Un grappolo di sole

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UN GRAPPOLO DI SOLE

Commedia in tre atti

di Lorraine Hansberry

Versione italiana di ETTORE CAPRIOLO

PERSONAGGI

RUTH

TRAVIS

WALTER LEE

BENEATHA

LENA (LA MADRE)

ASAGAI

GEORGE MURCHISON

LINDNER

BOBO

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Venerdì mattina.

Il soggiorno della famiglia Younger potrebbe esse­re una stanza confortevole e ordinata, ma in realtà non lo è per infinite e inevitabili ragioni. L'arreda­mento è tipicamente anodino e la sua più evidente caratteristica è quella di aver servito a troppa gente per troppi anni ed è, perciò, piuttosto logoro. Eppure una volta - probabilmente la famiglia non se ne ri­corda nemmeno, tranne forse la madre - i mobili di questa stanza erano stati scelti con cura e con amo­re, persino con fiducia, e disposti con gusto e con or­goglio. Questo accadeva tanto tempo fa. Ma adesso la fodera del divano, che allora piaceva tanto, è quasi totalmente nascosta da trine all'uncinetto; qua e là un tavolo e una seggiola sono stati spostati per na­scondere i punti più logori del tappeto, ma il tappe­to si è vendicato mostrando il suo logorio con depri­mente uniformità. Tutto è logoro in questa stanza. Ogni cosa è stata lustrata, lavata, spazzolata infi­nite volte. Non si può chiedere più niente a questo soggiorno. Da questo locale è stata anche ricavata sul fondo una piccola cucina, dove la famiglia prepara i pasti da consumare poi nel soggiorno vero e proprio, che è quindi considerato anche sala da pranzo. Vi è un'unica finestra, nell'area adibita a cucina, da cui pro­viene la poca luce naturale che la famiglia può gode­re durante il giorno. A sinistra una porta conduce nel­la stanza da letto che è usata dalla madre e dalla fi­glia Beneatha. A destra una seconda stanza da letto per Walter e sua moglie Ruth.

Epoca                       - Oggi.

Luogo                       - Quartiere Sud di Chicago.

All'alzarsi del sipario è mattina, ma la stanza è ancora buia. Travis dorme sul divano-letto al centro. Una sveglia suona nella camera di destra da cui esce subito Ruth, chiudendosi la porta alle spalle. Ancoro semiaddormentata va alla finestra e la apre, lascian­do entrare la luce di un tetro mattino. Ruth riempie di acqua una casseruola, la pone sul fuoco e chiama fra uno sbadiglio e l'altro il figlio. Ruth ha circa trent'anni. Si vede che è stata una ragazza carina, ecce­zionalmente carina, ma ora sono visibili sul suo volto i segni di una vita non facile e di tante delusioni. Si avvicina al figlio e gli dà una buona e definitiva scrol­lata.

Ruth                         - Andiamo su, figliolo, sono le sette e mez­zo! (Travis ancora assonnato si mette a sedere sul letto) Ehi, spicciati, Travis. Il bagno non è solo pei te! (Travis, un bel ragazzo robusto di dieci o undici anni, si alza faticosamente dal letto e, quasi senza aprire gli occhi, afferra l'asciugamano e il vestito di tutti i giorni dal cassetto di un armadio dirigendosi verso il bagno che si trova sul ballatoio e che è in comune con altre famiglie abitanti sullo stesso piano. Ruth va nella stanza da letto, l'apre e chiama suo ma­rito) Walter Lee! Sono le sette e mezzo passate! Su, andiamo, è ora di svegliarsi! (Attende un attimo) È ora che ti levi di li, sono le sette e mezzo passate. (Attende ancora) E va bene, non darmi ascolto, conti­nua pure a poltrire. Poi quando Travis avrà finito e sarà entrato il signor Johnson, tu starai qui a bron­tolare e a camminare su e giù come un ossesso! E sarai anche in ritardo! (Attende, poi al limite della pazienza) Walter Lee, è ora di alzarsi! (Attende an­cora un attimo, poi fa per entrare in camera da letto ma si ferma. Evidentemente il marito ha cominciato ad alzarsi. Richiude la porta e torna in cucina. Si sciacqua il viso con un panno bagnato, si passa le di­ta nei capelli ancora in disordine, in un vano tentativo di rassettarsi, e si lega un grembiule al vestito da ca­sa. Dalla camera da letto a destra appare il marito. Indossa un pigiama sgualcito, con i pantaloni diver­si dalla giacca. È un giovane smilzo di circa trenta­cinque anni, che si muove con nervosismo e parla a scatti. Nella sua voce c'è sempre un tono di accusa)

Walter                      - È già fuori?

Ruth                         - Che vuol dire fuori? Ci è appena entrato.

Walter                      - (gironzolando, più incline a tornare a letto che ad affrontare una nuova giornata) E allora per­ché tanto baccano, se non posso nemmeno entrare in bagno? (Si ferma a riflettere) Arriva oggi l'assegno?

Ruth                         - Hanno detto sabato e oggi è solo venerdì. Spero proprio che tu non cominci appena alzato a dir­mi che non abbiamo soldi, sono stufa di sentirtelo ri­petere.

Walter                      - Che ti succede stamattina?

Ruth                         - Niente. Ho un sonno maledetto, ecco. Co­me le vuoi le uova?

Walter                      - Non strapazzate. (Ruth comincia a stra­pazzare le uova) È arrivato il giornale? (Ruth accen­na con impazienza al pacco arrotolato della "Tribune" sul tavolo. Walter lo prende, lo srotola e comincia svo­gliatamente a leggerlo dalla prima pagina) Un'altra bomba scoppiata ieri.

Ruth                         - (con estrema indifferenza) Ah, si?

Walter                      - (guardandola) Ma che hai?

Ruth                         - Non ho niente. Non continuerai a chieder­melo tutta mattina?

Walter                      - E chi ci pensa! (Leggendo di nuovo con aria assente le notizie del giorno) Ehi, il colonnello Me Cormick è malato.

Ruth                         - (senza partecipazione) Davvero? Poveretto.

Walter                      - (sospirando e guardando l'orologio) Oh, povero me. (Aspetta) Cosa fa quel ragazzo in bagno? Deve imparare ad alzarsi prima. Non posso arrivare sempre in ritardo al lavoro perché lui sta li a gin­gillarsi.

Ruth                         - (voltandosi verso di lui) E invece no. Non deve alzarsi prima. Non è colpa sua se la sera non può andare a letto presto perché quattro buffoni buo­ni a nulla se ne stanno qui fino a tardi a chiacchie­rare, seduti su quello che dovrebbe essere il suo letto...

Walter                      - È questo che ti dà fastidio, eh? Le cose di cui discuto con i miei amici per te non hanno im­portanza? (Si alza e prende una sigaretta dalla bor­setta di Ruth sul tavolo. Va alla finestra e guarda fuori fumando e gustando fino in fondo la prima siga­retta della giornata)

Ruth                         - (lamentandosi senza convinzione) Perché la mattina devi sempre fumare prima di fare cola­zione?

Walter                      - (alla finestra) Guardali là... Fanno la cor­sa per andare al lavoro... (Si volta e si ferma di fron­te alla moglie, la guarda per un momento vicino al fornello e poi d'improvviso) Sembri una ragazzina, stamane...

Ruth                         - (con indifferenza) Si?

Walter                      - Si, per un secondo, quando sbattevi le uova. Ora non più. Per un attimo, sembravi davvero giovane. (Poi, in tono secco) Adesso non più, sei di nuovo come sempre.

Ruth                         - E taci una buona volta, lasciami in pace!

Walter                      - (di nuovo guardando verso la strada) Per prima cosa un uomo deve imparare a non cominciare la giornata facendo la corte a una negra. Alle otto del mattino avete tutte un diavolo per capello. (Travis appare sulla soglia completamente sveglio e quasi del tutto vestito, con l'asciugamano e il pigiama sulle spalle. Apre la porta e fa segno al padre di andare subito in bagno)

Travis                       - Papà, è libero. (Walter prende il suo "ne­cessaire" e corre in bagno)

Ruth                         - Siediti a far colazione, Travis.

Travis                       - Mamma, oggi è venerdì. (Con aria alle­gra) L'assegno arriva domani, eh?

Ruth                         - Non pensare al denaro, pensa a mangiare.

Travis                       - (mangiando) Stamattina dobbiamo porta­re cinquanta cents a scuola.

Ruth                         - Be', io i cinquanta cents oggi non li ho.

Travis                       - Il maestro ha detto che dobbiamo por­tarli.

Ruth                         - Me ne infischio di quello che ha detto il maestro. Non ce li ho. Su, mangia.

Travis                       - Stomangiando.

Ruth                         - Basta. Sta' zitto e mangia!  (Il ragazzo le dà un'occhiata esasperata per la sua mancanza di com­prensione e mangia imbronciato)

Travis                       - Credi che la nonna li abbia?

Ruth                         - No, e comunque devi smetterla di chiedere denaro alla nonna, capito?

Travis                       - (fuori di sé) Ma siii! Io non glieli chiedo, è lei che me li dà.

Ruth                         - Travis Willard Younger, questa mattina so­no troppo nervosa per...

Travis                       - Forse papà...

Ruth                         - Travis! (Il ragazzo tace di colpo. Restane entrambi in silenzio per parecchi secondi)

Travis                       - Posso andare a scaricare un po' di roba al supermarket, dopo la scuola?

Ruth                         - Ti ho detto di star zitto! (Travis immer­ge svogliatamente il cucchiaio nella scodella di cerea­li e appoggia irritato la testa sul pugno) Se hai ter­minato di mangiare, fatti il letto. (il ragazzo obbedi­sce rigidamente e attraversa la stanza come un automa. Comincia a piegare con più o meno cura le co­perte. Poi le porta nella camera della madre e ritor­na con i libri e il berretto)

Travis                       - (imbronciato si ferma a una certa distanza da Ruth) Vado.

Ruth                         - (alza lo sguardo dal fornello per una rapida ispezione) Vieni qui. (Travis si avvicina e Ruth l'osserva) Ma guarda! Perché non usi il pettine? Petti­nali questi benedetti capelli! (Travis con un gran so­spiro depone i libri e va allo specchio. La madre bron­tola fra sé qualche cosa contro la sua trascuratezza) Ma guarda un po' se deve uscire con quella testa! Pare che ci abbian razzolato sopra le galline! Non so proprio da chi tu abbia preso questo trasandato... E mettiti anche la giacca. Fa fresco fuori, stamane.

Travis                       - (con i capelli pettinati e la giacca) Vado.

Ruth                         - Prendi il denaro per l'autobus e per il latte. (Minacciandolo col dito) Ma non un soldo di più, capito?

Travis                       - (con educazione, ma col broncio) Si, mamma.

Ruth                         - (canzonandolo e facendogli il verso) Oh, la mamma qualche volta mi fa arrabbiare, non capi­sco proprio perché. (Attende un attimo, poi alle spalle di Travis, immobile sulla soglia) Oggi non glielo voglio dare un bacio, proprio no! (Il ragazzo si volta e la guarda, comprendendo che l'umore della madre è cambiato e che la sua vendetta è fatta, ma ancora non si muove) No, no, non glielo do. (Ride e apre le braccia. È un gesto abituale fra loro. Il ragazzo va verso di lei e si lascia abbracciare affettuosamente, ma conserva un'espressione dura. La madre allora lo al­lontana da sé, lo guarda e gli passa una mano sul volto. Con estrema tenerezza) Su: di chi è questo ometto imbronciato?

Travis                       - (la rigidezza del suo volto incomincia a scio­gliersi) Della-sua-bruuttaaa-mamma.

Ruth                         - (motteggiandolo) Bruuttaaa mamma! (Scherzando lo spinge con una certa rudezza verso la porta) E adesso fila, altrimenti farai tardi.

Travis                       - (in tono tenero ma con nuova aggressività) Mamma, per piacere posso andare a scaricare i pacchi?

Ruth                         - Tesoro, ora comincia a far freddo la sera.

Walter                      - (rientra dal bagno e, fingendo di avere in mano un fucile, prende la mira e spara al figlio) Cosa vuol fare?

Ruth                         - Scaricare i pacchi al supermarket dopo la scuola.

Walter                      - Be', lascialo andare.

Travis                       - (in fretta, al suo alleato) Devo andarci: non mi vuol dare i cinquanta cents.

Walter                      - (guardando sua moglie) E perché no?

Ruth                         - (con semplicità) Perché non li abbiamo.

Walter                      - (guardando Ruth) Perché dici al ragaz­zo queste cose? (Frugandosi nella tasca dei pantaloni, con gesto d'importanza) Ecco qua, figliolo. (Offre al ragazzo una moneta, ma il suo sguardo è sempre ri­volto alla moglie. Travis prende il denaro con gioia)

Travis                       - Grazie, papà. (Travis sta per uscire. Ruth guarda con stizza marito e figlio)

Walter                      - (sostiene il suo sguardo e dopo un attimo di riflessione si fruga di nuovo in tasca. Sempre guar­dando fisso la moglie) Ecco, tieni altri cinquanta cents... Comprati della frutta o va' a scuola in taxi! Fanne quello che vuoi!

Travis                       - Hurrah! (Fa un salto e afferra suo padre alla vita. Si guardano con reciproca comprensione. Walter Lee, oltre le spalle continua a -fissare gli oc­chi saettanti di Ruth, fino a distogliere il capo come se fosse stato colpito)

Walter                      - Ora è meglio che tu corra a scuola.

Travis                       - (sulla porta) O.K. Arrivederci. (Esce)

Walter                      - (indicando con fierezza la porta) È pro­prio figlio mio!  (Ruth lo guarda con disprezzo e ritor­na alle sue faccende) Sai a che pensavo in bagno?

Ruth                         - No.

Walter                      - Ti sforzi proprio ad esser di buon umore!

Ruth                         - Perché, dovrei?

Walter                      - Vuoi sapere o no cosa stavo pensando in bagno?

Ruth                         - Lo so già.

Walter                      - (non tenendo conto dell'interruzione) Pen­savo a quel che si diceva ieri sera con Willy Harris.

Ruth                         - (subito, come un ritornello) Willy Harris è un chiacchierone buono a nulla.

Walter                      - Tutti quelli che parlano con me sono chiacchieroni buoni a nulla, vero? Ma che ne sai tu come sono i chiacchieroni buoni a nulla? Anche Charlie Atkins era "un chiacchierone buono a nulla", ve­ro, quando mi propose l'affare della tintoria? E ora mette via centomila dollari l'anno. Centomila dollari Tanno! Lo chiami ancora un chiacchierone?

Ruth                         - (con amarezza) Oh, Walter Lee... (Siede e appoggia la testa sulle braccia ripiegate sul tavolo)

Walter                      - (si alza e rimanendo in piedi le si avvicina) Sei stanca, vero? Stanca di tutto. Di me, del ra­gazzo, di questo modo di vivere, di questo lurido buco, di tutto insomma! (Ruth non lo guarda e non risponde) Stanca, stanca, eh, e sempre a brontolare e a lamentarti, ma non muoveresti un dito per aiu­tarmi, eh? Non ce la fai, eh, a starmi tutto questo tempo vicino senza cavarne niente?

Ruth                         - Ti prego, Walter, lasciami in pace.

Walter                      - Un uomo ha bisogno di una donna che lo sostenga.

Ruth                         - Walter...

Walter                      - Mamma ti ascolterebbe. Lo sai che dà più retta a te che a me o a Bennie. Ha più conside­razione per te. Non devi fare nient'altro che sedere una mattina a bere il caffè con lei e parlare come sai far tu e (siede accanto a lei e dimostra quello che lei dovrebbe fare) un sorso di caffè, vedi, e parli tran­quillamente dell'affare che interessa tanto a Walter Lee, del magazzino, di tutto, e poi un altro sorso di caffè, come se quello che dici non ti premesse molto. Vai avanti cosi per un po', lei ti ascolta con atten­zione, ti fa qualche domanda e quando io torno a ca­sa, le spiego i particolari. Questa non è una proposta tanto strana, piccola. L'abbiamo pensata noi tre: io, Willy e Bobo.

Ruth                         - (aggrottando la fronte) Bobo?

Walter                      - Si capisci, quel piccolo bar che abbiamo in mente costa settantacinquemila dollari e abbiamo calcolato che come capitale di partenza ci vorreb­bero circa trentamila dollari, capisci. Cioè, dovrem­mo mettercene diecimila ciascuno. Poi, certo, ci sarà qualche altro biglietto da cento da tirar fuori se non vogliamo passare la vita ad aspettare che quei buf­foni ci diano la licenza...

Ruth                         - Ma questa è corruzione!

 Walter                     - (aggrottando la fronte, con impazienza) Non chiamarla cosi. Vedi, questo dimostra che le donne non capiscono niente della vita. Non si fa nul­la a questo mondo se non si paga qualcuno.

Ruth                         - Lasciami in pace, Walter! (Alza la testa e lo guarda decisa; poi, con calma) Mangia le uova, ti si raffreddano.

Walter                      - Ecco. Ci siamo. L'uomo dice alla moglie: ho fatto un sogno. E la moglie gli risponde: mangia le uova! (Con tristezza, ma in crescendo) L'uomo di­ce: devo tirarmi fuori da questa sporca vita! E la moglie dice: Mangia le uova e va' a lavorare. (Ora con forza) L'uomo dice: Devo cambiar vita, son ridotto in pezzi! E la moglie risponde: (con infinita angoscia) Le uova ti si raffreddano!

Ruth                         - (calma) Walter, non sono nostri quei soldi!

Walter                      - (senza ascoltarla e senza neppure guardarla) Questa mattina mi guardavo nello specchio e pen­savo... ho trentacinque anni, sono sposato da undici e ho un ragazzo che dorme nel soggiorno  (con tono estremamente pacato) e tutto quello che gli posso rac­contare è come vive il ricco uomo bianco...

Ruth                         - Mangia le uova, Walter.

Walter                      - Al diavolo le uova... Al diavolo tutte le uova di questo mondo!

Ruth                         - Allora va' a lavorare.

Walter                      - (guardandola) Vedi, sto cercando di par­larti di me  (scuotendo ripetutamente la testa) e tut­to quello che sai dirmi è: mangia le uova e va' a lavorare.

Ruth                         - (con aria annoiata) Tesoro, tu non dici mai niente di nuovo. Ti ascolto ogni giorno, la sera e la mattina, ma non mi dici mai niente di nuovo. (Alzan­do le spalle) Insomma, preferiresti essere il signor Arnold anziché il suo autista. Già, e anch'io preferi­rei vivere a Buckingham Palace.

Walter                      - Ecco lo sbaglio delle donne di colore... non capiscono che devono sostenere i loro uomini e aiutarli a credere che sono qualcuno e che possono riuscire a fare qualcosa.

Ruth                         - (secca, con l'intenzione di ferirlo) Ma esi­stono uomini di colore che fanno qualcosa.

Walter                      - Non per merito delle donne di colore.

Ruth                         - Bene, e allora vuol dire che io, come don­na di colore, non posso farci nulla. (Si alza, prende l'asse da stiro, prepara un monte di biancheria, spruz­zandola con un po' d'acqua e arrotolandola ben stret­ta)

Walter                      - (borbotta) Siamo legati a una razza di donne col cervello piccolo cosi. (Entra Beneatha, so­rella di Walter. Ha circa vent'anni, è snella e focosa come il fratello. Non è bella come la cognata, ma il suo volto affilato, quasi intellettuale, ha un fascino particolare.^ Indossa un pigiama di lana rossa. Folti capelli le incorniciano un po' selvaggiamente la te-sta. Il suo linguaggio è uno strano miscuglio ed è di' verso da quello del resto della famiglia perché una certa istruzione ha influito sul suo accento. Attraver­sa la stanza senza guardare né Ruth né Walter, va al­la porta e dà un'occhiata vaga al bagno, ma accor­gendosi che ormai è conquista dei Johnson, sbatte la porta con un debole gesto di vendetta e va a sedersi al tavolo con aria rassegnata)

Beneatha                  - Gli fisserò un orario a quella gente!

Walter                      - Dovresti invece alzarti prima.

Beneatha                  - (col volto fra le mani. Sta ancora lottan­do col desiderio di tornare a letto) Vuoi dire all'alba? Dov'è il giornale?

Walter                      - (spinge il giornale attraverso il tavolo os­servandola con aria clinica, come se non l'avesse mai vista prima d'ora) Sei orribile a quest'ora!

Beneatha                  - (secca) Buongiorno a tutti!

Walter                      - Come va la scuola?

Beneatha                  - Bene, bene. Biologia è la materia più interessante. Ieri ho sezionato qualcosa che mi ha ri­cordato la tua faccia.

Walter                      - Volevo sapere se hai preso una decisione.

Beneatha                  - (più dura e più impaziente) Cosa ti ho risposto ieri mattina? E il giorno prima?

Ruth                         - (occupata a stirare, disinteressata) Non es­sere cosi cattiva, Bennie.

Beneatha                  - (al fratello) E il giorno precedente e quello prima ancora?

Walter                      - (sulla difensiva) Perché mi stai a cuore. Che c'è di male? Non sono molte le ragazze che de­cidono...

Walter e Beneatha    - (insieme) "di fare il medico". (Una pausa)

Walter                      - Abbiamo mai calcolato quanto può co­stare esattamente una scuola di medicina?

Ruth                         - Walter Lee, perché non lasci in pace quel­la ragazza e non te ne vai a lavorare?

Beneatha                  - (va verso il bagno e bussa alla porta) Venga fuori di li, per piacere. (Ritorna nella stanza)

Walter                      - (fissando la sorella) Domani, sai, deve ar­rivare l'assegno.

