Un gradino più giù

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UN GRADINO PIU’ GIU’

Commedia in tre atti

di STEFANO LANDI

PERSONAGGI

GIANNA

VALERIO ALBERICI, padre di

ALBERICO

LIBERATA, serva

POMILIO, avvocato

Commedia formattata da

L'azione del primo atto dura pa­recchi giorni; quella del secondo atto si svolge due o tre mesi dopo, dal tramonto alla sera d'una gior­nata estiva; quella del terzo, la notte successiva e quella del giorno dopo, fino alla mattina. In una città di provincia, sul mare. Oggi.

NOTIZIE SUI PERSONAGGI PER GLI ATTORI

Gianna :                         - sui trenta anni. Spirito respon­sabile, alacre e poe­tico. Carattere fermo e schietto. Ha supe­rato un momento di disperazione nella prima giovinezza: l'inganno d'uno che la fece donna e non moglie. Non vuol pensarci più. Non pensa che al suo la­voro, da dieci anni. Da qualche anno è in casa Alberici, vice madre di Annunzia­ta, orfana. Ama la fanciulla con tutto il cuore. Nel primo atto veste sem­plicemente, come una governante. Nel secondo e nel terzo, molto seriamente, ma da signora ricca ed elegante. Valerio: quarantotto anni, quadrato, sanguigno. Faccia larga e bruna, con una barbetta torno torno, corta e occhi larghi, feroci, nelle orbite scure. Veste una zimarra da camera; poi, morta la figlia, di nero. Pieno di risen­timenti, domenicano; casto dalla morte della moglie, cioè da quindici anni, in un atroce sforzo di volontà, per impetrare la grazia sul figlio Alberico.

Alberico:                        - ventidue anni, bello, biondo chiaro, cele­stiale. Badi l'attore di non farne uno « scemo » di maniera. Abbia presente che Alberico vive chiuso in casa, fra parenti amorosi e con una serva affezionatissima, i quali non gli hanno mai dato a vedere di considerarlo da meno di loro, e lo hanno riparato da ogni mortificazione di estranei. Perciò Alberico è disinvolto e sicuro di se, non impacciato e mortificato come sono di solito i defi­cienti non difesi da una carità ardente e gelosa. Nel primo atto in maschera di diavolo rosso coi campanelli e la vescica in mano; nel secondo e nel terzo, curato da Gianna, ha bei pigiami e vestiti eleganti. Ben pettinato con la scriminatura da un lato.

Liberata:                        - quarant'anni; la vecchia serva di provincia devota ai padroni fino alla morte. Le è accaduto, un anno fa, quasi senza saper come, d'unirsi con Alberico, che ora ha preso l'abitudine di cercarla di tanto in tanto di nascosto. Lei non sa rifiutarsi, e vive in questo rimorso.

L'avvocato Pomilio        - è un omone, persona per bene. Non dev'essere truccato.

ATTO PRIMO

Stanzetta di passaggio, dalle pareti appena scialbate, nude. Tre porte: una nella parete di fondo, comune, annidata in fondo a un anditino a volta; una a destra, per la camera di Gianna; l'altra a sinistra, per la camera di Annunziata. Alla parete di fondo, due inginocchiatoi sotto un Crocifisso nero, vegliato da un lanternino di ferro. Alla parete di destra una macchina da cucire, un cestello da lavoro e una poltroncina. Al levar della tela la scena è vuota. Luce di mattina. Valerio entra dalla comune con un foglietto da lettera in mano; contenendo una terribile collera sotto smorfie di beffa si rigira per la scena, tornando sempre a rivol­gersi alla porta a sinistra.

Valerio                             - Signorina Capino d'oro! (Ride) Ah ,ah ah! Capino d'oro! (Violento) Spudorata! e la vostra signora governante che tiene mano! (Leggendo, smorfioso) « Si dice che i pensieri abbiano le ali, ma se fosse vero i miei non sarebbero così sconsolati... Ah ah ah! Sconsolati! Queste lettere penetrano in casa mia! (c. s.) perché volandovi intorno senza posa, tornerebbero a me lieti e ridenti ». Vi farò vedere io. i pensieri lieti e ridenti!

Gianna                             - (entrando ,da sinistra e richiudendo subito la porta, con rimprovero) Signore: la vostra figliuola sta male!

Valerio                             - Gi Pi! «il vostro per la vita Gi Pi »! Chi è questo Gi Pi? Voglio saperlo! Dovete dirmelo subito!

Gianna                             - V'ho pregato fin da ieri di chiamare il medico.

Valerio                             - Rispondete a me!

Gianna                             - Non gridate, non gridate: ha la febbre alta!

Valerio                             - Questa è la sorveglianza per cui siete pa­gata? Siete licenziata, signorina: e uscirete dalla mia casa subito: su due piedi!

Gianna                             - Me ne andrò, signor Valerio: ma ora vi prego... vi prego: venite a vedere voi stesso lo stato della signorina. Non è il momento di gridare, perdonate. E' ammalata, gravemente. Venite!

Valerio                             - Scuse. Non entro: non voglio vederla! Spu­dorata! « vostro per la vita Gi Pi »! S'è messa a letto per ripararsi dal giusto castigo del padre. E voi che tenete mano...

Gianna                             - Se non chiamate subito il medico io parto immediatamente: perché non posso restare accanto a un'ammalata senza saper che fare, come curarla.

Valerio                             - (smontato, angheggiando) Comodo, ora, comodo, approfittarsi d'una parola che m'è sfuggita, per liberarvi d'ogni responsabilità.

Gianna                             - Io sto e voglio stare al mio posto, e quanto a responsabilità vi sto anzi ammonendo perché anche voi vi assumiate le vostre.

Valerio                             - (minaccioso) Che è, codesto tono?

Gianna                             - (abbassando subito la voce) Non è da padre, signor Valerio, non è da padre, quello che dite e fate.

Valerio                             - (sbalordito e quasi ridente) Non è da padre? Voi sapete quello che è e non è da padre! Non fatemi ridere, signorina: in questo momento, non fatemi ridere. (Le volta le spalle e gira su e giù. Quindi, arre­standosi netto) La signorina Annunziata che ora fa l'am­malata per ripararsi dal mio giusto castigo, sa bene che non deve, « non deve » (agitando la lettera) coltivare nell'animo simili sogni: perché il suo dovere è di restare accanto al fratello... che io non posso lasciare abban­donato, .quando avrò chiuso gli occhi. E non ho a chi affidarlo, se non a lei: la sorella. Quando una casa è visitata da Dio, come questa, non si coltivano sogni assurdi: si sta alla ,prova che ci è stata mandata, fortifi­cando l'animo contro le tentazioni, e pregando che il nostro dovere, unico dovere, per amaro che sia, a poco a poco ci divenga grato, da adempiere volenterosi e lieti: come una vocazione nata dall'intimo. E io vi avevo messo accanto alla mia figliuola affidandovi anche questa sacro­santa opera di persuasione: e nel vedere che voi invece avete osato tenerle mano...

Gianna                             - Il medico, vi dico, signore: il medico! (Esce a sinistra chiudendo la porta. Valerio, restato in tronco, alza il pugno contro la porta in atto di minaccia: si sfoga appallottolando il foglietto e ficcandoselo con rabbia in tasca; quindi esce dalla comune, chiamando).

Valerio                             - Liberata! Liberata! (Via).

(Pausa. La luce cambia, e si fa di meriggio, calda e intensa. Liberata viene dalla comune con una tazza di brodo, attraversa, fa per entrare a sinistra senza picchiare: ma appena aperta la porta, come al cenno di qualcuno, s'arresta e dà addietro tornando in iscena, seguita subito da Gianna in punta di piedi, che richiude piano la porta).

Gianna                             - Riposa. Meglio di no, ora: lasciarla .ripo­sare. E' stato chiamato, il medico?

Liberata                           - Ah, signorina mia... io stavo mandando Giovanni, di nascosto: se n'è accorto ed è diventato una furia: se non correvo via più che presto...

Gianna                             - Dovete dirgli questo da parte mia: .che se non mi fa venire subito il medico, io sono decisa a ricor­rere... non so: a denunziarlo!

Liberata                           - Signorina Gianna, che dite?

 Gianna                            - E' inaudito! La signorina è grave: è grave. Io ricorro alle autorità: e vi chiamo in testimonio! An­date a dirglielo! (La sospinge via) E badate: sulla vostra coscienza, se non parlate. (Liberata esce dalla comune. Gianna cerca di rifiatare un momento prima di rientrare presso l'ammalata. Ma è infoscata. Va un momento da­vanti al Crocifisso, appoggia le palme sull'inginocchiatoio, subito si distoglie. Grida interne di Valerio: «7 carabi­nieri! Ah, i carabinieri! Coi carabinieri la farò uscire io dalla mia casa: ammanettata: la ruffiana! ammanettata! ». Gianna s'adira e fa per correre alla comune; le sembra d'udire un gemito dalla camera dell'ammalata, resta irre­soluta, quindi torna indietro e esce a sinistra richiudendo la porta. Pausa. La luce si fa di tramonto che va rapida­mente al crepuscolo. Dalla comune entrano Valerio e Liberata portando una vecchia poltrona dall'alta spal­liera, e la collocano sulla destra quasi al proscenio, volta agli spettatori. Sul bracciuolo, una coperta di lana. Va­lerio è ora pieno di dolore, in orgasmo).

Valerio                             - Qua, voglio stare qua. E andate via.

Liberata                           - Posso chiamare?...

Valerio                             - Sì. Andate via! E basta con questi pia­gnistei. Sono stufo. (Liberata esce di fretta. Valerio siede in poltrona guardando la porta a sinistra, e gonfia: a un tratto esplode, ma con un soffio di voce, come con­fidandosi agli spettatori) La bambina è stata sempre bene, ed è inutile Che mi vogliano spaventare. (Di nuovo infuriato, chiamando) Liberata! dite però a co­desto signor dottore (si alza e va, sempre gridando, verso la comune) che stavolta è chiamato per mia figlia Nun­ziata: perché non mi venga avanti con la solita faccia d'impostore! (Tornando alla poltrona, tra se) Una ch'è stata sempre bene, con un po' di cure positive dovrà tornare a star bene. ((Soprappreso e stizzito d'aver di­menticato d'aggiungerlo) Piacendo a Dio, piacendo a Dio. (Siede) Se non fosse per questa soperchieria della bambina che s'è voluta ammalare, in casa mia non ci avrebbe rimesso più i piedi! Alberico lo può cancellare dal suo calepino. Mio figlio non 'ha bisogno di lui. Non lo farò più visitare: ida nessun dottore. (Resta a pensare con le mani afferrate ai bracciuoli) Gi Pi... Gi Pi... Mi scoppia la testa. (Si percuote il capo due volte col pugno chiuso e fa un gemito. Di scatto si rannicchia guardandosi attorno scontrosamente nel timore d'essere stato visto. Rassicurato, si copre le gambe con la coperta e resta quieto. Non si muove più. La luce manca a poco a poco. Nel buio, la scena resta schiarata dal lanternino che arde sotto il Crocifisso. A un tratto, la luce di prima mattina. Gianna entra da sinistra, spettinata e sbattuta per la veglia).

Gianna                             - (rassettandosi i capelli) Signor Valerio... (Risale fino alla poltrona, lentamente, poiché Valerio non dà segno di vita) Signore.

Valerio                             - (riscotendosi) Che c'è? (Stira le braccia).

Gianna                             - Tutta la notte, qua?

Valerio                             - (batte le mani e ci soffia su, senza capire, poi capisce, e, irritato) La notte qua: sissignora. Eb­bene?

Gianna                             - Potevate entrare. La signorina ha cercato di voi più d'una volta!

Valerio                             - Non l'ho sentita. Che fa ora? E' guarita?

Gianna                             - Oh, signore...

Valerio                             - Che ha detto quell'imbecille del dottore? Punto primo: guai a ohi s'attenta di far trapelare a mio figlio Alberico che sua sorella è indisposta: avete capito? Nessuno deve turbare mio figlio. Ditelo anche a Liberata. Ve ne faccio un caso di coscienza. Non l'ho sentito cantare. Perché mio figlio non canta?

Gianna                             - Dormirà ancora, signor Valerio? presto.

Valerio                             - Sicuro. Che ha detto il dottore?

Gianna                             - S'è lamentato d'esser stato chiamato sol­tanto ieri. A scanso di mie responsabilità...

Valerio                             - (turbato) Tifo eh? (E poiché Gianna, titu­bante e angosciata, accenna a negare, irritato) Peggio del tifo? Che c’è peggio del tifo?

Gianna                             - Non è un'infezione. E' qui... (accenna alla nuca): una infiammazione.

Valerio                             - (basito, quasi sorridente) Voi siete matta. (Scomponendosi, con paura e pianto) No, signorina, eh? Noo, eh? Voi me l'avete fatta studiare troppo. (Si leva).

Gianna                             - Io, signor Valerio?

Valerio                             - Ah, non .siete voi? E ohi ,è? chi?: il dottore? Dite a quel mascalzone... Che ha detto? In­fiammazione? (Mancando) No, signorina: è assurdo. Dopo Alberico? Come faccio, come faccio io, signorina? Al­berico non deve sapere nulla. Dite a don Paolo: dite a don Paolo che se lo porti in villa: vadano a stare in villa fino a nuovo ordine. Correte, correte. Andate. (Gianna esce in fondo. Valerio si guarda attorno per assicurarsi che nessuno lo veda e si fa il segno di Croce. Va per rimettersi sulla poltrona, ma poi, intronato, risale verso la porta a sinistra e resta Vi a spiare. La luce cresce. E' sorto il sole. Gianna rientra \dal fondo e risale per uscire dov'è postato Valerio).

Gianna                             - Permettete?

Valerio                             - (quasi balbettando) Dunque... è molto grave?

Gianna                             - Lasciate che entri: bisogna mutare la borsa del ghiaccio. Non volete venire?

