha aiutato, ha aperto... L'indomani è venuto a prendermi, la domenica successi­va mi ha portato a Venezia... mi ha detto: « Vedi quant'è bella Venezia! »... Io gli ho creduto., e avete visto quello che mi è suc­cesso! E dire che era il mio primo amore!

Roberto                         - Meglio così... Guai se il primo amore durasse tutta la vita. Non servirebbe che a far rimpiangere tutti quelli che non si sono avuti. Sapete quel che farei io, nei vostri panni?

Franca                            - Dite. Oramai, dopo che, senza vo­lerlo, vi ho confessato ogni cosa... Ma, al­meno questo, a chi ho confessato?

 

Roberto                         - A un galantuomo. Che serve il no­me? Ognuno si porta in giro questo ingom­bro del nome, e prima di far qualcosa gli domanda il permesso. Senza nome, invece, si è più liberamente come si è, E se si è cat­tivi, si è cattivi. Come voi, ad esempio!

Franca                            - Io?

Roberto                         - Perfida. Avete fatto minacce grosse come maledizioni.

Franca                            - Se le merita. E più di tutto, per l'af­fronto di ieri.

Roberto                         - II ragioniere.

Franca                            - Precisamente. Come se fossi una sua impiegata, la sua cameriera... la sua mante-tenuta. Invece mi sono messa con lui per­ché gli volevo bene.

Roberto                         - Ahi ahi, non posso più darvi il con­siglio...

Franca                            - E sarebbe?

Roberto                         - Ma adesso è inutile. Se gli volete bene... Sentite, è un uomo spregevole? E al­lora, lasciatelo a quell'altra: che se lo goda lei! A che scopo, uno scandalo? Va be', gli manderete a monte il matrimonio. E poi? Grazie alla vostra pubblicità, domani, magari per ripicco, ne combinerà un secondo. A monte anche quello! E lui, per rivalsa, ne farà un terzo. Cosa volete? Passare la vita a schiaffeggiare tutte le sue donne sui gra­dini delle cattedrali?

Franca                            - Ma io, gli ho dato tre anni!

Roberto                   - Tre anni? Contro voglia? Per forza?...

Franca                            - "No, questo no.

Roberto                         - E allora, volontaria. E perché tutta quella sfuriata dopo un volontariato di tre anni?

Franca                            - Per il suo inganno. Mi ha detto: non mi piaci più, me ne piace un'altra. E la sposa.

Roberto                         - E allora non c'è inganno: ci sareb­be se si fosse sposato di nascosto.

Franca                            - Voi giocate con le parole! Ma la mala azione rimane quella che è; e chi l'ha fatta anche.

Roberto                         - Certo: un cialtrone.

Franca                            - Peggio, peggio.

Roberto                         - Diciamo pure farabutto.

Franca                            - Ah, anche voi la pensate come me.

Roberto                         - Come no? Più sciagurato di così...

Franca                            - Come mi fa bene sentirvelo dire!

Roberto                         - Sciaguratissimo... Vediamo un po'. Provvedeva a voi, prima?

Franca                            - Si capisce. Mi aveva tolta dall'impie­go. Guadagnavo bene...

Roberto                         - (continuando) ...e perché la vostra fa­miglia non sì accorgesse di nulla, vi passava lui...

Franca                            - Non ho famiglia: sono orfana.

Roberto                         - Ah, orfana! Orfana e bella! Avete tutto per voi. E lui, quel...

Franca                            - Mi ha messo su una casetta. Non qui. A Pavia. Ho voluto io Testare in provincia. La grande città, troppe spese. Io non cer­cavo gli agi, il lusso, gli abiti.. Cercavo l'amore.

Roberto                         - Be', l'avete trovato per un trien­nio. Cosa vorreste di più? E per un triennio, voi, fedele...

Franca                            - Ah sì; ma dopo quello che m'è suc­cesso, molti rideranno di me.

Roberto                         - È probabile; ma io no; io vi credo e vi ammiro. Anzi, sono contento di avervi conosciuta. Ieri mi dicevo: « Ah, che beati­tudine se tutti si fosse fatti come le paralle­le, che non si incontrano mai: individui, na­zioni, continenti, tutti fatti come le paral­lele ». Oggi invece approvo il destino che ha messo in corpo agli uomini un pezzo di fer­ro, e alle donne un pezzo di calamità. Voi, tutta calamità. Io tutto... lasciamo andare. Sapete che cosa penso? Che lui non è degno di voi. E se non è degno di voi, lasciatelo al suo destino.

Franca                            - Sapete cosa penso io, invece? Che fa­te troppo il suo avvocato.,. Lo fate tanto, da mettermi in sospetto... Ditemi il vostro nome.

 

Roberto                         - S'era stabilito che era inutile!

Franca                            - Avreste una ragione per nasconderlo?

Roberto                         - Io no! Roberto Sarni.

Franca                            - (prorompe) Ah, dovevo immaginar­lo! Quante volte l'ho sentito questo vostro nome. Quanto mi ha parlato di voi! « Ro­berto Sarni fa questo; Roberto Sarni dice quest'altro! ». Vi so a memoria. Guardate: siete ricco...

Roberto                         - Danari e santità...

Franca                            - Vi siete sempre ben amministrato...

Roberto                         - Cosi cosi...

Franca                            - Quattrini e sentimenti...

Roberto                         - Magari!

Franca                            - Non vi siete sciupato...

Roberto                         - Questo no.

Franca                     - E avete sempre fatto il comodo vostro.

Roberto                         - Questo sì.

Franca                            - Avete anche lavorato.

Roberto                         - II meno possibile.

Franca                            - Ma vi siete messo da parte un buon gruzzolo...

Roberto                         - Modesto; da salvadanaio.

Franca                            - E seguitate a lavorare.

Roberto                         - Quasi.

Franca                            - Scapolo, ma sempre ben accoppiato.

Roberto                         - Ah sì, ve lo posso garantire!

Franca                            - E scapolo siete rimasto per paura della famiglia. Scapolo più per onesta che per vizio.

Roberto                         - Lusingatissimo!

Franca                            - Una debolezza: vi intenerite se una bella donna vi guarda più di trenta secondi.

Roberto                         - Perdinci, siete la sonnambula voi!

Franca                            - Se vi dico che so tutto!

Roberto                         - Io invece vi ignoro. Vi credevo di­versa. Almeno da quel che me ne aveva detto lui.

Franca                            - Ma lui, di me, non ha mai capito niente.

Roberto                         - E io invece vi ho già capita. Ah! Una donna schietta, che si rivela tutta inte­ra alla prima occhiata... è una pepita d'oro. E voi siete una donna di vetro... siete come l'apparecchio della radio, col vostro bel qua­dro luminoso negli occhi e i sentimenti tutti sottolineati. Io saprei spostare la lancetta. Sapete quel che siete veramente? Una ma­lata, una cronica della sincerità... Una donna che si innamora con lo slancio della nuota­trice che si butta nel vuoto... perdutamente.

Franca                            - Ecco la mia disgrazia!

Roberto                         - Vi proibisco di chiamare l'amore una disgrazia!

Franca                     - L'amore è una disgrazia perché lo si fa con gli uomini!

Roberto                         - E noi, che lo facciamo con le don­ne!... In ogni caso, secondo gli uomini.

Franca                            - Tutti uguali, come gli abiti fatti.

Roberto                         - Non è vero. Tutti diversi. Persino i gemelli si differenziano. Voi siete alla pri­ma delusione. C'è in voi una sorta di vergi­nità del dolore. Siete alla prima ferita e non ne conoscete ancora i balsami. Se io, che la so lunga, vi dico che i balsami ci sono, non mi potete credere. E invece guarirete. Ma dovete curarvi e curarvi subito. Ma perché vivere accanto a chi non sa guidare la mac­china e trascina nei fossi? Meglio un autista nuovo... Migliore? Forse. Peggiore? Può dar­si... Ma almeno si spera in un polso più fer­mo... La macchina s'è rovesciata, l'autista è fuggito, io vi raccolgo e vi offro di prose­guire il viaggio sulla mia vettura... Che c'è di straordinario? Sono incidenti frequenti quando si va per le strade battute... (Una pausa) Non vi spaventate di quanto vi dico adesso... Vi faccio una proposta precisa, ri­spettosa, amichevole. Domani parto per i! lago: voi venite con me. Venite a farmi compagnia.

Franca                            - (una pausa, poi con diffidenza) Com­pagnia e basta!

Roberto                         - Si capisce. Non posso pretendere di più.

Franca                            - Né io potrei darvi di più. Non sono di quelle che si adattano a ogni vettura.

Roberto                         - (battendo le mani) Ho trovato: vi nomino mia segretaria. Voi venite con me per dattilografare la mia corrispondenza.

Franca                            - Sarà molta?

Roberto                         - Non tanta: tutti i venerdì, a una mia vecchia zia, una cartolina illustrata.

Franca                            - E vi pare che basti per...?

Roberto                         - Facciamo per quindici giorni. Cosa sono quindici giorni? Perfino le ditte li dan­no di vacanza ai loro impiegati. Saranno le vostre vacanze. Quindici giorni a Bellagio. Un incanto!

Franca                            - Conosco. Ci sono passata.

Roberto                         - Ma starci è tutt'altra cosa. Fre­quentando le persone, se ne scoprono i di­fetti: frequentando un paesaggio, se ne sco­prono le qualità. E vi farà bene.

Franca                            - Vostra ospite?

Roberto                         - Naturalmente.

Franca                            - È una proposta così inattesa...

Roberto                         - Cinque minuti fa non ci pensavo neanch'io.

Franca                            - Non so se...

Roberto                         - Io dico di sì. Le decisioni migliori sono quelle improvvise!

Franca                            - Quando le improvvise sono le mi­gliori.

Roberto                         - Non esitate! Immaginate che io -vi abbia vista nascere, che fossi un amico di vostro padre...

Franca                            - Non l'ho mai conosciuto, mio padre. Non so neanche chi era.

Roberto                         - Ignoto? Voi siete figlia di ignoti?...

Franca                            - (china il capo)

Roberto                         - Beh, mi fa piacere. C'è tanta gente conosciuta! ... Immaginate che io sia stato un amico ignoto di vostro padre, e che come vecchio amico di famiglia vi inviti. Non vor­rete rifiutare un candido invito d'un vecchio amico di famiglia. Intanto, in questi quin­dici giorni, cercherete un'occupazione deco­rosa, dignitosa. Vi aiuterò io a trovarla. Scriveremo, scriverete. Siete la mia segreta­ria... Pio conoscenze, aderenze, amicizie. Ve­drete che riusciremo. Scaduti i quindici gior­ni, ripartirete, raggiungerete il vostro nuovo ufficio, libera, padrona di voi stessa... E non dovrete nulla a nessuno.

Franca                            - (sempre diffidente) Non spererete, a volte, che io partendo vi lasci dei ricordi.

Roberto                         - Mi accontenterò dei rimpianti. In­tanto vi rimettete, provvedete al vostro av­venire... e io mi procuro una deliziosa com­pagnia... effimera, ma deliziosa... Il lago, il tramonto, la luna, il nuoto... Quelli son proprio luoghi da andarci in due.

Franca                            - (sulle difesa) Oh, ma in camere se­parate.

Roberto                         - Separate? Lontane, lontanissime! Voi al primo piano, io al quarto. Ma a ta­vola staremo insieme. E in barca ci andremo insieme. Giocheremo a tennis - sapete gio­care a tennis? - faremo molti bagni e par­leremo di tutto. Anzi, parleremo soltanto di voi. Va bene?

Franca                            - Andrebbe bene, ma c'è un motivo perché io possa accettare, cosi d'un tratto?

Roberto                         - Ma si: perché non avete nessuno, perché non conoscete il padre, perché vi è morta la madre, perché siete abbandonata, perché non sapete dove andare. E oltretutto fate vedere a Raniero Gerlini che non vi è necessario, anzi che è superfluo, anzi fasti­dioso. Non è più lui che vi licenzia: siete voi che ve ne andate. È tutt'un'altra cosa.

Franca                            - Già, ma intanto, mentre io sono assente, Raniero fa le sue carte e arriva al matrimonio!

Roberto                         - Perché voi, credete proprio di po­terglielo impedire? Se ne dicono molte nei momenti di esaltazione; ma poi... Se vi sen­tite da tanto... andate e schiaffeggiate tutti quanti, anche l'ufficiale di stato civile. Ma se non ne siete capace, non avete che un modo per ripagarlo: venir via con me. Schiat­terà di bile. Sarà una bella lezione! E dun­que, vi ho persuasa?