Beneatha                  - (voltandosi verso di lui con crudezza tut­ta sua) Quel denaro è della mamma, Walter, e sta a lei decidere come lo vuole usare. A me non importa se vuole comprarsi una casa o un missile, oppure ap­penderlo da qualche parte e stare a guardare. È, suo, non nostro. Suo.

Walter                      - (amaramente) Buona, questa! Ti preme solo l'interesse di mammà, vero, ragazzina? Sei pro­prio un modello di figliola! Ma se la mamma prende quei soldi può sempre cavarne qualche migliaio di dollari per i tuoi studi.

Beneatha                  - Non ho mai chiesto aiuto a nessuno.

Walter                      - No, ma c'è una bella differenza fra chie­derlo e accettarlo quando ce lo offrono!

Beneatha                  - (furiosa) Cosa vuoi da me, fratello: che pianti la scuola o addirittura che crepi, eh?

Walter                      - Non voglio niente, soltanto che tu la smetta di recitare la parte della santerellina. Ruth ed io abbiamo fatto qualche sacrificio per te... perché non fai anche tu qualcosa per la famiglia?

Ruth                         - Walter, ti prego, non tirar dentro anche me!

Walter                      - Ci sei da un pezzo. Che forse in questi tre anni non sei andata a far la cuoca in casa d'altri perché lei potesse comprare i vestiti?

Ruth                         - Oh, Walter, sei ingiusto!

Walter                      - Nessuno pretende che ti metta in ginoc­chio a ringraziare tuo fratello, Ruth, la mamma e Travis per aver portato lo stesso paio di scarpe per un anno...

Beneatha                  - (cadendo in ginocchio) Ma io lo faccio. Va bene? Ringrazio tutti... e perdono se voglio diven­tare qualcuno... perdono, perdono!

Ruth                         - Basta, per piacere. La mamma può sen­tirvi.

Walter                      - Chi diavolo ti ha messo in testa di fare il medico? Se ti piace tanto aver a che fare con i ma­lati, allora fai l'infermiera come tante altre, oppure sposati e stattene calma...

Beneatha                  - Oh, finalmente lo hai detto... Ti ci son voluti tre anni ma ora finalmente l'hai detto... Wal­ter, lascia perdere, lasciami in pace. Quel denaro è della mamma.

Walter                      - Era anche di mio padre!

Beneatha                  - E allora? Era anche mio padre... ed era il nonno di Travis. Ma il denaro dell'assicurazio­ne è della mamma. Non è criticando me che la convin­cerai a fartene dare un po' per investirlo in un bar e per conto mio dico soltanto: che Dio l'aiuti la mam­ma!

Walter                      - (a Ruth) Ecco. La senti?

Ruth                         - Per favore, caro, va' al lavoro.

Walter                      - In questa casa nessuno mi capirà mai.

Beneatha                  - Perché sei un balordo.

Walter                      - Chi è un balordo?

Beneatha                  - Tu, sei un balordo. Tu sei matto, ra­gazzo mio.

Walter                      - (molto triste, guardando la moglie e la so­rella dalla porta) Siete la razza più retrograda del mondo, ecco la verità.

Beneatha                  - (voltandosi lentamente nella poltrona) Per questo ci sono tanti profeti che vorrebbero tirar­ci fuori dalla giungla  (Walter sbatte la porta di casa) per buttarci nella palude!

Ruth                         - Bennie, perché devi sempre essere cosi pun­gente con tuo fratello? Non potresti parlargli un po' più gentilmente, ogni tanto? (Si apre la porta. Rien­tra Walter)

Walter                      - (a Ruth) Mi occorrono un po' di spiccio­li per l'autobus.

Ruth                         - (lo guarda, poi con tenera ironia) Cinquan­ta cents? (Si avvicina alla borsa e prende del denaro) Ecco, prendi un taxi. (Walter esce. Entra la madre, È una donna sui sessant’anni, massiccia e forte. Non le manca una certa bellezza, ma è cosi poco ostenta­ta che la si nota soltanto dopo qualche tempo. Il suo volto scuro, circondato da candidi capelli, esprime quel senso di forza che è proprio di chi nella vita ha dovuto adattarsi a molte cose e superare molte diffi­coltà. Lo sguardo vivace e attento è indice di una na­tura viva e di uno spirito pieno di fede)

Madre                       - Chi sbatte le porte a quest'ora? (Attraver­sa la stanza, va alla finestra, la apre e tira dentro una pianticella che cresce a fatica in un piccolo vaso sul davanzale. Tocca la terra e la ripone fuori)

Ruth                         - Era Walter Lee. Lui e Bennie hanno liti­gato di nuovo.

Madre                       - Sono miei figli e litigano. Dio mio, se que­sta pianticella non potrà avere un po' più di sole, non arriverà alla primavera. (Si allontana dalla finestra) Che hai stamattina, Ruth? Mi sembri depressa. Ma non vorrai stirare tutta quella roba da sola? Lascia qualcosa anche per me. Me ne occuperò nel pome­riggio. Bennie cara, ci sono troppe correnti d'aria per star qui mezza nuda. Dov'è la tua vestaglia?

Beneatha                  - Alla lavanderia.

Madre                       - Mettiti la mia.

Beneatha                  - Non ho freddo, mamma, davvero.

Madre                       - Può darsi, ma sei cosi mingherlina...

Beneatha                  - (irritata) Mamma, non ho freddo.

Madre                       - (vedendo come Travis ha lasciato il suo let­to) Oh, Dio mio, guardate 'sto povero letto! Ep­pure, che Dio lo benedica, ha fatto del suo meglio. (Va verso il letto che Travis ha rifatto con trascura­tezza)

Ruth                         - No, non fa del suo meglio, perché sa che poi arrivi tu e metti tutto a posto. E cosi non ha an­cora imparato a fare niente. Non devi viziarlo, quel ragazzo.

Madre                       - Be', è ancora un bambino. Non si può pre­tendere che sappia sbrigare le faccende domestiche. È il mio piccolo, lui! Cosa gli hai dato a colazione, stamattina?

Ruth                         - (adirata) È affar mio nutrire mio figlio, Lena.

Madre                       - Oh, io non me ne immischio. (Pausa) Ho solo notato che in questa settimana ha sempre man­giato roba fredda la mattina. Ora in autunno quando comincia a far fresco, un bambino ha bisogno di but­tar giù qualcosa di caldo prima di uscire.

Ruth                         - (furibonda) Gli ho dato l'orzo bollito, va bene?

Madre                       - Oh, io non me ne immischio. (Pausa) Ci hai messo un bel pezzetto di burro? (Ruth le dà una occhiataccia e non risponde) Gli piace tanto il burro!

Ruth                         - (esasperata) Lena!

Madre                       - (a Beneatha) Di cosa discutevi stamattina con tuo fratello?

Beneatha                  - Niente di importante, mamma. (Si al­za e va a dare un'occhiata al bagno che sembra libe­ro. Afferra l'asciugamano e si precipita fuori)

Madre                       - Perché bisticciavano?

Ruth                         - Lo sai meglio di me.

Madre                       - (scuotendo la testa) Walter si preoccupa ancora per quel denaro.

Ruth                         - Lo sai, no?

Madre                       - Hai fatto colazione?

Ruth                         - Ho preso un po' di caffè.

Madre                       - Ragazza mia, faresti meglio a mangiare e a badare un po' a te stessa. Sei magra quasi come Travis.

Ruth                         - Lena...

Madre                       - Eh?

Ruth                         - Cosa ne farai?

Madre                       - Oh, non cominciamo, figliola, è troppo presto per cominciare a parlare di denaro. Non è da buoni cristiani.

Ruth                         - Il fatto è che lui ci ha messo il cuore in quel negozio...

Madre                       - Vuoi dire il bar in cui Willy Harris gli vuol far metter dei soldi?

Ruth                         - Si.

Madre                       - Noi non siamo gente d'affari, Ruth. Siamo dei semplici lavoratori.

Ruth                         - Nessuno è uomo d'affari fin tanto che non entra in affari. Walter Lee dice che la gente di colore non si farà mai strada se non comincia a rischiare con investimenti o cose del genere.

Madre                       - Che ti succede, ragazza mia? Walter Lee ti ha definitivamente convertita agli investimenti?

Ruth                         - No, mamma. C'è qualcosa che non va fra Walter e me. Non capisco bene, ma lui ha bisogno di qualcosa che io non gli posso più dare. Bisogna dar­gli un'occasione, Lena.

Madre                       - (aggrottando le sopracciglia) Ma i liquori, tesoro...

Ruth                         - Be', come dice Walter, credo che la gente ne berrà sempre di liquori.

Madre                       - Li bevano o no, non è affar mio. Ma che io mi metta a venderglieli, questo sì che mi riguarda, e alla mia età non voglio una simile colpa sul libro dei peccati. (Tace all'improvviso e fissa la nuora) Ruth Younger, cos'hai oggi? Sembra tu stia per svenire da un momento all'altro.

Ruth                         - Sono stanca.

Madre                       - Allora è meglio che tu non vada a lavo­rare.

Ruth                         - Non posso stare a casa. Quella comince­rebbe a strillare con l'agenzia: "La ragazza oggi non si è vista. Mandatemi qualcuno. La ragazza non è ve­nuta!" Oh, le verrebbe una crisi.

Madre                       - E lascia che le venga. Adesso le telefono e le dico che oggi hai l'influenza.

Ruth                         - (ridendo) Perché l'influenza?

Madre                       - Perché è una malattia rispettabile, che possono avere anche i bianchi. Sanno cos'è l'influen­za; se dico semplicemente che sei malata, penseran­no che ti stia cercando un altro posto.

Ruth                         - Devo andarci, abbiamo bisogno di soldi.

Madre                       - Si direbbe che i miei figli muoiano di fame, da come parlano di denaro. Ohe, bambina, c'è un grosso assegno in arrivo per domani.

Ruth                         - Ma quello è roba tua. Non ha niente a che vedere con me, la pensiamo tutti cosi. Walter, Bennie e io, e anche Travis.

Madre                       -  (pensierosa) Diecimila dollari.

Ruth                         - Certo, è meraviglioso.

Madre                       - Diecimila dollari.

Ruth                         - Sai cosa dovresti farne, Lena? Dovresti pa­garti un bel viaggio. In Europa, in Sud America o in qualche altro posto...

Madre                       - Oh, santo cielo!

Ruth                         - Dico sul serio: far le valigie e partire, andare a godertela un po'. Dimenticarsi della fami­glia e, almeno una volta nella vita, abbandonarsi a un bel giro di danza.

Madre                       - (secca) Parli come se io stessi per mori­re. Ma chi ci verrebbe con me? E che effetto farei a girellare tutta sola per l'Europa?

Ruth                         - Infischiatene. Le bianche ricche lo fanno sempre e non ci pensano su un minuto a fare i baga­gli, a accatastarli su uno di quei grandi piroscafi.

Madre                       - Qualcosa mi ha sempre detto che non so­no una ricca donna bianca.

Ruth                         - E allora, che ne farai di quel denaro?

Madre                       - Non ho ancora deciso. (Pausa, poi con en-fasi) Un po' bisogna metterlo da parte per la scuola di Beneatha, e questa parte non va toccata per nes­suna ragione, nessuna. (Pausa di alcuni secondi: cer­ca di prendere una decisione, poi prima di proseguire guarda Ruth, indecisa) Stavo pensando che forse si potrebbe mettere un po' di soldi in una casetta a due piani, con un cortile dove Travis potrebbe giocare in estate, potremmo usare parte dell'assicurazione come caparra e poi collaborare tutti quanti. Anch'io potrei riprendere a lavorare, almeno qualche giorno la setti­mana.

Ruth                         - (fissa furtivamente la suocera concentrandosi sul ferro da stiro; vuole incoraggiarla senza parere) Se si pensa a tutto il denaro che abbiamo butta­to in questa topaia a quest'ora ne avremmo pagate quattro di case...

Madre                       - (sospirando) Topaia, proprio cosi. (Sorri­dendo) Ricordo ancora il giorno in cui io e Big Walter ci siamo entrati. Eravamo sposati da appena due set­timane e pensavamo di restarci un anno al massimo. (Scuote la testa) Ci saremmo sistemati un po' alla volta, sai, e avremmo comprato un posticino in Mor­gan Park. Avevamo persino scelto la casa. (Ridendo fra sé) Ora è brutta, ma sapessi, figliola, quanti so­gni ci abbiamo fatto su quella casa, comprarla, arre­darla, e anche piantarci un giardinetto sul retro... (Si interrompe e smette di sorridere) Ma niente si è avverato. (Lascia cadere le mani in un gesto di deso­lazione)

Ruth                         - Si, qualche volta è un monte di delusioni la vita.

Madre                       - Vedi, cara, certe sere Big Walter entrava qui, si buttava su quel divano e guardava per terra, poi guardava me, poi il tappeto e poi di nuovo me. Capivo che era a terra, veramente a terra. (Dopo una pausa molto lunga, durante la quale è immersa in un passato che lei sola può ricordare) E poi, Gesù, quan­do persi il bambino, il piccolo Claude, ho quasi avu­to paura di perdere anche Big Walter. Com'era dispe­rato quell'uomo! Era uno che li adorava i figli!

Ruth                         - Non c'è niente che ti possa straziare come perdere un figlio.

Madre                       - Fu proprio per questo, credo, che comin­ciò a lavorare tanto da morirne, come a combattere contro questo mondo che gli aveva strappato il figlio.

Ruth                         - Era un buon uomo, davvero. Ho sempre voluto bene a papà Younger.

Madre                       - Matto per i bambini! Dio sa se era pieno di difetti Walter Younger, testone, avaro, matto per le donne, tante cose che non andavano, ma i figli li amava davvero. Ha sempre desiderato che potessero avere qualcosa... che potessero diventare qualcuno. È da lui che Walter ha preso tutte le sue idee. Gli si inumidivano gli occhi, certe volte e rovesciava indietro la testa quando' diceva: pare che il buon Dio vo­glia dare ai negri soltanto sogni, ma ci ha dato anche dei figli e allora vale la pena sognare. (Sorride) Sape­va dire di queste cose, sai.

Ruth                         - Certo che sapeva, era un brav'uomo papà Younger.

Madre                       - Sì, un brav'uomo, soltanto non è mai riu­scito a realizzare i suoi sogni. (Beneatha rientra spaz­zolandosi i capelli e guardando il soffitto da cui pro­viene il rumore di un aspirapolvere)

Beneatha                  - Possibile che i tappeti di quella donna siano così sporchi da dover usare l'aspirapolvere tut­ti i giorni?

Ruth                         - Vorrei che certe ragazze che io conosco ne prendessero esempio per certi tappeti di certi ap­partamenti che so io.

Beneatha                  - (alzando le spalle) Dio santo, quanto pulire in una casa!

Madre                       - Bennie!

Ruth                         - Ma sentila, sentila!

Beneatha                  - Oh, Dio!

Madre                       - Se nomini ancora una volta il nome di Dio...

Beneatha                  - (con voce piagnucolosa) Oh, mamma.

Ruth                         - Dolce, dolce come il sale questa ragazza!

Beneatha                  - Be', se il sale diviene insipido...

Madre                       - Ora basta. Non voglio avere attorno gente che cita a vuoto le sacre scritture, capito?

Beneatha                  - Chissà come ho fatto a mettermi con­tro tutti soltanto entrando in questa stanza!

Ruth                         - Se tu non fossi cosi arrogante...

Beneatha                  - Ho vent'anni, Ruth...

Madre                       - (cercando di tagliar corto) A che ora tor­nerai da scuola?

Beneatha                  - Piuttosto tardi. (Con entusiasmo) Madeline comincerà oggi a darmi lezioni di chitarra. (La madre e Ruth la guardano con la stessa espres­sione)

Madre                       - Lezioni di che?

 Beneatha                 - Di chitarra.

Ruth                         - Oh, cielo!

Madre                       -  Come ti è venuto in mente di imparare a suonare la chitarra?

Beneatha                  - Cosi, voglio imparare e basta.

Madre                       - (sorridendo) Bambina mia, non sai proprio come passare il tuo tempo? Quanto ci metterai a stan­carti anche di questo? Come ti sei stufata di quel gruppo di filodrammatici di cui facevi parte l'anno scorso? (Guardando Ruth) E l'anno prima cosa c'era stato?

Ruth                         - Il club di equitazione per cui si comprò quella tenuta da cavallo che costava cinquantacinque dollari e che da allora è rimasta appesa nell'armadio.

Madre                       -  (a Beneatha) Perché svolazzi cosi da una cosa all'altra, bimba mia?

Beneatha                  -  (acida) Voglio soltanto imparare a suo­nare la chitarra. È proibito?

Madre                       - Nessuno vuole impedirtelo, ma non capi­sco perché tu debba sempre passare da una cosa all'altra. Non hai poi combinato nulla con tutta quell'attrezzatura da fotografa che ti sei portata a casa...

Beneatha                  - Non passo da una cosa all'altra. Espe­rimento varie forme di espressione.

Ruth                         - Anche montando a cavallo?

Beneatha                  - Ci si può esprimere in mille modi diversi.

Madre                       - Ma cosa vuoi esprimere?

Beneatha                  -  (con rabbia) Me stessa! (La madre e Ruth si guardano, poi scoppiano in una risata) Per carità, non pretendo di essere compresa.

Madre                       -  (per cambiare argomento) Con chi esci domani sera?

Beneatha                  -  (seccata) Ancora con George Murchison.

Madre                       -  (contenta) Oh, allora ti piace un po' lui!

Ruth                         - Se vuoi saperlo, a questa ragazza piace soltanto se stessa. (Piano) Esprimere se stessa! (Ri­dono)

Beneatha                  - Ma si, mamma, George mi piace, cioè mi piace tanto da uscire con lui e tutto il resto nja,..

Ruth                         -  (sfottendola) Cosa vuol dire tutto il resto?

Beneatha                  - Impicciati degli affari tuoi!

Madre                       - Ruth, smettila di stuzzicarla. (Una pausa, poi un'improvvisa occhiata sospettosa alla figlia, vol­tandosi un poco sulla poltrona per meglio sottolineare le sue parole) Cosa vuol dire?

Beneatha                  -  (annoiata) Oh, volevo solo dire che non posso prendere sul serio George. È... è cosi superficiale.

Ruth                         - Superficiale? E che importa? È ricco.

Madre                       - Zitta, Ruth!

Beneatha                  - Lo so che è ricco. E lo sa anche lui.

Ruth                         - Be', quale altra qualità deve avere un uo­mo per essere di tuo gradimento, ragazzina?

Beneatha                  - Non capiresti!  Una che ha sposato Wal­ter non può capire.

Madre                       -  (offesa) Che modo è questo di parlare di tuo fratello?

Beneatha                  - Guardiamo in faccia la realtà: mio fratello è svitato.

Madre                       -  (a Ruth) Che vuol dire "svitato"?

Ruth                         - Sta dicendo che è matto.

Beneatha                  - No, non matto. Mio fratello non è matto, ma è... è un completo nevrotico.

Madre                       - Ma sta' zitta!

Beneatha                  - In quanto a George, be' George si presenta bene, ha una bella macchina, mi porta in posti splendidi e, come dice mia cognata, è probabil­mente il ragazzo più ricco che mi capiterà mai di in­contrare, e qualche volta mi piace anche, ma se la famiglia Younger mi sta attorno aspettando che la piccola Bennie si decida a legare se stessa e i suoi ai Murchison, perde il suo tempo.

Ruth                         - Vuoi dire che non sposeresti George Mur­chison se te lo chiedesse? Quella piccola miniera? Tesoro, sapevo che eri strana, ma...

Beneatha                  - No, non lo sposerò, se il mio senti­mento per lui rimarrà quello che è ora. E poi la fa­miglia di George non mi vede di buon occhio.

Madre                       - Perché no?

Beneatha                  - Oh, mamma! I Murchison sono negri e benpensanti ricchi, appartengono alla sola classe al mondo che sia più snob dei ricchi bianchi. Credevo che questo lo sapessero tutti. Ho conosciuto la signora. Che tipo!

Madre                       - Non devi avere antipatia per delle persone solo perché sono ricche.

Beneatha                  - Perché no? È come avere antipatia per i poveri, e sono tanti che ce l'hanno.

Ruth                         -  (alla madre, con la saggezza dell'esperienza) Be' col tempo ne cambierà molte di queste idee...

Beneatha                  - Cambiare? Di che stai parlando, Ruth? Io farò il medico, capisci, e m'interessa chi sposerò... se mai sposerò!

Madre e Ruth           - Se!

Madre                       - Su, Bennie.

Beneatha                  - Forse lo farò... ma prima voglio diven­tare dottore e George è il primo a credere che sarà piuttosto buffo. Farò il medico ed è bene che ve lo mettiate bene in testa.

Madre                       -  (con tono gentile) Certo che farai il dot­tore cara, con l'aiuto di Dio.

Beneatha                  -  (dura) Dio non c'entra, in questo caso.

Madre                       - Beneatha, questo non lo dovevi dire.

Beneatha                  - Bene, e tu non dovevi nominare Dio. Sono stufa di sentirlo tirare sempre in ballo. Che ha a che fare con tutto quel che facciamo? Paga forse la scuola?

Madre                       -  Guarda che ti do un ceffone!

Ruth                         - Se lo meriterebbe!

Beneatha                  - Perché? Perché non posso dire ciò che penso, come tutti gli altri?

Madre                       -  Non è bello che una ragazza parli cosi. È ben diversa l'educazione che hai avuto! Con tutta la fatica che tuo padre ed io abbiamo fatto per portare in chiesa te e tuo fratello.