Valerio                             - (si ritrae barcollando un po', le mani sulla faccia, Gianna lo guarda, poi esce a sinistra, lasciando aperta la porta. Valerio siede sul’inginocchiatoio con le spalle al Crocifisso: a un tratto si risolve ed entra nella camera della figlia. Di dentro la voce di Alberico, lieta e limpida, ma senza estro né calore, cantando: « Trallalà             lallà lolla. Trallalà lolla lallà. Si va! si va! trallalà lallà lallà». Alberico arriva alla soglia della comune, resta un momento fermo e come attonito, senza entrare in iscena, guardando innanzi: accenna a canterellare, tra distratto e spaurito: « Un mazzolin di fiori, che vien dalla montagna... un mazzolin di fiori... » e se ne va, con la sua cantilena. Luce di crepuscolo, e poi, a poco a poco, notte. Valerio rientra da sinistra e chiude la porta. Risale e poi si mette a dire, passeggiando e sostando, intentissimo nel suo pensiero). Bisogna guardarsi dagli errori di giudizio. Non ha resistito lei. La figlioletta mia... non ha potuto. Ama Gi Pi... Confortata da quella canaglia... che è una donna provata, di giudizio; e dunque questo Gi Pi è un ottimo giovane. Lo so: non c'è da fingere. E' una prova: per me: perché io intenda...che per Alberico io non dovrò più contare su di lei. Intendendo io questo, lei può vivere: è giusto che Dio ime la faccia vivere; mentre se io m'ostino a non intenderlo, muore. Da ciò il rimorso. No. Guardarsi dagli errori di giudizio. Con­siderare che Nunziatina è una che manca. C'era un dovere, per lei, c'era; e non lo sostiene. Ognuno che manca ha le sue giustificazioni. Ma sta al giudice pesare se sono valide. Io sono il suo giudice naturale. Ma anche parte in causa, eh. Uno scrupolo che turba. E di più il turbamento del rimorso. Non è rimorso: ma pietà naturale. Credevo di amarla di meno. Dovevo amarla di meno. Dio mi confonde. (Va come assorto alla porta a sinistra, la riapre, e dice dolcemente) Ascol­tami, bambina. Non è giusto: ma tu puoi sposare il tuo Gi Pi... puoi sposarlo quando vuoi. Hai sentito? Diteglielo voi, appena vedete Che sente. (Richiude la porta e va a sedere) Metterò condizione a Gi Pi di vegliare su Alberico e prenderlo in casa loro quando io non 'ci sarò più: condizione perentoria di essere... tutti al suo servizio: tutta la loro famiglia! Al servizio di mio figlio: sotto pena di perdere ogni diritto sulla mia sostanza. (E' soddisfatto) Queste prove servono per riparare agli errori idi giudizio. (Batte il pugno sul bracciuolo) Ora guarisce. (Dalla porta in fondo sbuca Libe­rata, disfatta dalle veglie. Mostra titubanza a inoltrarsi e a parlane a Valerio. Quando è a due o tre passi fa per tornare indietro; invece si cala in ginocchio).

Liberata                           - Signor padrone? (Valerio non risponde) Signor padrone, sono, qui per la signorina... per quella povera anima.

Valerio                             - (senza voltarsi, annoiato) Andate via: per Nunziatina non serve più niente: ho pensato io.

Liberata                           - Da una settimana non prendo un mo­mento di riposo... non mando giù un boccone. Io devo, signor padrone, io devo...

Valerio                             - (volgendosi) Che fate, lì in terra?

Liberata                           - (alzandosi, confusa) Niente... (Ma, an­dandosene, sfuggente) I rimorsi, signor padrone...

Valerio                             - (voltato, divertito) Che? (Liberata s'ar­resta, di spalle: allarga le braccia, poi le lascia rica­dere, china la testa; poi si copre la faccia con le mani. Valerio s'alza e va a prenderla per una spalla) Che avete detto?

Liberata                           - (cupa, affannata) Lasciatemi andare...

Valerio                             - Rimorsi? Voi? Che rimorsi potete avere, voi?

Liberata                           - (c. s.) Mi c'era voluto tanto coraggio a decidermi e voi mi mandate via! Da una settimana prego Dio per avere questa forza. Se avessi potuto prima... forse il male non sarebbe così avanti...

Valerio                             - Ma siete pazza o scherzate? Avete peccati da 'Confessare... a me? (Liberata accenna di sì) A me? E vi manca il coraggio? (Quasi ride, portandola avanti a scossoni) Venite qua. Qua! Aspettate! Io, se di là muore mia figlia, e non posso, non posso accostarmi a lei... non vedete?: è perché non mi sono mai curato di lei: come se lei fosse stata un'altra cosa e non figlia mia, figlia mia come l'altro: e lo scopro ora... non per amore: ma sotto la minaccia Che lei mi manchi per l'altro: e forse irti (muore perché non ho amata: un figlio non amato... che ed sta a fare? E' giusto! perché io ho fatto... come se imi bastasse avere solo l'altro, quel disgraziato... E (maledetto, le ho negato anche i medici, tre giorni: sapete perché ? maledetto, perché li odiavo io, per quanto m'hanno beffato quando li supplicavo di guarirmi l'altro: e la povera innocente, che non c'en­trava, che ne aveva bisogno, l'ha pianto lei. Andate, an­date, voi, coi vostri peccati: che mi fanno ridere. (Pausa. E' notte. Unica luce, il lampadino sotto il Crocifisso).

Liberata                           - (sbigottita) Chiediamo la grazia...

Valerio                             - Andate d'ai prete.

(Liberata                          - Sì... ma non ho... se non ho il vostro per­dono, signor padrone...

Valerio                             - Il mio perdono? perché ?

Liberata                           - (senza guardarlo, anzi un po' girata di spalle) Ah Dio, se voi riuscite a perdonarmi... e io umiliata... purificata la casa... vedrete che viene, la grazia... Perché io già da Un anno... da un anno, io, signor padrone, vivo qua in peccato mortale... Per carità: voglio confes­sare: senza sapere come ci sono scivolata... e anche lui...

Valerio                             - (stupito) Lui?

Liberata                           - Ah, Zio

Valerio                             - (d'un fiato) Tutto potevo immaginare fuor­ché c'entrasse un lui.

Liberata                           - (più bassa d'un tono e affannata: senza la­crime nella voce) Senza sapere, anche lui... giocando, signor padrone, come con un bambino, ve lo giuro: senza un pensiero...

Valerio                             - (insospettito) Chi, lui? (Liberata non osa più dire. Egli, andandole sopra, minaccioso) Parla!

Liberata                           - (chinando il capo e allargando le braccia) Signor padrone...

Valerio                             - (coprendosi la faccia) Oh Dio.

Liberata                           - (curva, in fretta) Dio che ci guarda; non so come ho fatto a dirlo, come una pazza: per la sal­vezza di quella creatura! Signor padrone, dite una pa­rola: pensate alla vostra creatura...

Valerio                             - (senza guardarla) Che vuoi che ti dica? Vattene. (Con un'uscita istintiva) Ma non mi pare pos­sibile.

Liberata                           - (umile, e ora piangendo) Dio ci guarda e deve fare la grazia. Per carità di quella creatura, signor padrone, dite 'che mi perdonate, lo spero tanto, se mi perdonate: io spero tanto.

Valerio                             - (chiuso in se)! Non dite, non dite a me di sperare perché siete pentita e vi siete (castigata. (Breve pausa) Ora basta. (Terribile) Che volete da me, in questo momento? Che vi schiacci la testa? Zitta, zitta: vi ringrazio; ma andatevene.

Liberata                           - Ma se non sperate... se non chiedete... (Fa per prenderlo pel braccio e condurlo verso il Cro­cifisso, che addita con l'altra mano).

Valerio                             - (scansandosi pronto, con dileggio) Quin­dici anni, che io mi castigo: per impetrare la guari­gione di mio figlio... e il castigo che m'impongo, dalla morte di una moglie... se non lo sapete: perfino voi, qualche momento, mi sembrereste una donna! (Ride) E c'è arrivato Alberico!

Liberata                           - (atterrita) Signor padrone! (Corre all'in­ginocchiatoio e prega in silenzio. Valerio resta in piedi, lungamente assorto. Da sinistra, s'ode un trambusto af­fannato dalla camera dell'ammalata. Liberata si volge un momento impaurita, e subito raddoppia il fervore della preghiera, bisbigliando in un soffio: «Per ca­rità... per carità... ». Valerio è come se non s'accorgesse di nulla, ma il suo corpo sta sempre più eretto, come in attesa. La scena comincia a schiararsi in un'alba pigra. D'un tratto Gianna, scarmigliata, pallidissima, esce da sinistra e muove di traverso qualche passo le­gato verso il centro della scena. Valerio si volge di scatto).

Valerio                             - (balbetta appena) Che... (Liberata in un attimo s'alza e corre nella camera a sinistra. Valerio la segue con l'occhio, stupito, guarda Gianna che lo fissa come insensata: s'avvia lento, piantando un piede avanti l'altro con volontà d'avanzare sulle gambe che non lo reggono; esce a sinistra. Mentre egli sta per uscire).

Gianna                             - Signore... povero signore... (Appena sola porta le mani alle tempie e guarda a sinistra, ma non può vincere l'orrore di rivarcare quella soglia).

Liberata                           - (uscendo da sinistra, in fretta) Bisogna mandar subito Giovanni ad avvertire... Che avete, si­gnorina?

Gianna                             - Niente... (Vacilla).

Liberata                           - (accorrendo a sorreggerla) Oh Signore!

Gianna                             - (spaurita) No: fate: non pensate a me...

Liberata                           - (in fretta, conducendola) Ma via! V'ac­compagno nella vostra camera: su! davvero non vi reg­gete, poverina. E avete la febbre! (Escono a destra. Pausa. Luce azzurra, di luna. Il lampadino davanti al Crocifisso è spento. Entra Valerio dal fondo).

Valerio                             - (con una noia mesta, senza reazioni) Qui è spento... non hanno rimesso l'olio. Liberata. Dormono tutti. (Verso la porta aperta a sinistra) Ora fammi pen­sare a tuo fratello, bisogna. (Fa un giro per la stanza) Ora per te è facile perdonare. (Un altro giro) Io cre­devo di non volerti bene... (Fermo, pensa) Dovrei dor­mire anch'io. (Esce in fondo, rientra, fa un altro giro; esce).

(Giorno chiaro. Gianna, in vestaglia, debole, entra da destra; va verso sinistra dopo essersi guardata attorno: festa a contemplare la camera vuota di là. Liberata en­tra dal fondo con un fazzoletto nero sulle spalle).

Liberata                           - Che imprudenza! Subito a letto, subito a letto: che idee sono? Fino a tre giorni fa ,con la febbre alta! (Vuol condurla via).

Gianna                             - Grazie, Liberata: posso stare in piedi: mi sento meglio. (Accennando) La camera vuota...

Liberata                           - Ah zitta, per carità. Che passione! (Chiude la porta).

Gianna                             - (staccandosi .e venendo in centro) Bisogna ormai che mi prepari per andar via.

Liberata                           - (impacciata) Nessuno vi corre dietro.

Gianna                             - (sorridendo) Oh, ho udito..., sentivo come in sogno, che il povero signor Valerio non può sop­portare la mia vista.

Liberata                           - Bisogna compatirlo.

Gianna                             - Del resto, non ho più nulla da farequi. Ero molto affezionata... alla mia bambina. L'andarmene, perciò, non mi costa più nulla... anzi m'aiuterà, perché davvero ho tanta pena... Bella com'era... e piena di grazia, e ricca: la vita era per lei, appena fuori di qui. (Infoscata) E l'avrei portata io, fuori di qui.

Liberata                           - (all'improvviso, a un pensiero che le s'affac­cia solo ora) Signorina, se voi ve ne andate, me ne andrò anch'io. Eh sì, pare (impossibile: non ci avevo pensato! Mai, mai!

Gianna                             - (sorridendo, sorpresa e un po' divertita) E perché Liberata? Avete scrupolo di restare sola col padrone?

Liberata                           - No. Cioè sì, anche per questo...

Gianna                             - Oh! Sarà difficile trovare un'altra che possa sostituirvi in 'questa casa. Voi siete qui come una pa­drona...

Liberata                           - (come se avesse in animo di fare un discorso importante) Restate voi, signorina. La padrona sa­rete voi.

Gianna                             - (ride) Ma, Liberata, che 'dite? (Entra dalla comune Valerio e resta sorpreso di trovare Gianna e urtato di trovarla a ridere).

Valerio                             - (forzandosi a essere cortese) Ben levata signorina.

Gianna                             - Grazie, signor Valerio.

Liberata                           - Io 'dico che ha fatto un'imprudenza. E' ancora troppo debole.

Gianna                             - (sorridendo) Un piccolo sforzo eccita a riprendere vigore. Credo che, se non domani, dopodo­mani, signor Valerio, potrò andar via.

Valerio                             - (scontento) Ma no, no. Che diamine! Ci lascerete quando sarete ben ristabilita, e avrete fissato dove andare. Non voglio che si dica... 'C'è già troppa gente che sparla del nostro modo di vivere: perché non ne sa, o non ne sa intendere, le ragioni. Con la morte della mia figliuola e la vostra partenza, signorina, la casa si chiude anche di più, se possibile. Il mio dovere, da tanti anni, è ormai lo scopo unico 'della mia vita: riparare Alberico da ogni mortificazione 'd'estranei. Fare che possa vivere fra noi  - (disinvolto e sicuro di sè: di­feso da una carità ardente e gelosa.

Gianna                             - (con rispetto) Lo so. Ed tè la ragione che mi commuove, signor Valerio, e imi rende piena di ammirazione e di rispetto per voi; la ragione per cui in questa casa non può restare nessun estraneo: in­tendo benissimo. Come ho detto, farò idei mio meglio per andarmene... anche domani, se possibile.

Liberata                           - Ma nemmen per sogno! Mi vergognerei io, d'una cosa simile! per carità!

Valerio                             - (brusco) State zitta, voi. (Improvvisamente commosso) Ha ragione Liberata. Dio vi conceda ogni bene, signorina Gianna, per questa vostra dignità e... tanto sentimento, per cui io sarei felice, se potessi te­nervi ancora qua. Nella mia casa mancherà qualche cosa... qualche cosa di veramente... la vostra bontà, ecco. Avete capito, non è vero?

Gianna                             - (accenna di sì, commossa, poi dice) Sì, 'si­gnore: grazie. (E va via leggera. Esce a destra).

Valerio                             - (commosso e irritato) E ora statevi zitta, 6tatevi zitta, non mi seccate!

Liberata                           - (risoluta, a sfida) Quando torna Alberico? Seriamente: devo saperlo.

Valerio                             - (sospettoso) Quando andrà via la signo­rina, perché lui saprà che Nunziata è partita con lei, per un viaggio... id'istruzione. E poi... non so, fra un po' di tempo, gli si dirà che... Ma questo è tutto di là da venire.

Liberata                           - Va bene. Perché è meglio che la signorina non vada via tanto presto. Perché bisognerà pensare qui a trovare una che mi sostituisca, (perché è facile ca­pire che io...