Franca                     - (sorridendo) Parlate in un certo modo..,

Roberto                         - Oh, brava! E ora, scusate veli, ma io direi, - badate, è un'idea come un'altra: la nostra è un'intesa? Si, vero? È un patto? Si, vero? E allora, la firma, Dovreste per­mettermi di mettere la firma qui... (Indica le labbra)

Franca                            - Non è necessario.

Roberto                         - Un bacio piccolo... Che cos'è un bacio? Si fa più presto a darlo che a dirlo.

Franca                            - (sulla difensiva) Ma,., in fronte.

Roberto                         - In fronte? Più su, più su... Al cir­colo polare della fronte. (La bacia sull'alto della fronte) Io so attendere... per la discesa.

Franca                            - (ride) Non vi annoierete in sala dì aspetto?

Roberto                         - Affatto. Anche l'attesa ha le sue lusinghe.

Franca                            - (seria) Ma badate, veh!, signor Ro­berto Sarni: se direte o farete la minima cosa che mi possa offendere, filo.

Roberto                         - Non ve ne darò motivo, parola di onore. Partenza domani, alle undici. Ci si trova alla stazione. D'accordo ?

Franca                            - Si, sta bene; ma...

Roberto                         - Ancora ma?...

Franca                            - Ho paura che voi, signor volpone, vogliate fare il tornaconto del vostro amico e il mio danno.

Roberto                         - Al contrario. È un amico, ma an­che lui... E poi, si è portato male con voi e io lo punisco.

Franca                            - Uhm... mi devo fidare?

Roberto                         - A occhi chiusi. Ma teneteli aperti perché son belli.

Franca                            - Cominciamo con le galanterie? Sono escluse dai patti.

Roberto                         - Vi prometto di essere sgarbato.

Franca                            - Così va bene. E grazie.

Roberto                         - Di che?

Franca                            - Di tutto e di niente. Domani alle undici. (Esce)

Roberto                         - (con ammirazione) Che donna! (E alza il ricevitore: con disprezzo) E che uomo! (Forma il numero) Sei tu? scendi, se n'è andata.

Alice                              - (entra) Mi son presa quattro insolenze... E se n'è uscita sbattendo la porta.

Roberto                         - Bene. Vuoi dire che non l'aprirà più.

Alice                              - Non tornerà?

Roberto                         - No, garantisco.

Alice                              - Chissà il dottore, come sarà contento.

Roberto                         - Mai più di me.

Alice                              - Ma che bravo! Averla convinta... gran bella soddisfazione per tutti.

Roberto                         - Anche per voi?

Alice                              - Si capisce. Così il dottore prenderà moglie. E sarò più tranquilla anch'io... E si potrà lavorare senza sbagli... E il dottor sarà più assiduo al lavoro. Perché le amanti dei principali sono esigenti e telefonano pei costringerli a uscire, mentre le mogli sono diffidenti e telefonano per obbligarli a re­stare in ufficio.

Raniero                          - (entra; Alice esce) E così? Com'é andata?

Roberto                         - Rallegrati. Ti ho servito bene. Uè risultato che neanche te lo speravi.

Raniero                          - Libero! Mi lascia libero?

Roberto                         - Lo puoi scrivere sulla bandierina, come un tassi.

Raniero                          - Mi pare un sogno. E allora io...

Roberto                         - Ti puoi sposare tranquillissimamente.

Raniero                          - Ma come hai fatto?

Roberto                         - Ogni diavolo ha i suoi metodi.

Raniero                          - Io temevo che per quel po' di rug­gine... Invece no. Sei stato magnanimo. Ma che le hai detto?

Roberto                         - Mah! Non ho pensato a stenogra­farmi... Me la prendo, me la ritiro io.

Raniero                          - Che?!

Roberto                         - La rilevo, la porto via con me.

Raniero                          - Ma no!

Roberto                         - Ma sì. È cosa fatta.

Raniero                          - Tu la?... Ma in che maniera?

Roberto                         - M'hai pregato o no di levartela di torno ?

Raniero                          - Sì, questo sì.

Roberto                         - Te l'ho levata di torno?

Raniero                          - Dici di sì.

Roberto                         - E allora, ringraziami, e basta.

Raniero                          - (contrariato) Ti ringrazio, ti rin­grazio.

Roberto                         - Tutto lì! Non sai dirmi altro? Come t'avessi imbucata una lettera! Non sei con­tento?

Raniero                          - (c. s.) Contentone, contentone... fi­gurati!

Roberto                         - Lo dici sul serio?...

Raniero                          - Ti devo abbracciare? Devo aprire rubinetti delle lacrime?

Roberto                         - Sei seccato, via.

Raniero                          - Io? Neanche per sogno. Perché devo esser seccato?... Anzi, tutt'altro! (Una pau­sa) Però, non eravamo d'accordo così.

Roberto                         - Dovevo lasciar corso libero, agli schiaffi?

Raniero                          - Dovevi... dovevi... so io quel che dovevi!

Franca                            - (entra d'impeto, a Raniero) Ah, ci sei! (Dominandosi) Ero sicura di trovarti. Son tornata indietro apposta. Sei uscito dal tuo nascondiglio e hai chiesto, col cuore in gola (sberteggiando l'intonazione di Ranie­ro): «E cosi? Com'è andata? ». (A Rober­to) Vero che ha chiesto così? (A Raniero) È andata benone; per me e per te. Volevo essere io a dirtelo. Va pure con chi vuoi, sposati con chi vuoi, affogati con chi vuoi. Di te non me ne importa più niente. Niente! A mai più! (A Roberto, graziosamente, con un sorriso) A domani! (Esce)     - (Una pausa)

Roberto                         - (giulivo, a Raniero) Su su, bello! vuoi una sigaretta?

Raniero                          - (scattando) Ho altro in mente che fumare!

Roberto                         - (festoso) Io sì, io fumo! (Prendendo trionfante, dalla scatola posta sulla scriva­nia, un sigaro) Niente sigarette, un sigaro! (Se lo mette in bocca e lo accende)

 

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 Nel giardino d'un albergo dì Bellagio. In fondo un gaio terrazzo che guarda sul campo di ten­nis, che si immagina in basso e quindi nascosto agli occhi degli spettatori. Quando si alza il sipario, Aldo, Giorgio, Tino, Germana, Savina ed Emma, con le spalle volte al pubblico, in colorati abiti sportivi, osservano il finale dì una interessante partita. A destra e a sinistra in primo piano due panchine addossate a mu-retti fioriti. Un tavolo da giardino è presso la panchina di destra. Qualche sedia.

Aldo                              - Bene! Ben giocato!

Giorgio                          - Bel colpo!

Emma                            - Bravo, ben risposto!

Savina                            - (disperata per aver visto un colpo mal riuscito) Ah!

Tino                               - Quant'è? Quaranta pari?

Germana                        - No, vantaggio a, Ernesto.

Aldo                              - Silenziooo! (Nell'attimo di silenzio si odono le voci dei giocatori fuori scena)

Ernesto                          - (d. d.) Pronto?

Franca                            - (d. d.) Pronto!

Giorgio                          - Ah! Peccato!

Aldo                              - Che striscio! Hai visto che striscio?!

Emma                            - Atteeento Ernestooo!

Emma                            - Stai zitta, non fare il tifo!

Tino                               - (balzando in piedi) Bella palla! Dalli, sotto! Là! Là!

Savina                            - (si alza) Meraviglioso questo!

Germana                        - Non esagerare.

Savina                            - Non capisci niente.

Giorgio                          - A quanti sono?

Emma                            - Quaranta pari.

Tino                               - Ora serve Brenni.

Aldo                              - Quello è una schiappa.

Savina                            - Sapessi giocare tu come lui!

Germana                        - Stupendo!

Tino                               - Fantastico! (Ora son tutti in piedi, e seguono il gioco con grida a soggetto e agitar delle braccia)

Germana                        - Vittoriaaa! (Tutti applaudono e ven­gono in scena) Che vi dicevo? Ha vinto Er­nesto! Quello è un campione.

Aldo                              - Bello sforzo! Con un'avversaria come Franca!

Tino                               - Non è una gran giocatrice di sicuro.

Emma                            - L'ha detto lei stessa che gioca di rado! (Ernesto Brenni e Franca compaiono dal fondo, come avessero salito una scaletta sotto il terrazzo. Tutti applaudono)

Germana                        - Chi perde paga!

Franca                            - Pagherò un gelato a tutti.

Aldo                              - Ma non qui all'albergo. Andiamo al­trove, al « Pergolino ».

Savina                            - Sì si, al « Pergolino »; sì va in bi­cicletta.

Ernesto                          - Silenzio! Io sono un vincitore leale: offro a Franca la rivincita.

Franca                            - Accettata. Ma dopo, quando si torna.

Tino                               - Benissimo! Andiamo a prender le mac­chine. (E s'avvia di corsa. Tutti lo seguono vociando tranne Franca, che indugia ad al­lacciarsi una scarpa, Aldo, che s'è nascosto, ed Ernesto)

Ernesto                          - (affermativo) Stasera ti aspetto. In giardino, al solito posto.

Franca                            - Si.

Ernesto                   - Sì si, e poi non ci vieni. Iersera ti ho attesa un'ora, e non sei comparsa.

Franca                            - Questa volta verrò.

Ehnesto                         - Non mi imbrogli?

Franca                            - (che ha finito di allacciarsi la scarpa) Tu, piuttosto! Sai perché non son venuta iersera? Perché non sono sicura della tua sincerità.

Ernesto                          - Dubiti di me? Ti giuro che...

Franca                            - Oh, i giuramenti!

Ernesto                          - Ma perché dubiti?.

Franca                     - E quella signora che sta sempre con te?

Ernesto                          - La signora Zarri? Ma quella è una amica di mia zia, è una specie di zia anche lei. Ma che pensi? Che io?... Ma ti par possibile? Non ti sei ancora persuasa che per me ormai non ci sei che tu, che io voglio fare di te, per sempre, la mia compagna?

Franca                     - E allora perché trovarci di notte, in giardino? Non ci si può parlare anche in salone o dinanzi all'albergo, dove ci sono gli altri, insomma?

Ernesto                          - E i pettegolezzi? Dico per te... Poi, ;H è meglio discorrere tranquilli... Oh, dobbia-=1 mo parlare del nostro avvenire... Parlare e poi tacere, perché in certi momenti col silenzio; ci si capisce di più. Si chiacchiera con le ragazze alle quali non si ha niente da dire; con le ragazze frivole, con quelle che sono l'opposto di te. Con te si può anche tacere. £ il silenzio che favorisce la fusione, l'osmosi delle anime.

Franca                            - (spaventata) Sei chimico anche tu?

Ernesto                          - No, niente scienze. Io sono per la letteratura. Non scrivo, ma leggo; non fac­cio niente, ma dico male del lavoro degli altri. Forse tu potrai far lavorare anche me. Chissà... tutto è possibile.

Franca                            - E mi vuoi davvero per sempre, mi vuoi proprio per moglie?

Ernesto                   - Per sempre, per moglie, per tut­to.. Parola di Ernesto Brenni!

. . . . ,                             - (d. d.) Brenniii! Non vieni?

Ernesto                          - Eccomi! (E corre via a destra) , Aldo - (sorgendo dietro Franca, con ira) Non gli dar retta. T'inganna.

Franca                            - Ma come ti permetti?...

Aldo                              - (timido) Stai in guardia. Ti avverto.

Franca                            - Non ne ho bisogno. So difendermi da me.

Aldo                              - Non mi pare. (Con improvviso impeto) E, in ogni modo, è un tipaccio.

Franca                            - Lo dici tu!

Aldo                              - Si; e a me puoi credere, perché non desidero che il tuo bene. È un simulatore.

Franca                            - Ma così, hai preso fuoco tutt'a un tratto?

Aldo                              - (di nuovo timido) Colpa tua. Mi hai stregato. Non so come non l'ho preso a schiaffi. E per succedere un fatto simile a me... bisogna proprio che abbia perso la testa!

Franca                            - I dongiovanni in erba, impetuosi e sventati, non mi piacciono.

Aldo                              - (riprende coraggio) Ma io faccio sul serio. Sono un giovane serio. Non ti avrei parlato, ci avrei ripensato ancora qualche giorno... ma quello che ho sentito ora, l'ap­puntamento per stasera, mi hanno deciso a dirti... (Si ferma)

Franca                            - Che cosa?

Aldo                              - (di nuovo intimidito) Tutto... Che... che... hai fatto di me un altro... che mi hai stregato.

Franca                            - Questo me l'hai già detto.