Beneatha                  - Oh, mamma, non capisci. È tutta que­stione di idee e Dio è un'idea che io non accetto. Non è una tragedia. Non sono una immorale o una crimi­nale perché non credo in Dio. Non ci penso nemmeno. Sono soltanto stufa di attribuirgli il merito di tutto quanto con accaniti sforzi riesce a combinare la razza umana. Non c'è nessun Dio... c'è solo l'uomo ed è lui che fa i miracoli! (La madre che l'ha ascoltata atten­tamente, la guarda, si alza lentamente, va verso di lei, la schiaffeggia con forza. Lunga pausa. La figlia ab­bassa lo sguardo)

Madre                       - Ora ripeti con me: nella casa di mia ma­dre esiste ancora Dio. (Lunga pausa. Beneatha guarda il pavimento senza parlare. La madre scandisce le pa­role con forza, con emozione repressa) Nella casa di mia madre esiste ancora Dio.

Beneatha                  - Nella casa di mia madre esiste ancora Dio. (Lunga pausa)

Madre                       -  (allontanandosi da Beneatha, troppo turbata per assumere un atteggiamento trionfante. Si ferma e si rivolge alla figlia) Ci sono idee che non si devono avere in questa casa, almeno fin tanto che il capo famiglia sono io.

Beneatha                  - Va bene, mamma. (La madre esce)

Ruth                         -  (con molta comprensione) Credi di essere già una donna, Bennie, e invece sei ancora una ragaz­zina. Ciò che hai fatto è puerile, per questo sei stata trattata come una bimba.

Beneatha                  - Capisco. (Calma) Capisco anche che tutti credono giusto che la mamma faccia il tiranno. Ma nessuna tirannia riuscirà a mettere Dio in cielo! (Prende i suoi libri ed esce)

Ruth                         -  (va alla porta della camera della madre) Ha detto che è pentita.

Madre                       -  (uscendo dalla stanza e andando verso la sua pianta) I miei figli, Ruth, mi fanno paura.

Ruth                         - Hai dei bravi figlioli, Lena. Qualche volta passano un po' i limiti, ma non sono cattivi.

Madre                       - No, è calato qualcosa fra me e loro che ci impedisce di comprenderci. Non so cosa sia: uno per­de quasi la ragione a furia di pensare sempre al de­naro e l'altra comincia a parlare di cose che io non posso assolutamente capire. Da che dipende questo cambiamento, Ruth?

Ruth                         -  (con dolcezza, mostrandosi più matura della sua età) Be' adesso esageri. I tuoi ragazzi hanno soltanto una volontà molto forte e ci vuole una' donna forte come te per tenerli in pugno.

Madre                       - (guardando la sua piantina e spruzzando del­l'acqua sulle foglie) Sono molto focosi i miei fi­glioli. Devo riconoscerlo. Come questa piccola pianta che non ha mai avuto un po' di sole e guarda qui... (Ruth ha smesso di stirare e si passa il rovescio della mano sulla fronte)

Ruth                         - (cercando di non farsi notare dalla madre) Ma tu... sei sicura di amare quella piccola pianta, vero?

Madre                       - Be', ho sempre desiderato un giardino co­me quelli che si vedono dietro certe case. E questa pianta è tutto quello che sono riuscita ad avere. (Guar­da fuori dalla finestra mentre rimette a posto la pian­tina) Non c'è niente di più triste di quel che si vede da questa finestra in un giorno cosi buio. Perché non canti stamattina, Ruth? Canta "No ways tired". È una canzone che mi solleva il morale. (Finalmente si volta e vede Ruth che si è lasciata cadere in una poltrona, in uno stato di semincoscienza) Ruth!  Ruth cara!  Che cos'hai, Ruth!...

Sipario.

SCENA SECONDA

Il giorno seguente, sabato mattina. In casa Younger si sta facendo pulizia. I mobili sono stati spostati e la Madre sta lavando i muri della cucina. Beneatha, in tuta e col fazzoletto in testa, spruzza un insetticida nelle crepe dei muri. Mentre le donne lavorano, la radio è accesa e trasmette un programma di blues in cui predomina il sassofono. Travis, l'unico ozioso in questo momento, guarda fuori, appoggiandosi al da­vanzale.

Travis                       - Nonna, quella roba che usa Bennie, ha un odore terribile. Posso andare giù, per piacere?

Madre                       - Hai fatto tutto quello che dovevi fare? Non mi pare che tu abbia lavorato molto.

Travis                       - Si, nonna. Ho finito presto. Dov'è andata la mamma stamattina?

Madre                       - (guardando Beneatha) È dovuta uscire per una commissione.

Travis                       - Dove?

Madre                       - Faccende sue.

Travis                       - Allora, posso scendere?

Madre                       - Si, direi di si. Ma non ti allontanare trop­po... stai attento all'arrivo del postino.

Travis                       - Si, nonna. (Esce e passando dà alla zia un colpo sulle gambe) Lascia in pace quei poveri sca­rafaggi, che non hanno mai dato fastidio a nessuno. (Scappa via mentre Beneatha lo prende scherzosamen­te di mira con lo spruzzatore. Walter entra dalla ca­mera da letto e va al telefono)

Madre                       - Sta' attenta di non spruzzare il veleno sul bambino!

Travis                       - (scherzando) Giusto Fa' attenzione!  (Esce)

Beneatha                  - Immagino che non gli farebbe niente, non fa male neppure agli scarafaggi.

Madre                       - La pelle dei bambini non è dura come quella degli scarafaggi di Chicago.

Walter                      - (al telefono) Pronto! Posso parlare con Willy Harris?

Madre                       - Dovresti dare una passata dietro la cre­denza: ieri ne ho visto uscire uno di là che marciava come Napoleone.

Walter                      - Pronto, Willy. Non è ancora arrivato, ma sarà qui fra pochi minuti. L'avvocato ti ha già conse­gnato i documenti?

Beneatha                  - Non c'è che un sistema per liberarsene.

Madre                       - E cioè?

Beneatha                  - Dar fuoco alla casa.

Walter                      - Bene, bene. Vengo subito.

Beneatha                  - Walter, dov'è andata Ruth?

Walter                      - Non lo so. (Esce di corsa)

Beneatha                  - Mamma, dov'è andata Ruth?

Madre                       - (guardandola con intenzione) Dal dottore, credo.

 Beneatha                 - Dal dottore? E perché? (Si danno un'oc­chiata) Credi che...

Madre                       - Non voglio dire quel che penso, ma non ho mai sbagliato con le donne... (Suona il telefono)

Beneatha                  - (al telefono) Pronto... (Dopo una pausa in cui cerca di riconoscere l'interlocutore) Ah, ciao, quando sei tornato?... E com'è andata?... Certo che ho sentito la tua mancanza, a modo mio... Stamattina? No... grandi pulizie in casa e la mamma detesta che io faccia venire qualcuno quando la casa è sottosopra... Davvero? Be', allora è diverso... Cosa c'è? Oh, al dia­volo, vieni subito... Si, a fra poco. (Riappende)

Madre                       - (che com'è sua abitudine ha ascoltato con at­tenzione) Chi hai invitato con la casa in queste con­dizioni? Non hai un briciolo di orgoglio.

Beneatha                  - Asagai non bada a queste cose, mamma. È un intellettuale.

Madre                       - Chi?

Beneatha                  - Asagai. Joseph Asagai. È un africano che ho conosciuto all'Università. Ha passato l'estate in Canada, a studiare.

Madre                       - Come si chiama?

Beneatha                  - Asagai, Joseph A-sa-gai... Viene dalla Nigeria.

Madre                       - Ah, quel paesino fondato dagli schiavi li­berati...

Beneatha                  - No, mamma. Quella è la Liberia.

Madre                       - Credo di non aver mai conosciuto un afri­cano.

Beneatha                  - Allora, per favore non fargli domande stupide sull'Africa, cioè se vanno in giro vestiti o cose del genere.

Madre                       - Se ci consideri tanto ignoranti, non do­vresti portare qui i tuoi amici.

Beneatha                  - Tutti gli fanno queste domande scioc­che. Quando si tratta dell'Africa, si direbbe che sap­piano soltanto le storie di Tarzan.

Madre                       - Perché non dovrei sapere qualcosa sull'Africa?

Beneatha                  - Perché dai denaro in chiesa per le opere missionarie?

Madre                       - Be', per contribuire alla salvezza dei po­poli.

Beneatha                  - Vuoi dire salvarli dal paganesimo...

Madre                       - (ingenuamente) Si.

Beneatha                  - È dagli inglesi e dai francesi che han­no bisogno di essere salvati! (Entra Ruth che si to­glie il cappotto con aria depressa; le altre due si vol­tano a guardarla)

Ruth                         - Dalle vostre facce allegre immagino che sappiate già.

Beneatha                  - Sei incinta?

Madre                       - Dio misericordioso, spero proprio che sia una bambina. Travis ha bisogno di una sorellina. (Be­neatha e Ruth le danno un'occhiata di commisera­zione per il suo entusiasmo di nonna)

Beneatha                  - Da quanto tempo sei incinta?

Ruth                         - Da due mesi.

Beneatha                  - Lo volevi proprio? Voglio dire: lo hai fatto apposta o è stato per sbaglio?

Madre                       - Ma che ne sai tu di queste cose?

Beneatha                  - Oh, mamma!

Ruth                         - (con aria stanca) Ha vent'anni, Lena.

Beneatha                  - Ruth, lo hai proprio voluto?

Ruth                         - Occupati degli affari tuoi.

Beneatha                  - Ma è anche affare mio. Dove lo met­tiamo? Sul tetto? (Un silenzio glaciale) Oh, Dio, non volevo dir questo. Davvero, Ruth, non lo pensavo. Penso che sia una cosa magnifica, anzi.

Ruth                         - (senza entusiasmo) Magnifica.

Beneatha                  - Si, davvero.

Madre                       - (guardando Ruth preoccupata) Il dottore dice che va tutto bene?

Ruth                         - Si, lei dice che va tutto bene.

Madre                       - (immediatamente sospettosa) Lei? Da che razza di medico sei andata? (Ruth si ripiega su se stessa come per un attacco isterico)

Madre                       - (turbata, curva su Ruth) Ruth cara, cosa hai? Stai male? (Ruth tiene i pugni chiusi e fa uno sforzo per soffocare un grido)

Beneatha                  - Cos'ha, mamma?

Madre                       - (massaggiando le spalle di Ruth per rilas­sarla) Non è nulla. Le donne vanno soggette alla depressione quando sono in questo stato. (Sottovoce, rapidamente, da donna esperta) Ora cerca di rilas­sarti. Ecco, cosi... stenditi, non pensare a nulla...

Ruth                         - Sto bene. (Le si inumidiscono gli occhi e scoppia in singhiozzi violenti. Si sente suonare il campanello)

Beneatha                  - Oh Dio mio, questo dev'essere Asagai.

Madre                       - (a Ruth) Su, andiamo, cara. Hai bisogno di stenderti e di riposare un po'... Poi ti darò qualcosa di caldo. (Le due donne escono. Beneatha va ad apri­re e appare sulla soglia un giovane con un gran pacco)

Asagai                      - Salve, Alaiyo...

Beneatha                  - (tenendo la porta aperta e guardandolo con piacere) Ciao... (Lunga pausa) Be', entra; ti prego di scusarmi. Mia madre era molto inquieta perché ti ho fatto venire con questo disordine.

Asagai                      - (entrando nella stanza) Anche tu sembri un po' contrariata... Qualcosa che non va?

Beneatha                  - (ancora sulla porta, con aria assente) Si, stiamo attraversando una crisi di antropofobia. (Sorride e gli si avvicina. Prende una sigaretta e siede) Su, siediti. Com'era in Canada?

Asagai                      - (con aria sofisticata) Molto canadese.

Beneatha                  - (osservandolo) Sono contenta che tu sia tornato.

Asagai                      - (osservandola a sua volta) Davvero?

Beneatha                  - Si, molto.

Asagai                      - Ma come! Eri cosi contenta di vedermi partire. Che è successo?

Beneatha                  - Sei partito.

Asagai                      - Aaah!

Beneatha                  - Allora... volevi prenderla cosi seria­mente prima che fosse il momento.

Asagai                      - Quanto tempo deve passare prima che uno possa sapere quali sono i suoi sentimenti?

Beneatha                  - (eludendo l'argomento, congiunge le ma­ni in un gesto deliberatamente infantile) Cosa mi hai portato?

Asagai                      - (porgendole il pacco)   Aprilo e guarda.

Beneatha                  - (apre il pacco con impazienza. Tira fuori dei dischi e un variopinto abito femminile della Ni­geria) Oh, Asagi!... L'hai preso per me!... Com'è bello!... E anche i dischi! (Prende il vestito e corre allo specchio. Lo prova tenendoselo davanti)

Asagai                      - (raggiungendola) Ti dovrò insegnare a drappeggiarlo con grazia. (Le mette addosso la stof­fa, gliela aggiusta e poi fa un passo indietro per os­servarla) Ah! Oh-pay-gay-day, oh-bah-mu-shay. (È una esclamazione yoruba che esprime ammirazione) Lo porti bene... molto bene, anche coi capelli mutilati e tutto il resto.

Beneatha                  - (si volta improvvisamente) I capelli?... Che hanno i miei capelli?

Asagai                      - (alzando le spalle) Erano cosi quando sei nata?

Beneatha                  - (passandosi una mano nei capelli) No... certo no. (Si guarda di nuovo allo specchio turbata)

Asagai                      - (sorridendo) E com'erano allora?

Beneatha                  - Lo sai bene... crespi come i tuoi...

Asagai                      - E per te sono brutti, cosi?

Beneatha                  - (in fretta) Oh, no, non brutti... (Più lentamente, in tono di scusa) Ma sono più difficili da pettinare quando sono cosi... ispidi.

Asagai                      - E cosi per tenerli a posto, te li fai muti­lare ogni settimana?

Beneatha                  - Ma che mutilazione!

Asagai                      - (ridendo della serietà di lei) Ma via, ti sto stuzzicando perché prendi certe cose troppo sul serio. (Sta dietro a lei, le braccia incrociate sul petto a osservarla mentre si tira i capelli e aggrotta le so­pracciglia davanti allo specchio) Ti ricordi la prima volta che ci incontrammo a scuola?... (Ride) Sei ve­nuta da me e mi hai detto, mentre io pensavo che non avevo mai visto niente di più serio:        - (la imita) "Signor Asagai, io sono alla ricerca della mia identità!" - (Ride)

Beneatha                  - (voltandosi verso di lui senza ridere) Già. (// suo volto ha un'espressione curiosa, molto turbata)

 Asagai                     - (sempre scherzando le si avvicina, le prende il viso fra le mani e lo attira a sé) Be', questo certo è un profilo da regina del Nilo più che da regina di Hollywood. Ma che importa? L'assimilazione ha tan­to successo nel vostro paese.

Beneatha                  - (protestando appassionatamente) Non sono un'assimilazionista!

Asagai                      - (la studia per un attimo e la sua risata sva­nisce) Ma che serietà! (Pausa) Dunque, ti piac­ciono i vestiti? Devi tenerli da conto, vengono dal guardaroba personale di mia sorella.

Beneatha                  - (incredula) Ti... ti sei data tutta que­sta pena per me?

Asagai                      - (con grazia) Per te, farei molto di più... Be', ero venuto per questo. Ora devo andare.

Beneatha                  - Mi telefoni lunedì?

Asagai                      - Si, dobbiamo parlare di molte cose: dell'identità, del tempo e di tutto il resto.

Beneatha                  - Del tempo?

Asagai                      - Si: del tempo che occorre per conoscere i propri sentimenti.

Beneatha                  - Non puoi mai ammettere che fra un uomo e una donna possano esistere sentimenti di vario genere o che almeno dovrebbero.

Asagai                      - (scuote la testa, negativamente ma gentil­mente) No, fra un uomo e una donna non ci può essere che un tipo di sentimento. Ed è quello che provo per te... anche ora... proprio in questo mo­mento.

Beneatha                  - Lo so... ma per se stesso non basta. Lo posso trovare dappertutto.

Asagai                      - Per una donna dovrebbe essere sufficiente.

Beneatha                  - Già, cosi si dice in tutti i romanzi scritti dagli uomini. Ma in realtà non è cosi. Ridi pure, ma io non voglio essere un piccolo episodio nella vita americana di un tale. (In tono di vendetta femminile) Uno dei tanti episodi! (Asagai scoppia di nuovo a ridere) Ti diverti, eh?

Asagai                      - Tutte le ragazze americane che ho cono­sciuto mi hanno detto la stessa cosa. Bianche o nere, in questo siete identiche. E con le stesse parole!

Beneatha                  - (adirata) Uh, uh, uh!

Asagai                      - È cosi: puoi star sicura che le donne più emancipate del mondo non sono affatto libere! Ne parlate troppo. (Entra la madre e vedendo un ospite prende subito un fare mondano)

Beneatha                  - Oh, mamma, questo è il signor Asagai.

Madre                       - Lieta di conoscerla.

Asagai                      - (con estrema e deferente cortesia) Molto piacere, signora Younger. La prego di scusarmi se sono venuto a un'ora tanto sconveniente e di sabato.

Madre                       - Lei è sempre il benvenuto. La prego, non creda che la casa sia sempre in queste condizioni. (Loquace) Torni a trovarci, mi piacerebbe sapere mol­te cose sulla... (non è sicura del nome) sul suo paese. Credo che sia molto brutto che i negri americani non sappiano niente dell'Africa, che parlino solo di Tarzan o cose del genere. E tutto quel denaro che but­tano nelle chiese mentre dovrebbero impiegarlo per liberare il vostro paese dai Francesi e dagli Inglesi. (Concludendo la sua tirata getta alla figlia un'oc­chiata di superiorità)

Asagai                      - (sorpreso da questa improvvisa manifesta­zione di simpatia) Si, si...

Madre                       - (sorridendo, perfettamente a suo agio) Quante miglia ci sono da qui al suo paese d'origine?

Asagai                      - Molte miglia.

Madre                       - Scommetto che lei non ha cura di sé, e lontano da sua madre per giunta. Farebbe bene a venire qualche volta da noi, a consumare qualche pa­sto decente, cucinato in casa.

Asagai                      - (commosso) Grazie. Grazie molte. (Pausa) Bene, devo andare. Ti telefonerò lunedi, Alaiyo.

Madre                       - Come ti chiama?

Asagai                      - Oh, "Alaiyo". Spero che a lei non dispiac­cia. È quello che qui si direbbe un soprannome, al­meno credo. È una parola yoruba. Io sono yoruba.

Madre                       - (guardando Beneatha) Credevo venisse dalla...

Asagai                      - (comprendendo ciò ch'essa voleva dire) Il mio paese è la Nigeria. Yoruba è la mia tribù di origine.

Beneatha                  - Ma non ci hai detto il significato di "Alaiyo". Per quello che ne so, potrebbe voler dire: piccola scema o qualcosa del genere.

Asagai                      - Lasciami pensare... Non so come spie­garti... Il senso di una parola può essere svisato tra­ducendolo in un'altra lingua.

Beneatha                  - Stai tergiversando.

Asagai                      - No, è davvero difficile. (Pensando) Vuol dire... vuol dire... una persona per cui il pane... cibo... non bastano. Hai capito?

Beneatha                  - (dolce) Grazie.

Madre                       -  (guardandoli, senza capire) Be', è carino... Deve tornare a trovarci, signor...

Asagai                      - A-sa-gai...

Madre                       - Si... Torni davvero.

Asagai                      - Arrivederci. (Esce)

Madre                       - Sai, proprio simpatico quello! (Insinuan­te, alla figlia) Credo di capire perché abbiamo co­minciato a interessarci all'Africa. Diventiamo missio­nari! (Esce)

Beneatha                  - Oh, mamma! (Prende il vestito e lo tiene davanti a sé, di fronte allo specchio. Si scompi­glia i capelli e facendo strane smorfie  pensa come potrebbe portarli una donna della Nigeria. Entra Travis e la guarda)

Travis                       - Stai diventando matta?

Beneatha                  - Taci tu. (Si tira su di nuovo i capelli, facendo gli occhi storti, come se pensasse qualcosa. Improvvisamente prende l'impermeabile, il fazzolet­to e si prepara ad uscire)

Madre                       - (rientrando) Sta riposando. Travis, corri alla porta accanto e chiedi alla signora Johnson se per piacere mi presta del detersivo per la cucina. Questa scatola è vuota.

Travis                       - Sono appena tornato.

Madre                       - Fa' quello che ti dico. (Travis esce e la madre guarda la figlia) Dove vai?

Beneatha                  - (fermandosi sulla porta) Devo diven­tare la regina del Nilo!  (Esce in uno splendore di gloria. Ruth appare sulla soglia della camera da letto)

Madre                       - Chi ti ha detto di alzarti?

Ruth                         - Non sto male da dovermene rimanere a letto. Dov'è andata Bennie?

Madre                       - (tamburellando con le dita) Per quel che ho potuto capire, in Egitto. (Ruth la guarda) Che ore sono?

Ruth                         - Le dieci e venti. E stamattina il postino deve per forza suonare il campanello, come ha fatto tutte le mattine per tanti anni. (Travis rientra con la scatola del detersivo)

Travis                       - Ha detto di dirti che non ne ha molto.

Madre                       - (adirata) Certa gente di cui potrei anche fare il nome è davvero gretta! (Al nipote) Segna sul­la lista due scatole di detersivo. Se ci tiene tanto, non voglio scordarmi di renderglielo.

Ruth                         - Magari ne aveva davvero poco.