Valerio                             - (dopo un po') Ah già. (Annoiato) Già: avete ragione.

Liberata                           - Anch'io, eh, (ho un po' 'di dignità e sen­timento... e non capisco come non ci avevate pensato. Che v'eravate immaginato?

Valerio                             - Che dite?

Liberata                           - Eh! a vedervi così sorpreso, dico, forse v'eravate immaginato che io avrei potuto restare!

Valerio                             - Io non ho pensato nulla!

Liberata                           - Già! Col chiodo fisso d'Alberico sempre in capo, volete darmi a intendere che non ci avevate pensato?

Valerio                             - Dopo che avete fatto il male, sciagurata...

Liberata                           - Che cosa? Siete pazzo! pazzo! Ve lo po­tete levare 'dalla testa!

Valerio                             - (imponendosi) Bene bene, basta. E smet­tete codesto tono, avete capito?

Liberata                           - (impermalita e bizzosa) Sissignore. Cre­dete che sia offesa? No: dovevo dare la prova: come voi mancate. Ecco, proprio: non si tratta così! (E si passa le mani sul grembiale).

Valerio                             - (la guarda in silenzio. All'improvviso, cieco dalla collera) Ah, non si tratta così! Spudorata! sver­gognata! rovina della mia casa!

Liberata                           - (senza difendersi, sottovoce) Ah, me lo merito! Sì, signor padrone, me lo merito!

Valerio                             - (calmo e risoluto) Andate di là! Marsc! (S'accosta a destra, alla porta di Gianna) Signorina Gianna. Permettete?

Liberata                           - (con un lampo di malizia) Volevo dare proprio questo consiglio.

Valerio                             - (voltandosi) Che?

Liberata                           - (c. s. indicando Gianna) E già avevo co­minciato... in aria, ad accennare...

Valerio                             - Che cosa?

Gianna                             - (comparendo da destra) M'avete chiamala, signor Valerio ?

Valerio                             - (frastornato) Sì, signorina, sì... Accomo­datevi un po' qua, per favore. Debbo parlarvi.

Gianna                             - A me? (Liberata esce dalla comune, sod­disfatta).

Valerio                             - (voltandosi) Se n'è andata. Sì, è meglio. (La guarda, tormentandosi le mani; non sa come co­minciare) Accomodatevi nella mia poltrona. Siete an­cora debole.

Gianna                             - (sorpresa) Grazie. (Siede).

Valerio                             - (che frattanto è andato una volta su e giù: fermandosi) Figliuola mia... permettete che vi chiami così... Via, via, non è possibile! Sono pazzo.

Gianna                             - (alzandosi) Signor Valerio...

Valerio                             - (prendendole le mani) Voi potreste mai... (vuol dire: «sposare Alberico? », invece dice) andar via di qua senza sapere dove, così all'improvviso, dopo questa terribile scossa. Sedete, sedete, Gianna.

 Gianna                            - (infoscata) Io vi prego, signore, di spie­garmi questo contegno.

Valerio                             - Ma... non abbiate timore: non pensate a nulla di male. Voi siete sola al mondo, non è vero?

(Gianna                            - Sì, signore. Ma...

Valerio                             - Aspettate. Siete sola: senza gran mezzi, 30I0 con la vostra istruzione e la vostra volontà di la­vorare. Io ho una grandissima stima di voi, Gianna, si­gnorina Gianna. Ma sedete, per favore: che temete? Sono un povero padre... un povero padre...

Gianna                             - (siede) Ma io, signor Valerio, non so pro­prio che cosa potrei fare per voi... restando qui ancora qualche tempo: se ho ben capito.

Valerio                             - Sì... sì... restando qui: tanto per voi, quanto per noi.

Gianna                             - Non comprendo a quale scopo.

Valerio                             - Con lo scopo di non lasciarci soli - Albe­rico e me - uno di fronte all'altro, signorina, e... già, vedete?: tino di fronte all'altro.

Gianna                             - Ma come potrei io, scusate... Non vedo sotto quale aspetto!

Valerio                             - Accettando...

Gianna                             - Che cosa?

Valerio                             - Ecco: noi, questa famiglia, come se fosse la vostra. Io come un padre. Nunziatina se n'è andata...

Gianna                             - (alzandosi, stupita e commossa) Oh signore, non mi aspettavo una cosa simile.

Valerio                             - Non ringraziatemi, per carità, Gianna. Mi inginocchierò io davanti a voi, se siete capace d'accettare.

Gianna                             - Ma vi sembra possibile, signor Valerio? Oh Dio: no! E poi, davvero: non capisco a che scopo, per voi.

Valerio                             - Per... per Alberico, Gianna.

Gianna                             - (stupita) Ohe c'entra il signor Alberico?

Valerio                             - (titubante) Per lui (rapidamente) ma non pensate solo a lui: pensate anche quale sarebbe la vostra vita, sola, col passare degli anni... e pensate anche a me, figliuola mia, ecco (dopo un'ultima esitazione): come moglie di lui.

Gianna                             - (sbalordita) Oooh... (Guardandolo in faccia, quasi allegra) Ma signor Valerio!

Valerio                             - (supplicando) Gianna!

Gianna                             - (ride; subito tronca la risata, con pena) Perdono, non volevo offendere. (Le torna la voglia di ridere) Oh, buon Dio! (Scuote il capo, cercando di far triste e grave la voce) Vedete, signor Valerio, che non mi riesce neanche di trovare una risposta... che mi salvi ai vostri occhi. Perdono ancora. (S'avvia).

Valerio                             - (sconfitto, la lascia andare, angosciato) Perché ? (Gianna esce a destra).

Liberata                           - (entra dalla comune: festosa) Notizie di Alberico! Sta bene, sempre allegro: ma smania per tornare. E' venuto un momento don Paolo, perché ave­ vano lasciato qui tutti i vestiti da maschera e lui voleva tornare a prenderli, così don Paolo è venuto lui lascian­dolo che dormiva, affidato al fattore: e sarà lì coi vestiti anche prima che si svegli. Dice il povero don Paolo che­ tane le cose con cui cerca d'interessarlo non gli reggono per più di dieci minuti! Capito, signor padrone? (Valerio non si riscuote, ella quasi tra sé) Ora m'è venuta voglia anche a me d'andare in villa... (Subito, parando, rossa di vergogna) Mica ora, eh! Dio scampi! Dico poi: quando Alberico sarà tornato a casa. Se voi non ci avete niente in contrario, signor padrone: dico davvero: tornare a far la contadina... Ora che mi vedo questa via davanti, m'accorgo, signor padrone, come anche qui... sarebbe tutto più facile. Dico, con quel povero ragazzo, per tenerlo su. Siete voi, che complicate le cose... che nes­suno ci si raccapezza più: ve lo dico in coscienza. (Impaurita) Ma... che c'è? (Valerio è stato a sentirla senza capire, astratto in sé: come se nella mente gli si facesse strada un'idea, che s'è tradotta in un sorriso compassato e quasi aggressivo. S'è impostato sull'attenti).

Valerio                             - (con un inchino da gentiluomo) Signorina. (Fisso avanti a sé: nuovo inchino) Signorina, sollecito da voi l'onore di concedermi la vostra mano, per il mio figliuolo Al...

Liberata                           - (scombinata) Signor padrone! Signor padrone!

Valerio                             - (snebbiato, subito, con fastidio) Zitta; zitta. (Si mette a passeggiare, pensando).

Liberata                           - (lo segue con l'occhio, perplessa).

Valerio                             - (si ferma) Liberata.

Liberata                           - Signor padrone.

Valerio                             - Quella pettegola che s'è messa a ridere... e m'ha disprezzato il figlio... (acuto, fissandola) disprez­zato, capite? (Deciso) Dovete dirle tutto: tutto quello che avete confessato a me! Andate: bussate: lì da lei: subito: e ditele tutto! Fra voi donne potete dire anche di più! (La sospinge) Via, via! è necessario!

Liberata                           - (tentando di resistere) Ma, signor padrone!

Valerio                             - So io: è necessario, vi dico!

Liberata                           - No... com'è possibile? Io

Valerio                             - (aggressivo) Voi, che cosa, voi? Chiedete permesso e entrate! Permesso? (La spinge dentro senz'altro) Oh! (Si rimette a passeggiare, gridando) Si può sapere di che ride, che ci trova da ridere? Ha avuto il coraggio di ridere! Stupida! vergogna! (Siede in pol­trona afferrandosi ai bracciuoli; attende pieno d'ira ed'ansia, bollendo, volgendo qua e là a scatti la testa) Io non la farò uscire di casa. Dovessi murare il portone. La vedremo. Ride! Ha avuto il coraggio di ridere. (Chia­mando) Liberata! Liberata! (C. s.) Alberico è bello, ricco, giovane: anche troppo, per quella stupida, che fa la sdegnosa. (Gridando con voce angosciata, per farsi udire di là) Ci vuole un po' di carità, e non pensare soltanto a se stessi! Alberico è una croce: lo so. Ma caricarsi un po' della croce degli altri... chi ha questo cuore, non è tutto peso! avreste il cuore mio e ogni aiuto da me, per portarla insieme! Questa è la compagnia che ci pos­siamo dare quaggiù! (Chiamando, irritato) Liberata, Li­berata, ho detto!

Liberata                           - (entrando da destra, smarrita) Eccomi...

Valerio                             - (balzando in piedi) Che dice? che dice?

Liberata                           - Dice che siete pazzo... che se ne va subito.

Valerio                             - (stravolto, contro la porta chiusa) E io... mi rompo la testa in terra dove dovete passare! (Subito, a Liberata) Correte dal notaio e fatemelo venire qua subito: che lasci tutto: subito. Andate. (Spingendola) Qua, con le carte da bollo: avete capito? Correndo! (L'ha spinta via dalla comune, corre a supplicare davanti la porta, fervidamente, quasi sottovoce) Ascoltate questa voce, figlia. E' un'occasione... di cambiare vita: la vostra vita da estranea nelle case degli altri: qui con noi di­venterebbe tutta vostra, con un'intimità per voi: e illu­minata, Gianna! illuminata da uno scopo... dalla pietà! Alta e bella, piena di carità! Entrare come in un con­vento, ma non per pregare soltanto: per combattere e difendere una creatura: amarla e difenderla. Sarebbe sempre vita: vita vera. Avere questo scopo: questa luce. (Si getta in ginocchio) Ob, figlia! Alberico è buono e pieno di fiducia... Questo basterebbe per convincere un uomo ad amarlo e proteggerlo: ma voi, figlia pensate che è anche bello Io non so, figlia: ma pensate anche a questo. Essere amata oh!, sarà anche troppo facile per voi essere amata da lui! Forse dovrete anche difendervi un po' da questo. Ma l'impor­tante è amare lui... che voi possiate amarlo: e vedrete che potrete... potrete... Un giovane... (La scena piomba nel buio. La voce di Valerio s'è fatta insinuante e lentissima) ingenuo... ingenuo: forse a una donna è più caro d'un uomo comune. (Breve pausa. Luce. Valerio è in piedi davanti la porta, con un fascicolo di carte in mano, con voce chiara e ragionevole) Aprite, un momento, signorina. Perché ho da consegnarvi alcune carte. Bene, mettete fuori un braccio. Come va? meglio? State ripo­sata, mi raccomando. Tornate poi subito a letto. Ecco, guardate, non meravigliatevi. Sapevo che voi non avreste mai fatto parola di queste cose: e allora ci ho pen­sato io. Siamo della vita e della morte. Ecco, prendete. (Dalla porta sporge il braccio nudo di Gianna, che prende le carte e si ritira) Sono in perfetta regola, fatte dal no­taio e registrate. Ora questa casa e la villa sono vostre. Buon riposo. (Si volge soddisfatto fregandosi le mani, per andare a sedere. Di nuovo sporge il braccio nudo, che scaglia via le carte e si ritira. Valerio, irritatissimo) Male­ducata! Non dico altro che maleducata! Non credevo d'offendere, donando una casa e una villa! E' il modo: senza neanche avere esaminato le carte, senz'aver riflet­tuto. Siete dalla parte del torto: è inutile discutere! (E frattanto ha raccattato le carte. S'odono a un tratto squil­lare sonagli; uno squillo esageratissimo, che deve riem­pire, crescendo, tutta la scena: e la voce di)

Alberico                           - (di dentro, avvicinandosi, lietissima) Tral-lalà lailà Lalla! Trallallà Lalla Lalla! Il diavolo! Il dia­volo! (Irrompe sulla scena Alberico, travestito da dia­volo, rosso, carico di sonagli, la vescica in pugno, ballando e cantando. Dietro, Liberata, gridando) Il diavolo!

Liberata                           - Dove vai? dove vai? fermati! come sei tornato, così all'improvviso?

Alberico                           - (frenetico per tutta la scena, battendo la vescica, e saltando) Trallalà! Trallallà! trallallà! lallà lallà!

Valerio                             - (severo) Alberico! e don Paolo? dov'è don Paolo?

Alberico                           - Signorina Gianna: il diavolo! (E s'infila nella camera di Gianna. S'ode un grido di Gianna e subito uno di Alberico).

Liberata                           - Senza chiedere permesso!

Valerio                             - Alberico!

Alberico                           - (uscendo di spalle, più morto che vivo) Nuda, papà, nuda... (S'ode una risata forzata di Gianna).

Valerio                             - (afferrando Alberico e spingendolo alla comune) Che hai fatto! cammina via! come t'è venuto in testa! via! andiamo!

Liberata                           - (insieme) Che cose, che cose, Signore Iddio, che cose!

Valerio                             - E il signor don Paolo che ti lascia in­dossare...

Liberata                           - (c. s.) Sènza chiedere permesso!

Valerio                             - ... questi abiti da pagliaccio! (Sono tutti usciti dalla comune. Dopo una pausa, la voce di)

Gianna                             - (di dentro da destra, serena, cantarella, indu­giando) Un mazzolin di fiori, che vien dalla mon­tagna.» un mazzolin di fiori...

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Sala da pranzo con la tavola in centro. Alla parete di fondo un'ampia finestra, che dà su un viale alberato, ed è riparata da una tenda. Tre porte: una nella parete di destra, che immette nella camera di Valerio, e due nella parete di sinistra. La prima, verso il proscenio, dà nell'ingresso ; la seconda, più alta, su due scalini d'invito, porta a un salottino di passaggio, dov'è il pianoforte, e comunica con le camere di Gianna e di Alberico.

E' un pomeriggio d'estate, sul tardi, due o tre mesi dopo l'azione del primo atto. Succederà il tramonto, la sera e l’ultima scena dell’atto sarà di notte.

