Un certo giorno di un certo anno

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UN CERTO GIORNO DI UN CERTO ANNO

Commedia in tre atti

di VICO FAGGI

                                   

PERSONAGGI

IL TESTIMONE IN BIANCO

IL TESTIMONE IN NERO

IFIGENIA

CLITENNESTRA

ACHILLE

PATROCLO

CALCANTE

ODISSEO

MENELAO

IL POETA EPICO

IL POETA ELEGIACO

SOLDATI

Il Testimone in ne­ro e il Poeta Epi­co sono interpre­tati dallo stesso attore, il quale in­dossa, nella secon­da parte, un man­to e una corona. Per i soldati gli interpreti sono, al minimo, quattro, ma con semplici e palesi travestimen­ti figureranno di esser molti di più.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 (due Testimoni)

Testimone in bianco        - Mai, occhio umano vide atto più atroce, orecchio udì parole più terribili...

Testimone in nero            - Mai, dico mai, occhio umano vide più nobili eventi, mai orecchio ascoltò parole più sublimi.

Testimone in bianco        - Mai delitto più vile fu consumato...

Testimone in nero            - Mai sacrificio più puro celebrato...

Testimonio in bianco       - Nel nome della civiltà...

Testimone in nero            - Della civiltà...

Il Testimone in bianco     - Della patria...

il Testimone in nero         - Della patria...

il Testimone in bianco     - Della religione.

Il Testimone in nero        - Della religione.

Testimone in bianco        - Noi usiamo le stesse parole, ma intendiamo le stesse cose? In me sono verità, in te luoghi comuni. In me l’ironia, in te enfasi, retorica. (Continua malgrado un tentativo i interruzione) E poi non sono neanche le stesse parole perché tu ci metti le maiuscole. E tuttavia, importa... Noi siamo i testimoni, noi dobbia­mo riferire affinché non siano cancellati dall'oblio i fatti cui assistemmo. Gli uomini debbono sapere.

Il Testimone in nero        - Per commuoversi, stupire ed elevarsi.

Il Testimone in bianco     - Per giudicare. (Indica il pubblico) Ma saranno loro, dopo, a stabilirlo. (Una breve pausa) Siamo in Aulide, nella Beozia. Ecco il porto: centinaia di navi vi sono raccolte. Hanno i fianchi dipinti e le prore di bronzo, ma i remi sono legati, le vele cadono inerti. Ecco la spiaggia, popo­lata di tende. Degli uomini si mostrano, alcuni fanno esercizi con le armi, altri lanciano il disco o si sfidano alla corsa. Tutti giovani, in genere. Sol­dati. Ma i più si limitano a prendere il sole, pigra­mente sdraiati sulla sabbia.

Il Testimone in nero        - Il loro aspetto è nobile, marziale. Ecco un gagliardo che, pur indossando la pesante corazza e l'elmo, si cimenta alla corsa con un carro trainato da un agile destriero. Due ercoli lottano, i loro muscoli si tendono, si con­traggono. Un altro, imponente, scaglia il giavel­lotto. Le loro armature, gli elmi, le spade, gli scudi, gli schinieri, sono splendidamente lavorati. La ci­viltà di un popolo si giudica dalle sue armi. Il Testimone in bianco     - Una tenda più alta e spaziosa sorge al centro dell'accampamento. Deve essere quella del capo.

Il Testimone in nero        - Un capo dal nome famoso: Agamennone figlio di Atreo. Con lui, sotto il suo scettro, tutti gli eroi dell'Eliade: Aiace di Oileo, Aiace di Telamone, decoro di Salamina, il forte Diomede, Achille figlio di Peleo e Teti, Odisseo figlio di Laerte, il bellissimo Nereo... Tutto il fiore della gioventù greca è qui raccolto. Nella tenda di Agamennone, da questo momento, sono riuniti i comandanti. Prenderanno grandi decisioni, perché nobili imprese li attendono.

Il Testimone in bianco     - Prenderanno una deci­sione. Siamo nell'anno... ma non posso dirlo: tra gli studiosi regna, in proposito, la massima discordia, e non è mio compito intromettermi. E del resto l'anno non conta.

Il Testimone in nero        - Conta, invece. Bisogna precisare, limitare. Siamo in un certo giorno di un certo anno tra il xiv e il xn secolo. L'ordine regna nell'Eliade felice. Gli schiavi stanno al loro posto. Artigiani e contadini spargono il loro sudore, assiduamente. Nelle selve i pastori parlano con gli dei e con le Ninfe. Zeus nell'Olimpo, i principi sulla terra, reggono lo scettro nella ferma mano. L'uomo, che ha già scoperto cose essenziali - la poesia, la musica, forse la scrittura, certo la stra­tegia della guerra - darà la misura della sua gran­dezza e nobiltà.

Quadro secondo

(Odisseo, Agamennone, Menelao, Calcante, Achille, Patroclo - che gli sta sempre accanto - Poeta Epico, Poeta Elegiaco, i due Testimoni).

Odisseo                           - Da tutta l'Eliade sono accorsi, qui in Aulide, i nobili guerrieri, con le loro flotte, le loro schiere, le loro armi più affilate. Tutti uniti dal giuramento, che è sacro, di vendicare l'offesa a Menelao e all'Eliade intera. Tutti decisi a conqui­stare Troia e distruggerla, perché non solo Paride, ma tutta la sua gente, deve pagare per il rapimento di Elena. La nostra è una missione di giustizia. Sacra come il giuramento. Ma qui, intanto, le vele pendono inerti sulle navi, non un soffio di vento le agita. Siamo incatenati a questa striscia di terra da oltre cinque settimane. I guerrieri sono turbati, cupi, impazienti. Temono che Agamennone ordini di sciogliere l'esercito, di tornarsene a casa. Che c'è di vero, Agamennone?

Agamennone                   - Saggio è colui che non si oppone alla volontà degli dei, e gli dei, come vedi, sono contrari alla spedizione. Le navi non possono sal­pare verso la Troade, dunque è inutile prolungare l'attesa. Ritorniamo.

Il Poeta Epico                  - No, il nostro destino è nella Troade.

Achille                             - La strada della Troade è la strada dell'onore.

Patroclo                           - Dell'onore.

Agamennone                   - Ritorniamo. L'ostinazione sarebbe un atto di empietà.

Menelao                           - Non ti riconosco, fratello. Vuoi rinne­gare di giuramento? Vuoi rinunciare alla gloria che ti attende, e privarne anche noi e la nostra patria? I principi ti hanno eletto loro capo stimandoti il più degno e certo tu lo sei. Dunque vi è qualcosa che ci vuoi nascondere.

Calcante                          - Sì, vi è un segreto, ed io credo che sia mio dovere, ora, rivelarlo, per quanto grave sia il dolore che dovrò arrecare ad Agamennone.

Agamennone                   - Non procedere oltre, Calcante, se hai viscere umane.

Achille                             - Ma noi abbiamo il diritto di sapere.

Patroclo                           - Sì, di sapere.

Calcante                          - Non puoi costringermi a tacere la volontà degli dei. La loro voce echeggia nella mia. Io non posso venir meno al mio compito sacro. Non voglio tradire l'aspettativa dell'Eliade e il suo glorioso destino. Sento su di me gli occhi dei po­steri.

Odisseo                           - Parla, Calcante, perché tuo è il dono profetico e conosci i segreti del passato, del pre­sente e dell'avvenire.

Calcante                          - E' Artemide che si oppone alla partenza delle nostre navi. E' Artemide che ha placato il vento. Noi dobbiamo placare la sua ira. Già l'ho rivelato ad Agamennone. Un grande sacrificio è necessario...

Menelao                           - Quale sacrificio?

Calcante                          - ... ed è proprio Agamennone che deve compierlo. Artemide - tremate nobili principi -chiede la vita di sua figlia, Ifigenia.

Agamennone                   - La folgore si è abbattuta su di me.

Menelao                           - Ahimé, se il mio onore richiede, per la sua vendetta, tale sacrificio; se per riavere Elena io debbo cagionare la morte di Ifigenia; se il prezzo è così alto e terribile, ebbene, io vi sciolgo dal vostro giuramento.

Agamennone                   - Ti ringrazio, fratello.

Calcante                          - Nessuno può scioglierci dai nostri doveri. Perché non è più di Menelao, ora, che si tratta, né di Agamennone, né di Odisseo o di Achille, o di me stesso. Dell'Eliade si tratta. Del suo nome e della sua libertà, che sono in pericolo. Dall'oriente ci è giunta una sfida che non possiamo ignorare. Ora la nostra frontiera è nella Troade. Là si annidano i barbari. Se non li combattiamo oggi, se non li pieghiamo al più presto, i loro ap­petiti cresceranno, aumenterà la loro audacia e prepotenza, e saranno loro ad attaccarci, nel mo­mento che giudicheranno più propizio.

Odisseo                           - Saremmo ciechi se non vedessimo la minaccia; anzi peggio: saremmo dei mentecatti.

Il Poeta Epico                  - Dei vili.

Il Poeta Elegiaco             - Dei traditori.

Calcante                          - E non è vero, Agamennone, che gli dei siano contrari alla guerra. Gli dei sono con noi, con la civiltà, contro le barbarie. Essi chiedono soltanto un sacrificio. E noi dobbiamo farlo, anche se ci costa lacrime cocenti. Ad Artemide quello che è di Artemide. Ma ci consoli il pensiero che, immolata sull'altare, Ifigenia vivrà nei secoli futuri nella gratitudine dell'Eliade, nella luce della sua fama, nelle parole dei poeti.

Il Poeta Epico                  - Questo io giuro nel nome di Calliope. Non mancherà, nei miei versi sonanti, la sua lode. E' un poeta che lo giura.

Il Poeta Elegiaco             - Ed io giuro nel nome di Eu­terpe. Nei miei versi commossi risuonerà il suo compianto.

Menelao                           - No, Ifigenia non deve morire, il suo sacrificio è contro ogni sentimento umano.

Calcante                          - Il tuo sentimento è nobile, ma sbaglia. Risparmiare Ifigenia, rinviare la guerra, vuol dire prepararci a più gravi lutti; per salvare una vita, che ci è cara, condannarne mille. Umano, vera­mente umano, è chi vuole la guerra, subito, per distruggere Troia e assicurare al mondo una pace vera e duratura.

Achille                             - Queste mie armi, forgiate da Efesto, questo mio braccio che nessuno ha mai piegato, sono al servizio della vera pace.

Patroclo                           - Della vera pace.

Odisseo                           - Agamennone, ora devi scegliere. Nes­suno vuol forzare la tua volontà. Scegli. E' terri­bile ma devi farlo. Ecco la fatale bilancia: da un lato tua figlia, la nobile e dolce Ifigenia, dall'altro l'Eliade, la civiltà, l'onore, la libertà. Da una parte il tuo amore di padre, dall'altra il tuo dovere di re. Io sento che tu saprai decidere.

Calcante                          - Da un lato il tuo privato sentimento, Agamennone, dall'altro i tuoi obblighi verso la patria comune.

Il Poeta Epico                  - Sempre siamo vissuti come liberi. Dobbiamo rassegnarci a morire come schiavi?

Agamennone                   - No, non moriremo in schiavitù. Io non tradirò l'Eliade. Ho riflettuto, mi sono tor­mentato ed ho deciso, vincendo me stesso. Prefe­risco sapere Ifigenia morta, sì morta, piuttosto che costretta a vivere sotto il giogo di un satrapo orientale.

Calcante                          - Agamennone ha deciso. Onore ad Agamennone!

Tutti                                 - Onore a lui! (Emergono dall'ombra i due Testimoni).

Il Testimone in nero        - E noi, che abbiamo assistito trepidando al conflitto che Agamennone ha sofferto in sé e superato, reputiamoci fortunati ed onorati di essere stati presenti in questo giorno, che resterà nei secoli memorabile.

Il Testimone in bianco     - Memorabile giorno di un certo anno tra il xiv e il xn secolo... Sarebbe comodo vero, se le cose fossero andate così. Come sarebbe bello ed onorevole. Come vi sentireste tranquilli! Ma questo non è che un mucchio di men­zogne. Abbiate il coraggio di specchiarvi e di rico­noscervi.

Quadro terzo

(Odisseo, Agamennone, Menelao, Calcante, Achille e Patroclo, Poeta Epico, Poeta Elegiaco, i due Testimoni).