Aldo                              - E non ti pare sufficiente? Quando uno è stregato, capisce quello che fa? No. Agisce come nel sonno ipnotico. Io, da solo, non avrei osato... Sono sbalordito io per il primo del mio ardire. Ho bisogno di parlarti.

Franca                            - E paria! Non stai parlando?

Aldo                              - Ma non così. Si tratta di cose serie. Tu mi confondi coi vagheggini che ti girano in­torno. Io valgo assai di più. Io sono riser­vato... Anche troppo... Lo so, è colpa dell'educazione... Mi hanno insegnato: sii gen­tile, riguardoso, non fare il prepotente, cedi il posto alle signore, rispetta i vecchi, chiedi a permesso » prima di entrare in un ufficio, non vuotare il bicchiere d'un fiato, non met­tere i gomiti sulla tavola... e ormai tutto questo è per me una brutta abitudine... Gli altri mi spingono da parte, si fanno innanzi... e io resto con un pugno di mosche. (Deciso) Ma ora basta! Ora che ho cominciato...

Franca                            - (interrompendolo e ridendo) Ma Aldo!...

Aldo                              - (vedendo venire da sinistra Roberto) Taci! (E corre via a destra)

Roberto                         - (entra da sinistra, un po' stanco; è in pantaloni e scarpe da- tennis, indossa una giacca colorata, con un bel garofano all'oc­chiello, ha in mano la racchetta e con l'altra si asciuga col fazzoletto la fronte. Appena è visto da Franca, nasconde il fazzoletto e si raddrizza)

Franca                            - Oh, anche tu hai finito la partita?

Roberto                         - Sì, proprio ora.

Franca                            - Com'è andata?

Roberto                         - Bene: ho vinto. Sei a tre. Su quel campo là, mi ci trovo meglio.

Franca                            - Bravo. E il tuo avversario?

Roberto                         - Sconfitto, è scappato via dall'altra parte. E tu?

Franca                            - Io ho perso.

Roberto                         - Beh, non disperarti. Ti ho portato... una piccola consolazione. Guarda! (E le of­fre un piccolo astuccio)

Franca                            - (lo solleva, lo apre) Oh, meraviglia! (Solleva l'anello che contiene, lo guarda) Ma­gnifico! Che bei riflessi!... Ma io non lo vo­glio... Ti ringrazio del pensiero, ma non Io voglio! (Glielo porge) Tu capisci che non pos­so prenderlo.

Roberto                         - Ma perché? (Semiserio) Bada, se lo rifiuti, mi offendo.

Franca                            - Mi offendo io, se insisti!

Roberto                         - Per un regalo cosi da poco!

Franca                            - Da poco, un brillante! (Lo alza e lo riguarda) No no: è un dono pericoloso.

Roberto                         - Mettilo almeno per questi giorni. Mi farebbe piacere di vederlo su questa bella manina! (Gliela prende, la guarda e. l'acca­rezza) Velluto... Dammi qua! (E si fa dare l'anello)

Franca                            - Ma poi te lo rendo, siamo intesi! (E se io lascia infilare sull'anulare sinistro),

Roberto                         - (trattenendo la mano) Guarda come ti sta bene! (Contempla la mano e gliela fa contemplare; poi gliela bacia e la lascia) E tutti gli altri? Dove sono?

Franca                            - Sono andati a prender le biciclette. Si va al « Pergolino ». Offro io il gelato a tutti. Ora li raggiungo. Ci vieni anche tu, no?

Roberto                         - Ti ringrazio, ma non vengo.

Franca                            - Perché?

Roberto                         - (cercando una scusa) Ma... (Tro­vandola) Voglio fare un'altra partita.

Franca                            - Non sei stanco?

Roberto                         - Io stanco? Neanche per idea. Sono pronto a ricominciare.

Franca                            - Con chi?

Erminia                          - (è una signora sui quarant'anni,mol­to elegante, pure in abito da tennis, rac­chetta in mano. Entra da destra)

Roberto                         - (cogliendo l'Occasione) Con la si­gnora. Vero, signora Zarri? Una sfida noi due?

Franca                            - Ma la signora ci sta?

Erminia                          - Certamente.

Roberto                   - Quando mai in vita sua ha detto di no?

Franca                            - È un peccato che tu non venga!

Roberto                         - No, preferisco il tennis. A me piace il moto, la ginnastica... In bicicletta si sta troppo seduti.

Franca                            - A fra poco, allora. Perché torniamo qui per la rivincita. Sicuro, Ernesto Brenni mi ha offerto la rivincita. Addio (marcando) giovinotto! (Esce rapidamente a destra)

Roberto                         - (si assicura che sia uscita, e poi si abbandona su una poltrona) Ah! (E si fa vento col fazzoletto)

Erminia                          - (ha fatto lo stesso, e simultaneamente è uscita in un) Ah! (E si fa vento con la mano) Beh, e la partita?

Roberto                         - Se proprio ci tenete!

Erminia                          - Io? Io avevo paura che ci teneste voi!

Roberto                         - Affatto. L'ho detto per salvarmi dalla gita in bicicletta. Voglio riposarmi. Si gioca, si gioca, ma dopo... (Soffia)

Erminia                          - Figuratevi io! Sono affranta. Sta­mane ho remato tanto...

Roberto                         - Lo avete portato a spasso sul lago? E sempre voi ai remi?

Erminia                          - Si, perché lui non voleva stancarsi per il tennis.

Roberto                         - Difatti, ha vinto.

Erminia                          - Ah! Contro chi?

Roberto                         - Non avete sentito? Contro Franca.

Erminia                          - Mi dispiace che la vostra piccola amica...

Roberto                         - A me no. Se vincesse, si scalderebbe la testa... No no, io la voglio calma e...

Erminia                          - ... tutta per voi..

Roberto                         - Precisamente.

Erminia                          - Ah, mi sento le braccia rotte!

Roberto                         - E io no? A star coi giovani, è il meno che possa capitare.

Erminia                          - Ma voi ci state magnificamente.

Roberto                         - Pare. Ma poi viene il batticuore.

Erminia                          - Se siete più sportivo di me!

Roberto                         - Credete?

Erminia                          - Dieci giorni che siete qui, vi vedo sempre in gare, passeggiate, gite...

Roberto                         - E che dovrei dire di voi? Sempre pronta, al tennis, al remo, al nuoto, in bici­cletta. Non fate nulla di meno del vostro giovine amico.

Erminia                          - Ma io, scusate, non ho la vostra età.

Roberto                         - Avete la vostra... ma è già qualche cosa!

Erminia                          - Non ci guastiamo. Quella Franca è un amore.

Roberto                         - Oh, per questo, anche quel Brenni è un giovine simpatico!

Erminia                          - Fra noi si può esser sinceri. Pos­siamo parlare con la confidenza di chi ha gli stessi gusti.

Roberto                         - O vizi.

Erminia                          - Gusti per chi li pratica, vizi per chi li giudica. Ma anch'io non posso vivere che coi giovani.

Roberto                         - Come vi capisco! Si diventa loro coetanei... si ferma il tempo... e si desta l'invidia dei barbagianni. Non è cosi?

Erminia                          - Questa è una faccia della medaglia; ma l'altra? I rischi? Dove li mettete i rischi? I giovani, quando sono qui, vogliono essere là; e quando son con voi, vogliono essere con altri.

Roberto                         - (allarmato) Dite per me?

Erminia                          - Magari! No, dico per me.

Roberto                         - II vostro Brenni?... Ehm, sì si, vince al tennis; ma forse non vince solo al tennis.

Erminia                          - Lo sospettate anche voi?

Roberto                         - E voi no?

Erminia                          - Altro che. Stamane mi hanno tele­fonato... Oh, non sarete stato voi?...

Roberto                         - Ma vi pare che io?...

Erminia                          - E poi no: era una voce femminile. Sapete, per dir bene d'una persona non ba­sta un discorso; ma per dirne male, basta una parola... E mi ha messa tutta sossopra.

Roberto                         - E ora dubitate di qualcuna?

Erminia                          - Mah! Son tante qui le signore e le signorine...

Roberto                         - Scartate le signore.

Erminia                          - Perché?

Roberto                         - Perché i tempi sono mutati: quando eravate signorina voi, il pericolo erano le si­gnore; ora che voi siete signora, il pericolo sono le signorine.

Erminia                          - È una parola: ce n'è una nidiata!

Roberto                         - E poi, anche se sospettaste di qual­cuna, non vuoi dir niente. (Con malinconia) Anch'io, una volta, ho sospettato... Mi ro­devo, mi rodevo... Poi ho avuto la prova... (Una pausa. Di nuovo sereno) Ci vuole la prova. Anche Otello, fin che Jago gli dava pa­role e parole... niente... Ma quando gli ha dato il fazzoletto... Ecco, ci vorrebbe un faz­zoletto... o qualcosa di simile... Aspettate un po': il vostro signor Brenni non ha, per caso un oggetto personale, che so, un gin­gillo, un amuleto nascosto, qualcosa che pos­sa conoscere soltanto chi partecipa della sua intimità?...

Erminia                          - (ci pensa un attimo) Ma sì... Guar­date qua... Questo. (E leva dalla borsetta una lunga collanina d'oro con appeso un ele­fantino d'oro e smalto) La porta sempre al collo per scaramanzia. La devo far riparare. (E mostra che è rotta) Vedete che bell'ele­fantino? Gliel'ho regalato io. Porta fortuna.

Roberto                   - A lui o a voi? Ma quando gioca a tennis, l'elefante lo vedranno tutti.

Erminia                          - No, perché la catenina è molto lun­ga, e il talismano scende assai. Non lo co­nosco che io... almeno spero.

Roberto                         - Statemi a sentire. Andate subito dall'orefice, fatela accomodare e poi ripor­tatemela. Vedrete.

Erminia                          - Ci vado subito. (S'avvia, poi indu­gia) Ma... siete un po' parente di Belzebù?

Roberto                         - Chissà... forse cugino... Ma so fare di meglio.

Raniero                          - (entra da destra),

Erminia                          - (scherzosa) Ho capito. Siete un po' canaglia! (Esce a destra)

Raniero                          - Buongiorno, Roberto!

Roberto                         - Tu qui?!

Raniero                          - Ti ho cercato in albergo... Ho biso­gno di te.

Roberto                         - Ancora!

Raniero                          - (si guarda attorno) Posso parlare qui?

Roberto                   - Puoi parlare come vuoi, quanto vuoi. Sono tutti assenti e prima che tornino c'è tempo. Ma ti vedo turbato. Affari?... Se sei in bisogno, son qui, disponi.

Raniero                   - Si tratta di Elsa.

Roberto                         - Oh, manco male. Dico cosi perché non ti avrà certo rovinato in Borsa.

Raniero                          - Peggio; ha fatto di peggio... Ha fru­gato nel mio studio, l'ha buttato all'aria. Come ci fossero passati i ladri.

Roberto                         - Possibile! La tua fidanzata?

Raniero                          - Appunto, col diritto, dice lei, della fidanzata. Si è introdotta nel mio ufficio, mentre io ero assente, ha forzato la serra­tura della scrivania, e ha trovato un ritratto di Franca, quello che tenevo sempre in mo­stra accanto al calamaio. Io l'avevo chiuso là, e lei l'ha ripescato.

Roberto                         - Sei uno scemo. I ritratti si di­struggono .

Raniero                          - Ti lascio immaginare quel che è ac­caduto. Elsa s'è seduta là, nella poltrona, con quella fotografia in mano, e mi ha aspet­tato. Quando sono tornato, si è alzata e mi ha declamato la dedica che nel frattempo aveva imparato a memoria: « Al mio Raniero in pegno d'eterno amore ». E la data. E si è messa a urlare come una ossessa che io ero un imbroglione, che, con quella data là, era roba dì due mesi prima, che avevo osato baciare lei con le labbra ancora tinte del rossetto dell'altra, che non mi voleva più vedere e che rimanessi pure li nel mio uffi­cio, con le mie sudicerie di ritratti; me l'ha sbattuto sulla faccia e se n'è andata.

Roberto                         - E tu?

Raniero                          - Io sono rimasto.

Roberto                         - Sei rimasto sconvolto, stravolto...

Raniero                          - No, scapolo. Capisci, scapolo!

Roberto                         - (godendone) Benissimo!

Raniero                          - Come, benissimo?

Roberto                         - Si, perché vedrai che tutto si ag­giusterà. Tu spiegherai, lei capirà...

Raniero                          - Già spiegato. La sera, a casa sua, ho parlato coi genitori. Ho detto che si trat­tava d'un malinteso, che, in ogni caso, Elsa aveva agito in modo inqualificabile. Ma non m'è riuscito di cambiare le cose.