Al levar della tela è in scena Liberata, con le maniche rimboccate, intenta a raschiare con carta vetrata il piano della tavola. A terra un pentolino di tinta col pennello e una bottiglia di spirito.

Scoppia da sinistra in fondo il canto alto e teso del « Kirie eleyson »: Alberico. Gianna accompagna al pia­noforte e un po' con la voce.-S'ode, quasi subito, e con­fusa col canto, da destra, la voce di)

Valerio                             - (di dentro) Avanti. (Gridando) Avanti! chi è che volete? qua non c'è bisogno di nulla!

Liberata                           - (che ha udito Valerio, chiamando) Signora Gianna! signora Gianna!

Valerio                             - (di dentro, e. s.) Vorrei sapere chi v'ha mandati qua! (Il pianoforte di là tace, ma Alberico continua a cantare imperterrito fino alla fine del Kirie). Che bel divertimento, eh? aprire tutte le porte, mettere tutto a soqquadro, e farla da padroni!

Liberata                           - Per carità, signora Gianna: il padrone coi muratori!

Gianna                             - (entrando dalla seconda a sinistra) Ma li avevo avvertiti! (Risale rapida, uscendo da destra) Un po' di pazienza, papà...

Valerio                             - (entrando subito dalla porta aperta, in agi­tazione) Un'aggressione! Via, senza tante spiegazioni! in camera mia non deve penetrare nessuno! Li hai man­dati via?

Gianna                             - (rientrando da destra) Sì, subito: avevano sbagliato.

Valerio                             - Benissimo!

 Gianna                            - Ma, veramente, papà, c'erano quei mattoni da rimettere, e non sarebbe stato male approfittare dell'occasione. Monsignor vescovo facilmente girerà tutte la casa, e...

Valerio                             - ...e? e? Sentiamo!

Gianna                             - Ma non saprei, papà...

Valerio                             - (a bassa voce, esasperato) Basta con le pre­potenze in nome del vescovo! basta con le prepotenze in nome del vescovo! Oih! e oih!

Gianna                             - Io prepotenze, papà?

Valerio                             - Sì: tu: baraonda, come se non ti paresse vero! rivoluzione! pulizie che non si sa più dove met­tere i piedi: muratori, tappezzieri, visite in casa! rivo­luzione! (Tornando in camera urta col piede nel barat­tolo che si rovescia, per miracolo non cade: furioso)'' Hai visto? (E sparisce a destra richiudendo).

Liberata                           - (accorrendo) Povera me, che guaio!

Valerio                             - (riaffaccia la testa a destra, calmo) Gianna.

Gianna                             - Papà.

Valerio                             - Scusami. (Sparisce).

Gianna                             - (resta un po', vaga) Oh Dio, ora rido. (Afa sorride e scuote il capo) Ma che stavate facendo, Liberata ?

Liberata                           - (che ha ripulito in terra con uno straccio) Eh! Ridavo una mano di tinta alla tavola. Se tra due giorni viene Monsignore...

Gianna                             - Non so come faremo a provvedere a tutto. (A un tratto, seria e decisa) Ditemi un po'. Alberico... vi ha cercata più? (Prevenendo) No: parlate franca, Li­berata, senza offendervi. E' per sapere, nient'altro.

Liberata                           - (che stava per risentirsi: seria anche lei, in confidenza) Ma no, signora Gianna. Anzi... mi scansa, e sta sempre in sospetto... come se io potessi... pen­sarci io!

Gianna                             - (con un sorriso) Pazienza. Il sospetto gli passerà.

Liberata                           - E' il mio castigo... farmi ricordare. Siete stata voi a trattenermi: io tornavo a zappare, più contenta.

Gianna                             - Trovarla, Liberata, un'altra che possa stare qui... con la vostra pazienza, e... l'onestà vera che voi avete nel cuore (pensierosa) ...così diversa da quella che si giudica dai fatti.

La voce di Alberico         - (di dentro, cantilenando e poi farà armoniosi fischiolini) Gian-na! Gian-nagian-na! Gian-nagian-na!

Gianna                             - (subito) Eccomi! (A Liberata) Pazienza. Vi ci rimetterete domani, perché stasera si dovrebbe cenare un po' prima. Così poi esco in carrozza con lui. (Risale verso il salottino).

Liberata                           - E va bene. Bussano alla porta?

Gianna                             - (fermandosi) Guardate se è il garzone del sarto, con la redingotte per papà.

Liberata                           - Ah, giusto. (Esce in fretta dalla prima a sinistra).

Valerio                             - (di dentro, a destra) Gianna!

Alberico                           - (di dentro, e. s.) Gian-na! Gian-nagian-na!

Gianna                             - (avviata a sinistra, fermandosi) Vengo su­bito, papà. Un momento, Alberico. (S'avvia a destra).

Valerio                             - (di dentro, subito, stizzito) Ma no! non senti che Alberico ti chiama da tre ore?

Gianna                             - Stavo andando, papà!

Liberata                           - (d. a, c. s) Signora Gianna! 14

 Gianna                            - (avviata a sinistra, fermandosi) Che c'è?

Liberata                           - (d. d. e. s.) Venite qui! il ragazzo non vuole entrare: ha paura. E chi gliela prova al padrone la redingotte?

Alberico                           - (d. d c. s.) Gian-nagian-na!

Gianna                             - (scappa in fondo da Alberico) Eccomi! eccomi! (Esce).

Valerio                             - (d. d e. s.) Gianna: sei andata?

Liberata                           - (d. a, e. s.) Signora Gianna, che devo fare?

Alberico                           - (d. d.) Trallallà lallà lallà! trallallà! lallà lallà!

Liberata                           - (entra dalla prima a sinistra, stizzita, con la redingotte tenuta alta dal colletto, a braccio teso, come un appiccato) Signora Gianna!

Alberico                           - (d. d) No, no: i pescatori, i pescatori con la cesta, marito e moglie, come Rocco e Nina!

Liberata                           - Ho bell'e capito! (A destra) Permesso, signor padrone?

Valerio                             - No! (Affacciando la testa) La redingotte, eh? Provatevela voi! Un vescovo! quant'onore! Io non gliel’ho chiesto, quest'onore.

Liberata                           - E perché avete rifatto di marmo il pavi­mento della chiesa?

Valerio                             - Perché ... così! e basta.

Liberata                           - Bene, e Monsignore viene in casa per mostrarvi il gradimento... e per pregare insieme con voi per... per...

Valerio                             - Uh! uh! non Io sapete che l'inferno è pieno anche di vescovi? (Sparisce).

Liberata                           - Andiamo bene! (D. d. le voci di Gianna e di Alberico, che vociano con lieta serietà i richiami dei pescatori: «Eccolo, vivo! » «Vivo vivo vivo! ». De­pone la redingotte su una seggiola e apparecchia la tavola per la cena).

Alberico                           - (d. d.) Siamo Rocco e Nina! Attenta, Li­berata: siamo Rocco e Nina! (Entra, con un fazzoletto al collo e uno in testa per segno che è pescatore. Reggfi da un capo, serio e lieto, una cesta che finge di pesce. Gianna, con un altro fazzoletto in testa, regge l'altro capo della cesta) « Eccolo, vivo! »

Gianna                             - « Vivo vivo vivo »!

Alberico                           - (interrompendo subito il giuoco) No, no, non abbiamo fatto bene. Lei non s'è affacciata alla porta!

Liberata                           - (affaccendata, senza dargli importanza) Ho da fare, figlio benedetto. Ho altro per la testa.

Alberico                           - (scontento) Ma però...

Liberata                           - (a Gianna) E potreste trovargli altri giuo­chi da fare voi soli, che avete tempo da perdere.

Glanna                             - (calma, sbrigativa, togliendosi il fazzoletto) Questo non è tempo perso, Liberata.

Alberico                           - (supplichevole) Gianna, basta coi discorsi che... che... (Fa gesti delle mani per aria, incapace d'espri­mersi).

Gianna                             - (soccorrendolo subito, ridendo) Che non hanno né capo né coda!

Alberico                           - (contento a Liberata) Ecco, benissimo: hai visto? (Sicuro) Tu non hai fatto bene. Le donne s'affac­ciano, quando passano i pescatori!

Gianna                             - Be', ormai lasciamo stare (giuochi. Ora dobbiamo fare la ginnastica, non è vero?

Alberico                           - Sì, sì, se no non mi posso rivestire.

Gianna                             - Va bene: allora ti prepari, che andiamo eupavi- Poi dobbiamo annacquare i fiori in terrazza. Io riporto la cesta in cucina. Dammi la cesta.

Alberico                           - (fa per porgergliela e poi si trattiene, poi gliela lascia malvolentieri) Senti, Gianna: noi non fac­ciamo più niente...

Gianna                             - (comprendendo) Perché non ci travestiamo? Ma ora tu hai fatto il pescatore.

Alberico                           - (insorgendo subito, con un tremito nella voce di dolore e di stizza) No: ma se era per giuoco, scusa! Allora tu non capisci! Io, con don Paolo: ci         - (preparavamo tanto tempo: coi vestiti veri! (Si strappa il fazzoletto dalla testa) Tieni, tieni. (Con disprezzo) Sai ch'è questo! (Si toglie quello dal collo) Va bene per scherzo, questo!

Gianna                             - (serissima, e decisa) Aspetta. Io dico che è meglio come facciamo noi.

Alberico                           - (intento) Perché ?

Gianna,                            - (c. s.) Perché il divertimento è fare noi. Tu mica ti diverti a essere vestito da pescatore, ti diverti a fare il pescatore. No? E per fare il pescatore, questi (i fazzoletti) bastano: e noi poi facciamo tutto. Mi pare più bello.

Alberico                           - (incerto) Il divertimento è... facendo noi.

Gianna                             - Mi pare. Ma se tu vuoi i vestiti...

Alberico                           - No, aspetta. Facendo noi, è meglio.

Gianna                             - Allora siamo 'd'accordo. Adesso lasciami an­dare: torno subito. (Prende la cesta ed esce dalla prima a sinistra).

Alberico                           - (contento) Sì. E' meglio. (A Liberata) Hai visto?

Liberata                           - Eh, la conti per nulla la fortuna d'una moglie che pensa a tutto?

Alberico                           - (infoscato) Tu non devi parlare   - (di Gianna. (Fa per avviarsi) Io me ne vado.

Liberata                           - (senza far caso, stornando il discorso) Uscite in carrozza, stasera?

Alberico                           - Sì. (Contento) Quante cose che faccia­mo, eh?

Liberata                           - Mi fate perfino girare la testa!

Alberico                           - Hai visto che in terrazza abbiamo anche le azalee?

Liberata                           - No, ma voglio andar su a vederle. Lei m'ha detto che i tuoi fiori sono anche più belli idei suoi.

Alberico                           - (trionfante) Sì, sì: e io lo so il perché . Questo lei non lo può    - (capire. (Serio, convinto) Perché , Liberata, bisogna sapere che con i fiori non ci vuole tanta sveltezza. Ecco, che è! (Soddisfatto) Addio, me ne vado. (Esce in seconda a sinistra).

Liberata                           - (scotendo il capo) Figlio benedetto!

Valerio                             - (affacciando la testa dalla porta, dietro la quale ascoltava, angosciato) Avete sentito? avete sentito?

Liberata                           - (impaurita) Signor padrone! (Valerio en­tra. Liberata sospira, finisce d'apparecchiare; esce in prima a sinistra. Luce di tramonto, sempre più rossa fino al punto che Valerio andrà a parlare con l'avvocato Pomilio; durante la scena successiva tra Gianna e Valerio si farà sera).

Valerio                             - (supplichevole ma quasi rabbioso) Vorrei domandare a Domineddio, se questa vita è per noi pro­va... e va bene! : ma la vita di mio figlio, (dico! che prova può essere! Che serve, Domineddio: che gli serve? (Pausa. D'un tratto) Vorrei saperlo!

Gianna                             - (entrata di prima a sinistra, s'è fermata a udire, subito fa mostra di star rassettando, sulla tavola appa­recchiata, bicchieri e posate).

Valerio                             - (si volta e, sospettoso d'essere stato udito) Che... che stai facendo? (Poi, per fastidio della rispo­sta) Vedo, vedo. (Ora mostra un desiderio violento di chiedere qualche cosa e la guarda stropicciandosi le mani) Senti. Ho bisogno di sapere... una cosa. Ti... ti vuole bene, è vero?

Gianna                             - (stupita, con un piccolo riso) Ma papà! non ve me accorgete?

Valerio                             - (irritato) Non ti volevo chiedere questo. (Impacciato) Ma tu m'intendi...

Gianna                             - (con vergogna, infoscata) Papà. Vi potete fidare di me, credo.

Valerio                             - Sì, certo. Ma tu capisci: essere nel buio-Certo che mi fido di te. Ma io non lo vedo quasi più, neanche durante il giorno. Non posso più regolarlo... non m'aspettavo questo.

Gianna                             - Potete sorvegliare e ridire su ogni cosa. Io non faccio nulla per sottrarvelo. Non vedete com'è? quello che fa? Lo tengo sempre occupato o divagato. (S'allontana).

Valerio                             - (ingrufito) Uh poi poi. (Siede accanto la tavola battendosi un ginocchio col pugno).

Gianna                             - Non v'accorgete papà, che fate come una mosca contro un vetro? Ostinato a battere il capo sempre contro lo stesso punto? Senza trovare una via?

Valerio                             - (subito) Che via, Gianna! che via! che dici?

Gianna                             - (subito) Ma pensare anche alle altre cose, a tempo e a luogo! Soltanto allora uno si può trovare nel giusto; perché possiederà un po' d'equilibrio nella mente!

Valerio                             - (subito) L'equilibrio! L'equilibrio vuol dire; restare lontani da tutto, lo sai? Finti ciechi e finti sordi! Io sto con l'orecchio appoggiato al cuore di mio figlio, come dovresti stare anche tu.

Gianna                             - (subito) No papà: io voglio restare in piedi, pronta a tutto, a sostenere, a provvedere, a regolare; con l'occhio a tutto. Solo così so di poter giovare. E non mi voglio poi dimenticare di une stessa. Ci sono anche i doveri verso se stessi, credo!

Valerio                             - (non risponde, poi, basso, volgendo il capo) Ma sono gli ultimi, figlia. Gli ultimi, per chi ha da fare una cosa sola.

Gianna                             - (subito dolente) Ma no, papà, che c'è da fare cento cose, cento cose diverse nella giornata: c'è da portare avanti cento cose, nella vita!

Liberata                           - (entrando di prima a sinistra) C'è l'avvo­cato Pomilio.

