Un angelo viene a Babilonia

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UN ANGELO VIENE A BABILONIA

UN ANGELO VIENE A BABILONIA di

Friedrich Dürrenmatt

Titolo originale:

Ein Engel kommt nach Babylon

Traduzione di Aloisio Rendi

Casa Editrice: Einaudi Anno: 1975

PERSONE L'angelo La fanciulla Kurrubi Akki Nabucodonosor, re di Babilonia Nembrotte, ex re di Babilonia Il principe ereditario, figlio di ambedue L'arciministro Il teologo capo Utnapischtim Il generale Primo soldato Secondo soldato Terzo soldato Un poliziotto Il banchiere Enggibi Il venditore di vino Alí La prostituta Tabtum Primo lavoratore Secondo lavoratore, con piú senso di classe Prima moglie di lavoratore Seconda moglie di lavoratore Un uomo solenne Il boia Il venditore di latte d'asina Gimmil Molti poeti Popolo eccetera. 

ATTO PRIMO

Per cominciare subito col luogo piú importante, anche se fornisce non la scena ma soltanto lo sfondo di questa commedia: un cielo smisurato si stende al di sopra di tutto, con al centro la nebulosa Andromeda, press'a poco come la vediamo noi nei telescopi del monte Wilson o del monte Palomar, minacciosamente vicina, tanto da riempire quasi la metà dello sfondo della scena. Da questo cielo scese una volta, e una volta sola, un angelo travestito da mendicante, lacero, con una lunga barba rossa e con al fianco una fanciulla velata. I due viandanti stanno per l'appunto raggiungendo la città di Babilonia e il Lungo eufrate. Al centro della piazzetta un lampione a gas antico-babilonese naturalmente un po' fioco rispetto al cielo che si stende so- pra di esso. Piú in là, sulle facciate delle case e negli spazi pubblicitari, sono affissi manifesti, alcuni stracciati, per esempio del seguente tenore: « Chi mendica danneggia la patria». « Mendicare è asociale ». «Mendicanti, entrate nel servizio di Stato». Nello sfondo, poi, si indovinano strade della colossale metro- poli, una confusione di palazzi, di grattacieli e di capanne che si perde nella sabbia gialla del deserto, un insieme grandioso e sudicio al tempo stesso, abitato da milioni di persone. 

L’ANGELO                           -  Dato che tu, bambina mia, sei stata creata solo pochi secondi fa, in maniera quanto mai straordinaria dal mio Signo- re, apprendi dunque che io che cammino accanto a te travesti- to da mendicante sono un angelo, che questa materia dura e riottosa su cui ci muoviamo adesso è la terra - a meno di es- sermi sbagliato completamente nella direzione - e che questi blocchi bianchi sono le case della città di Babilonia.

LA FANCIULLA                  - Sí, mio angelo.

L’ANGELO                           -  (tira fuori una carta geografica e la esamina) La gran- de massa che scorre davanti a noi è l'Eufrate. (Va giú al para- petto del fiume e mette il dito nelle onde, poi lo porta alla bocca) Sembra consistere di una gran quantità di rugiada agglomerata.

LA FANCIULLA                  - Sí, mio angelo.

L’ANGELO                           -  La figura curva e chiara sopra di noi ti prego di solle- vare un poco la testa, è la luna - e la nube smisurata dietro di noi, lattea nella sua maestà, è la nebulosa Andromeda che tu conosci dato che noi veniamo di lí. (Batte con un dito sulla carta geografica). è esatto, c'è segnato proprio tutto, sulla carta.

LA FANCIULLA                  - Sí, mio angelo.

L’ANGELO                           -  Tu poi che cammini al mio fianco ti chiami Kurrubi e fosti creata, come ho già accennato, solo pochi minuti fa dal mio Signore in persona, in quanto Egli, come ora ti posso ri- velare, immerse dinanzi ai miei occhi la mano destra nel nulla e strofinò leggermente il dito medio col pollice, al che già muo- vevi alcuni passi graziosi sulla palma della sua mano.

KURRUBI                             -  Mi ricordo, mio angelo.

L’ANGELO                           -  Molto bene, ricordatene sempre, perché d'ora in poi sarai separata da colui che ti ha creato dal nulla e sulla cui ma- no hai danzato.

KURRUBI                             -  Dove devo andare adesso?

L’ANGELO                           -  Devi andare là dove siamo giunti noi ora: dagli uomini.

KURRUBI                             -  E che cosa sono, gli uomini?

L’ANGELO                           -  (imbarazzato) Mia cara

KURRUBI                             - , devo confessarti che su questo campo della creazione son ben poco informato. Ho sentito una volta sola, diverse migliaia di anni fa, una confe- renza su questo argomento. In base ad essa gli uomini sono es- seri della nostra figura attuale che considero poco pratica in quanto fornita di diversi organi che non comprendo. Son pro- prio lieto di potermi ben presto ritrasformare in angelo.

KURRUBI                             -  Allora io adesso sono un uomo?

L’ANGELO                           -  Tu sei un essere in forma umana. (Si schiarisce la gola) In base alla conferenza che ho ascoltato, gli uomini si riproducono tra di loro mentre tu sei stata creata da Dio dal nulla. Vorrei perciò chiamarti un uomo-nulla. Tu sei indistrug- gibile come il nulla e effimera come l'uomo.

KURRUBI                             -  E che cosa devo portare agli uomini?

L’ANGELO                           -  Mia cara

KURRUBI                             - , dato che non hai neanche un quarto  d'ora di vita voglio perdonarti le tue molte domande. Devi però sapere che una fanciulla veramente pia non pone mai do- mande. Tu non devi portare niente agli uomini, bensí sei tu stessa che vieni portata agli uomini.

KURRUBI                             -  (dopo una breve riflessione) Questo non lo capisco.

L’ANGELO                           -  Ciò che viene dalla mano di colui che ti creò non lo comprendiamo mai, bambina mia.

KURRUBI                             -  Perdonami.

L’ANGELO                           -  Ho ricevuto l'incarico di affidarti al piú umile degli uomini.

KURRUBI                             -  Devo ubbidirti.

L’ANGELO                           -  (studia di nuovo la carta geografica) I piú umili tra gli uomini sono i mendicanti. Tu verrai perciò affidata a un certo Akki che, se questa carta è esatta, è l'unico mendicante ancora esistente sulla terra. Probabilmente un monumento naturale in carne e ossa. (Fieramente) è grandiosa, questa carta geografica! C'è segnato tutto, qui dentro.

KURRUBI                             -  Se il mendicante Akki è il piú umile degli uomini allora  sarà infelice.

L’ANGELO                           -  Ma che razza di parole usi nella tua giovanile inespe- rienza. Tutto ciò che è creato è buono, e tutto ciò che è buono è felice. Nei miei lunghi viaggi attraverso la creazione non ho mai incontrato neanche un briciolo di infelicità.

KURRUBI                             -  Sí, mio angelo.  Vanno verso destra.

L’ANGELO                           -  si curva sopra il proscenio. 

L’ANGELO                           -  A questo punto l'Eufrate fa una curva. Qui dobbiamo aspettare il mendicante Akki. Sediamoci e dormiamo un poco. Il viaggio mi ha stancato e inoltre nel girare intorno a Giove una delle sue lune mi è capitata fra le gambe. (Si siedono da- vanti sulla destra). Vieni vicino a me, cingimi con le tue braccia. Ci ricopriamo con questa meravigliosa carta geografica. Io nei miei soli sono abituato a ben altre temperature. Ho freddo, ben- ché a giudicare da questa carta debba essere una delle regioni piú calde della terra. A quanto pare si tratta di un pianeta freddo.  Si coprono con la carta geografica e si addormentano abbrac- ciati l'uno all'altra. Da destra entra Nabucodonosor, ancor gio- vane, per niente antipatico e un po' ingenuo. è accompagnato dal suo seguito che comprende tra gli altri: l'arciministro, il generale, il capo teologo Utnapischtim e un boia mascherato, vestito di rosso.

NABUCODONOSOR           -  Ora che i miei eserciti hanno raggiunto a nord il Libano, a sud il mare, all'ovest un deserto e all'est una mon- tagna cosí alta che non finisce piú, ho manifestamente conqui- stato tutto il mondo.

L’ARCIMINISTRO               -  In nome dei ministri...

UTNAPISCHTIM                  -  In nome della chiesa.

IL GENERALE                     - In nome dell'esercito.

IL BOIA                                 - In nome della giustizia...

TUTTI e QUATTRO IN CORO Ci congratuliamo con sua maestà il re

NABUCODONOSOR           -  per il nuovo ordinamento del mondo. (Si inchinano).

NABUCODONOSOR           -  Novecento anni ho trascorso come sgabello di re Nembrotte in una posizione sgradevole e rattrappita. Ma non era questa l'unica offesa. Per novecento anni tu, arciministro, mi hai sputato in faccia ad ogni udienza.

L’ARCIMINISTRO               -  (si inchina imbarazzato) Maestà, Nembrotte mi costrinse...  In distanza si odono tamburi negri. 

NABUCODONOSOR           -  Nembrotte è stato arrestato. Al sorger del giorno  giungerà a Babilionia, come mi annunciano adesso da Lamasch i  miei suonatori di tamburi negri, un dono della regina di Saba. Ora Nembrotte sarà lo sgabello per i miei piedi. Ti co- stringerò a sputargli nel volto, arciministro.

L’ARCIMINISTRO               -  (con calore) Maestà, quando in un'epoca lonta- nissima voi eravate re e Nembrotte sgabello per i vostri piedi, mi toccava sputare in faccia a lui. Quando novecento anni fa Nem- brotte divenne re e vostra maestà divenne lo sgabello per i suoi piedi, dovevo sputare in faccia a vostra maestà. Non sarebbe meglio liberarmi una volta per tutte dallo sputare, una istanza questa che io presento ogni volta che ha luogo un rinnovamento del regno?

NABUCODONOSOR           -  Ciò che è giusto, è giusto. Fa' il tuo dovere e sputa. (

L’ARCIMINISTRO               -  si inchina). Ma anche nel suo insieme il regno è veramente mal ridotto. Devo affrettarmi a metter ordine e riparare i danni della cattiva amministrazione. La vita è breve. Devo realizzare le idee che son nate in me quando ero sgabello di Nembrotte.

L’ARCIMINISTRO               -  Vostra maestà intende introdurre lo stato ve- ramente sociale.

NABUCODONOSOR           -  Mi sorprende, arciministro, che tu conosca cosí  bene i miei pensieri.

L’ARCIMINISTRO               -  I re hanno sempre una visione sociale quando sono ridotti in uno stato di umiliazione, maestà.

NABUCODONOSOR           -  Come sempre quando Nembrotte era al gover- no, l'economia privata andava troppo bene e lo stato troppo male. La folla dei commercianti, semicommercianti, sottocom- mercianti e intercommercianti è incredibile. Il numero dei ban- chieri e dei mendicanti, atroce. Procedere contro i banchieri non mi è attualmente possibile. Mi basta ricordare lo stato delle no- stre finanze. Ho però vietato l'accattonaggio. Si è dato seguito al mio ordine?

L’ARCIMINISTRO               -  I mendicanti sono passati nel servizio di stato, maestà. In qualità di esattori delle tasse. Solo un mendicante di nome Akki vuol continuare nella sua miserabile attività attuale.

NABUCODONOSOR           -  è stato multato?

L’ARCIMINISTRO               -  Inutilmente.

NABUCODONOSOR           -  Frustato?

L’ARCIMINISTRO               -  Spietatamente.

NABUCODONOSOR           -  Torturato?

L’ARCIMINISTRO               -  Nessuna parte del suo corpo che non sia stata tormentata con tenaglie ardenti, nessun osso che non sia stato sottoposto a terribili pesi e strattonate.

NABUCODONOSOR           -  E continua tuttora a rifiutarsi?

L’ARCIMINISTRO               -  Niente riesce a scuoterlo.

NABUCODONOSOR           -  Questo Akki è il motivo per cui mi trovo a quest'ora notturna sulle rive dell'Eufrate. Sarebbe cosa facile ormai farlo impiccare. Tuttavia non è indegno di un grande sovrano tentare ancora una volta la via dell'umanità. Ho perciò  deciso di spartire un'ora della mia vita con il piú umile dei miei sudditi. Vestitemi dunque con quel vecchio mantello di mendicante che ho fatto tirar fuori dal guardaroba del mio teatro di corte.

L’ARCIMINISTRO               -  Come vostra maestà comanda.

NABUCODONOSOR           -  Appiccicatemi adesso in faccia la barba rossa che appartiene a questo costume. (

NABUCODONOSOR           -  è travestito ormai da mendicante). Guardate dunque che mai intra- prendo per creare un regno privo d'imperfezioni, una struttu- ra limpida che tutti includa dal carnefice al ministro, tutti quan- ti occupati nella maniera piú gradevole. Noi non miriamo al po- tere, miriamo alla perfezione. La perfezione non contiene in sé niente di inutile, il mendicante invece è inutile. Voglio convin- cere questo Akki a entrare nel servizio di stato in quanto pre- sentandomi a lui come mendicante intendo presentargli davanti agli occhi la sua stessa miseria. Se però insiste nella sua follia verrà impiccato a questo lampione. 

IL BOIA                                 - si inchina. 

L’ARCIMINISTRO               -  Ammiriamo la saggezza di vostra maestà.

NABUCODONOSOR           -  Non ammirate ciò che non comprendete.

L’ARCIMINISTRO               -  Certamente, maestà.

NABUCODONOSOR           -  Allontanatevi, ma non troppo, acciocché sia- te a disposizione se vi chiamo. Finché non vi chiamo, però, nes- suno di voi si faccia vedere.  Tutti si inchinano e vanno verso il fondo dove si nascondono.

NABUCODONOSOR           -  si siede a sinistra vicino all'Eufrate. In questo momento

L’ANGELO                           -  e

KURRUBI                             -  si risvegliano. 

L’ANGELO                           -  (felice) Vedi, questo è un uomo.

KURRUBI                             -  Ha le tue stesse vesti e la stessa barba rossa.

L’ANGELO                           -  Abbiamo incontrato colui che cercavamo, bambina mia. (A NABUCODONOSOR). Sono lieto di incontrare il mendicante Akki di Babilonia.

NABUCODONOSOR           -  (confuso al vedere

L’ANGELO                           -  travestito da men- dicante) Non sono il mendicante Akki, sono un mendicante dí Ninive. (Con tono severo) Pensavo che oltre a me e ad Akki non vi fossero altri mendicanti sulla terra.

L’ANGELO                           -  (a

KURRUBI                             - ) Non so proprio che cosa pensare, cara

KURRUBI                             - , la mia carta geografica è difettosa; a Ninive c'è un altro  mendicante: esistono due mendicanti sulla terra.

NABUCODONOSOR           -  (tra sé) Alla forca col ministro delle informa- zioni: ci son due mendicanti nel mio regno. (Al

L’ANGELO                           - ) Di dove vieni?

L’ANGELO                           -  (imbarazzato) Di là dal Libano.

NABUCODONOSOR           -  Come il grande re

NABUCODONOSOR           -  ha consta- tato, il mondo finisce al Libano. è questa l'opinione concorde di tutti i geografi e gli astronomi.

L’ANGELO                           -  (guarda sulla carta geografica) Anche dall'altra parte ci sono alcuni villaggi. Atene, Sparta, Cartagine, Mosca, Pechi~ no. Vedi? (Mostra i luoghi al re).

NABUCODONOSOR           -  (fra sé) Faccio impiccare anche il geografo di corte. (AlL’ANGELO) Il grande re farà conquistare anche questi villaggi.

L’ANGELO                           -  (a bassa voce a KURRUBI           - ) Il fatto che abbiamo trovato un secondo mendicante cambia la nostra situazione. Adesso devo scoprire qual è il piú povero, se il mendicante Akki o que- sto mendicante di Ninive. Una ricerca che si può eseguire solo con delicatezza e discrezione. (Da sinistra giunge una figura sel- vaggia e lacera, con una barba rossa, cosí che adesso si trovano sulla scena tre mendicanti con lunghe barbe rosse). Ecco un'altro uomo.

KURRUBI                             -  Ha anche lui le tue stesse vesti, o mio angelo, e la stes- sa barba rossa.

L’ANGELO                           -  Se neanche lui è il mendicante Akki comincio ad essere  piuttosto confuso.

NABUCODONOSOR           -  (tra sé) Se neanche questo è il mendicante Akki  faccio impiccare anche il ministro degli interni. (Il personag- gio si siede al centro della scena, sulla riva dell'Eufrate, appog- giandosi con la schiena contro il lampione.

NABUCODONOSOR           -  si schiarisce la voce) Tu sei, come non dubito, il mendicante Akki di Babilonia?

L’ANGELO                           -  Il famoso mendicante Akki, la cui fama si è diffusa in ogni luogo?

AKKI                                      - (tira fuori una bottiglia di acquavite e beve) Il mio nome non m'interessa mai.

NABUCODONOSOR           -  Ognuno ha un nome.

AKKI                                      - E tu chi sei?

NABUCODONOSOR           -  Anche un mendicante.

AKKI                                      - Allora sei un mendicante scadente, perché dal punto di vista del mendicante i tuoi principî son dei cattivi principî. Un mendicante non ha niente, né denaro, né un nome, egli si chia- ma ora in un modo, ora in un altro. Si prende un nome come si prende un tozzo di pane. Io perciò ogni secolo mi accatto un altro nome.

NABUCODONOSOR           -  (solenne) è uno degli interessi piú essenziali e urgenti dell'umanità che ciascuno mantenga il suo nome, che ciascuno sia ciò che egli è.

AKKI                                      - Io sono quel che mi piace essere. Sono stato tutto e adesso sono diventato

AKKI                                      - il mendicante. Ma se vuoi posso essere anche 

NABUCODONOSOR           -  il re.

NABUCODONOSOR           -  (balza in piedi indignato) Impossibile!

AKKI                                      - Niente di piú facile che diventare re. è uno dei piú sem- plici tra i giochi di abilità che bisogna aver appreso già all'ini- zio della propria carriera di mendicante. Io, nel corso della mia vita, sono stato re già sette volte.

NABUCODONOSOR           -  (si è ripreso) Non esiste un re piú grande di

NABUCODONOSOR           - .  Nel fondo si vede tutta la corte reale che si inchina e poi spa- risce immediatamente. 

AKKI                                      - Intendi parlare del piccolo Nabi?

NABUCODONOSOR           -  Come, Nabi?

AKKI                                      - Cosí chiamo il mio amico, il re

NABUCODONOSOR           -  di Babilonia.

NABUCODONOSOR           -  (dopo una pausa, con dignità) Non posso credere  che tu conosca il grande re dei re.

AKKI                                      - Grande? è un nano, sia intellettualmente che fisicamente.

NABUCODONOSOR           -  Sulle statue e sui bassorilievi viene sempre rappresentato alto e maestoso.

AKKI                                      - Eh già, sulle statue. E chi le produce? I nostri scultori ba- bilonesi. Quelli i re li fanno tutti uno simile all'altro. Io lo co- nosco il mio Nabi, nessuno può ingannarmi in proposito. Pur- troppo non segue i miei consigli.

NABUCODONOSOR           -  (sorpreso) I tuoi consigli?

AKKI                                      - Mi fa chiamare a palazzo quando non sa piú come venire a capo dei suoi problemi.

NABUCODONOSOR           -  (confuso) A palazzo?

AKKI                                      - è il re piú stupido che mi sia capitato tra le mani. Regnare è una cosa difficile per lui.

NABUCODONOSOR           -  Regnare sull'umanità è un compito sublime e difficile insieme.

AKKI                                      - Già, è quel che dice sempre anche Nabi. E mi han detto la stessa cosa tutti gli altri re che ho conosciuto. Questa è la scusa dei re, perché chiunque non è un mendicante ha bisogno di una scusa per spiegare perché non è un mendicante. Tempi duri ci aspettano. (Beve. Rivolto al

L’ANGELO                           - ) E tu chi sei?

L’ANGELO                           -  Sono un mendicante anch'io.

AKKI                                      - E il tuo nome?

L’ANGELO                           -  Vengo da un villaggio dove i nomi ancora non esistono.

AKKI                                      - E dove mai è questo simpatico villaggio?

L’ANGELO                           -  Di là dal Libano.

AKKI                                      - è un paese ragionevole, il tuo. Che vuoi tu da me?

L’ANGELO                           -  La va male per i mendicanti nel nostro villaggio. Posso  appena mantenermi col mio accattonaggio e per giunta ho anche una figliolina da nutrire che è qui velata al mio fianco.

AKKI                                      - Un mendicante che se la passa male è un dilettante.

L’ANGELO                           -  Il consiglio comunale del mio villaggio mi ha perciò pagato le spese del viaggio fino al famoso e possente mendicante 

AKKI                                      - affinché io possa imparare meglio l'arte di mendicare. Ti prego di fare di me un mendicante decente, solido e dignitoso.

AKKI                                      - Il consiglio comunale ha agito saggiamente. Ci sono ancora dei consigli comunali a questo mondo.

KURRUBI                             -  (spaventata, al

L’ANGELO                           - ) Tu menti, mio angelo.

L’ANGELO                           -  Il cielo non mente mai, bambina mia. Solo qualche volta gli riesce difficile rendersi comprensibile agli uomini.

AKKI                                      - (a

NABUCODONOSOR           - ) E tu perché sei venuto da me?

NABUCODONOSOR           -  Io sono il famoso e magnifico Anaschamaschtaklaku,  il celeberrimo primo mendicante di Ninive.

AKKI                                      - (sospettoso) Tu saresti il primo mendicante di Ninive?

NABUCODONOSOR           -  Anaschamaschtaklaku, il primo mendicante di Ninive.

AKKI                                      - E che vuoi tu da me?

NABUCODONOSOR           -  Praticamente il contrario di quel che vuole questo mendicante dal villaggio di là del Libano. Son venuto per convincerti che non possiamo piú essere mendicanti. è vero che costituiamo un'attrazione turistica, ma con tutto il rispetto  per il vecchio oriente romantico oggi ha inizio un'epoca mo- derna. Dobbiamo dunque accettare il divieto della nostra ca- tegoria da parte del grande re

NABUCODONOSOR           - .

AKKI                                      - Davvero?

NABUCODONOSOR           -  Un mondo strutturato socialmente non può ammettere mendicanti. è indegno di loro sopportare ulterior- mente la povertà collegata con il mestiere di mendicante.

AKKI                                      - Ah sí?

NABUCODONOSOR           -  Tutti gli altri mendicanti di Ninive, di Babi- lonia, di Ur e di Uruk, e persino di Aleppo e di Susa, hanno get- tato via il loro bastone di mendicante perché il re dei re Nabu- codonosor dava a tutti loro pane e lavoro. Ora si trovano tutti in condizioni relativamente molto migliori di prima.

AKKI                                      - Però!...

NABUCODONOSOR           -  In seguito alla nostra sublime arte di mendi- care non abbiamo sentito il morso della miseria come gli altri nostri compagni mendicanti, benché anche la nostra povertà sia notevole come si può rilevare dalle vesti che indossiamo. Ma anche con l'arte piú consumata non raggiungiamo in questi tempi di favorevole congiuntura economica un guadagno mag- giore di quello per esempio di un poeta, per menzionare i lavo- ratori peggio retribuiti.

AKKI                                      - Dici?