Roberto                         - E la madre, che ha detto la ma­dre?...

Raniero                          - Oh, la madre ha cominciato col darmi ragione: che io qui, che io là, e che sua figlia, va bene, la si capiva, ma aveva esagerato; però ha finito col darmi torto.

Roberto                         - E il padre?

Raniero                          - Oh, il padre ha tirato fuori la sto­riella delle matite.

Roberto                         - Quali matite?

Raniero                          - Le mie. sulla mia scrivania. Che non sono mai allineate, e che è naturale, per chi non fa stare in riga le matite, non rigar dritto lui. Figurati il chiasso, i com­menti, le conseguenze nella mia reputazione di professionista serio... Un disastro.

Roberto                         - E sei qui per un consiglio?

Raniero                          - (tace)

Roberto                         - Beh, lascia passare un po' di tempo, lascia sbollire ire, risentimenti, e poi scrivi una bella lettera, una lettera spremilacrime, e tutto tornerà come prima.

Raniero                          - Già. Ma per scrivere quella lettera, perché quella lettera, come dici tu, sprema le lacrime, bisognerebbe sentire in quel dato modo, essere sinceri, scrivere insomma sotto la dettatura d'un rimpianto, d'un dolore, di una disperazione. Io invece... non potrei scri­verla.

Roberto                         - Cos'è? Orgoglio?

Raniero                          - No, o forse sì. Ma soprattutto... (scandendo) non me ne importa niente che il matrimonio sia andato a monte. Da quan­do Franca è partita, non penso che a Franca. Non la posso dimenticare. Non posso capa­citarmi che lei sia qui con te; ho creduto il contrario, mi sono sbagliato. Va' a capirà come siamo fatti.

Roberto                         - Ah, tu sei fatto male!

Raniero                          - E tu, che ti sei condotto da nemico?

Roberto                         - Io?

Raniero                          - Sì tu, che invece dei fatti miei, ti sei combinato i tuoi.

Roberto                         - E questa è la gratitudine!

Raniero                          - Non ti sono grato per niente; anzi, ne sono rimasto ogni giorno più stomacato. Un sigaro! Me lo ricordo: se me ìo ricordo! Non son qui per un consiglio: son qui per riprendere Franca. Ora, subito.

Roberto                         - Ah si? Ma c'è una difficoltà. Se anche volesse lei, non voglio io.

Raniero                          - In forza di che?

Roberto                         - E’ un dovere. Lei si è affidata a me, io la debbo difendere.

Raniero                          - Contro chi?

Roberto                         - Contro di te, intanto.

Raniero                          - Ma io non ci rinuncio.

Roberto                         - E io nemmeno.

Raniero                          - Ah, finalmente ti scopri!

Roberto                         - Mi scopro, si.

Raniero                   - È la tua?...

Roberto                         - Ahimè no.

Raniero                          - Ma sei cotto.

Roberto                         - Può darsi... Oppure no... non lo so.

Raniero                          - E tu le impedirai di venir via con me?

Roberto                         - Naturalmente.

Raniero                          - E con che mezzo?

Roberto                         - Con qualunque mezzo.

Raniero                          - (minaccioso) Bada eh, bada!

Roberto                         - (scoppia in una risata) Mi vuoi uc­cidere? Ma guarda! (Indicando a destra) C'è Franca. Chiedilo a lei.

Franca                            - (entra, vede Raniero e finge di non vederlo. A Roberto) Ritorno a piedi. Un guasto. Ho lasciato la macchina dal mecca­nico. Gli altri, ho voluto io che proseguisse­ro. Fa calduccio.

Roberto                         - Guarda chi c'è!

Franca                            - (si volta, guarda Raniero e scrolla le spalle)

Roberto                         - Non hai visto?

Franca                            - Non conosco il signore.

Roberto                         - No? Te Io presento subito: il dot­tor Raniero Gerlini. Ha lasciato una donna per un'altra, ed ora, licenziato dalla seconda, viene a ripescare la prima.

Raniero                          - Non è vero!

Roberto                         - Come? Non me l'hai detto tu?

Raniero                   - Sì, l'ho detto: ma ho mentito.

Roberto                         - Ma, la perquisizione in ufficio?,..

Raniero                          - Inventata.

Roberto                         - La scoperta? La sfuriata? a Resta pure con le tue sudicerie di ritratti? » Le pa­role della madre? Le matite del padre?

Raniero                          - Tutta fantasia.

Roberto                         - Complimenti! Questa è pirotecnica addirittura! Razzi, girandole, ventagli lumi­nosi.,. Bravo!

Raniero                          - Non volevo confessarti che sono sta­to io, non la fidanzata, a mandar tutto all'aria. Io, perché non potevo più resistere senza di lei... (A Franca) Credi, credimi! Questa è la verità!

Franca                            - (a Roberto, senza guardare Raniero) Non conosco il signore. Non lo riconosco. E ad ogni modo è in ritardo almeno di nove giorni. Se quel che dice di aver fatto, - di­ce, ma come credergli? - l'avesse fatto l'in­domani, mah, ci si poteva, non ostante tut­to, trangugiando tutto, o forse no, ma chis­sà, scuotere, turbare, commuovere... Siamo tanto stupide noi donne! Ma in amore, le de­cisioni devono venir pronte, se no sono deci­sioni in cui l'amore entra come il liquore nel caffè: in piccola dose. Dico bene?

Roberto                         - Benissimo! Sentiamo lui.

Franca                            - No, lui non deve parlare. Lui non ha altro da fare che andarsene. Dico sempre bene?

Roberto                         - Ma sei un portento, cara!

Raniero                          - (a Franca) Ho sbagliato, sì, ho sba­gliato; ma ho affrontato tutto per poterti ria­vere, per poterti convincere che se ho avuto un momento di aberrazione, ora son qui a chiedere il tuo perdono e il tuo ritorno.

Franca                            - (a Roberto) Dice bene?

Roberto                         - Eh, non c'è male, il nostro Ranie­ro! Ha'anche lui i suoi bravi fervorini da sfoggiare al momento opportuno! (Avvicinan­dosi a Franca) Io, se fossi te, avrei parec­chie cose da rispondergli, e, soprattutto que­sta: che quando si deve pagare per uno sba­glio proprio, non si può costringere gli altri a concorrere nella spesa. Soltanto uno sbaglio dello Stato si deve concorrere tutti a pagarlo.

Franca                            - Io, invece, se mi rivolgessi a questo signore, gli direi che alla donna da lui ab­bandonata è accaduto un fatto molto strano. Mentre, sul momento, le pareva che il cielo si oscurasse, e la terra le sì aprisse sotto i piedi, ventiquattr'ore dopo, - ecco perché ho detto prima che il signore è in ritardo, - s'è accorta che il cielo era più azzurro che mai, e la terra più chiusa di una cassaforte.

Roberto                         - (a Raniero) Ci sei? Credeva di non poter vivere senza dì te, e invece ha sco­perto...

Franca                            - Con sorpresa, in verità... .

Roberto                         - Con dolore, aggiungerò io: ha sco­perto, con dolore, che senza di te viveva ma­gnificamente! (A Franca) È. esatto?

Franca                            - Esatto.

Raniero                          - Lo fate apposta! (A Franca) Lo fai apposta, per restituirmi il gusto del veleno. Il rancore ti rende spietata!

Franca                            - (a Raniero) No, mi fai molta pena, adesso: e mi domando se in te io non ho amato soltanto un sogno, che aveva preso il tuo volto a prestito,.. Perché mi sono accor­ta che... Del resto, di quel che succede in noi non ne abbiamo colpa: possiamo guidare i nostri sentimenti, e, sapendo fare, anche dominarli: ma impedire che nascano, nes­suno lo può. E tanto meno io, che sono ben poca cosa.

Roberto                         - Sentila come parla! È una testolina ammirevole. Io ne sono deliziato! (A Ranie­ro) Tu no?

Raniero                          - Non so con quali arti subdole, insi­diose, me l'hai cambiata!

Roberto                         - L'hai cambiata tu, facendola soffri­re. Ma, se è cambiata, chi vuoi riprenderti? Una donna che ti è nuova, e che è ora più mia che tua?...

Franca                            - (calma, a Roberto) Come tua? Per­ché tua?...

Roberto                         - Ho detto male?

Franca                     - Hai detto troppo. Né sua né tua. (A Raniero) Ho conosciuto qui un giovane, un bravo giovane...

Roberto                         - Un terzo!

Franca                            - ...che mi ha capita e roi ha parlato con onestà, con chiarezza...

Raniero                          - (una risata cattiva) E io che ti cre­devo una brava ragazza... Sei peggiore di me! Meglio così! (A Roberto) Ma anche tu niente, come me!

 Franca                           - Più di esser sincera, non posso. Mi ha fatto intravedere un domani degno, sicu­ro, mi ha dato una certezza, un sostegno... Andrò con lui.

Raniero                          - Eh, Roberto! Non sempre « un si­garo »! Non torna con me, ma non resta neanche con te. Ci ho gusto. Oh, Roberto, se ne va con un terzo! Bella figura, eh? (A Franca) Quant'a te, (ironico) fedelissima, buona fortuna! Parola d'onore, ho fatto bene a venire: oh, mi avete offerto un magnifico spettacolo, tu e lei... mi. son proprio diver­tito. Tienitela se sei capace.,. Io non so più che farmene. Tanti saluti! (Esce)

Roberto                         - (sì strappa il garofano dall'occhiello è lo getta sul tavolo, poi afferra Franca per la mano sinistra) E adesso mi dici chi è l'altro. Il terzo.

Franca                            - Eh, mi fai male.

Roberto                         - (lasciandola) Non quanto ne fai tu a me.

Franca                            - Mi hai rovinato una mano. (Si leva l'anello) E questo, riprenditelo. (Lo depone sul tavolo) Non so che farmene.

Roberto                         - Ti scotta, eh? (E se lo intasca) Co­me si chiama?... Non me lo vuoi dire?... Se credi che me ne importi!.,. Adesso capisco le tue smorfie con me... Caspita, il colpo di ful­mine... Eh sì, deve averti incantata.,. Se sei pronta a seguirlo... Chissà cosa ti ha pro­messo. Mi par di sentirlo... Ti adora, vivrà sempre ai tuoi piedi, come uno scendiletto... Lui è nato per te, tu sei nata per lui... Fate un bel paio... Vero, che ti ha detto così?

Franca                            - M'ha rispettata, come tu non hai sa­puto fare.

Roberto                         - Quando mai io?... Ah, la notte del nostro arrivo... ma ormai è tanto lontana che l'ho dimenticata.

Franca                            - Io no... non mi riesce...

Roberto                         - Ma è stato un attimo, una vertigine... Ho bussato alla tua porta... due colpi, ma lievi, lievissimi, perché nell'atto stesso di bus­sarli mi vergognavo... E me ne sono andato via subito, non ho neanche sentito quello che mi hai detto... E poi non ho più ripetuto.

Franca                            - Ma avevi tentato...

Roberto                         - Ne arrossisco... Più di dirti che ne arrossisco!...

Franca                            - Ma hai violato i nostri patti... E ci manchi continuamente. Con metodo diverso, ma ci manchi... Anche oggi, la trappola col brillante... Non sei più venuto a bussare, mi hai trattata sempre con deferenza, ma con una deferenza insistente e piena di in­tenzioni... Qui ti credono tutti il mio aman­te... Non ci fai già una magnifica figura?... Perché questo continuo Umiliarti, questo osti­nato umiliarmi?...

Roberto                         - Tutto vero. Ma che vuoi? Lo sapevi che non ero un santo... E anche un santo!... Mi sei vicina tutto il giorno... a tavola i miei occhi si perdono nei tuoi... la tua voce... Tutta mi sei l'inquietudine di ogni minuto... A volte mi rimescoli il sangue, a volte mi intenerisci... è uno strano tormento. Non te ne rimprovero... Non è colpa tua... Tu non te ne accorgi... Io ti ho promesso... e ho mantenuto... A fatica, ma ho mante­nuto... Per un minuto solo sono stato uomo... Non è facile scordarsene del tutto, quando per tanti anni non si è fatto che ricordarse­ne... Non dico per giustificarmi... dico per spiegarmi... io non mi vedo, io non vedo che te...

Franca                            - Sì, ma come una preda, come una preda di più! Del resto, è colpa mia. Non dovevo venirci, con te... Ma quel tuo battere di notte alla mia porta è stato subito di al­larme... e per sottrarrai ai pericoli ho accet­tato le proposte lecite, - lecite, - di un uomo leale. Anche in te avevo posta tanta fiducia... mi dicevo: sì, è un uomo vissuto, ma appunto per questo saprà capirmi vera­mente, custodirmi, aiutarmi... Ho tanto bi­sogno di appoggio... Sono così sperduta... Non mi sono offesa... Ci ho sofferto perché mi hai creduta una... perché non avevi nes­suna stima di me...