Valerio                             - (scombussolato) Eh? Pomilio? Non lo co­nosco.

Liberata                           - Ma come non Io conoscete! E' insieme col notaio.

Valerio                             - lo non l'ho mandato a chiamare.

Gianna                             - E sono venuti lo stesso, per prendere gli accordi per il ricevimento di Monsignore. Presto, papà: ch'è quasi ora di cena. Due parole...

Valerio                             - Ecco: ci sei tu: se l'intendano con te.

Gianna                             - (sorridendo) E' cosa che non tocca a me. (Allegra) Non dovrei pensare a una cosa sola, io? (Valerio la fulmina, poi si decide, rischiara la voce, si pre­para un bellissimo sorriso e s'avvia dicendo forte, cor­dialmente):

Valerio                             - Eh, benvenuti, evviva! Carissimi amici: qual buon vento, da queste parti? (Esce di prime a sinistra).

Liberata                           - Ci vuole una pazienza!

Gianna                             - Ah... me ne fossi andata subito, appena morta Nunziata...

Liberata                           - A potere! Non vi ricordate! Io mi ricordo che andavo dormendo in piedi.

Gianna                             - Alberico aspetta sempre di vederla tornare... Ne chiede, ogni tanto. E non so perché papà... Mah. Pensavo alla felicità di quella poverina, quando sarebbe stata libera da questa casa. E ci sono caduta io... Ero trop­po stanca; e lui, papà, con quella forza... orrenda, orrenda, di convinzione, e poi il modo di scontare queste pre­potenze... un modo così pietoso, avvilendosi, che non sapevo più come ripararmi.

Liberata                           - Eccolo che torna.

Gianna                             - Andate, andate. Non fatevi trovare con la redingotte in imano.

Liberata                           - Giusto! (Esce a destra).

Valerio                             - (entra di prima a sinistra, soddisfattissimo, fre­gandosi le mani) Brave persone. Brave persone. Ab­biamo concertato subito ogni cosa.

Gianna                             - Naturale: basta parlare, con la gente.

Valerio                             - (smontato) Sì, ogni cosa. (Rabbuiato) Bi­sognerà dare... una specie... una specie idi ricevimento. (Irritato) Ma già, veramente, non capisco: se ne poteva fare a meno! (Gianna si mette a ridere) Di che ridi?

Gianna                             - Penso Che io ho già trent'anni, papà... pa­recchi più d'Alberico... e anche di voi!

Valerio                             - Più di me?

Gianna                             - Eh, credo di sì. Perché in questa casa il tempo, voi l'avete fermato. Io invece Che il mio l'ho vis­suto tutto...

Valerio                             - Beata te, figliuola.

Gianna                             - Oh! beata... (Pensa) Le esperienze che m'è toccato idi fare... «ola... ingannata... Avrebbero sciupato ogni altra 'donna! Potervi dire l'inferno di certi miei giorni, papà. Forse mi vorreste più bene. (Valerio affer­ra una seggiola e ostentatamente va a sedere presso la finestra, volgendole le spalle. Gianna sente più acerba la solitudine, con l’ansia d'uscirne confessando cose impos­sibili) Tante volte ho la tentazione... C'è questo bisogno di trovare nella vita qualcuno a cui parlare di se stessi... (riprendendosi) e per .scuotervi, e farvi vedere che si soffre di tante altre cose... irrimediabili... e tuttavia bi­sogna vivere. (Altro tono, leggero) Mah! Qua siamo in salvo. Vi giuro, papà, che qui mi pare, con tutta la no­stra pena... mi pare un porto 'di pace.

Valerio                             - (che ha rimuginato: rivolgendosi, sospettoso) Che hai voluto dire?

Gianna                             - Nulla, nulla…

Valerio                             - (voltandosi di più) L'inferno? cose che sciupano ogni donna? Tu sei stata nell'inferno? Che si­gnifica?

Gianna                             - Ma nulla, papà. Non ci badate. (E' quasi sera).

Valerio                             - Va bene. (China il capo, poi, la fissa osti­natamente)     - i Tu mi fai sospettare... cose indegne. (S'al­za) E sono vere!

Gianna                             - (seria, a voce bassa) Se non m'avete doman­dato niente... « prima »: dovevate supporre...

Valerio                             - Dovevo supporre?

Gianna                             - E' possibile che quando mi sforzavate in tutti i modi perché accettassi, voi pensaste di poter deci­dere a questo passo...

Valerio                             - Mi sembra idi sognare!

Gianna                             - Ma papà! una donna che avesse potuto avere ancora tutta la sua vita... se io avessi potuto avere una vita «per me », papà: «per me »: non sarei qui! E che? davvero per mettersi a posto finanziariamente, allora? Vendersi ?

Valerio                             - (dopo averla interrotto esclamando: «Come? Che dici? Tu? ») Oh Dio! Oh, che cosa... E il mio figliuolo...

Gianna                             - (subito) Ma papà: solo con Alberico ho po­tuto onestamente...

Valerio                             - Onestamente? Onestamente? (Le va incon­tro minaccioso) Ma tu, dunque, tu hai avuto davvero... sei stata...

Gianna                             - Papà! Uno ch'è sparito, dopo essere stato tutto, per me: e non volle essere niente: un inganno! Ora sono vostra. Una abituata a soffrire.

Valerio                             - Ma io non sospettavo... io... (Entrano: di seconda a sinistra Alberico in cerca di Gianna, eccitato; e di prima Liberata con un involto di carta velina. Va­lerio subito se ne va in camera sua).

Alberico                           - Dove sei stata tutto questo tempo?

Gianna                             - Qui con papà. Ero tornata credendo di trovarti.

Liberata                           - Ecco per voi, signora Gianna: l'ha lasciato la ragazza della modista.

Gianna                             - (prendendo l'involto, senza nessun piacere) Ah, il cappellino nuovo.

Liberata                           - (girando la chiavetta della luce) Su, pro­vatelo, provatelo: fategli vedere come vi sta! (Uscendo di seconda a sinistra) Porto in tavola. (Via).

Alberico                           - (scontroso) E' inutile: tanto le starà ma­lissimo.

Gianna                             - (lo guarda e si mette a ridere, riprendendosi, lietamente) Vuoi vedere invece come mi sta? (Calza il cappellino) Ecco: apri gli occhi: fammi da specchio.

Alberico                           - (un po' irritato) E' bello: ma levatelo, Gianna.

Gianna                             - (lo fissa, poi, con fermezza) Tu mi devi dire perché ti irrita ogni cosa nuova che mi metto, ogni abito,, ogni cappellino.

Liberata                           - (rientrando con la zuppiera) Pronto in tavola.

Alberico                           - (all'improvviso eccitato, gridando) Perché non lo so: hai capito?

Gianna                             - (subito, togliendosi il cappellino) Hai ra­gione. (Ha buttato il cappellino su una seggiola, è stata un momento raccolta, con una. mano sugli occhi: andan­dogli incontro, con volto sincero) Ma non me ne accorgo, di far male. Mi scusi?

Alberico                           - (quasi piangendo) No: scusami tu, Gianna.

Gianna                             - (ponendogli una mano sul capo) Sta buono. sta buono: non farti vedere cosi, che ora viene papà. (A Liberata) Avvertitelo.

Alberico                           - (per non restar solo con Gianna) No: aspetta qui. Ci vado io. (Esce a destra).

Liberata                           - Che è successo?

Gianna                             - Non ha voluto restare di nuovo solo con me... Non lo so... Il caldo, forse, l'innervosisce di più. Ma ora ch'è andato giù il sole, si respira. Faccio bene a portarlo fuori.

Liberata                           - Allora vado a dire a Giovanni che attacchi la pariglia. (S'accosta un momento alla finestra) Però, si sta levando un ventaccio.

Gianna                             - (riprendendosi) Non fa nulla. (Sorride, poi) Andate pure, Liberata. Qui bado io. (Si dà da fare alla tavola, ministrando nelle scodelle).

Liberata                           - Va bene. (Esce di prima a sinistra. Quasi subito entrano da destra Valerio e Alberico, ridendo).

Valerio                             - (a Gianna, allegro) Ascolta, che Alberico ha fatto un sogno.

Alberico                           - Lei lo sa già. (Siede, spiega il tovagliuolo).

Valerio                             - (sedendo) Ah bene: tu glie l'hai raccontato?

Gianna                             - (sedendo) Ma naturalmente papà. Anch'io gli racconto i miei.

Valerio                             - Ah sì? Vi raccontate i sogni? Non lo sapevo. (Mangiando) Bravi, bravi. (Ad Alberico) E ti piacciono i sogni di Gianna?

Alberico                           - (con entusiasmo, incapace d'esprimersi) Sono... bellissimi...

Gianna                             - (rapida, guardando Valerio) I miei sogni, sono sempre di noi due qua o là: sul piroscafo. (Ad Al­berico) Ricordi? (A Valerio) Al teatro, o in un viale d'una grande città, di sera: noi due soli: con le vetrine illuminate: e noi a braccetto... Io cammino cammino: e guardo... le cose del mondo: con lui.

Alberico                           - Sì, è vero è vero,papà! Bellissimi! (S'alza, commosso) Oh, Gianna! Come sarebbe bello!

Valerio                             - (subito, facendolo sedere) Ma no, ma no: sta buono: a sedere...

Alberico                           - (mangia in fretta tre cucchiaiate, quindi an­sante) Lei sogna che io le dico tante cose, papà... e lei le dice: e sono proprio vere! Proprio vere, sai? Che gliele dico io! E poi ridiamo forte davanti al mare: e il vento... come dicevi tu, Gianna?

Gianna                             - Ci libera la testa dai pensieri.

Valerio                             - (smarrito) Ah capisco. Bravi. (Torna Libe­rata con l'altro servito, riprende dalla tavola la zuppa e la scodella di Gianna che ha finito).

Gianna                             - (sorridendo, per rimetterlo in carreggiata) Ma mangiale: se no si fredda la pietanza.

Valerio                             - Ah già. (Mangia affrettandosi, e così Albe­rico. Gianna frattanto, per evitare il silenzio).

Gianna                             - Vorrei che Alberico si facesse un vestito chiaro, da mattina.

Valerio                             - Sì. (Ad Alberico) Vuoi fartelo fare, tu?

Alberico                           - Sì, chiaro.

Gianna                             - Allora dirò a Giovanni che faccia venire il sarto. E se anche voi, papà...

Valerio                             - (scontroso, subito) Io no, io no, figliuola. Non ho bisogno di nulla. Ecco, Liberata. (Liberata gli toglie la scodella, porta la pietanza a Gianna che farà le parti, e quindi toglierà la scodella a Alberico, e uscirà di seconda a sinistra coi piatti sporchi e la zuppiera).

Alberico                           - E allora stavamo tutti in classe e il pro­fessore mi domandò una cosa. Ma non ani pareva Trom­bina mi pareva un altro.

Gianna                             - Trombini, ho saputo, era d'una cattiveria infernale.

Valerio                             - (subito, acceso) Un mascalzone.

 Alberico                          - E invece era lui. E ogni tanto diceva cose per fare ridere e tutti ridevano.

Valerio                             - E che cosa diceva?

Alberico                           - Non me ne ricordo, non ci badavo. Il fatto sta che, le prime volte, ridevo anch'io, ma poi mi sono stancato e non ho riso più. Allora lui s'è « arrabbiato » ma senza dirlo, ma io l'ho visto: e mi ha domandato che cosa aveva spiegato.

Valerio                             - (con angoscia) E tu, figliuolo mio?

Alberico                           - Già: io, come sei curioso tu pure, papà! Lui si mise a strillare: fuori della classe! E io mi sono svegliato.

Valerio                             - (stringendo il coltello) Mascalzone! Fuori della classe. Così faceva, questo mascalzone. (A Gianna) E quell'altro farabutto del dottore che mi consigliava di mandarlo a scuola! Lo capii da me, quello ch'era il meglio.

Gianna                             - Povero Bubi... (Ad Alberico) Ma perché non ridevi anche tu? Costa così poco.

Valerio                             - (aggressivo) Ma non hai sentito che dap­prima rideva e poi s'era stancato? S'era stancato: dunque mi pare che gli costava. Mi pare.

Gianna                             - (arrossisce) Prego, papà.

Valerio                             - Non ti si può dir niente?

Alberico                           - (con pena) Perché ...

Gianna                             - Hai finito di mangiare?

Alberico                           - (irresoluto) Io... io... (Disposto a dire di sì) Se tu dici che cosa dobbiamo fare...

Valerio                             - (strozzato dalla collera) Non ha finito, non ha finito, nossignora: e ha voglia di mangiare. Mangia pure, Alberico, con tutto il tempo che ti ci vuole, figlio mio. (Gianna ostile non parla e non mangia. Valerio la guarda ogni tanto di sfuggita, s'agita, si contiene, e mangia rabbiosamente. Alberico frattanto umiliato s'ingozza. Pausa).

Alberico                           - Ora non mi va più.

Gianna                             - (subito in piedi) Allora va a vestirti, che usciamo. Vogliamo fare una bella passeggiata in car­rozza? Io sono pronta.

Alberico                           - Ah. (S'alza irresoluto) Allora vado a ve­stirmi io.

Gianna                             - Sì.

Alberico                           - Ma tu... senza cappellino?

Gianna                             - L'ho qui, e fo presto a mettermelo. Va': ti raggiungo subito.

Alberico                           - (risale alla seconda a sinistra, irresoluto) Senti una cosa, Gianna.

Gianna                             - (raggiungendolo) Dimmi.

Alberico                           - Ma papà, dimmi... ce l'ha con te?

Gianna                             - No, Bubi: perché ?

Alberico                           - (cerca di rispondere, non trova, poi aprendo le braccia) Tu rispondi sempre così... Io non lo so perché: io ho domandato per sapere, e tu non mi vuoi far sapere mai niente. (Le appoggia la testa sulla spalla e piange. Gianna non sa che fare. Valerio ode un sin­ghiozzo di Alberico, si volge, vede, balza in piedi, impaz­zendo dalla collera coi pugni stretti. Gianna lo inchioda col suo sguardo. Poi alza una mano accarezzando il capo di Alberico, e glielo solleva; e con voce lieta e fervida).

Gianna                             - Su, su, presto: una sveltezza: e andiamo a prendere aria, aria! (Lo sospinge alla porta. Alberico esce, Valerio, subito, curvo, risale a destra e fa per uscire anche lui).

Gianna                             - (decisa) Papà. (Valerio, come se non avesse udito, apre la porta) Papà.