NABUCODONOSOR           -  Per questo motivo, o illustrissimo, ho deciso di abbandonare l'attività di mendicante per entrare al servizio di sua maestà

NABUCODONOSOR           - . Ti prego di fare anche tu come me e presentarti domani mattina al ministero delle finanze. è l'ultima possibilità per te di eseguire l'ordine reale. Nabuco- donosor è molto coscienzioso e potrebbe altrimenti farti impic- care al lampione al quale ti stai appoggiando.  Nel fondo si inchina il boia. 

AKKI                                      - Tu sei il primo mendicante di Ninive?

NABUCODONOSOR           -  Il primo e piú rinomato mendicante di Ninive.

AKKI                                      - E non guadagni di piú di un poeta?

NABUCODONOSOR           -  Non di piú.

AKKI                                      - Allora la colpa dev'essere della tua tecnica di mendicante. Io mantengo da solo ben cinquanta poeti babilonesi.

NABUCODONOSOR           -  (prudentemente) Naturalmente può essere che un poeta a Ninive guadagni qualcosa di piú che a Babilonia.

AKKI                                      - Tu sei il primo mendicante di Ninive e io il primo mendi- cante di Babilonia. Da molto tempo desideravo misurare le mie forze con il mendicante principe di un'altra città. Confrontia- mo dunque la nostra arte. Se vinci tu, entriamo nel servizio di stato stamattina alle otto, e se vinco io, torni indietro a Ninive e continui a mendicare come faccio io a Babilonia, incurante dei pericoli che si corrono nell'esercitare la nostra professione. Si sta facendo giorno e le prime persone cominciano ad alzarsi. è per il mendicante un momento sfavorevole, ma tanto piú spet- tacolare dovrà essere la nostra abilità per riuscire.

L’ANGELO                           -  Cara

KURRUBI                             - , questo è un momento storico: verrai a conoscere tuo marito, il piú povero e piú miserabile dei mendicanti.

KURRUBI                             -  Come potrò far ciò, o mio angelo?

L’ANGELO                           -  è semplicissimo, bambina mia: chi perderà questa sfi- da nell'arte dell'accattonaggio è indubbiamente il piú misera- bile tra gli uomini. (Si batte fieramente un dito contro la fronte).

AKKI                                      - Ecco due operai che marciano attraverso Babilonia, da un quartiere all'altro, a stomaco vuoto, un cammino di tre ore per iniziare il turno mattutino nella fabbrica di mattoni Mascherasch.  Lascio a te di cominciare, mendicante di Ninive.  Due operai vengono da sinistra. 

NABUCODONOSOR           -  (con voce lamentosa) Un'elemosina, onesti la- voratori, un'elemosina per un compagno delle miniere metal- lifere Nebo ridotto all'invalidità.

PRIMO OPERAIO                - Onesti lavoratori? Non dire fesserie.

SECONDO OPERAIO          - Quelli della Nebo ricevono dieci monete di rame di piú alla settimana. Possono benissimo provvedere loro per i loro invalidi.

PRIMO OPERAIO                - Adesso poi che verrà il granito per le costruzio- ni governative, invece dei mattoni...

SECONDO OPERAIO          - Perché regge meglio per l'eternità.

AKKI                                      - Tirate fuori una moneta di rame a testa, farabutti. Voi pensate a riempirvi la pancia per una moneta d'argento alla settimana mentre io faccio la fame, io che tengo alto l'onore dei lavoratori e non mi concedo a questo sfruttamento, e me ne sto a mendicare! Cacciate il proprietario della fabbrica, oppure fuori subito una moneta di rame per ciascuno.

SECONDO OPERAIO          - Come posso fare una rivoluzione se sono solo!

PRIMO OPERAIO                - E io che ho una famiglia!

AKKI                                      - E io forse non ne ho, di famiglie? In tutti i vicoli di questa città circolano le mie famiglie. Fuori la moneta di rame o spro- fonderete nella schiavitú come prima del diluvio universale. è questo il modo e la maniera di lasciar morire di fame me, il piú grande lavoratore di Babilonia? (I due lavoratori consegnano  imbarazzati le due monete di rame, poi escono da destra.

AKKI                                      -  getta in aria le due monete) Il primo scontro l'ho vinto io.

NABUCODONOSOR           -  Strano, i lavoratori a Ninive reagiscono altrimenti.

AKKI                                      - Ecco che si avvicina zoppicando Gimmil, il venditore di latte d'asina.  Gimmil viene da sinistra e dispone le bottiglie di latte davanti alle porte delle case. 

NABUCODONOSOR           -  Dieci monete di rame, sporco venditore di latte  d'asina che sfrutti al sangue le tue mungitrici. Se no ti faccio arrivare in casa il poliziotto Marduk della polizia sindacale. GIMMIL Il poliziotto Marduk, quello che è comprato dalla lat- teria comunale? A me? Ora che arriva il latte di vacca e mi ro- vina? Ma neanche un centesimo do a un mendicante cosí schifoso.

AKKI                                      - (gli getta ai piedi le due monete di rame che ha ottenuto) Tieni Gimmil, tutto quel che possiedo per una bottiglia del mi- glior latte d'asina. Io sono un mendicante e tu un venditore di latte d'asina. Tutti e due facciamo dell'economia privata. Vi- va il latte d'asina, viva l'economia privata! Babilonia è diven- tata grande attraverso il latte d'asina, i patrioti babilonesi be- vono latte d'asina! GIMMIL (entusiasta) Eccoti due bottiglie e una moneta d'argen- to. Con un babilonese come te sono pronto ad affrontare tutto il latte di vacca statale del mondo. Patrioti babilonesi bevono lat- te d'asina! è grandioso! Come slogan è molto migliore che non « Col latte di vacca per il progresso»! (Esce a sinistra).

NABUCODONOSOR           -  Strano. Non sono ancora veramente in forma.

AKKI                                      - Ecco un caso molto semplice, un modello esemplare per un mendicante. è la cortigiana Tabtum che sta andando con la sua serva alla piazza Anu per acquistare verdura fresca. Un pro- blema tecnicamente semplice che permette eleganti soluzioni.  Dal fondo viene avanti la cortigiana Tabtum con la sua serva che porta una cesta sul capo. 

NABUCODONOSOR           -  (in tono lamentoso) Un'elemosina, nobilissi- ma dama, regina della castità. Un'elemosina a un povero ma onesto mendicante che non mangia da tre giorni.

TABTUM                               - Eccoti una moneta d'argento. E tu in cambio prega da- vanti al tempio della grande Istar affinché io abbia fortuna in amore. (Dà a

NABUCODONOSOR           -  una moneta d'argento).

AKKI                                      - Ah, ah!

TABTUM                               - Perché ridi, zoticone?

AKKI                                      - Rido, graziosissima giovane, perché dài a questo povero miserabile di Ninive solo una moneta d'argento. è un mendi- cante incapace, o bellissima, e bisogna pur dargli almeno due monete d'argento affinché la sua preghiera acquisti anche solo  un po' di vigore.

TABTUM                               - Un'altra moneta d'argento?

AKKI                                      - Appunto.  La cortigiana dà a

NABUCODONOSOR           -  un'altra moneta d'argento. 

TABTUM                               - (ad Akki) E tu chi sei?

AKKI                                      - Io invece sono un vero mendicante, laureato e specializzato.

TABTUM                               - Pregherai anche tu la dea dell'amore perché mi esaudisca?

AKKI                                      - Io prego raramente ma per te, o piú bella di tutte, lo fa- rò in via del tutto eccezionale.

TABTUM                               - E le tue preghiere han successo?

AKKI                                      - Eccome, bella giovane, eccome! Quando comincio a pre- gare Istar, tutto il letto del cielo su cui riposa la dea trema di- nanzi al tumulto dei miei salmi. Avrai piú uomini ricchi di quanti ne possiedano Babilonia e Ninive messe insieme.

TABTUM                               - Darò anche a te due monete d'argento.

AKKI                                      - Sarò felice se mi donerai un sorriso delle tue labbra rosse. Mi basta.

TABTUM                               - (meravigliata) Non vuoi il mio denaro?

AKKI                                      - Non prendertela a male, o splendidissima. Io sono un men- dicante nobile che mendica da re, grandi banchieri e dame del- l'alta società e prende solo da una moneta d'oro in su. Un sor- riso della tua bocca, o perfettissima, un sorriso e io sono felice.

TABTUM                               - (incuriosita) E quanto dànno le dame dell'altra societa?

AKKI                                      - Due monete d'oro.

TABTUM                               - E io invece posso dartene tre, di monete d'oro.

AKKI                                      - Allora appartieni all'altissima società, mia bella dama. (Lei gli dà tre monete d'oro). La signora Hamurapi, la moglie dell'ar- ciministro, non dà neanche lei piú di cosí.  Nel fondo si vede

L’ARCIMINISTRO               -  che sta ad ascoltare interessato. 

TABTUM                               - La Hamurapi? Quella mantenuta dal quinto quartiere?  La prossima volta ne riceverai quattro, di monete d'oro.  Se ne va a destra con la sua serva.

L’ARCIMINISTRO               -  sparisce furibondo. 

AKKI                                      - Dunque?

NABUCODONOSOR           -  (si gratta la testa) Devo ammettere che finora hai vinto tu.

L’ANGELO                           -  (a

KURRUBI                             - ) è un mendicante di gran talento questo Akki. La terra sembra essere una stella emozionante. Per lo meno è eccitante per me, dopo tutti quei soli.

NABUCODONOSOR           -  Adesso comincio a prenderci la mano.

AKKI                                      - Tanto meglio, mendicante di Ninive. Ecco là che sta par- tendo per un viaggio Enggibi, il capo della casa bancaria Enggibi  e figlio, che è dieci volte piú ricco del grande

NABUCODONOSOR           - .

NABUCODONOSOR           -  (sospirando) Ci sono dei capitalisti veramen- te sfacciati, a questo mondo. (Due schiavi portano dentro da destra Enggibi su una portantina. Li segue trotterellando un grasso eunuco). Trenta monete d'oro, grande banchiere, trenta  monete d'oro!

ENGGIBI                               -  Da dove vieni, mendicante?

NABUCODONOSOR           -  Da Ninive. Solo l'alta società mi è cliente. Non ho mai ricevuto meno di trenta monete d'oro.

ENGGIBI                               -  I mercanti di Ninive non sanno che farsene del denaro, a quanto pare. Sprecano nelle piccole cose e risparmiano nelle grandi. Ma giusto perché sei uno straniero ti darò una moneta d'oro. (Fa un segno con la testa: l'eunuco dà a

NABUCODONOSOR           -  una moneta d'oro.

ENGGIBI                               -  ad Akki) Vieni da Ninive anche tu?

AKKI                                      - Io sono un autentico mendicante babilonese.

ENGGIBI                               -  Come indigeno ricevi una moneta d'argento.

AKKI                                      - Non accetto mai di piú di una moneta di rame. Son diven- tato mendicante perché disprezzo il denaro.

ENGGIBI                               -  Tu disprezzi il denaro, mendicante?

AKKI                                      - Non c'è niente di piú spregevole di questo schifoso metallo.

ENGGIBI                               - Ti dò una moneta d'oro come a questo mendicante di Ninive.

AKKI                                      - Ho detto una moneta di rame, banchiere.

ENGGIBI                               -  Dieci monete d'oro.

AKKI                                      - Niente da fare.

ENGGIBI                               -  Venti monete d'oro.

AKKI                                      - Vattene, genio della finanza.

ENGGIBI                               -  Trenta monete d'oro. (

AKKI                                      - sputa per terra). Ti rifiuti di accettare trenta monete d'oro dal capo della piú grande banca  di Babilonia?

AKKI                                      - Il piú grande mendicante di Babilonia pretende solo una moneta di rame da

ENGGIBI                               -  e figlio.

ENGGIBI                               -  Come ti chiami?

AKKI                                      - Akki.

ENGGIBI                               -  Tanto carattere va ricompensato. Eunuco, dàgli trecento  monete d'oro.  L'eunuco dà ad

AKKI                                      - un sacchetto pieno d'oro. Il gruppo si allontana verso sinistra. 

AKKI                                      - Ebbene?

NABUCODONOSOR           -  Non so proprio che dirti. Si vede che ho vera- mente sfortuna, oggi. (Fra sé) Finirò per far di costui il mio ministro delle finanze.

L’ANGELO                           -  Apparterrai a questo mendicante di Ninive, cara

KURRUBI                             - .

KURRUBI                             -  Come ne sono felice. Lo amo. è cosí debole, cosí incapace  di difendersi.  Da sinistra viene un uomo ancor giovane con una chioma lun- ghissima e una barba incolta: consegna ad

AKKI                                      - una tavoletta di argilla e riceve in compenso una moneta d'oro, dopo di che esce a sinistra. 

NABUCODONOSOR           -  (meravigliato) E chi era quello?

AKKI                                      - Un poeta babilonese. Ha ricevuto il suo onorario. (Butta la tavoletta d'argilla giú nel proscenio).  Da destra tre soldati trascinano dentro prigioniero Nembrotte. è vestito in costume da re esattamente come

NABUCODONOSOR           -  all'inizio della scena. 

NABUCODONOSOR           -  (ha un'ispirazione) Può essere che ho disimparato  l'accattonaggio banale, quotidiano. A Ninive io mi oc- cupo di accattonaggio artistico. I soldati laggiú stanno trasci- nando da questa parte un prigioniero di stato le cui colpe han- no portato il mondo intero all'orlo dell'abisso, come tutti gli storici hanno constatato concordemente. Chi riesce ad accattarlo  ha vinto la sfida.

AKKI                                      - (si stropiccia le mani) D'accordo. Un piccolo ma elegante compito di accattonaggio artistico.

PRIMO SOLDATO               - Noi trasciniamo qui legato e malmenato Nembrotte  che un tempo fu re di questo mondo.

NEMBROTTE                        -  Vedete, mendicanti, come i miei stessi soldati mi hanno legato e come il sangue mi scorre a rivoli dal dorso, sotto i loro colpi! Ho abbandonato il trono per reprimere la rivolta del duca di Lamash e chi si è intanto seduto su quel trono? Il mio sgabello!

NABUCODONOSOR           -  è che ha avuto i riflessi pronti, quel tuo sgabello!

NEMBROTTE                        -  Ora io sono in basso, ma tornerò di nuovo in alto, adesso

NABUCODONOSOR           -  è in alto ma anch'egli dovrà un giorno ricadere in basso.

NABUCODONOSOR           -  Non accadrà mai, questo!

NEMBROTTE                        -  è accaduto sempre, da migliaia di anni. Ho sete. (

KURRUBI                             -  prende con le mani l'acqua dell'Eufrate e gli dà da be- re). L'acqua sudicia dell'Eufrate è piú dolce dalle tue mani che il vino dei re di Babilonia.

KURRUBI                             -  (timidamente) Vuoi bere ancora?

NEMBROTTE                        -  Le mie labbra sono umide, ciò basta. Prendi per ringraziamento questo consiglio, figlia di mendicante: quando i soldati cercan di violentarti, colpiscili fra le gambe.

KURRUBI                             -  (inorridita) Perché mai dici questo?

NEMBROTTE                        -  Nessun re può darti di piú, fanciulla. La cosa mi- gliore a questo mondo è sapere come van trattati i cani.

PRIMO SOLDATO               - Tappate la bocca all'ex re.

KURRUBI                             -  (piangendo, al

L’ANGELO                           - ) Hai sentito che ha detto, o mio angelo?

L’ANGELO                           -  Non impressionarti per le sue parole, bimba mia. Quando vedi questo spettacolo dinanzi a noi, dei primi raggi di un astro sconosciuto che illuminano l'Eufrate, allora com- prendi che il mondo è perfetto.  Per un momento il sole penetra attraverso le nebbie del matti- no che lentamente si stanno addensando.     

PRIMO SOLDATO               - Trascinate via l'ex re.

NABUCODONOSOR           -  Ehi, voi!

PRIMO SOLDATO               - Che vuole quel tipo?

NABUCODONOSOR           -  Venite qui.

I SOLDATI                            - Be'?

NABUCODONOSOR           -  Curvatevi fino a me, ho da dirvi qualcosa.

I SOLDATI                            - (si curvano fino a lui) E che cosa?

NABUCODONOSOR           -  (a bassa voce) Lo sapete chi sono io?

I SOLDATI                            - Boh!

NABUCODONOSOR           -  (a bassa voce) Sono il vostro capo supremo,

NABUCODONOSOR           - .

I SOLDATI                            - Ah, ah.

NABUCODONOSOR           -  Ubbidite e sarete promossi tenenti.

PRIMO SOLDATO               - (malignamente) E cosa comanda vostra maestà?

NABUCODONOSOR           -  Consegnatemi l'ex re.

PRIMO SOLDATO               - Come comanda vostro onore. (

I SOLDATI                            - colpi- scono

NABUCODONOSOR           -  con le else delle spade fino a che cade a terra privo di sensi. Nel fondo,

IL GENERALE                     - balza su con la spada sguainata ma viene trattenuto a forza dal

L’ARCIMINISTRO               - ) Ma che scemo, quello.

KURRUBI                             -  Oh!

L’ANGELO                           -  Mantieni la tua serenità, bambina mia, è solo un ba- nale incidente che non fa alcuna differenza nell'armonia subli- me delle cose.

AKKI                                      - Perché mai state massacrando questo onesto mendicante di Ninive, o soldati?

PRIMO SOLDATO               - Quel bel matto pretendeva di essere il re

NABUCODONOSOR           - .

AKKI                                      - Vive ancora tua madre?

PRIMO SOLDATO               - (sorpreso) A Uruk.

AKKI                                      - E tuo padre?

PRIMO SOLDATO               - è morto.

AKKI                                      - Sei sposato?

PRIMO SOLDATO               - No.

AKKI                                      - Hai una fidanzata?

PRIMO SOLDATO               - Mi ha piantato.

AKKI                                      - Bene, cosí sarà solo tua madre a dover piangere la tua morte.

PRIMO SOLDATO               - (confuso) Che?

AKKI                                      - E il tuo nome?

PRIMO SOLDATO               - Numabitu, soldato nell'esercito del re Nabu- codonosor.

AKKI                                      - Presto rotolerà nella sabbia la tua testa, o Numabitu. Pre- sto la vostra carne sarà pasto degli avvoltoi e le vostre ossa sa- tolleranno i cani, o soldati del re.

I SOLDATI                            - Ma perché?

AKKI                                      - Chinate le vostre teste e lo saprete; presto non sarete piú in grado di farlo.

I SOLDATI                            - (si chinano verso Akki) Dunque?

AKKI                                      - Sapete chi avete colpito?

PRIMO SOLDATO               - Un bugiardo di mendicante che voleva farci credere di essere

NABUCODONOSOR           -  il re.

AKKI                                      - Diceva la verità. Avete abbattuto

NABUCODONOSOR           -  il re.

PRIMO SOLDATO               - Ma che vuoi che crediamo questa balla?

AKKI                                      - Non avete mai sentito parlare dell'abitudine dei re di stu- diare il loro popolo travestiti da mendicanti, sulle rive del- l'Eufrate?

I SOLDATI                            - Mai.

AKKI                                      - Ma se lo sa tutta Babilonia!

PRIMO SOLDATO               - Io vengo da Uruk.

SECONDO SOLDATO         - Io da Ur.

TERZO SOLDATO               - Io da Lamash.

AKKI                                      - E adesso dovrete morire a Babilonia.

PRIMO SOLDATO               - (guarda impaurito verso il re) Che scalogna.

SECONDO SOLDATO         - Che maledetta scalogna.

TERZO SOLDATO               - Sta rantolando.

AKKI                                      - Nabi è rinomato per le sue torture ed esecuzioni partico- larmente crudeli e bizzarre. Il governatore di Akkad, Lugalza- gisi, lo ha dato in pasto a un gigantesco serpente sacro.

PRIMO SOLDATO               - Nabi?

AKKI                                      -

NABUCODONOSOR           -  è il mio migliore amico. Io sono l'arcimi- nistro Hamurapi, anch'io travestito da mendicante e intento a studiare la popolazione locale.  Questa volta è

L’ARCIMINISTRO               -  nel fondo che fa per precipitarsi in avanti ma viene trattenuto a sua volta dal generale. 

I SOLDATI                            - (si mettono sull'attenti) Eccellenza!

AKKI                                      - (con tono distaccato) Che altro volete?

PRIMO SOLDATO               - (terrorizzato) Si lamenta!

SECONDO SOLDATO         - Sospira!

TERZO SOLDATO               - Si sta muovendo!

AKKI                                      - Sua altezza si sta risvegliando.

I SOLDATI                            - (si gettano in ginocchio disperati) Aiuto, arciministro, aiuto!

AKKI                                      - Che cosa voleva sua beatitudine da voi?

PRIMO SOLDATO               - Ci ordinò di consegnargli l'ex re.

AKKI                                      - E allora datelo qui. Provvederò acciocché vi vengano tagliate  soltanto le orecchie.

I SOLDATI                            - (inorriditi) Le orecchie?

AKKI                                      - Dopotutto avete levato le mani su sua maestà.

PRIMO SOLDATO               - (umilmente) Eccole qui l'ex re, eccellenza. è legato e gli è stata tappata la bocca cosi che non la disturbi con le sue chiacchiere. (Getta

NEMBROTTE                        -  a terra accanto ad Akki).

AKKI                                      - E adesso correte, se vi è cara la vita. Sua maestà si sta al- zando. (

I SOLDATI                            - corrono via e

NABUCODONOSOR           -  si alza faticosa- mente.

AKKI                                      - con tono grandioso) Vedi questo bell'ex re che ho ottenuto grazie alle mie arti di mendicante.

L’ANGELO                           -  (gioiosamente) Hai vinto la sfida tra i mendicanti, o

AKKI                                      - di Babilonia.

KURRUBI                             -  La terra è bella, o mio angelo, posso appartenere al mendicante che amo.

NABUCODONOSOR           -  (cupamente)

I SOLDATI                            - erano degli imbecilli. Come sei riuscito a spuntarla?

AKKI                                      - Semplicissimo: ho detto loro che eri il re di Babilonia.

NABUCODONOSOR           -  Ma lo avevo detto anch'io!

AKKI                                      - Ecco qual era il tuo errore. Non devi mai affermare di te stesso che sei il re. Suona poco credibile. Ma sempre di qual- cun altro.

NABUCODONOSOR           -  (cupamente) Mi hai vinto.

AKKI                                      - Sei un cattivo mendicante uomo di Ninive. Ti sforzi, ti af- fatichi, senza riuscire ad ottenere niente.

NABUCODONOSOR           -  (esausto) Il senso di questo squallido mestiere è  proprio di affaticarsi, di logorarsi.

AKKI                                      - Capisci poco i mendicanti, tu! Maestri segreti siam noi, educatori di popoli. Ci vestiamo di cenci per amore della mise- ria degli uomini, non rispettiamo nessuna legge per esaltare la libertà. Divoriamo avidamente come lupi, tracanniamo come ubriaconi per rivelare la terribile fame e la sete ardente che sono proprie della povertà, e le arcate dei ponti sotto cui dor- miamo, le riempiamo con i beni di regni scomparsi affinché ci si renda conto che tutto giunge al mendicante nel declinare dei secoli. Torna dunque a Ninive e mendica meglio, piú saggia- mente di prima. E tu, mendicante dal luogo lontano: fai come hai visto fare e il villaggio di là dal Libano ti apparterrà.  Da destra la cortigiana e la sua serva tornano dal mercato. 