Odisseo                           - Siamo fermi da cinque settimane ed è ora di decidere qualcosa. I soldati sono stanchi di aspettare e bisogna che li teniamo a bada. Molti vogliono tornare a casa, dicono che gli affari pri­vati di Menelao non li interessano. Altri dicono che le loro casse ormai sono vuote, come se non fos­simo qui proprio per riempirle. Tra un mese, a lasciarli fare, se ne andranno tutti; e allora, addio guerra di Troia!

Agamennone                   - Tra un mese la stagione cambierà, tornerà il vento e potremo partire.

Odisseo                           - Non ne dubito, ma i soldati, nel frat­tempo, chi li convince a rimanere?

Agamennone                   - Ci penseranno Calcante, gli aedi, i sacerdoti, con la loro eloquenza.

Odisseo                           - Non scherziamo. Le chiacchiere non bastano. La situazione è seria e quasi compro­messa. Noi comandanti non possiamo rinunciare alla guerra. Ci perderemmo la faccia e il resto. Abbiamo delle magnifiche armi di nuova costru­zione e dobbiamo usarle, tanto più che non ab­biamo ancora finito di pagarle.

Menelao                           - Io sono il più interessato. Un troiano mi ha offeso e voi avete giurato, tutti, di vendi­carmi. I Troiani non parlano il greco, dunque sono dei barbari. Debbono pagarla, è una questione di principio. Hanno violato la legge dell'ospitalità. Se non li mettiamo a posto, nessuna sposa greca sarà più sicura in casa sua.

Il Testimone in bianco     - Sciocchezze. Elena se ne è andata di sua volontà, nessuno l'ha costretta. Suvvia, lo sanno tutti. E allora che senso c'è a far la guerra? A morire per Elena?

Il Poeta Epico                  - E invece sì, bisogna morire per Elena.

Il Poeta Elegiaco             - Per Elena bisogna vincere.

Il Poeta Epico                  - Per lei che è la forma terrena ma immortale della bellezza. Non c'è mai stata, parola di poeta, una causa di guerra più nobile. Sarà una guerra cavalleresca. Il fascino dell'av­ventura, il brivido rapinoso del pericolo, il tumulto del sangue, la grande prova della virilità: tutto questo per una donna, è impagabile.

Il Testimone in bianco     - Tu la guerra non l'hai mai provata.

Il Poeta Epico                  - E con questo? Vuoi opporre dei fatti, dei nudi, volgari fatti, alle parole di un poeta? penso che tu sia un pacifista, e i pacifisti sono degli imbelli o dei venduti.

Poeta Elegiaco                 - lo penso, a differenza del mio ardente collega, che la guerra sia male, lutto e rovina, causa di carestie e pestilenze, ma il male è necessario. L'uomo ne ha bisogno per temprarsi e purificarsi, il poeta per ispirarsi. Sì; il poeta si china, pietoso, sul dolore umano, la sua parola è consolazione...

Odisseo                           - Non divaghiamo. La guerra è già stata decisa e dobbiamo farla. A Troia ci attendono ric­chezze per i nostri forzieri e schiavi per i nostri campi. Ne abbiamo bisogno. La terra greca è po­vera di ferro. Ne abbiamo necessità; e dove pren­derlo se non nella Troade?

Il Poeta Epico                  - Odisseo ha il realismo del grande politico.

Odisseo                           - Abbiamo fatto uno sforzo inaudito per raccogliere i soldati da ogni regione dell'Eliade. Una occasione come questa non si ripete. Dunque il problema è di impedire che il nostro esercito si squagli. Dobbiamo trattenere i nostri uomini e legarli, sì, incatenarli alla causa della guerra. Oggi e domani. Qui e nella Troade. Suvvia, Calcante, spremi le tue meningi.

Calcante                          - Lungamente ho riflettuto, ho pregato e interrogato gli dei. Gli dei hanno parlato. E' l'ira di Artemide che ci impedisce di partire. Solo un sacrificio potrà placare la dea.

Achille                             - Risparmiaci le tue prediche.

Patroclo                           - Niente prediche.

Il Testimone in bianco     - Risparmia la religione, che non c'entra e non deve essere coinvolta.

 

Il Poeta Epico                  - Sei tu che non c'entri, non hai il diritto di intrometterti.

Odisseo                           - Lasciate che Calcante arrivi dove vuole.

Calcante                          - La religione è affar mio, io soltanto parlo nel nome degli dei. Ebbene, Artemide vuole il sacrificio di una vita umana. La vita di una ver­gine di nobile schiatta. Tutti gli uomini partecipe­ranno al sacrificio, tutti vi saranno coinvolti e ne saranno responsabili. Dopo aver pagato questo prezzo, nessuno potrà tirarsi indietro.

Odisseo                           - Perfetto. Evviva Calcante! Nessuno ose­rà più mettere in dubbio l'utilità di oracoli e sacerdoti.

Menelao                           - Non capisco l'entusiasmo di Odisseo.

Odisseo                           - Pensaci su.

Menelao                           - Ci sarà un sacrificio, un sacrificio umano. Che gliene importa ai soldati?

Odisseo                           - I soldati saranno tutti intorno all'ara. Terranno stretta la vittima.

Menelao                           - E poi?

Odisseo                           - La vittima sarà giovane, nobile e inno­cente.

Menelao                           - (sempre più affascinato, come gli altri) E poi?

Odisseo                           - Si dibatterà disperatamente, griderà.

Menelao                           - E poi?

Odisseo                           - Il pugnale le squarcerà la gola.

Menelao                           - E poi?

Odisseo                           - Sprizzerà il sangue, il corpo sarà squas­sato dagli spasimi.

Menelao                           - E poi?

Odisseo                           - I soldati sentiranno il sangue, viscido e caldo, sulle loro mani, e per lavarle dovranno versare altro sangue. La guerra, capisci, sarà il loro lavacro. Dopo tale delitto, non si torna indietro.

Calcante                          - Anche se saranno stanchi della guerra, non oseranno confessarselo. Là nella Troade sen­tiranno che solo la vittoria può giustificare il loro delitto. Si malediranno, ci malediranno, ma conti­nueranno a combattere.

Il Testimone in bianco     - Ma la vittima? Chi sarà? Come potrete sceglierla, con quale diritto...

Calcante                          - La scelta è già fatta, è logica. Una ele­mentare deduzione. Tanto più nobile è la vittima, tanto più efficace il sacrificio.

Agamennone                   - Dove vuoi arrivare? Tu mi stai gio­cando uno sporco tiro, mascalzone...

Calcante                          - Ti capisco, la medicina è amara. Ma non puoi negare che è quella giusta.

Agamennone                   - Io ti squarcio il petto, ti strappo la lingua...

Odisseo                           - Fermo, Agamennone, non scordare che sei il nostro capo. Devi guidare l'esercito, non scioglierlo. E' la ragion di Stato.

Agamennone                   - (a Odisseo) Perché non sacrifichi tuo figlio?

Achille                             - Se occorre un sacrificio, fatelo senza storie. Una vittima o l'altra, a me non interessa. Sbrigatevela voi, ma fate presto.

Patroclo                           - Fate presto.

Menelao                           - (ad Agamennone) Odisseo ha ragione. Tu hai voluto essere il capo. Per riuscirci, hai brigato in tutta la Grecia. Sei il nostro comandante. Un potere grande come il tuo, non l'ha mai avuto nessuno. Ora portane il peso.

Agamennone                   - E tu saresti mio fratello?

Odisseo                           - Hai grandi poteri, primo fra tutti quello di far le parti del bottino. E se c'è la contropar­tita, non la puoi scansare.

Achille                             - Questo mi sembra giusto.

Patroclo                           - Giustissimo.

Menelao                           - Devi guidarci, dar l'esempio. Un capo non può rinnegare il suo dovere.

Agamennone                   - Io rinnego tutto, sciolgo l'esercito. Non avrete mia figlia, razza di canaglie.

Achille                             - (cui Patroclo fa eco) Perché no?

Odisseo                           - (mentre gli altri fanno cerchio attorno ad Agamennone) Ragiona, Agamennone. Proprio perché ami la tua famiglia. Pensa a Clitennestra, a Elettra, a Oreste. Fin che sei in tempo, ascolta.

Agamennone                   - Siamo alle minacce?

Odisseo                           - Ti faccio un quadro obiettivo della situazione. Tu valutalo freddamente. Non puoi uscirne. Anche se fuggi, potrai mai essere al si­curo? Pensa alla tua famiglia. E anche a te devi pensare. Perché noi non ti perdoneremmo il tradi­mento, ti saremmo addosso tutti, cancelleremmo dalla faccia della terra te e la tua gente. Il mio linguaggio è duro, ma tu sei un uomo di Stato e devi intenderlo. (La scena si oscura).

Il Testimone in nero        - Quando mai un uomo di Stato è rimasto sordo al linguaggio della ragione?

Quadro quarto

 (Soldati).

Il primo Soldato              - Allora è deciso.

Il secondo Soldato          - Cosa?

Il primo Soldato              - Che dobbiamo farci sbudellare per Elena.

Il secondo Soldato          - Così dicono.

Il primo Soldato              - Ma è proprio tanto bella?

Il secondo Soldato          - Magnifica. Capelli biondi, lunghi, occhi azzurri, tutta tornita. E cammina, sai, con un passo così altero che sembra sospesa per aria. Che stile, che arroganza! Quando inventò la tunica corta per recarsi ai bagni, la gente faceva a spintoni per vederla. C'era tutta Sparta per le strade. E lei ci guardava come scarafaggi.

Il primo Soldato              - Una bella soddisfazione.

Il secondo Soldato          - I più matti per lei erano gli aedi, che la cantavano su tutte le arie. La chiama­vano divina, ornamento della patria, incremento del turismo.

Il primo Soldato              - E Menelao?

Il secondo Soldato          - Lo trattava peggio di tutti. Scenate, parolacce, e peggio...

Il primo Soldato              - Vuoi dire che... (fa il segno delle corna).

Il secondo Soldato          - Puoi immaginarlo... Sempre in mezzo ai fusti della guardia... Insomma Menelao le trottava dietro e lei lo cacciava a pesci in faccia. Una vita da cane. Così quando si sparse la voce del ratto, molti pensarono che l'avesse orga­nizzato lui.

Il primo Soldato              - Ma allora, perché farebbe la guerra?

Il secondo Soldato          - Per l'onore.

Il primo Soldato              - Non vedo che onore ci sia a riprendersi in casa una donna che te ne fa di tutti i colori. Secondo me, l'onore di Menelao non è mai stato cosi bene come adesso.

Il secondo Soldato          - Tu sei un plebeo, che ne puoi sapere dell'onore? (Altri due soldati).

Il terzo Soldato               - La guerra di Troia. Una pas­seggiata, via. Le tue preoccupazioni sono esage­rate. Il più è arrivare sin là, dato che non tira il vento. Ma dopo ce la faremo in quattro e quattr'otto. Odisseo dice che sarà una guerra lampo, e quello è una vecchia volpe.

Il quarto Soldato             - Ragione di più per non cre­dergli. Fa della propaganda. A lui la guerra fa comodo. Hai mai visto la faccia di Penelope?

Il terzo Soldato               - Che centra? Prova a ragionare con la tua testa. Vuoi che i Troiani siano così pazzi da combattere per una donna? E' bella, d'accordo, ma a loro che gliene viene? Epoi con quel caratte­rino. Saranno felici di disfarsene e, per di più, ci pagheranno le riparazioni.

Il quarto Soldato             - Potrebbero farne una que­stione d'onore.

Il terzo Soldato               - Impossibile, sono dei barbari. (Altri soldati).

Il primo Soldato              - La guerra lampo, lasciamelo dire, è una storia. Propaganda. C'è voluto un mese per arrivare qui. Qui è un mese che aspettiamo il vento. Campa cavallo prima di prendere Troia.

Il secondo Soldato          - Bisognerà assediarla e ci vor­ranno degli anni. E intanto noi dormiremo per j terra, tireremo la cinghia. Sai come è bello, nella tenda, quando piove.

Il primo Soldato              - Se tu dici: sarà una guerra-lampo, Odisseo ti risponde: è per questo che la vinceremo. Se tu dici che sarà una guerra lunga, Odisseo ti risponde: è proprio per questo che la vinceremo. Cosa vuol dire?

Il secondo Soldato          - Ma... che la vinceremo in ogni caso.

Il primo Soldato              - No, che ci prende per stupidi. (Altri soldati).

Il terzo Soldato               - Menelao fa la guerra perché sua moglie è bella. Odisseo fa la guerra perché sua moglie è brutta. E tu che sei scapolo, perché la fai?

Il quarto Soldato             - Perché la fai tu.

