Un italiano tra noi

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ITALIANO TRA NOI

UN ITALIANO TRA NOI

Dramma in tre atti

di ROBERTO MAZZUCCO

                                   

PERSONAGGI

MARIANO

LUCIA

KATIA

ACQUASALATA

CAMPISI

ARDIA

VARISCO

IL PADRE

DANIELE

GIANNA

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Uno spiazzo, chiuso sul fondo, in leggera diago­nale, dalle rovine di un antico acquedotto. A sini­stra, gli ultimi due fornici visibili sono occupati da baracche in muratura che s'elevano sino a mezz'altezza. Tetto di lamiera. Evidentemente le baracche proseguono oltre la scena. Al centro, un masso da tempo usato come panchina. A destra, s'intuisce una grande strada. Erba superstite nei punti meno praticati, per il resto terra e polvere. Da destra, entra Mariano, giacca sulle spalle. Avanza lentamente sino a metà scena. Lucia, sull'uscio dell'ultima baracca, lo scorge dopo un po', lo fissa mentre l'uomo abbassa lo sguardo a terra. Quindi gli va vicino. Dopo una lunga pausa:

Mariano                        - M'hanno licenziato. (Anche Lucia ab­bassa gli occhi a terra. Lunga pausa che si ripe­terà tra una battuta e l'altra per alcun tempo).

Lucia                            - E' stato per colpa tua?

Mariano                        - Non gli servivo più.

Lucia                            - C'è speranza?

Mariano                        - No.

Lucia                             - Che vuoi farci, Mariano.

Mariano                         - Vorrei bestemmiare. Strillare. Scap­pare via!

Lucia                             - Questa volta pareva che andasse bene.

Mariano                         - C'eravamo già scordati tutto. Si pensa subito a domani. Invece ecco: è tornato ieri.

Lucia                             - Che vuoi farci. Bisogna sperare.

Mariano                         - Da quando sono nato che spero.

Lucia                             - Passerà. Ne sono passate tante.

Mariano                         - Apposta. E' ora di cambiare. O cam­bia o si crepa!

Lucia                             - Su, su. Che brutta faccia. I figli ci devono vedere allegri.

Mariano                         - Mi guasto, Lucia. Come una pera sbat­tuta a terra. Non avevo mai invidiato prima di venire qui. Oggi, quando sono andato via, ho in­vidiato: i compagni che rimanevano a lavorare.

Lucia                             - Forse a loro toccherà domani.

Mariano                         - Mi guardavano tutti mentre uscivo ma nessuno ha detto niente.

Lucia                             - T'hanno pagato?

Mariano                         - Fanno le cose in regola. Toh, pren­dili tu.

Lucia                             - L'hai ringraziati almeno?

Mariano                         - Ringraziati!

Lucia                             - Bisogna tenerseli buoni. Ti potrebbero richiamare.

Mariano                         - Se hanno bisogno, ti chiamano. Li rin­grazi o no, è lo stesso.

Lucia                             - Non conosciamo nessuno qui, dobbiamo avere tutti amici.

Mariano                         - Quando ho saputo che mi cercava l'in­gegnere, mi s'è subito chiusa la gola. Un nodo qui.

Lucia                             - Ti dovevi raccomandare. Chiedere che ti tenessero qualche giorno. Magari a mezza paga.

Mariano                         - Chiedere? Chiedere! E sempre chie­dere! Sono un cane, io? Io lavoro. Ho queste brac­cia, ho la salute robusta, la voglia di lavorare. I muscoli che mi porto dietro, è tutto qui Mariano.

Lucia                             - Ti dovevi raccomandare.

Mariano                         - Spiegate un po' questa. Ti pagano poco, ti trattano come non fossi un cristiano e ti devi pure raccomandare.

Lucia                             - Sei troppo ribelle. Per prendere il sole, la fronte bassa.

Mariano                         - Bella! Dove l'hai imparata?

Lucia                             - Lo diceva mio padre.

Mariano                         - Un disperato anche lui.

Lucia                             - Diceva cose giuste.

Mariano                         - Una volta ti piaceva il mio carattere.

Lucia                             - Mi piace ancora. E tanto. Ma non siamo più soli. Adesso ci vuole un carattere da padre.

Mariano                         - Il carattere dei vigliacchi. La famiglia porta vigliaccheria all'uomo.

Lucia                             - Non è vero.

Mariano                         - Siamo nei guai, Lucia. Fino ai capelli. In mezzo a gente che non ti guarda nemmeno. E' ora di ragionare, d'essere sinceri. La verità è que­sta: se gli uomini non avessero famiglia, in giro ci sarebbe più coraggio.

Lucia                             - Mariano: tu vorresti stare senza di noi? Tu ci hai voluto portare qui.