Madre                       - (non l'ascolta) Con tutto il lievito che ha avuto in prestito da me in questi anni, avrebbe po­tuto metter su un'industria. (Suona improvvisamente il campanello e tutti e tre restano di sasso, seri e si­lenziosi, con i loro discorsi interrotti a metà. A di­spetto di tutte le conversazioni e di tutte le distra­zioni del mattino, questo era l'avvenimento tanto atteso, anche da Travis, che guarda ora la madre, ora la nonna. Ruth è la prima a riprendersi)

Ruth                         - (a Travis) Su, muoviti, vai giù. (Travis si riprende e vola a ritirare la posta)

Madre                       - (con gli occhi sbarrati e la mano sul seno) Credi sia proprio lui?

Ruth                         - (eccitata) Oh, Lena!

Madre                       - (riprendendosi) Be', non so perché siamo tutti cosi eccitati. Sapevamo da mesi che doveva arrivare.

Ruth                         - Ma c'è una certa differenza fra sapere che deve arrivare e averlo in mano... un pezzo di carta che vale diecimila dollari. (Ritorna Travis. Ha in mano una busta, che tiene alta sopra la testa, come un ballerino. Ha un'aria raggiante ed è senza fiato. Va lentamente verso la nonna con un passo da ceri­monia e mette la busta nelle sue mani. Lena la prende e la alza come per osservarla in trasparenza) Su! Apri!... Dio misericordioso, come vorrei che Walter Lee fosse qui!

Travis                       - Aprila, nonna!

Madre                       - (osservando ancora la busta) Ora, state tutti calmi. È solo un assegno.

Ruth                         - Aprila.

Madre                       - (osservandola) Su, non facciamo gli stu­pidi... non siamo mai stati di quelli che fanno pazzie per il denaro.

Ruth                         - (pronta) Perché non ne abbiamo avuto sinora. Apri! (La madre finalmente strappa la busta e tira fuori un lungo foglio blu che esamina da vi­cino. Il ragazzo e Ruth lo osservano estatici alle spal­le di Lena)

MadRe                     - Travis! (conta dubbiosa) Guarda un po'. È esatto il numero degli zeri?

Travis                       - Si, nonna... diecimila dollari. Hurrah, nonna, sei ricca!

MadRe                     - (allontana l'assegno per osservarlo. Lenta­mente il suo volto si ricompone e assume un'espres­sione infelice) Diecimila dollari. (Lo porge a Ruth) Ruth, mettilo al sicuro. (Non la guarda. Il suo sguar­do sembra vedere qualche cosa lontano) Diecimila dollari, ti danno... diecimila dollari.

Travis                       - (a sua madre, meravigliato) Cosa ha la nonna? Non vuole diventar ricca?

Ruth                         - Va' fuori a giocare, adesso. (Travis esce. La madre comincia ad asciugare i piatti canticchian­do fra sé. Ruth esasperata si volge verso Lena) Ora che ce l'hai sei tutta sconvolta!

Madre                       - Ti assicuro che se non fosse per voi, lo getterei via quel denaro o lo darei alla chiesa.

Ruth                         - Che discorsi sono questi? Papà Younger, se ti sentisse dire queste sciocchezze, ti prenderebbe per matta.

Madre                       - (fermandosi e sbarrando gli occhi) Si... certo. Dobbiamo fare molte cose con questo denaro, hai ragione. (Si volta e fissa la nuora. Ruth abbassa gli occhi, la Madre  si asciuga le mani e comincia a parlare con fermezza a Ruth) Dove sei andata sta­mattina?

Ruth                         - Dal dottore.

Madre                       - (con impazienza) Via, Ruth, è vero che il dottor Jones ha delle maniere strane, ma non è poi tanto equivoco da chiamarlo "lei" come hai fatto tu stamattina.

Ruth                         - È, stato per sbaglio.

Madre                       - Sei stata a farti visitare da una donna, vero?

Ruth                         - (sulla difensiva) Di che donna stai par­lando?

Madre                       - (furiosa) Di quella donna che... (Entra Walter al massimo dell’eccitazione)

Walter                      - È arrivato?

Madre                       - Non puoi salutare la gente da cristiano prima di informarti del denaro?

Walter                      - (a Ruth) È arrivato? (Ruth spiega l'as­segno e lo pone tranquillamente davanti a lui, se­guendo i propri pensieri. Walter si siede e lo afferra. Conta gli zeri) Diecimila dollari. (Si volta di scatto verso sua Madre  e tira fuori un giornale dalla tasca interna della giacca) Mamma, guarda. Willy Harris ha scritto tutto sul giornale.

Madre                       - Credo sia meglio che tu parli con tua mo­glie... Io me ne vado, se volete.

Walter                      - Posso parlare dopo con lei. Guarda, mamma...

Madre                       - Figliolo!

Walter                      - Qualcuno oggi deve farmi il santo fa­vore di ascoltarmi!

Madre                       - (calma) Non permetto a nessuno di ur­lare in questa casa, Walter Lee, e lo sai. (Walter guarda le due donne deluso. Fa per parlare) E non ci saranno investimenti in nessun bar. Non intendo tor­nare su questo argomento, sia ben chiaro. (Lunga pausa)

Walter                      - Ah, capisco... non intendi tornare su que­sto argomento? Dunque hai già deciso... (Spiegaz­zando il giornate) Bene, lo dirai a mio figlio stasera mettendolo a letto, qui, sul divano del soggiorno. (Voltandosi verso la Madre  e parlando direttamente a lei) Si, mamma, e dillo a mia moglie domani quando dovrà andar fuori a guardare i bambini degli altri. E dillo anche a me, mamma, tutte le volte che occorre­rà un paio di tendine nuove, e quando ti guarderò mentre vai a far la sguattera presso le altre famiglie. Si, dimmelo allora! (Walter si avvia per uscire)

Ruth                         - Dove vai?

Walter                      - Fuori.

Ruth                         - Dove?

Walter                      - Fuori da questa casa. Non so dove.

Ruth                         - (prendendo il cappotto) Vengo anch'io.

Walter                      - Non ti voglio.

Ruth                         - Devo dirti una cosa, Walter.

Walter                      - Mi dispiace tanto.

Madre                       - (sempre calma) Walter Lee. (Attende fi­no a quando egli si volta a guardarla) Siediti.

Walter                      - Non sono più un bambino, mamma.

Madre                       - E chi lo nega? Ma sei in casa mia e da­vanti a me. E fin tanto che starai qui, parlerai a tua moglie in modo educato. E ora siedi.

Ruth                         - (improvvisamente) Oh, lascia che vada a riempirsi di gin fino a scoppiare! Mi fa schifo! (Gli getta contro il cappotto)

Walter                      - (con violenza) E tu mi fai nausea! (Ruth corre nella sua camera da letto sbattendo la porta) Averti sposato è stato lo sbaglio più grosso della mia vita.

Madre                       - (sempre calma) Walter, cos'hai?

Walter                      - Io, che ho? Io non ho niente!

Madre                       - Si, invece. C'è qualcosa che ti rode den­tro e non è solo perché non ti do i soldi. Ti ho osser­vato in questi ultimi anni: sei sempre nervoso e hai un'espressione dura. (Walter a queste parole si alza di scatto) Stai seduto, ho detto. Sto parlando con te.

Walter                      - Mamma, è meglio non farmi prediche,

oggi.

Madre                       - Sembra che tu vada continuamente a cac­ciarti nei guai; appena ti si fa una domanda, ti met­ti a urlare e scappi in qualche bettola a bere. Walter Lee, non si può vivere in questo modo. Ruth è una brava ragazza ed è anche paziente, ma tu stai pas­sando i limiti. Figlio mio, non fare lo sbaglio di per­derla.

Walter                      - Perché? Cosa fa per me?

Madre                       - Ti vuole bene.

Walter                      - Mamma, io esco. Voglio andarmene non so dove, ma devo stare un po' per conto mio.

Madre                       - Mi dispiace per quel bar, ma non è adat­to per noi. Ecco cosa ti volevo dire.

Walter                      - Devo uscire, mamma. (Si alza)

Madre                       - Guarda che è pericoloso.

Walter                      - Cosa è pericoloso?

Madre                       - Quando un uomo cerca la pace fuori di casa sua.

Walter                      - (in tono di preghiera) E perché non c'è mai un po' di pace in questa?

Madre                       - L'hai forse trovata in un'altra casa?

Walter                      - No, non c'è un'altra donna! Perché quan­do un uomo è irrequieto le donne devono sempre pensare che ci sia un'altra donna? (Tornando verso la Madre ) Mamma, mamma... ci sono tante cose che vorrei!

Madre                       - Lo so, figliolo.

Walter                      - Tante cose che desidero da morire... Guar­dami, mamma.

Madre                       - Ti guardo. Sei un bel ragazzo, hai un la­voro, una moglie, un bel bambino e...

Walter                      - Un lavoro!  (La guarda) Un lavoro, mam­ma? Dalla mattina alla sera apro e chiudo le por­tiere di una macchina. Porto in giro un uomo nella sua macchina e dico: Si, signore. No, signore. Va be­ne, signore. Non è un lavoro questo... non è niente. (Molto calmo) Mamma, non so se riesco a spiegarti.

Madre                       - Spiegare che cosa, figlio mio?

Walter                      - (calmo) Qualche volta è come se vedessi tutto il futuro davanti a me, proprio chiaro come il giorno, il futuro, mamma, li appeso al limite dei miei giorni, e mi attende, è un grande, immenso spa­zio vuoto, il niente, e aspetta me. (Pausa) Mamma, qualche volta giù in città passando davanti a qualche ristorante fresco, tranquillo, vedo dei giovani bianchi che se ne stanno seduti comodamente a chiacchierare di chissà che... a trattare affari di milioni di dollari... e spesso sono ragazzi che non sembrano più vecchi di me...

Madre                       - Figlio mio, perché parli tanto di denaro?

Walter                      - (con grande foga) Perché è la vita, mam­ma!

Madre                       - (calma) Ah!  è la vita!  Il denaro è la vita!  Una volta era la libertà la vita, ora è il denaro. Il mondo è proprio cambiato.

Walter                      - No, è sempre stato il denaro, mamma, solo che noi non lo sapevamo.

Madre                       - No, qualcosa è cambiato. (Lo guarda) In te c'è qualcosa di nuovo, figlio mio. Ai miei tempi ci preoccupavamo di non essere linciati, di come andare al nord, di sopravvivere e anche di conservare un po' di dignità... E ora tu e Beneatha parlate di cose che a noi, a me e a tuo padre, non passavano per la mente. Non siete né soddisfatti, né fieri di quello che noi abbiamo fatto: abbiamo trovato una casa e non avete avuto pensieri quando eravate ragazzi e non avete dovuto correre al lavoro aggrappati a un tram per soli negri... voi... i miei figlioli... Come siamo di­versi!

Walter                      - Tu non capisci, mamma, proprio non ca­pisci.

Madre                       - Walter... sai che tua moglie aspetta un altro figlio? (Walter, colpito da questa notizia, ascol­ta immobile sua Madre ) È questo che ti voleva dire prima. (Walter si lascia cadere in una poltrona) Non dovevo essere io a dirtelo, ma dovevi pure saperlo. (Pausa) Credo che Ruth pensi di liberarsi del bam­bino.

Walter                      - (comprendendo dopo un attimo) No... Ruth non lo farebbe.

Madre                       - Quando la vita diventa dura, una donna farà qualunque cosa per la famiglia, per quella che esiste già.

Walter                      - Mamma, non conosci Ruth se la credi ca­pace di fare una cosa simile! (Ruth apre la porta della camera da letto e si ferma sulla soglia)

Ruth                         - (accasciata) Si, lo farei. (Pausa) Ho già dato una caparra di cinque dollari. (Lunga pausa du­rante la quale Walter fissa la moglie, e la Madre  il figlio)

Madre                       - Su, Walter. Aspetto che tu dica qualcosa... Aspetto che dimostri di essere figlio di tuo padre, di essere come lui. (Pausa) Tua moglie dice che va a liberarsi di tuo figlio, io son qui in attesa di sentirti parlare come lui, di sentirti dire che noi, ai bambini, la vita la diamo, non la togliamo. (Si alza) Aspetto che tu ti alzi come farebbe tuo padre, a dire che noi non sacrifichiamo un solo bambino alla povertà...

Walter                      - Ruth...

Madre                       - Se sei mio figlio, diglielo! (Walter si vol­ta, la guarda e non dice nulla. La Madre  riprende con amarezza) Sei... sei un insulto alla memoria di tuo padre. Datemi il cappello.

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Lo stesso giorno, più tardi.

Quando si alza il sipario Ruth sta di nuovo stiran­do. La radio sta trasmettendo un blues. Si apre la porta della camera da letto di Beneatha. Ruth posa il ferro da stiro, affascinata.

Ruth                         - Ma che succede questa sera!

Beneatha                  - (appare sulla porta in tutto il suo splen­dore, nel costume portatole da Asagai) Vedi in me un'elegantissima signora della Nigeria! (Cammina vol­teggiando intorno a Ruth. I suoi capelli sono comple­tamente nascosti dall'acconciatura. Si fa vento graziosamente con un enorme ventaglio orientale, tanto da assomigliare più a Madama Butterfly che a una donna della Nigeria) Non è magnifico? (Va alla radio e la spegne) Basta con questa paccottiglia da assimilazionisti! (Sempre seguita dallo sguardo di Ruth si avvicina al grammofono per mettere un disco. Beneatha si volta e attende solennemente che la musica inizi. Poi con un grido) Ocomogosiey! (Ruth fa un balzo. Si ode una bella melodia della Nigeria. Beneatha ascolta rapita con gli occhi che sembrano guardare a un lontano passato. Comincia a danzare. Ruth è am­mutolita)

Ruth                         - Che genere di ballo è questo?

Beneatha                  - Un ballo popolare.

Ruth                         - Ma quale popolo lo balla?

Beneatha                  - È una danza della Nigeria. Una dan­za di benvenuto.

Ruth                         - E a chi dai il benvenuto?

Beneatha                  - Agli uomini che tornano al villaggio.

Ruth                         - Dove erano andati?

Beneatha                  - Che ne so, a caccia o a compiere qual­che impresa. Comunque adesso stanno tornando...

Ruth                         - Ah, meno male.

Beneatha                  - (seguendo il disco) Alundi, alundi -alundi alunya - Jop pu a jeepua - Ang gu soooooooo -Ai yai yae... - Ayehaye - alundi... (Entra Walter. È chia­ro che ha bevuto. Si appoggia alla porta e prima guar­da la sorella con un certo disgusto, poi il suo sguardo si perde "nel lontano passato" e alzando i pugni al soffitto, esclama)

Walter                      - Già... e l'Etiopia tende ancora le mani!

Ruth                         - (osservandolo, con espressione dura) Si... e l'Africa reclama i suoi diritti, stasera. (Riprende a stirare)

Walter                      - (in tono drammatico, da ubriaco) Taci!... Voglio esumare quei tamburi... quei tamburi che com­muovono! (Va barcollando verso la moglie e si appog­gia all'asse da stiro) Nel profondo del mio cuore... (Si batte il petto) c'è un grande spirito guerriero!

Ruth                         - (senza nemmeno guardarlo) Nel profondo del tuo cuore sei completamente sbronzo!

Walter                      - (allontanandosi, incomincia a gironzolare per la stanza, gridando) Io e Jomo... (Alla sorella, che ha smesso di ballare vedendolo in quello stato inconsueto) Ecco il mio uomo: Kenyatta! (Gridando e bat­tendosi il petto) La lancia fiammeggiante!  Brucia, ma­ledizione! (Ha in mano una lancia immaginaria e infilza con foga invisibili nemici sparsi per la stanza) Ocomogosiay... il leone si risveglia... owimoweh! (Si apre la camicia sul petto, salta sulla tavola e gesticola. Suona il campanello. Ruth va ad aprire)

Beneatha                  - (per incoraggiare Walter, affascinata da questo suo lato insolito) Ocomogosiay! Lancia fiam­meggiante!

Walter                      - (è in piedi sul tavolo, con gli occhi vitrei. Vede qualche cosa che gli altri non possono vedere. È il capo del suo popolo, un discendente di Chake: è ar­rivata l'ora di marciare) Ascoltate, fratelli neri!

Beneatha                  - Ocomogosiay!

Walter                      - Non sentite il boato delle acque che infuriano contro le coste?

Beneatha                  - Ocomogosiay!

Walter                      - Non sentite le grida dei galli sulle lonta­ne colline oltre le quali i capi si riuniscono a consi­glio per la prossima grande guerra?

Beneatha                  - Ocomogosiay!

Walter                      - Non sentite lo sbattere delle ali degli uc­celli che volano bassi sopra le montagne e le pianure del nostro paese? (Ruth apre la porta. Entra George Murchison)

Beneatha                  - Ocomogosiay!

Walter                      - Non sentite il canto che le donne dedica­no ai figli nelle grandi case, il canto di guerra dei nostri padri? Oh, ascoltate, fratelli neri!

Beneatha                  - (nel pieno dell'esaltazione) Ti ascoltia­mo, lancia fiammeggiante!

Walter                      - Tutte queste cose ci invitano a prepa­rarci a tempi più eroici! (A George) Fratello nero!

George                     - Fratello nero, un corno!

Ruth                         - Beneatha, c'è una visita. Ma cos'hai? Wal­ter Lee Younger, scendi dal tavolo e smetti di fare il matto. (Walter scende dal tavolo e corre rapidamen­te verso il bagno)

Ruth                         - Ha solo bevuto un po' troppo... Non so in­vece che scusa ci sia per lei.

George                     - (a Beneatha) Senti, tesoro, è vero che andiamo a teatro, ma non per recitare... va' dunque a cambiarti, per piacere.

Ruth                         - Credi che questo ragazzo voglia portarti fuori conciata in quel modo?

Beneatha                  - (guardando George) Dipende da Geor­ge. Se si vergogna della sua origine...

George                     - Non far tanto l'orgogliosa, solo perché sei eccentrica!

Beneatha                  - Come può essere eccentrico ciò che è naturale?

George                     - È proprio questo il significato di eccen­trico: essere naturale. Va' a vestirti.

Beneatha                  - No, questo non mi piace, George.

Ruth                         - Perché tu e tuo fratello dovete discutere su tutto?

Beneatha                  - Perché non posso sopportare i negri assimilazionisti!

Ruth                         - Assimila... che? Che vuol dire?

George                     - È un termine usato dalle scolarette per indicare i negri servizievoli, ma il vero significato è un altro.

Ruth                         - Quale?

Beneatha                  - (impedendo a George di rispondere e guar­dandolo mentre risponde a Ruth) È un termine per indicare qualcuno che vuol rinnegare la propria cul­tura e mimetizzarsi completamente con quella predo­minante, in questo caso con la cultura dell'oppressore!

George                     - Oh, santo cielo! Ci risiamo! Una confe­renza sulla storia africana, sulle grandi tradizioni dell'Africa Occidentale! Fra un momento sapremo tutto sui grandi imperi Ashanti, le grandi civiltà Songhai e la grande scultura di Bénin, poi qualche poesia Ban­tu e il lungo monologo finirà con la parola "tradizio­ne"! (Cattivo) Guardiamoci bene in faccia, bambina, la tua tradizione non è altro che un branco di stupi­di spirituals e di capanne di paglia!

Beneatha                  - Capanne di paglia! (Ruth le si avvici­na e la spinge a forza verso la camera da letto) Sen­tito... tu te ne stai li nella tua splendida ignoranza a lanciar giudizi su gente che fu la prima al mondo a fondere il ferro! (Ruth la spinge oltre la soglia) Gli Ashanti facevano operazioni chirurgiche quando gli inglesi... (Ruth chiude la porta e sorride a George. Beneatha la riapre e conclude trionfalmente) ...si fa­cevano ancora i tatuaggi! (Si ritira)

Ruth                         - Siediti, George. (Siedono entrambi. Ruth tiene le mani sul grembo, decisa a dimostrare la buo­na educazione della famiglia) Caldo, non è vero? Vo­glio dire per essere in settembre. (Pausa) Proprio ve­ro quello che si dice del clima di Chicago: se hai troppo caldo o troppo freddo, aspetta un attimo e vedrai che cambierà. (Sorride felice per questa frase fatta) Dicono tutti che il cambiamento del tempo di­pende dalle bombe e da tutte quelle altre cose che stanno preparando. (Pausa) Vuoi una buona birra ge­lata?

George                     - No, grazie. Non vado matto per la birra. (Guarda l'orologio) Spero che si spicci.

Ruth                         - A che ora è lo spettacolo?

George                     - Comincia alle otto e mezzo. A Chicago è così, a New York generalmente' cominciano alle otto e quaranta. (È piuttosto compiaciuto per le sue co­gnizioni in materia)

Ruth                         - (apprezzandolo a dovere) Vai spesso a New York?

George                     - (con aria di superiorità) Parecchie volte all'anno.

Ruth                         - Che bello!  Non sono mai stata a New York. (Entra Walter. Si è rimesso ma è ancora un po' in­tontito)

Walter                      - New York non è nulla più di Chicago. È solo un'accozzaglia di gente frettolosa, uno addosso all'altro, perché sono dell'Est. (Fa una smorfia di di­sprezzo)

George                     - Ci sei stato?

Walter                      - Tante volte.

Ruth                         - (colpita da questa bugia) Walter Lee Younger!

Walter                      - (guardandola fisso) Tante! (Pausa) Co­sa c'è da bere in questa casa? Perché non offri qual­cosa di fresco? (A George) Non sanno ricevere!

George                     - Grazie. Davvero, non desidero nulla.

Walter                      - (toccandosi la testa. A poco a poco ritorna sobrio) Dov'è la mamma?

Ruth                         - Non è ancora tornata.