Il terzo Soldato               - Ma io la faccio perché tu la fai.

Il quarto Soldato             - Ma allora è facile, io non la faccio più.

Il terzo Soldato               - Bravo, mi hai convinto. Adesso non ti resta che convincere Odisseo.

Il quarto Soldato             - Impossibile. Ha la moglie ( brutta.

Il terzo Soldato               - Prova con Menelao.

Il quarto Soldato             - Impossibile, ha la moglie; bella.

Il terzo Soldato               - Accidenti, la guerra è proprio inevitabile.

Quadro quinto

(I due Testimoni, Ifigenia e Agamennone. Ancora i due Testimoni).

Il Testimone in nero        - E' arrivato, presso la tenda di Agamennone, un agile carro: due donne di nobile aspetto, regalmente vestite, ne discendono con l'aiuto delle loro schiave. Ecco, la prima ha già posato a terra il delicato piede, si volge verso l'al­tra, le porge la mano.

Il Testimone in bianco     - Una è assai giovane e avvenente; l'altra, che sembra sua madre, ha il viso assorto di chi nutre contrastanti pensieri.

Il Testimone in nero        - Volgono intorno lo sguardo, poi si dirigono verso la tenda. Agamennone, che si era fatto sulla soglia, si avvicina ad esse. La gio­vane guarda la madre per un attimo, come per chiederle il permesso, poi si distacca correndo e si precipita tra le braccia di Agamennone, che la stringe al petto. (Pausa).

Il Testimone in bianco     - Il sole è tramontato e risorto. Nella notte, mentre tutti dormivano, Aga­mennone è uscito all'aperto ed a lungo si è trat­tenuto a meditare. Sempre solo. Una lunga notte.

Il Testimone in nero        - Il comandante, insonne, veglia sulla sicurezza dei suoi guerrieri. E medita sulla grandezza del suo compito, delle sue respon­sabilità.

Il Testimone in bianco     - Vedo, ora, segni di ani­mazione. Agamennone è rientrato nella tenda. Alcuni soldati, intorno ad essa, montano la guardia.

Il Testimone in nero        - Il padre e la figlia si incon­trano e si parlano. E' il momento della commozio­ne. Il cuore di un padre, l'animo di una figlia. E' giusto che siano lasciati soli. (Pausa).

Ifigenia                            - Padre, sono felice di essere con te. Che sorpresa il tuo invito!

Agamennone                   - Non so se sia stato bene, ma an­ch'io sono felice di vederti, figlia.

Ifigenia                            - Però il tuo volto non è felice. Queste rughe, queste lacrime che scorgo nei tuoi occhi...

Agamennone                   - E' duro il compito di un re. Mi sorprendo, talvolta, a invidiare la sorte di uno schiavo. Il comando impone notti insonni, doveri, pensieri assillanti.

Ifigenia                            - Disperdili, padre! Rasserena il tuo volto. Sii con me come un tempo.

Agamennone                   - Come tu vuoi, Ifigenia.

Ifigenia                            - No, non così. Perché continui a pian­gere?

Agamennone                   - Presto dovremo separarci.

Ifigenia                            - Non dire altro, comprendo. Non si con­viene a una figlia parlare col padre di nozze.

Agamennone                   - La tua saggezza aumenta il mio dolore.

Ifigenia                            - Allora dirò delle sciocchezze, per farti sorridere.

Agamennone                   - La tua bontà, il tuo affetto, non li merito.

Ifigenia                            - Vorrei starti sempre vicina per dimo­strarti il contrario.

Agamennone                   - La guerra mi ha allontanato dalla mia casa, mi ha condotto in Aulide, mi spingerà sino a Troia.

Ifigenia                            - E andrai così lontano, abbandonando tua figlia?

Agamennone                   - Anche tu andrai lontano!

Ifigenia                            - Ma io vorrei accompagnarti.

Agamennone                   - Navigherai anche tu, ricordandomi.

Ifigenia                            - Mia madre mi accompagnerà?

Agamennone                   - No, sarai sola, senza nessuno vicino.

Ifigenia                            - E tu, padre, quando partirai?

Agamennone                   - Dopo aver compiuto un sacrificio.

Ifigenia                            - Io vi assisterò?

Agamennone                   - Tu dovrai stare presso l'ara.

Ifigenia                            - Io guiderò le danze, non è vero?

Agamennone                   - O figlia, figlia, non posso conti­nuare! Non posso fingere più oltre. Ogni tua pa­rola scava nel mio petto, più profondo, il dolore. Io ti ho mentito, ti ho ingannato. Ogni mia parola è stata menzogna.

Ifigenia                            - Mi spaventi, padre. Che vuoi dire?

Agamennone                   - La verità è più spaventosa del dub­bio, ma debbo rivelartela, debbo farlo io. Non fu per condurti alle nozze che ti feci venire.

Ifigenia                            - Ma allora, perché? Certo per una causa grave. Una donna, qui, in mezzo ad un esercito...

Agamennone                   - Debbo parlare, debbo ma non rie­sco. Sono vile a tacere, ma sarei spregevole a par­lare... Dammi un bacio, prima, amaro bacio, e stringimi forte la mano... Per lungo tempo non ci sarà più dato di rivederci. O gentile mia figlia! O sventurata!

Ifigenia                            - Ma ora debbo sapere, non puoi lasciar­mi in un dubbio mortale. Non voglio perdere il senno!

Agamennone                   - Gli dei ti sono ostili, figlia.

Ifigenia                            - Quale pericolo mi sovrasta?

Agamennone                   - Il più grave, e non si può sven­tarlo.

Ifigenia                            - La morte mi minaccia?

Agamennone                   - E' stata già decretata.

Ifigenia                            - Chi vuole la mia morte? Chi tanto cru­dele?

Agamennone                   - Artemide vuole il sacrificio della tua vita. Calcante lo ha rivelato ai principi, i prin­cipi l'hanno deciso.

Ifigenia                            - Ma tu lo impedirai! Sei tu il capo degli Argivi!

Agamennone                   - lo comando agli uomini, ma debbo cedere agli dei. La salvezza della nostra patria richiede il sacrificio.

Ifigenia                            - Anche tu, allora, sei d'accordo?

Agamennone                   - lo sono straziato, vinto. Non posso sfuggire a ciò che è più forte di me.

Ifigenia                            - Ma tu sei mio padre! Non puoi abban­donarmi. Che c'entro io con la salvezza della pa­tria...

Agamennone                   - Se tu non sarai sacrificata ad Arte­mide, gli Achei non potranno raggiungere Troia, vendicare l'offesa ricevuta. Se non ti sacrifico, dovrò sacrificare la patria. Tu sei mia figlia, la prediletta, ma la patria è madre di noi tutti.

Ifigenia                            - La mia vita è mia! L'Eliade non è che una parola.

Agamennone                   - Tu sei figlia di un re, discendi da nobile schiatta. L'Eliade non è un nome soltanto, tu lo sai, è il sangue che scorre nelle nostre vene, la lingua che parliamo, la nostra civiltà, il nostro modo di vivere. Solo il pensiero della patria ha potuto vincere il mio cuore di padre. Non puoi dubitarne, Ifigenia.

Ifigenia                            - Le tue parole mi condannano.

Agamennone                   - La mia voce, che ti sembra nemica, troverà la strada del tuo cuore. Ascoltala. (Pausa. Cambiamento di illuminazione).

Ifigenia                            - Se una vita è necessaria alla salvezza comune, eccoti la mia vita. Padre, ora ho com­preso. Tutto questo è come un incubo... Per me non c'è scampo. Io debbo morire, è deciso. Que­sto orribile sogno... Voglio morire senza viltà, affrontando nobilmente la mia sorte. Sento che la patria ha rivolto lo sguardo su di me, attende il mio gesto. Scelgo la mia sorte. La mia vita perché la flotta salpi, perché il nostro esercito infligga a Troia il castigo che merita. I Frigi pagheranno caro il ratto di Elena e mai più oseranno, quei bar­bari, oltraggiare le donne degli Argivi, strappan­dole a forza dalla patria.

Agamennone                   - Figlia, quali parole...

Ifigenia                            - Con la mia vita farò questo, con la mia morte guadagnerò una fama imperitura. Tutti gli uomini ripeteranno, di generazione in generazione, che Ifigenia, figlia di Agamennone, ha salvato la sua patria.

Agamennone                   - Questi accenti, figlia...

Ifigenia                            - Che conta la mia vita? La vita di una donna? Penso al tuo strazio, padre mio, ma tu non mi hai generata solo per te, ma per tutta la Grecia.

Agamennone                   - Queste tue parole, questi accenti, io sono indegno di ascoltarli.

Ifigenia                            - Tu sei mio padre. Il capo degli Argivi. Il più degno. Ecco, intorno a me, tutti i guerrieri dell'Eliade, pronti a combattere e a morire per vendicare la patria. Tra loro e la loro impresa, la mia vita. E' giusto che sia sacrificata e volentieri l'offro all'Eliade. Immolatemi, ma distruggete Troia! Le sue rovine saranno il monumento eretto alla mia memoria, assai più glorioso che illustri nozze e numerosi figli.

Agamennone                   - Così sarà, figlia.

Ifigenia                            - Sì, l'Eliade vincerà. I barbari debbono piegarsi agli Elleni, non gli Elleni ai barbari. Li­beri siamo nati, noi, ed essi schiavi. (La scena si oscura. Emergono dall'ombra i due Testimoni).

Il Testimone in nero        - Così parla una principessa, la figlia di un eroe argivo. Nulla potrà mai il tempo contro la nobiltà di questi detti. Cadranno le mura e le città, rovineranno i templi e i monu­menti, ma queste parole resteranno.

Il Testimone in bianco     - Nobilissime parole, chi potrebbe udirle senza lacrime? Ma Ifigenia non le disse. Essa disse ben altro e tutti debbono saperlo.

 Quadro sesto

 (Ifigenia e Agamennone. Poi i due Testimoni. Ifi­genia e Agamennone ripetono, a scena muta, gesti e atteggiamenti del quadro precedente; i loro gesti si fanno via via più agitati; d'un tratto si ode la loro voce).

Ifigenia                            - Non mi sacrifico, no, non sono pazza! Che m'importa della vostra guerra! All'inferno tutti, Calcante, l'Eliade...

Agamennone                   - No, sarebbe troppo facile: si manda tutto all'inferno, ma poi? Qualcuno deve pagare. Paghi tu o paga tutta la famiglia. Siamo con le spalle al muro. Calcante e Odisseo non perdonano.

Ifigenia                            - Capisco che voglio vivere, e tu vuoi farmi morire.

Agamennone                   - Devi morire e devi dare il tuo consenso alla morte. Sei figlia di un re.

Ifigenia                            - Sono figlia di un vile, di un uomo che non sa difendere sua figlia.

Agamennone                   - (torcendole il braccio e facendola ca­dere in ginocchio) Devi morire, è già deciso. Non puoi farti illusioni. Che serve ribellarsi? Da te dipende soltanto questo, decidere se vuoi morire vilmente, come una schiava, trascinata a forza dai soldati, scarmigliata, le vesti a brandelli, disprez­zata invece che compianta, oppure come una donna di nobile sangue, che non supplica, non trema, ma guarda in faccia il suo destino. L'hai capito questo? (Lasciandola) Sta in te che i posteri ricordino il tuo nome, ti onorino come una eroina.

Ifigenia                            - Che t'importa di me? E' solo del tuo nome che ti importa. Il grande nome degli Atridi, imbrattato di sangue, lordo di tradimenti.

Agamennone                   - Al mio nome e al mio onore penso io. Tu pensa al tuo. Che farai?

Ifigenia                            - Dirò a Calcante, a tutti, che sono dei cani, che li odio.

Agamennone                   - E che ne avrai? Il disprezzo e il biasimo dei principi, l'oblio di quelli che verranno. Non lo permetterò. Dovessi frustarti a sangue, farò che ti comporti come il tuo rango impone. Spero che non ce ne sia bisogno. Anche tu, donna, appar­tieni alla stirpe di Atreo. (La scena si oscura. Viene, illuminato il Testimone in nero, poi il Testimone in bianco).

Il Testimone in nero        - Nessuno presti fede a questo orrore. Guai a chi raccoglierà il fango che è stato scagliato contro Agamennone ed Ifigenia. Qui si oltraggia lo spirito, si vilipende la patria.

Il Testimone in bianco     - Io non cerco che la verità. Tutta la verità. (La scena torna lentamente a illuminarsi).

Ifigenia                            - Dunque è il momento della verità e della vergogna. (L'illuminazione è completa. Ad Agamennone) Perché mi hai fatta venire?