TABTUM                               - (ad Akki) Eccoti quattro monete d'oro. (Gli dà quattro  monete d'oro).

AKKI                                      - Grandiosamente, o mia giovane dama, si è sviluppata la tua beneficenza. Lo racconterò alla signora Hamurapi.

TABTUM                               - (invidiosa) Vai dalla Hamurapi?

AKKI                                      - Sono invitato a colazione.  Nel fondo compare furente

L’ARCIMINISTRO               - . 

TABTUM                               - E che cosa dànno da mangiare?

AKKI                                      - Be', quello che c'è dagli arciministri. Pesci salati del Mar Rosso, formaggio di Elam e cipolle.

TABTUM                               - Da me invece c'è luccio del Tigri.

AKKI                                      - (balza in piedi) Luccio del Tigri?

TABTUM                               - Con salsa di burro e ravanelli freschi.

AKKI                                      - Salsa di burro?

TABTUM                               - Poi galletto alla sumera.

AKKI                                      - Galletto!

TABTUM                               - Inoltre riso e da bere un buon vino del Libano.

AKKI                                      - Un vero pasto da mendicante!

TABTUM                               - Sei invitato.

AKKI                                      - Vengo con te. Dammi il braccio, magnificentissima. La Hamurapi può aspettare con la sua cucina piccolo-borghese.  (Esce a sinistra con

TABTUM                               - e la serva, trascinandosi dietro

NEMBROTTE                        - ).

L’ARCIMINISTRO               -  stringe i pugni e scompare di nuovo. 

L’ANGELO                           -  (si alza in piedi) Ora che questo uomo straordinario è andato via da noi è venuto il tempo che io riveli la mia vera entità. (Si toglie la veste di mendicante e la barba e appare quale  magnifico angelo, luminoso e multicolore).

NABUCODONOSOR           -  (cade in ginocchio e si copre il viso) Il tuo volto mi abbaglia, il fuoco della tua veste mi brucia. La pos- sanza delle tue ali mi fa crollare in ginocchio.

L’ANGELO                           -  Io sono un angelo di Dio.

NABUCODONOSOR           -  Che vuoi tu, essere sublime?

L’ANGELO                           -  Son venuto a te dal cielo.

NABUCODONOSOR           -  Perché sei venuto da me, o angelo? Che vuoi tu da un mendicante di Ninive? Va' da

NABUCODONOSOR           -  il re, o messaggero di Dio. Egli solo è degno di accoglierti. ANGELO I re, o mendicante, non interessano il cielo. Quanto piú povero è un essere umano, tanto piú è gradito al cielo. IL RE (sorpreso) Perché mai?

L’ANGELO                           -  (riflette) Non ne ho idea. (Continua a riflettere) Ve- ramente è una cosa alquanto strana. (Per giustificarsi) Dopo tutto non sono un antropologo, io. Sono un fisico. La mia spe- cialità sono i soli. Piú specificamente le stelle rosse giganti. Ho il compito di recarmi dal piú umile degli uomini, ma non mi è data nessuna facoltà di conoscere il movente del cielo. (Ha un'illuminazione improvvisa) Forse è che quanto piú un uomo è povero, tanto piú possente prorompe da lui la perfezione che è essenza della natura tutta.  Nel fondo si alza in piedi

UTNAPISCHTIM                  -  col dito alzato come uno scolaro che vorrebbe dire qualcosa. 

NABUCODONOSOR           -  Tu credi dunque che io sia il piú umile degli uomini?

L’ANGELO                           -  Indubbiamente.

NABUCODONOSOR           -  Il piú povero?

L’ANGELO                           -  Il piú povero in assoluto.

NABUCODONOSOR           -  E che cosa hai da portarmi?

L’ANGELO                           -  Una cosa inaudita, unica al mondo: la grazia divina.

NABUCODONOSOR           -  Mostrami questa grazia.

L’ANGELO                           - 

KURRUBI                             - !

KURRUBI                             -  Che vuoi, mio angelo?

L’ANGELO                           -  Vieni,

KURRUBI                             - . Vieni qui, tu creata dalla mano di Dio! Presentati al piú povero degli uomini, al mendicante Ana- schamaschtaklaku di Ninive. (Essa si pone davanti al re, l'an- gelo le toglie il velo dal viso.

NABUCODONOSOR           -  si copre il volto con un grido.

UTNAPISCHTIM                  -  si nasconde spaventato.

L’ANGELO                           -  tutto felice) Che ne dici? è una bella grazia del cielo, una ma- gnifica grazia, non è vero, caro il mio mendicante di Ninive?

NABUCODONOSOR           -  La sua bellezza, o messaggero di Dio, supera persino la tua maestà. Solo ombra sei tu accanto alla sua luce, solo notte son io di fronte al suo splendore.

L’ANGELO                           -  Una bella fanciulla, una buona fanciulla! Appena creata dal nulla, questa notte stessa.

NABUCODONOSOR           -  (disperato) Non è per me, misero mendicante  di Ninive! Essa non è per questo corpo indegno. Va'. Non è per me, angelo. Va' dal re

NABUCODONOSOR           - . Va'!

L’ANGELO                           -  Assolutamente escluso.

NABUCODONOSOR           -  (supplichevole) Solo il re è degno di ricevere questo essere purissimo, questo essere sublime. Egli la vestirà di seta, le stenderà tappeti splendidi sotto i piedi e le poserà una corona d'oro sulla testa!

L’ANGELO                           -  Il re non l'avrà.

NABUCODONOSOR           -  (amaramente) E allora vuoi lasciare questa santa al piú miserabile dei mendicanti?

L’ANGELO                           -  Il cielo sa sempre quel che fa. Prendila. è una buona ragazza, una brava ragazza.

NABUCODONOSOR           -  (disperato) E che cosa deve farsene un mendicante, di lei?

L’ANGELO                           -  Sono forse un uomo da conoscere le vostre usanze? (Riflette, poi)

KURRUBI                             - !

KURRUBI                             -  Sí, mio angelo?

L’ANGELO                           -  Hai visto che cosa faceva quello straordinario mendicante Akki?

KURRUBI                             -  Tutto, mio angelo.

L’ANGELO                           -  E allora fai come lui. Tu appartieni a questo mendi- cante di Ninive e devi aiutarlo a diventare un mendicante al- trettanto efficace che Akki. (A

NABUCODONOSOR           - ) Ti servirà a mendicare, o Anaschamaschtaldaku.

NABUCODONOSOR           -  (spaventato) Questo splendore di grazia verrebbe  costretto a mendicare?

L’ANGELO                           -  Non posso immaginarmi che il cielo abbia altre inten- zioni a suo riguardo, se l'ha voluta donare a un mendicante.

NABUCODONOSOR           -  A fianco di

NABUCODONOSOR           -  potrebbe gover- nare tutto il mondo; accanto a me è ridotta a mendicare!

L’ANGELO                           -  Devi imparare una volta per tutte che governare il mondo spetta al cielo mentre mendicare tocca agli uomini. Con- tinuate dunque a mendicare coscienziosamente. Ma tutto con le debite proporzioni, né troppo, né troppo poco. Se riusci- rete a raggiungere con l'accattonaggio una solida condizione borghese, dovrebbe bastare. Addio.

KURRUBI                             -  (spaventata) Vuoi lasciarmi, o mio angelo?

L’ANGELO                           -  Io vado, bimba mia. Ti ho portata dagli uomini e adesso me ne vado via.

KURRUBI                             -  Ma io ancora non li conosco.

L’ANGELO                           -  Forse che li conosco io, bimba mia? A me tocca lascia- re gli uomini e a te tocca restare tra loro. Dobbiamo entrambi essere obbedienti. Addio dunque, bimba mia

KURRUBI                             - , addio.

KURRUBI                             -  Resta, angelo mio.

L’ANGELO                           -  (apre le ali) Impossibile. Dopo tutto ho anche un al- tro mestiere. Devo pur esaminare la terra. Corro dunque a mi- surarla, a scavarla, a raccogliere, a scoprire nuovi miracoli nella sublimità del tutto, perché finora la materia, bimba mia, l'ho conosciuta solo allo stato gassoso.

KURRUBI                             -  (disperata) Resta mio angelo, resta!

L’ANGELO                           -  Io mi involo! Mi involo nell'argento del mattino. Sollevandomi dolcemente in alto, roteando su Babilonia in volute sempre piú ampie, me ne sparisco cosí, una piccola nu- vola bianca che si dissolve nella luce del cielo. (Vola via con la veste di mendicante e la barba rossa accuratamente ripiegate sul braccio).

KURRUBI                             -  Resta, angelo mio.

L’ANGELO                           -  (da lontano) Addio

KURRUBI                             - , bimba mia, addio! (Scomparendo) Addio.

KURRUBI                             -  (a bassa voce) Resta, resta! 

NABUCODONOSOR           -  e

KURRUBI                             -  son soli, faccia a faccia, nell'argento del mattino. 

KURRUBI                             -  (a bassa voce) è sparito.

NABUCODONOSOR           -  è tornato nella sua gloria.

KURRUBI                             -  Ora sono con te.

NABUCODONOSOR           -  Ora sei con me.

KURRUBI                             -  Ho freddo nella nebbia di questo mattino.

NABUCODONOSOR           -  Asciuga le tue lacrime.

KURRUBI                             -  Forse che gli uomini non piangono quando un angelo  del cielo li lascia?

NABUCODONOSOR           -  Ma certo.

KURRUBI                             -  (lo scruta attentamente in volto) Non vedo lacrime nei tuoi occhi.

NABUCODONOSOR           -  Abbiamo disimparato a piangere e abbiamo imparato la bestemmia. (

KURRUBI                             -  fa un passo indietro). Sei spaventata?

KURRUBI                             -  Tremo in tutto il corpo.

NABUCODONOSOR           -  Non inorridire dinanzi all'uomo, inorridisci dinanzi a Dio: è lui che ci ha creati a sua immagine e somi- glianza. Tutto è opera sua.

KURRUBI                             -  Le sue opere sono buone. Io ero al sicuro nella sua mano, ero vicina al suo volto.

NABUCODONOSOR           -  E adesso egli ha gettato il suo giocattolo in grembo a me, all'essere piú misero e piú squallido che gli riu- scisse di trovare nel suo universo, il mendicante Anaschamasch- taklaku di Ninive. Venuta dalle stelle sei ora dinanzi a me. I tuoi occhi, il tuo volto, il tuo corpo rivelano la bellezza del cielo, ma a che serve la perfezione celeste al piú povero degli uomini su questa terra imperfetta? Quando mai imparerà il cielo a dare a ognuno ciò di cui ha bisogno? I poveri e i deboli stanno ammucchiati tra loro come pecore e hanno fame, il po- tente è sazio ma solitario. Il mendicante ha fame di pane, e al- lora il cielo deve dargli del pane.

NABUCODONOSOR           -  ha fame di un essere umano e il cielo doveva dargli te. Come mai il cielo  non conosce la solitudine di

NABUCODONOSOR           - ? Perché mai ora, inviando te, schernisce al tempo stesso me mendicante e il re

NABUCODONOSOR           - ?

KURRUBI                             -  (pensierosa) Mi è stato affidato un compito difficile.

NABUCODONOSOR           -  Qual è il tuo compito?

KURRUBI                             -  Curarti, mendicare per te.

NABUCODONOSOR           -  Tu mi ami?

KURRUBI                             -  Tu fosti creato da una donna affinché tu mi ami per l'eternità e io venni creata dal nulla affinché io ti ami  per l'eternità.

NABUCODONOSOR           -  Il mio corpo sotto il mio mantello è però bianco come la neve per la lebbra.

KURRUBI                             -  Ma io ti amo lo stesso.

NABUCODONOSOR           -  Gli uomini cercheranno di azzannarti con denti  di lupi per questo tuo amore.

KURRUBI                             -  Ma io ti amo lo stesso.

NABUCODONOSOR           -  Ti cacceranno nel deserto. Là sulla sabbia rossa,  sotto il sole abbacinante, finirai i tuoi giorni.

KURRUBI                             -  Ma io ti amo lo stesso.

NABUCODONOSOR           -  Allora baciami se tu mi ami.

KURRUBI                             -  Ti bacio.

NABUCODONOSOR           -  (getta

KURRUBI                             -  a terra dopo che essa lo ha baciato  e la calpesta coi piedi) Cosí ti getto in terra, te che amo di piú che ogni altro essere umano e ti calpesto coi piedi, o tu gra- zia divina da cui dipende la mia beatitudine. Prendi! Questi sono i baci che io ti do, la risposta al tuo amore. Bisogna che il cielo veda come un mendicante tratta il suo dono. Come il piú umile degli esseri umani si comporta con colei che re Nabuco- donosor avrebbe colmato del suo amore e dell'oro di Babilonia!  Da sinistra viene

AKKI                                      - trascinandosi dietro il prigioniero

NEMBROTTE                        - . 

AKKI                                      - (sorpreso) Perché calpesti questa fanciulla, mendicante di Ninive?

NABUCODONOSOR           -  (ironicamente) Sto prendendo a calci la grazia divina. Una grazia divina fresca fresca, come puoi renderti con- to da te, creata appena la notte scorsa, destinata al piú misera- bile degli uomini e portata a me personalmente da un angelo. Vuoi averla?

AKKI                                      - Creata solo la notte scorsa?

NABUCODONOSOR           -  Dal nulla.

AKKI                                      - Allora sarà una grazia poco pratica.

NABUCODONOSOR           -  In compenso è a buon mercato. Te la concedo in cambio del tuo prigioniero.

AKKI                                      - Quello è un ex re, dopo tutto.

NABUCODONOSOR           -  Ci aggiungo la moneta d'oro che ho ottenuto mendicando.

AKKI                                      - E per il suo valore storico?

NABUCODONOSOR           -  Le due monete d'argento.

AKKI                                      - Un cattivo affare.

NABUCODONOSOR           -  Allora, sei d'accordo per lo scambio?

AKKI                                      - Solo perché sei un mendicante particolarmente inetto. Eccotelo.  (Gli getta davanti ai piedi l'ex re) E tu, fanciulla mia, appartieni a me. Alzati in piedi. (

KURRUBI                             -  si alza lentamente a capo chino). Dunque, ti avrebbe portata qui un angelo. Sono amico delle fiabe io, e son disposto a credere l'incredibile. Mi appoggerò a te, tu creata dal nulla, il vino del Libano mi ha re- so un po' vacillante, un po' barcollante. Tu non conoscerai la terra ma non temere, ché la conosco bene io. A te ti han calpe- stata una volta, a me migliaia di volte. Vieni. Andiamo sulla piazza Anu. è un momento favorevole, oggi è giorno di merca- to e io fiuto buona preda. Vedremo che cosa riusciamo ad ac- cattare, tu con la tua bellezza e io con la mia barba rossa, tu ricoperta di calci e io perseguitato dal re.

KURRUBI                             -  (a bassa voce) Ma io ti amo, o mio mendicante di Ninive. 

AKKI                                      - esce a destra, appoggiandosi a

KURRUBI                             - .

NABUCODONOSOR           -  se ne sta solo con

NEMBROTTE                        -  legato e imbavagliato ai suoi piedi. Alla fine si strappa di dosso le vesti di mendicante e la barba rossa e le calpesta, poi se ne resta assorto in cupi pen- sieri, immobile e tetro in volto. Dal fondo si avvicina striscian- do e tremando la sua scorta. 

L’ARCIMINISTRO               -  (spaventato) Maestà!

NABUCODONOSOR           -  Sia fissato un termine di dieci giorni al mendi- cante Akki: le supreme cariche gli sono offerte se entra nel ser- vizio di stato, altrimenti gli mando il carnefice. E tu, generale, conduci l'esercito al di là del Libano. Conquista questi misera- bili villaggi Spartene, Moschino, Cartaga e Paca o comunque si chiamino. Noi invece torniamo con l'ex re prigioniero nel no- stro palazzo per continuare a educare l'umanità, tristi e stanchi, offesi dal cielo.   ATTO SECONDO Il secondo atto lo collochiamo sotto uno dei ponti dell'Eufrate, nel cuore di Babilonia. Grattacieli e palazzi si elevano sino a coprire il cielo. L'orchestra rappresenta di nuovo il fiume, il ponte si erge dal fondo attraverso la scena, lo si vede dunque di spacco e dal basso. Su in alto si sente il traffico della grande metropoli, lo sferragliare dei tram antico-babilonesi, le grida melodiose dei portatori di lettighe. A sinistra e a destra del ponte è una scala stretta che porta giú alla riva dell'Eufrate. L'a- bitazione di

AKKI                                      - è una incredibile confusione delle piú svariate paccottiglie di tutte le epoche. Sarcofaghi, idoli negri, vecchi troni reali, biciclette e copertoni babilonesi e cosí via, sprofon- dati in una immondezza fiabesca, ammuffiti, sepolti da cataste di polvere. Al di sopra di tutto questo disordine, all'inizio del- l'arcata del ponte è disposta al centro una scultura, una testa di Gilgamesh. Accanto ad essa manifesti semistracciati sui mendicanti con sopra incollati striscioni bianchi: « Oggi ultimo  giorno». All'estrema destra, non piú sotto l'arco del ponte, sta una cucina all'aperto con un calderone. Per terra è sabbia rossa, coperta di scatole di conserve e di manoscritti di poeti. Dovunque pendono pergamene e tavolette d'argilla piene di poesie, insomma i personaggi sembrano muoversi in un gigan- tesco immondezzaio. Davanti a destra fanno il bagno nell'Eufrate  alcune figure gracchianti, completamente avvolte nelle loro vesti.  A sinistra due delinquenti babilonesi inverosimilmente sudici,  Omar il borsaiolo e Iussuf lo scassinatore, dormono dentro un sarcofago. A sinistra entrano

AKKI                                      - e

KURRUBI                             - , ambedue  in vesti lacere.

AKKI                                      - porta un sacco sulle spalle. 

AKKI                                      - Sgombrate, gentaglia, non venite a dormire i vostri sonni di delinquenti sul mio sarcofago. (Omar e Iussuf sgattaiolano via). Andate a tuffare i vostri corpi piú giú nelle acque sporche, o corvi macchiati di bianco. è inutile che stiate lí a gracchiare. Questo ponte è stato creato in onore del nostro eroe nazionale Gilgamesh e non è perciò molto appropriato come luogo di cu- ra. Proprio gli eroi nazionali, piú che chiunque altro, provve- dono al massacro dell'umanità a tal punto che neanche i medici riescono a gareggiare con loro.  Le figure spariscono. 

KURRUBI                             -  Chi sono quelle figure completamente avvolte nelle loro vesti che adesso se ne fuggono via?

AKKI                                      - Lebbrosi. Disperati che cercano speranza nell'Eufrate. L'alloggio  sarebbe comodo, ma appena uno volta le spalle subito ci si ficcano dentro disgraziati e delinquenti di ogni genere.

KURRUBI                             -  La terra è cosí diversa da come la vede

L’ANGELO                           - , o mio Akki. Ad ogni passo che faccio crescono intorno a me l'ingiu- stizia, la malattia, la disperazione. Gli uomini sono infelici.

AKKI                                      - L'importante è che siano buoni clienti. Ecco. Ancora una volta abbiamo accattato un'enorme quantità di cose. Faccia- mo una sosta per il mezzogiorno e poi riprendiamo il nostro mestiere nei giardini pensili. (Posa in terra il sacco).

KURRUBI                             -  Sí, Akki.

AKKI                                      - Hai fatto progressi. Son soddisfatto di te. Solo una cosa non va assolutamente: tu sorridi quando qualcuno ti getta una moneta. Sbagliatissimo. Uno sguardo triste è piú autentico,  piú commovente.

KURRUBI                             -  Cercherò di ricordarmelo.

AKKI                                      - Esercitati fino a domani. La disperazione è ciò che rende di piú. (Tira fuori dalle tasche quanto ha accattato) Perle e pie- tre preziose, monete d'oro, monete d'argento, monete di rame, via con tutto ciò. (Getta tutto nell'Eufrate).

KURRUBI                             -  Ecco che getti di nuovo il denaro nell'Eufrate.

AKKI                                      - E con ciò?

KURRUBI                             -  è assurdo mendicare se poi si butta via tutto.

AKKI                                      - è l'unico esercizio valido per mantenersi all'altezza delle proprie capacità di mendicante. Lo spreco è tutto. Milioni ho accattato e milioni ho sepolto nell'Eufrate. Solo cosí il mondo vien liberato dalla ricchezza. (Continua a frugare nelle sue ta- sche) Olive. Queste sono cose piú utili. Banane. Una scatola di sardine finissime. Una bottiglia di liquore e una dea dell'a- more sumera in avorio. (La contempla) Questa però non devi guardarla. Non è adatta per una fanciulla della tua età. (Getta la dea dell'amore sotto l'arcata del ponte).

KURRUBI                             -  Sí, mio Akki.

AKKI                                      - Sí, mio Akki. Sí, caro Akki. Non sento altro tutto il giorno. Sei triste, tu.

KURRUBI                             -  Io amo il mendicante di Ninive.

AKKI                                      - Di cui hai dimenticato il nome.

KURRUBI                             -  è un nome cosí difficile. Ma io non smetterò mai di cercare il mio mendicante. E lo troverò, chi sa quando, chi sa dove. Di giorno, sulle piazze di Babilonia e sulle scalinate dei palazzi, penso a lui continuamente e quando vedo le stelle della notte, alte e lontane, sopra le strade di pietra, cerco il suo volto  in tutti i loro oceani di luce. Allora egli è vicino, allora è con me. Allora giace anche lui sulla terra, il mio amato, chi sa dove, e vede il mio volto, grande e bianco nella nube di stelle da cui io discesi insieme al

L’ANGELO                           - .

AKKI                                      - Il tuo amore è senza speranza.

KURRUBI                             -  Solo il mio amore è speranza. Come potrei vivere su questa terra senza l'amore per il mio amato?

AKKI                                      - Poiché non si può vivere su questa terra, ho deciso di vi- vere di questa terra e son diventato un mendicante. Ci trovia- mo qui sotto il miglior ponte di Babilonia che ho potuto tro- vare. Il mio appartamento non dev'essere contaminato dal pen- siero per un uomo che in un'ora è riuscito ad accattare solo una moneta d'oro e due monete d'argento. (Si guarda intorno sor- preso) Che cos'è tutta questa roba appesa qui intorno? Poemi. C'era da immaginarselo. I poeti son passati di qui.

KURRUBI                             -  (tutta contenta) Posso leggere le poesie?

AKKI                                      - La poesia babilonese è talmente in crisi che la sua lettura non è raccomandabile. (Prende un foglio e dopo averlo scor- so rapidamente lo getta nell'Eufrate) Poesie d'amore. Nient'altro,  da quando ti ho scambiata con l'ex re. Prepara una minestra.  è meglio. Ecco, prendi, carne di manzo fresca appena accattata.

KURUBBI                             - Sí, Akki.

AKKI                                      - Io invece mi ritirerò nel mio sarcofago preferito. (Scopre il sarcofago al centro della scena ma si ritrae con un sobbalzo quando ne esce fuori un poeta.

AKKI                                      - severamente) Che cosa fai in questo sarcofago?

IL POETA                              - Sto creando versi.