Valerio                             - (mezzo fuori e mezzo dentro) Eh?

Gianna                             - Davanti a lui... Mi avete voluta mortificare davanti a lui. Tre volte. Vi domando perché .

Valerio                             - (c. s., la guarda; poi abbassa il capo) Ero impaziente. Scusami.

Gianna                             - Non domandavo scuse, papà. Chiedevo la ragione. Se vi sembra ben fatto.

Valerio                             - (all'improvviso, urlando) E io t'ho chiesto scusa! (Calmo e duro) E ora basta: so tutto quello che vuoi dire, e dunque è inutile.

Gianna                             - Dobbiamo parlarne, papà: con calma: noi due, che dobbiamo essere insieme, per lui...

Valerio                             - (con spregio violento) Insieme: tu con me? Io non ho nessun bisogno di te: d'essere insieme.

Gianna                             - Ma io sì, papà. Che posso avere da lui? Per me, nulla. Forza e pietà, per pensare a lui. Avessi almeno questo anche da voi, papà: lasciamo stare la pietà: un po' di forza, da impiegare per lui..Ora vi dico, papà: che il mio peso siete voi.

Valerio                             - Io?

Gianna                             - Come vi siete ridotto, incapace di tutto... che so? Anche d'attendere agli affari della campagna: e mi negate che ci pensi io, che pure sarebbe una distra­zione: un modo d'aver qualche cosa da fare insieme: sentirmi vicina a qualcuno, per una cosa della vita... come tutti gli altri...

Valerio                             - (rientrando e chiudendo la porta) Ma chi può aver testa per questo? Se tu l'hai: ecco la colpa che ti faccio!

Gianna                             - Ah, perché non si deve?

Valerio                             - Non si deve!

Gianna                             - E non si deve neanche sentire più un'ami­cizia per nessuno, nessuna relazione più con gli altri... Neanche tra noi due, papà? come se non ci conoscessimo!

Valerio                             - (alzando una spalla) Di saluto, sì. Proprio. E poi, tu sei la moglie di Alberico, e hai da pensare a lui. Io il padre, e penso a lui.

Gianna                             - (disperandosi) E sia: tutto per lui, tutto per lui! E io chiusa qui, senza altro mondo: ci posso stare... posso: ma noi due almeno, papà! Avete ragione, perché ho paura, ora: paura d'uscire di casa... che la vita non mi porti via al primo passo... un soffio, oh Dio: un soffio di vita mi perderebbe, nello stato in cui voi mi avete messa. (Breve pausa. Valerio è andato a sedere di nuovo presso la finestra).

Valerio                             - (rannicchiato, cupo) Chi sa se non sarebbe un bene.

Gianna                             - (meravigliata, dopo una pausa) Un bene... per voi? (Insorgendo) Ah, ma per me no. Che credete? (Trepida, quasi per piangere) Io voglio bene a questa mia vita, ormai. Se grido, è per restarci!

Valerio                             - (con un ghigno) Eh già. Ti sei assicurata una vita che non avresti mai potuto sognare.

Gianna                             - (sorpresa, con orrore e odio) Che dite? Come osate? Io non volevo! Voi lo sapete bene!

Valerio                             - (con un sorriso) Avresti accettato se fossimo stati poveri?

Gianna                             - (c. s.) Questa è pazzia. Io sono riuscita, per le vostre preghiere, e vincendomi, sono riuscita ad accet­tare le condizioni che trovavo: queste! Come avreste potuto, voi, osare di propormele diverse? Con la povertà per soprammercato? In nome di che cosa? In nome di chi? Ah, che vergogna... che vergogna...

Valerio                             - (con le mani alla testa bisbiglia) Zitta, basta. (S'alza, intronato) Hai ragione, hai ragione, hai ragione. (Gianna, come affranta, va a seder lei, alla tavola, e resta, col capo appoggiato alla palma. A un tratto si terge gli occhi e sospira. Valerio è fermo, discosto, a testa bassa. Gianna, dolcemente, quasi per sé sola).

Gianna                             - L'unico mio svago è quando porto Alberico in carrozza. Dovreste esservi accorto... anche se non volete darmi un po' compagnia... che io ho trovato il modo... ho trovato il modo di potergli voler bene davvero. E questo credevo che meritasse un premio... (Pausa) Ora vado, che sarà già pronto.

Valerio                             - (c. s. sorpreso di non saper concludere il di­scorso increscioso: a voce bassa) Però tu, bada... tu non sei una buona moglie: lui è nelle tue mani, e tu... non sei onesta con lui. (Gianna si volge meravigliata e incuriosita) Non ti vorrei offendere, ma è così. Tu ti sottrai, vedi, Gianna? Ti sottrai a lui di continuo: non vuoi restare « davvero » con lui: tanto che vorresti invece metterti a pari con me. E lui... Un altro potrebbe difen­dersi, non so, aiutarsi in qualche modo, provvedersi altrove di quanto tu gli togli o non gli dai: ma Alberico no... l'alacrità con cui gli fai fare tante cose... è disin­voltura! Disinvoltura, per girare attorno al vero dovere tuo verso di lui, e non assumertelo fino in fondo. E mio figlio... è giù - dicono - più in basso degli altri: così è giudicato... dagli altri... e anche tu, sua moglie, non sai fare a meno di giudicarlo, insieme con gli altri... e ci vorresti anche me! Sì, magari per sentirne pietà... noi: come fanno gli estranei di buon cuore. Ecco. E il figlio mio non è vivo, lui com'è, lui: non è vivo nel cuore di nessuno. (Ripete, sempre immobile, straziato) Non è vivo nel cuore di nessuno.

Gianna                             - (s'è alzata, congiunge le mani come implorando, commossa) No, no, papà, non è vero... Non sono una estranea, io... Ma poi come posso fare? Non posso mica distruggermi come creatura pensante, se Dio m'ha dato... m’ha dato...

Valerio                             - (più basso, fremendo) Che cosa t'ha dato? Una mente? E io, allora? Non capisci che questo appunto, è dovere? E poi non ti dico certo di « distruggerti come creatura pensante »! Con lui, rispetto a lui, sì... ma poi per te stessa...

Gianna                             - (infoscata, convulsa, appressandoglisi) E' facile dirlo al vostro posto, papà! Ma dovrei esser la moglie, io, «la moglie» di Alberico: di lui così, e io come lui, ma per di più « moglie »! Riesca o non riesca a semirmici: ma starci, dovrei starci. Un gradino più giù, perché lui comunque è l'uomo! E voi restate il padre! Sempre invece più alto! Non domandatemi di fare di più, papà: di 'dare ancora di più... lasciate che mi possa difendere da quest'ultima soggezione... Per quel po' di bene che gli faccio è necessario che lui mi rispetti! Non lo capite? Non lo capite, papà? (Valerio, da che ella ha gridato « ... ma starci, dovrei starci! », s'è dato a passeggiare sopra e sotto, gesticolando, come se fuggisse).

Valerio                             - (ansimando) Non lo so. Non lo so. Io sono il padre, che posso sapere! Vattene. (S'arresta e, stropic­ciandosi i panni sul petto con tutt'e due le mani) Non c'è scampo. Lo sapevo. Ma tu non pensi al giorno in cui io gli mancherò. Finora ha me, accanto: anzi, sotto i suoi piedi, che può fare di me quello che vuole. E poi? Va bene, valitene. Ti volevo dir questo. Non era       - (mica così triste, sai? Così... paziente e rassegnato, come una vittima, prima. Non piangeva sulla spalla di nessuno. Perché avrebbe dovuto piangere? Ricco e libero e protetto da me. E tu, per un po' d'intelligenza che hai, uh! l'intelli­genza che cos'è questa schifosa intelligenza? Sì! T'è servita per mettergli i piedi sul collo... e per riparare al tuo passato! Perdonami. Perché non te ne vai? Perché vuoi sentire ciò che posso dire io, padre? Vattene, dun­que! Vattene! vattene!

Gianna                             - Sì, papà. State zitto.

Alberico                           - (entra di seconda a sinistra, vestito per uscir») Eccomi. T'avevo chiamata...

Gianna                             - (prendendo il cappellino) Sono pronta. (A Valerio) Vado... con lui, a prendere un respiro fuori: non è vero, Bubi? (Calza il cappellino).

Alberico                           - (irritato) Sempre che mi chiami Bubi, tu! Quando mi vuoi trattare... senza darmi retta! Io lo so!

Valerio                             - (piantandosi) Hai sentito, Gianna?

Gianna                             - (correggendosi, pronta) Alberico! Ma allora, caro, non prendere il mio braccio.

Alberico                           - (che sporgeva la mano a prenderle il braccio, fermandosi) Perché ?

Gianna                             - Offrimi il tuo, caro.

Alberico                           - Ah, sì. (Le offre il braccio, che Gianna prende subito, sorridendo a lui e quindi a Valerio che appoggia una mano alla tavola e si cala a sedere. Entra di prima a sinistra Liberata).

Liberata                           - Ah, bene, sono pronti. Venivo a dire che la carrozza è al portone.

Gianna e Alberico           - Arrivederci, papà.

Valerio                             - Arrivederci, figliuoli; buon divertimento. (Gianna e Alberico escono di prima a sinistra. Liberata si mette a sparecchiare, radunando in un vassoio l piatti, ecc. Pausa).

Liberata                           - Ma... Io gliel'ho detto, che s'è levato un gran ventaccio. Vedrete che torneranno presto.

Valerio                             - (s'alza pensieroso. Dopo una pausa) Che sbaglio, che sbaglio ho fatto, Liberata...

Liberata                           - Voi, signor padrone?

Valerio                             - (apre la porta a destra) Signora serva: do­vevate esser voi, la moglie di mio figlio. (Chiaro, dalla soglia) Una senza superfluo, con quello solo che basta. Che a noi, Dio, ci rovina, questo superfluo!

Liberata                           - E' matto! Che va dicendo? (Lavorando e borbottando tra se) La pietanza, tutta qui. Sprecare la grazia di Dio. (Prende il vassoio e esce).

Valerio                             - (resta un pezzo incerto e smanioso, aprendo e chiudendo le mani; poi, ribollendo e concitandosi, dirà e infine griderà) Domineddio! Domineddio! Domined­dio! Domineddio'

Liberata                           - (impaurita, nel momento che rientra) E la volete smettere, d'impaurire la gente? Oh!

Valerio                             - (subito, spiritato e feroce) Ah: smetto? Io smetto? E perché non dite a Dio di smettere lui? Il vostro Dio? Se è vero ch'è tanto buono: resta fermo a guardare? I gobbi, i ciechi, gli scemi... dice Gli ci vogliono per l'armonia del Creato! Ma almeno un po' per uno! no? Tutta la vita? Se uno è buono, come dite voi, si diverte un po', e poi smette! Ma a voi non vi cuoce! Anzi vi scandalizzate! Tutti, scandalizzati: che non la smetto io! (Insultando) Estranei! Per questo! Estranei tutti: a cominciare da voi, e da quella signora... (Contro gli spettatori) e tutti! E il padre sono io solo! Estranei! (Alzando le pugna e la faccia, irridente) A chi ti rivolgi? La carità... che sale sulla Croce... (Sbarrando gli occhi in faccia a Liberata allibita) Cristo: il vostro Cristo: un estraneo anche lui, se lo volete sapere! Di buon cuore... un estraneo di buon cuore! Avete capito. (Violentissimo) Sì! Sì: Dio: un estraneo!

Liberata                           - (frattanto, pregando coi piatti in mano) Perdono per lui, Signore, pietà di lui... compatitelo, Si­gnore... Santa Vergine misericordiosa, Madre Addolo­rata, intercedete per noi peccatori... (S'avvia per uscire a sinistra).

Valerio                             - E io non smetto: nemmeno dopo morto! (Esce, sbatte la porta e la serra. Liberata spegne la luce e esce a sinistra. La scena è rischiarata dalla finestra, dolcemente. Ma ora lampeggia. La pendola batte le dieci. Folate di vento. Pausa. Gianna e Alberico entrano allegri dalla prima porta a sinistra, in punta di piedi, per non svegliare chi dorme: vanno alla tavola; Alberico ridendo, piano, con infantile godimento).

Alberico                           - I lampi, i lampi. Restiamo così, al buio.

Gianna                             - (balenante) Zitti, zitti, piano piano, senza fare alcun rumore... Sediamo, qui, accanto accanto, noi due! (Siedono mentre svolgono un pacchetto di biscotti e una tavoletta di cioccolata acquistata fuori) Ah, ci dob­biamo rifare, ho un appetito! E tu? Tu di più, eh? No: io di più.

Alberico                           - (c. s.) Sì, sì, Gianna. Questa cenetta, che bella pensata!

Gianna                             - (subito) Noi dobbiamo fare sempre tante pensate, ogni giorno, noi due soli!

Alberico                           - Sì, Gianna... sì: ma tu devi essere sempre così!

Gianna                             - Mio bel signore! (In estro, sfolgorante di bellezza e d'amore, parlando solo per sé, ma in modo che Alberico possa credere che parli a lui, e resti ine­briato del tono e del riso con cui ella si confessa e si immola) E' il tuo diritto, non lo sai? E poi è vero, è vero: l'onestà vera è non lasciare a mezzo l'opera... Un'opera degna! Bisogna innamorarsi di ciò che si fa... e fare fino in fondo! Alberico dev'essere felice! felice! se no, che vale Gianna? Se lui piange sulla spalla della sua mamma... di quella sua mamma alacre... disinvol­tura!... Oh Dio: vuol dire che bisogna mandarla via, questa mamma che non serve! Era bello: ma era bello solo per Gianna! e ha ragione il vecchio papà che vede nero! Tutte cose inutili! Vere, però: sai? Io ero vera. Alberico! Ma è più vero che tu devi essere felice! Tu, caro: tu, che sei tanto caro... Alberico mio!

Alberico                           - (trasognato, felice) Oh Dio, Gianna... Come fai... a essere... così bella...

Gianna                             - Perché ora t'amo! E, sciocca, mi negavo... mi negavo questo dono! Ora ecco che c'è da fare! Quelle cose vere e sante che sentivo per te: via! niente: inutili! inutili: e disoneste, dice lui! E' una liberazione, Albe­rico: una grande liberazione! Via, via, mandiamole via! Soffiamo, soffiamo! (Gli soffia in faccia) Il vento! ci libera la testa dai pensieri!

Alberico                           - Il tuo fiato è dolce... dolce dolce.

Gianna                             - E il tuo di uomo brutto, brutto, bruttissimo.

Alberico                           - E' vero che mi vuoi bene, lo sento. Gianna, io t'amo!