Agamennone                   - Per sceglierti uno sposo prima di lasciare questa terra.

Ifigenia                            - La mia mente è lontana dalle nozze. Non parlarmene, ti prego. Voglio restare con te. Io sono cresciuta nel riflesso della tua luce, all'ombra della tua potenza, nel culto della tua persona. Nessuno è degno di un confronto con te. Speravo che mi avessi chiamata per tenermi vicina. Non sono la tua figlia prediletta? Elettra ne era gelosa, mi invidiava.

Agamennone                   - E invece è giunto il momento di dividerci. E non fosse mai arrivato!

Ifigenia                            - Che vuoi dire? Nei tuoi occhi scorgo pensieri non espressi. Le tue parole sono oscure. Parli delle mie nozze, ma nulla dici dello sposo. Ed i preparativi? Da tre giorni sono arrivata e tu mi sfuggi. Ed io che credevo che fossi spinto dall'affetto! Ho atteso, giorno per giorno, di ora in ora, un tuo sguardo. Ho pensato al tuo volto, l'ho sognato, un oscuro turbamento è cresciuto in me.

Agamennone                   - Parole oscure, le tue, insolite sulla bocca di una vergine.

Ifigenia                            - Il pudore rende oscuri. E' difficile capire se stessi, più difficile trovare le parole.

Agamennone                   - Ma insomma...

Ifigenia                            - Ardo e tremo, non posso parlare e non so tacere.

Agamennone                   - Devi parlare, lo esigo.

Ifigenia                            - La mia vita è senza peccato, te lo giuro. Ma il mio animo? Sono responsabile, io, dei miei sogni?

Agamennone                   - Come dei tuoi pensieri, anzi di più, perché nei sogni riveli a te stessa ciò che nel pen­siero non oseresti confessare.

Ifigenia                            - Quand'ero bambina, stavo seduta sulle tue ginocchia, ogni sera, e lieta ricevevo i tuoi baci e le tue carezze. Io stringevo il tuo collo, forte forte, tra le mie braccia. Ora sogno...

Agamennone                   - Stai per dire qualcosa di irre­parabile.

Ifigenia                            - Il silenzio mi fa morire, non posso sof­focare le parole che mi vengono alle labbra. Ma anche le parole, lo capisco, mi fanno morire. Ma che importa? (Sommessamente) Nella notte, va­gando per la mia stanza, nere visioni mi blandi­scono, mi tentano con subdole parole; visioni di nozze e di morte. Ho sognato...

Agamennone                   - Continua.

Ifigenia                            - Ho sognato di essere tua sposa, e il sogno mi perseguita, sembra continuare nella ve­glia. Che vergogna, ora voglio morire.

Agamennone                   - Sì, devi morire. Bisogna spegnere per sempre questo tuo sangue impuro, torbido di vizi inconfessabili. In te c'è qualcosa di mostruoso, che è necessario soffocare prima che si riveli e ci contamini.

Ifigenia                            - Non posso più vivere, ora. Uccidimi, padre, con le tue mani. Ma sappi che io non ho voluto, che il male mi ha preso a tradimento, è penetrato in me senza che lo sapessi.

Agamennone                   - Morrai, ma non per mia mano. Avrai morte degna della figlia di un re. Sarai la vergine che Artemide reclama in sacrificio per la nostra vittoria sui Troiani. La vita ti avrebbe por­tato, di passo in passo, fatalmente, all'infamia; la morte ti porterà a una fama imperitura. Ringrazia dunque la sorte.

ATTO SECONDO

Quadro settimo

(I due Testimoni. Achille e Ifigenia).

Il Testimone in nero        - Achille si dirige verso la tenda di Ifigenia. Ma nessuno deve avvicinarsi alla vergine destinata al sacrificio. Così impone la legge.

Il Testimone in bianco     - Ifigenia deve scendere, sino in fondo, nella disperazione.

Il Testimone in nero        - Deve raccogliersi, pregare, elevarsi alla nobiltà del suo destino.

Il Testimone in bianco     - Achille si avvicina. Forse un dubbio è sorto nel suo animo.

Il Testimone in nero        - Non vi è posto per i dubbi nell'animo di un eroe.

Il Testimone in bianco     - Anche un eroe ha il diritto di pensare. Anche un eroe ha la coscienza.

Il Testimone in nero        - Non è, a rigore, necessario. Per la sua grandezza basta il culto della patria e del coraggio. Il resto è contorno, o debolezza. (Achille e Ifigenia).

Achille                             - Tu sei la figlia di Agamennone e Clitennestra? Ho sentito parlare molto di te e deside­ravo vederti. Veramente la tua bellezza è degna della tua fama. No, la tua fama è inferiore a te.

Ifigenia                            - Chi sei tu, che non mi parli di morte?

Achille                             - Sono il figlio di Peleo e Teti, nato a Ftia, capo dei Mirmidoni.

Ifigenia                            - Dunque sei Achille. Ti pensavo più grande e più anziano. Anche tu hai votato la mia morte?

Achille                             - lo ho votato la guerra, sono un soldato. Non ho rimorso: ciò che ho fatto è giusto.

Ifigenia                            - La guerra è giusta?

Achille                             - E' giusto ciò che è necessario. Ma tu, perché hai accettato di sacrificarti?

Ifigenia                            - E' vero, ho consentito. Potevo rifiutare la mia vita per la salvezza della nostra patria?

Achille                             - Tu non sei sincera.

Ifigenia                            - Come lo sai?

Achille                             - Basta guardarti.

Ifigenia                            - Allora ti basti questo ; che io non debbo vivere.

Achille                             - Ma non è una spiegazione.

Ifigenia                            - Perché dovrei spiegarti? Aprirti il mio animo?

Achille                             - Non ne ho il diritto, è vero. Però ne sento il desiderio. La tua vicenda mi interessa. La tua persona ancor più. Scopro con stupore la tua esistenza. Sei molto giovane e coraggiosa. Quanti anni hai?

Ifigenia                            - Diciassette.

Achille                             - lo venti.

Ifigenia                            - Ma sono più vecchia io, che presto sarò morta. Non ho nemmeno cominciato a vivere...

Achille                             - Anch'io so poco della vita.

Ifigenia                            - Avrai tempo per imparare.

Achille                             - Vorrei conoscerti meglio. Una fanciulla è qualcosa di misterioso. Tu più di tutte.

Ifigenia                            - Non guardare entro di me.

Achille                             - I tuoi occhi sono puri.

Ifigenia                            - Il mio animo è di tenebra.

Achille                             - Il tuo sguardo è dolcissimo.

Ifigenia                            - I miei sogni sono torbidi, impuri. Essi dicono che non sono degna di vivere. Per questo ho accettato la morte.

Achille                             - Dei sogni non siamo responsabili. Quando essi vengono, nel cuore della notte, il nostro animo è assente. Si introducono furtiva­mente in noi. Chissà da dove vengono, chi li manda. Ma non sono che ombre. I miei sogni non sono me, io sono quello che faccio.

Ifigenia                            - Anche tu temi i tuoi sogni?

Achille                             - Penso che se ti avessi vicina, se potessi fissare il tuo volto, le mie notti sarebbero serene. Senza sogni.

Ifigenia                            - Anch'io, forse, se potessi ascoltarti... Ma io debbo morire.

Achille                             - No, non devi. Sei stata ingannata, tra­dita.

Ifigenia                            - Da mio padre?

Achille                             - Da chiunque vuole la tua morte.

Ifigenia                            - Non strapparmi alla mia rassegnazione.

Achille                             - Voglio strapparti ad una sorte ingiusta. Voglio che tu viva.

Ifigenia                            - Che ne sai di ciò che è giusto? Hai detto che è giusto ciò che è necessario. Calcante ha gridato che è necessaria la mia morte.

Achille                             - Oggi so soltanto una cosa: che non devi morire. Non lo permetterò.

Ifigenia                            - Tu solo contro tutti, che potrai fare?

Achille                             - Non sarò solo, avrò i Mirmidoni con me. Non ti lascerò. Sei giovane e innocente. Io starò con te. Odisseo e Menelao mi temono.

Ifigenia                            - Perché, perché mi richiami alla vita?

Achille                             - Perché ho bisogno di te.

Ifigenia                            - Sì, voglio vivere, voglio vedere la luce del sole, non scendere nelle tenebre dell'Ade. Mi è cara, la vita. (Sommessamente) Achille, tu hai cancellato in me il volto di mio padre. Mi hai ridato il diritto di sperare e di vivere.

Quadro ottavo

(1 due Testimoni. Achille e il Poeta Epico. Achille e Odisseo. Achille e Agamennone. Achille e Patroclo. Achille e il Poeta Elegiaco. Ancora i due Testimoni).

Il Testimone in bianco     - Fulmineamente si è sparsa, tra i principi, la notizia che Achille si è dichiarato contro il sacrificio di Ifigenia.

Il Testimone in nero        - La notizia è falsa e ten­denziosa. Nessuno può dubitare del lealismo di Achille, che è un vero soldato, un greco.

Il Testimone in bianco     - Achille ha promesso la sua protezione a Ifigenia.

Il Testimone in nero        - Ifigenia è una donna e quindi non conta. Conta invece, ed è sovrana, l'adunanza dei principi. Essi sono la legge, sono l'Eliade. (Il Testimone in nero indossa il manto e la corona da Poeta Epico e si avvicina ad Achille. I dialoghi che seguono sono strettamente concatenati. Gli interlocutori di Achille appaiono improv­visamente al suo fianco e nello stesso modo si eclissano).

 

Il Poeta Epico                  - Parlo nel tuo interesse, Achille. Renditi conto che tutti, dico tutti i comandanti, sono contro di te.

Achille                             - Anche il padre di Ifigenia?

Il Poeta Epico                  - Agamennone è il re e sa portare scettro, per pesante che possa sembrargli.

Achille                             - Non lo credevo così forte.

Poeta Epico                     - Lascia l'ironia e bada a te. Nes­suno ha capito la ragione di questa tua levata di scudi. Ma io posso immaginarla.

Achille                             - E che immagini?

Il Poeta Epico                  - Una vicenda d'amore sullo sfondo della guerra di Troia, sì, penso che non stone­rebbe. Il contrasto sarebbe anzi poetico: un grande quadro tempestoso, scontro di popoli e di civiltà, una lotta all'ultimo sangue; e, in un angolo, pic­cola ma luminosa, un'oasi lirica. I dolci occhi di Ifigenia. Il suo sguardo di cerva impaurita. Potrei cavarne, sì, pagine immortali. Riuscirei a dimo­strare ai miei rivali che io, poeta epico, so suonare anche la lira. E invece dovrò rinunciarvi. Non pos­siamo permetterci queste debolezze.

Achille                             - Il destino me lo scelgo io.

Il Poeta Epico                  - Non essere ostinato. La tua strada è già segnata e si chiama guerra. Nel codice di un eroe stan scritte solo due leggi: la gagliardia e l'onore. Non dimenticarle, non dimenticare che hanno senso soltanto nella guerra. Via, avrai tutto il tempo anche per innamorarti. Potresti, per esem­pio, restare avvinto al fascino di una troiana; il contrasto sarebbe ancor più drammatico. Ci pen­serei io a svilupparlo nei particolari.

Achille                             - Quante sciocchezze!

Il Poeta Epico                  - Tu sottovaluti i poeti. Dovresti sapere, invece, che noi contiamo più di tutti. L'El­iade è il paese dei poeti, dei nocchieri e degli eroi, ma i poeti vengono prima. I nostri canti sono la cosa che si diffonde più rapidamente e che resiste più a lungo. Che sarebbero Achille, Odisseo, Aga­mennone, se non ci fossimo noi ad eternarli? Ep­pure siamo spesso misconosciuti! Che ingratitu­dine! Ma ci penseranno i posteri, dopo la nostra morte, a risarcirci.

Achille                             - (toccando la spada) Posso avvicinare, se ci tieni, l'ora della tua rivincita. (Compare Odisseo).

Odisseo                           - Mi mandano i principi. L'assemblea ha deliberato.

Achille                             - Senza di me? Contro di me?

Odisseo                           - Senza di te per non metterti, pubblica­mente, con le spalle al muro. Non abbiamo voluto, dinanzi a tutti, costringerti...

Achille                             - E chi può costringere Achille?

Odisseo                           - La ragione, quanto meno. Come può Achille, il primo dei guerrieri, essere contro l'eser­cito?

Achille                             - Non sono contro nessuno. Voglio che Ifigenia sia salva.