AKKI                                      - Qua dentro non si creano versi. Questo è il sarcofago del- l'amabile Lilit che fu un tempo la mia amata e dentro il qua- le son sopravvissuto al diluvio universale. Leggero come un uccello mi portava sopra i mari gonfi di pioggia. Tu vattene al- trove a fare le tue poesie. To', eccoti un paio di cipolle. (Getta a

KURRUBI                             -  alcune cipolle e si stende nel sarcofago). 

IL POETA                              - se la svigna.

KURRUBI                             -  cucina. Dalla scala a sinistra vie- ne giú il poliziotto Nebo asciugandosi il sudore dalla fronte. 

IL POLIZIOTTO                   - Un giorno molto caldo, o mendicante Akki, un giorno faticoso.

AKKI                                      - Salute, a te, poliziotto Nebo. Mi alzerei ben volentieri in tuo onore perché ho un sacro rispetto per la polizia ma devo ancora riguardarmi la schiena. L'ultima volta che ho fatto vi- sita al commissariato di polizia mi hai pizzicato con tenaglie ar- denti e hai gravato le mie ossa con pesi non indifferenti.

IL POLIZIOTTO                   - Ho agito strettamente secondo il regolamento concernente l'educazione dei mendicanti ricalcitranti a onesti funzionari di stato e volevo soltanto il tuo bene.

AKKI                                      - Veramente gentile da parte tua. Posso offrirti il sarcofago di un poliziotto eccessivamente zelante?

IL POLIZIOTTO                   - Preferisco sedermi su questo sasso. I sarcofaghi mi mettono la malinconia addosso.

AKKI                                      - è il trono dell'ultimo capo dei cavernicoli. L'ho avuto dal- la sua vedova. Prendi un sorso di vin rosso della Caldea. (Tira fuori una bottiglia dal mantello e la offre al poliziotto).

IL POLIZIOTTO                   - (beve) Grazie tante. Sono esausto. Gli strapaz- zi del mio mestiere aumentano ogni giorno di piú. Adesso ho appena dovuto sequestrare i libri di scuola e arrestare i geogra- fi e gli astronomi.

AKKI                                      - Perché, che cosa hanno combinato quelli li?

IL POLIZIOTTO                   - Il mondo si è rivelato essere piú grande dei loro calcoli. Al di là del Libano si trovano altri paesi. Anche la scien- za deve essere perfetta nel nostro stato.

AKKI                                      - è l'inizio della fine.

IL POLIZIOTTO                   - E adesso l'esercito è in marcia per andare a con- quistare questi villaggi.

AKKI                                      - Per tutta la notte ho sentito l'acciottolio, lo sferragliare sopra il ponte di Gilgamesh, andava verso nord. Sento puzza di catastrofe generale.

IL POLIZIOTTO                   - A me, in quanto funzionario, tocca solo obbedire,  non riflettere.

AKKI                                      - Quanto piú perfetto è uno stato, tanto piú stupidi sono i funzionari di cui ha bisogno.

IL POLIZIOTTO                   - Questo lo dici adesso, tu. Ma quando sarai fun- zionario anche tu imparerai ad ammirare il nostro stato. Ti si rivelerà la sua perfezione.

AKKI                                      - Ah, è cosí! è per questo che sei venuto. Vuoi continuare a educarmi su come diventare il perfetto funzionario di stato.

IL POLIZIOTTO                   - Non rinuncio, non ti lascio.

AKKI                                      - L'ho notato anche al commissariato.

IL POLIZIOTTO                   - Son qui in veste ufficiale.

AKKI                                      - Ho un po' anch'io questa sensazione.

IL POLIZIOTTO                   - (tira fuori un libricino) Oggi scade il termine.

AKKI                                      - Veramente?

IL POLIZIOTTO                   - Hai mendicato sulla piazza Anu.

AKKI                                      - Per isbaglio.

IL POLIZIOTTO                   - Ho una novità per te.

AKKI                                      - Una nuova pinza da tortura?

IL POLIZIOTTO                   - Una nuova destinazione. Come riconoscimento dei tuoi talenti sei stato nominato capo dell'ufficio fallimenti e riscossioni. E inoltre anche il ministero delle finanze si sta  interessando di te. Si parla sottovoce di una notevole carriera ammmistrativa.

AKKI                                      - Le carriere non mi interessano, poliziotto Nebo.

IL POLIZIOTTO                   - Ti rifiuti di ricoprire questa elevata carica?

AKKI                                      - Preferisco restare un libero artista.

IL POLIZIOTTO                   - Vuoi continuare a mendicare?

AKKI                                      - è la mia professione.

IL POLIZIOTTO                   - (si mette in tasca il libricino) è grave questo, molto grave.

AKKI                                      - (fa per alzarsi in piedi) Prego, poliziotto Nebo, puoi ri- portarmi di nuovo al commissariato.

IL POLIZIOTTO                   - Non è necessario.

IL BOIA                                 - verrà qui lui.  Silenzio.

AKKI                                      - si tasta involontariamente il collo. Poi comincia a interrogare il poliziotto. 

AKKI                                      - è quello piccolo grasso?

IL POLIZIOTTO                   - Ma no, è uno grande magro, quello che impicca  da noi, un vero genio nel suo campo. è proprio una gioia vederlo al lavoro. Tecnicamente entusiasmante.

AKKI                                      - Stai parlando del famoso vegetariano?

IL POLIZIOTTO                   - (scuote la testa) Non prendertela a male, ma quanto a boia sei proprio un principiante. Lo stai confonden- do col boia di Ninive. Il nostro è un amatore delle buone letture.

AKKI                                      - (sollevato) Allora è a posto.

IL POLIZIOTTO                   - Sta venendo da te.

AKKI                                      - Mi farà piacere conoscerlo.

IL POLIZIOTTO                   - Le cose si fan serie, mendicante

AKKI                                      - sei avvi- sato! Ti impiccherà se non ti trova già nel servizio di stato.

AKKI                                      - Sono a sua disposizione.

KURRUBI                             -  (spaventata) Vogliono ucciderti?

AKKI                                      - Non c'è motivo di emozionarti, bambina mia. Sono stato minacciato tante volte nelle tempestose vicende della mia car- riera che ormai non mi fa piú nessuna impressione.  I sarcofaghi si aprono, ne balzano fuori poeti, strisciano fuori da ogni parte e da ogni cosa. 

UNO                                       - Un nuovo tema!

UN ALTRO                            - Un tema possente!

UN TERZO                            - Che argomento!

UN QUARTO                        - Che possibilità!

TUTTI                                     - Racconta, mendicante, racconta!

AKKI                                      - Ebbene, udite dunque il canto della mia vita. Negli anni di gioventú, molti millenni or fu, inesperto ero ancor di piú, di un mercante ero figlio. In vesti d'oro il padre, in sfarzo d'argen- to la madre, piena la casa di tappeti e di sete leggiadre. L'ar- gento si fe' nero, l'oro se ne andò, già non c'è piú: a Babilonia

ENGGIBI                               -  e Figlio tutto divorò. Già bruciava il padre e la madre pure, sulla pira, nessuno si salvò. I POETI (in coro) Nessuno si salvò.

AKKI                                      - Tosto dai monti giungeva un profeta che con sé mi prende- va e come figlio mi teneva. Giacevo giorno e notte dinanzi al- l'altare, agli dèi correvo a sacrificare, in cenci e cenere, mi vole- vo macerare. La grazia si fe' nera, la fede se ne andò, già non c'è piú: a Babilonia il trono del prete cambiò. Già bruciava il profe- ta e i nuovi dèi pure, sulla pira, nessuno si salvò.

I POETI                                  - (in coro) Nessuno si salvò.

AKKI                                      - Chi poi mi allevò era un condottiero, in ferro e in acciaio sul suo destriero, di servire fedele il suo re era fiero, mai essere umano fu piú colmo d'onori. Uccideva il nemico in duello, pos- sedeva un grande castello, sempre lo scortava d'eroi un gran drappello. L'onor si fe' nero, il grado se ne andò, già non c'è piú: a Babilonia il trono del re cambiò. Già bruciava il condottiero e i suoi eroi pure, sulla pira, nessuno si salvò.

I POETI                                  - (in coro) Nessuno si salvò.

AKKI                                      - Poiché il ricco ebbe morte e fu ucciso il forte e anche de- voto non scampò alla sua sorte, questo si disse il figlio di mia madre: l'uom sia come sabbia, sol la sabbia resiste ai passi e alla rabbia dei boia in un paese prigioniero come in gabbia. Già l'epoca si fa nera, il potere se ne va, lascia pur che se ne va- da: di Babilonia resta solo un accattone con una corona di pa- pavero nelle chiome, e se brucia la barba e il mantello pure, sul- la pira, ei si salverà.

UN POETA                            - Cantaci il canto della tua notte d'amore con la princi- pessa Thetis.

UN ALTRO                            - Come hai accattato tutta la tesoreria!

UN TERZO                            - I giganti Gog e Magog.

AKKI                                      - Basta, niente da fare. Ho visite. Tu,

KURRUBI                             - , continua con la cucina.

IL POLIZIOTTO                   - (sorpreso, mentre

I POETI                                  - spariscono) Perdio, la tua abitazione è piena di poeti, a quanto pare.

AKKI                                      - Veramente. Ne son sorpreso anch'io. Bisogna che mi deci- da una buona volta a ripulire la mia arcata di ponte.

IL POLIZIOTTO                   - (si alza in piedi) O tu molto decantato, sei proprio  fermamente deciso a farti impiccare?

AKKI                                      - Irrevocabilmente.

IL POLIZIOTTO                   - Una terribile decisione, ma son costretto a rispettarla.

AKKI                                      - (sorpreso) Che ti prende, poliziotto Nebo? Sei cosí ceri- monioso e non fai che inchinarti in continuazione.

IL POLIZIOTTO                   - Sarai certo assillato, o venerabile, dal pensiero di ciò che avverrà a

KURRUBI                             - , quando tu non ci sarai piú. Sono  anch'io preoccupato. I babilonesi sono invidiosi di te, sono indignati che

KURRUBI                             -  viva cosí nella miseria. Cercano di strap- parti la ragazza. Cinque persone hai già steso a terra che ti  avevano aggredito.

AKKI                                      - Sei. Dimentichi

IL GENERALE                     - che ho sbattuto giú dal ponte di Istar. Come una cometa è precipitato giú nel buio della notte.

IL POLIZIOTTO                   - (si inchina di nuovo) La ragazza ha bisogno di un protettore, o sublime. Non ho mai visto una bimba piú bella.  Tutta Babilonia parla di lei. Da Uruk, dalla Caldea, da tutto l'impero arriva gente a lodarne la bellezza. Tutta la città è spro- fondata in un'ebbrezza d'amore. Ognuno pensa a

KURRUBI                             - , ognuno sogna di lei, ognuno l'ama. Tre giovani della piú alta aristocrazia si sono affogati per amor suo. Le case, le vie e le piazze, i giardini pensili, le gondole sull'Eufrate sono colmi di sospiri, traboccano di canti. I banchieri cominciano a far versi, i funzionari a comporre strofe.  In alto sulla scala destra si vede il banchiere

ENGGIBI                               -  con una chitarra antico-babilonese 

ENGGIBI                               -  A Babilonia venne una fanciulla. A un tratto essa era qui. Oltre a versi non faccio piú nulla. Non so che mi colpí.

IL POLIZIOTTO                   - Vedi!

ENGGIBI                               -  Dimentico della borsa il gioco. E penso solo a

KURRUBI                             - . E penso se lei pensa un poco a me, a me,

ENGGIBI                               - .

AKKI                                      - (sorpreso) Il banchiere!  Sulla scala sinistra appare Alí anche lui con la chitarra.  ALí  Col vino rosso io commerciavo Ora non faccio che poetar. O tu, bellissima mendicante, vienmi, vienmi, vienmi a salvar!

IL POLIZIOTTO                   - Eccone un altro! 

AKKI                                      - Il vinaio Alí!

ENGGIBI                               -  Sono sorpreso di te, vinaio Alí. Stai usando il mio metro lirico! ALí (con dignità) Il mio metro lirico, banchiere

ENGGIBI                               - . Devo insistere assolutamente, è il mio metro lirico!  Saltano fuori i poeti. 

I POETI                                  - Il mio metro lirico! Il mio metro lirico! (Spariscono di nuovo).

AKKI                                      - è sempre la stessa storia. Appena uno comincia a poetare, subito viene accusato di plagio. 

IL POLIZIOTTO                   - tira fuori con deciso piglio una lirica dalla divisa. 

IL POLIZIOTTO                   - Ero un severo poliziotto. Pien di senso dell'onore or

LA FANCIULLA                  - meravigliosa mi destò l'amore nel cuore...

AKKI                                      - Poliziotto Nebo!

IL POLIZIOTTO                   - In mezzo al traffico or sogno e sbaglio ogni segnale o tu fanciulla mia di sogno dammi tu un buon segnale.

AKKI                                      - (severamente) Ma che ti prende? Il tuo dovere è di far smettere gli altri di poetare, non di alimentare la poesia con la tua produzione.

IL POLIZIOTTO                   - (imbarazzato, arrotola il suo poema; inoltre è di- sturbato nel discorso che segue dal continuo strimpellio delle chitarre del banchiere e del vinaio) Scusami, è stato un impulso  incontrollabile. Di solito non sono assolutamente incline alla poesia, ma quando la notte scorsa la luna si levò sopra l'Eu- frate, cosí gialla e grande, e io pensavo a

KURRUBI                             - , a un tratto è stato piú forte di me; anch'io ho dovuto produrre il mio poema,  con tutte le poesie che sbocciavano intorno a me. (Si inchina)  Mendicante, io sono un Nebo, possiedo una casetta in via Libano, al primo dell'anno verrò promosso sergente.  Da sinistra vengono i due lavoratori. 

I°LAVORATORE                 - Eccolo, il mendicante

AKKI                                      - che tiene alto  l'onore della classe operaia.

II°LAVORATORE                - Naturalmente, steso in un sarcofago.

I°LAVORATORE                 - Se ne sta a poltrire in pieno giorno, il piú grande lavoratore di Babilonia.

II°LAVORATORE                - E la ragazza in cenci, sprofondata nel sudiciume.

I°LAVORATORE                 - è una vergogna.

II°LAVORATORE                - Il bello è che lui invece butta in conti- nuazione oro e argento in fondo all'Eufrate.

I°LAVORATORE                 - Solo poeti nutre; come se non fossimo an- che noi in grado di poetare.  Ambedue i lavoratori tirano fuori poesie e fanno il gesto di leg. gerle ad alta voce.

AKKI                                      - balza in piedi dal suo sarcofago, terrorizzato. 

AKKI                                      - No, vi prego.

I°LAVORATORE                 - Quel che mi piacerebbe sapere è dove ha trovato una ragazza cosí bella.

AKKI                                      - L'ho avuta da quel mendicante incapace sul Lungoeufrate che non è riuscito neanche ad accattare una moneta di rame da voialtri.

II°LAVORATORE                - Da quello scemo?

I°LAVORATORE                 - E lui da dove l'ha avuta?

AKKI                                      - è andata come in una fiaba. Un angelo gli ha portato la fan- ciulla, librandosi giú dalla nebulosa dell'Andromeda.  Balzano fuori i poeti. 

I POETI                                  - Un angelo? ALí Addirittura!

I POETI                                  - Un nuovo tema per le nostre poesie!

AKKI                                      - Assolutamente escluso! 

I POETI                                  - scompaiono. 

I°LAVORATORE                 - E pretende che glie lo crediamo?

ENGGIBI                               -  Dalla nebulosa dell'Andromeda? Ciò è assolutamente impossibile, già da un punto di vista scientifico.  Risate generali. 

II°LAVORATORE                - Tutte menzogne, gli angioli non esistono,  sono una invenzione dei preti.

ENGGIBI                               -  Io sospetto un rapimento. ALí Bisogna che la polizia faccia delle indagini.

IL POLIZIOTTO                   - La polizia non vede nessun motivo di dubitare del

L’ANGELO                           - . Al contrario, son proprio gli atei che le son sempre stati sospetti.  Scende giú per la scala destra la cortigiana Tabtum. 

TABTUM                               - è uno scandalo, una vergogna!

AKKI                                      - Benvenuta, mia giovane dama.  La cortigiana palpa

KURRUBI                             -  come se fosse un cavallo. 

TABTUM                               - Eccola dunque, quella di cui tutti parlano. Ha forse dei denti piú belli di chicchessia? O cosce piú sode? O un fisi- co piú aggraziato? Di ragazze come lei ce ne sono a migliaia, e a buon mercato per giunta.

KURRUBI                             -  Tu non devi toccarmi, io non ti ho fatto niente.

TABTUM                               - Ah, non mi hai fatto niente? Ma sentitela un po' questa innocentina. E non dovrei neanche toccarti, povero angiolet- to? E io ti tocco invece, stai pur sicura. Tutta Babilonia mi hai sottratto con le tue arti e adesso fai la casta pudica.

KURRUBI                             -  Io non ti porto via nessuno. Io amo il mio mendicante  di Ninive e solo lui.

TABTUM                               - Ami un mendicante di Ninive? Hai gettato l'occhio sui banchieri di Babilonia, invece, e solo su quelli. (Fa per afferrare  per i capelli

KURRUBI                             -  che scappa a rifugiarsi da Akki).

I°LAVORATORE                 - Lascia stare la ragazza, puttana! ALí Che parole che le tocca sentire, povera bimba!

ENGGIBI                               - 

LA FANCIULLA                  - dovrebbe vivere in

UN ALTRO                            - ambiente.

TABTUM                               -

UN ALTRO                            - ambiente? Quella lí? Il mio ambiente è sempre  stato abbastanza buono per i banchieri e i vinai, finora.

AKKI                                      - Che cos'è che ti adira, meravigliosa?

TABTUM                               - Esiste forse una casa piú discreta della mia? Non ho forse i seni piú belli di tutta Babilonia?

AKKI                                      - Non comprendo proprio che cosa hanno a che fare con

KURRUBI                             - , questi organi.

TABTUM                               - Io cerco di mantenermi giovane e bella, seguo una die- ta, faccio i bagni, mi sottopongo ai massaggi, e il risultato qual è? Basta che compaia quella lí che i miei clienti si mettono a far versi.

ENGGIBI                               -  (dall'alto a destra) è che

KURRUBI                             -  ci eleva! ALí (dall'alto a destra) Ci entusiasma!

I°LAVORATORE                 - Adesso sappiamo perché lavoriamo.

II°LAVORATORE                - Per una moneta d'argento alla settimana.

IL POLIZIOTTO                   - Siamo diventati spirituali. ALí,

ENGGIBI                               - , I LAVORATORI e

IL POLIZIOTTO                   - (tutti in coro in tono  solenne e lento) Entro di noi una fiamma divampa che la sua impronta nell'animo ci stampa.

AKKI                                      - Non posso piú tollerare liriche in casa mia!

GLI ALTRI                            - (ai quali si aggiungono anche

I POETI                                  - che sbucano fuori  da tutte le parti) Ah ma l'uomo è grandioso quando amore gli arde in petto vede il bello, sente il retto sfugge il male e il mondo odioso!

TABTUM                               - Siete diventati spirituali? Vorreste farmelo credere? La piccina non può certo pretendere che io la beva. Si lavora onestamente, nella nostra professione.  Da destra vengono le mogli dei due lavoratori,

I POETI                                  - scompaiono  spaventati. 

LA MOGLIE DEL I°LAVORATORE       - Ecco dove va a ficcarsi il mio uomo! Sotto il ponte di Gilgamesh, nella zona piú mal- famata della città.

I°LAVORATORE                 - Ma, moglie, stammi a sentire, son capitato qui solo per caso, moglie.

LA MOGLIE DEL  II°LAVORATORE     - E il mio uomo è finito anche lui da queste parti.

II°LAVORATORE                - E a te, che ti riguarda? Vuoi che raccon- ti che cosa combini col segretario del sindacato?

IL POLIZIOTTO                   - (si rivolge con piglio deciso a

KURRUBI                             -  che si è rifu- giata presso Akki, accoccolata accanto al sarcofago in cui lui sta seduto) Fanciulla. Io sono un Nebo. Possiedo una casetta  in via Libano. Al primo dell'anno verrò promosso sergente. I Nebo han sempre fornito dei buoni mariti. Posso dire che nei nostri ambienti abbiamo perfino una certa riputazione in que- sto senso. Saresti felice con me. è il mio desiderio piú profondo...

I°LAVORATORE                 - (si precipita avanti) Fanciulla. Io sono un Assan. Il mio desiderio piú profondo è di renderti pienamente e completamente felice. Io vivo quasi in campagna e possiedo un giardinetto coltivato ad orto. La mia vecchia ti sistemerà ben bene la stanza. Vivrai in maniera sana, vivrai in maniera sempli- ce, vivrai felice.

LA MOGLIE DEL I°LAVORATORE       - è diventato pazzo, ora!  Il

II°LAVORATORE                - si fa avanti anche lui.

II°LAVORATORE                - Fanciulla, io sono un Sindbad. Quel che ci vuole per te è un sano ambiente proletario. La mia vecchia ti sistemerà anche lei nella stanza buona. Io ti illuminerò poli- ticamente, ti aprirò gli occhi sulle cospirazioni dei capitalisti. Giorno e notte ti preparerò alle sacre lotte della classe operaia!

LA MOGLIE DEL II°LAVORATORE      - Adesso anche il mio uomo  sta dando i numeri!  Da destra si precipita dentro il venditore di latte d'asina e cade in ginocchio davanti a

KURRUBI                             - .  GIMMIL Fanciulla, io sono un Gimmil. Possiedo una casa d'affit- to nel quartiere dell'Eufrate. Abito al sesto piano, con l'ascen- sore e vista sui giardini pensili. Respirerai aria borghese ma respirerai felice! LE DONNE Cacciatela dalla città, cacciatela dalla città!  Si avvicinano anche Alí ed

ENGGIBI                               - .  ALí Fanciulla, io sono un Alí, proprietario della mescita Alí, e possiedo inoltre una casa in città e una villa sulla riva del Tigri. Tu hai bisogno innanzi tutto di una roccia, fanciulla mia, una roccia alla quale poterti aggrappare. Io sono questa roccia, a me puoi aggrapparti. Sono convinto che...

I POETI                                  - (balzano fuori)

KURRUBI                             -  appartiene a noi,

KURRUBI                             -  ap- partiene a noi!

ENGGIBI                               -  Fanciulla! Io sono un

ENGGIBI                               - , il capo della casa ban- caria internazionale

ENGGIBI                               -  e Figlio. Ma non è questo l'essen- ziale. I miei palazzi, le mie azioni, i miei terreni, tutto questo è vano e caduco. L'unica cosa che conta è che tu hai bisogno di un cuore, un cuore umano vivo e comprensivo. In me batte questo cuore!

LE DONNE                            - Cacciatela dalla città! Cacciatela dalla città!

I POETI                                  - (contemporaneamente)

KURRUBI                             -  appartiene a noi,

KURRUBI                             -   appartiene a noi!  Il tumulto s'ingigantisce. Improvvisamente si vede

L’ANGELO                           -  sedere sulla testa di Gilgamesh con papaveri e pigne di abete nelle chiome e in braccio girasoli, rami di abete e cose simili. 