Walter                      - (guardando Murchison dalla testa ai piedi e scrutando attentamente la sua giacca di tweed spor­tiva, il suo pull-over di cashemir, i suoi pantaloni chia­ri e i suoi mocassini bianchi) Perché voi studenti portate tutti quelle strane scarpe bianche da inver­titi?

Ruth                         - Walter Lee! (George Murchison fa finta di non aver sentito)

Walter                      - (a Ruth) Sono matti da legare. Freddo com'è, scarpe bianche!

Ruth                         - (annientata) Devi scusarlo.

Walter                      - Scusarmi per cosa? Perché devi sempre scusarmi? Mi scuserò quando avrò un motivo di es­sere scusato. (Pausa) Sono buffe come le calze nere che si mette sempre Beneatha quando esce.

Ruth                         - È la norma della scuola, Walter.

Walter                      - All'inferno la norma! Sembra che abbia le gambe bruciate o qualcosa del genere!

Ruth                         - Oh, Walter!

Walter                      - (irritato) Oh Walter, oh Walter! (A Mur­chison) Come vanno gli affari di tuo padre? Ho sen­tito che state per comprare un grande albergo sul Drive!  (Prende una birra nel frigorifero, e fissando Murchison, la sorseggia; poi si asciuga la bocca con il rovescio della mano e si mette a cavalcioni di una sedia appoggiandosi allo schienale) Abile mossa. Tuo padre è in gamba. (Toccandosi la fronte e strizzando l'occhio per dare maggiore enfasi a ciò che dice) Vo­glio dire che sa manovrare, che ha idee grandiose, ca­pisci? Intendo dire su un piano limitato, ma ora cre­do che sia a corto di idee. Mi piacerebbe fare due chiacchiere con lui. Ascolta: ho progetti che potreb­bero sconvolgere la città. Io la penso come lui: in grande. Investire in grande, speculare in grande, per­dere in grande, se occorre. Capisci cosa voglio dire? In tutto il mondo è difficile trovare uno che capisca il mio modo di pensare. (Guarda di nuovo Murchison, beve la birra, strizza l'occhio e si sporge verso di lui in tono confidenziale) Una volta o l'altra dovrem­mo parlarne un po' noi due... Avrei qualche ideuzza...

George                     - (annoiato) Si, lo faremo, Walter, una vol­ta o l'altra.

Walter                      - (offeso di questa indifferenza) E va be­ne, quando avrai tempo. So che sei un ragazzino mol­to occupato.

Ruth                         - Ti prego, Walter...

Walter                      - (ferito, amaramente) Nessuno al mondo è più occupato di voi studenti di colore dalle scarpe bianche...

Ruth                         - (arrossendo per la vergogna) Oh, Walter Lee.

Walter                      - Vi vedo sempre andare ai corsi coi libri sotto il braccio. (Con accento inglese e aiutandosi con la mimica) E per far che? Che diavolo imparate là? Vi riempite la testa        - (contando sulle dita) di sociolo­gia e psicologia... ma vi insegnano poi a esser veri uomini? A cavarvela e a governare il mondo? Vi insegnano a mandare avanti una piantagione di gomma o una acciaieria? Nooo. Solo a parlare correttamente, a leggere i libri e a portare le scarpe bianche...

George                     - (guardandolo con disgusto e con una legge­ra aria di superiorità) Mi sembri impastato di amarezza!

Walter                      - (con intenzione, parlando fra i denti e os­servando il ragazzo) E tu, tu non sei amaro? An­cora non ne hai abbastanza? Non c'è qualche stella splendente che non riesci ad afferrare? Sei felice tu, soddisfatto bastardo, sei felice? Sono amaro, eh? So­no un vulcano! Sono un gigante circondato da for­miche!  Formiche che non possono nemmeno capire di cosa sta parlando il gigante!

 Ruth                        - (appassionatamente) Oh, Walter, non sei solo!

Walter                      - (con violenza) No, non ho proprio nes­suno dalla mia! Nemmeno mia Madre !

Ruth                         - È terribile quello che dici! (Entra Benea­tha, vestita da sera con un abito da cocktail e orec­chini)

George                     - Bene, cosi mi piaci. Cosi stai bene!

Beneatha                  - Andiamo, George. Arrivederci.

Ruth                         - Divertitevi.

George                     - Grazie, buona notte. (A Walter, con sar­casmo) Buona notte, Prometeo! (Beneatha e George escono)

Walter                      - (a Ruth) Chi è Prometeo?

Ruth                         - Non lo so. Non ci badare.

Walter                      - (furioso, indicando la porta da cui è uscito George) Ecco, arrivano al punto che non sanno nemmeno più insultarti da uomo a uomo, devono dir­ti parole che non hai mai sentito!

Ruth                         - Come fai a dire che si tratta di un insulto? (Per metterlo di buon umore) Forse Prometeo è un buon uomo.

Walter                      - Prometeo! Scommetto che non esiste nemmeno!  Scommetto che quello stupido buffone...

Ruth                         - Walter! (Interrompe ciò che sta facendo e lo guarda)

Walter                      - (urlando) Non cominciare!

Ruth                         - Cominciare che cosa?

Walter                      - A tormentarmi. Dove sono stato? Con chi sono stato? Quanto denaro ho speso?

Ruth                         - (in tono di lamento) Walter Lee, perché non cerchiamo di parlare un po'...

Walter                      - (senza ascoltare) Sono stato a parlare con gente che mi capisce, con gente che s'interessa alle mie idee.

Ruth                         - Immagino vorrai dire gente come Willie Harris.

Walter                      - Si, gente come Willie Harris.

Ruth                         - (con improvvisa impazienza) Perché voial­tri non vi decidete subito a fare affari in banca inve­ce di parlarne continuamente?

Walter                      - Perché? Vuoi sapere perché? Perché sia­mo legati a una razza che non sa far altro che lamen­tarsi, pregare e avere bambini! (La battuta è troppo forte anche per lui. La guarda, poi siede)

Ruth                         - Oh, Walter... (Dolce) Tesoro, perché ce l'hai sempre con me?

Walter                      - (senza pensare) Ma chi ce l'ha con te? Chi se ne frega di te? (Da questa battuta il suo ma­lumore incomincia a scemare)

Ruth                         - Capito. (Lunga pausa. Poi con rassegnazio­ne comincia a riporre le sue cose) Sarà meglio che vada a letto. (Più o meno a se stessa) Non so dove lo abbiamo perso... eppure l'abbiamo perso... (Poi rivol­ta a lui) Mi... mi dispiace per quest'altro figlio, Wal­ter. Forse è meglio seguire la strada che ho preso... io... non mi ero ben resa conto di come si erano mes­se male le cose fra noi... si, non avevo proprio capito. (Va verso la camera da letto, poi si ferma) Vuoi del latte caldo?

Walter                      - Latte caldo?

Ruth                         - Si. Latte caldo.

Walter                      - Perché, latte caldo?

Ruth                         - Perché con tutto quel che hai bevuto, do­vresti mettere qualche cosa di caldo nello stomaco.

Walter                      - Non voglio latte.

Ruth                         - Caffè, allora?

Walter                      - No, non voglio caffè. Non voglio niente di caldo da bere. (In tono di lamento) Perché vuoi sem­pre darmi qualcosa da mangiare o da bere? (Walter alza la testa e la guarda con espressione diversa) È dura eh, bambina? (Ruth si ferma ma non si volta) Credo che due persone non si capiscano mai quan­to gli altri credono. Per esempio io e te... (Ruth si vol­ta a guardarlo) Come siamo arrivati ad avere paura di parlarci a cuore aperto? (Pausa) Perché credi deb­ba finire cosi? (Pensieroso, quasi come un bambino) Ruth, cosa succede alle persone che dovrebbero esse­re sempre vicine?

Ruth                         - Non so, tesoro, ma ci ho pensato molto.

Walter                      - Hai pensato a noi, vuoi dire? Ai nostri rapporti? A quello che si è messo tra noi?

Ruth                         - Non c'è niente di grave fra noi, Walter... almeno quando vieni da me e cerchi di parlarmi. Cerca solo di essere un po' più giusto con me.

Walter                      -  (estremamente sincero) A volte non so nemmeno come fare.

Ruth                         - Walter.

Walter                      - Si?

Ruth                         -  (avvicinandosi a lui dolcemente ma con ap­prensione) Tesoro... la vita non è necessariamente cosi. Forse si può fare in modo che le cose vadano meglio... Ti ricordi quello che dicevamo quando nac­que Travis... come dovevamo impostare la nostra vi­ta... in che tipo di casa... (Scuote la testa) Bene... tut­to comincia a sfuggirci di mano... (Entra la Madre . Walter balza in piedi ed esclama)

Walter                      - Dove sei stata, mamma?

Madre                       - Oh Dio, queste scale sono più faticose del solito. Uffa! (Siede non facendo caso a Walter) Come stai stasera, Ruth? (Ruth scuote le spalle, seccata di essere stata interrotta prematuramente, e osserva il marito)

Walter                      - Mamma, dove sei stata tutto il giorno?

Madre                       -  (sempre facendo finta di non vederlo, si ap­poggia al tavolo per cambiarsi più comodamente le scarpe) Dov'è Travis?

Ruth                         - L'ho lasciato uscire più presto e non è an­cora tornato. Ma quando torna mi sente!

Walter                      - Mamma!

Madre                       -  (come se lo udisse per la prima volta) Si, Walter.

Walter                      - Dove sei stata questo pomeriggio?

Madre                       - In città per badare a un affare che avevo in ballo.

Walter                      - Che genere di affare?

Madre                       - Non hai di meglio che star li a bersagliar­mi di domande come un bambino?

Walter                      -  (alzandosi e piegandosi in avanti sul tavo­lo) Dove sei stata, mamma? (Picchiando i pugni e gridando) Non avrai fatto qualche pazzia con il denaro dell'assicurazione, vero? (La porta di casa si apre lentamente e Travis mette dentro la testa)

Travis                       - Mamma io...

Ruth                         - "Mamma io" un bel niente!  Avrai quel che ti spetta! Va' in camera da letto e preparati.

Travis                       - Ma io...

Madre                       - Perché non lasciate mai che il bambino si spieghi?

Ruth                         - Lena, ti prego, non te ne impicciare. (La Madre  si morde le labbra e Ruth avanza minacciosa verso suo figlio) Ti ho detto mille volte che non devi star fuori cosi a lungo...

Madre                       -  (alzando le braccia verso il nipote) Be', lascia almeno che gli dica una cosa. Voglio che sia il primo a saperlo... Vieni qui, Travis. (Il ragazzo ubbi­disce contento) Travis. (Lo prende per le spalle e lo guarda in viso) Sai quel denaro che abbiamo avuto stamane per posta?

Travis                       - Si, nonna.

Madre                       - Bene, cosa credi che ne abbia fatto tua nonna?

Travis                       - Non so, nonna.

Madre                       -  (portando il dito davanti al naso per dare maggior importanza a quanto sta per dire) È usci­ta e ti ha comprato una casa! (A questa rivelazione Walter balza in piedi e volta le spalle a tutti, furioso. La Madre  continua a parlare con Travis) Sei soddi­sfatto? Sarà tua quando diventerai grande.

Travis                       - Si, ho sempre desiderato vivere in una casa!

Madre                       - Bene, allora dammi un bacio. (Travis but­ta le braccia al collo della nonna, che ora guarda suo figlio sopra le spalle del ragazzo. Poi a Travis) Quando dirai le tue preghiere stasera, devi ringraziare Dio e tuo nonno, perché in un certo senso è stato lui a darti una casa.

Ruth                         -  (prendendo il ragazzo dalle braccia della Madre  e spingendolo verso la stanza da letto) E ades­so va' e preparati per le botte.

Travis                       - Oh, mamma...

Ruth                         - Vai di là. (Gli chiude la porta alle spalle e voltandosi felice verso la suocera) Cosi l'hai proprio fatto!

Madre                       -  (calma e addolorata, guardando il figlio) Si, l'ho fatto.

Ruth                         -  (alzando le braccia al cielo) Sia ringrazia­to Dio! (Guarda Walter, che non parla, e gli si avvi­cina) Ti prego, caro, lasciami essere felice... Sarai fe­lice anche tu. (Posa le mani sulle spalle di Walter che se le scuote di dosso e liberandosi rudemente di lei senza guardarla) Oh, Walter... una casa... una casa. (Torna dalla Madre ) E dov'è? Quanto è grande? E quanto costa?

Madre                       - Be'.

Ruth                         - Quando facciamo il trasloco?

Madre                       -  (sorridendo) Il primo del mese.

Ruth                         -  (buttando indietro la testa per la contentez­za) Dio sia lodato!

Madre                       -  (timidamente, guardando il figlio che conti­nua a voltar loro le spalle) È... è anche una bella casa. (Non può fare a meno di parlare direttamente a lui. La sua voce ed i suoi modi in questo momento sono quasi quelli di una ragazzina) Tre stanze da let­to, una bella grande per te e per Ruth... io e Beneatha dovremo dormire ancora nella stessa camera, ma Tra­vis ne avrà una tutta per sé e... (incerta) penso che se il nascituro... sarà un maschio, potremo prendere uno di quei letti a due piani... e poi c'è un giardi­netto con qualche aiuola dove potrei coltivare i fio­ri... e una grande e bella cantina...

Ruth                         - Walter caro, non sei contento?

Madre                       -  (sempre alle sue spalle, illustrando quello che dice disegnando col dito sulla tavola) Natural­mente non voglio che sembri più bella di quello che è; è soltanto una piccola vecchia casetta, ma è fatta bene, è solida e sarà nostra, Walter Lee, è differente sai per un uomo vivere tra mura sue.

Ruth                         - Dov'è?

Madre                       -  (ha paura di questa domanda) Be', nella zona di Clybourne Park. (La contentezza di Ruth spa­risce di colpo. Walter incredulo e ostile si volta ada­gio verso sua Madre )

Ruth                         - Dove?

Madre                       - Il quattro o il sei, non ricordo, di Cly­bourne Street in Clybourne Park.

Ruth                         - Clybourne Park? Non c'è gente di colore in Clybourne Park!

Madre                       -  (ingenuamente) Be', adesso ce ne sarà.

Walter                      -  (amaro) È questa la pace e la comodità che ci hai procurato oggi?

Madre                       -  (alzando gli occhi e guardandolo) Walter, ho solo cercato di trovare per la mia famiglia il po­sto più carino con la minima spesa.

Ruth                         -  (cercando di riprendersi dallo choc) Be' io non ho mai avuto paura dei razzisti bianchi, cre­dimi... ma non c'erano case in qualche altro luogo?

Madre                       - Quelle che costruiscono in periferia per la gente di colore pare che costino tutte il doppio delle altre. Ho fatto del mio meglio.

Ruth                         -  (dopo essere passata dalla gioia alla preoc­cupazione, siede un momento pensierosa con il mento appoggiato ai pugni chiusi, poi si alza raggiante di felicita) Bene, bene! Quello che posso dire è che se è venuto per me il momento di dire addio         -  (fa un giro per la stanza quasi con le lacrime agli occhi per la felicità) a questi maledetti muri pieni di crepe... (colpisce i muri) a questi scarafaggi che ci assaltano da tutte le parti... (spazza via un immaginario eser­cito di scarafaggi) a questo stretto stanzino che non è né sarà mai una cucina, allora lo dico forte e per sempre: Hallelujah! e addio, miseria... Non voglio più vedere la tua brutta faccia! (Ride contenta e si strin­ge le braccia per poi riabbassarle lentamente assa­porando la sua felicità; forse per la prima volta da quando è al mondo sente pulsare in sé la vita e non la disperazione) Lena!

Madre                       -  (commossa per la sua felicità) Si, cara.

Ruth                         -  (ansiosa) Ci sarà... là... ci sarà tanta bella luce?

Madre                       -  (piena di comprensione) Si, bambina, c'è tanta bella luce! (Lunga pausa)

Ruth                         -  (riprendendosi e dirigendosi verso la porta della camera) Be', è meglio che mi occupi di Travis. (Alla Madre ) Dio mio, certo oggi non ho voglia di frustare nessuno! (Esce. Ora Madre  e -figlio sono soli. Lunga pausa)

Madre                       - Walter, capisci quello che ho fatto, vero? (Walter è silenzioso e cupo) Oggi... ho visto la mia famiglia sfasciarsi... proprio andare in briciole sotto i miei occhi... non si poteva andare avanti cosi. Si andava indietro invece di andare avanti, pensando di uccidere bambini e augurandoci reciprocamente di morire... Quando nella vita si arriva a questo punto bisogna fare un gesto nuovo, dare uno strattone, fare qualcosa di grosso... (Attende) Vorrei che tu dicessi qualcosa, Walter... vorrei sentirti dire che nel pro­fondo del tuo animo senti che ho fatto bene.

Walter                      -  (attraversa lentamente la stanza e va verso la porta della camera da letto. Finalmente sulla soglia si volta e parla cercando di controllarsi) Perché vuoi sentirti dire che hai fatto bene? Sei tu il capo della famiglia. Tu guidi la nostra vita secondo il tuo volere. Il denaro era tuo e ne hai fatto quello che hai voluto. Perché allora vuoi che ti dica che hai fatto bene? (Amaramente per colpirla il più profondamente possibile) Hai troncato netto un mio sogno... un pez­zo di me stesso... proprio tu che parli sempre dei so­gni dei tuoi figli.

Madre                       - Walter Lee... (Walter si chiude la porta alle spalle. La Madre  rimasta sola, siede pensierosa)

SCENA SECONDA

Venerdì sera, poche settimane dopo. Quando si al­za il sipario alcune casse da imballaggio indicano che la famiglia sta traslocando. Entrano Beneatha e Geor­ge che presumibilmente hanno trascorso la serata fuori.

George                     - Va bene... va bene... come vuoi. (Siedono sul divano. George tenta di baciarla. Beneatha si sco­sta) Senti, abbiamo avuto una bella serata: cerchia­mo di non sciuparla! (Le prende il viso e cerca di scherzare con lei, naso contro naso; di nuovo Benea­tha si volta, non con disgusto ma con improvvisa freddezza e col desiderio di riprendere la conversa­zione)

Beneatha                  - Sto cercando di parlare.

George                     - Ma parliamo sempre!

Beneatha                  - Si, a me piace parlare.

George                     -  (si alza esasperato) Lo so e qualche volta non mi va... voglio che tu la smetta, capisci, tutte queste arie, dico, non mi piacciono. Sei una bella ra­gazza... tutto sommato. Hai solo bisogno d'altro, teso­ro, di lasciar perdere l'atmosfera. I ragazzi non cer­cano l'atmosfera, si accontentano di ciò che vedono e tanto meglio per te. Smetti dunque con quelle arie da Greta Garbo. Non ti si addicono. In quanto a me vorrei una ragazza bella... (cercando le parole) semplice... (pensieroso) raffinata... non un poeta! Ca­pito? (Beneatha lo respinge di nuovo ed egli fa per andarsene)

Beneatha                  - Perché sei in collera?

George                     - Perché è stupido!  Io non esco con te per discutere sulla natura della "calma disperazione" o per ascoltare tutte le tue idee; perché il mondo conti­nuerà a pensare ciò che pensa, indifferente...

Beneatha                  - Perché leggere dei libri, allora? Perché andare a scuola?

George                     -  (con pazienza non naturale, contando sulle dita) È semplice: si leggono dei libri, per impa­rare delle cose, per prendere dei voti, per passare gli esami e per prendere un diploma. Tutto ciò non ha niente a che vedere con le idee. (Lunga pausa)

Beneatha                  - Capisco. (Lunga pausa mentre lo os­serva) Buona notte, George. (George un po' seccato la guarda e fa per uscire, ma si imbatte nella Madre  che sta entrando)

George                     - Oh, buona sera, signora Younger.

Madre                       - Come va, George?

George                     - Non c'è male, grazie. E lei?

 Madre                      - Sono un po' stanca. Tutte queste scale ti ammazzano dopo una giornata di lavoro. Vi siete di­vertiti?

George                     - Si, molto. Be' buona notte. (George esce. La Madre  chiude la porta)

Madre                       - Ciao, piccola. Che fai li seduta?

Beneatha                  - Sto seduta.

Madre                       - Ti sei divertita?

Beneatha                  - No.

Madre                       - No? E perché?

Beneatha                  - Perché George è uno stupido, davvero. (Si alza)

Madre                       -  (indaffarata ad aprire un pacco che aveva portato con sé) Ah, si?

Beneatha                  - Si. (Rimette a posto il letto di Travis)

Madre                       - Allora è meglio che tu non perdi tempo con gli stupidi. (Beneatha guarda la Madre , che sta riponendo nel frigorifero la roba comprata dal dro­ghiere; poi raccoglie le sue cose e si avvia verso la camera. Sulla soglia si volta ancora verso di lei)

Beneatha                  - Mamma...

Madre                       - Si, cara...

Beneatha                  - Grazie.

Madre                       - Di che?

Beneatha                  - Di avermi capito, stavolta. (Esce in fretta, mentre la Madre  rimane in piedi e, sorriden­do appena, continua a fissare il punto dov'era prima Beneatha. Entra Ruth)

Ruth                         - Non stare ad impazzire con tutta questa roba, Lena.

Madre                       - Oh, volevo soltanto mettere da parte cer­te cose. (Suona il telefono e Ruth va a rispondere)

Ruth                         -  (al telefono) Pronto... Un momento. (Va alla porta) Walter, c'è la signora Arnold al telefono. (Aspetta. Torna al telefono. Nervosa) Pronto. Sono la moglie... Sta riposando. Si... domani verrà. È stato molto male. Si, lo so che avremmo dovuto avvertirla, ma pensavamo proprio che stamane potesse venire. Si... scusi... si. Grazie tante. (Riappende. Walter è die­tro di lei sulla soglia) Era la signora Arnold.