Gianna                             - La tua donna, Alberico: la tua donna... (Con violenza, abbracciandolo, impossessandosi di lui) Albe­rico « mio »! « mio »!

Alberico                           - (ebbro) Gianna: mi pare come un tuo sogno! (Afferrandola) Gianna!

Gianna                             - (abbandonandosi) Amore mio... amore mio...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Camera matrimoniale. In fondo, entro l'alcova, il letto. A destra, la porta. Alla parete di sinistra, una finestra, chiusa; e più avanti verso il proscenio, un cantuccio fatto comodo da un divanetto e una poltrona, con un tavolinetto e un lume a fusto con paralume.

Al levar della tela la scena è immersa nel buio. Risuona dal letto un urlo, come di persona ridestata di colpo a una vista d'orrore.

Alberico                           - (subito anche lui con un grido) Gianna! (Dopo una brevissima sospensione, con un soffio di voce) Che è stato? (Gianna balza via dal letto, la si intravede come un'ombra attraverso la scena, va a cadere sul di­vano).

Gianna                             - (subito, con voce breve) No. No. Oh Dio, no.

Alberico                           - (contemporaneamente) Aspetta, ora ac­cendo.

Gianna                             - (imperiosa) Bada: no! (Si alza di scatto, riattraversa in fretta la scena e dalla seggiola a pie' del letto toglie la vestaglia e la indossa).

Alberico                           - (frattanto, con angoscia) Perché ? Io ac­cendo! (Gianna corre a rannicchiarsi di nuovo sul divano e si copre tutta con la vestaglia, tenendola chiusa con le mani, così la svela la luce riaccesa da Alberico).

Gianna                             - Eccolo... eccolo lì. Bubi... (Quasi ridendo) E' Bubi! (Con odio) Torna a letto, torna a letto.

Alberico                           - (s'è alzato, in pigiama, aperto sul torace nudo; accigliato) Ma dici davvero?

Gianna                             - (tappandosi le orecchie) Non posso sentirti parlare!

Alberico                           - (andandole incontro, ostile) Gianna!

Gianna                             - Non t'accostare! (Vedendolo fermo, esausta) Oh Dio che miseria... T'ho pregato per carità di lasciarmi tranquilla. Per carità Alberico. Non pensare a me, fa conto che stia a dormire nella mia camera come le altre notti... e va' a riposare, tu, figliuolo mio. (Siede).

Alberico                           - (formulando lentamente le parole nell'alte­razione) No, sai. «Figliuolo mio». Io non t'ho fatto nulla: perché sei cambiata cosi? Tu eri felice: eravamo felici!

 Gianna                            - (aggressiva) Basta! Che ne ,sai tu? (A io) La mia carità... solo per fargli una carità, solo per questo.. (Piange scopertamente, con le mani nei capelli, protesta verso Alberico) Io, io, con tanta festa nel cuore, io, per te!

Alberico                           - (risentito) Che dici, ora?

Gianna                             - Solo per creare, creare io e donarti tutto ciò che nel sogno tuo più bello avresti potuto desiderare! Pazza. Pazza! Perché a questo avevi diritto amebe tu. diceva tuo padre: maledetto! ah, maledetto! (Valerio, non visto, entra dal fondo con un libro in mano, e resta presso la soglia incapace di muoversi).

Alberico                           - Non gridare! Non gridare così.

Gianna                             - (andandogli contro) Perché tu non sai! men­tre ti davo questa gioia, io pura, io senza difesa... (In­veendo, con un odio forsennato) tu che non eri niente, m'hai soverchiata.

Alberico                           - (atterrito, gridando anche lui) Non voglio! bada! non voglio più... che tu mi...

Gianna                             - (c. s.) ...il mio corpo! T'ho amato col mio sangue! «io»! te: questo che sei: «io»! Lasciami, sai? e bada tu, ora! guardati!

Valerio                             - Gianna! Alberico!

Gianna                             - (subito, fiera, coprendosi) Come vi per­mettete?

Valerio                             - (venendo avanti) Ho chiamato, ho pic­chiato, v'ho sentito gridare.

Alberico                           - (carico dell'eccitazione di Gianna: in rivolta)    - ' Aspettate! aspettate! Io devo dirle: io no: tu, sei cam­biata! Perché allora m'hai amato tanto? Hai finto, al­lora! Dimmelo, dimmelo che hai finto!

Gianna                             - (stupita che in fondo egli abbia compreso, a modo suo, il folle giuoco di lei) Oh! come intendi tu, finto?

Alberico                           - (con più forza) Finto! finto, tu: con me!

Valerio                             - (tentando di trattenerlo) Taci, Alberico: ascolta me...

Alberico                           - (c. s.) No: guardala, se non è vero! E’ vero come dico io! Lei, lei ha ingannato me: e ora grida « lasciami »! (Svincolandosi dal padre e andando su Gianna) Ma io non ti voglio più lasciare, hai capito?

Valerio                             - Alberico! (Fa per riprenderlo).

Alberico                           - Tu sei mia!

Gianna                             - (subito a Valerio) Lasciatelo, voi! (Subito ad Alberico, pazzescamente umile, quasi potesse sperare nel miracolo d'aver suscitato in lui lo spirito) Sì, sì, Al­berico... Parla! Ah Dio, forse è vero! Parla: fammi sentire che hai diritto: che io sono nulla e tu tutto. E sono tua. (Congiunge le mani) Sii tu: sii tu. (Alberico resta sbalordito, incerto, guardando ora lei ora il padre. Valerio, oppresso, le mani alle tempie).

Valerio                             - Ma no, figliuola!

Gianna                             - Non badare a lui, Alberico. Di'. Che farai se io, ora, non voglio più di nuovo? Tu mi castighi no? Parla!

Alberico                           - Io ti voglio!

Valerio                             - Perdonami, figlia!

Gianna                             - (con disperazione) Ora? ora è tardi! (a Al­berico) Tu mi vuoi? E come? senza giudicarmi?

Valerio                             - (con iroso stupore) Ma Gianna: come puoi credere».?

Alberico                           - Io ti voglio!

Gianna                             - Ma giudicami! Allora vale. Giudicami tu. Fai! (Quasi tra se) Mi puoi anche uccidere...

Valerio                             - (sbalordito) Che dici?

Gianna                             - Perché è vero, Alberico: io t'ho ingannato! Ingannato più di quanto immagini. Lui lo sa!

Valerio                             - (respingendola con violenza) 'No! Taci, Gianna! Bada! Bada che io...

Gianna                             - Sappilo! prima che con te sono stata con un altro: io, con un altro uomo: così come con te questa notte, così tutta sua! Luì lo sa! E tu giudicami. Che farai?

Alberico                           - (respingendo il padre che ancora grida: «.bada!») Zitto! (Nello stupore degli altri due, at­territo) Gianna... No, Gianna mia. (Smarrito, al padre, guardandosi le mani artigliate) Che vuol dire?... che Vuol dire... che io?...

Valerio                             - (subito, con sicurezza) Non è vero, figlio, te lo giuro: non è vero. S'accusa per farti male. Perdonala: non merita altro.

Alberico                           - (s'abbatte, rinunzia a capire e a lottare) lo... io... (Con un'ultima reazione, gridando e piangendo) Lasciatemi! lasciatemi stare tutti, « voi »! (E come un cieco va a buttarsi bocconi sul letto, ripetendo con spre­gio e paura) «Voi», sì... «voi»... (Contro Valerio «tutti»: anche tu! «io »... non voglio più niente... non voglio più niente... lasciatemi stare... (Pausa. A poco a poco si quieta. Gianna e Valerio sono rimasti immobili, a guardarlo, con diversa pena. Finalmente Valerio guarda Gianna, e si gonfia d'ira: ma riesce a frenare la voce)

Valerio                             - Vattene. (Pausa. Gianna pare che non l'ab­bia udito: fissa a pensare. Svanisce, così, il primo senti­mento di Valerio, che ora quasi la prega) Te ne andrai, Gianna... Ora stesso, mentre dorme... che quando si sve­glia non ti trovi più. (Con vergogna) Io provvedere» a te, non temere...

Gianna                             - (sorridendo, con un soffio di voce) No, papà.

Valerio                             - Come, no? Certo! E tu mi perdonerai, figlia; io...

Gianna                             - (c. s.) «Onestamente»...

Valerio                             - (con sofferenza) Basta! Ormai, Gianna...

Gianna                             - Se fossi stata meno pura: non sareste riu­scito a ingannarmi così.

Valerio                             - (scusandosi) Oh, io... io t'avevo gridato senza speranza il mio tormento... e basta! Non avrei potuto costringerti! E allora?... dove?...

Gianna                             - L'inganno? Nel domandare a me amore e soggezione... Ah, papà! io non posso rendermelo... pa­drone: e seguitare ad averne carità. Nessuno, può. Ca­rità d'uno... che ti prende... per se, non si può avere. Amore, si può avere... Ma io, se devo arrivare ad amarlo... il mio amore è troppo, per lui! (Piangendo) Non dove­vate domandarmi d'amarlo... frustarmi... la mia carità, ch'era tanta, s'è persuasa. Volete che sia cauta, la carità?

Valerio                             - (ribollendo) No. Io non ho nessuna colpa. Sei tu, che hai in te di più... di più di quanto serve, e non puoi: tu! Ma un'altra donna... potrebbe! E perciò tu te ne devi andare. So io. Io so come rimediare.

Gianna                             - (con un sorriso di pena, e un soffio di voce) Vergogna. Vergogna.

Valerio                             - (c. s.) Io non mi vergogno di niente, per mio figlio. Io so che mio figlio, sarà come voi volete, ma è un uomo, è giovane... E se tu non puoi, me lo riprendo io, e lo salvo... da te, dalla tua carità. Tu bestemmi il più santo dei sentimenti. La carità non riesce a questo, cara. Guarda come l'hai ridotto con la tua carità!

Gianna                             - (ripresa dall'orrore e dallo sdegno della prova subita) Non mi negate, non mi negate la mia carità nel momento che più serve a -voi e a lui! Proprio questa carità mia l'ha sorretto e conquistato: quando era sul suo trono, la mia carità. Perché è questo, è questo... lo avevo bisogno, di quel trono! idi parlare alta: alta anche sopra di voi, che potete amarlo, voi: voi sì: non io! Io non dovevo!

Valerio                             - E dunque te ne andrai! Lo confessi tu stessa: che non servi! e dunque basta! e dunque vattene!

Gianna                             - (di colpo, calmissima) No, papà. Anzi, io sola, servo. E non me ne andrò.

Valerio                             - Che cosa?

Gianna                             - (va decisa da Alberico, che s'è sollevato sul letto, angosciato) Tu hai creduto che Gianna sia stata una cattiva donna?

Valerio                             - (pieno di collera, risalendo) Lascialo!

Alberico                           - (addogliato) Non gridare, papà...

Valerio                             - (subito, umile) Scusami... (Subito, irato a Gianna) Il nostro stupido ragionare... mentre lui ha male.

Alberico                           - Ora si dovrebbero... dire tante cose... per essere come prima... (sfiduciato) ma non sei capace, papà: e io...

Gianna                             - Rispondi a me, Alberico.

Alberico                           - (guardandola) Oh, Gianna... Tu... tu lo sai.

Valerio                             - (subito, feroce) Ecco. T'ha risposto.

Gianna                             - (colpita, resta a considerarsi; quindi, rassicu­rata) Sì, caro: io lo so. Sta tranquillo.

Alberico                           - Non te ne andare, Gianna.

Gianna                             - Non me ne andrò, sta tranquillo. (Staccan­dosi, verso il proscenio) E vi convincerò, papà...

Valerio                             - (seguendola) i      - Ah, non te ne andrai?

Gianna                             - No. E vi. convincerò che, se non siete ca­pace di unirvi a me, nella mia opera...

Valerio                             - Unirmi a te?

Gianna                             - ... staccandovi da lui, sì, e da tutti i pen­sieri vergognosi che fate per lui... vergognosi: per ridurlo sempre più schiavo...

Valerio                             - Io, più schiavo?

Gianna                             - ...sì, dell'amore: l'amore nostro, che non è per lui! Io vi convincerò che dovete andarvene voi: e lasciarlo a me sola: andarvene voi, sparire.

Valerio                             - (quasi ridendo) Ah, io! sparire! E ti la­scio la mia creatura? a te?

Gianna                             - Dopo questa prova, papà! voi seguitate ad amare come « vostro » chi non è vostro, chi non è no­stro. Alberico è rimasto...

Valerio                             - Ah, non è più nemmeno mio, mio figlio? non è più mio! Sei venuta tu e te Io sei preso, eh?

Gianna                             - Perché non mi volete ascoltare? Io v'ho sentito gridare a Dio lume.: da cieco che brancica que­sta creatura « sua » e non riesce a vederne il volto, il perché: com'è? chi è? perché nata così? che vale? che sara? La «vostra» creatura! Come dite «vostra»? Al­berico è rimasto di Dio... molto più che noi tutti. Lui sì, è veramente più di Dio che di noi. E non gli serve niente di ciò che è « vero » per noi quaggiù, ne la don­na, ne il padre... Ne donna ne padre, papà.

Valerio                             - Tu .sei pazza... Mi sbalordisci: sei pazza. Con te non ci parlo. Vattene via, t'ho detto, vattene, vattene, vattene.

Gianna                             - L'amore cieco, l'ha ridotto a terra: non la mia carità, come m'avete gridato voi: l'amore nostro: che non è per lui, perché lui non è nostro! E voi volete farlo nostro anche trovandogli una femmina che lo leghi alla nostra - (miseria più buia! senza pensare che è senza redenzione, per lui! Non potrebbe poi riscattarsene, in nessun modo! Mai! E perché ? Per tenervelo stretto an­cora sul petto, e soffocarlo nel calore del nostro sangue? Ah, papà! A quanti, a quanti si dà quaggiù amore, e chiedono carità! Lasciatemi dir tutto! Alberico... biso­gna vederlo, chi è! Oh, io non ve lo disprezzo! E' come chiunque di noi quand'è ridotto più povero e misero e senz'aiuto e senza forze... e ha bisogno... bisogno che in lui gli altri non cerchino più nulla fuorché Dio... Dio che c'è sempre... e vuole da noi, per questa Sua crea­tura... carità! nient'altro che carità!

Valerio                             - Ma Gianna; chi .sarei più, io, per lui? lui è il figlio mio... «mio»! No? E tu... se sei la moglie..,

Gianna                             - Per me è rinunzia: necessità di rinunzia, anche all'amore: perché ...