L’ANGELO                           - 

KURRUBI                             - , bimba mia,

KURRUBI                             - ! TUTTI (invasi da terrore) Un angelo!  Tutti, salvo

KURRUBI                             - , si gettano a terra e cercano di nascondersi. 

KURRUBI                             -  Angelo, mio angelo!

L’ANGELO                           -  Proprio per caso, fanciulla mia, ti ho vista in mezzo a questo allegro trambusto mentre passavo a volo.

KURRUBI                             -  Aiutami, angelo, aiutami!

L’ANGELO                           -  La terra, bimba mia, che deliziosa scoperta! Ne sono entusiasta, sono estasiato. Sorpresa mi sconvolge, meraviglia mi compenetra, coscienza di Dio mi trapassa tutto. Non posso  cessare di studiare, di ricercare. Emozionato svolazzo qua e là lodando, raccogliendo, annotando e notte e giorno faccio ricerche incessantemente, instancabilmente. E con ciò non so- no neanche penetrato nei mari, in queste acque qui d'attorno. Conosco soltanto le regioni centrali e il Polo Nord. Guarda che ho trovato laggiú: rugiada ghiacciata. (Le mostra un ghiacciolo) Nei miei studi sui soli non ho mai trovato niente che possa anche  lontanamente eguagliare questo splendore!

KURRUBI                             -  Il mendicante di Ninive mi ha abbandonata, mio angelo.  Io lo amo ed egli mi ha abbandonata.

L’ANGELO                           -  è solo confusione, figlia mia, nient'altro che confusio- ne. Abbi solo un po' di pazienza, tornerà di nuovo. La bellez- za della terra è cosí indescrivibile che si è un po' confusi. Ciò è naturale del resto. Chi mai sarebbe in grado di sopportare, cosí senz'altro, questo tenero azzurro sopra le cose, la sabbia rossastra e l'argento del ruscello. Chi non sarebbe mosso alla preghiera, al brivido. E poi le piante e gli animali. Il bianco del giglio, il leone dorato, la bruna gazzella. Perfino gli uomini sono di colori differenti. Guarda questa meraviglia. (Le mostra un girasole) Forse che una cosa simile la si ritrova sull'Aldebaran, sul Canopo, sull'Altair?

KURRUBI                             -  Gli uomini mi perseguitano, o angelo. Solo infelicità ho arrecato alla città di Babilonia. Le onde dell'Eufrate portan lagrime nel mare. Qualsiasi cosa trovo, si tratti di amore oppure  odio, mi uccide.

L’ANGELO                           -  Tutto si chiarirà, bambina mia, tutto si chiarirà, e nel piú bello, nel piú felice dei modi. (Apre le ali).

KURRUBI                             -  Non abbandonarmi, mio angelo. Aiutami, sostienimi con la tua forza divina. Portami da colui che amo.

L’ANGELO                           -  Devo utilizzare il tempo che mi resta quaggiú. Non posso permettermi niente di inutile. Fin troppo presto mi toc- cherà tornare alla nebulosa dell'Andromeda e rificcarmi fra le stelle giganti rosse. Devo studiare, bambina mia, devo studiare! Nuove rivelazioni mi illuminano. Sui mari azzurri, sui boschi, sui continenti e colline argentee tra banchi di nubi volo e mi fermo abbagliato, scendo con le ali aperte tutto rivolto alla terra.

AKKI                                      - (stancamente) Adesso comincia anche lui a far poesie.

L’ANGELO                           -  Vedo plasmato in fiori, animali, ciò che negli astri vive informe ebbro, ardente di visioni m'elevo e calo nella luce.

KURRUBI                             -  Resta, angelo mio, resta!

L’ANGELO                           -  Addio

KURRUBI                             - , bambina mia, addio! (Sparisce) Addio! 

KURRUBI                             -  è caduta in ginocchio e si copre il volto con le mani. Uomini e donne si alzano lentamente in piedi, pallidi e vacillanti. 

I POETI                                  - (sporgendo con cautela le teste dai sarcofaghi) Ma allora  era proprio un angelo! GIMMIL (balbettando) E in pieno giorno per giunta.

IL POLIZIOTTO                   - (asciugandosi il sudore dalla fronte) E va a sedersi  sulla testa del nostro eroe nazionale.

I°LAVORATORE                 - (ancora come immerso in un sogno) Un magnifico messaggero di Dio. LA MOGLIE DEL

I°LAVORATORE                 - (anch'essa come in sogno) Grande e maestoso, con le piume multicolori.

II°LAVORATORE                - Mi svolazzava intorno alla testa come un gigantesco pipistrello.

ENGGIBI                               -  Io donerò una campana, la campana di

ENGGIBI                               - . ALí E io una mensa gratuita per teologi, la fondazione Alí.

LE DUE DONNE                  - E noi andiamo a confessarci.

I DUE LAVORATORI e GIMMIL Noi entriamo immediatamente nella  chiesa nazionale!

IL POLIZIOTTO                   - Per fortuna sono sempre stato di chiesa, io.

ENGGIBI                               -  Babilonesi! Un angelo è sceso dal cielo giú tra noi. è venuto il momento della riflessione. Come banchiere, come uomo  del freddo raziocinio devo pur dire: i tempi sono preoccupanti.

I°LAVORATORE                 - I salari peggiorano sempre piú!

GIMMIL                                 - Il latte di vacca sta invadendo il mercato. ALí Il consumo del vino si riduce.

ENGGIBI                               -  A ciò si aggiungano carestie.

LA MOGLIE DEL I°LAVORATORE       - Terremoti.

II°LAVORATORE                - Cavallette.

ENGGIBI                               -  In piú una valuta malsicura, un anno fa un'epidemia di vaiolo e l'anno prima la peste. E tutto ciò perché? Perché non credevamo al cielo. Eravamo tutti piú o meno degli atei. Adesso l'importante è come trattare

LA FANCIULLA                  - che

L’ANGELO                           -  ha portato sulla terra scendendo giú tra noi dalla nebulosa del- l'Andromeda.

GIMMIL                                 - Non può piú vivere in povertà!

I°LAVORATORE                 - Deve venir via da questo mendicante.

II°LAVORATORE                - Da questi poeti.

ENGGIBI                               -  Tributiamole i massimi onori che possiamo concederle, e il cielo sarà riconciliato. Nominiamola dunque nostra regina. Altrimenti dobbiamo temere il peggio. Non possiamo permet- terci il lusso di un cielo adirato. Abbiamo già superato a mala- pena un diluvio universale; una crisi economica sarebbe una catastrofe ancor peggiore.

LA MOGLIE DEL I°LAVORATORE       - Portiamo dal re

LA FANCIULLA                  - celeste.

TUTTI                                     - Portiamola a

NABUCODONOSOR           - !

I°LAVORATORE                 - Deve diventare la nostra regina.

TUTTI                                     - La nostra regina!

I POETI                                  - Resta da noi

KURRUBI                             - , resta da noi!

KURRUBI                             -  Voglio restar da te, mendicante Akki, da te sotto questo ponte vicino alle onde dell'Eufrate, vicino al tuo cuore.  La folla prende un atteggiamento minaccioso.  ALCUNI Buttate nel fiume il mendicante! 

TUTTI                                     - fan per gettarsi su Akki, ma

IL POLIZIOTTO                   - li trattiene con un gesto energico. 

IL POLIZIOTTO                   - Tu conosci i miei sentimenti, o mendicante. Tu sai che possiedo una casetta nella via Libano e quanto io, essen- do un Nebo, sarei stato capace di render felice

KURRUBI                             - . Nel- l'ambito delle mie modeste possibilità, naturalmente. Ma il mio dovere adesso è di portare

LA FANCIULLA                  - dal re e il tuo è di lasciarla andare. (Si asciuga il sudore dalla fronte). LA FOLLA Viva la polizia!

KURRUBI                             -  Aiutami, Akki.

AKKI                                      - Non posso aiutarti, fanciulla mia. Dobbiamo salutarci, dirci  addio. Per dieci giorni abbiamo vagato per le vie della gran- de Babilonia e per le piazze, ambedue in vesti lacere, e di notte tu dormivi respirando dolcemente nel piú caldo dei miei sar- cofaghi, circondata dai mie

I POETI                                  - uggiolanti. Mai ho mendi- cato con piú intensa genialità. Ma adesso dobbiamo separarci. Non ho nessun diritto su di te. Per caso ti ebbi in scambio, un pezzo di cielo mi restò in mano, un filo solo della sua grazia, lieve e sereno, e adesso un colpo di vento ti porta piú oltre.

KURRUBI                             -  Devo esserti obbediente, o mio Akki. Tu mi hai pre- sa con te. Tu mi hai dato da mangiare quando avevo fame e da bere quando avevo sete. Quando avevo paura mi cantavi le tue canzoni possenti e quando mi perdevo d'animo battevi le mani, i tuoi piedi marcavano il ritmo finché io mi muovevo danzando intorno a te. Tu mi raccoglievi nel tuo mantello quando avevo freddo e quando ero stanca mi portavi sulle tue braccia possenti, sotto il cielo ardente della sera. Io ti amo come si ama un padre e penserò sempre a te come si pensa a un padre. Perciò non mi opporrò piú quando adesso mi porteran- no via. (China il capo).

AKKI                                      - Va' da

NABUCODONOSOR           - , bimba mia, va' dal re.

I POETI                                  - Resta con noi,

KURRUBI                             - , resta coi tuoi poeti. LA FOLLA Da

NABUCODONOSOR           - ! Da

NABUCODONOSOR           - ! (Conducono  fuori a destra la fanciulla).

I POETI                                  - Pur la grazia che cercammo or sparisce. Pipistrelli degli antichi or vuoti avelli. Sta con noi, i disprezzati.

KURRUBI                             -  Addio, mio Akki! Addio, miei poeti!

I POETI                                  - Ahi, sí spesso li invocammo, della grazia i segni. Fango invece di cibo noi mangiammo speravam che il vecchio, saggio angelo ci lasciasse la fanciulla; or scomparve a noi dannati. LA FOLLA (da lontano)

KURRUBI                             - , la nostra regina

KURRUBI                             - .

AKKI                                      - (si siede cupo al fornello e mescola la minestra) Non ho niente da obiettare alle vostre lamentele, o poeti, ma mi pare che stiate un po' esagerando. Tirate fuori versi come: Fango in- vece di cibo noi mangiammo, e poi intanto mangiate allegramen- te le mie minestre. C'è qualcosa che non va con la vostra di- sperazione. L'arte culinaria, quando sia ben sviluppata, è l'uni- co talento umano di cui si possa dir solo del bene: non biso- gna dunque assolutamente maltrattarla poeticamente.  Da sinistra entra un uomo anziano che scende giú per le sca- le, alto e magro, vestito in un abito nero dignitoso e frusto, in mano ha una valigetta. 

L’UOMO SOLENNE            - Salute a te, mendicante Akki, salute.

AKKI                                      - Che vuoi tu?

L’UOMO SOLENNE            - Spettacolare come si è sviluppata la ragazza, inebriante. Ho visto dal ponte come la conducevano via.

AKKI                                      - (irritato) Avrei fatto di questa fanciulla la migliore mendi- cante del mondo e adesso diventerà una qualsiasi regina.

UOMO SOLENNE                - Sarà un'unione selvaggia, sinistra.

AKKI                                      - (furibondo) Il re l'avrà cara come la pupilla degli occhi.

L’UOMO SOLENNE            - Sarà un matrimonio tempestoso. Non vorrei dover assistere. Se si pensa che il re ha preso a calci

LA FANCIULLA                  - si rabbrividisce al pensiero delle prossime notti.

AKKI                                      - A calci?

L’UOMO SOLENNE            - Presso il fiume Eufrate.

AKKI                                      - L'Eufrate?

L’UOMO SOLENNE            - Quella volta in quella mattinata.

AKKI                                      - (balza in piedi) Il mendicante di Ninive era il re?

L’UOMO SOLENNE            - Ero presente, ero testimone. Sua maestà si era travestito.

AKKI                                      - E perché?

L’UOMO SOLENNE            - Per convincerti a passare nel servizio di sta- to, e poi

L’ANGELO                           -  gli consegnò la fanciulla. Un momento solen- ne, un momento grandioso.

AKKI                                      - (si asciuga il sudor freddo dalla fronte) Un momento che avrebbe potuto andare a finir male, per me. Mi è andata bene ancora una volta. (Insospettito) E tu chi sei?

L’UOMO SOLENNE            - Il boia. 

I POETI                                  - spariscono. 

AKKI                                      - Salve. (Gli stringe la mano).

L’UOMO SOLENNE            - Come va?

AKKI                                      - Sei in borghese.

L’UOMO SOLENNE            - I mendicanti non posso impiccarli nella mia uniforme ufficiale. Ho disposizioni ben precise in merito.

AKKI                                      - La prendi un po' di minestra con carne di manzo?

L’UOMO SOLENNE            - è forse una trappola? Non potrei permettermelo.

AKKI                                      - (con aria innocente) Una trappola?

L’UOMO SOLENNE            - Dopo tutto sei riuscito a sfuggire al boia di Lamash come pure a quelli di Akkad e di Kish.

AKKI                                      - Ma erano solo boia ducali, quelli, non reali. Io non mi lascio impiccare che dal boia del re. Solo il meglio è abbastanza buono  per me. è una questione d'onore, da parte mia. E per ono- rarti ti offro una minestra con carne di manzo.

L’UOMO SOLENNE            - E anche io ne sono onorato, da parte mia. Col mio scarso stipendio son ridotto a un parco vitto. La mine- stra di carne di manzo la conosco solo per sentito dire.

AKKI                                      - Siediti allora su questo trono di un dominatore del mondo già da lungo tempo imputridito.

L’UOMO SOLENNE            - (si siede con circospezione) è proprio sicuro che non è una trappola?

AKKI                                      - Ma no, per carità.

L’UOMO SOLENNE            - Sono incorruttibile, io. Ogni tentativo di com- prarmi è vano, sia che si tratti di ricchezze o di piaceri carnali. Quando recentemente ho dovuto impiccare un'intera tribú, nel- la Misia, quelli mi hanno offerto ecatombi di asini e di pecore. Inutilmente. A migliaia i Misi pendevano in bella fila nel sole della sera.

AKKI                                      - Te lo credo.

L’UOMO SOLENNE            - Ti prego, mettila alla prova, la mia incorrut- tibilità.

AKKI                                      - Ma non val la pena, evidentemente.

L’UOMO SOLENNE            - Ti prego, ti prego. Niente mi fa tanto piacere quanto i tentativi di intaccare la mia incorruttibilità.

AKKI                                      - E va bene, allora. Avrei una sposina per te, bella, fresca e tondeggiante.

L’UOMO SOLENNE            - (tutto fiero) Assolutamente escluso.

AKKI                                      - Un fanciullino allora, roseo e tenero?

L’UOMO SOLENNE            - (raggiante) Resisto, resisto.

AKKI                                      - Ti bisbiglio nell'orecchio il luogo dove son sepolti nell'Eufrate  i miei tesori.

L’UOMO SOLENNE            - Niente da fare, verrai impiccato. (Trionfante)  Hai visto? Mi chiamano Sidi l'incorruttibile.

AKKI                                      - E in compenso riceverai il piú bel pezzo di manzo della mi- nestra. La minestra è pronta! (Batte col mestolo contro il cal- derone che emette un suono possente). 

I POETI                                  - si affacciano da tutte le parti. 

I POETI                                  - Il suono, il magnifico suono! (

TUTTI                                     - si avvicinano, cia- scuno con una scodellina in mano).

AKKI                                      - Sono i poeti, illustrissimo.

L’UOMO SOLENNE            - è una pura gioia per me, perfetta e incontaminata! 

I POETI                                  - e

L’UOMO SOLENNE            - si inchinano. Da destra si avvicinano timidamente Omar e Iussuf, anche loro con scodelline in mano. 

AKKI                                      - Omar il borsaiolo e Iussuf lo scassinatore. Sono i miei vi- cini, abitano un ponte piú giú.

L’UOMO SOLENNE            - Lo so, lo so. Devo impiccarli la settimana prossima.  Le figure nere si affacciano a destra.  LE FIGURE (gracchiando) Fame, abbiamo fame.

AKKI                                      - Eccovi la vostra parte, o corvi. (Getta loro un grosso pezzo  di carne, al che scompaiono di nuovo).  La minestra viene distribuita.

TUTTI                                     - cominciano a mangiare.

L’UOMO SOLENNE            - ha steso sul grembo un fazzoletto rosso. 

L’UOMO SOLENNE            - è divina questa minestra, che festino opulen- to per le mie vecchie ossa.

AKKI                                      - Mi sembri contento.

L’UOMO SOLENNE            - E lo sono, lo sono. La carne di manzo è vera- mente squisita. è un'orgia, un'orgia sfrenata per me questo pranzo. Ma verrai impiccato lo stesso.

AKKI                                      - (gli riempie di nuovo la scodella) Eccoti un'altra porzione.

L’UOMO SOLENNE            - Divoro, divoro tutto.

AKKI                                      - Vuoi una bottiglia del miglior vino d'Egitto? (Versa a

TUTTI                                     -  del vino).

L’UOMO SOLENNE            - Ne sono avido, assetato come sono. è un bac- canale, un baccanale che rintrona fino al cielo, il nostro. Esul- tiamo. è la centesima volta che il tuo mestiere viene proibito, la decima che ti si vuole impiccare. Ho fatto il conto io. Sono estremamente accurato quanto alle date della storia patria. Tengo un diario. Imperi universali vengono e vanno: io mi so- no annotato tutto. E gli uomini? Cambiano, si trasformano. Mutano il mestiere, la moda, la religione, lo stato civile, i co- stumi. Si avrebbe una bella confusione in testa, senza l'àncora di un diario. Solo tu non ti trasformi mai. Qualsiasi cosa suc- ceda, chiunque ti perseguiti, resti sempre mendicante. Onore, onore a te. (

TUTTI                                     - bevono). Resisti come resiste

L’ARCIMINISTRO               -  con le sue mille cancellerie reali. Onore, onore anche a lui. (

TUTTI                                     - bevono). Egli si tiene a galla come ti tieni a galla tu. Go- verna i re, governa il mondo in segreto con le sue folle d'impie- gati. E il terzo son io. Onore, onore dunque anche a me. (

TUTTI                                     - bevono). Anch'io non cambio, non muto, non mi trasformo. Resto  boia. Con fierezza posso gridarlo al cielo. La burocrazia, 1'ac- cattoneria e la carneficeria. Questi tre elementi formano la strut- tura segreta del mondo su cui si edificano e si smantellano tutte le cose. 

TUTTI                                     - brindano. 

AKKI                                      - Beviamo anche il resto del vino.

L’UOMO SOLENNE            - Il resto, il triste resto! è terribile che io sieda  qui per motivi professionali. Il mondo sarà triste e squalli- do dopo che avrò proceduto anche nei tuoi confronti. Ma accin- giamoci al nostro cupo lavoro. La minestra è mangiata, la car- ne è sparita, la bottiglia è vuota. Preferisci un lampione lassú, o è tuo desiderio essere appeso nel boschetto cittadino?

AKKI                                      - La cosa piú gradita per me sarebbe un lampione davanti al palazzo reale.

L’UOMO SOLENNE            - è un pensiero nobile, ma difficile da attuarsi.  I lampioni davanti al palazzo son riservati ai membri del governo. Sai che cosa? Ti impicchiamo alla balaustra del ponte, mi pare la cosa piú semplice. Il mio aiutante è già lassú. Halef!

UNA VOCE DALL'ALTO Sí, capo, arriva.  Dall'alto cala giú una corda.

I POETI                                  - fanno un urlo e sparisco- no, come pure Omar e Iussuf. 

L’UOMO SOLENNE            - Vuoi favorire? (

AKKI                                      - sale sul trono reale al centro della scena). Hai ancora disposizioni da dare prima della tua morte? (Mette il cappio intorno al collo di

AKKI                                      - dopo averlo reso scorrevole col sapone).

AKKI                                      - Ciò che resta lo dono ai poeti. Solo non mi è chiaro che cosa ne sarà del mio antiquariato nel vicolo del diluvio universale.

L’UOMO SOLENNE            - (balbettando) Tu hai un antiquariato? 

I POETI                                  - ricompaiono. 

I POETI                                  - Un antiquariato?

AKKI                                      - Accattato la settimana scorsa. Ero invasato da una supre- ma intuizione di mendicante, e da un virtuosismo assoluta- mente eccezionale, quel giorno.

L’UOMO SOLENNE            - Un antiquariato è la meta dei miei sogni.

AKKI                                      - Non avevo la minima idea che tu ti interessassi di simili cose.

L’UOMO SOLENNE            - Sedere da antiquario in mezzo alle statue e leggere i classici mi sembra la cosa piú nobile su questa terra.

AKKI                                      - (scuote la testa) Strano. Anche i boia di Lamash, Kish e Akkad erano appassionati di cultura.

L’UOMO SOLENNE            - Io vivo una vita amara, senza gioie. Te lo confesso tra le lacrime. Impicco e non riesco mai a migliorare la mia condizione. Tutt'al piú, qualche volta, capita un mini- stro che frutta un po' di piú. Se invece penso al tuo mestiere, al tuo continuo contatto coi poeti, all'ebbro baccanale di questa minestra con carne di manzo!

AKKI                                      - I grandi boia vengono ingrassati e i piccoli restano a mo- rire di fame. Sarò ragionevole. Dammi il tuo mestiere per il mio antiquariato.

L’UOMO SOLENNE            - (vacilla) Vuoi diventare boia?

AKKI                                      - L'unico mestiere che non ho mai accattato sinora.

L’UOMO SOLENNE            - (cade a sedere sul trono reale) Mio Dio!

AKKI                                      - (preoccupato) Che ti succede, Sidi l'incorruttibile, colonna  della segreta struttura universale?

L’UOMO SOLENNE            - Acqua, per favore, se no mi prende la mia crisi cardiaca.

AKKI                                      - Prendi grappa che è meglio. (Scende con cautela dal tro- no reale, sempre con la testa nel cappio, e gli porge una bottiglia).

L’UOMO SOLENNE            - La testa mi gira, mi gira. Dov'è dunque fi- nito il senso dell'onore, il tipico orgoglio babilonese?

AKKI                                      - (sorpreso) E che c'entrano quelli sotto questa arcata di ponte?

L’UOMO SOLENNE            - Posso cedere il mio mestiere a chiunque devo impiccare. è nel contratto che ho firmato un tempo con giova- nile baldanza per finanziarmi lo studio delle belle arti. Pensavo di guadagnar denaro. Ma neanche il piú miserabile operaio, il piú squallido ministro, il piú pidocchioso dei vagabondi, nes- suno insomma fra quanti ne ho impiccati nel corso dei tristi millenni, mai nessuno si lasciò convincere a diventar boia al mio posto e restare in vita. Il proverbiale orgoglio babilonese si dimostrò piú forte anche della volontà di vivere.

AKKI                                      - Vedi, l'ho sempre pensato che Babilonia sarebbe andata in rovina per colpa del suo senso dell'onore.

L’UOMO SOLENNE            - Se da un lato mi solleva la tua proposta che mi libera da una vita squallida, al tempo stesso sono rattristato. Vuoi acquisire il piú meschino, il piú spregevole mestiere in cambio di un antiquariato?