Walter                      -  (indifferente) Ah, si?

Ruth                         - Dice che se domani non vai ne cercheran­no un altro...

Walter                      - Oh, che guaio, che terribile guaio!

Ruth                         - Dice che il signor Arnold è stato costretto a girare in taxi per tre giorni... sono tre giorni, Wal­ter, che non vai a lavorare! (È una scoperta per lei) Dove sei stato, Walter Lee Younger? (Walter la guar­da ridendo) Perderai il posto.

Walter                      - Giusto...

Ruth                         - Walter, con tua Madre  che lavora tutto il giorno come un mulo!

Walter                      - Altro guaio... è tutto un guaio.

Madre                       - Cosa hai fatto in questi tre giorni, figlio mio?

Walter                      - Mamma, non hai idea quante cose possa fare un uomo, in questa città, con un po' di tempo a disposizione... Che giorno è... ah, venerdì? Be', merco­ledì mi sono fatto prestare la macchina da Willy Har­ris e sono andato in eriro... tutto solo... ho fatto chilo­metri e chilometri un bel po' fuori città. Poi ho par­cheggiato la macchina e sono rimasto tutto il giorno a guardare le acciaierie. Si, me ne sono stato seduto in macchina a guardare quelle enormi ciminiere nere. Poi sono tornato indietro e sono andato al Green Hat. (Pausa) E giovedì... giovedì ho preso ancora la mac­china e via nella direzione opposta, per ore, fino al Wisconsin, e li ho guardato le fattorie. Guidavo e guardavo le fattorie. Poi sono tornato indietro e sono andato al Green Hat. (Pausa) Oggi... oggi, niente mac­china; ho semplicemente camminato, per tutto il quar­tiere; ho guardato i Negri e loro guardavano me e infine mi sono seduto sul marciapiede all'incrocio del­la 39esima con South Parkway a guardare i Negri passare. E poi di nuovo al Green Hat. Siete tristi, siete giù di corda? E sapete dove vado, adesso?... (Ruth esce)

Madre                       - Oh, Big Walter, è questo il frutto dei no­stri tempi?

Walter                      - Sai cosa mi piace del Green Hat? (Apre la radio e entra nella stanza un blues) Mi piace quell'ometto che soffia nel sassofono. E come soffia. Parla con me ogni tanto. E piccoletto con la testa a pera e con gli occhi quasi sempre chiusi, ed è tutto fatto di musica...

Madre                       - (si alza e tira fuori dalla borsa alcune carte) Walter...

Walter                      - Poi c'è quello che suona il piano... quelli ci sanno fare, voglio dire che sanno tirar fuori qual­cosa dalla musica. Al Green Hat c'è il miglior com­plessino del mondo... Uno se ne sta li a bere e ascol­tando quei tre che suonano si rende conto che al mon­do non c'è niente di meglio che starsene li...

Madre                       - È anche colpa mia se sei cosi, vero Wal­ter? Ho sbagliato.

Walter                      - Nooo, non hai mai sbagliato niente, mamma.

Madre                       - Ascoltami, figliuolo. Ti dico che ho sba­gliato: mi sono comportata con te come tutti gli al­tri. (Tace. Lui si volta a guardarla e i loro occhi si incontrano) Walter, quel che non hai mai capito è che io non ho niente, non posseggo niente e non ho mai desiderato niente, se non per voi. Non c'è nulla di più prezioso per me, nulla cui valga la pena ag­grapparsi, denaro, sogni o che so io, se questo si­gnifica distruggere mio figlio. (Gli mette davanti le sue carte. Walter le guarda senza parlare e senza muo­versi) Ho dato 3500 dollari di caparra per la casa. Ne rimangono 6500. Lunedì mattina voglio che con que­sti soldi tu vada alla banca, metta 3000 dollari in un libretto di risparmio per la scuola di Beneatha e il resto lo depositi in un conto corrente a tuo nome. E d'ora in avanti ogni soldo che uscirà o entrerà di li è affare tuo. Sarai tu a decidere. (Lascia cadere le ma­ni con un senso di sconforto) Non è molto ma è tutto quello che ho al mondo e lo affido a te. Voglio che sia tu il capo famiglia, d'ora in avanti.

Walter                      - (spalanca gli occhi alla vista del danaro) Ti fidi di me fino a questo punto?

Madre                       - Mi sono sempre fidata di te, e ti ho sem­pre voluto bene. (Esce. Walter resta seduto e guarda il denaro. La musica continua. Finalmente con aria decisa, si alza e furiosamente prende dal letto gli in­dumenti da notte del figlio e li scaraventa sul pavi­mento con un grido di disperazione. Poi prende il danaro e esce precipitosamente)

SCENA TERZA

Il giorno del trasloco, una settimana dopo.

A sipario ancora chiuso la voce acuta e drammatica di Ruth spezza il silenzio. Nell'oscurità le sue paro­le "Oh, Dio, non sono affatto stanca! Evviva, ragaz­zi!" esprimono una impetuosa soddisfazione, uno sta­to di fremente attesa. Quando si apre il sipario Ruth è sola nel soggiorno e sta -finendo di imballare roba: è il giorno del trasloco. Chiude e lega casse e scatole. Entra Beneatha, con l'astuccio di una chitarra, e os­serva l'esuberante cognata.

Ruth                         - Ciao!

Beneatha                  - (mettendo via la chitarra) Salve.

Ruth                         - (indicando un pacco) Apri quel pacco, ca­ra, e guarda cosa ho trovato questa mattina alla li­quidazione di South Center. (Si alza e tira fuori dal pacco delle tende) Guarda! Con l'orlo a mano!

Beneatha                  - Come sai che vadano bene per le fine­stre di quella casa?

Ruth                         - (che non ci aveva pensato) Oh, be'... da qualche parte andranno pur bene. E poi era un'occa­sione troppo buona per lasciarsela scappare. (Ruth si batte la fronte ricordando improvvisamente qual­cosa) Oh, Bennie, volevo mettere un biglietto su quel­la cassa: è il servizio buono di porcellana e tua Madre  vuole che sia trattato con riguardo.

Beneatha                  - Lo faccio io. (Beneatha, trovato un pez­zo di carta, vi scrive sopra a caratteri cubitali)

Ruth                         - Sai cosa farò appena entrata nella nuova casa?

 Beneatha                 - Cosa?

Ruth                         - Cara mia, voglio riempire la vasca da ba­gno fino all'orlo e starmene dentro l'acqua calda fin­ché sono stufa e il primo che bussa alla porta e mi dice di spicciarmi...

Beneatha                  - Sarà fucilato all'alba!

Ruth                         - (ridendo allegra) Hai indovinato, sorella! (Notando la distrazione di Beneatha) Ma, cara, non devono mica leggerlo da un aeroplano!

Beneatha                  - (ridendo) Si vede che per me le cose per essere efficaci devono essere grandi!

Ruth                         - (guarda sorridendo) Pare che tu e tuo fra­tello abbiate in comune questa teoria. Dio mio, com'è cambiato quel ragazzo da un po' di tempo in qua!  Sai cosa abbiamo fatto ieri sera io e Walter?

Beneatha                  - Cosa?

Ruth                         - (sorride) Siamo andati al cinema. E sai quando c'eravamo andati l'ultima volta?

Beneatha                  - No.

Ruth                         - Neanch'io, tanto era il tempo. (Sorridendo di nuovo) Ma ieri sera siamo andati. Il film non era granché, ma ci siamo divertiti lo stesso. Ci tenevamo... mi teneva la mano.

Beneatha                  - Oh, Dio!

Ruth                         - Ci tenevamo per mano e poi... quando sia­mo usciti dal cinema, era tardi, e buio e tutti i nego­zi erano chiusi... faceva freschino e c'era poca gente in giro, cosi abbiamo continuato a camminare tenen­doci per mano, io e Walter.

Beneatha                  - Impossibile!  (Entra Walter con un gros­so pacco. La sua grande contentezza gli impedisce di star fermo. Posa il pacco in un angolo, va a mettere un disco sul giradischi e appena comincia la musica si avvicina saltellando a Ruth, invitandola a ballare. Dopo varie proteste Ruth si lascia trascinare e balla­no come quando erano ragazzi. Beneatha li guarda ballare poi urla un commento) E poi si parla di Ne­gri all'antica!

Walter                      - (fermandosi) Negri, come? (È di buon umore: oggi non può arrabbiarsi né con lei né con nessun altro. Ricomincia a ballare con la moglie)

Beneatha                  - All'antica.

Walter                      - (mentre balla) Quando questi Nuovi Ne­gri faranno il loro congresso... (indicando la sorella) quella sarà la presidentessa del Comitato di Agita­zione Permanente. (Continua a ballare ancora per un poco, poi smette) Razza, razza, razzai... Credo davve­ro che tu sia la prima persona nella storia dell'uma­nità che abbia eseguito con successo il lavaggio del proprio cervello. (Riprende a ballare, poi si interrom­pe di nuovo divertito dal suo spirito canzonatorio) Ac­cidenti! Persino quelli dell'Associazione per il pro­gresso della gente di colore si divertono ogni tanto! (Le due donne ridono. Walter danza ancora un po'. Mima un chirurgo al tavolo operatorio) Mi pare di vederla questa matta, china su un povero diavolo al tavolo operatorio e chiedergli, prima di farlo a fette: "A proposito, cosa ne pensa lei dei diritti civili?" (Ri­prende a ballare soddisfatto. Suona il campanello del­la porta d'ingresso)

Beneatha                  - Le tue parole non mi toccano! (Poi va ad aprire la porta mentre gli altri due continuano a ballare. Rimane sorpresa trovandosi davanti un ometto bianco, di mezza età, in doppio petto grigio, che tiene in una mano cartella e cappello e nell'altra un fo­glietto di carta che sta consultando)

L'Uomo                    - Oh, buon giorno signorina. C'è la signo­ra... (dà un'occhiata al foglietto) la signora Lena Younger?

Beneatha                  - (Imbarazzata, passandosi una mano sui ca­pelli) Ah, si, mia Madre . Mi scusi. (Chiude la porta e si volta verso i due) Ruth! Walter! c'è gente. (All'uomo) Prego, si accomodi.

L'uomo                     - (entrando) Grazie.

Beneatha                  - Mia Madre  in questo momento è fuori. Si tratta di affari?

L'Uomo                    - Si... be', in certo qual modo...

Walter                      - (disinvolto, con fare da capo famiglia) Si sieda, la prego. Io sono il figlio della signora Younger. Sono io che mi occupo di quasi tutti i suoi interessi. (Ruth e Beneatha si scambiano un'occhiata di­vertita)

L'uomo                     - (sedendo) Il mio nome è Karl Lindner...

Walter                      - (tendendogli la mano) Walter Younger, piacere. Mia moglie. (Ruth fa un c.enno col capo) Mia sorella.

Lindner                    - Piacere.

Walter                      - (sedendo un po' piegato in avanti, con una certa impazienza) Siamo a sua disposizione, signor Lindner.

Lindner                    - (un po' imbarazzato dalla cartella e dal cap­pello) Ecco... sono qui come rappresentante dell'Associazione per il Miglioramento di Clybourne Park...

Walter                      - Non vuol posare cartella e cappello per terra?

Lindner                    - Oh, già. Grazie. (Fa scivolare cartella e cappello sotto la seggiola) Dunque, dicevo che sono dell'Associazione per il Miglioramento di Clybourne Park e alla nostra ultima riunione ci è stato segna­lato che voi, o almeno vostra Madre , avete comprato una proprietà residenziale al... (cercando un fogliet­to) al quattro o al sei di Clybourne Street...

Walter                      - Esatto. Vuole qualcosa da bere? Ruth, of­fri una birra al signor Lindner.

Lindner                    - (agitato) Oh, no, davvero, insomma gra­zie tante, ma non voglio niente.

Ruth                         - (innocente) Un caffè?

Lindner                    - Grazie, niente davvero. (Beneatha lo fis­sa attentamente)

Lindner                    - Be', non credo che voialtri sappiate co­s'è la nostra organizzazione. (È un uomo civile, gar­bato e dai modi un po' ricercati) È una di quelle or­ganizzazioni collettive create per badare... che so, alla manutenzione dell'isolato e a eventuali lavori straordinari; e poi abbiamo anche quello che noi chia­miamo Comitato per l'ambientazione dei Nuovi Vi­cini...

Beneatha                  - (secca) Già... e cosa fanno quelli del Comitato?

Lindner                    - (voltandosi appena verso di lei, ma rivolgen­dosi subito di nuovo a Walter) Be', penso che si potrebbe definirlo una specie di Comitato per le acco­glienze. Noi del Comitato, anzi io che ne sono il pre­sidente vado a trovare i nuovi arrivati e in un certo senso spiego loro le norme che regolano la nostra vita a Clybourne Park.

Beneatha                  - (che a differenza di Ruth e di "Walter, ha già capito dove vuole andare a parare) Già, già.

Lindner                    - E abbiamo anche un reparto per quelli che l'associazione chiama i problemi speciali della comunità...

Beneatha                  - Che sarebbero?...

Walter                      - Lascialo finire!

Lindner                    - (con un certo sollievo) Grazie. Preferirei spiegare la cosa a modo mio, voglio dire che è forse meglio spiegarla in un certo modo.

Walter                      - Dica pure.

Lindner                    - Ecco, dunque: cercherò di arrivare su­bito al nocciolo della questione. Sono sicuro che alla lunga su questo saremo tutti d'accordo.

Beneatha                  - Si.

Walter                      - Stattene quieta.

Lindner                    - Dunque...

Ruth                         - (sempre innocentemente) Vorrebbe forse un'altra seggiola... mi sembra non stia comodo.

Lindner                    - (più scoraggiato che seccato) No, grazie infinite. Prego. Dunque... Per arrivare al punto che ci interessa, comincerò... (un profondo respiro e final­mente sputa il rospo) comincerò col dire che certo voi tutti sarete al corrente di alcuni incidenti acca­duti in vari quartieri della città quando la gente di colore è andata a abitare in determinate zone... (Be­neatha respira rumorosamente e comincia a gioche­rellare con un frutto) E allora, poiché abbiamo quel­lo che credo sia un organismo unico nella vita comu­nitaria americana, noi non solo deploriamo questo ge­nere di incidenti, ma cerchiamo anche di far qualcosa per evitarli. (Beneatha smette di giocherellare e lo osserva incuriosita) Siamo convinti... (acquista fidu­cia nella sua missione dall'interesse che legge sui volti degli ascoltatori) ... siamo convinti che la maggior parte dei guai che capitano nella vita, a voler guar­dar bene... (si dà un colpetto sul ginocchio per dar forza al suo discorso) che la maggior parte di questi guai capitano perché gli uomini non si decidono a discutere tranquillamente uno con l'altro.

Ruth                         - (annuendo)È proprio vero, signore.

Lindner                    - (incoraggiato) Nella vita non ci sforziamo abbastanza di capire il punto di vista degli altri. I] punto di vista del nostro prossimo.

Ruth                         - Come ha ragione! (Beneatha e Walter si limitano ad ascoltare interessati)

Lindner                    - È cosi che la pensiamo a Clybourne Park. Ed è questa la ragione per cui sono stato mandato qui a parlare con voi. A parlare da amico, capite, come sempre bisognerebbe fare, per vedere di trovare in­sieme una soluzione al problema. Come ho detto tutto sta nell'aver a cuore l'interesse degli altri. Chiunque sono certo si accorgerebbe che siete una brava fami­glia di gente che lavora duro e onestamente. (Benea­tha aggrotta leggermente la fronte e piega la testa per guardarlo meglio) Oggi tutti sanno cosa significhi es­sere tenuti al di fuori di qualcosa. E naturalmente c'è sempre qualcuno pronto ad approfittare di chi non se ne rende bene conto.

Walter                      - Cosa intende dire?

Lindner                    - Ecco... vede, la nostra comunità è fatta di gente che ha lavorato accanitamente per anni per mettere insieme questo piccolo centro. Non è gente ricca o elegante; sono soltanto onesti lavoratori che praticamente posseggono solo quelle loro casette e il miraggio di un ambiente ideale nel quale far crescere i figli. Non dico che siano perfetti, anzi molti dei loro desideri sono sbagliati. Ma bisogna riconoscere che un uomo, a torto o a ragione, ha il diritto di pretendere che l'ambiente in cui vive sia di un certo tipo. E cosi come stanno le cose, la stragrande maggioranza di co­loro che abitano là, pensa che l'armonia sia più facile se tutti hanno la stessa origine. Vi prego di creder­mi quando vi dico che i pregiudizi razziali non c'en­trano. La gente di Clybourne Park crede semplicemen­te, a torto o a ragione, come ho detto, che per la feli­cità di tutti, le nostre famiglie negre siano più felici nelle loro comunità.

Beneatha                  - (con un gesto largo e amaro) Ecco, amici, il Comitato per le Accoglienze!

Walter                      - (inebetito a Lindner) E avete fatto tutta questa strada per venirci a dire questo?

Lindner                    - Be', stiamo parlando, no, e spero che mi vorrete ascoltare fino in fondo.

Walter                      - E allora, avanti.

Lindner                    - Ecco, vede, relativamente a tutto quello che vi ho detto, siamo disposti a farvi un'ottima of­ferta...

Beneatha                  - Trenta denari e non un centesimo di meno!

Walter                      - Si?

Lindner                    - (inforcando gli occhiali e cercando un mo­dulo nella cartella) La nostra associazione è dispo­sta, grazie allo sforzo di tutta la collettività, a ricom­prare la casa con un margine di guadagno per voi.

Walter                      - Allora, ha finito?

Lindner                    - Be', vorrei precisarvi le condizioni di questa transazione finanziaria.

Walter                      - Non vogliamo conoscere nessuna condi­zione di nessuna transazione, voglio solo sapere se ha altro da dirci sulla fratellanza.

Lindner                    - (togliendosi gli occhiali) Be', non credo che lei pensi...

Walter                      - Non si preoccupi di quello che penso... ha niente altro da dirmi sul fatto che gli uomini do­vrebbero discutere tranquillamente fra loro? Fuori da questa casa! (Si volta e si avvia alla porta)

Lindner                    - (raccogliendo cartella e cappello) Dav­vero non capisco perché reagiate in questo modo. Cosa credete di ottenere andando ad abitare in un quartiere dove non siete desiderati e dove ci sono elementi - be'- c'è chi si esaspera quando si ac­corge che la sua concezione di vita e tutto quello che si è costruito col lavoro, è calpestato.

Walter                      - Fuori!

Lindner                    - (sulla porta con un biglietto da visita in mano) Eh, mi dispiace che sia finita cosi.

Walter                      - Fuori!

Lindner                    - (guardando Walter quasi con tristezza.) Ragazzo mio, lei non può costringere la gente a cam­biare la propria natura. (Mette il biglietto sul tavolo. Walter chiude la porta con rabbia e rimane fermo a guardarla. Ruth e Beneatha sono immobili, la prima seduta e la seconda in piedi. Tacciono. Entrano la Madre  e Travis)

Madre                       - Come, tutto qui quello che avete fatto da quando sono uscita? Dio mi è testimone: i miei figli hanno l'energia di un morto. A che ora devono venire gli uomini del trasloco?

Beneatha                  - Alle quattro. Mamma, c'è stata una visita per te. (Sorride ironica)

Madre                       - Niente di strano. Chi era?

Beneatha                  - Il Comitato per le Accoglienze. (Walter e Ruth ghignano)

Madre                       - Chi?

Beneatha                  - Il Comitato per le Accoglienze. Dicono che saranno felicissimi di averti li.

Walter                      - Già, pare che non vedano l'ora di ve­dere come sei fatta. (Ride)

Madre                       - (intuendo che non si tratta di uno scherzo) Ma cosa avete?

Walter                      - Noi, niente. Stiamo parlando del signore che è venuto a trovarti poco fa, dell'Associazione per il Miglioramento di Clybourne Park.

Madre                       - Cosa voleva?

Ruth                         - Darti il benvenuto, cara.

Walter                      - Ha detto che sono molto impazienti, ha detto che là a Clybourne sentivano proprio la man­canza di una bella famigliola negra. (A Ruth e Benea­tha) Vero, no?

Ruth e Beneatha      - (ironiche) Certo, e ha lasciato il suo biglietto da visita per ogni eventualità. (Indi­cano il biglietto; la Madre  lo prende e lo getta a terra. Ha capito; ora guarda nel vuoto, e trascina la sua sedia vicino al tavolo su cui ha messo la pian­tina e alcune corde)

Madre                       - O cielo, dacci forza! (Agli altri) Ci ha mi­nacciati?

Beneatha                  - Oh, Mamma, non usano questo sistema. Ha parlato di fratellanza. Ha detto che gli uo­mini dovrebbero imparare a sedersi uno accanto all'altro odiandosi con vero spirito cristiano. (Walter e Beneatha si stringono la mano per sottolineare l'ironia della battuta)

Madre                       - (triste) Signore, proteggici.

Ruth                         - Sapessi quanto denaro ha raccolto quella gente per ricomprare da noi la casa: l'intera somma e qualcosa in più.

Beneatha                  - Cosa hanno paura... che li mangiamo?

Ruth                         - No, cara, che li sposiamo.

Madre                       - (scuotendo la testa) Oh Dio, Dio, Dio...

Ruth                         - Be'... cosi va il mondo.

Beneatha                  - (sorride osservando la Madre ) Mamma, che fai?

Madre                       - Sistemo la piantina perché non si sciupi nel trasloco...