Odisseo                           - Non sfuggire il problema. Sai bene che, tra noi e la guerra, c'è Ifigenia. Bisogna toglierla di mezzo.

Achille                             - Non vi lascerò toccare Ifigenia.

Odisseo                           - Non essere incoerente. Anche tu hai accettato la proposta di Calcante, e dunque la morte di Ifigenia.

Achille                             - E' facile condannare una persona che non abbiamo mai visto, di cui non sappiamo nulla. Basta qualche argomento per convincerci, che so, la ragion di Stato, l'interesse della patria... Ma quando una persona la conosci, l'hai guardata negli occhi, sai quello che pensa, allora le ragioni non contano più. Espedienti, menzogne... Resta sol­tanto il delitto.

Odisseo                           - Ho già dimostrato all'assemblea che la morte di Ifigenia è indispensabile. Assolutamente. Nemmeno Agamennone ha potuto contraddirmi.

Achille                             - La morte di Ifigenia per il ritorno di Elena. Non è un delitto?

Odisseo                           - Non fare l'ingenuo. Sai bene che Elena non è che un pretesto. Si tratta di noi, soltanto di noi.

Achille                             - Non di me.

Odisseo                           - Siamo tutti legati allo stesso carro. Senza potenza, ricchezza, prestigio, cosa rimane degli eroi? Nessuno può dissociarsi dall'interesse della sua casta. Sarebbe un tradimento.

Achille                             - Se abbandonassi Ifigenia, cosa sarebbe? Io voglio solo agire umanamente.

Odisseo                           - E' un lusso, uno spreco. Un capo deve agire con realismo scegliendo il mezzo più effi­cace. Perciò contaci bene, uno per uno; conta i nostri soldati. E bada a te.

Achille                             - Hai contato i Mirmidoni?

Odisseo                           - Manchi di senso pratico. Noi siamo uniti, legati dall'interesse. La nostra linea è chiara e coerente. La tua contraddittoria. In fondo, non hai argomenti. Accetti la guerra ma non le sue con­seguenze. Che assurdità. Sei un buon guerriero, ma non hai la stoffa del capo. Perciò i più forti siamo noi.

Achille                             - E' una sfida? Ecco la soluzione: decide­remo noi due, spada contro spada, la sorte di Ifi­genia.

Odisseo                           - Non mi batto con te. Se sei ancora un greco, io non mi batto contro i greci. Se sei un traditore, non mi batto contro i traditori.

Achille                             - La tua lingua è pari alla tua fama. Il tuo coraggio, no.

Odisseo                           - Non raccolgo l'insulto. Non mi tocca. Io sono al servizio dell'Eliade, non della mia va­nità. Così un patriota sa sacrificarsi per la sua patria.

Achille                             - Storie: tu non ti batti perché hai paura.

Odisseo                           - Diciamo che non vi ho interesse. Per­ché dovrei rischiare la vita per guadagnarmi ciò che posso ottenere senza rischio? Io guardo più lontano di te.

Achille                             - Devi guardare lontano, molto lontano, Odisseo, per non vedere la tua viltà. (Compare Agamennone).

Agamennone                   - Achille, cuor generoso.

Achille                             - Agamennone, padre di Ifigenia.

Agamennone                   - Un padre sventurato, sono.

Achille                             - Nulla è perduto, se non cedi.

Agamennone                   - Tutto ormai è deciso.

Achille                             - Io sono con te, per salvare tua figlia.

Agamennone                   - Serba la tua spada per la Troade. Non voglio che il mio esercito si scinda. Non vo­glio che venga versato sangue greco.

Achille                             - Tranne quello di tua figlia.

Agamennone                   - Ifigenia è il pegno della guerra.

Achille                             - Allora rinuncia alla guerra.

Agamennone                   - Lo vorrei, ma non posso. I principi vogliono la guerra.

Achille                             - E il popolo?

Agamennone                   - Non conta.

Achille                             - Ed io?

Agamennone                   - L'amore di un padre è più grande di quello di un amante. Dunque, se io sono persuaso, anche tu devi esserlo.

Achille                             - Non confrontarmi con te. Io non ab­bandono Ifigenia.

Agamennone                   - Nei grandi momenti della storia, i destini individuali non contano. Mi si spezza il cuore, ma è così. A Ifigenia non resta che la morte. Non sottrarle la gloria di una morte coraggiosa. Fa che si offra al sacrificio. Quanto a noi, la guerra ci attende. Nel furore del combattimento dimen­ticheremo il nostro dolore. Torneremo carichi di gloria e di ricchezza.

Achille                             - Sì, tu dimenticherai. Tu sei della razza che dimentica. (Compare Patroclo).

Patroclo                           - Sono io, è un pezzo che ti cerco.

Achille                             - Aspettavo la tua visita.

Patroclo                           - La desideravi?

Achille                             - L'aspettavo.

Patroclo                           - Voglio sperare che non arriverai agli estremi. Rompere con Calcante, con Odisseo, con lo stesso Agamennone... sarebbe una follia. E rom­pere con me, un tradimento.

Achille                             - Anche questo aspettavo: il ricatto dei sentimenti, della fedeltà. Ma non è che un ricatto. Come quello di Odisseo, che mi accusa di tradire la mia casta.

Patroclo                           - Non è la stessa cosa. Tutti sanno dell'amicizia di Achille e Patroclo. In tutta la Grecia i nostri nomi vengono pronunciati insieme. Non esiste Achille senza Patroclo, né Patroclo senza Achille. Una donna non ci può dividere. Ti conosco da quando eri adolescente. Non dirmi che hai dimenticato. O vuoi che ti faccia ricordare? Eri cresciuto troppo in fretta, sembravi buffo e sgra­ziato, ardevi di curiosità e di impazienza. E quando venne il tempo dell'iniziazione... La tua innocenza già rivelava la malizia, ma la tua malizia tradiva l'innocenza.

Achille                             - (bruscamente) Cose lontane, finite.

Patroclo                           - Tutti questi anni, tutte le prove che ci siamo date, le promesse, non contano più? Eppure mi hai parlato della tua gratitudine, mi hai giu­rato fedeltà. Sì, l'hai giurato, e la tua voce era sincera.

Achille                             - La mia vita comincia ora, il passato te lo lascio. Lasciami l'avvenire, lungo o breve che sia. Ma tu, che ti dici amico, perché non sei, oggi, dalla mia parte?

Patroclo                           - Sto dalla parte del tuo interesse.

Achille                             - Il mio...

Patroclo                           - Tuo e anche mio, certo. Ma, se per­metti, soprattutto tuo. E' il nome di Achille che è in gioco, e forse la sua vita. Patroclo può perdere un amico, Achille molto di più.

Achille                             - Vi preoccupate tutti del mio interesse e del mio onore. Della mia vita. Siete commoventi. Ma tutto in me si rivolge verso Ifigenia. Un amico lo capirebbe. Se no che amico è? Non mi neghe­rebbe la sua spada per difenderla.

Patroclo                           - Questa non è che infatuazione. Non ti seguirò su questa strada. Perché Achille il guerriero, Achille il forte, non resterà legato ad una donna. Non si addice a un essere virile curarsi di una femmina. Non le abbiamo sempre disprez­zate? Nelle nostre giornate di caccia, nei banchetti, nei giochi, mai le abbiamo tollerate. Eravamo orgo­gliosi della nostra amicizia. Bastavamo a noi stessi.

Achille                             - E' vero, una volta non ero che una parte di Patroclo, la sua ombra. Per la prima volta, ora, mi sento me stesso. Sono Achille e basta. Ho rag­giunto d'un tratto ciò che da anni, inconsapevole, cercavo. Ed è stato semplice: bisognava soltanto guardare Ifigenia. Questo non l'avevo mai posse­duto e ora non lo lascerò. Il senso di essere io, separato dagli altri e tuttavia capace di capirli. Un essere umano. Gettato qui, ma libero di sce­gliere.

Patroclo                           - Chiacchiere insensate. Di che libertà stai vaneggiando? Quella di farti ammazzare per una donna?

Achille                             - Non sarà facile uccidere Achille.

Patroclo                           - Non ho mai desiderato la tua morte. Al contrario! Ti auguro di vivere a lungo, di ritor­nare in te, e cancellare questa debolezza. Io ti aspetterò. Quando mi cercherai, troverai l'amico. Patroclo è fedele. Sì, un giorno tu ritornerai, se vi è giustizia in questa terra. (Compare il Poeta Elegiaco).

Il Poeta Elegiaco              - Salve, Achille. Perché non rispondi? Il tuo volto è crucciato. Ma ne hai giusto motivo.

Achille                             - Tu mi dai ragione?

Il Poeta Elegiaco             - Assolutamente. Ifigenia non deve morire. Non dovrebbe: perché è giovane, è innocente, bella; perché la vita può sorriderle. La sua morte ripugna alla ragione.

Achille                             - Così è.

Il Poeta Elegiaco             - Sì, la ragione si ribella... ma la vita - tu, benché giovane, lo sai - è forse il regno della ragione? Tutto è caos, invece, disor­dine, arbitrio. La virtù è derisa, la giustizia calpe­stata, il merito spregiato. La vita è assurda, è un incomprensibile dolore che non si riscatta mai. Il destino, mio caro, bara cinicamente. Per questo c'è la poesia, l'unica cosa che si salva, che consola gli umani e, nel dolore, li purifica. Grazie ad essa, il dolore ci rende più nobili e forti.

Achille                             - Che significa questo?

Il Poeta Elegiaco             - Non arrabbiarti. Ifigenia, l'ho detto, non deve morire. I dolci occhi di Ifigenia, il suo sguardo di cerva impaurita... Ma appunto perché non deve deve morire, morirà. Perché la vita è cieca e insensata, una forza irresistibile e malvagia. E' inutile tentare di resisterle.

Achille                             - Io resisterò.

Il Poeta Elegiaco             - Questo è bello e giusto. Anche se inutile. Tu non puoi cambiare quanto il fato ha prestabilito, nemmeno gli dei possono tanto. Forse sta scritto che ti opporrai e lotterai, ma non altro. Il corso delle cose è già fissato e per ognuno è scritta la sua parte. Non ci resta che interpretarla nel modo più dignitoso. Agamennone, sia lode a lui, l'ha compreso. Il mio collega canterà l'ira fune­sta del Pelide Achille, io canterò il lamento di Andromaca dinanzi al cadavere di Ettore, il pianto delle Troiane cadute in servitù.

Achille                             - Io resisterò. Questo soltanto è il mio compito. Ma tu, poeta, da che parte sei? (La scena si oscura. Vengono illuminati i due Testimoni).

Il Testimone in nero        - Ora il poeta risponderà ad Achille. Con nobiltà e profeticamente.

Il Testimone in bianco     - Spargerà, forse, lacrime e saliva, ma non muoverà un dito per la salvezza di Ifigenia.

Il Testimone in nero        - Non è compito suo. Non sta a lui scendere nella mischia. Dovrebbe forse contaminare la purezza della sua arte?

Quadro nono

(Il Poeta Elegiaco declama accompagnandosi con la lira. E' fiancheggiato da due fanciulle, con le quali civetta).

Il Poeta Elegiaco             -

Piango la tua sventura, Ifigenia,

un torrente di lacrime versando

e amari rivi bagnano le guance.

Già risuona la terra di lamenti,

geme il flutto marino sugli scogli,

geme il fondo del mare.

Le sorgenti dei fiumi si lamentano

ed il cielo si piega intenerito. O giovinetta Ifigenia, a te, come a una giumenta che discenda intatta dai petrosi antri montani, voglion gli Argivi incoronar la chioma inanellata, per il sacrificio. Dalla tenera gola virginale farà sprizzare il sacerdote il sangue.

Piango la tua sventura, Ifigenia,

non vissuta tra i canti dei bifolchi

e non fra le zampogne dei pastori,

ma cresciuta vicino alla regale

tua madre Clitennestra, ed educata

come figlia di re, pura e gentile

e destinata a illustri

nozze con un principe dell'Eliade. La bellezza, il pudore, la virtù nulla possono in terra. Ahimè, trionfa ovunque la empietà e la violenza, la saggezza è derisa, calpestata la legge ed ogni sentimento umano. La licenza dilaga. Più nessuno ha timore dell'ira dei celesti. Piango la tua sventura, Ifigenia, e ti offro il mio pianto di poeta. (Mentre esce il Poeta Elegiaco, entra il Poeta Epico accompagnato da alcuni ragazzi che commentano la sua declamazione poetica con suono di raganelle e zufoli).