Valerio                             - (furibondo) Quella che tu non hai io com­prendo! quella che non si sottrae, che non rifiuta la prova sulla propria carne! E se è vero che ti ripugna tanto: è quella! Ma tu vai cercando sacrifici più nobili, tutti spirituali: il trono: come se tu dovessi salvare il genere umano! come se non fossi una donna, una mo­glie! (Additando il letto) Là, è la tua prova! e basta! è tutto quello che puoi fare tu! quello che serve! pa­gando di persona! Se no, per te, tutto quello che ope­ravi col tuo nobile spirito, tutto si ridurrebbe a di­stribuirci soldini d'elemosina, con la soddisfazione di mostrare il tuo buon cuore: da estranea! E io d'estranei di buon cuore, non ne ho bisogno, per mio figlio. Io ti ho presa per lui...

Gianna                             - Comprata? dite pure! dite tutto! comprata!

Valerio                             - Comprata, .sì: comprata: per lui! e se tu non stai ai patti...

Gianna                             - Come una di quelle... mi scacciate?

Valerio                             - Sì, che ti scaccio: hai capito?

Gianna                             - (gridando) E Dio non c'è, per me? Dio? Io non mi devo salvare? Io non ho un'anima, non ho più un'anima per voi?

Valerio                             - (con furore, andandole contro) Per me: no! e vattene! (La urta) Fuori! Ah: non te ne vuoi an­dare? E io ci metto in mezzo gli avvocati! Pomilio! Pomilio! (La urta di nuovo, spingendola fuori di scena, al proscenio) Esci fuori: maledetta! (Subito cala la tela isolando sul proscenio Gianna, che resta immobile, e s'ac­cende la luce in sala; mentre dietro il sipario s'odono ancora le grida di Valerio) Mi fa la predica! la predica, lei! la carità! e mi convincerà a staccarmi da mio figlio! che se l'è appropriato per negargli tutto! Ora vedremo! L’avvocato Pomilio! l'avvocato Pomilio! (L'avvocato Pomilio, che ascoltava la recita seduto in prima fila, s'alza. e monta sul palcoscenico col cappello in mano, toglien­dosi i guanti, e, un po' impacciato dal trovare Gianna in vestaglia).

Pomilio                            - (sorridendo) Bene, signora mia... compren­do che mi riceviate così. Vengo del resto più come amico di famiglia che come avvocato, nella fiducia che potremo risolvere ogni cosa amichevolmente. Il nostro stimatissimo amico, vostro suocero, è pronto a farvi ponti d'oro purché voi non vi opponiate all'annullamento del matrimonio, che... sbrigata la procedura da me... e con le validissime ragioni che possiamo sostenere... o Dio, non sono mai cose troppo semplici: ma potremmo superare ogni complica­zione, e ottenerlo anche in tempo relativamente breve e senza alcun vostro fastidio. Non avreste che da dire... ciò che vi proporrei io stesso: e che è del resto la pura e sem­plice verità: cioè un -vizio di consenso da parte vostra, in quanto voi decideste molto pressata da vostro suocero e in condizioni d'abbattimento fisiche e morali... c'è il dottore pronto a testimoniare su questo punto - e poi... e poi la restrizione mentale, che voi... scusate se entro in questi particolari... che voi avevate fatto: di non con­sumare il matrimonio. Mi seguite? Io credo sia nel vo­stro interesse considerare... molte cose, molte cose. Con­siderate la figura in cui vi presentate: 'd'una semplice governante... stimatissima, senza dubbio, e che accudiva in modo soddisfacente al proprio... non so come dire: mestiere... servizio... [(Gianna dice una parola senza voce) Come?

Gianna                             - (c. s.) Missione... vocazione...

Pomilio                            - Oh, no, signora mia: diremo « professione », se -volete.

Gianna                             - Dite pure: servizio.

Pomilio                            - (sorridendo) Ma non è questione di ciò. Non perdiamoci in questioni di contorno. Dicevamo, la vostra figura, di fronte all'opinione pubblica, d'aver ac­condisceso a sposare un povero deficiente... d'una fami­glia ricca... accettando, prima del matrimonio, « prima » del matrimonio signora mia, la donazione del palazzo in città e d'una grande villa con fattoria...

Gianna                             - -Io? è falso! io non ho accettato niente! è falso!

Pomilio                            - La donazione è lì: registrata... Non vi siete data nessuna cura di disfare legalmente, come dovevate...

Gianna                             - Io... subito... farò quel che c'è da fare le­galmente per restituire a mio suocero le sue proprietà: che non ho mai pensato di possedere.

Pomilio                            - Ora non avrebbe più senso, signora mia.

Gianna                             - Basta! Alberico vuole me! me sola! lo grida! e io non lo posso lasciare... io che l'ho tratto in salvo con me, non lo posso lasciare a chi per uno stupido amore di sangue, credendo di dargli un bene necessa­rio, lo graverebbe di doni mostruosi, vergognosi: «no­stri »! Io sono capace di toglierlo da tutta quest'afa, liberarlo da questi pesi e portarmelo via, e lavorare per mantenerlo: poveri tutt'e due, e liberi da ogni amore terreno e lieti in .Dio, innocenti... da vivere ogni giorno senza pensare più a nulla! arrivati! quando la vita non porta più nulla! la vita illuminata e conclusa: e c'è il mondo, bello, tutto per noi, se non abbiamo più biso­gno di prenderne nulla: da passarci in mezzo guardando e godendo... e ogni giorno sarà come un anno! e Dio ci faccia morire presto... che già Gli siamo davanti! E se voi non capite, troverò chi m'intende: proprio nel tri­bunale davanti a cui mi volete portare. Vi prego d'u­scire, avvocato. ,Non vi ascolto più. Uscite.

Pomilio                            - (con un sorriso) Ma io intendo benissimo, signora. I santi... La vita illuminata e conclusa dei santi... giunti dinanzi al limite… ,e in attesa d'esser chiamati a varcarlo... Ah no. (Grave) Sono un credente, anch'io. E vi dico, e quel tribunale vi ripeterà, che non ci si crea santi da noi stessi, per nostra deliberazione. E' or­goglio.. Ed è (arbitrio sul destino d'un'altra creatura, che voi sapete di poter soggiogare col vostro ascendente. Una sposa, vi sarà detto, ha precisi doveri di servire... di servire ad .altro che a farsi santa dinanzi al marito. Un marito, poi, che dovrebbe esser santo con voi, anche lui: e non ha questo dovere, né sarebbe in grado... (Gianna è rimasta come folgorata; Pomilio la scruta, e aggiunge mlalsicuro) Se voi siete sincera... come credo...

Gianna                             - (smarrita) E allora... allora voi dite... (Re­sta in ansia, combattuta, a scrutarsi. Pausa).

Pomilio                            - (s'inchina) . Riflettete pure: è più che giu­sto. (Sbuca dal mezzo del sipario Valerio).

Valerio                             - Ebbene? Vieni, vieni, Pomilio...

Pomilio                            - (salutando Gianna) Arrivederci, signora.

Valerio                             - (infastidito del saluto) Ma vieni, ti dico: ti riaccompagno io.

Pomilio                            - Vi accorderete. (Prevenendo le proteste di Valerio) E ti dico una cosa: preferisco io stesso che vi rompiate un po' la testa voi a cercare la via d'uscita. Tua nuora non è mossa da bassi intenti. (Sorridendo) Ha solo bisogno di scendere un gradino... e se tu l'aiuti, credo che lo scenderà. Addio: so la strada. (Esce di quinta).

(S'apre il sipario e si spenge la luce in sala: riappare la scena di poc'anzi, con Alberico a letto, sotto le co­perte: ma ora la luce è accesa nel lume a fusto, e il libro di Valerio è aperto sul tavolinetto. Entrando in iscena, Valerio s'accosta per riprender posto alla poltrona presso il proscenio; Gianna risale invece di due passi verso il letto).

Valerio,                            - Ebbene? Dobbiamo parlare qua: non posso lasciarlo. Vieni qua: è inutile che tu lo guardi. E' stato niente, per fortuna: una febbretta d'un giorno. (Siede in poltrona e invita col gesto Gianna a sedere sul diva­netto) Bada che io non ho nessuna volontà d'aiutarti... e d'aiutarti, poi, a trovare un accordo.

Gianna                             - (a testa bassa, in piedi) Io... a un'altra non lo lascio.

Valerio                             - Non lo lasci?

Gianna                             - (con spasimo)      - Ora... lo amo. Sono sua moglie.

Valerio                             - Ah. E te ne vergogni?

Gianna                             - (tremante) Ho... paura... Ho in me una forza tale d'amore d'amore! una tale fame... che ne potrei fare quello che voglio... quello che voglio...

Valerio                             - (comprendendo) Gianna! No: bada!

 Gianna                            - (con ira) C'è questo, per una donna: un gradino più giù: c'è questo! Se io m'abbasso, c'è questo! Io lo amo, e ne posso fare quello che voglio... E voi non volete darmi nessun aiuto? Ora dovete, per lui!

Valerio                             - Che cosa, devo? Se tu t'approfitti di quel ragazzo, sei vile: la più vile delle donne!

Gianna                             - (con odio e con amore insieme) Ora le con­dizioni te le pongo io! Ti costringerò: perché ho bisogno di te... che devi sostenermi: darmi accanto a te una vita: per la mia anima: che e'è, per te; c'è!

Valerio                             - (combattuto, iroso) Tu orni minacci. Che vuoi?

Gianna                             - (solo con amore) Voglio sentirmi respon­sabile... della mia onestà con Alberico: responsabile verso idi te: verso il tuo affetto vivo... che mi sostiene. Messa così... nella vita... (donna che deve amare... l'uomo che mi sostiene, che mi dà una norma volendomi bene, non puoi essere che tu. Non posso restar sola! non posso più: unita a lui, cieca con lui, e niente altro! Se non posso essere come credevo giusto, accanto a lui, se devo essere una donna, la più povera delle donne, un uomo ac­canto: il mio appoggio... sei tu. E devi scendere anche tu, con me: essere in questa povera vita noi due insieme, come tutti gli altri, che almeno vanno insieme... e lui, te­nerlo, noi due, in mezzo a noi... come due grandi che portano un bambino per mano: e guardarci... sopra la sua testa, volendoci bene, papà... E far passare sopra di lui tante cose... tra noi: i tuoi pensieri a me, i miei... si: tutto: anche i miei ricordi, a te: quando c'è il biso­gno di trovare uno a cui dire tutto, per non morirne dentro, soffocati dalla solitudine. (Pausa) E allora sarà possibile... Tornerà la vita... nella casa... e nascerà un altro figlio... (Pausa) Un altro figlio... (Pausa).

Valerio                             - (incerto) Come, un altro Un figlio, tu dici. (Con speranza) Forse sarebbe la sua salvezza! No? Gianna: vedersi un figlio, suo! no?

Gianna                             - (sorridendo con pena) Sì, papà... certo, ne sarebbe orgoglioso... e gli farebbe allegria. Per giocare « anche » coi figli. Ma la grazia... la grazia sarebbe per me: un figlio mio... mio! E dicevo per te, «un altro»... Un altro, per consolarti di questo...

Valerio                             - (smarrito) Non voglio che tu pensi così. (Pausa. Gianna, felice, sa ormai che « accadrà » così e ne ringrazia Dio in una muta effusione di cuore. Valerio, meditando, arriva da altra parte alla stessa foce, e dice, senza tono) Accadrà... così... Gianna, tu sei brava... e me­ritavi.... un'altra vita.

Gianna                             - Sì... Ma non penso più a nulla, papà.

Valerio                             - (gli sfugge) Uno che aveva trovato una donna come te...

Gianna                             - (stupita, lo guarda).

Valerio                             - Io non ho mai ingannato una donna. E, da giovane, vedevo... Mio padre aveva due case. Il capitano d'un nostro bastimento, su cui navigai tre mesi, sape­vamo tutt'e due d'essere... fratelli, così. Ma io non glielo volli dire... mai, nemmeno l'ultimo giorno. Mi rispettava come un suo padrone! Ora è morto: in mare.

Gianna                             - (dopo una pausa) Io gli avevo creduto, perché era povero come me..

Valerio                             - (scontroso) No, no... di chi parli?

Gianna                             - Gli combinarono un matrimonio vantaggioso... e io so che nemmeno lux è stato felice. (Valerio le dà uno schiaffo. Gianna scoppia a piangere commossa terribilmente).

Valerio                             - (con ira) Zitta!

Gianna                             - (sottovoce) Te ne ho potuto parlare... te ne ho potuto par-lare... tutto devi sapere di me... mi devi voler bene, come io te ne vo­glio... e consolarci di tutto.

Valerio                             - Sciocca! (Poi) Non piangere: se no risvegli il ragazzo.

Gianna                             - (va cauta a guardare Al­berico) Dorme...

Valerio                             - Dorme...

Gianna                             - (accenna di sì: e tornando indietro) Ora puoi lasciarlo...

Valerio                             - (dopo una pausa) Tor­nare a vivere...

Gianna                             - Accettare una sventura, papà: accettarla, e andare avanti.

Valerio                             - (con le mani sulla faccia) Figlia... per me sarebbe accettar»: ,. il primo dono... il primo dono che mi rida la sorte, dopo tante sven­ture. Una figlia accanto.

Gianna                             - Quello che io ti chie­devo, papà.

Valerio                             - (dopo una pausa, rimet­tendosi a parlare di sé senza accor­gersene) Sì.,, anche mia madre di­ceva che non avrei dovuto... per que­sta disgrazia del ragazzo... negarmi la vita... ogni conforto. (Fissando Gianna intensamente) Mia madre... (D'un tratto, meravigliato) Rivedo il mondo... prima di chiudere gli oc­chi. Ah, forse ora davvero potrei la­sciartelo e partire.

Gianna                             - Siamo stati soccorsi tutt'è due, papà.

Valerio                             - Credo. (Intenso) Cre­do. (Breve pausa) Ti lascio riposare. (S'alza).

Gianna                             - E' già mattina...

Valerio                             - (guarda alla finestra, da cui trapela il giorno) E' vero: c'è luce.

Gianna                             - E tra poco ricomincia la giornata.

Valerio                             - Felice giorno, figliuola.

Gianna                             - Papà... (Valerio s'avvia per uscire).

Alberico                           - (nel sonno) Gianna.

Gianna                             - (subito) Eccomi. (Ra­pida s'appressa) M'hai chiamata? (Al­berico dorme. Gianna lo guarda a lungo, ferma. Poi, volgendosi a Va­lerio) Nel sonno...

FINE