Beneatha                  - Vuoi portare quel brutto vecchiume nella nuova casa, mamma?

Madre                       - (si ferma e la guarda) Toccata, signorina! (Walter improvvisamente va dietro la Madre  e la stringe fra le braccia con tutte le sue forze. Essa, col­ta di sorpresa, è felice ma si comporta come Ruth con Travis)

Madre                       - Attento, ragazzo, mi fai rovinare la pianta!

Walter                      - (il suo volto si illumina; si lascia scivolare in ginocchio sempre circondandole la vita con le brac­cia) Mamma, tu sai cosa significa tener alta la bandiera!

Madre                       - (brusca e felice) Scansati, ora.

Ruth                         - (vicina al pacco che contiene il regalo, cerca di attirare l'attenzione di Walter) Psst, psst...

Walter                      - Come dice la vecchia canzone, Mamma?...

Ruth                         - Walter... ora? (Indica il pacco)

Walter                      - (con dolcezza e con pena) "Io ho le ali... tu hai le ali... tutti i figli di Dio hanno le ali..."

Madre                       - Scansati, ragazzo e fa' qualcosa di utile...

 Walter                     - "E quando andrò in cielo, metterò le mie ali e volerò per tutto il cielo del Signore."

Beneatha                  - (canzonandolo) Tutti quelli che par­lano del cielo, finiscono per non andarci.

Walter                      - (a Ruth che sta avvicinandosi col pacco) Ma, credi che dobbiamo proprio darglielo? A me sembra che non ci apprezzi abbastanza.

Madre                       - (notando il pacco che è palesemente un re­galo) Cos'è?

Walter                      - (lo prende e lo posa sulla tavola davanti alla Madre ) Be'... che ne dite, dobbiamo darglielo?

Ruth                         - Oh, è stata abbastanza buona oggi.

Beneatha                  - Aprilo, mamma. (La Madre , in piedi li guarda tutti e congiunge le mani stringendosele forte, ma non apre il pacco)

Walter                      - (dolcemente) Aprilo, mamma: è per te. (La Madre  lo guarda negli occhi; è la prima volta che riceve un regalo in epoca non natalizia. Apre il pacco lentamente e ne estrae uno alla volta una serie di lucenti attrezzi da giardinaggio) Il biglietto l'ha scritto Ruth... leggilo.

Madre                       - (estraendo il biglietto e aggiustandosi gli oc­chiali sul naso) Alla nostra signora Miniver, con af­fetto da Walter, Ruth e Beneatha. Che bellezza!

Travis                       - (tirando il padre per la manica) Papà, posso darle anche il mio adesso?

Walter                      - Certo, ragazzo. (Travis si precipita a prendere il pacco) Travis non ha voluto unirsi a noi; vuol farti un regalo per conto suo. (Divertito) Non sap­piamo cosa sia...

Travis                       - (arrivando di corsa con una scatola da cap­pelli e posandola davanti alla nonna) Ecco!

Madre                       - Per carità, bambino mio, non avrai com­prato un cappello alla nonna?

Travis                       - (molto fiero) Apri. (La Madre  apre e tira fuori un grande e complicato cappello da giardino e tutti, vedendolo, hanno esclamazioni varie)

Ruth                         - Travis, tesoro mio, ma cos'è?

Travis                       - (convinto che sia bello e adatto) È un cappello per quando si lavora in giardino, come quel­li che si vedono sui giornali in testa alle signore.

Beneatha                  - Travis... volevamo fare di nostra Madre  una signora Miniver, non una Rossella O'Hara!

Madre                       - (indignata) Ma che avete, voi? È un cap­pello bellissimo! L'ho sempre desiderato. (Si ficca il cappello in testa: è assolutamente ridicolo e davve­ro troppo grande)

Ruth                         - Magnifico, mamma!

Walter                      - (piegato in due dal gran ridere) Mi di­spiace, mamma, ma sembri proprio pronta per la raccolta del cotone. (Tutti ridono, tranne la Madre  che non vuole urtare i sentimenti di Travis)

Madre                       - (attirando a sé il bambino) Che Dio ti be­nedica! Questo è il più bel cappello che abbia mai avuto. (Walter, Ruth e Beneatha si avvicinano con aria di festa, complimentandosi insinceramente con Travis per la sua scelta) Ma perché stiamo tutti in piedi? Non abbiamo ancora finito di imballare. Bennie, non hai ancora messo via nemmeno un libro. (Suona il campanello della porta d'ingresso)

Beneatha                  - Non possono essere quelli del traslo­co... non sono nemmeno le due. (Va in camera sua. La Madre  va ad aprire)

Walter                      - (voltandosi) Aspetta, aspetta, vado io. (Si alza e guarda la porta)

Madre                       - Stai aspettando qualcuno?

Walter                      - (sempre fissando la porta) Si... si. (La Madre  e Ruth si scambiano un'occhiata innocente)

Madre                       - Be', fa' entrare, Walter.

Beneatha                  - (dalla sua camera) Ci vuole dell'altra corda.

Madre                       - Travis, fai una corsa a comprare un po' di corda. (La Madre  esce e Walter guarda Ruth. Tra­vis cerca dei soldi in una scatoletta)

Ruth                         - Perché non apri?

Walter                      - (balzando verso di lei) Perché qualche volta è difficile dare il via all'avvenire! (Avvicinando il viso a quello di lei) "Io ho le ali, tu hai le ali, tut­ti i figli di Dio hanno le ali." (Va alla porta e la spalanca. Si trova davanti un ometto smilzo, con un vestito alquanto logoro, lo sguardo un po' stralunato e il cappello calcato sulla fronte. Travis passa fra i due per uscire. Walter ancora preso dalla gioia si piega un poco verso il nuovo arrivato) "Quando arri­verò in cielo, metterò le ali e volerò per tutto il cielo." (L'ometto lo guarda con gli occhi sbarrati) In cielo... (Tace improvvisamente e guarda oltre l'uomo nel vuoto) Dov'è Willy, amico?

Bobo                        - Non è venuto con me.

Walter                      - (tranquillo) Ah, entra; conosci mia mo­glie, no?

Bobo                        - (togliendosi il cappello) Si... buongiorno si­gnora Ruth.

Ruth                         - Salve, Bobo.

Walter                      - Sei appena in tempo, appena in tempo. (Gli dà una manata sulla schiena) Siediti e racconta. (Ruth se ne sta rigida alle loro spalle, come avesse un brutto presentimento: ha gli occhi fissi sul ma­rito)

Bobo                        - (con gli occhi a terra e il cappello in mano) Potrei avere un bicchier d'acqua, prima di parlare, Walter? (Walter non gli distoglie gli occhi di dosso, mentre Ruth va a prendere un bicchier d'acqua e lo porta a Bobo)

Walter                      - Non è successo niente, vero?

Bobo                        - Lascia che ti dica....

Walter                      - Ehi, amico... c'è qualcosa che non va?

Bobo                        - Lascia che ti dica... Walter. (Guardando Ruth e rivolgendosi più a lei che a Walter) Sai come era stato stabilito. Devo dirtelo, cioè devo dirti come sono andate le cose fin dall'inizio, voglio dire... di quei soldi che ci ho messo...

Walter                      - (agitato) Che soldi...?

Bobo                        - Be'... non è proprio come ti abbiamo detto-io e Willy... (Pausa) Mi dispiace, Walter, avevo un cattivo presentimento, proprio cattivo...

Walter                      - Senti, perché mi racconti queste storie? Dimmi cosa è successo a Springfield...

Bobo                        - Springfield...

Ruth                         - (come un automa) Cosa doveva succedere a Springfield?

Bobo                        - (a Ruth) Si tratta che io e Walter ci siamo messi con Willy... Io e Willy dovevamo andare a Springfield a distribuire un po' di soldi qua e là in modo da avere prima la licenza del bar... ecco cosa dovevamo fare. Dicono tutti che bisogna far cosi, ca­pisce, signora Ruth?

Walter                      - Allora, cosa avete fatto?

Bobo                        - (sta quasi per piangere) Ma te lo sto di­cendo, Walter...

Walter                      - (urlando) E allora dimmelo, maledizio­ne... cosa ti prende?

Bobo                        - Walter... non sono andato per niente a Springfield, ieri.

Walter                      - (senza fiato) Perché?

Bobo                        - (è duro arrivare in fondo) Perché non avevo motivo di andarci...

Walter                      - Ma che stai dicendo?

Bobo                        - Dico che quando ieri mattina sono andato alla stazione - alle otto com'era stabilito - be', Walter... Willy non si è fatto vivo...

Walter                      - Come?... dov'era... dov'è?

Bobo                        - È quello che sto cercando di dirti... non lo so... ho aspettato sei ore... ho telefonato a casa sua... e ho aspettato... sei ore, sei ore in quella stazione... (Scoppiando a piangere) Tutti i miei risparmi. (Guar­dando Walter, mentre le lacrime gli rigano il volto) Walter, Willy se n'è andato!

Walter                      - Andato, cosa vuol dire, andato? Andato dove? Vuoi dire che se ne è andato per conto suo... a brigare per la licenza... (Si volta e guarda ansioso Ruth) Pensava forse che era meglio essere solo in quell'affare. (Guarda di nuovo Ruth) Sai, Willy ha le sue idee. (Guarda Bobo) Forse tu eri in ritardo e lui è semplicemente partito senza di te. Forse... forse ti avrà cercato a casa per avvertirti o... che so... forse stava male. Da qualche parte sarà... deve pur esserci. Dobbiamo trovarlo... dobbiamo cercarlo, io e te. (Pren­de Bobo per la giacca e comincia a scuoterlo) Dob­biamo!

Bobo                        - (improvvisamente irato e spaventato) Ma che ti prende, Walter! Quando uno se ne va col tuo denaro, non ti lascia il suo indirizzo!

Walter                      - (come impazzito e come se cercasse Willy in quella stanza) Willy!... Willy non farlo... ti sup­plico non farlo... non con quei soldi... ti prego, quei soldi no. Oh, Dio mio, fa' che non sia vero... (Gira per la stanza chiamando Willy) Willy avevo fiducia in te... ho messo la mia vita nelle tue mani... (Si butta a terra mentre Ruth si copre il viso con le mani. La Madre  entra seguita da Beneatha) Willy... (Batte i pu­gni sul pavimento, singhiozzando sfrenatamente) Mio padre ha sputato sangue per mettere insieme quei soldi.

Bobo                        - (in piedi vicino a lui non sa che fare) Mi dispiace, Walter... (Walter singhiozza, Bobo si mette il cappello) Anch'io avevo puntato tutta la mia vita in quell'affare... (Esce)

Madre                       - (a Walter) Figlio mio. (Gli si avvicina, si china su di lui) Figlio mio, è sparito tutto? Walter... ti avevo dato 6500 dollari. Sono spariti? Tutti? Anche i soldi per Beneatha?

Walter                      - (rialzando lentamente la testa) Mamma... non sono mai andato alla banca...

Madre                       - (non gli vuol credere) Vuoi dire che... hai preso anche il denaro per la scuola di tua sorella-Walter...

Walter                      - Sili!... Tutto... tutto... sparito... (Silenzio assoluto. Ruth è in piedi con le mani sul viso; Be­neatha si appoggia alla parete, giocando con un pez­zetto di nastro. La Madre  guarda il figlio come se non lo vedesse poi, quasi automaticamente, incomin­cia a schiaffeggiarlo. Beneatha corre a separarli)

Beneatha                  - Mamma! (La Madre  si arresta improv­visamente, guarda i suoi due figli e si allontana bar­collando)

Madre                       - Ogni sera... ogni sera lo vedevo rientra­re... guardare il tappeto... poi me... con gli occhi ros­si... le vene che gli battevano le tempie... l'ho visto dimagrire e diventar vecchio ancora prima dei quarant'anni... lavorare, lavorare come un mulo... am­mazzarsi... e tu hai buttato tutto dalla finestra in un sol giorno...

Beneatha                  - Mamma...

Madre                       - Oh mio Dio... (Alzando gli occhi al cielo) Guarda quaggiù... e dammi forza.

Beneatha                  - Mamma...

Madre                       - (incrociando le braccia al petto) Dammi la forza...

Beneatha                  - (implorante) Mamma...

Madre                       - Dammi forza...

ATTO TERZO

Un'ora dopo. All'aprirsi del sipario la scena è il­luminata, da una luce tetra e grigia simile a quella della prima scena del primo atto. A sinistra si vede Walter solo nella stanza; è steso sul letto con la ca­micia portata fuori dai pantaloni e le braccia ripie­gate sotto la nuca. Non fuma, non parla, se ne sta semplicemente li a guardare il soffitto quasi fosse solo al mondo. Nel soggiorno Beneatha siede alla ta­vola ancora circondata dalle casse d'imballaggio che hanno ora un aspetto quasi sinistro. Guarda nel vuo­to, è ancora nello stato d'animo di un'ora fa, avvolta nella sua profonda delusione. È in fondo lo stesso at­teggiamento del fratello. Suona il campanello e Be­neatha va ad aprire con indifferenza. Asagai si preci­pita nella stanza con un largo sorriso pieno di ener­gia e di entusiasmo.

Asagai                      - Avevo un momento libero... e sono ve­nuto: forse potrei aiutarvi a imballare. Oh, come mi piacciono le casse da imballaggio! Tutta una casa che si prepara per un viaggio! Ci son quelli che si deprimono... ma io... provo una sensazione diversa, la sensazione di un flusso di vita, capisci? Movimen­to, progresso... mi fa pensare all'Africa.

Beneatha                  - All'Africa!

Asagai                      - Ma che ti prende? Lo sai, vero, quanta tenerezza provo per te?

Beneatha                  - Asagai, ha perso il denaro...

Asagai                      - Che denaro? E chi l'ha perso?

Beneatha                  - Il denaro dell'assicurazione. Mio fra­tello l'ha perso.

Asagai                      - Come, perso?

Beneatha                  - Ha fatto un investimento, con un uo­mo di cui non si sarebbe fidato neanche Travis.

Asagai                      - Sicché è sparito?

Beneatha                  - Sparito!

Asagai                      - Mi dispiace molto... e tu, ora?

Beneatha                  - Io?... Io non sono niente... io. Quando eravamo piccoli... d'inverno tiravamo fuori le nostre slitte, ma le uniche montagnole a nostra disposizione erano gli scalini coperti di ghiaccio delle case della nostra strada e che coprivamo di neve per farne una pista liscia sulla quale andare su e giù tutto il gior­no... Era molta pericoloso, sai, ripida com'era... e poi un giorno un ragazzino che si chiamava Rufus venne giù troppo forte e andò a sbattere sul marciapiede... ce lo siamo visto li davanti con la faccia spaccata e ricordo che guardando quella larga ferita sanguinante pensavo che per Rufus era la fine; ma poi venne l'ambulanza, lo portarono in ospedale, lo cucirono dappertutto, gli aggiustarono le ossa rotte e quando lo rividi aveva solo un piccolo segno in mezzo al volto... Allora capii che...

Asagai                      - Che cosa?

Beneatha                  - Che ciò che un uomo può fare per un altro è rimetterlo insieme, farlo funzionare di nuovo: la cosa più meravigliosa del mondo... ed era questo che volevo fare perché ho sempre pensato che è l'at­tività più concreta che uno possa svolgere. Rimettere in sesto i malati, capisci, renderli di nuovo completi: veramente è come essere Dio...

Asagai                      - Volevi essere Dio?

Beneatha                  - No. Volevo guarire la gente, era es­senziale per me... volevo curare, era molto impor­tante. Allora la gente mi stava a cuore, i loro corpi sofferenti, voglio dire...

Asagai                      - E ora non più?

Beneatha                  - Non credo.

Asagai                      - Perché?

Beneatha                  - Perché non mi sembra abbastanza pro­fondo, abbastanza vicino alla verità.

Asagai                      - La verità? Perché voi disperati credete di essere i soli a possedere la verità? Non immagi­navo che anche tu potessi essere cosi. Ma come? Tuo fratello ha commesso uno stupido errore da bambino e tu gli sei grata perché cosi ora, per merito suo, puoi abbandonare l'umanità sofferente. Incomincia a chiederti a cosa serve lottare; ma c'è qualcosa che serve? E dove vogliamo arrivare? E perché ci preoc­cupiamo?

Beneatha                  - E tu non sai dare una risposta! Tutti i tuoi discorsi e i tuoi sogni sull'Africa e sull'indipen­denza. Indipendenza e poi? Che ne dici di tutti gli imbroglioni, i ladruncoli, o semplicemente i cretini che verranno a galla e ruberanno e faranno man bas­sa esattamente come prima... con la sola differenza che questa volta saranno negri e lo faranno in nome dell'indipendenza?... Non sai che rispondere.

Agasai                      - (urlando) La mia vita è la risposta! (Pausa) Nel mio villaggio l'uomo che sa leggere il giornale... o che ha visto almeno una volta un libro, è un'ecce­zione. Quando andrò al mio paese, la maggior parte delle cose che dirò sembreranno strane persino alla mia gente... ma insegnerò e lavorerò e qualcosa si muoverà lentamente e continuamente; certe volte sembrerà che tutto rimanga fermo... e poi di nuovo gli improvvisi drammatici eventi che fanno fare un balzo in avanti alla storia, e poi ancora la calma, forse anche il regresso: mitra, uccisioni, rivoluzione. Mi ca­piterà forse di pensare che la calma era meglio di tutte queste distruzioni e di questo odio. Ma girerò per il villaggio, e vedendo l'ignoranza, la miseria, le malattie i dubbi scompariranno. Forse... diventerò un grand'uomo... voglio dire che forse riuscirò a non allontanarmi dalla verità e a percorrere la mia stra­da nella giusta direzione... e può darsi che per questo una notte i servi dell'impero mi sgozzeranno nel mio letto...

Beneatha                  - Il martire!

Asagai                      - ...O forse vivrò molto a lungo e sarò un vecchio rispettato e stimato nel mio nuovo paese... forse invece occuperò una carica ed è questo che sto cercando di farti capire, Alaiyo; forse ciò che ora ritengo opportuno per il mio paese, si rivelerà sbagliato e sorpassato, ma io potrei non capire e commettere errori enormi per far andare le cose come voglio io o semplicemente per non perdere il potere. Non capisci che allora saranno i giovani ne­gri, miei compatrioti, non i soldati inglesi a saltar fuori dall'ombra una sera per tagliarmi la gola or­mai inutile? Non capisci che sono sempre stati li... e che ci saranno sempre e che anche un fatto come la mia uccisione, può significare un passo avanti?! È il pensiero di coloro che potrebbero anche ucci­dermi... che mi dà veramente forza!

Beneatha                  - Oh, Asagai sono tutte cose che so.

Asagai                      - Bene, allora smetti di brontolare e dimmi cosa conti di fare.

Beneatha                  - Fare?

Asagai                      - Avrei un'idea da proporti.

Beneatha                  - Quale?

Asagai                      - (con relativa calma) Che quando tutto sarà finito... tu venga a casa con me.

Beneatha                  - (equivocando si irrita e si porta una mano alla fronte) Oh, Asagai, ti pare il momento di fare il romantico!

Asagai                      - (intuendo subito l'equivoco) Mia cara gio­vane creatura del nuovo mondo... non intendo dall'al­tra parte della città, ma dall'altra parte dell'oceano: a casa... in Africa.

Beneatha                  - (rendendosi conto lentamente si volta ver­so di lui e mormora strabiliata) In... in Nigeria?

Asagai                      - Si!  (Sorridendo e agitando scherzosamente le braccia) Trecento anni dopo il principe africano emerse dai mari e riportò la fanciulla attraverso il sentiero dal quale erano passati i suoi antenati...

Beneatha                  - (incapace di stare allo scherzo) Nigeria?

Asagai                      - Nigeria. La patria. (Avvicinandosi a lei, ro­manticamente) Ti mostrerò le nostre montagne; ber­rai l'acqua tenuta al fresco nelle zucche, e ti inse­gnerò le vecchie canzoni e le usanze del nostro popo­lo. Col tempo potremo fingere che tu ti sia allontana­ta soltanto per un giorno. (Beneatha gli volge le spal­le pensierosa. Lui la costringe a voltarsi e la stringe a sé con passione)

Beneatha                  - (respingendolo) Sono troppo confusa...

Asagai                      - Perché?

Beneatha                  - Troppe... troppe cose sono accadute og­gi. Devo riflettere. In questo momento non ho idee chiare su niente. (Siede e appoggia il mento sul pu­gno)

Asagai                      - (affascinato) E va bene, me ne vado. No, non alzarti. (Toccandola gentilmente e affettuosamen­te) Ecco, sfattene un po' seduta a pensare... Non fa mai male starsene seduti a pensare. (Va alla porta e guardando Beneatha) Quante volte ti guardavo e mi dicevo "Ah, dunque è questo ciò che il nuovo mondo è arrivato a produrre..." (Esce, Beneatha rimane se­duta. Poi entra Walter dalla sua stanza e comincia a frugare fra le sue cose cercando febbrilmente qual­cosa. Lei alza gli occhi e si agita sulla seggiola)

Beneatha                  - (aspramente) Si, guarda ciò che il nuovo mondo è arrivato a produrre!... Si, guardalo! (Fa gesti di amaro disgusto) Eccolo qua! Monsieur le petit bourgeois noir - in persona eccolo qui - il simbolo di una classe in ascesa! L'imprenditore! il titano del sistema!  (Walter ignorandola completamen­te continua la sua frenetica ricerca buttando oggetti per terra o spostandoli. Beneatha non bada alla sua strana condotta e prosegue il proprio monologo) Hai sognato i panfili sul lago Michigan, fratello? Ti sei forse visto nel Gran Giorno seduto intorno al tavolo della conferenza fra tutte le più grosse teste pelate d'America? Tutti fermi ad aspettare col fiato sospeso le tue solenni dichiarazioni sull'industria? Ad aspet­tare te, presidente dell'assemblea? (Walter, che ha trovato quello che stava cercando, un pezzetto di carta bianca, se lo -ficca in tasca ed esce precipitosamente senza nemmeno dare un'occhiata a Beneatha che gli grida dietro) Quando guardo te vedo il trionfo finale della stupidità! (La porta sbatte ed ella si rimette a sedere. Ruth entra rapidamente dalla camera della Madre )

Ruth                         - Chi ha sbattuto la porta?