Il Poeta Epico                  - Ed io, son forse da meno? Io posso ben altro. E poi il lamento elegiaco non è sufficiente, non è adeguato. Mai dimenticare il lato eroico! Bisogna che il canto abbracci la grandezza degli eventi che maturano, non limitarsi al com­pianto sulla sorte della fanciulla. Ecco, così: Il mio canto è di morte, il mio canto è di vita. Il mio canto è di morte e sacrificio. Il mio canto è di vita e di vittoria. La vita è sacrificio e la morte è vittoria. Attraverso la morte e il sacrificio si conquista, pei secoli, la vita. O tu percossa dal furor dei nembi, esile vela sugli abissi, tu, sei pegno del trionfo degli Elleni, Ifigenia! Ti darà vita sempiterna, fama più perenne che il ferro degli scudi e delle spade degli eroi, la sorte che in Aulide ti attende. E fosse la mia sorte, Ifigenia! Tu intercedi dai numi, per gli Atridi, per il figlio di Peleo, per gli Aiaci, per Odisseo, per Nestore e Diomede e per l'Eliade tutta, la vittoria. Dunque non pianto per il tuo destino, non lamento né tremito. Ma elevi ogni forte guerriero il giuramento di riuscir degno del tuo sangue, degno di lanciare il tuo nome come sfida sul volto del nemico. Ifigenia!

Quadro decimo

 (Soldati).

Il primo Soldato              - Non capisco perché Elena, con tanti giovani che aveva sotto mano, si sia incapric­ciata di uno straniero. Oltretutto, ha mancato di patriottismo.

Il secondo Soldato          - La colpa è stata delle brache...

Il primo Soldato              - Le brache?

Il secondo Soldato          - Sì, quelle di Paride. Nessuno in Grecia aveva mai portato delle brache così ele­ganti e variopinte. Che stoffa, che taglio, che classe! Elena ne rimase fulminata. Capirai, in quelle brache c'era il fascino dell'esotismo, l'oriente mi­sterioso, tutto un mondo sconosciuto...

Il primo Soldato              - Non avrei mai creduto che un paio di brache contenesse tante cose.

Il secondo Soldato          - Che ti credi, balordo, che noi si faccia la guerra per un paio di brache qual­siasi? (Altri soldati).

Il terzo Soldato               - Menelao sposa Elena, affar suo. Elena pianta Menelao, affar suo. Menelao se la lega al dito, affar suo. Agamennone prende le sue parti, affar suo. Poi dichiara la guerra...

Il quarto Soldato             - Affar suo.

Il terzo Soldato               - Un corno. Affare mio, tuo, di tutti. Un brutto affare, amico! Ce ne accorgeremo nella Troade. (Altri soldati).

Il primo Soldato              - Se faremo la guerra e la vince­remo, ci sarà il bottino da dividere. Oro, argento, stoffe, schiavi. Le Troiane, dicono che sono molto belle.

Il secondo Soldato          - Una bazza per i comandanti!

Il primo Soldato              - Chi farà le parti?

Il secondo Soldato          - Agamennone, naturalmente.

Il primo Soldato              - Pensi che assegnerà anche a me una bella schiava? Ne vorrei una giovane, alta.

Il secondo Soldato          - Puoi contarci. Se ti va bene, se giungi vivo sino in ultimo, avrai la tua parte. Qualche moneta di rame, una vecchia megera e i reumatismi. Contento? E se ti va male, un bel pez­zetto di terra, che concimerai tu stesso, senza fatica e senza accorgerti. (Altri soldati).

Il terzo Soldato               - Questa storia della guerra per Elena non mi convince. Non c'è senso comune.

Il quarto Soldato             - Odisseo dice che bisogna fare la guerra per catturare degli schiavi. La nostra terra, dice, ha bisogno di schiavi abbondanti e a buon mercato.

Il terzo Soldato               - Per me, non ne ho bisogno. Il mio campo è così piccolo che posso coltivarlo da solo. Se avessi uno schiavo, non ce la farei a mantenerlo.

Il quarto Soldato             - Potresti venderlo.

Il terzo Soldato               - A chi? La mia paura è che i principi, quando possederanno molti schiavi, avran­no bisogno della terra per farli lavorare, e fini­ranno per prendersi la mia.

Quadro undicesimo

(Clitennestra. Poi i due Testimoni. Poi Clitennestra e Agamennone).

Clitennestra                     - La ragione mi spinge a disperare, la viltà mi tenta, mi induce a dubitare, a illudermi. La mente mi rammostra, in tutte le sue fila, la trama di un delitto atroce; ma la speranza, mai vinta, vuol dimostrarmi che mi sbaglio e mi mostra una strada di salvezza. Mi inganna, la speranza? L'istinto si ribella al pensiero di tanta nefandezza, ma la mente non trova pace e, inquieta, insazia­bile, domanda. O Zeus, se così ti chiami, se questo è il tuo nome, Zeus, tu soltanto puoi liberarmi dall'incubo che avvelena la mia anima. T'ho mai offeso, dio? Dimmi che facciamo, Ifigenia ed io, in questa terra, lontane dalla nostra casa. Vogliono un sacrificio. Che ha deciso, Agamennone? E' un marito, un padre o un nemico spietato? Gli ho generato tre figli e ancora non so che uomo sia. E' male, questo. Ma la colpa è mia? Sventurato il giorno che l'ho conosciuto. Maledetta l'ora che mi ottenne in sposa. Con la violenza è entrato nella mia vita. Doveva morire per mano dei miei fratelli ma si gettò ai piedi di mio padre e seppe impie­tosirlo. Lo spingeva l'amore o l'interesse? L'ombra della violenza, ora, pende su di me e su mia figlia. Ma non è la sua figlia prediletta? Mio padre fu clemente con lui, ch'era un estraneo, lui sarà spie­tato col suo sangue? Sul volto di Ifigenia è scritta la disperazione, ma anch'essa mi nasconde qual­cosa. Esiste qualcosa che una madre non possa ascoltare dalla figlia? Voglio vederlo il mio nobile signore, il condottiero, il semidio. Si degnerà final­mente di rispondermi? Forse c'è ancora una spe­ranza. Dammi la forza di affrontarlo. Zeus, ispi­rami le parole. Ora voglio sapere, a tutti i costi, domani mi pentirò di avere chiesto, rimpiangerò i dubbi e l'ignoranza.

Il Testimone in bianco     - Il sole è disceso e ancora è risalito sulla terra di Beozia. Un giorno è pas­sato. Ventiquattro ore: un tempo insignificante nella vita di un uomo. Tutta una vita per Ifigenia. Ogni ora ha pesato su di lei come un macigno. Con pari crudeltà ha pesato sul cuore di sua madre. E' a Clitennestra che penso.

Il Testimone in nero        - Io penso al dramma di Agamennone. E' lui il vero personaggio tragico, lacerato nel conflitto tra due principi universali: il dovere del genitore e la missione del condottiero. Ma in lui ha già vinto il valore etico più alto. Aga­mennone è l'uomo che guarda oltre se stesso e si misura sulla scala della storia. Nel suo cedere, senza iattanza, al fato, nel suo piegarsi al volere degli dei, vi è un altro senso di religiosità.

Clitennestra                     - Perché mi hai fatto venire con Ifi­genia in questa terra inospitale? Rispondi, non volgere il capo.

Agamennone                   - Tu mi fai domande troppo difficili.

Clitennestra                     - Una domanda sola. Perché l'hai fatta venire? Lo so, bada, ma non voglio, non posso crederlo ancora! Dimmi che non è vero!

Agamennone                   - Perché dovrei mentire? Lasciami, soffro anch'io.

Clitennestra                     - Soffrire, tu? Sei forse un essere umano?

Agamennone                   - Sono il padre di Ifigenia.

Clitennestra                     - Tu immolerai tua figlia e chissà quali preghiere saprai trovare durante il sacrificio. E poi, finita la guerra, tornerai glorioso a Micene e stringerai al petto gli altri figli. Non posso pen­sarci... La vita di mia figlia in cambio di Elena! E' mostruoso, assurdo...

Agamennone                   - E' mostruoso, sì, ma non c'è scam­po. Dobbiamo piegarci al fato. Ascoltami. Dopo avervi ordinato di venire, subito me ne pentii, feci partire un messaggero con l'ordine di fermarvi. Ma non è arrivato. L'hanno fermato appena fuori dell'accampamento e gli hanno chiuso la bocca, per sempre. Capisci questo? Amo i miei figli, amo più di tutti Ifigenia, ma sono nella trappola e non posso uscirne.

Clitennestra                     - Come puoi resistere alla dispera­zione di una madre, alle lacrime di tua figlia... Come potrai resistere al rimorso... Che senso avrà, dopo, la tua vita, la mia...

Agamennone                   - Guardati intorno. Queste tende, queste navi, questi carri, li vedi: ci sono centinaia di guerrieri che vogliono conquistare Troia, a tutti i costi. Nessuno li fermerà. Hanno deciso, loro, che Ifigenia deve morire, che ciò è necessario per la guerra. Chi potrebbe trattenerli? Le tue lacrime?

Clitennestra                     - Se una vittima è necessaria, ucci­dete me. Se del sangue deve scorrere, che sia il mio. E' più giusto, perché io sono la sorella di Elena, pagherò per lei.

Agamennone                   - Vogliono una vergine innocente, una giovane appena sbocciata alla vita.

Clitennestra                     - Il sangue di una regina, di una madre, non basta alla sete di Calcante?

Agamennone                   - No, Calcante e Odisseo vogliono il sacrificio più atroce, il più ingiustificato che mente umana possa concepire. Che ricada su di tutti. Che ci faccia orrore di noi stessi.

Clitennestra                     - E tu, il grande condottiero, non conti più nulla? Comanda, fatti obbedire. Che nes­suno tocchi, pena la morte, Ifigenia.

Agamennone                   - I miei ordini valgono finché vanno d'accordo con gli interessi dei princìpi. Loro vo­gliono il sacrificio, tutti. Persino Menelao.

Clitennestra                     - Se non valgono i tuoi ordini, fa valere la tua spada. Raduna i soldati di Micene e battiti. Mostra di essere un padre, che dico un padre? un uomo. Achille ti aiuterà.

Agamennone                   - Achille conta per uno.

Clitennestra                     - Ricorda che sei venuto qui con cento navi. Odisseo ne ha soltanto sedici. Tu con­duci un esercito, lui un pugno di pastori. E Cal­cante non ha che le sue chiacchiere.

Agamennone                   - Credi che non ci abbia pensato? Mille volte, ma è inutile. Tutti gli eroi sono con Odisseo. Sono battuto in partenza. E sarebbe la fine della nostra dinastia: la morte per te, per me, per Oreste ed Elettra, la distruzione di Micene. Me l'hanno detto in faccia, e non scherzavano.

Clitennestra                     - Hai fatto i tuoi calcoli, con pru­denza. Hai pesato, misurato e concluso. Il conto torna e ti rassegni. Ma tu sei un padre! Un padre lotta, tenta l'impossibile...

Agamennone                   - Io sono un uomo di Stato, capo di una città e di una dinastia. Tu puoi ascoltare il cuore, io debbo piegarmi alla ragione. La dispera­zione non mi aiuta. Tu puoi pensare al presente, io debbo provvedere al futuro. Mo non sono inumano.

Clitennestra                     - In fondo all'anima, sei vile. Tu non ascolti la ragione ma la paura. E' il pensiero della morte, della tua morte, che ti ha convinto. Ecco cosa c'è nei tuoi occhi: la meschina paura di uno schiavo. Io ti leggo dentro. Sei trasparente per me.

Agamennone                   - Perché non guardi dentro Ifigenia?

Clitennestra                     - Che vuoi dire?

Agamennone                   - Che tu forse hai il diritto di odiarmi, non quello di disprezzarmi. Forse un giorno qualcuno capirà che io ho seguito la via più giusta. Che un uomo chiamato al comando, gli piaccia o no, deve seguire la sua strada. Maledetto il giorno che accettai di essere il capo! Fui stolto a piegarmi all'ambizione. Ma tu, che mi dai addos­so, non mi spingevi, allora? Non ti sorrideva di essere la moglie del condottiero degli Argivi?

Clitennestra                     - Accusami. Getta la colpa su di me. Sfoga la tua meschinità. Tu che strisciasti ai piedi di mio padre.

Agamennone                   - Non ti accuso, ma tu devi com­prendermi.

Clitennestra                     - Come ti ho compreso! E pensare che per anni - che nausea, che onta... - ho diviso il tuo letto. Sento odio, vergogna del mio corpo, perché le tue mani l'hanno toccato, queste tue mani di carnefice.