AKKI                                      - Tu hai una visione del tutto sbagliata della tua attività, o boia. Proprio i mestieri vergognosi, disprezzati, aborriti, van- no elevati acciocché sian riscattati dalla loro bassezza e rappre- sentino qualcosa: altrimenti sono perduti. Per farti un esem- pio, sono stato anche miliardario.

L’UOMO SOLENNE            - (sorpreso) Miliardario?

I POETI                                  - Racconta, mendicante, racconta!

AKKI                                      - Udite dunque il canto dei mestieri da me accattati. (Sfila la testa dal cappio e si regge al cappio con la mano destra) Una notte era di primavera, splendida e nera: accattai con arte e abilità dalla figliolina di un miliardario il miliardo del papà. Sen- za paura con linea sicura, in una lotta senza quartiere volli schiacciar della ricchezza lo strapotere. Odi dunque che faceva il saggio: dalla mattina alla sera facevo debiti, spendevo i talle- ri, spandevo i formi, bevevo i boschi e i castelli, mi mangiavo i cavalli, i vitelli, i quattrini, mi giocavo perfino le opere d'arte, gli specchi d'oro, gli arredi, mi giocavo gli scrigni, spendevo le pietre preziose, persi solo a tresette duemila suini e cosí ad un ritmo ingigantito entro un anno ero fallito senza neanche un soldo in tasca, senza vino nella fiasca, e nello stesso stato vergognoso ridussi anche cinque altri miiardari coi loro azio- nari e le banche. Il paese vacillò. Questo, o mio boia, feci da pensatore per riscattare un mestiere deteriore.

UN POETA                            - E la figliolina del miliardario?

AKKI                                      - Sposò un ufficiale giudiziario. (Tira il cappio verso l'alto. La corda scompare). Allora quando nel mio sarcofago giace- vo notte e giorno riflettendo perché l'umanità era cosí in con- vulsioni, perché trionfava la vergognosità, cercai con spirito e fuoco, per la mia passione un nuovo gioco: con lusinghe e con cordialità, con maltrattamenti e dura autorità, leccando il cu- lo e piegando la schiena, drizzando le gambe e con pensata pa- triottica aggiungendo la sposa aristocratica e l'atmosfera bu- rocratica, con scodinzolii e strisciamenti, accattai da un gene- rale malato il suo titolo. Potevo ora senza boria combattere la guerra, sconfiggere la vittoria. Questo fu il senso della mia vita militare e il successo della discesa all'inferno non si fece aspettare. Io raggiunsi con un'audace ventura di togliere alla guerra il dolore e la paura. Quando l'esercito da me guidato marciò verso Akkad, trecentomila sulla carta, riuscii a portare la sconfitta in porto senza subire neanche un morto, senza fe- rite, né bruciature, senza perdite di uomini o di altre creature. Neanche una madre del figlio fu orbata, trecentomila se la sono scampata. Questo o mio boia il filosofo ha pensato: mai si ebbe catastrofe piú a buon mercato!

L’UOMO SOLENNE            - Che eccezionale abilità. E come hai fatto? Di solito invece è proprio nelle sconfitte che si subiscono tan- te perdite!

AKKI                                      - Non ho spedito gli ordini di marcia ai soldati.

L’UOMO SOLENNE            - Grandioso, straordinario!

AKKI                                      - Vedi, in questo modo bisogna esercitare mestieri squallidi  e vergognosi. Da ciascuno si riesce a ricavare qualcosa di buono.

L’UOMO SOLENNE            - (timidamente) E tu credi che da antiquario riuscirei ad ottenere la mia minestra con carne di manzo? Sa- rei contento, entusiasta già con un banchetto una volta al mese.

AKKI                                      - Mangerai minestra con carne di manzo tre volte alla setti- mana e la domenica oca.

L’UOMO SOLENNE            - Quale novità! Quale sviluppo orgiastico!

AKKI                                      - La tua veste ufficiale, o boia.

L’UOMO SOLENNE            - è in questa valigetta. Dopo di te avrei do- vuto impiccare ancora i geografi e gli astronomi.

AKKI                                      - Impiccare significa lasciar correre.

L’UOMO SOLENNE            - Sentirai amaramente la mancanza dei poeti.

AKKI                                      - Al contrario. Già pregusto la quiete delle carceri reali. (Indossa il mantello del boia).

UN POETA                            - (spaventato) Non indossare quella veste.

UN ALTRO                            - Non disonorarti.

UN TERZO                            - Non diventare un boia.

UN ALTRO                            - ANCORA Resta un oggetto poetico.

AKKI                                      - è sempre la vostra eterna iattura non saper riconoscere l'ora del pericolo, o poeti di Babilonia! Non vedete la minac- cia che si prepara?

KURRUBI                             -  cerca un mendicante e troverà un re. Giorno e notte si fanno arresti. L'esercito marcia verso il nord. Lo stato diventa infallibile. Esso mira a non lasciarsi sfuggire nessuno di noi. Devo ancora raccontarvi la mia ulti- ma, la piú amara canzone? La canzone dell'arma del debole? UNO L'ultima e la piú amara delle tue canzoni!

I POETI                                  - Prima che tu sparisca, prima che tu fugga via da noi!

AKKI                                      - Per resistere al mondo il debole deve conoscerlo, per non andare alla cieca in una via di mala sorte, per non incappare in un pericolo che porta alla morte. I possenti son possenti; è da dementi non considerare questa verità, è follia cercar di vince- re il potere senza neanche avere armi a cui esso possa soggia- cere. Gli eroismi sono insensati, essi rivelano l'impotenza del debole inviso, la sua disperazione muove solo il forte a riso. Ma udite ora un mendicante in cenci, torturato dai ferri, inseguito dagli sgherri: il possente a questo mondo cerca ciò che gli pia- ce, ora è la tua donna, ora è la tua casa e sol ciò che ei disprez- za lascia in pace; ne apprenda il saggio. Muore chi ottenne ciò che il potere brama, anche il saggio soccombe alla lama, sol chi niente ha e niente è, resta indenne. Trai le conclusioni di questa necessità, fingiti stolto, sol cosí raggiungerai la tarda età. Attacca dall'interno. Sii nella fortezza già il giorno del proces- so. Striscia dentro, il volto umile come ubriacone, come schia- vo, come poeta, come plebaglia, umiliati e infrangerai ogni muraglia. Sopporta la vergogna, vai per ogni sentiero, seppel- lisci se il tempo lo richiede, sia la speranza selvaggia, sia l'ar- dente amore, sia la sofferenza e la fede, sia l'umanità e la gioia, sotto il rosso manto del boia. (Si mette la maschera sul volto e appare come carnefice vestito di rosso).  ATTO TERZO Della sala del trono, in cui si svolge il terzo atto, non c'è mol- to da dire: il suo lusso, la sua raffinatezza, la sua esclusione, so- no cose evidenti, ma anche la sua orrida crudeltà. In mezzo alla cultura piú raffinata si intravede un che di cannibalescamente orrido e crudele, per esempio le insegne macchiate di sangue nelle campagne di conquista degli eserciti reali. Lo spazio è di- viso in due da un'enorme grata, in un primo piano e in uno sfon- do che si estende chissà dove all'infinito con gigantesche statue in pietra che dobbiamo immaginarci da qualche parte, aride e spente. Il trono, a sinistra davanti la grata, è posto su alcuni gra- dini. Vi è assiso

NABUCODONOSOR           - ; fra i suoi piedi è la testa di

NEMBROTTE                        - , sulle cui spalle essi poggiano. A sinistra una porta nella grata che conduce al fondo. Altre porte alle pareti a de- stra e a sinistra. Lungo la ribalta, in primo piano a destra, due sedili. 

NEMBROTTE                        -  Dunque, re

NABUCODONOSOR           - ? Perché te ne stai giorno e  notte con gli occhi sbarrati nel tuo palazzo, perché i tuoi piedi pestano cosí sulle mie spalle, incessantemente?

NABUCODONOSOR           -  Amo

KURRUBI                             - .

NEMBROTTE                        -  Allora ami una fanciulla che hai data via in cambio  del tuo sgabello.

NABUCODONOSOR           -  Ti faccio fustigare.

NEMBROTTE                        -  Fai pure! Non potrai mai tormentarmi quanto ti tormento io.

NABUCODONOSOR           -  Taci tu, testa fra i miei piedi.

NEMBROTTE                        -  Come vuoi.  Silenzio. 

NABUCODONOSOR           -  Parla! Parla!

NEMBROTTE                        -  Vedi, non sopporti neanche il mio silenzio.

NABUCODONOSOR           -  Parlami di

KURRUBI                             - . Tu l'hai vista. Ti ha dato da bere dalle sporche acque dell'Eufrate.

NEMBROTTE                        -  Mi invidi?

NABUCODONOSOR           -  Ti invidio.

NEMBROTTE                        -  Era velata. Ma attraverso il suo velo ho visto la sua bellezza prima che tu ne avessi coscienza.

NABUCODONOSOR           -  La sua bellezza colma la città di Babilonia di un divino splendore e fin nella mia reggia penetrano i canti de- gli innamorati.

IL PAGGIO                           - (di fuori, recita ad alta voce) Di luce era

LA FANCIULLA                  - discesa dal nulla.

NEMBROTTE                        -  Lo senti? Perfino il tuo paggio sta facendo versi.

IL PAGGIO                           - Al re non toccò, sotto i ponti se ne andò.

NABUCODONOSOR           -  (a bassa voce) Boia.  Da sinistra entra

AKKI                                      - travestito da boia. 

AKKI                                      - Maestà.

NABUCODONOSOR           -  Uccidi questo paggio che sta poetando.

IL PAGGIO                           - Ama un barbon pezzente lei che il cuor ci rende ardente.

AKKI                                      - Giustissimo, maestà, una misura energica è la cosa piú in- dicata (Scompare a destra in fondo).

IL PAGGIO                           - Qual fiocco di neve bianca dalla neve del... (La voce del paggio si interrompe improvvisamente).

NABUCODONOSOR           -  Cosí sarà messo a morte chiunque ama

KURRUBI                             - .

NEMBROTTE                        -  Allora ti toccherà sterminare l'umanità intera.

NABUCODONOSOR           -  Ti farò cavare gli occhi con un ferro rovente.

NEMBROTTE                        -  Fammi cavare gli occhi, colami piombo nelle orec- chie, imbavagliami e tappami la bocca, ma il mio ricordo non me lo potrai mai strappare dal petto.

NABUCODONOSOR           -  Arciministro!

L’ARCIMINISTRO               -  Maestà.

NABUCODONOSOR           -  Caccia l'ex re nella piú profonda delle mie segrete.

L’ARCIMINISTRO               -  Io sono legislatore. Ho definito l'essenza del re nel fatto che i suoi piedi posano sulle spalle del suo prede- cessore. Se questa definizione vien meno, vien meno anche il monarca.

NABUCODONOSOR           -  E allora modificala, questa definizione.

L’ARCIMINISTRO               -  Impossibile: in tal caso crollano anche

TUTTI                                     - i cinquecentomila paragrafi della legge babilonese che si de- ducono logicamente dalla definizione del re e abbiamo il caos totale ed assoluto. (Si allontana).

NEMBROTTE                        -  (ride) Questo lo diceva sempre anche a me.

NABUCODONOSOR           -  E ogni volta il numero dei paragrafi cresceva a dismisura.

NEMBROTTE                        -  E cosí pure il numero delle cancellerie e degli uffici.

NABUCODONOSOR           -  A me non resta che uno sgabello.

NEMBROTTE                        -  E tuo figlio, il principe ereditario.  Da sinistra in fondo entra ballando e saltando sulla corda un idiota ghignante, vestito bizzarramente, attraversa la scena e sparisce in fondo a destra.

NABUCODONOSOR           -  si copre il volto con le mani. 

NABUCODONOSOR           -  Tuo figlio.

NEMBROTTE                        -  Nostro figlio, l'erede del nostro potere. Nessuno sa chi lo ha concepito. Eravamo entrambi ubriachi quando ci recammo insieme da sua madre, quella notte.

NABUCODONOSOR           -  Siamo incatenati l'uno all'altro, tu ed io.

NEMBROTTE                        -  Per sempre, per sempre.

NABUCODONOSOR           -  Per

TUTTI                                     - questi secoli e millenni che già si son compiuti. AMBEDUE Io in alto, in basso tu, io in basso, in alto tu, su e giú, sempre su e giú.  Silenzio. 

NABUCODONOSOR           -  Boia.  Da sinistra entra Akki. 

AKKI                                      - Maestà.

NABUCODONOSOR           -  Sono stati puniti i geografi e gli astronomi?

AKKI                                      - Le carceri sono state ripulite, svuotate dalla loro presenza.

NABUCODONOSOR           -  Si sono eliminati i mendicanti?

AKKI                                      - Totalmente.

NABUCODONOSOR           -  E il mendicante Akki?

AKKI                                      - è trasformato completamente. Neanche vostra maestà lo riconoscerebbe se le stesse qui davanti.

NABUCODONOSOR           -  è stato impiccato?

AKKI                                      - Elevato, circola nelle sfere piú eccelse.

NABUCODONOSOR           -  Il mecenate de

I POETI                                  - non si troverà in cielo, immagino.

AKKI                                      - Un pochino piú giú.

NABUCODONOSOR           -  I mendicanti sono stati finalmente cancellati dalla faccia della terra. Per la prima volta dal diluvio univer- sale in qua si ha una chiara indicazione di progresso. Gli uomini  cominciano ad acquisire strutture piú definite, a svilup- parsi nel senso di una maggiore umanità. Ora che nel campo sociale si è rimediato al peggio, è giunto il momento di intro- durre la ragione, di procedere dunque o contro

I POETI                                  - oppure contro i teologi.

AKKI                                      - (spaventato) Non i poeti, per carità. C'era tanta quiete nelle carceri, finora, e adesso c'è già

IL PAGGIO                           - che fa versi.

NABUCODONOSOR           -  Non lo hai ancora ucciso?

AKKI                                      - Per le impiccagioni dei paggi sono riservate le ore della mezzanotte, secondo quanto prescrive il cerimoniale di corte. Prego vostra maestà di procedere contro i teologi, che sono meno fastidiosi.

NABUCODONOSOR           -  Un colloquio col teologo capo risolverà la que- stione. Fai il tuo dovere e prepara la forca di corte. (

AKKI                                      - esce).

UTNAPISCHTIM                  - !  Da destra entra il teologo capo

UTNAPISCHTIM                  - , un vegliardo dall'aria veneranda. 

UTNAPISCHTIM                  -  Che vuoi tu da me, re

NABUCODONOSOR           - ?

NABUCODONOSOR           -  Sputa in faccia alla testa fra i miei piedi.

UTNAPISCHTIM                  -  In base alla legge che anche tu hai confermato sono esonerato da questa cerimonia.

NABUCODONOSOR           -  E allora maledici il mio sgabello per tutta l'eternità.

UTNAPISCHTIM                  -  Il mio dovere è pregare per il bene di tutta l'umanità. 

NEMBROTTE                        -  ride.

NABUCODONOSOR           -  riesce a dominarsi. 

NABUCODONOSOR           -  Puoi sederti.

UTNAPISCHTIM                  -  Grazie.

NABUCODONOSOR           -  Ho bisogno di un consiglio.

UTNAPISCHTIM                  -  Ti ascolto.

NABUCODONOSOR           -  (con una certa esitazione) Tu eri presente quella  incresciosa mattinata quando

L’ANGELO                           -  apparve sulla riva dell'Eufrate.

UTNAPISCHTIM                  -  Un avvenimento sconvolgente per i teologi. Io mi son sempre rifiutato di credere agli angeli e ho compila- to numerosi trattati contro questa credenza. Sono stato anzi costretto a far bruciare due professori di teologia che insiste- vano nel diffonderla. Dio mi sembrava non avesse bisogno di strumenti, dato che è onnipotente. Ora mi trovo costretto a rivedere la mia dogmatica per quel che riguarda gli angioli, impresa piú difficile di quanto crederebbe un profano, perché l'onnipotenza di Dio non può naturalmente esser messa in dubbio.

NABUCODONOSOR           -  Non ti comprendo.

UTNAPISCHTIM                  -  Non fa niente, maestà. Anche fra noi teologi non ci comprendiamo quasi mai.

NABUCODONOSOR           -  (imbarazzato) Tu hai visto come ho calpestato la ragazza.

UTNAPISCHTIM                  -  Mi ha commosso profondamente.

NABUCODONOSOR           -  (con dolore) Io amo questa fanciulla,

UTNAPISCHTIM                  - .

UTNAPISCHTIM                  - 

TUTTI                                     - noi amiamo questa bambina.

NABUCODONOSOR           -  Tutta la città ne canta le lodi.

UTNAPISCHTIM                  -  Lo so: anch'io mi son cimentato nell'arte di can- tare questa fanciulla.

NABUCODONOSOR           -  Anche tu, il piú vecchio degli uomini! (Silen- zio). Sono stato offeso dal cielo.

UTNAPISCHTIM                  -  Tu sei solo geloso di te stesso, re

NABUCODONOSOR           - .  Dal fondo a destra entra l'idiota saltando sulla corda, attraver- sa la scena ed esce a sinistra in fondo.

UTNAPISCHTIM                  -  s'inchina. 

NABUCODONOSOR           -  (imbarazzato) Continua il tuo discorso.

UTNAPISCHTIM                  -  O re: se vogliamo cercare di comprendere il decorso del mondo che, lo ammetto, è spesso misterioso, dob- biamo partire dal principio che il cielo abbia sempre ragione.

NABUCODONOSOR           -  (cupo) Prendi dunque parte per il cielo nel conflitto tra il cielo e me? Mi dispiace ma allora devo farti uccidere. Boia!  Da sinistra viene Akki. 

AKKI                                      - (tutto contento) Tocca ai teologi, dunque. Benissimo, maestà.

UTNAPISCHTIM                  -  (si alza con dignità) Come vuoi.

NABUCODONOSOR           -  (spaventato) Torna pure a sederti, caro

UTNAPISCHTIM                  - .  Non ho poi tanta fretta.

IL BOIA                                 - può ancora aspetta- re un po'. Continua intanto il tuo discorso.

AKKI                                      - Niente debolezze, maestà. Coi teologi bisogna esser duri.

UTNAPISCHTIM                  -  (freddamente) A quanto pare sei dell'opinione  che il cielo si sia fatto ingannare da te e quella notte ti abbia creduto un mendicante. Ciò è ridicolo. Hai potuto ingannare 

L’ANGELO                           - , ma il cielo che lo mandava sapeva esattamente a  chi stava dando la fanciulla, e cioè a te, o re

NABUCODONOSOR           - . Non può essere altrimenti perché Dio è non solo onni- potente ma anche onnisciente come ho dimostrato nelle mie opere.

NABUCODONOSOR           -  (cupamente) Il cielo ha destinato

KURRUBI                             -  al piú povero tra gli uomini.

UTNAPISCHTIM                  -  Le parole del cielo non vanno mai prese perso- nalmente, ma sempre in senso generale. Ogni essere umano è press'a poco altrettanto umile se si considera l'enorme distan- za da cui il cielo considera le cose qui sulla terra. La volontà di Dio di arricchirti con la sua grazia, tu l'hai annullata con la tua stoltezza.

NABUCODONOSOR           -  (dopo un breve silenzio, amichevolmente) Quando parlavo di farti uccidere era assurdo, naturalmente.

UTNAPISCHTIM                  -  Ti ringrazio.

NABUCODONOSOR           -  Bisogna anzi promuovere lo studio della teo- logia nel mio impero. Farò proibire tutte le altre scienze.

UTNAPISCHTIM                  -  Per quanto degno di lode sia il tuo zelo, non è però il caso di esagerare.

NABUCODONOSOR           -  In compenso adesso verranno impiccati i poeti.

UTNAPISCHTIM                  -  Me ne dispiace.

NABUCODONOSOR           -  Lo stato perfetto non può tollerare la diffu- sione di falsità.

I POETI                                  - pubblicano sentimenti che non esistono, storie inventate e frasi senza senso. Mi pare che proprio la teologia sia anch'essa interessata a vietare ciò.

UTNAPISCHTIM                  -  Non necessariamente.

NABUCODONOSOR           -  Boia.  Da sinistra entra Akki. 

AKKI                                      - Arrivo e di corsa. La forca di corte è già pronta per il capo teologo.

NABUCODONOSOR           -  Fai arrestare i poeti.

AKKI                                      - (spaventato) I poeti?

NABUCODONOSOR           -  Vanno sterminati.

AKKI                                      - Allora almeno solo

I POETI                                  - epici, quelli sono relativamente i piú tranquilli.

NABUCODONOSOR           -  Niente da fare: anche i lirici e drammatici. (

AKKI                                      - esce rassegnato). Con ciò il conflitto tra Stato e Chiesa è stato composto.

UTNAPISCHTIM                  -  Ancora una volta.

NABUCODONOSOR           -  E tu credi che dovrei sposare la fanciulla?

UTNAPISCHTIM                  -  Mi meraviglio anzi che tu non l'abbia già fatto da tempo.  Da destra entra

L’ARCIMINISTRO               - . 

L’ARCIMINISTRO               -  Maestà,

L’ANGELO                           -  è apparso agli occhi di

TUTTI                                     - nel parco cittadino dove sta raccogliendo colibrí e noci di cocco, saltando da una palma all'altra.  Un segretario del teologo capo entra anche egli da destra e bi- sbiglia qualcosa all'orecchio di

UTNAPISCHTIM                  - . 

UTNAPISCHTIM                  -  (felice) Il mio segretario mi annuncia che le iscrizioni nella chiesa nazionale superano a un tratto le piú folli speranze.  Il segretazio srotola un'enorme lista con le firme dei nuovi iscritti. 

L’ARCIMINISTRO               -  Politicamente questa apparizione ultraterrena non risulta altrettanto positiva. Il popolo è entusiasta, penetra nel cortile del palazzo e insiste perché vostra maestà sposi

KURRUBI                             - .  Si sta portando qui

LA FANCIULLA                  - nella portantina del banchiere 

ENGGIBI                               - , incoronata di fiori.

UTNAPISCHTIM                  -  Una rivolta?

L’ARCIMINISTRO               -  Una dimostrazione spontanea che ancora man- tiene un carattere babilonese conservatore ma che non può non essere preoccupante.

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Fate massacrare la plebaglia.

L’ARCIMINISTRO               -  Una sommossa non va necessariamente repressa  se può essere utilizzata per un obiettivo che ci è utile. 

NABUCODONOSOR           -  assume una posa di riflessione, come pure

NEMBROTTE                        - . 

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Ti ascolto.

NABUCODONOSOR           -  (sorpreso) Perché mai ripeti le mie parole, o mio sgabello?

NEMBROTTE                        -  Non è solo il tuo trono, ma il nostro trono che è minacciato. 

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  riassumono l'atteggiamento di riflessione. 

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Il nostro  trono è minacciato: ascoltiamo le tue proposte, arciministro.

L’ARCIMINISTRO               -  Sacre maestà, il trono di Babilonia, questa isti- tuzione sublime e grandiosa che ha le sue radici nella piú anti- ca preistoria, fondata da Gilgamesh il nostro eroe nazionale, questo vero ombelico della terra intorno cui si affollano

TUTTI                                     - i popoli...

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Che formulazione brillante, efficace!

L’ARCIMINISTRO               -  (continua) ... si è ormai talmente screditato nel corso dei millenni che attualmente viene considerato come la piú squallida istituzione di

TUTTI                                     - i tempi.