Beneatha                  - Tuo marito.

Ruth                         - Dov'è andato?

Beneatha                  - Chi lo sa... forse ha un appuntamento alle Acciaierie Nazionali.

Ruth                         -  (con ansia e con uno sguardo spaventato) Non gli hai detto niente di cattivo vero?

Beneatha                  - Qualcosa di cattivo a lui? No... Gli ho detto che era un caro ragazzo con una testolina piena di sogni, che insomma è una cannonata, come dicono i ragazzini bianchi! (Entra la Madre , è smarrita, cer­ca di riprendersi, di controllare come prima col ragio­namento il suo mondo, ma non ci riesce. Si avvicina alla sua piantina che è rimasta sulla tavola, la guar­da, la prende, la porta sul davanzale e rimane a fis­sarla a lungo. Poi chiude la finestra, cerca con uno sforzo di ricomporsi e si volta verso i figli)

Madre                       - Be', c'è un bel caos qui, non vi pare? (Con una falsa allegria) Direi che è meglio smetterla di starcene qui come cani bastonati e metterci invece a far qualcosa, con tutto il lavoro che abbiamo per sbal­lare e mettere in ordine. (Ruth alza la testa e Benea­tha si volta lentamente verso la Madre) Una di voi dovrebbe telefonare a quelli del trasloco, per dirgli di non venire.

Ruth                         - Di non venire?

Madre                       - Ma certo, è inutile che facciano tutta la strada, per poi tornare indietro. Te la mettereb­bero in conto. (Si siede e riflette) Dio mio, ricordo che quando ero piccola mi dicevano sempre: "Lena, Lena Egleston, hai sempre delle ambizioni più grandi di te. Devi calmarti e cercare di considerare la vita più rea­listicamente." Cosi mi dicevano, in casa... "Buon Dio, quanto è ambiziosa quella Lena Egleston! Avrà quel­lo che si merita un giorno o l'altro!"

Ruth                         - No, Lena...

Madre                       - Io e Big Walter, non abbiamo mai im­parato niente.

Ruth                         - No, Lena! Dobbiamo andare. Bennie, di­glielo tu... (Si alza e si avvicina e Beneatha con le braccia tese. Beneatha non risponde) Dille che possia­mo traslocare lo stesso... Le cambiali sono soltanto 125 dollari al mese, e siamo in quattro adulti in questa casa: possiamo lavorare.

Madre                       - (a se stessa) Sempre troppe ambizioni...

Ruth                         - (avvicinandosi rapidamente alla Madre  e par­lando in fretta e affannosamente) Lena, lavorerò... venti ore al giorno in tutte le cucine di Chicago... mi legherò il bambino sulla schiena, se necessario, e fre­gherò tutti i pavimenti d'America e laverò tutte le lenzuola d'America se non basterà; ma dobbiamo muoverci... dobbiamo andar via di qui... (La Madre  con fare assente le accarezza la mano)

Madre                       - No... vedo le cose con altri occhi ora. Ho pensato a quel che potremmo fare per siste­mare un po' questa casa. L'altro giorno in Maxwell Street ho visto una scrivania di seconda mano che starebbe benissimo li. (Indica un punto della stanza. Ruth si allontana da lei) Con delle maniglie nuove e una lucidata sembrerà nuova di zecca. E... possiamo mettere delle tendine nuove in cucina... Si! questa casa sembrerà bellissima, ci rallegrerà tutti, non ci ri­corderemo nemmeno più dei nostri guai... (A Ruth) Perché non prendi un grazioso paravento da mettere in camera vostra intorno alla catinella del bambino?... (Guarda le due ragazze implorante) A volte bisogna saper rinunciare a certe cose... e aggrapparsi a quelle che rimangono. (Walter entra dall'esterno con aria e-sausta e si appoggia alla porta)

Madre                       - Dove sei stato, figlio mio?

Walter                      - (affannato) Sono stato da uno.

Madre                       - Da chi?

Walter                      - Dall'Uomo.

Madre                       - Quale uomo, ragazzo mio?

Walter                      - L'Uomo, mamma. Non sai chi è l'Uomo?

 Ruth                        - Walter Lee?

Walter                      - L'uomo, il capo.

Beneatha                  - (improvvisamente) Lindner!

Walter                      - Appunto!  Be', gli ho detto di venir subito qui.

Beneatha                  - (che ha capito, furiosa) A far che? Per che vuoi vederlo?

Walter                      - (guardando la sorella) Combineremo un affare con lui.

La Madre                 - Ma di che stai parlando, figlio mio?

Walter                      - Sto parlando della vita, mamma. Mi pre­dicate sempre che devo vedere la vita com'è. Be', so­no stato coricato là dentro... e me la sono vista da­vanti la vita, proprio come è. Quelli che prendono e quelli che non prendono. (Siede ancora col paltò e ride) Sai mamma, che è tutto ben separato. La vita, te lo dico io, è divisa tra chi arraffa e chi è arraffato. (Ride) L'ho capito finalmente. (Dà un'occhiata circo­lare agli altri) Eh si, alcuni di noi sono sempre gli "arraffati". (Ride) Mentre quelli come Willy Harris non lo sono mai. E sapete perché noialtri ci caschia­mo? Perché abbiamo le idee confuse, maledettamente confuse. Ci preoccupiamo del bene e del male e ci angosciamo per notti intere cercando di distinguere in ogni cosa il lato buono dal lato cattivo e intanto, miei cari, quelli che arraffano sono fuori e si danno da fare e continuano a prendere e a prendere. Willy Harris. Oh, lui non conta nemmeno nel grande disegno delle cose, ma di Willy Harris c'è da dire una cosa... c'è da dire che mi ha insegnato a tener gli occhi aper­ti e a vedere ciò che nella vita è importante. Proprio cosi... (Alzando la voce) Grazie, Willy!

Ruth                         - Perché hai chiamato quell'uomo, Walter?

Walter                      - L'ho chiamato per farlo assistere allo spettacolo. Metteremo su uno spettacolo, per l'ometto, proprio come piace a lui. Vedi, mamma, quell'uomo oggi è venuto qui a dirci che quella gente che sta là dove vuoi che andiamo noi, è talmente turbata da es­sere disposta a pagarci purché noi non ci si muova. (Ride di nuovo) ...Oh, mamma... saresti stata fiera di come Ruth, Benny e io ci siamo comportati. Gli ab­biamo detto di andarsene... Dio ci perdoni!  L'abbiamo buttato fuori, quell'individuo. Ah, siamo stati proprio dignitosi, oggi. (Si accende una sigaretta) Eravamo ancora imbottiti di quelle vecchie idee...

Ruth                         - (avvicinandosi a lui lentamente) Stai sug­gerendo di prendere i soldi che quella gente ci vuol dare per impedirci di trasferirci nel loro quartiere?

Walter                      - Non sto solo "suggerendo", mia cara, sto dicendo che è quello che faremo.

Beneatha                  - Oh Dio mio! Quando toccheremo il fondo? Quando, a Dio piacendo, toccheremo l'ultimo fondo, in modo che non gli sia più possibile andare oltre?

Walter                      - Ecco, vedi, queste son le vecchie idee. Le tue e quelle di quel ragazzo che è venuto qui oggi. Volete che tutti portino una bandiera e una lancia e cantino canzoni militari, vero? Volete passare la vita a guardar dentro a ogni cosa, per cercar di capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? Sai cosa accadrà a quel ragazzo, un giorno o l'altro: si ritroverà in una prigione, chiuso dentro per sempre... e saranno gli al­tri che avranno la chiave! Lascia perdere, non esisto­no le sante cause... non esiste niente all'infuori del capire la vita e chi capisce di più è più in gamba... e non importa un accidente come uno ci arrivi.

Madre                       - Mi fai soffrire, figlio, mi dai un grande dolore.

Walter                      - Non piangere, mamma, cerca di capire. Quel bianco che entrerà da quella porta è capace di riempire assegni per tanto denaro come non ne ab­biamo avuto mai. È importante per lui e io voglio aiu­tarlo... Adesso allestisco lo spettacolo, mamma.

Madre                       - Figlio mio, discendo da cinque genera­zioni di schiavi e di contadini, ma nella mia fami­glia mai nessuno ha accettato denaro per lasciarsi di­re che non aveva il diritto di camminare su questa terra. Non siamo mai stati poveri fino a questo pun­to. (Alzando gli occhi su di lui) E nemmeno cosi spenti dentro.

Beneatha                  - Be', ora siamo spenti. Tutti i discorsi sui sogni e sulla luce del sole che si fanno in questa casa, tutti spenti.

Walter                      - Ma che avete tutti quanti? Non l'ho mica fatto io il mondo, me lo sono ritrovato cosi! Al dia­volo, si, voglio anch'io un panfilo un giorno. Si, voglio poter mettere al collo di mia moglie delle perle vere... perché non può averle anche lei? C'è forse qual­cuno che decide quali donne possono avere le perle e quali no? Sono un uomo, io, vi dico, e penso che mia moglie debba avere le perle. (Queste parole rimango­no nell'aria a lungo e Walter comincia a camminare per la stanza. La parola "uomo" è penetrata nella sua coscienza: se la va ripetendo fra i denti alter­nandola a pause agitate e continuando a Camminare)

Madre                       - Bambino mio, come ti sentirai poi den­tro?

Walter                      - Benissimo!... Mi sentirò benissimo... un uomo...

Madre                       - Non ti rimarrà niente dopo, Walter Lee.

Walter                      - (avvicinandosi a lei) Mi sentirò benis­simo, mamma. Guarderò quel bastardo negli occhi e gli dirò        - (esita) gli dirò: "Benissimo, signor Lindner... (esita ancor più) quello è il vostro ambiente, avete il diritto di conservarlo come vi pare. Riempia l'asse­gno e la casa è vostra." E gli dirò... (la sua voce si rompe) "ecco, mettete il danaro nelle mie mani e non dovrete più vivere in mezzo a questi sporchi negri!..." (Si raddrizza e si allontana dalla Madre  girando in-torno alla stanza) Forse... forse mi lascerò cadere sul­le mie nere ginocchia... (Cade in ginocchio. Ruth, la Madre  e Beneatha lo guardano con raggelato orrore) Capitano, Zignore, Badrone. (Comincia a piangere) Hii, hii, hii! (Si torce le mani imitando i gesti della disperazione) Signore! Gran Padre Bianco! Dacci un po' di soldi, per amor di Dio, e non ci faremo più vedere, e non verremo più a sporcare voi gente bianca. (Si butta a terra del tutto, poi si rialza e se ne va in camera)

Beneatha                  - Quello non è un uomo, è un topo sden­tato.

Madre                       - Si... morte non entrare in questa casa. (Annuisce lentamente, riflettendo) Non venire nella mia casa. Sulle labbra dei miei figli. Voi che dovreste essere la mia continuazione, la mia messe. (A Benea­tha) Tu... tu piangi tuo fratello?

Beneatha                  - Non è mio fratello.

Madre                       - Cosa dici?

Beneatha                  - Dico che quell'individuo, di là, non è mio fratello.

Madre                       - Ho capito bene, allora. Ma credi di essere meglio di lui, oggi? (Beneatha non risponde) Si? Cosa gli hai detto un minuto fa? Che non era un uomo, vero? L'hai abbandonato per star dalla mia? Vuoi forse scrivergli anche l'epitaffio, come tutti gli altri? Be', chi te ne dà il diritto?

Beneatha                  - Sta' dalla mia parte una volta tanto! Hai visto, mamma, cosa ha fatto poco fa? Lo hai vi­sto, giù, in ginocchio. Proprio tu mi hai insegnato a disprezzare chiunque faccia una cosa simile... quello che lui sta per fare.

Madre                       - Si, io e tuo padre te lo abbiamo insegna­to, ma credevo di averti insegnato anche qualcos'al­tro... a volergli bene per esempio.

Beneatha                  - Volergli bene? Non c'è più niente in lui che susciti affetto.

Madre                       - Rimane sempre qualcosa e se non sai questo, non sai niente. (Guardandola) Hai pianto oggi per quel ragazzo? Non dico per te stessa o perché la famiglia ha perso i soldi, ma proprio per lui, per quello che ha passato e per il colpo che ne ha avuto. Bambina mia, quando credi che si debbano amare di più le persone, quando sono brave e facilitano le cose a tutti? Se la pensi cosi hai ancora molto da impa­rare, perché non è quello il momento, ma quando uno è a terra e non crede più in se stesso, perché la vita l'ha frustrato. Se vuoi misurare un uomo, misuralo bene, bambina, misuralo bene. Assicurati di aver te­nuto presenti tutte le montagne e le valli che ha at­traversato prima di arrivare dovunque sia ora. (Ir­rompe nella stanza Travis lasciando la porta aperta)

Travis                       - Nonna, ci sono qui i facchini del trasloco. È arrivato il camion.

Madre                       - Si, sono qui? Sono giù? (Sospira e siede. Lindner compare sulla soglia. Fa capolino e batte leggermente alla porta per attirare l'attenzione. En­tra. Tutti si voltano a guardarlo)

Lindner                    - (cappello e cartella in mano) Hum... sal­ve! (Ruth va istintivamente alla porta della stanza da letto e la apre in modo che la luce investa Walter che, ancora col cappotto, sta seduto nell'angolo più lontano della stanza. Alza gli occhi a guardare Lind­ner)

Ruth                         - È arrivato. (Lunga pausa. Walter lenta­mente si alza)

Lindner                    - (si avvicina disinvolto alla tavola, vi de­pone la cartella, tira fuori le carte e prepara la pen­na) Sono molto lieto che mi abbiate chiamato. (Walter si sta avvicinando lentamente e ogni tanto si passa sulla bocca il dorso della mano) Il più delle volte la vita è molto più semplice di quanto non la facciano gli uomini. Be', con chi devo trattare? Con lei, signora Younger, o con suo figlio? (La Madre  siede con le mani in grembo e gli occhi chiusi, men­tre Walter si avvicina. Travis guarda con curiosità le carte) Sono solo documenti, ragazzino.

Ruth                         - Travis, vai giù.

Madre                       - (aprendo gli occhi e guardando Walter) No, Travis, sta' qui. E tu, Walter, fa' in modo che lui capisca quello che stai facendo. Insegnagli. Proprio come ti ha insegnato Willy Harris. Mostra dove le cinque generazioni precedenti non sono mai arrivate. Su, figlio mio, avanti.

Walter                      - (guarda suo figlio negli occhi, Travis sghi­gnazza allegramente e Walter ponendogli un braccio sulle spalle se lo tiene al fianco) Be', signor Lindner (Beneatha guarda da un'altra parte) l'abbiamo chia­mata... (c'è un profondo e sincero tentennamento nel suo discorso) ...perché vede, io e i miei siamo gente semplice...

Lindner                    - Sì

Walter                      - Sa, io ho fatto quasi sempre l'autista e mia moglie qui fa i lavori di casa, aiuta in cucina nelle famiglie... ed anche mia Madre; insomma vede, siamo gente modesta...

Lindner                    - Certo, signor Younger.

Walter                      - (proprio come un bambino, si guarda le punte delle scarpe e poi guarda l'uomo) E poi be', mio padre, lui, ha fatto quasi sempre il mano­vale.

Lindner                    - (assolutamente confuso) Già, sì-

Walter                      - (abbassando ancora lo sguardo) Una vol­ta mio padre ha quasi ammazzato di botte un tale che l'aveva insultato o qualcosa di simile, capisce?

Lindner                    - No, credo di non capire.

Walter                      - (finalmente riprendendosi) Be', volevo dire che la nostra famiglia ha sempre avuto un gran­de orgoglio; insomma, ecco, siamo tipi molto orgo­gliosi. Quella li, mia sorella, farà la dottoressa... Sia­mo gente fiera insieme.

Lindner                    - Be', certo, è molto bello ma...

Walter                      - (comincia a piangere e lo guarda negli oc­chi) Sto dicendole che l'abbiamo chiamato per dirle che siamo gente fiera e che questo è mio figlio e con lui sono sei generazioni che la mia famiglia è in questo paese e che abbiamo tutti riflettuto sulla sua offerta e che abbiamo deciso di traslocare nella nuo­va casa perché... perché mio padre se l'è guadagnata. (La Madre  ha gli occhi chiusi e si dondola avanti e indietro, come se fosse in chiesa, annuendo ritmica­mente) Non vogliamo metter nessuno nei guai né fare polemiche, ma cercheremo di essere dei buoni vicini. Questo volevamo dire. (Guardando fisso Lind­ner) Non vogliamo il suo denaro. (Si volta e si al­lontana)

Lindner                    - (volgendo gli occhi su tutti i presenti) Devo interpretare che avete deciso di traslocare...

Beneatha                  - È quello che ha detto l'uomo di casa.

Lindner                    - (rivolgendosi alla Madre  assorta) Allora vorrei fare appello alla sua saggezza, signora Youn­ger, sono certo che lei le capisce meglio certe cose...

Madre                       - Temo sia lei a non capire. Mio figlio ha detto che avremmo traslocato e io non ho altro da aggiungere. (Scuotendo il capo con ironia) Lei lo sa, signore, come sono questi giovani. Non si combina niente con loro. Addio.

Lindner                    - (rimettendo via le sue carte) Be', se siete cosi decisi... non ho più niente da dire. (È quasi ignorato dalla famiglia la cui attenzione è concentra­ta su Walter. Arrivato alla porta, Lindner si ferma e si guarda attorno) Spero proprio che vi rendiate conto di quello che fate. (Scuote la testa ed esce)

Ruth                         - (guardandosi attorno e risvegliandosi) Be', Dio Santo, se quelli del trasloco sono qui, andiamo­cene da questo buco una volta per tutte.

Madre                       - Giusto! Guarda che confusione c'è qui. Ruth, fai mettere a Travis la giacchetta buona... Wal­ter aggiustati la cravatta e infila la camicia nei pan­taloni, sembri un figlio di nessuno! Dio buono dov'è la mia pianta? (Si mette a cercarla in mezzo all'agita­zione di tutti gli altri che deliberatamente ignorano l'importanza di quanto è avvenuto poco prima) Co­minciate a scendere! Travis, bambino mio, non an­dare a mani vuote... Ruth dov'è finita quella scatola con tutti i miei pentolini? Voglio occuparmene io... e stasera vi farò il più gran pranzo che abbiate mai mangiato... Beneatha, che fai con quelle calze a pen­zoloni? Su, ragazza, mettile in ordine. (La famiglia si avvia ad uscire mentre due facchini incominciano portare via i mobili più pesanti)

Beneatha                  - Mamma, Asagai mi ha chiesto di spo­sarlo e di andare in Africa...

Madre                       - Ah si? Sei troppo giovane per sposarti. (Vedendo i facchini prendere senza molto garbo una delle sue seggiole) Miei cari, non è una balla di co­tone; cercate di fare in modo che possa ancora ser­vire: ce l'ho da 25 anni... (/ facchini sospirano e con­tinuano il lavoro)

Beneatha                  - (infantile e ingenuamente cercando di continuare la conversazione) In Africa mamma... a fare il medico...

 Madre                      - (distratta) Perché ti vuole portare in Africa?

Beneatha                  - Perché vi eserciti la professione...

Walter                      - Cara mia, è meglio che te le levi di mente queste sciocchezze. Trovati un uomo col gruz­zolo...

Beneatha                  - (seccata come nella prima scena) Che c'entri tu col mio matrimonio!

Walter                      - C'entro e come! Secondo me George Murchison... (Esce con Beneatha discutendo vivace­mente.^ Si ode Beneatha dire che non sposerebbe Murchison nemmeno se fosse il solo uomo al mondo. A poco a poco le voci si allontanano. Ruth, che era sulla porta, si volta verso la Madre  con un sorriso di intesa)

Madre                       - Si... bei tipi i miei figli...

Ruth                         - Bei tipi davvero... Andiamo Lena.

Madre                       - (guardandosi attorno) Si... vengo. Ruth.

Ruth                         - Be'?

Madre                       - (calma, da donna a donna) Oggi final­mente è diventato un uomo, vero? Come un arcoba­leno dopo il temporale...

Ruth                         - (mordendosi le labbra per non lasciare esplo­dere il suo orgoglio) Si, Lena. (Si ode Walter chia­mare le due donne con voce rauca)

Madre                       - (facendo segno a Ruth di andare) Be', te­soro, comincia a andare tu... io ti seguo subito. (Ruth esita e poi esce. La Madre , finalmente sola, rimane in piedi, davanti alla piantina che è sulla tavola, men­tre le luci cominciano a calare. Si guarda attorno os­servando ogni parete, il soffitto, poi d'un tratto in­consciamente, mentre i figli da sotto la chiamano, sen­te qualcosa palpitarle dentro e si porta la mano chiu­sa alla bocca. Un ultimo disperato sguardo intorno e poi si allaccia il soprabito, dà un colpetto al cappello e esce. Le luci calano. La porta si riapre, ricompare la Madre  che afferra la sua piantina e si allontana defi­nitivamente)

Fine