Roberto                         - Al contrario, ne avevo tanta, che quando siamo partiti ho sentito che non sarebbe stata un'avventura di più, ma un al­tro amore e, perché no?, l'ultimo amore, l'unico che si ricorda veramente per tutta la vita... Mi sono sbagliato... Un sottile mar­tirio quotidiano... Non sospettavo che tu avessi sofferto di quel mio stupido gesto... Ma mi piace che tu ci abbia sofferto e ci sof­fra... Sei assai migliore di me... non sei una donnetta qualunque... Io si sono un uomo qualunque... E hai fatto bene a punirmi... L'ultima beffa, altro che l'ultimo amore! Franca - Ma di quale amore parli? Se non me l'hai mai detta una parola d'amore.. Di de­siderio sì; me ne dici continuamente, par­lando e tacendo... Certi sguardi lunghi, avidi...

Roberto                         - E tu non ci hai mai visto affetto, comprensione, confidenza? Forse le parole li hanno traditi... perché io sono a questo... . - eh, l'uomo vissuto! a questo: che mi vergogno di esprimere i sentimenti migliori con le parole... « Niente sentimentalismi, ro­ba passata, roba fuori moda... Le donne oggi ci ridono... Bisogna esser pratici, spicci, in­gordi!... » E così, dico quello che farei me­glio a tacere... Che vuoi? Temo che le parole vere. quelle che vengono di qui (indica il cuore) mi escano con suoni antiquati... e che, a sentirle, tu mi rida sulla faccia... (Con amarezza) E poi... Ma la verità è che lui è giovane, è più giovane di me! Ecco la sua forza. (Brusco) Ma non sarà differente dagli altri...

Franca                            - Invece no: è diverso.

Roberto                         - Sarà un fenomeno!

Franca                            - Posso dirti chi è.

Roberto                         - Ormai non mi interessa!

Franca                            - Se muori dalla voglia di saperlo! È Ernesto...

Roberto                         - Brenni!... E lui?

Franca                            - Si.

Roberto                         - Oh! Congratulazioni! Magnifica scelta!

Franca                            - Vero che ho scelto bene? Mi sposa.

Roberto                   - Ah, ti ha detto che ti sposa? Be', ne ho piacere, perché lo conosco a fondo.

Franca                            - Ah sì? Lo conosci?

Roberto                         - Altro che!... È l'amante della si­gnora Zarri!

Franca                            - Nooo!

Roberto                         - Pare anche sia l'amante di un'altra. Tu? Sei tu quella?

Franca                            - Che dici? Mi credi dunque?...

Roberto                         - Lo saprò. Vedrai che lo saprò. Zitta, c'è la signora!

Erminia                          - (entra da destra) Ho fatto presto? Voleva tornassi domani a ritirarla. Ma son riuscita a fargliela aggiustare subito. Ecco qui! (E gli porge la catenina)

Roberto                         - (la prende, la solleva e la mostra a Franca; con intenzione) Guarda bene. Ti piace?

Franca                            - (sincera) Graziosa (Osservando) Mai visto un gingillo simile.

Roberto                         - (con un respiro) Meglio per te. E anche per voi, vero, signora Erminia? Ed ora, la metto qui, su questo tavolo! (Eseguisce. A Franca) Se ora un'altra, entrando e ve­dendola, esclamasse: «Oh, la catenina del signor Ernesto! », o comunque la riconoscesse, svelerebbe di esserne l'amante, (A Erminia) Non è così?

Erminia                          - Purtroppo si. Ma se quest'altra c'è, dev'essere certamente la duchessina Emma, perché lui è dì gusti raffinati. (Vantandosi) Gli piacciono soltanto le donne di classe. Ernesto          - (entra da destra; Roberto nasconde con la mano la catenina) Precedo la ma­snada. Che gelati, Franca! Ma, cortesia per cortesia (Ridendo) ti porteranno, - vedi che spreconi! una aranciata. La berrai alla mia salute. Ti aspetto per la rivincita! (Esce di fondo) Tino, Giorgio, Aldo, Germana, Savina, Em­ma (irrompendo) Evviva Franca! (Insieme, a tempo) Ev-vi-va-Fran-ca! Giorgio e Tino (escono di fondo)

 Erminia                         - Buongiorno, duchessina Emma!

Emma                            - Buongiorno! Che corsa s'è fatta! Cam­pionati su strada! (Vede la catenina) Oh! (La prende, la guarda, la mostra) E questa, di chi è?

Savina                            - Mia no.

Germana                        - Mia nemmeno.

Emma                            - (a Aldo) Non è tua, a volte?

Aldo                              - Quella brutta roba? (A Franca) Ricor­dati che ho da parlarti! (Esce di fondo)

Emma                            - E allora, la rimetto qui! (La rimette al suo posto ed esce rumorosamente con le altre)

La Cameriera                 - (Entra. È giovane, ficcante, scu­trettolante; reca un vassoio con l'aranciata)

Erminia                          - (A Roberto) Be', signor mago, bel successo!

Roberto                         - Oh, non consolatevi così presto... La malizia delle donne!

La Cameriera                 - (A Franca) Signorina, è per voi.

Franca                            - Mettete là!

Roberto                         - E poi i casi sono tanti... Io, vedete, non dispero ancora.

La Cameriera                 - (ha deposto il vassoio sul ta­volo) Oh! La catenina del signor Ernesto! (Fa l'atto di prenderla)

Roberto                         - Che fate?

La Cameriera                 - Gliela riporto!

Roberto                         - (pronto) Lasciate! (E Gliela do io!

 La Cameriera                - Bene, signore! (Ed esce scu­trettolando)

Roberto                         - (dopo averla guardata uscire, a Erminia) Non mi pare di gran classe!

Erminia                          - (strappa dalle mani di Roberto la ca­tenina) Gliela butto sulla faccia! (Esce rab­biosa di fondo)

Roberto                         - (A Franca) Hai visto, in che mani?..

Franca                            - (indignata e avvilita) Anche lui... Anche lui...

Roberto                         - (con malizia, accarezzandole i capelli) Si, cara... Ma lo vedi... a fidarsi dei giovani? Si fa presto a dire: l'amore, l'amo­re!... Ma che cos'è? Questo è il punto.. Per­ché uno ha qualche anno di più, buona not­te, è finito? Ma nemmeno per sogno! Qual­che anno di più, in amore, vuoi dire sempli­cemente qualche sciocchezza di meno... Sen­timi bene: l'amore riscalda, no? Dunque l'amore è calore. E ora, dimmi: riscaldano più le fiammate del caminetto, o gli elementi del termosifone? Questo è l'altro punto. Si, la fiamma è bella - l'ha detto anche un poeta che ha fatto molto all'amore ma il termosifone!... Eh, quello sì che è rispetta­bile ed esemplare: se ne sta avvoltolato in un canto della camera, quatto quatto, come un serpente a sonagli in castigo, non sibila, non scoppietta, non sfavilla, non fa alcun ru­more, ma, cheto cheto, ti avvolge in un fiato tiepido, continuo, costante... E ha il destino delle persone modeste e utili: quando c'è, non ci si bada, ma quando non c'è, Io si rimpiange... Così è l'amore dell'uomo matu­ro... E rende felici; perché la felicità non è che sentirsi intorno calore... chiamalo come credi: ammirazione, stima, affetto, devozio­ne, dedizione, amore... ma è sempre calore!... Povera piccola! Hai ragione. Qui non c'è che una cosa da fare. Cambiare aria. Andiamo in montagna. Vuoi? Io ti conduco per mano come una bambina. (E l'accarezza) Che ne dici, cara?

Franca                            - Si, dove vuoi, portami dove vuoi. Qui non mi ci posso vedere... (Si stacca da lui, si passa una mano sugli occhi umidi e fa l'atto di avviarsi)

Roberto                         - Aspetta... (Leva l'anello dì tasca) Ora lo puoi mettere, no?

Franca                            - (guarda Roberto, sorride, prende l'anello, se io infila al dito è si avvia a de­stra) .

Roberto                         - (la guarda andare, sorridendo, compia­ciuto. Raccoglie il garofano dal tavolo, se lo rimette all'occhiello) Eh si, questa volta... si! (La segue a passo soddisfatto e spedito)

Fine del secondo tempo

ATTO TERZO

In un albergo dell'Alto Adige. Sei giorni dopo. Una ridente camera caratteristica. Un divano letto, una porta di ingresso in fondo. Appesa a un attaccapanni una giacca da camera e una giacca da giorno. Un armadio con la specchièra.

Roberto                         - (in vestaglia, sdraiato in una poltro­na, dorme. Il giornale gli è scivolato a ter­ra, e la sigaretta gli ciondola, spenta, all'an­golo della bocca. Si bussa. Egli non sente. Si bussa più forte. Egli balza a sedere, si stropiccia gli occhi, si alza, si riordina. Si bussa ancora più forte) Chi è?

Placida                           - (d. d.) Sono I'albergatrice.

Roberto                         - Avanti.

Placida                           - (Entra. È una bella donna sui trent'anni; indossa il costume altoatesino) Scu­sate!

Roberto                         - Oh, quale onore! La signora Placida. Prego! (E le offre una sedia)

Placida                           - Grazie! (E sta in piedi) Vi disturbo, vero? Magari schiacciavate un sonnellino.

Roberto                         - Io? Mai.

Placida                           - Molti clienti, a quest'ora, fanno il pisolino di digestione. Si sa, la passeggiata della mattina... Bella giornata, eh? £ quasi caldo come d'agosto. Stagione fortunata que­st'anno per la montagna. Voi ci siete capi­tati tardi, ma avete scelto bene. Anche la signorina è contenta. In sei giorni, ha già mutato aspetto. È un. fiore!

Roberto                         - Siete venuta per dirmi questo? Placida    - Oh no! Son qui per una seccatura. Non per voi, ma per me. Importunare un cliente non è mai piacevole. Ma come si fa! Fintante che non saranno stabiliti gli esatti limiti delle nostre mansioni, non si saprà mai dove finisce il nostro mestiere e dove ne comincia un altro... Non so se mi avete compreso.

Roberto                         - Per un riguardo a voi dovrei dire di no.

Placida                           - Dite pure di sì; si sa che a noi si chiede qualunque cosa: dal cerino per accen­dere la sigaretta, al nome della bella signora del terzo piano, alla dote della ragazza ve­stita di rosso. Io lo detesto, questo mio me­stiere. In verità, io non dovevo sposare mio marito. Il mio sogno era un pittore. E gli piacevo, sapete! Un giorno mi ha detto: « Placida, se non ci fosse nessun'altra donna al mondo, ti sposerei subito! ». Ah, magari lo avessi sposato! E stato mio marito a vo­lermi albergatrice. Mi diceva: « Diventi pa­drona d'albergo ». Altro che padrona! Io so­no al servizio di tutti; devo andare vestita così, in maschera, per il color locale; non posso mai dire di no; sempre « Sissignora, sissignore! »; e sopportare le arie che si da l'ultima delle m'intendo io, quando ordina questo e quest'altro e si lamenta della came­ra che è troppo piccola, del vitto che non ba­sta mai, dei rubinetti che non chiudono bene e del diavolo che se la riporti in città. E così anche questa volta non ho potuto ri­fiutarmi di fare da battistrada.

Roberto                         - Precedete un. corteo reale?

Placida                           - Non avrei accettato se non si trat­tasse di vecchi conoscenti. Anzi, potrei dire di amici. Gente come si deve, che vien qui da molti anni. Quest'anno no, perché si son recati ai fanghi. Il padre ha un dolore alla spalla e uno al ginocchio. La madre soffre di artrite e di sciatica. Ma, intendiamoci, gen­te sanissima. E' arrivato il figliolo. E' lui che mi... (Sì ferma)

Roberto                         - Avanti: ...che vi?...

Placida                           - ...mi ha pregato; e con quanta insi­stenza, con quanta foga: « Andateci, mi fate un regalo. Voi siete seducente, voi sapete fare »; insomma, ha tanto picchiato alla mia porta, che io mi son permessa di bussare alla vostra.

Roberto                         - Ma una bella donna la si riceve sempre volentieri!