Mariano                         - Sì, bisogna stare uniti. Voi tre siete l'unica cosa buona mia da quando campo. Se non ci fossi stata tu, e dopo di te i figli, mi sarei già ammazzato.

Lucia                             - Ogni volta che dici così, mi viene da pian­gere.

Mariano                         - Tu hai questo sfogo.

Lucia                             - Forse la colpa è nostra. E Dio ci punisce per qualche peccato.

Mariano                         - Tu con Dio sistemi tutto.

Lucia                             - Non bestemmiare. Non l'hai mai fatto.

Mariano                         - Un'ora fa m'hanno licenziato. L'hai capito o no?

Lucia                             - Per qualche giorno andremo avanti. Una volta saremo fortunati.

Mariano                         - I figli?

Lucia                             - Stanno là. Vieni dentro. Ti preparo un boccone.

Mariano                         - Non ho voglia.

Lucia                             - Su, su. Ti perdi d'animo? Pensa a un anno fa, al paese. Adesso ci stiamo vicini.

Mariano                         - Vicini a che?

Lucia                             - AI lavoro. Al guadagno. Un po' di strada è fatta.

Mariano                         - E' più duro qui, Lucia.

Lucia                             - A me pare di no.

Mariano                         - Laggiù, certe cose non si sapevano.

Lucia                             - Qui c'è più gente. E' meglio.

Mariano                         - Vieni qua. (La conduce a sedere con lui sul masso) Mi vuoi sempre... bene? A me, senza lavoro e tu, senza soddisfazioni.

Lucia                             - Ti spacco una pietra sulla testa.

Mariano                         - Ti sei offesa di quel discorso?

Lucia                             - Quale discorso?

Mariano                         - La famiglia. Dio.

Lucia                             - Mi dispiace quando bestemmi. A casa mia, non s'usava. E neanche da te.

Mariano                         - Io ho sempre rispettato la religione.

Lucia                             - C'è stato qualcuno che t'ha messo su.

Mariano                         - Ma no.

Lucia                             - Sono tre domeniche che non vieni a messa con me.

Mariano                         - Perché ci sono di mezzo cose più im­portanti.

Lucia                             - Più importanti di Dio?

Mariano                         - Senza volerlo magari, ma significa che ti trovi cose più grosse tra le mani.

Lucia                             - Ti piace proprio vedermi piangere.

Mariano                         - E piangi allora. (Si alza).

Lucia                             - Mariano!

Mariano                         - Sta' a sentire. Dio comanda sulla terra, no?

Lucia                             - Sulla terra e sul cielo.

Mariano                         - Lascia stare il cielo. Dio comanda sulla terra. Cioè su tutti quelli che vivono. Va bene?

Lucia                             - Sui vivi e sui morti.

Mariano                         - Va bene, sui vivi e sui morti. (Siede) Ma c'è qualcuno, come noi oggi, come peggio di noi giù al paese, c'è qualcuno che non è vivo e non è morto. Spiegatemi un po' questa. E' come le bestie, peggio, come le mosche o che ne so? Questa gente, a che gli serve Dio?

Lucia                             - (piangendo) Tu sei cambiato. Diventi cat­tivo.

Mariano                         - Chi le sapeva certe cose. Qui ci stanno donne che spendono un patrimonio per tagliarsi ì peli delle gambe. E quel nostro figlio che morì... così... In città, sono contento d'esserci venuto. Co­mincio a ragionare.

Lucia                             - Male cominci a ragionare.

Mariano                         - Si comincia sempre male, è la trafila di tutti i mestieri. Poi si migliora. Io capisco che mi fanno qualche prepotenza quando non sono capace di sfamare la mia famiglia. E' come se mi buttassero in mezzo al mare e io non so nuotare. Certi scherzi, non li sopporto.

Lucia                             - Lavorerò io. Quando tu stai a spasso, pos­so lavorare io.

Mariano                         - E che puoi tu? Donne come te sanno solo crescere i figli.

Lucia                             - Troverò, vedrai.

Mariano                         - Gente delle baracche, siamo. Ti pren­derebbero solo per il mestiere di questa qui. (Ac­cenna all'altra baracca).

Lucia                             - Ci sono tanti signori qui vicino.

Mariano                         - La serva agli altri, mai! Sei mia moglie. Capito? Non parlare più di questo. Già sputo ve­leno per conto mio. (Katia entra da destra)

Katia                             - Ehi, c'è tempesta stasera? Che state lì, come due pesci senz'acqua? (Mariano e Lucia si alzano impacciati).

Lucia                             - Buonasera.

Katia                             - Buonasera. Beh, che c'è?

Lucia                             - L'hanno licenziato.

Katia                             - Sarai sempre un morto di fame. Quand'è che impari?

Mariano                         - Che c'è da imparare?

Katia                             - Tu sei buono a lavorare, e basta. Come i somari. Svegliati. (Acquasalata appare sull'uscio della propria baracca).