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Ah, osi dir  questo? Boia...  Da sinistra entra

AKKI                                      - ma

L’ARCIMINISTRO               -  lo rimanda indietro con un gesto della mano. 

L’ARCIMINISTRO               -  Non c'è bisogno di scomodarlo, sacre maestà. Si tratta solo di una constatazione politica, non di un'opinione personale.

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Continua.

L’ARCIMINISTRO               -  Fra i babilonesi è di buon tono essere repub- blicani. L'affollarsi di una folla eccitata all'interno del cortile non è che un sintomo. Bisogna intervenire, altrimenti il nostro  impero universale scompare.

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Come la neve  del nord all'inizio della primavera.

UTNAPISCHTIM                  -  Che rimedio propone, arciministro?

L’ARCIMINISTRO               - 

LA FANCIULLA                  -

KURRUBI                             - , la cui bellezza entusiasma  perfino un vecchio come me, va elevata immediatamente al rango di regina.

UTNAPISCHTIM                  -  La religione e la ragion di stato armonizzano come meglio non potrebbero.

L’ARCIMINISTRO               -  Mai prima d'ora una situazione sfavorevole si è cosí completamente trasformata in un successo. Come uomo  politico sono entusiasta. Abbiamo la possibilità di dare una salda base metafisica a questo regno che politicamente pog- giava su basi troppo poco salde. Oggi

TUTTI                                     - credono a

KURRUBI                             -  e al cielo. Se eleviamo

LA FANCIULLA                  - a nostra regina, allora l'ideale  repubblicano sarà liquidato per

UN ALTRO                            - paio di millenni. Basta che cediamo alla volontà del popoío e tutto va a posto nel migliore dei modi. Possiamo inoltre sperare che si arrivi anche presto a

UN ALTRO                            - principe ereditario perché anche se con l'eccellente funzionamento dei miei uffici un monarca di talen- to un po' limitato non potrebbe combinare molti guai, tutta- via non sarebbe naturalmente molto gradevole da un punto di vista politico.

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Introducete la fanciulla. 

L’ARCIMINISTRO               -  e il teologo capo fanno per andarsene dalla porta  nella grata. 

NABUCODONOSOR           -  Ma prima devo ancora parlare col mio boia. 

UTNAPISCHTIM                  -  e

L’ARCIMINISTRO               -  si voltano sorpresi. 

UTNAPISCHTIM                  -  Maestà, che c'entra

IL BOIA                                 - in questa tenera e gradevole vicenda?

NABUCODONOSOR           -  Non c'è nessuna vicenda nel mio impero in cui

IL BOIA                                 - non c'entri per qualche verso, o teologo capo. Andate pure.  I due escono. Entra

AKKI                                      - da sinistra. Si sentono risuonare allegri canti. 

AKKI                                      - Maestà.

NABUCODONOSOR           -  Che cosa sono questi canti, boia?

AKKI                                      - Sono

I POETI                                  - che intonano le loro odi.

NABUCODONOSOR           -  Suonano stranamente felici.

AKKI                                      -

I POETI                                  - babilonesi conducevano una vita cosí infelice che son ben lieti di abbandonarla per un'altra.

NABUCODONOSOR           -  Avvicinati.

AKKI                                      - Come vostra maestà comanda.

NABUCODONOSOR           -  Ancora piú vicino. Puoi toglierti la maschera.

AKKI                                      - Preferisco di no.

NABUCODONOSOR           -  Non mi sento sicuro se non ti ho vicino a me.

AKKI                                      - Son le mie mansioni che mi tengono impegnato, maestà. Sono occupato a fare una pulizia generale nelle carceri.

NABUCODONOSOR           -  Stai impiccando i poeti?  Da sinistra entra in scena barcollando

UN POETA                            - che sta beven- do da un enorme boccale.

AKKI                                      - gli fa segno energicamente di sparire.

IL POETA                              - esce di nuovo barcollando. 

AKKI                                      - Li sistemo nel migliore dei modi.

NABUCODONOSOR           -  Voglio parlarti umanamente, come a un fra- tello. Sei il funzionario peggio pagato della mia corte e lavori piú di ogni altro. Eccoti un assegno per mille monete d'oro. (Tira  fuori un libretto di assegni.

AKKI                                      - gli porge una matita e Nabu- codonosor firma).

AKKI                                      - Purché non capiti in mani sbagliate.

NABUCODONOSOR           -  Tu sei l'unico nel mio impero che non mi in- ganna, che è veramente quello che è.

AKKI                                      - Maestà, mi sembra un po' esagerato.

NABUCODONOSOR           -  Posso fidarmi solo di te. Sto per ricevere

LA FANCIULLA                  - che amo. Voglio metterla alla prova. è possibile che non mi ami piú. Aveva contatti co

I POETI                                  - e specialmente col mendicante Akki.

AKKI                                      - Che devo fare?

NABUCODONOSOR           -  Uccidi

LA FANCIULLA                  - se non mi ama piú.  Tornano

L’ARCIMINISTRO               -  e

UTNAPISCHTIM                  -  guidando

KURRUBI                             -  attraverso  la porta nella grata. Essa è scalza, con le vesti lacere. 

L’ARCIMINISTRO               -  (felice) Ecco la fanciulla! 

AKKI                                      - scompare.

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  si coprono il volto  con maschere d'oro. 

UTNAPISCHTIM                  -  Vieni, figliola mia.

L’ARCIMINISTRO               -  Entra, bambina. 

UTNAPISCHTIM                  -  e

L’ARCIMINISTRO               -  si ritirano in fondo a destra. 

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Ti diamo il benvenuto. 

KURRUBI                             -  si ferma spaventata. 

KURRUBI                             -  Un essere a due corpi?

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Sei dinanzi  al re di Babilonia.  Da sinistra in fondo> attraversa la scena saltellando l'idiota. 

KURRUBI                             -  (spaventata) Chi è?

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Un essere  innocuo che gira saltellando per il palazzo. 

KURRUBI                             -  si avvicina timidamente. 

KURRUBI                             -  Tu sei il piú potente tra gli uomini?

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Il piú potente!

KURRUBI                             -  E che vuoi tu da me?

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) I babilonesi  vogliono che tu divenga mia moglie.

KURRUBI                             -  Non posso diventare tua moglie. 

NABUCODONOSOR           -  fa un cenno.

AKKI                                      - entra da sinistra senza che

KURRUBI                             -  lo veda. 

NABUCODONOSOR           -  Tu ami?

KURRUBI                             -  Sí, io amo.

NABUCODONOSOR           -  Ami forse uno dei poeti? Mi sembra che sian loro in particolare ad occuparsi di te.

KURRUBI                             -  Amo i poeti. Sono cosí carini.

NABUCODONOSOR           -  Si può essere anche di opinione diversa.

KURRUBI                             -  Ma li amo cosí come si amano i poeti.

NABUCODONOSOR           -  Sei stata vista per le vie e di notte sotto i pon- ti con un vecchio bugiardo contafrottole. 

AKKI                                      - batte il piede in terra, furibondo. 

KURRUBI                             -  Amo il mendicante

AKKI                                      - ma come si ama un padre.

NABUCODONOSOR           -  (sollevato) E allora chi ami come una fanciulla  ama un giovane, un amante?

KURRUBI                             -  Io amo un mendicante con un nome molto complicato, o grande re. 

NABUCODONOSOR           -  fa un segno.

AKKI                                      - scompare. 

NABUCODONOSOR           -  Il mendicante di Ninive?

KURRUBI                             -  (felice) Lo conosci?

NABUCODONOSOR           -  Dimentica quel giovane infelice. Era triste, era  disperato, era solitario.

KURRUBI                             -  Non posso dimenticarlo.

NABUCODONOSOR           -  è sparito, non è registrato nei miei uffici.

KURRUBI                             -  Non smetterò mai di cercarlo.

NABUCODONOSOR           -  Uno spettro apparve nella nebbia dell'Eufrate. Al di fuori di quei pochi nessuno piú l'ha visto.

KURRUBI                             -  Io l'ho visto.

NABUCODONOSOR           -  Si vede anche ciò che si sogna.

KURRUBI                             -  Mi sono avvinghiata al suo corpo, l'ho baciato.

NABUCODONOSOR           -  Tu cerchi colui che non esiste.

KURRUBI                             -  Esiste perché lo amo.

NABUCODONOSOR           -  Tu ami colui che non troverai mai.

KURRUBI                             -  Troverò colui che amo, un giorno, da qualche parte.

NABUCODONOSOR           -  Allora vai.

KURRUBI                             -  (si inchina) Ti ringrazio> grande re. (

NABUCODONOSOR           -  si toglie la maschera dal volto come pure

NEMBROTTE                        - .

KURRUBI                             -  alza  gli occhi e riconosce per primo

NEMBROTTE                        - ) Il prigioniero cui ho dato da bere!

NEMBROTTE                        -  Son io.

KURRUBI                             -  (riconosce

NABUCODONOSOR           -  e grida) Il mio mendicante!

NABUCODONOSOR           -  Son io.

KURRUBI                             -  Il re!

NABUCODONOSOR           -  Che non ha mai dubitato del tuo amore.

KURRUBI                             -  O mio amato. (Lo fissa in volto, pallida, sconvolta). 

NABUCODONOSOR           -  scende dal trono, le si accosta. 

NABUCODONOSOR           -  Quel mendicante che tu cerchi non esiste perché  non è mai esistito. Tu hai perduto lui e hai trovato me. Tu amavi un mendicante, adesso ti ama un re. Per i colpi che egli ti diede ora io ti do tutta la terra perché anche quei paesi che si trovano al di là del Libano, verranno conquistati dalle mie schiere. Siederai alla mia destra e il tuo piede poserà su Nem- brotte. I grandi del mio impero si inchineranno ai tuoi piedi e offrirò al cielo infiniti sacrifici. (Fa per condurla al trono).

KURRUBI                             -  (come risvegliandosi) Tu non sei il re.

L’ANGELO                           -  mi diede a te perché sei un mendicante.

NABUCODONOSOR           -  Non sono mai stato un mendicante, sono sempre  stato un re. Allora ero solo travestito.

KURRUBI                             -  Adesso sei travestito.

NABUCODONOSOR           -  Ti confondi, fanciulla.

KURRUBI                             -  Sull'Eufrate eri un essere umano che io amavo, adesso sei uno spettro, un fantasma di cui ho paura.

NABUCODONOSOR           -  Tu confondi l'apparenza con la realtà.

KURRUBI                             -  Solo come mendicante tu sei vero e reale.

NABUCODONOSOR           -  Solo come mendicante sono apparenza.

KURRUBI                             -  Fuggi con me!

NABUCODONOSOR           -  Ma cara

KURRUBI                             - , ho il mondo intero da governare, io.

NEMBROTTE                        -  (in tono beffardo) Son io che ho da governarlo! 

NEMBROTTE                        -  cerca di sedersi sul trono,

NABUCODONOSOR           -  si precipita  a impedirglielo. 

NABUCODONOSOR           -  Giú al tuo posto> tu! (Costringe di nuovo

NEMBROTTE                        -   nella posizione di sgabello).

KURRUBI                             -  (si avvicina alle due maestà che stanno lottando e si av- vinghia a

NABUCODONOSOR           - ) Fa che cessi questo tuo sogno orri- bile. Tu non sei un re. Sii di nuovo te stesso, il mendicante che sei sempre stato. Io ti amo. Lasceremo questa casa di pietra e questa città di pietra. Mendicherò per te, avrò cura di te. Attra- verseremo la grande pianura, ci recheremo verso quei paesi di cui mi raccontava

L’ANGELO                           - . Non avremo timore quando attra- verseremo il deserto. Dormiremo sulla terra abbracciati l'uno all'altro, dormiremo sotto gli alberi, sotto un cielo pieno di stelle.

NABUCODONOSOR           -  Teologo capo! 

UTNAPISCHTIM                  -  entra dalla porta destra. 

UTNAPISCHTIM                  -  Che vuoi tu da me?

NABUCODONOSOR           -  C'è mancato poco che l'ex re riuscisse a sedersi  sul trono, e

LA FANCIULLA                  - pretende che io diventi un mendi- cante. Non comprende che non sono mai stato un mendicante. I contatti con un angelo e specialmente

TUTTI                                     - queI POETI - le han- no riempito la testa di concezioni assurde. Parla tu con lei. Essa è  inesperta di cose umane. (Si siede sul trono, irritato). 

UTNAPISCHTIM                  -  conduce

LA FANCIULLA                  - verso destra, dove si siedono entrambi. 

UTNAPISCHTIM                  -  (benignamente) Io sono il teologo di Babilo- nia, bambina.

KURRUBI                             -  (felice) Allora pensi a Dio?

UTNAPISCHTIM                  -  (sorridendo) Penso sempre a Dio.

KURRUBI                             -  E lo conosci bene?

UTNAPISCHTIM                  -  (un po' malinconico) Molto meno di quanto lo conosci tu, fanciulla mia, perché tu eri vicina al suo volto. Io sono un uomo e a noialtri uomini Dio si è nascosto. Noi non siamo in grado di vederlo, siamo solo in grado di cercarlo. Tu ami il re, fanciulla?

KURRUBI                             -  Io amo il mendicante a cui

L’ANGELO                           -  mi ha portata.

UTNAPISCHTIM                  -  Il re e questo mendicante sono tutt'uno. Tu ami dunque anche il re.

KURRUBI                             -  (china la testa) Io posso amare solo il mendicante.

UTNAPISCHTIM                  -  (sorridendo) E allora tu vorresti che il re diven- tasse un mendicante?

KURRUBI                             -  Io voglio solo ubbidire al

L’ANGELO                           - .

UTNAPISCHTIM                  -  Il quale ti ha portata da un mendicante che in- vece è un re. Tu sei confusa e ti capisco. Non sai se devi diven- tare tu una regina o il re un mendicante. Non è cosí, figliola mia?

KURRUBI                             -  (incerta) è cosí, reverendo padre.

UTNAPISCHTIM                  -  Vedi, bimba mia, tutto è piú semplice se solo ne parliamo con calma. Ora dobbiamo cercare di sapere che cosa intendeva il cielo con tutto questo, non è vero?

KURRUBI                             -  Sí, reverendo padre.  Da sinistra entrano intanto barcollando due poeti con boccali e cosciotti di agnello ma vengono trascinati fuori da

AKKI                                      - prima che i presenti si accorgano di loro. Solo

NABUCODONOSOR           -  fa un cenno irritato nella loro direzione perché è disturbato dal ru- more, senza però volger gli occhi dal teologo e da

KURRUBI                             -  che egli sta ascoltando proteso in avanti. 

UTNAPISCHTIM                  -  Quando ero ancora giovane e venne il diluvio universale ero convinto che il cielo pretendeva da noi uomini l'assoluto, come ci esprimiamo noi teologi nel nostro linguaggio un po' bizzarro, ma quanto piú son divenuto vecchio tanto piú chiaramente mi rendo conto che questa concezione non è del tutto esatta. Il cielo pretende dagli esseri umani innanzitutto ciò che è possibile. Esso sa che non può trasformarci da un mo- mento all'altro in esseri perfetti, che anzi non farebbe altro che distruggerci se lo tentasse. Perciò il cielo ci ama proprio in questa nostra imperfezione. è paziente con noi e si accon- tenta di ammonirci amorevolmente come fa un padre col suo bambinetto per educarci progressivamente nel corso dei millenni.

KURRUBI                             -  Sí, reverendo padre.

UTNAPISCHTIM                  -  Perciò noi uomini siamo in errore attribuendo al cielo severità e richieste eccessive, che producono solo dan- ni e confusione. Mi comprendi, fanciulla mia?

KURRUBI                             -  Tu sei buono con me, reverendo padre.  Alla porta nella grata si affaccia

L’ARCIMINISTRO               - . 

L’ARCIMINISTRO               -  Ci si può congratulare?

NABUCODONOSOR           -  Siam sul punto di convincerla. 

L’ARCIMINISTRO               -  scompare.

UTNAPISCHTIM                  -  fa un segno a Nabuco- donosor, questi scende dal trono e si accosta ai due che si son alzati in piedi. 

UTNAPISCHTIM                  -  E cosí stan le cose tra te e il re. Se tu consideri come assoluto il comandamento del cielo e pretendi che il re che ti ha ricevuta come mendicante debba anche lui diventare un mendicante, ciò confonde l'ordinamento umano. è una realtà  ineluttabile che gli uomini vogliono vedere i loro re e non i loro mendicanti ricolmi di grazia divina, vogliono vedere te nelle vesti di regina e non coperta di stracci come una poveretta qualsiasi. Per giunta potrai in tal modo aiutare gli uomini, bimba  mia, perché loro han bisogno del tuo aiuto. Indirizzerai il re sul giusto sentiero e farà del bene con il tuo aiuto. Sposalo affinché  le preghiere di pace e di giustizia vengano esaudite. (Fa per congiungere le mani dei due, quand'ecco che si precipita dentro 

L’ARCIMINISTRO               - ).

L’ARCIMINISTRO               -  Bisogna agire subito. Stanno tirando pietre con- tro la statua colossale di sua maestà con la testa sostituibile.

UTNAPISCHTIM                  -  E la mia statua?

L’ARCIMINISTRO               -  è sempre intatta, ornata di rose.

UTNAPISCHTIM                  -  Grazie al cielo, allora vuol dire che le iscrizioni  nella chiesa nazionale continuano.  Intanto

NEMBROTTE                        -  si è seduto sul trono. 

NEMBROTTE                        -  Deve intervenire immediatamente l'esercito.

L’ARCIMINISTRO               -  Come potrebbe? è partito tutto in direzione di quei villaggi al di là del Libano. Qui abbiamo solo cinquan- ta uomini della guardia di palazzo.

UTNAPISCHTIM                  -  Babilonia va in rovina per la sua eterna mania di conquistare il mondo. 

NABUCODONOSOR           -  prende il posto di

NEMBROTTE                        - . 

NABUCODONOSOR           -  (malinconicamente) Sono appena stato re e già sono di nuovo sgabello. Mai intervenne con tale rapidità un tale mutamento nelle cose. Stiamo avviandoci verso una catastrofe generale.

L’ARCIMINISTRO               -  Mi pare un po' esagerato maestà, gente come noi riesce sempre a restare a galla.

NEMBROTTE                        -  e

NABUCODONOSOR           -  (contemporaneamente) Che si deve fare, arciministro?

L’ARCIMINISTRO               -  Maestà: innanzi tutto bisogna domandarsi il motivo di questa ribellione.

NEMBROTTE                        -  e

NABUCODONOSOR           -  (contemporaneamente) Domandati,  dunque, arciministro.

L’ARCIMINISTRO               -  è solo la volontà di vedere regina

KURRUBI                             -  che porta alla follia i babilonesi? Anche se le grida del popoío sembrano giustificare questa opinione, il politico esperto la ri- fiuta. Il motivo è altrove. è solo l'apparizione del

L’ANGELO                           -  che mina l'autorità dello stato.

UTNAPISCHTIM                  -  Devo protestare. Anche se solo un'accurata in- terpretazione riuscirà a utilizzare teologicamente le dichiara- zioni del

L’ANGELO                           -  che ho raccolto, pure nei riguardi dello stato sono innocue e non contengono nessun messaggio sovversivo.

L’ARCIMINISTRO               -  Vostra eminenza mi fraintende, la mia critica non si dirige contro

L’ANGELO                           -  in sé, ma solo contro la sua appa- rizione, che è stata un vero e proprio veleno. Ecco che adesso  per esempio si stava librando sopra i giardini pensili e si è tuffato verso sud a testa avanti dentro il mare. Che modo di comportarsi è mai questo, mi domando io. Lo stato e una sana  autorità in genere è possibile solo quando la terra resta ter- ra e il cielo cielo, in quanto la terra costituisce una realtà che viene plasmata dai politici e il cielo una graziosa teoria dei teologi che nessuno, salvo loro, ha bisogno di comprendere. Ma quando il cielo diventa realtà come è accaduto adesso con l'apparizione di un angelo, allora l'ordinamento umano vien meno, perché di fronte a un cielo visibile lo stato deve neces- sariamente ridursi a una farsa e infatti il risultato di questa pa- sticcioneria cosmica lo si vede: un popoío che si rivolta con- tro di noi. E perché? Solo perché un matrimonio non viene celebrato abbastanza in fretta. Basta che un angelo svolazzi un po' in giro e già vien meno il rispetto per noialtri.

NEMBROTTE                        -  e

NABUCODONOSOR           -  (contemporaneamente) Questo lo comprendiamo.

L’ARCIMINISTRO               -  La cosa migliore perciò, e smentire l'esistenza del

L’ANGELO                           - .  Costernazione generale. 

UTNAPISCHTIM                  -  è impossibile. è apparso pubblicamente.

L’ARCIMINISTRO               -  Proclameremo che si trattava dell'attore di corte  Urschanabi.

NABUCODONOSOR           -  Che contraddizione. Ancora poco fa accoglievi  favorevolmente l'apparizione del

L’ANGELO                           - .

NEMBROTTE                        -  Volevi con essa rinsaldare metafisicamente il nostro  potere ed eliminare l'idea repubblicana.

L’ARCIMINISTRO               -  (inchinandosi) Quanto piú spesso un uomo po- litico si contraddice, tanto piú grande è il suo valore.

UTNAPISCHTIM                  - 

L’ANGELO                           -  non è gradito neanche a me, da un punto di vista teologico, ma la chiesa nazionale gli deve la pro- pria rinascita.

L’ARCIMINISTRO               -  Verrà proibito di uscirne, pena la morte.

UTNAPISCHTIM                  -  Anche se non ho niente in contrario a collegare  l'ateismo con un certo sacrificio, preferirei tuttavia la metà delle entrate dello stato.

L’ARCIMINISTRO               -  Impossibile, eminenza.

UTNAPISCHTIM                  -  Allora mi rifiuto di smentire

L’ANGELO                           - .

L’ARCIMINISTRO               -  La sommossa minaccia

TUTTI                                     - noi.

UTNAPISCHTIM                  -  Non minaccia me, arciministro. La ribellione è diretta contro la monarchia, non contro la chiesa. In questo momento son l'uomo politico piú popolare di Babilonia. La metà dell'entrate dello stato oppure creo uno stato della chiesa.

L’ARCIMINISTRO               -  Un terzo.

UTNAPISCHTIM                  -  La metà.

L’ARCIMINISTRO               -  In tal caso però, devo pretendere una smentita  molto energica, eminenza.

UTNAPISCHTIM                  -  Verrà proclamata da

TUTTI                                     - i pulpiti.

NABUCODONOSOR           -  (ancora esitante) Ma io veramente volevo riconciliarmi  col cielo.

UTNAPISCHTIM                  -  E sarà fatto, maestà. Lo si può fare anche in pri- vato, basta sposarsi. Un matrimonio felice è la cosa piú impor- tante per il cielo.

L’ARCIMINISTRO               -  Anch'io non ho niente da obiettare a una simile riconciliazione, purché avvenga veramente in forma privata. Solo che in futuro l'apparizione di angeli va organizzata meglio.

NEMBROTTE                        -  e

NABUCODONOSOR           -  (contemporaneamente) E adesso non  resta che concordare l'origine di

KURRUBI                             - .

L’ARCIMINISTRO               -  Ne facciamo la figlia abbandonata del duca di Lamash.