Placida                           - No, vi prego: non mi fate la corte. Vi avverto subito che io non ci resisto. Mi chiamo Placida per ironia della sorte. Mia sorella Amanzia, invece, è andata suora. Per fortuna di mio marito, i clienti ignorano questa mia fragilità. A me basta un com­plimento, un'attenzione, un niente affettuo­so... La diversità di sesso ha cominciato a farmi una grande impressione fin da giovi­netta, e poi sempre di più. Anche per questo non ho saputo dir di no al giovane, poiché sì tratta di un giovane, e sono qui a chie­dervi un colloquio per lui, Domandarvelo di­rettamente gli pareva, dice, una mancanza di riguardo. È un po' timido. Ed eccomi qui. Tanto, mi son detta, quel signore è gentile e non mi ucciderà.

 

Roberto                         - Ah, no davvero! (Guadandosi intor­no) Non saprei neanche dove occultare il vostro cadavere. E poi, vi preferisco viva.

Placida                           - Grazie. Lui veramente vi conosce già.

Roberto                         - Mi conosce?

Placida                           - E anche voi, dice, lo conoscete, per lo meno di viso. Vorrebbe anche parlarvi presto, perché parte domattina. Lo ricevete?

Roberto                         - Ma che venga anche subito!

Placida                           - Grazie, signore. E perdonate la mia impertinenza.

Roberto                         - Ma io vi assolvo di tutti i peccati. Siete un amore.

Placida                           - Silenzio. Non mi dite niente. Ab­biate pietà del focolare domestico! (Esce)

Roberto                         - (si leva la vestaglia e indossa la giac­ca da camera)

Aldo                              - (d. d.) È permesso? (Bussa)

Roberto                         - Avanti.

Aldo                              - (Entra)

Roberto                         - Oh, voi?

Aldo                              - (forte, per darsi animo) Mi ricordate?

Roberto                         - Eh, mi pare. Non è passato un se­colo!

Aldo                              - (c. s.) Sono passati sei giorni. (La voce gli si abbassa) La colpa è di questi sei gior­ni. Sono loro che mi hanno deciso.

Roberto                         - A far che?

Aldo                              - A... (E si ferma)

Roberto                         - Forza, figliolo. A?...

Aldo                              - (a bassa voce) A venire da voi.

Roberto                         - Alzate la voce.

Aldo                              - (forte) A raggiungervi!

Roberto                         - Eh, non sono sordo. E adesso che ci siete?

Aldo                              - Mah! Ancora un minuto fa, là fuori, mi sentivo sicuro. Ora, confesso, mi sento imbarazzato. Così imbarazzato, che quasi quasi... (Fa qualche passo verso la porta) Ma no! Sarebbe imperdonabile avervi seccato per... Ma faccio bene? Faccio male? Ho scel­to bene il luogo, il momento? Insemina, mi capite?

Roberto                         - No.

Aldo                              - Eppure, la mia agitazione,.. Forse ar­rossisco un po'... Sono arrossito?... Mi sento bruciare le guance.

Roberto                         - Giovanotto, parliamoci chiaro. Se, con tutti questi preamboli, pensaste a volte di chiedermi un prestito, - vi ho visto spesso laggiù al tavolo di poker - statemi bene attento: la banca è fallita, il direttore è morto, il cassiere e scappato, la cassa è scomparsa!

Aldo                              - Non son qui per danaro.

Roberto                         - Tanto meglio. Se si tratta di una raccomandazione... ne ho fatte tante, che una più, una meno... Non si dovrebbe raccoman­dare nessuno, ma allora non si potrebbero ammirare negli uffici quelle belle folle di im­piegati... Dunque, ditemi; e se la persona che vi è utile è un amico mio.,, A chi devo raccomandarvi ?

Aldo                              - A Franca.

Roberto                         - Ora capisco ancor meno.

Aldo                              - L'ho vista.

Roberto                         - Quando?

Aldo                              - Stamattina.

Roberto                         - Non me l'ha detto.

Aldo                              - Ve Io dirà. Ma prima di tutto devo presentarmi. Sono ingegnere da un anno.

Roberto                         - Così giovane.

Aldo                              - Ho fatto due anni in uno.

Roberto                         - Complimenti.

Aldo                              - Sono sempre stato il primo della classe.

Roberto                         - Io, se Dio vuole, sempre l'ultimo,

Aldo                              - Mi sono laureato con pieni voti e lode.

Roberto                         - Io la lode non l'ho voluta; e nean­che la laurea.

Aldo                              - Avete fatto il Politecnico anche voi?

Roberto                         - No, agraria.

Aldo                              - Non vi piaceva la campagna?

Roberto                         - Si, molto. Ma soltanto per andarci in villeggiatura. Dunque, voi guadagnate di già.

Aldo                              - Si, ma meno d'un, operaio.

Roberto                         - Naturale, siete ingegnere.

Aldo                              - Non so se ricordate il mio nome.

Roberto                         - No, il nome veramente no. Cioè sì:

Aldo                              - Ma il cognome? AldoBalestri. Aldo Balestri, Milano, via Serpieri 18, telefono 4-2...

Roberto                         - (interrompendo) II telefono non mi occorre. Balestri, Balestri... Io ho un nemico d'infanzia che si chiama Balestri. Non sare­ste a volte parente di Francesco, del dottor Francesco Balestri? Il chirurgo?

Aldo                              - È mio zio.

Roberto                         - Ah, siete nipote di... quel caro Francesco! Siamo nemici dalle elementari. Ottima persona. Conosco anche la vostra fa­miglia. Tutta una famiglia di primi della classe.

Aldo                              - (con sforzo) E allora, o va o non va. (D'un fiato) In capo a sei giorni io mi son detto: « Ci vado, le parlo, gli parlo e ne esco fuori. Sono un uomo, non ho bisogno di altri consensi. Sono all'ufficio tecnico del­le Acciaierie Zoratti. Decido da me! » (For­te) Signor Sarni!

Roberto                         - Presente!

Aldo                              - Io non ho mai creduto alle chiacchiere sul conto vostro.

Roberto                         - Quali chiacchiere?

Aldo                              - (confidenziale) Si mormora sul conto vostro... (Forte) ma io non ho mai creduto che voi... (Si ferma)

Roberto                         - Che io cosa?... .

Aldo                              - (a bassa voce) Ve Io posso dire?

Roberto                         - Coraggio!

Aldo                              - (forte) Voi siete il... (Si ferma)

 Roberto                        - II che?...

Aldo                              - (con sforzo) L'am... (Si corregge) .. il protettore di Franca.

Roberto                         - Ah no?

Aldo                              - Là, lo dicevano tutti; ma, sapete, la gente pettegola basta che veda un uomo e ma donna entrare insieme, che so?, dal ta­baccaio, per dire che se la intendono. Voi asciavate credere e forse vi divertiva; ma o non ho mai avuto dubbi. Vi ho sorvegliati Vi ho visto una sera che siete andato . bussare all'uscio di Franca. Vi ho sentito lire: «Buona notte, cara. Riposa bene. A domani », Insomma, ci ho pensato e ripen­sato e poi mi sono convinto. No no, voi non siete... Voi siete il padre.

Roberto                         - Di chi?

Aldo                              - Di Franca.

Roberto                         - Ne siete sicuro?

Aldo                              - L'albergatrice me lo ha confermato.

Roberto                         - L'albergatrice?

Aldo                              - Sì, ieri sera. (Con sforzo) E allora ho parlato con Franca (Con foga) Franca mi piace; mi piace perché... Insomma, non so far discorsi. (D'un fiato) Ho l'onore di chiedervene la mano.

Roberto                         - A me?

Aldo                              - (d'un fiato) £ inutile fingere ancora. Voi siete il padre. (Una pausa) Basta guar­darvi!

Roberto                         - Ah, basta guardarmi? Ah, voi avete stabilito che io ho la faccia di padre! Voi volete che io vi parli da padre! E sta bene. (Di colpo, falsamente drammatico) Franca...

Aldo                              - (impressionato) Franca?..,

Roberto                         - ...non è quella che sembra. Quando è con gli altri, è una ragazza deliziosa. La sua bellezza, la sua finezza, i suoi occhi, il suo brio, tutto quel che volete... Ma, in realtà, è una povera tormentata. Nervi, sia pure, ma terribili. Vive in una perenne an­sietà. Chi Io direbbe, eh, a vederla? Ma in lei c'è un altro essere; e quando è sola con me ne è dominata. Perciò la porto al lago, in montagna, in viaggio, cerco di mutare sempre paesi, conoscenze, per distrarla, per salvarla dalla malinconia che la consumereb­be. Ho interpellato alcuni specialisti; ho chiesto loro se il matrimonio avrebbe potuto essere, come in tanti casi, il toccasana. Mi hanno risposto tutti di no. (Gli mette le mani sulle spalle) Caro ingegnere, è una povera figliola che deve restar sola e viaggiare, viag­giare. Guai se si sposa! Vi vedo smarrito: avete ragione. È una rivelazione penosa per me e per voi. Non pensateci più. (Aldo -fa per parlare) E non mi dite niente. Voi siete giovane, farete famiglia, farete dei figli, mol­ti figli, se non ci riuscirete da solo, vi farete aiutare; ma che vengano da un germe sano. Non mi dite più niente. Andate, partite, la folata passerà presto. È la fortuna di voialtri giovani. (Serio e sincero) Noi no, noi, se ci attaccano, difendiamo il nostro bene con tutti i mezzi, anche con l'inganno. (Tono di prima) Be', non ci pensiamo! Non. mi dite niente. Addio! (E lo sospinge fuori)

Aldo                              - (esce)

Roberto                         - Così, impara! (Al telefono) Portiere, mandatemi l'albergatrice. (Depone il ricevi­tore) II padre! Dico io se si può travedere peggio di così. (Va allo specchio dell'arma-dio, si guarda di faccia e di profilo) Ah, quello è matto! Matto e insolente!

Eugenio                         - (bussa, entra. È un uomo gioviale) Mia moglie è uscita. Se posso io...

Roberto                         - Ah, la devo ringraziare, vostra moglie!

Eugenio                         - Vi ha fatto qualche malanno? Santi Numi! Me ne combina sempre una nuova. Lei parla, parla, e poi sono pasticci. Ma se mi volete dire quello che vi ha fatto, la metto a posto io, e subito!

Roberto                         - Ha dato informazioni false sul mio conto.

Eugenio                         - Non è possibile!

Roberto                         - Ha detto che io - io, capite? - sono il padre della signorina Franca. Sul registro non avete segnato: Roberto Sarni?

Eugenio                         - Avvocato.

Roberto                         - Non sono avvocato.

Eugenio                         - Dottore.

Roberto                         - Non sono dottore.

Eugenio                         - Commendatore.

Roberto                         - Non sono commendatore.

Eugenio                         - Eppure qualche titolo devo avercelo messo.

Roberto                         - Avete fatto male. Roberto Sarni e basta, del fu Michele e della fu Giuseppina Meroni. E Franca Furlani di... nessuno. Non l'avete scritto voi, di vostro pugno?

Eugenio                         - Credo. Ne scrivo tante, su quel registro.

Roberto                         - E io, sono nessuno?

Eugenio                         - Se mai, senza titoli, siete niente,

Roberto                         - Ma non nessuno. E allora in quale testo di storia naturale la signora Placida ha letto che io sono il padre? Chi gliel'ha detto che io sono il padre?

Eugenio                         - Quant'a questo, è stata la signo­rina.

Roberto                         - Non mi raccontate trottole anche voi!

Eugenio                   - L'ha detto anche a me.

Roberto                         - Che io sono?... Eh via!

Eugenio                         - Non precisamente così; ma ci ha raccomandato, subito appena arrivata, di ri­spondere, a chiunque ci chiedesse, che siete suo padre. E noi accontentiamo sempre le clienti perché sono le signore che, nella scelta della villeggiatura, hanno il sopravvento sui signori. Un marito vuole andare al mare? La moglie Io porta in montagna.

Roberto                         - E Franca avrebbe voluto?..,

Eugenio                         - In parola d'onore! Voi potete im­maginare con qual gusto avrei colto mia mo­glie in fallo. Ma questa volta, purtroppo, è innocente.

Roberto                         - Cercatemi subito la colpevole. E mandatemela. Mi sentirà!

Eugenio                         - Corro                           (S'avvia in fretta; sulla soglia) Non siate crudele. Non posso vedere mal­trattare le donne! (Esce)

Roberto                         - E io non ci credo! (Méntre si toglie la giacca da camera e si mette la giacca) Franca avrebbe?... Ma con quale scopo? Macché!-.. Quelli se lo sono sognato!

Franca                            - (entra)

Roberto                         - Perché hai fatto dire a tutti che io sono tuo padre?