Agamennone                   - Non sono ingiusto, io. So capire la tua rivolta, il tuo furore. Tu sei donna e madre.

Clitennestra                     - (cadendo al suolo) Che ne sai, tu, di una madre? Le tue piccole ragioni, i tuoi ca­villi. Io ricordo il giorno in cui Ifigenia disse, per la prima volta, mamma, e ancora sento, al ricordo, un tremito in me. La mia prima figlia! Quando la allattavo, il mio seno era piagato dalle ragadi, suc­chiava sangue insieme al latte, ed io piangevo di dolcezza e dolore. Quand'era malata, io sentivo contro il mio fianco, nella notte, il suo piede ar­dente di febbre, e l'ansia mi rodeva. Le sue pic­cole labbra, mentre le insegnavo a parlare, si apri­vano alle parole e ai baci. Io accorrevo, poi, a scacciare i suoi incubi notturni. Io la consolavo dei suoi dolori infantili, delle sue buffe dispera­zioni. Tu, impettito, tronfio, passavi in rivista i tuoi soldati e penetravi, gonfio di vino e di libi­dine, nelle stanze delle nostre schiave. Che vuoi saperne di una madre...

ATTO TERZO

Quadro dodicesimo

(Clitennestra e Ifigenia).

Clitennestra                     - Dormi, bambina, è notte tarda.

Ifigenia                            - Non posso dormire. Troppi pensieri si agitano entro di me. Provo, a momenti, una gioia acuta che m'invade tutta, in altri il terrore mi afferra, il sangue mi percuote nelle tempie. Ora tutto mi sembra chiaro, ora tutto diventa oscuro e minaccioso. Così mi esalto e mi abbatto e mai non trovo pace.

Clitennestra                     - Povera bambina, coraggio. Non dobbiamo disperare. Tutto si risolverà. Non può essere che... Quale dio potrebbe consentire?... Ma perché siamo partite da Micene?

Ifigenia                            - Così ci è stato ordinato.

Clitennestra                     - Non dovevo obbedire a tuo padre. Dovevo diffidare, guadagnar tempo, cercare di in­formarmi. La vanità materna mi ha tradito. Splen­dide nozze, prometteva! Io, illusa, ho creduto. E' questo che non so perdonarmi.

Ifigenia                            - Non rimproverarti, mamma. Mia è la colpa. Io ero impaziente. Io ho insistito, pregato, supplicato. Volevo correre da mio padre, pazza com'ero, non vedevo il momento di arrivare.

Clitennestra                     - Sì, eri impaziente, ma sei giovane, puoi sbagliare. Una madre non ne ha il diritto. Ora pago il mio sbaglio, qui, in questa terra ino­spitale, tra questi soldati ostili ed inumani.

Ifigenia                            - Non rimproverarti, non ne hai colpa, nessuno potrà mai accusarti. Non disperare, non bisogna! Achille mi salverà. Oggi gli ho parlato. Ecco, se non fossimo venute, non avrei conosciuto Achille. Felice il giorno, dunque, che sono partita. E' il guerriero più giovane e il più forte. Il suo sguardo è aperto, leale. Io credo in lui, nella sua promessa. Mi salverà. La sua spada fa paura a tutti. I suoi soldati, nessuno li può vincere.

Clitennestra                     - Sì, bambina, hai ragione, non bi­sogna disperare. Tuo padre, ora che Achille ha parlato, avrà più animo per resistere. O avrà meno scuse...

Ifigenia                            - Non credo più in mio padre, non mi aiuterà, per me non trova che disprezzo...

Clitennestra                     - Sono io che lo disprezzo.

Ifigenia                            - Mi disprezza e mi farà morire!

Clitennestra                     - No, gli dei non permetteranno. Achille non vorrà.

Ifigenia                            - Achille è tanto giovane. E' leale. Cir­condato, come me, da nemici crudeli. Mi sembrano ragni mostruosi che tessono una ragnatela di in­ganni. Saprà prevedere, sventare? Ahimè, vi è peri­colo per lui. Mamma, lo uccideranno! Come me, lo uccideranno!

Clitennestra                     - (stringendola fra le braccia) No, figlia, no. Calmati, tutto si risolverà. E' solo un brutto sogno, finirà. Calmati, riposa. Ora dormi, la notte è inoltrata, chiudi gli occhi, calmati, riposa, tua madre è con te, non ti abbandona, dormi dormi dormi. (Una pausa).

Ifigenia                            - Non posso dormire. Non voglio. Le om­bre dei sogni mi tormentano. Calcante mi minaccia nel nome degli dei, Odisseo nel nome della patria, Menelao della famiglia. Mi stanno intorno con le mani alzate, le dita adunche. Gonfi, enormi. Mio padre è il più grande di tutti e mi minaccia di vergogna e di morte.

Quadro tredicesimo

(Soldati).

Il primo Soldato              - Perché fai questa faccia?

Il secondo Soldato          - Sono preoccupato.

Il primo Soldato              - Di che?

Il secondo Soldato          - Penso alle mura di Troia. Dicono che sono alte.

Il primo Soldato              - Altissime.

Il secondo Soldato          - Come faremo, allora, a scalarle?

Il primo Soldato              - lo non lo so, ci penseranno i capi.

Il secondo Soldato          - Certo: loro ci penseranno e tu dovrai arrampicarti. (Altri soldati).

Il primo Soldato              - Mi sai dire, almeno, perché combattiamo?

Il secondo Soldato          - Per difendere la famiglia.

Il primo Soldato              - Ma se io, per fare la guerra, sto lontano per anni, la mia famiglia andrà in rovina.

Il secondo Soldato          - Anche la mia, accidenti.

Il primo Soldato              - Ma allora, per difendere la famiglia, bisogna rovinare una massa di famiglie. Che vantaggio c'è?

Il secondo Soldato          - Un vantaggio tutto spirituale.

Il primo Soldato              - (rivolgendosi a un altro) E tu, sai perché facciamo la guerra?

terzo Soldato                   - Per la difesa della patria, che è minacciata dal nemico.

Il primo Soldato              - Non sapevo che fosse minac­ciata. A me non mi ha minacciato nessuno.

Il terzo Soldato               - Per forza, tu non conti nulla.

Il primo Soldato              - Ma allora perché mi portano in guerra?

Il terzo Soldato               - Perché la patria è minacciata.

Il primo Soldato              - (rivolgendosi a un altro) Dimmi tu, perché facciamo la guerra?

Il quarto Soldato             - Per difendere il nostro modo di vita.

Il primo Soldato              - Il mio è molto scomodo, lavoro dodici ore al giorno, sudo e fatico e mangio poco.

Il secondo Soldato          - Io mi rompo le braccia lavo­rando.

Il terzo Soldato               - Io mi spezzo la schiena.

Il primo Soldato              - E allora, cosa difendiamo?

Il quarto Soldato             - Il loro modo di vita. (Altri soldati).

Il primo Soldato              - Devi riconoscerlo, amico: che faremo noi senza gli eroi?

Il secondo Soldato          - Io continuerei a fabbricare vasi.

Il primo Soldato              - Senza gli eroi non ci sarebbe gusto a fare nulla. Sono loro che ci guidano, ci comandano. L'eroe è sempre in testa: nella guerra, nei giochi, nei banchetti.

Il secondo Soldato          - Specialmente nei banchetti. Hanno un appetito formidabile.

Il primo Soldato              - Mangiano per rinforzarsi e combattere meglio.

Il secondo Soldato          - Una bella ragione: per com­battere debbono mangiare, per mangiare debbono razziare, per razziare debbono combattere, per combattere debbono mangiare... Non si fermano mai?

Il primo Soldato              - Impossibile. Un eroe che si ferma è perduto. (Altri soldati).

Il primo Soldato              - Agamennone è tanto eroico che sacrifica sua figlia.

Il secondo Soldato          - Non ci credo. Perché dovreb­be farlo?

Il primo Soldato              - Perché Artemide ci conceda il vento per partire.

Il secondo Soldato          - Il vento verrà da solo, appena cambia la stagione.

Il primo Soldato              - Se Artemide vuole, la stagione non cambierà.

Il secondo Soldato          - Tanto meglio, non faremo la guerra.

Il primo Soldato              - Ma tu, non sei un patriota?

Il secondo Soldato          - No, sono un contadino.

Il primo Soldato              - Invece Agamennone è un eroe e sacrifica sua figlia per la causa.

Il secondo Soldato          - Farà fuori una schiava e dirà che era sua figlia. E dopo ci presenterà il conto, che pagheremo in contanti, noi: tu ci rimet­terai un braccio, lui la gamba, quell'altro la pelle. (Il soldato indicato fa gli scongiuri).

Il terzo Soldato               - E' vero, la guerra è una pazzia, questa più di tutte. Dovremmo ribellarci, tornare tutti a casa.

Il primo Soldato              - Perché non cominci tu?

Il terzo Soldato               - Non vorrai che mi metta in mostra, io ho famiglia.

Altri                                 - (in coro) Anch'io. Anch'io.

Il quarto Soldato             - Io ho moglie e quattro figli. Anche la suocera a mio carico.

Il primo Soldato              - Tutti hanno famiglia. Forse è per questo che scoppiano le guerre.

Quadro quattordicesimo

(I due Testimoni).

Il Testimone in nero        - Oggi sarà la giornata deci­siva.

Il Testimone in bianco     - Achille è con Ifigenia, ma Odisseo si lavora i suoi Mirmidoni.

Il Testimone in nero        - Benché la corruzione, co­me mezzo di lotta, sia riprovevole, non posso ne­gare la sua efficacia. La deploro ma mi inchino.

Il Testimone in bianco     - Clitennestra è partita. Inebetita dal dolore, l'hanno indotta a cercare appoggi alla sua causa nella città della Beozia. Calcante vuole che la faccenda venga sbrigata nel modo più rapido e pulito. Una madre sarebbe terri­bilmente d'ingombro.

Il Testimone in nero        - E tutti i soldati che son venuti qui contro voglia, che si lagnavano, che volevano ritornare, che faranno?

Il Testimone in bianco     - Nulla, certo. Si sfogano l'uno con l'altro e si consolano a vicenda. Oppure fanno dei pettegolezzi. Non sono massa ma pol­vere, non popolo ma gregge. Ci vorran secoli per­ché imparino, se mai impareranno. No, non voglio disperare: gli uomini impareranno. Forse il giorno in cui basterà premere un bottone per cancellare la vita della terra...

Il Testimone in nero        - Oggi, dunque, è deciso. Guerra! La parola ai guerrieri e ai poeti!

Il Testimone in bianco     - La parola ai carnefici. (Una pausa).

Il Testimone in nero        - (mentre parla la scena viene illuminata da colori vivacissimi) E' una giornata splendida, luminosa. Una giornata di gloria. Il mare è tutto un tremito di sole e il bosco sacro un dolce ondulare di fronde. Il cielo sorride all'Eliade. Il Testimone in bianco    - (la scena, mentre parla, è investita da una luce squallida) E' una giornata fredda. Gli uomini rabbrividiscono nelle tende, fra-dice di pioggia. Le sentinelle trascinano i piedi nel fango. Volti chiusi, sguardi che si sfuggono. Una luce livida su tutto. Un giorno da delitti. Gli alberi sono spogli, si stagliano contro il cielo neri come delle forche.

Quadro quindicesimo

(Ifigenia e Achille. Poi i due testimoni. Ancora Ifigenia e Achille).

Ifigenia                            - Il giorno è ormai inoltrato. Un altro giorno. Mi sono abituata a contarli come se cia­scuno fosse l'ultimo. Mia madre ancora non torna.

Achille                             - Starà fuori a lungo, forse dei giorni.

Ifigenia                            - Mai l'attesa mi è sembrata così lunga. Non so se attendo mia madre o qualcos'altro. Le mie mani sono di ghiaccio. Stasera non sarò più viva. Come è assurdo morire quando si è trovata una ragione di vivere.

Achille                             - Ma io sono con te. Non ti lascio. Sono qui per difenderti.

Ifigenia                            - Dove sono i tuoi soldati?

Achille                             - Non lontano, sta sicura. Aspettano il mio segno, che non mancherà, perché è venuto il giorno dell'azione. Basta con gli indugi. Tessalo verrà tra poco a prendere gli ordini. Tutto è pre­disposto. Dovrebbe essere già qui. Ma non man­cherà. E' un soldato fedele. Sarei ingiusto a dubi­tare di lui.