NEMBROTTE                        -  e

NABUCODONOSOR           -  (contemporaneamente) Procura  immediatamente i documenti necessari.

L’ARCIMINISTRO               -  (tira fuori una pergamena) Già preparati dai miei uffici.

NEMBROTTE                        -  e

NABUCODONOSOR           -  (contemporaneamente) Si proceda immediatamente  alla cerimonia ufficiale.  Sulla porta della grata appare il capitano della guardia con l'uni- forme completamente a brandelli.  IL CAPITANO Siamo sconfitti, la guardia sta passando al nemico. Fa causa comune col popolo. Stanno sfondando le porte con un ariete.  Si sentono i primi colpi dell'ariete. 

NEMBROTTE                        -  Siamo perduti. 

NEMBROTTE                        -  abbandona a gran velocità il trono ma viene afferrato  a volo dal

L’ARCIMINISTRO               -  e dal teologo capo. 

L’ARCIMINISTRO               -  e

UTNAPISCHTIM                  -  (contemporaneamente) Con- tegno maestà, contegno, fintanto che siamo ancora in grado di svolgere cerimonie ufficiali niente è perduto.  Riconducono

NEMBROTTE                        -  come un bambino verso il trono dove frattanto siede di nuovo in alto

NABUCODONOSOR           - . 

NABUCODONOSOR           -  (tutto felice) Adesso son di nuovo su io.

L’ARCIMINISTRO               -  (a

KURRUBI                             - , solennemente) Mia cara bambina, per onorarti e per esprimerti il suo amore, Sua maestà ti nomina figlia naturale del duca di Lamash, figlia di un uomo politico piuttosto sfortunato, ma molto onorato, che l'anno scorso è defunto. Egli ti ha abbandonata (e questo spiega la tua attuale  povertà), in un cesto di vimini sulle rive dell'Eufrate in cir- costanze che dovranno essere ancora elaborate dagli storici. Il documento è ufficiale: nessuno potrà dubitare della tua origine. Ti preghiamo di confermare tutto ciò dinanzi al popolo.

KURRUBI                             -  (spaventata) Dinanzi agli uomini?

L’ARCIMINISTRO               -  Questa formalità è necessaria. Ci rechiamo subito  sul balcone con dieci trombettieri.

KURRUBI                             -  Devo negare che sono stata creata da Dio?

UTNAPISCHTIM                  -  Naturalmente no, bimba mia.

KURRUBI                             -  E che

L’ANGELO                           -  mi ha portata su questa terra?

UTNAPISCHTIM                  -  Ma no, fanciulla mia. Sappiamo benissimo da dove provieni e siamo grati di aver potuto assistere a questo miracolo. Nessuno di noi pretende che tu soffochi questo ri- cordo nel tuo cuore, al contrario: conservalo nella tua anima co- me un prezioso segreto, come una sacra consapevolezza della verità, come anch'io lo conservo. Ciò che ti chiediamo, fanciul- la, è solo una circonlocuzione del miracolo per una opinione pubblica che considera il fatto eccezionale come una volgare sensazione.

KURRUBI                             -  Tu pensi sempre a Dio, reverendo padre, a quanto mi hai detto; non puoi dunque permettere ciò.

UTNAPISCHTIM                  -  (con dolore) è meglio cosí, fanciulla mia, credimi.

KURRUBI                             -  Allora sei anche tu d'accordo con

L’ARCIMINISTRO               - ?

UTNAPISCHTIM                  -  Ma no, figliola mia; è solo che il mio dovere è di impedire al cielo di danneggiarsi da sé. Le menti dei babilo- nesi sono piene di sciocche superstizioni, credono a spettri dalle molte braccia e a divinità alate. Solo a fatica la mia teo- logia riesce ad affermarsi di fronte alle altre con la dottrina di un solo Dio. Un angelo non farebbe che provocare confusione, alimenterebbe fantasie immature. Troppo presto il messaggero del cielo è sceso giú tra noialtri fanciulli.

KURRUBI                             -  (si rivolge a

NABUCODONOSOR           - ) Odi tu che cosa pretendono,  o mio amato?

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) - Siam costretti  a pretenderlo da te.

KURRUBI                             -  Dovrei dunque tradire il cielo dalle cui stelle sono scesa, nel cui nome ci amiamo?

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Esistono necessità umane.

KURRUBI                             -  Non vuoi fuggire con me?

NABUCODONOSOR           -  e

NEMBROTTE                        -  (contemporaneamente) Bisogna esser ragionevoli.  Silenzio. Di fuori si odono sempre piú distintamente e sempre piú forti i colpi dell'ariete contro la porta. 

KURRUBI                             -  Allora lasciami andare, re di Babilonia.  Meraviglia generale. 

NABUCODONOSOR           -  Ma perché mai?

IL CAPO TEOLOGO            - Non ti comprendo, figliola mia.

L’ARCIMINISTRO               -  Ma se tutto è in ordine adesso, bimba mia.

KURRUBI                             -  Vado a cercare il mendicante che amo.

IL RE                                      - Ma ero io quel mendicante.

KURRUBI                             -  Tu menti.

L’ARCIMINISTRO               -  e

UTNAPISCHTIM                  -  (contemporaneamente) Lo confermiamo, lo confermiamo.

KURRUBI                             -  Voi non dite mai la verità. Anche

L’ANGELO                           -  volete ne- gare adesso. Lasciatemi andare. Voglio trovare colui che amo e che ho perduto. 

NABUCODONOSOR           -  disperato, scende dal trono. 

NABUCODONOSOR           -  Ma son io colui che tu ami.

KURRUBI                             -  Io non ti conosco.

NABUCODONOSOR           -  Io sono

NABUCODONOSOR           -  il re.

NEMBROTTE                        -  Tu sei

NABUCODONOSOR           -  l'ex re. (Fa per sedersi sul trono ma

NABUCODONOSOR           -  si getta su di lui e lo costringe a terra).

KURRUBI                             -  Chi tu sia non lo so. Hai preso la figura del mio amato ma non sei il mio amato. Ora sei un re, ora sei uno sgabello. Tu sei solo apparenza, il mendicante che io cerco è realtà. Lui l'ho baciato, te invece non posso baciare. Egli mi ha colpita, tu non mi puoi colpire perché non osi abbandonare il tuo trono per pau- ra di perderlo. Il tuo potere non è che impotenza, la tua ricchezza  povertà, il tuo amore per me solo amore per te stesso. Tu non vivi e non sei morto, sei un essere e insieme sei privo di ogni essenza. Lasciami andare, re di Babilonia, lontano da te e da questa città. 

NABUCODONOSOR           -  si è seduto di nuovo sul trono. 

NABUCODONOSOR           -  (a bassa voce) Tu hai visto il fondamento del mio potere: mio figlio. Saltellava poco fa attraverso questa sa- la. Un idiota erediterà il mio regno. Io sono perduto senza il tuo amore. Sono incapace di toccare un'altra donna.

KURRUBI                             -  Io amo un mendicante che tradisco, se non ti abbandono.

NABUCODONOSOR           -  (quasi inudibile) Ma io ti amo...

KURRUBI                             -  Tu non puoi amarmi perché non esisti.

L’ARCIMINISTRO               -  Che terribile confusione! Ecco quel che capita quando si creano fanciulle cosí dal nulla.

NABUCODONOSOR           -  (con calma) Fate entrare il popolo.

L’ARCIMINISTRO               -  Maestà...

NABUCODONOSOR           -  Fatelo entrare. 

IL GENERALE                     - va verso il fondo. 

UTNAPISCHTIM                  -  è la fine della dinastia.

L’ARCIMINISTRO               -  Per fortuna ho già pronta la costituzione repubblicana.  I due si ritirano verso il fondo, lungo la parete a sinistra. Die- tro la grata comincia lentamente ad apparire il popolo: i due lavoratori, Gimmil, il poliziotto, ora diventato anche lui rivo- luzionario, il banchiere, il mercante di vino Alí, le mogli dei la- voratori, la prostituta, altra gente, soldati,

TUTTI                                     - armati di pie- tre, di bastoni, di spranghe. Avanzano lentamente, fissando

LA FANCIULLA                  - e

NABUCODONOSOR           -  che siede immobile sul trono. 

NABUCODONOSOR           -  Siete penetrati nel mio palazzo. Con un ariete avete sfondato le mie porte. Perché tutto cio?  Silenzio imbarazzato. 

I°LAVORATORE                 - Noi veniamo...

II°LAVORATORE                - La fanciulla...   Si fa avanti il banchiere

ENGGIBI                               - . 

ENGGIBI                               -  Maestà: si sono verificati avvenimenti cosí meravigliosi che noi ci presentiamo al tuo cospetto senza aver chiesto prima il permesso alle istanze che circondano il tuo trono...  Risate tra la folla.  UNA VOCE Bravo, banchiere.

ENGGIBI                               -  Un angelo è venuto a Babilonia e ha portato una fan- ciulla che vostra maestà a quanto sembra non riesce a decidersi  a sposare.

UNA VOCE                           - Bene, diglielo chiaro e tondo.

ENGGIBI                               -  Il fatto che ci troviamo in questa sala e armati, che la guardia di palazzo è passata dalla nostra parte, che la popola- zione ha il potere in pugno, non significa che vostra maestà ver- rebbe ora costretta a questo matrimonio, ma ci permettiamo di far notare che vogliamo sí

LA FANCIULLA                  - per regina, ma non ne- cessariamente vostra maestà come re.  Risate, enormi applausi. 

NABUCODONOSOR           -  (tranquillo) Ero pronto a sposare

LA FANCIULLA                  - ma essa mi ha respinto.

GIMMIL                                 - Ha risposto picche a vostra maestà? ALí Non c'è da meravigliarsene.  Grandi risate. La folla fischia e urla. 

I°LAVORATORE                 - Abbasso questo re.

II°LAVORATORE                - Impicchiamolo a un lampione.

NEMBROTTE                        -  (giubilante) Mettetemi al suo posto, creerò io uno stato veramente sociale.

I°LAVORATORE                 - Li conosciamo, questi stati veramente sociali.

GIMMIL                                 - Servono solo ad arricchire

IL RE                                      - e i suoi funzionari.

NEMBROTTE                        -  Conquisterò di nuovo il mondo. Faccio appello al senso patriottico babilonese. Se ci sono villaggi al di là del Li- bano, ce ne saranno anche al di là dei mari.

II°LAVORATORE                - Son cani sanguinari l'uno come l'altro.

LA MOGLIE DEL I°LAVORATORE       - Si son divorati i nostri figli.

I°LAVORATORE                 - Non vogliamo piú conquiste del mondo.

TUTTI                                     - Non vogliamo piú re.  Silenzio.

TUTTI                                     - fissano

NABUCODONOSOR           -  che siede immobile sul suo trono. 

NABUCODONOSOR           -  Io restituisco la fanciulla. Appartenga dunque a colui che la ama piú di ogni altro. GLI UOMINI (urlano

TUTTI                                     - insieme) A me! A me! Io l'amo, io piú di tutti!

ENGGIBI                               - 

LA FANCIULLA                  - appartiene a me, io solo ho i mezzi finan- ziari per onorare

LA FANCIULLA                  - come si conviene alla sua origine.

NABUCODONOSOR           -  Ti sbagli, banchiere;

LA FANCIULLA                  - ama un men- dicante di cui ha dimenticato il nome e che essa ha perso in riva all'Eufrate. Pretendeva da me che diventassi io questo mendi- cante, pretenderà la stessa cosa da te. (Il banchiere si volge via deluso). Non la vuoi la fanciulla? Non li dài via i tuoi milioni? Non osi diventare il piú povero di tutti? Chi di voi è dunque il mendicante che

LA FANCIULLA                  - sta cercando? Chi è disposto ad ab- bandonare tutto per trasformarsi nell'amato che non esiste piú? Forse il commerciante di vino, forse il venditore di latte? O il poliziotto, o un soldato, o un lavoratore? Si faccia avanti, al- lora. (Silenzio). Voi tacete, rifiutate dunque la grazia divina, la grazia del cielo? (Silenzio). Forse quella bella signora ha bi- sogno di una fanciulla? Forse si può trovare nella sua casa una occupazione? Solo che in tal caso le entrate andrebbero conse- gnate alla chiesa.

TABTUM                               - Nel mio bordello quella fanciulla? La mia casa è una casa per bene, maestà.

NABUCODONOSOR           -  Nessuno allora vuole

LA FANCIULLA                  - divina?  Silenzio. 

I°LAVORATORE                 - Se la prenda il mendicante Akki.

NABUCODONOSOR           -  Il mendicante

AKKI                                      - è morto. 

KURRUBI                             -  alza gli occhi spaventata. 

II°LAVORATORE                -

I POETI                                  - dovrebbero andar bene per lei.

LA FOLLA                            - I poeti, i poeti!

NABUCODONOSOR           -  Non esistono piú poeti, son morti

TUTTI                                     - nelle mie carceri.

LA MOGLIE DEL I°LAVORATORE       - Dàlla al boia allora!

GIMMIL                                 - è lui il piú povero.

TUTTI                                     - Al boia! Dalla al boia.

NABUCODONOSOR           -  Come volete. (Fa un cenno).  Da sinistra entra Akki. 

KURRUBI                             -  (alla folla) Aiutatemi!

I°LAVORATORE                 - è una maga, una strega.

POLIZIOTTO                        -  Ci ha incantati tutti.

GIMMIL                                 - Porta infelicità.

II°LAVORATORE                - Porta la miseria.

UNA VOCE                           - DAL FONDO Porta la morte.

ALCUNI                                - Allontanatevi!

ALTRI                                    - Non toccatela! ALTRI Voltatele le spalle.

KURRUBI                             -  (si rivolge a UTNAPISCHTIM     - ) Aiutami, reverendo padre, prendimi con te. (Il teologo capo le volge le spalle.

KURRUBI                             -  di- sperata, di nuovo rivolta alla folla) Aiutatemi dunque, salvatemi dunque!  Improvvisamente

L’ANGELO                           -  appare sopra il trono del re, decora- to ancor piú spettacolarmente che nel secondo atto perché ai girasoli, ai ghiaccioli ecc. si sono intanto aggiunti anche coralli, stelle marine e calamari, conchiglie e gusci di lumache. Nello sfondo si vede la nebulosa dell'Andromeda che si illumina im- mensa e di nuovo scompare insieme

L’ANGELO                           - . 

L’ANGELO                           - 

KURRUBI                             - , bimba mia

KURRUBI                             - !

TUTTI                                     -

L’ANGELO                           - !

KURRUBI                             -  Angelo, angelo mio!

L’ANGELO                           -  Non spaventarti fanciulla mia, anche se certo ho un aspetto un po' strano, vengo direttamente dal mare ancora at- torniato dalle alghe, ancora grondante di acqua.

KURRUBI                             -  Salvami, angelo!

L’ANGELO                           -  Per l'ultima volta ti appaio, o fanciulla. Per l'ultima volta il mio viso rispecchia la beltà della terra. Perché, ora, vedi, la esploro in ogni sua parte.

KURRUBI                             -  Sei giunto al momento giusto, o mio angelo, appena in tempo per salvarmi! Prendimi con te!

L’ANGELO                           -   Tutto quel che ho trovato su questa stella era grazia e nient'altro. Un miracolo irreale tra i grandiosi deserti degli astri. L'azzurro Sino, la bianca Vega, le tumultuose Cefeidi, nella tenebra notturna dell'universo, per quanto drammatici siano i lor corpi e la forza con cui le loro narici sputan fasci di luce nel vuoto, mantici immensi sterminati, non valgono però quanto questo granello di materia, questa minuscola sfera, legata al suo sole, cui una piccola luna ruota attorno, adagiata nell'etere, respirante nel verde dei suoi continenti, nell'argento dei suoi mari.

KURRUBI                             -  Riportami di nuovo nel tuo cielo, o angelo, dinanzi al volto possente di Dio! Spalanca le tue ali! Non voglio morire su questa terra! Ho paura, sono abbandonata da tutti.

L’ANGELO                           -  E cosí mi sollevo, cosí scompaio, carico di pietre colorate, coperto di meraviglie, di stelle marine, di muschi e calamari. Coi colibrí che mi ronzano attorno con nelle mani girasoli, malva e le spighe del grano tintinnante di ghiaccioli, con coralli nei capelli, fior di susino e gusci di lumache, coi piedi rossi di sabbia, e rugiada al bordo della veste. Vacillante sotto tutta questa grazia, tutto questo peso come un ubriaco, con le ali faticosamente svolazzanti. Cosí io mi sollevo, cosí sparisco lasciando te, o fortunata, su questa terra. Cosí me ne torno tra i miei soli, nel latteo biancore della nebulosa d'Andromeda in una traso- gnata lontananza. Cosí mi riimmergo nel cupo fuoco di Antares.

KURRUBI                             -  (disperata) Portami via da questa terra, o mio angelo, prendimi via con te.

L’ANGELO                           -  Addio

KURRUBI                             - , bimba mia, addio per sempre! (Scomparendo)  Per sempre addio!

NABUCODONOSOR           - 

L’ANGELO                           -  scompare, si rituffa tra le sue stelle indifferenti. Sei sola, ormai. Il cielo ti ha abbandonata, gli uomini  ti han respinta.

KURRUBI                             -  (oppressa dal dolore, a bassa voce) Mio angelo, prendimi  con te, prendimi con te, mio angelo.  Silenzio. 

NABUCODONOSOR           -  Conduci

LA FANCIULLA                  - nel deserto, boia. Ucci- dila. Seppelliscila nella sabbia. (

AKKI                                      - porta fuori

KURRUBI                             -  pas- sando in mezzo al

LA FOLLA                            - silenziosa.

NABUCODONOSOR           - , tristemente)  Ho mirato alla perfezione, ho creato un nuovo ordine delle cose, ho cercato di eliminare la povertà, mi son proposto di in- trodurre la ragione. Il cielo ha disprezzato la mia opera. Non ho trovato grazia.  Sullo sfondo compare il generale, circondato da soldati. 

IL GENERALE                     - Il tuo esercito è tornato, re

NABUCODONOSOR           - . Si è avuta notizia della rivolta, il palazzo è circondato, il popolo è nelle tue mani. 

LA FOLLA                            - cade in ginocchio. 

TUTTI                                     - Pietà, grande re! Pietà! Pietà!

NABUCODONOSOR           -  Io ho ttadito

LA FANCIULLA                  - per amore del mio potere. Il ministro l'ha tradita per la politica, il prete per la teologia, voi l'avete tradita per amore dei vostri averi. E adesso  la mia potenza colpirà la vostra teologia, la vostra politica e la vostra ricchezza. Portate in prigionia il popolo, mettete in ceppi il teologo e il ministro. Dai loro corpi voglio forgiare l'arma con cui vendicare la mia onta. E dunque è cosí in alto il cielo che le mie bestemmie non lo raggiungono? è cosí distan- te che non lo posso odiare? è piú possente della mia volontà? Piú sublime del mio intelletto? è piú saldo del mio coraggio? Voglio ammassare l'umanità intera in un recinto e al centro di esso elevare una torre che attraversi le nuvole, penetrando nel- l'infinito in mezzo al cuore del mio nemico. Voglio opporre al- la creazione dal nulla la creazione dallo spirito dell'uomo, e voglio vedere quale è migliore: la mia giustizia o l'ingiustizia di Dio!  Da sinistra entrano di corsa un cuoco e il capitano sulla scena ormai vuota.  IL CUOCO Le botti son prosciugate, le dispense saccheggiate.

IL CAPITANO                      - Le carceri sono vuote, le porte aperte,

I POETI                                  - son fuggiti.  Da destra si precipita dentro l'uomo solenne. 

L’UOMO SOLENNE            - Il mio antiquariato, non riesco a trovare il mio antiquariato!  L'idiota attraversa la scena ghignando e saltellando sulla corda.

NABUCODONOSOR           -  si copre il volto con le mani pieno di furia impotente,  di dolore impotente. 

NABUCODONOSOR           -  No, no.  Buio. Le quinte spariscono in alto. Ci si deve immaginare con- fusamente, vagamente un enorme deserto, una distesa sconfi- nata, attraverso cui fuggono

AKKI                                      - e

KURRUBI                             - . 

AKKI                                      - Avanti, fanciulla mia, avanti! Incontro alla tempesta di sab- bia che si avvicina sempre piú possente, ululando, e fa a bran- delli il mio mantello di boia.

KURRUBI                             -  Io cerco un mendicante di Ninive, un mendicante che amo e che ho perduto.

AKKI                                      - E io amo una terra che invece esiste sempre, una terra di mendicanti, unica per la felicità e i pericoli che contiene, multicolore  e selvaggia, meravigliosamente ricca di possibilità, una terra che io vinco e domino sempre di nuovo, ebbro e pazzo del- la sua bellezza,innamorato della sua immagine, minacciato dal potere e pur mai vinto. Suvvia, fanciulla, avanti, o bimba con- segnata alla morte eppure ancor viva, mia per la seconda volta, tu grazia in cammino con me. Babilonia cieca e grigia decade con la sua torre di pietra e di acciaio che si spinge irresistibil- mente sempre piú in alto, verso il crollo. E dinanzi a noi, dietro  alla tempesta attraverso cui corriamo, inseguiti da cavalieri le cui frecce ci fischiano dietro, marciando attraverso la sabbia, aggrappati ai pendii, col volto riarso, si trova lontano un nuovo paese che emerge dal crepuscolo, vaporante nell'argento della luce, pieno di nuove persecuzioni, di nuove promesse e di nuovi canti!  Essi proseguono, seguiti magari da alcun

I POETI                                  - che saltellano attraverso la tempesta di sabbia.  Nota Questa commedia cerca di spiegare il motivo per cui in Babilonia si giunse alla costruzione della torre che, a quanto narra il mito, fu una tra le piú grandiose anche se tra le piú assurde imprese dell'umanità, tanto  piú importante in quanto anche oggi ci troviamo coinvolti in analoghe  imprese. I miei pensieri e i miei sogni si appuntarono per anni su questo  tema, già da ragazzo me ne occupai; nella biblioteca di mio padre c'era  un volume bianco-azzurro, di una serie di monografie sulla storia  universale, dedicato a Ninive e Babilonia. è difficile dar forma a sogni.  Non fu mia intenzione evocare, riprodurre un mondo scomparso, quello  che mi attraeva era creare da impressioni un mio proprio mondo. Il lavoro  continuò attraverso gli anni, un tentativo concreto di configurare  tutta la tematica della costruzione della torre fallí nel '48. Cinque  anni piú tardi ci provai di nuovo, mantenendo il primo atto e creando  un'azione completamente differente. Questa volta si sarebbe trattato  solo il motivo della costruzione della torre. Cosí si giunse a una stesura che venne rappresentata prima a Monaco e poi anche in altre città. Non era soddisfacente. Era necessario un intervallo, occuparsi di altre  cose, acquistare distacco dal testo, formare la commedia ora anche dramma- ticamente, guardandola dalla regia, farla diventare azione e nient'altro. Solo ciò che funziona in sé funziona anche di per sé. Se vi sarà un prose- guimento non lo so proprio. Secondo il progetto bisognerebbe rappresen- tare nel dramma successivo la creazione della torre stessa, col titolo  I collaboratori.

TUTTI                                     - sono contro la torre - eppure la torre viene  costruita. 

FINE