Franca                            - E a te, che è saltato in mente di rac­contare a Balestri che sono nevrastenica ? Bugiarda io, bugiardo tu, siamo pari!

Roberto                         - È il meno che potevo fare, con uno che viene a dirmi: « Voi siete il padre. Ba­sta guardarvi ». Ma che roba è?

Franca                            - Perché, se tu lo fossi, ti vergogne­resti?

Roberto                         - Io son chi sono, e non quello che sembro a quell'idiota!

Franca                            - Eh, non ti ha poi disonorato I

Roberto                         - E a te, chi l'ha suggerito di cam­biarmi i connotati?

Franca                            - La mia esperienza.

Roberto                         - Quale esperienza?

Franca                            - Quella che ho fatto là, al lago. Là tutti ti credevano l'amico, l'amante. Ai loro occhi, io ero la tua mantenuta... E mi son trovata malissimo. Tutti i mosconi intorno; e telefonate in camera; e bigliettini, e paro­line equivoche, e proposte aperte. E quel Brenni, col finto sentimento!.., Dieci giorni odiosi. Qui invece, passando io per tua fi­glia, è tutt'un'altra musica. Corte, atten­zioni, galanterie, ma con un altro contegno: con deferenza. Questo mi riconcilia con la vita... Non so... mi migliora. Non puoi cre­dere quanto mi inorgoglisca il sentirmi innal­zare agli occhi altrui e ai miei: sopra tutto ai miei.

Roberto                         - Lo credo bene. (Più a se stesso che a lei) Volare piacerebbe a tutti... ma decol­lare è difficile. Il nostro apparecchio è fra­gile e il carico è sempre troppo pesante. Staccarsi dal terreno, dalla mota, questa è l'impresa!

Franca                            - Beh, in questi giorni mi pare che lo potrei. Anche tu, senza accorgertene, mi ci sospingi. Sei così premuroso, affettuoso, ri­guardoso! Mi fai perfino un po' soggezione. Sento venire da te non so che tenerezza. È un'aria nuova... L'amore, gran cosa!... Ma è sempre una permuta. La tenerezza invece da e non prende. Io, dopo lo schianto pa­tito, ho sete di tenerezza. E tu quassù me ne offri tanta, che mi sento veramente sorretta, e - ora sì - ti lascerei anche entrare nella mia camera la sera e ti farei sedere al mio capezzale ed accarezzarmi i capelli, si­cura di non essere fraintesa.

Roberto                   - (scattando) Ma cos'è? È proprio la mia faccia a suggerirti queste poesie? (Si riguarda allo specchio) Si, c'è qualche filo grigio, qualche ruga, un po' di zampe di galline; ma appena appena; non si vede ne­anche. (Si allontana dallo specchio) Ma pa­zienza, abbiate pazienza a mutarmi di ca­tegoria! Più tardi, rimandiamo a più tardi... Perché?... Non mi porto bene? (E si guarda la persona) C'è tempo alla pensione. Non. ho nessuna voglia di affrettannici. Se mai, ci andrò per forza, quando sarò ridotto male... Ma non si tratta di questo: si tratta di quel bellimbusto. Lo sai che mi ha chiesto la tua mano? Mi esponi a certe figure! Ma quando le pensi? E adesso, che cosa si risponde?

Franca                            - Di no; si risponde di no.

Roberto                         - Non ti va?

Franca                            - Affatto.

Roberto                         - Bada, è un bravo giovine, conosco la famiglia. Detesto suo zio; ma gente ot­tima... e ben fornita. Lui lavora; guada­gna... poco,., ma guadagnerà.

Franca                            - Fosse insieme un genio e un creso, non mi va!

Roberto                         - E se sbagli?

Franca                            - Peggio per me.

Roberto                         - E se io tentassi dì convincerti?

Franca                            - Sprecheresti il fiato.

Roberto                         - E se ti costringessi?

Franca                            - Non so in nome di che; ma non lo vorrei lo stesso.

Roberto                         - Ma una ragione, dimmi una ragione!

Franca                            - (quasi vergognosa) Ho in mente un altro.

Roberto                         - Ancora il terzo?... Oppure un quarto?

Franca                            - No...

Roberto                         - E allora?... Guardami in faccia... (La scruta) Raniero? Ancora Raniero? Ma è uno piovra, costui! E tu, dopo tutto quel­lo che t'ha fatto...?

Franca                            - Gli voglio sempre bene.

Roberto                         - E magari saresti capace di cercarlo!

Franca                            - Mi ha già rincorsa lui.

Roberto                         - Anche qui? In questo albergo?

Franca                            - Sì, appena partiti, mi ha scritto su­bito... Una lettera che mi ha commosso.

Roberto                         - Mi stupisco che tu riceva posta a mia insaputa.

Franca                            - E io mi meraviglio che tu voglia fare la Censura... Del resto, se la vuoi leggere...

Roberto                         - No, grazie. Me lo immagino il bello squarcio di prosa!

Franca                            - È scritta col cuore.

Roberto                         - Preferivo col cervello. Ma tu, na­turalmente, bandiera bianca!

Franca                            - Sì, gli ho spedito un telegramma.

Roberto                         - Perfettamente. Le sciocchezze si fan sempre coi mezzi più rapidi. E indovino quello che gli hai telegrafato: « Hai ragione. Mi hai trattata male, ma io sono una stu­pida, e ti amo lo stesso ».

Franca                            - No, troppo costoso. Ho speso meno: una parola sola: « Vieni ».

Roberto                         - E lui, ricevuto il telegramma, qui di furia, come un espresso!

Franca                            - Ora è giù nell'atrio. Mi aspetta. Son venuta per dirtelo.

Roberto                         - Ma, da me, non ti ha mandato l'al­bergatore ?

Franca                            - Macché. Non l'ho neppure visto. Son salita io, per parlarti di Raniero.

Roberto                         - Ah si? Invece parlo io, a te e, per­ché no? anche a lui. A tutt'e due. Anzi, guarda che idea, a tutt'e tre. Mi combini i pasticci? Almeno trovatici in mezzo anche tu. Li faccio venir su tutt'e due, Balestri e Gerlini, e voglio un po' vedere!

Franca                            - No, io ti proibisco...

Roberto                   - Tu non mi proibisci più niente! (Al telefono) Pregate il signor Balestri e il signor Gerlini... sì, è nell'atrio... di salire subito al numero 48! (Depone il ricevitore)

Franca                            - Io non rimango! (E s'avvia)

Roberto                         - Ah, brava!... Ti fai rincorrere da una muta di giovinotti e al momento buono fai la lepre e ti squagli! Bada che la tua sorte è ormai legata anche alla mia. E non è male che Raniero senta con le sue orec­chie che ti hanno veramente chiesta in mo­glie. Devi rimanere.

Franca                            - Però non aprirò bocca!

Roberto                         - Farai quel che ti pare.

Franca                            - Sarò padrona o no di tacere?

Roberto                         - Sei la prima donna al mondo che rinunzia alla parola.

Aldo                              - (affacciandosi, impacciato) Mi avete... II portiere mi ha detto... (E si ferma in fondo)

Roberto                         - Venite avanti, accomodatevi, prego!

Aldo                              - Ma... (Guarda Roberto, guarda Fran­ca, fa qualche passo e resta in piedi)

Roberto                         - Nera impressionatevi! Adesso verrà un'altra persona... oh, eccola!

Raniero                          - (entra) Buongiorno, Roberto!

Roberto                         - Addio; prego, siedi!

Raniero                          - Grazie, resto in piedi.

Roberto                         - Come vuoi. Tutta gente di cono­scenza. Ah no, voi due non vi conoscete. (Presentando) L'ingegner Balestri, il dottor Gerlini... (Inchino dei due)

Aldo                              - Ma io, veramente...

Roberto                         - Non mi interrompete, vi prego. L'in­gegner Aldo Balestri mi ha chiesto la mano di Franca.

Raniero                          - (con un sobbalzò) A te?

Roberto                         - Sì, a me.

Raniero                          - (violento) Ma da quando in qua...?

Roberto                         - Stai calmo, perché Franca non gliela accorda. (Ad Aldo) E dunque, caro giovinotto, niente da fare.

Aldo                              - (indignato) E me lo dite dinanzi a un estraneo?

Roberto                         - Ma non è un estraneo!... Lo so, avreste preferito ve l'avessi detto a quattro occhi. Ma a quattro o a otto, un no è sem­pre un no. E non mi fate quella brutta fac­cia... Siete giovane, vi consolerete presto. Addio, giovinotto! Non vi smarrite così... Su, su, disinvolto! Salutate. Buongiorno a me, buongiorno a lui e anche a lei. (Lo so­spinge alla porta) E partite con la prima corriera. Buon viaggio, caro! (E io spinge fuori),

Aldo                              - (ribellandosi) Ah no! Niente « caro »! Niente buon viaggio! Farò il viaggio che ac­comoda a me. Ma guarda un po' che lui se la fa, se la dice, e mi manda sempre via quando vuoi lui. Vado da me! E voi, signo­rina schizzinosa, state bene in guardia, per­ché lui non vi mollerà né a me né a nes­suno. Voi sarete sua schiava e finirete sua infermiera! Cosa credete? Perché sono timi­do! (A Roberto) Ma anche un timido, a un certo momento, non ci vede più, e manda a farsi benedire lei, voi e tutti quanti! (E con un colpo spalanca l'uscio ed esce)

Roberto                         - (tranquillo) Cosa credete? Che que­sto sfogo gli farà bene? (A Raniero) E ades­so, a noi due! Vuoi parlare con Franca un'al­tra volta? Parliamo.

Raniero                          - Ma devo parlare con lei, non con te.

Roberto                         - E io assisto al colloquio.

Raniero                          - Io invece voglio parlare da solo a sola!

Roberto                         - Nossignore. Parliamo a tre.

Raniero                          - Ma chi ti ha mai detto d'immi­schiarti nelle cose nostre?

Roberto                         - Ah, senti! Non sei stato tu?

Raniero                          - (a Franca) E tu tolleri?...

Roberto                         - Si capisce che tollera. Lo faccio per il suo bene! Ora vedrai. Tu, qui, cosa vuoi?

Raniero                          - Lo sai meglio di me.

Roberto                         - Vuoi Franca.

Raniero                          - Precisamente!

Roberto                         - Vuoi portartela via.

Raniero                          - Esatto.

Roberto                         - Vuoi continuare a tenertela per amante.

Raniero                          - Si! Non posso pensare ad altre.

Roberto                         - Ma tu, come amante, non te la tieni.

Raniero                          - Voglio vedere chi me lo impedisce!

Roberto                         - Tu, proprio tu.

Raniero                          - Come, io?...

Roberto                         - Si, tu. Perché tu... la sposi!

Raniero                          - Io la...?

Roberto                         - Ah, non t'è mai venuto in mente? A me sì, in questo momento. Se tu la sposi, io te la consegno. Anzi no; te la consegno il giorno delle nozze.

Raniero                          - Ma sì! Perché no? (Con calma) Franca, ci stai?

Roberto                         - Ci sta, ci sta. Siete fatti l'uno per l'altra. Vi meritate a vicenda. Tu sei venuto a cercarla qui e altrove; e lei non ha fatto che rifiutarsi, difendersi, dire di no anche alle proposte più oneste e lusinghiere. Hai visto quel giovinotto? E allora è chiaro che lei, a torto naturalmente, la sua felicità non la vede che in te. (A Franca) È così o sbaglio?

Franca                            - È così.

Raniero                          - E allora, Franca, partiamo.

Roberto                         - Niente partiamo. Parti tu solo!

Raniero                          - E Franca dovrebbe rimanere ancora con te?

Roberto                         - Naturalmente.

Raniero                          - Ma come?... La mia fidanzata, - perché adesso è la mia fidanzata - deve re­star sola con un signore...

Roberto                         - Ma io non sono « un signore »... Non saprei dirti cosa sono, perché non mi ri­conosco più; ma non sono « un signore »... Va', parti tu solo e parti contento. Ti è an­data bene.

Raniero                          - Facciamo così: partiamo tutt'e tre.

Franca                            - (gioiosa) Ma sì, si fa tutta una spe­dizione...

Roberto                         - (serio) No, io no. Se vuoi proprio andare, va' con lui. (Brusco, a tutt'e due) Andate, andate! (A Raniero) Su, cosa aspet­ti? Corri a fissare la macchina.

Raniero                          - Subito! (E s'avvia sulla soglia) Ro­berto, quasi quasi, questa volta, il sigaro me lo fumo io.

Roberto                         - (offrendogliene uno) Troppo giusto. Eccotelo.