Ifigenia                            - Sono così stanca di aspettare, di tre­mare, che la morte sarà quasi una liberazione.

Achille                             - Odisseo e Calcante non oseranno met­tersi contro di me e i miei Mirmidoni.

Ifigenia                            - Mia madre non doveva partire. Non so chi l'abbia convinta. Da chi può sperare aiuto? Po­vera madre mia! A Tisbe, a Cheronea si getterà inu­tilmente ai piedi di gente che non può ascoltarla. Delusa, umiliata, tornerà, mi cercherà, e forse sarà troppo tardi.

Achille                             - E qui, che farebbe? Attendere è peggio. Chi s'affanna ad agire, ha meno tempo per tor­mentarsi.

Ifigenia                            - Sono egoista, perdonami... Dovrei dirti vattene, lasciami sola, non morire per me. Ma sono troppo vile ed egoista per dirlo con sincerità.

Achille                             - Non voglio che tu lo dica. Nemmeno che lo pensi. I nostri destini sono inseparabili. (Una pausa).

Ifigenia                            - Sento gente, fuori, che si muove.

Achille                             - La guardia alla tenda è stata rinforzata. Gente nuova, facce sconosciute. E Tessalo non arriva ancora. Forse ho sbagliato tutto. Ho voluto essere cauto, temporeggiare. Invece...

Ifigenia                            - Stringimi le mani. Sì, sento che sono viva, so che vivere sarebbe terribilmente bello. Ti ringrazio, Achille.

Achille                             - Sono io che ti ringrazio. Cos'ero prima di conoscerti?

Ifigenia                            - Eri un soldato senza problemi; un uomo felice.

Achille                             - Ero nulla, lo sai.

Ifigenia                            - lo ero un nodo di incubi e rimorsi. Ora tremo di paura, rabbrividisco, ma il mio cuore è senza macchia.

Achille                             - Perché non ti ho conosciuta prima?

Ifigenia                            - Non mi avresti neppure guardata. Solo la morte, che pendeva su di me, ha richiamato il tuo sguardo e ti ha permesso di vedermi. La nostra vita, prima, era avvolta di nebbia. L'aria fredda che la dissolve è quella della morte.

Achille                             - E' caduta la scorza che mi copriva. Mi credevo un eroe, un semidio, e non ero che una macchina di guerra. Ho imparato a conoscere e amare, ma anche a giudicare e odiare. Ma quanto costa divenire un essere umano!

Ifigenia                            - lo peso troppo su di te.

Achille                             - Non accusarti. Io amo il tuo peso, il tuo destino congiunto con il mio. Divenire un uomo, è privilegio di pochi. Tutto appare diverso, nitido, ogni cosa col suo significato. Ma le mie mani e il mio petto sono inermi, non sono più il capo del Mirmidoni.

Ifigenia                            - Noi siamo perduti.

Achille                             - Sì, siamo perduti. Tessalo non verrà. E' troppo tardi. I Mirmidoni sono soldati di me­stiere, si guadagnano il pane con la guerra. Ero pazzo a contare su di loro.

Ifigenia                            - Sono molto stanca, Achille, dimmi che dobbiamo fare. No, lo so: io debbo morire... Ma tu salvati. Salvati, ti prego. Vedi che posso dirlo, che ho imparato. Salvati, vattene.

Achille                             - Io resterò con te. E' questo il prezzo che debbo pagare per essere un uomo. Il mio do­vere è resistere, lottare sino all'ultimo respiro. Non bisogna cedere al male. I carnefici vogliono il consenso della vittima, la sua comprensione, la sua complicità. Vogliono che il delitto si mascheri da sacrificio. Hanno sete e fame di belle parole. I loro poeti sono pronti a versare miele sulle pia­ghe, a cantare il purissimo olocausto. Ma è un delitto, lo capiranno. Sapranno che c'è stato qual­cuno che si è opposto e ha combattuto sino all'ul­timo. La nostra morte non sarà inutile.

Ifigenia                            - Tu mi hai dato una ragione per vivere, ora mi dai una ragione per morire.

Achille                             - Noi lanciamo un messaggio ai posteri, che un giorno qualcuno raccoglierà.

Ifigenia                            - (dopo una pausa) Ora verranno e si get­teranno su di noi. Sento i loro passi, si avvicinano.

Achille                             - Non avranno il nostro consenso. E' poco, ma non possiamo di più. La tua vita, la mia, non le avranno senza combattere. (Si fa buio. Poi da esso emergono i due Testimoni).

II Testimone in nero        - Rifiutano il sacrificio ma accettano la morte, una morte oscura e senza glo­ria. Solo questo concedi a Ifigenia? E' banale, meschino.

Il Testimone in bianco     - E' la verità.

Il Testimone in nero        - Una verità insignificante. Vale più la mia. Basta così poco, guarda. (Achille e Ifigenia. L'illuminazione è completa e diversa da prima).

Ifigenia                            - I tuoi soldati non arrivano.

Achille                             - Non sono più il capo dei Mirmidoni. Loro stanno con Odisseo.

Ifigenia                            - Noi siamo perduti.

Achille                             - Sì, siamo perduti, non ho saputo salvarti.

Ifigenia                            - Non hai potuto, nessuno lo poteva. Era destino. E' finita. Mi trascineranno all'altare come una schiava. Una morte sordida mi attende.

Achille                             - Io resterò con te. Morirò con te.

Ifigenia                            - Ognuno muore solo. La morte non unisce. Ognuno è schiacciato dalla sua e non c'è posto per gli altri. La mia morte sarà soltanto mia. Tu salvati, sei ancora in tempo.

Achille                             - Non voglio salvarmi, voglio vendicarti. Pagheranno le nostre vite col sangue.

Ifigenia                            - E' questo che mi offri? Una fine sor­dida e selvaggia. Una pagina turpe, da dimenticare.

Achille                             - Ricorda che il nostro dovere è di rifiu­tare il nostro consenso ad un delitto.

Ifigenia                            - Io posso qualcosa di più grande. Posso trasformare il delitto in un sacrificio. Lo farò per me. Non sarò vittima, ma vincitrice.

Achille                             - No, avevamo deciso di resistere. Dob­biamo.

Ifigenia                            - In nome di che?

Achille                             - Degli uomini che verranno, della verità.

Ifigenia                            - La verità è la morte che mi attende. Non mi resta che scegliere la morte più bella. Non hai il diritto di negarmelo. I posteri non contano. Morirò con coraggio, con dignità. Non sarò trasci­nata a forza, salirò da sola l'altare. Li guarderò negli occhi con disprezzo. Tu resterai a ricordarmi. Non voglio che tu muoia, voglio che tu mi ricordi e mi compianga. Solo tu hai conosciuto Ifigenia. Io vivrò in te, se tu vivrai. Ti prego, Achille, è la mia ultima preghiera. Salvati, ricordami. Addio.

Quadro sedicesimo         

(Testimone in nero. Ifigenia, Calcante, Agamen­none, principi e soldati. Testimone in bianco).

Il Testimone in nero        - Io narrerò ai posteri la sorte gloriosa di Ifigenia. Nel giorno segnato dagli dei, quando venne il momento decisivo, essa si distaccò senza tremare dal fianco della madre, che si strappava le vesti ed i capelli, si segnava le guan­ce con le unghie. « Non piangere, madre, - disse Ifi­genia - non vestire abiti di lutto, non recidere la tua chioma. La mia sorte è lieta perché è causa di salvezza all'Eliade. Non odiare mio padre! ». Clitennestra la stringeva in un abbraccio convulso; Ifigenia si sciolse con dolcezza, ordinandole di non seguirla. Clitennestra voleva trattenerla ancora, sin­ghiozzando la supplicava. «Non voglio più vedere lacrime, - rispose Ifigenia - potrei perdere il corag­gio ». Si avviò seguita da molte giovani donne, non sorretta da alcuna, perché il suo passo era fermo come la sua voce. Nel bosco sacro alla dea l'atten­devano il padre, il sacerdote con le acque rituali, l'esercito degli Elleni ansiosi di prendere le armi contro i Frigi. (Buio. Poi appare Ifigenia, che avan­za nel bosco sacro, dove l'attendono Agamennone, Calcante, ì principi e i soldati).

Ifigenia                            - Eccomi, son pronta. Ifigenia è pronta al sacrificio. Dove sono le ghirlande? Cingetemi il capo. Così. Non tremate. Io reco alla patria la sal­vezza e la vittoria. (Agamennone si copre il volto, gemendo) Non piangere, babbo, non si deve. Volen­tieri io offro il mio corpo all'Eliade sacra, come l'oracolo della dea ha comandato. Non piangere, dunque. E voi, Argivi, ascoltate. A ciascuno io au­guro felicità e vittoria e un glorioso ritorno alla sua casa. (Alcuni soldati si avvicinano a Ifigenia per immobilizzarla) Nessuno mi tocchi! Indietro! Io non fuggo, non tremo. Da sola, impavida, por­gerò alla spada la mia gola. (/ soldati si allonta­nano da lei).

Calcante                          - (sguaina una spada acuminata e la pone in un canestro d'oro) O divina Artemide, figlia di Zeus, invitta cacciatrice, fulgida luce del silen­zio notturno, ecco la vittima che l'esercito greco e Agamennone ti offrono. Accoglila benevolmente, accogli il puro sangue che sprizzerà dal suo collo virginale, e a noi concedi di raggiungere e conquistare le torri di Troia. (Ifigenia fa un passo innanzi e si inginocchia dinanzi all'ara. Calcante impugna la spada, tocca con la sinistra il collo della giovane, cerca il punto da colpire. Mentre la sua spada scende sulla vittima, la scena si fa di colpo buia).

Il Testimone in nero        - (uscendo dall'ombra)

I soldati non fiatavano e non osavano alzare la testa. Non vi erano né canti né danze in quell'irripetibile sacrificio, e nemmeno preghiere, ma soltanto silenzio e silenzio. Il tremito della mano di Calcante era visibile. In ognuno il cuore batteva oppresso da un intollerabile dolore. Ma ecco, d'un tratto, un prodigio si avvera: mentre la spada ; scende, luminosa e spietata, verso la vittima, e sta per incidere la carne, ecco che Ifigenia non c'è più, è scomparsa, miracolosamente rapita dalla dea. Al suo posto giace, sanguinante, una grande cerva i dalle belle forme. Fu un grido generale di stupore, di sollievo, di giubilo! Calcante, allora, levò la sua voce: « O Argivi, principi e uomini d'arme, con­template questa vittima che Artemide, pietosa, ha posto sull'ara affinché non fosse macchiata dal sangue della vergine. La dea ha gradito la nostra offerta ed ora ci concede di salir sulle navi e navigare, con l'aiuto dei venti propizi, verso la Troade. Avanti, corriamo alle navi, ciascuno al suo posto. E' tempo di salpare! ». Non aveva ancora finito, che già Zeus fa sentire il suo tuono. Il vento si scatena, I flagella gli alberi; il mare risponde con muggiti. Le onde, frangendosi sugli scogli, lanciano in aria la schiuma biancheggiante. II cielo sfolgora di lampi e sembra aprirsi. I marinai tendono le vele. E così, stupiti ancora dal portento, confortati dal segno di benevolenza degli dei, gli Argivi lasciarono Aulide e si avviarono verso la guerra, verso la vittoria. (il Testimone in nero si ritira. Avanza invece verso il pubblico il Testimone in bianco, il quale regge tra le braccia il corpo insanguinato di Ifigenia, le cui vesti sono a brandelli).

II Testimone in bianco    - Giudicate, uomini. Voi dovete giudicare. Ifigenia è morta, la sua giovinezza se ne è andata col sangue che colava dalle ferite. Non credete ai poeti che mentono, sputate 1 sui falsi testimoni. Ifigenia non vivrà, nessuna dea I l'ha salvata. Eccola, è morta. Non lasciate che lei belle parole vi ingannino. L'hanno uccisa ed è stato un delitto che ne prepara uno più grande, la guerra, che genererà nuovi delitti. Ifigenia non si è offerta al sacrificio, l'hanno trascinata, ed essa urlava, si dibatteva, li ingiuriava. L'hanno sgozzata come una bestia mentre Achille veniva sopraffatto. Giudicate, uomini. Il delitto è stato consumato, nessuno ha saputo impedirlo. Achille ha cercato ma era solo. Ditelo voi: l'uomo che si oppone al male dovrai sempre essere solo? Uomini, svegliatevi. Non serve chiudere le porte e le finestre. La pietà e le lacrime non servono. Quando è tempo di agire, chi sa of­frir soltanto lacrime è un nemico.

FINE