Raniero                          - Lo fumerò dopo cena alla tua salute. (Si mette il sigaro nel taschino della giacca ed esce)

Franca                            - (guarda dalla finestra Raniero; poi di colpo, festosamente) Ah, il bagaglio! Vado a preparare il bagaglio. (S'avvia di corsa)

Roberto                         - (asciutto) Non c'è tanta premura, ma se proprio hai tanta furia,  - (le indica la porta) accomodati.

Franca                            - (si ferma) Scusami.

Roberto                         - Di che?

Franca                            - Non ti ho neanche ringraziato.

Roberto                         - Non ne vale la pena.

Franca                            - Sei stato generoso.

Roberto                         - La generosità va tutta a danno di chi la pratica; e per gli imbecilli ha un altro nome!

Franca                            - Perché dici questo?

Roberto                         - Cosi.

Franca                            - (ritorna in scena) Ti sono spiaciuta?

Roberto                         - No no. Niente niente. Non ti preoc­cupare.

Franca                            - Non mi sembri del tuo umore.

Roberto                         - Non è niente. Passerà

Franca                            - No, tu hai qualcosa. Dimmi cos'è.

Roberto                         - Non lo so.

Franca                            - Eppure, un momento fa eri così tu.

Roberto                         - E adesso no. Non si è mai uguali.

Franca                            - Allora la colpa è mia...

Roberto                         - Tu non c'entri.

Franca                            - Scusa; ma ti sei cambiato di colpo, appena uscito Raniero.

Roberto                         - Può darsi. Sì è li, si parla con una persona, poi quella esce, e tutt'a un tratto si soffre. Non ci capisco niente neanch'io!

Franca                            - Per Raniero?

Roberto                         - E per chi, allora? Per te? Ma nooo. Tu segui la tua via, il tuo amore - oh, mi inchino all'amore! e fai bene, benissimo, arcibenissimo... E poi, che cosa sono io per te?... Meno che niente, uno che passa, che è passato.. Non s'era detto che scaduti i quindici giorni te ne saresti andata? E di­fatti! Te ne vai con Raniero: tanto meglio. Te ne vai col fidanzato, vai via fidanzata... Meglio di così! E poi, sono stato io, no?, a farti sposare! Non sono stato io? Non è a me che è venuta quella splendida idea? E dunque!

Franca                     - Lo dici in un certo modo...

Roberto                         - Devo gridare: « Evviva gli sposi »? £ questo che vuoi? Facciamo anche questo: « Evviva gli sposi! » Desideri altro?

Franca                            - Vorrei meno amarezza nelle tue pa­role.

Roberto                         - Amarezza? Si capisce. Abbiamo fat­to un po' di strada assieme. Tu m'hai rac­contato tutto di te, io tutto di me, con la sincerità dei compagni di viaggio che sanno di non incontrarsi mai più. Tu sei arrivata alla tua stazione, scendi, è naturale che io mi affacci al finestrino a guardarti con un po' di rimpianto... Non pensavo, però, che fos­se così dura... Tu no, tu scendi svelta, dai il braccio a chi ti aspetta, ti allontani con lui, ti volti un attimo con un sorriso e un cenno: « Addio! », e scomparisci.

Franca                            - Che ne sai?

Roberto                         - Vorresti farmi credere?... Non ho bisogno né dì illusioni né di elemosine. Io continuo a viaggiar solo. Ci sono abituato. Non cercare dunque frasi di conforto. Non è il caso, e non mi servono.

Franca                            - Se mi sposo, non vuoi dire. Ci ve­dremo ugualmente. Raniero...

Roberto                         - (negativo) Aah, Raniero mi farà ca­pire che, per me, in casa sua non c'è posto. Non si tiene volentieri vicino il testimone di una cattiva azione.

Franca                            - Ma tu l'hai rimediata!

Roberto                         - Motivo di più. Non è mai una bella vista il proprio benefattore, o peggio, il pro­prio giudice.

Franca                            - Ci incontreremo fuori. Verrò io da te.

Roberto                         - No, questo non lo vorrei. Trovarci di nascosto, no. Fra noi non c'è stato nulla di male; è inutile crearne le apparenze.

Franca                            - Allora è proprio una separazione...

Roberto                         - Una separazione... senza matri­monio.

Franca                            - Perche tu?...

Roberto                         - Ohibò! Non ho mai pensato di spo­sare... (Ironico) mia figlia!

Franca                            - Mi serbi sempre rancore?

Roberto                         - Tutti ti hanno creduta mia figlia, no?

Franca                            - La gente crede quel che le si fa cre­dere.

Roberto                         - E a te non dispiaceva.

Franca                            - Affatto. Per me che son di nessuno, uno stato civile è uno stato di grazia. A te, piuttosto, era spiaciuto!

Roberto                         - Sfido, m'invecchiava!

Franca                            - E tu vuoi sempre esser giovane...

Roberto                         - Sicuro; per disperarmi meno d'es­ser solo.

Franca                            - Ma ti è cosi penosa la solitudine?

Roberto                         - Ora sì.

Franca                            - E allora, perché tu?...

Roberto                         - Perché... perché... Bisognerebbe fare il processo a tutta la mia vita. Un processo a porte chiuse.

Franca                            - Ma tu solo non ci starai.

Roberto                         - Ah, tu pensi che mi troverò una compagna?

Franca                            - Ne sono sicura.

Roberto                         - Oh! mi sentirò più solo che mai... Intanto, non potrei volerle bene; tutto quel po' di bene che mi era rimasto disponibile te lo sei preso tu... È strano, quanto sei en­trata nella mia vita... Ci sei entrata tanto che io non so come uscire dalla tua... Com­pagne ne ho sempre avute, ma erano sempre legate alle convenienze, alla famiglia, al la­voro, ai diritti altrui... Erano amori, pas­sioni a ore fisse; ma il resto del tempo era mio. È la prima volta, - pare incredibile, ma è la verità - è la prima volta che passo giorni interi con una donna... Sì, quindici giorni son niente, pure son bastati a darmi il gusto d'una convivenza che ho sempre fuggito con spavento... Ma la donna mi pia­ceva, e più che la donna, la femminilità... Ma con te la femminilità è un'altra cosa... Anche l'amore è un'altra cosa... Non mi im­porta più di essere amato, ma di amare, di amarti... d'un bene che vuoi soltanto do­nare, prodigarsi. Tu me l'hai acceso, ed ora che c'è e chiede di espandersi, te ne vai... e io non so più a chi darlo questo bene nuovo, diverso... Rimango con la pena di chi ha preso la rincorsa per saltare un ostacolo, e d'un tratto gli si leva il trampolino... Mor­tificato!... Ecco di che specie è ora la mia solitudine... è una solitudine avvilita, senza rimedio... Ora che non ti avrò più, mi sem­bra, d'un tratto, di non aver più nulla da fare... Disoccupato, desolato, senza più vo­glia di niente... Tu ti sei allontanata grada-tamente da me, a poco a poco, pur restan­domi vicina... e ora ti vedo, di colpo, vi­cina e lontana... Sei, che so, il profumo, l'immagine di una donna... Ti posso pen­sare con castità, guardare con verecondia, amare con adorazione... IL curioso quanto sei ascesa... Se penso che ti ho fatto persino sposare, quasi quasi devo dire che quel Ba­lestri non aveva tutti i torti di credermi tuo... E neanche tu di farti passare per... Potresti esserla... Il mio socio, il Martelli, ha una figlia della tua età... Non sarebbe poi cosi inverosimile se anch'io... se anche tu mi dicessi: babbo!

Franca                            - Come? Io dirti?... (Ride) Quest'è buffa! (Ride)

Roberto                         - Non scherzo. M'è venuto dal fon­do... Ne sono sorpreso anch'io... Ma non importa... Vediamo... prova!

Franca                            - Ma via! Non si può giocare con que­ste. .. Io non posso. Quella parola mi ri­muove troppe cose, proprio ora che... No, lasciami tranquilla!

Roberto                         - Due sillabe! Cos'è per te dire due sillabe? Un attimo. Poi, se mai, ci si ride assieme.

Franca                            - No, se io le dico, non si può più ridere...

Roberto                         - Ma perché non vuoi?

Franca                            - Perché no.

Roberto                         - Neanche se ti prego? Ma come? Pri­ma che non volevo io, ti sei quasi offesa; e adesso che sono io a pregarti...

Franca                            - Sì, ma per provare. Tu, che l'hai conosciuto, tuo padre, che sai chi è, puoi pensare a questa... bizzarria; ma io no; io, se dico quella parola, chiamo qualcuno, evoco qualcuno... e non saprei riconoscerlo. Mi fai male!

Roberto                         - Non mi capisci... Non capisci quello che è avvenuto dentro di me... Avere la mia età mi allontana da te, e mi permette di tornarti accanto con altro passo... un passo cauto, trepido, che mi ricorda quello di mio padre, quando durante una mia lunga convalescenza mi si avvicinava... Io credo che se se tu mi dici quelle due sillabe non mi sem­brerà strano... A te si, per te sarà uno stu­pore... Ti son rimaste in gola per tanti an­ni... se le dici a me, è come se le dicessi a lui... E forse ti sente, anche lui come me... Dille piano, sottovoce, come si parla ai vivi che soffrono e ai morti che aspettano...

Franca                            - (sottovoce ma nitidamente) Babbo.

Roberto                         - Sì, figliola, son qui. Non temere di nulla. Le nostre vite disperse, tu senza nes­suno ieri, io senza nessuno domani, si sal­dano, e se non guariscono il nostro male, lo consolano... Su su, non commuoviamoci troppo... (Altro tono) Guarda... Facciamo l'ipotesi, una ipotesi si può fare, no? - che io ti consideri mia figlia... In certe brutte giornate, sai che farei? Ti chiederei: «Mi vuoi a pranzo stasera? ». E tu: «Sì, volentieri, babbo ». « Grazie, alle otto sono da te ». Anzi da voi, perché Raniero non avrebbe nulla a ridire. E cambierei la cra­vatta, mi vestirei per benino, e con chi mi incontra e mi dice: « Dove vai così elegan­te? », mi vanterei: « Vado a pranzo da mia figlia ». E se l'altro sorride, io rispondo: « Sì, va bene, non lo è per natura, ma per amore sì. Io le voglio bene come a una fi­glia ». E se l'altro sorride ancora, m'arrab­bio: « Sicuro. E grazie a lei ho una casa, e non mi sento più solo ». E se quello sog­ghigna: « Eh! surrogati », allora scoppio: « Si, surrogati, lo so... ma oh, di un vin­colo di sangue!... Io rimpiango, di non averlo creato e lo rimedio come posso. Caro amico, con quell'altro amore si può giocare, ma con questo no! ». (Semplice) Ecco... (Affettuoso e vivace) Mi vuoi a pranzo da te?...

Franca                            - (con gioia commossa) Tu mi prende­resti per...

Roberto                         - Non ho che questo mezzo per averti sempre vicina, per esserti sempre vicino...

Franca                            - Si sì, ma...

Roberto                         - (con gioia) Sì? Mi hai detto di sì?

Franca                            - Ma è troppo... è troppo!... Ho paura che mi capiti qualche disgrazia!

Roberto                         - E allora rallegrati, perché la disgra­zia ti è già capitata: sposi Raniero!

Raniero                          - (entra) L'automobile c'è fra un'ora: tutto fatto.

Roberto                         - Anche noi: tutto fatto.

Raniero                          - Cosa dici?

Roberto                         - Novità.

Raniero                          - Ancora?!

Roberto                   - Tu mi ci hai messo di mezzo? E io ci rimango, per sempre: adotto Franca.

Raniero                          - (stupito) Ma no!

Roberto                         - Perché no? Io ho gli anni che ho... lei, guarda che pochi ne ha... La legge, a queste condizioni, ce lo permette. Vieta tan­te cose la legge, che quando ne permette una, è un peccato non approfittarne.

Raniero                          - (a Franca) Ma è proprio vero?

Franca                            - Sì. È vero.

Raniero                   - E tu?...

Franca                            - Io? Lo vedi: rido e piango.

Roberto                         - (trionfante) Raniero! Te l'ho fatta? Sono tuo suocero!...

Raniero                          - (che non ci aveva pensato) Ah già! (Comicamente aggressivo) Ma io mi vendico: ti faccio subito nonno!

Roberto                         - Staremo a vedere! ... Ma intanto (con forza) ti farò rigar dritto... E le ma­tite, tutte in fila sai? Tutte in fila. Tutte!... Ti farò obbedire... Comincio! (Naturale) Dammi quel sigaro! (Gli mette la mano nel taschino della giacca e glielo leva mentre cala il sipario.

FINE