 Acquasalata                 - Katia! Katia della malora! Vuoi entrare o no?

Katia                             - Sta' a sentire, Acquasalata.

Lucia                             - Adesso non lo ridite a tutti.

Katia                             - E che? Ti fa vergogna?

Acquasalata                  - (avanzando) Che è successo?

Katia                             - E' rimasto a spasso un'altra volta.

Acquasalata                  - Capita.

Mariano                         - Capita spesso.

Acquasalata                  - Peggio per te.

Mariano                         - Mi servirà come esperienza.

Acquasalata                  - Chiacchiere. Quando acquisti l'e­sperienza, non ti serve più.

Katia                             - Poveretti, con quei bambini sulle spalle. Bisognerebbe aiutarli.

Acquasalata                  - Tu aiuteresti tutti. (Lucia che s'era avvicinata silenziosamente alla propria baracca, entra dentro).

Katia                             - Non ti preoccupare, amico. Tra noi, ci s'aiuta.

Mariano                         - Solo dai propri simili, si può accettare un aiuto.

Katia                             - Ma che ti credi d'essere, cafone?

Acquasalata                  - Hai sentito? Sangue nobile.

Katia                             - Hai più superbia addosso che camicia.

Mariano                         - Senza offesa, amici. Siamo diversi, no? Io lavoro, voglio dire, un momento! Lavoro...

Katia                             - Villano stalliere caprone! E io non li gua­dagno i soldi?

Mariano                         - Lasciatemi perdere! Ho già tanti pen­sieri stasera.

Katia                             - Cipria, bifolco! Una lisciata sulla pidocchiara e ti smonto gli occhi uno a uno.

Mariano                         - Vi siete offesi ma avete capito male.

Acquasalata                  - Come no? Ti conosco vai, spirito rurale. Guarda la signora com'è diventata rossa e s'è squagliata, appena Katia ha parlato d'aiuti. E pure vi farebbe gola, a voi, un po' di soldi nostri.

Mariano                         - Fatemi spiegare. Io ho avuto sempre stima della signorina...

Acquasalata                  - E di me no! E' chiaro. Te lo leggo sulle labbra.

Mariano                         - Fatemi dire.

Acquasalata                  - Basta! Basta, hai capito? (Lo spin­ge) Ma che campate voialtri? Gente nata per am­mucchiar letame, voi! E per giunta, pieni d'aria. Solo loro sono puliti. « In città, tutte puttane », il ritornello. Può darsi, può darsi, villano. Certo è che non tutti sono capaci di tenerle in servizio. Levati il cappello, quando ne incontri uno. (Rien­tra nella baracca).

Katia                             - Sei rimasto male. (Lucia esce appena l'uomo è scomparso).

Lucia                             - Signorina, Mariano non s'è spiegato bene. Vi stima, stima tutti. Io lo so. Voi siete stata buo­na, con noi.

Mariano                         - Lucia me lo disse subito che il giorno del nostro arrivo avete dato le caramelle ai bam­bini. E una mano per sistemare la casa.

Katia                             - Dai! Che casa.

Lucia                             - Noi non facciamo differenze. Per noi sono tutti amici.

Katia                             - Lascia correre, contadina! E' passata. Se credi che gli altri mi trattano meglio.

Lucia                             - Mi dispiace.

Katia                             - Lascia correre. Voi state peggio di me. E questo mi dà pena. Come dice Acquasalata, voi dovreste... come dici, padrone? Che devono fare gli emigranti?

Acquasalata                  - (s'affaccia) Starci dentro. Capita la sinfonia? Starci dentro, perché fuori morite di fame, voi. Ci vuole classe, per vivere dentro la pancia della città. A te, poi, metto in conto le caramelle.

Katia                             - Non scherzare, questi non lo capiscono.

Acquasalata                  - (avanzando) Su, vieni dentro, è tardi.

Katia                             - Di loro, mica m'importa. Se gli ho fatto gentilezze, è stato per i bambini. Somigliano ai miei.

Acouasalata                  - Ma va'! Se non le conosci nemmeno.

Lucia                             - Voi avete figli, signorina?

Acquasalata                  - Sì, madama. E tutti bastardi.

Lucia                             - Quanti ne avete?

Katia                             - Due. E dammi del tu, contadina!

Lucia                             - Sì, tu.

Acquasalata                  - Questa è tonta.

Katia                             - Due come te.

Lucia                             - Io ne ho avuti quattro.

Mariano                         - Due sono morti subito.

Acquasalata                  - Quattro! Arriverai a trenta, prima della secca.

Katia                             - Stanno dalle monache. Così mangiano tutti i giorni, anche se usciranno col velo. Due bambine sono. Lo sai che è una sfortuna. A quelle come me, vengono tutte femmine. Buona luna, bambine della Katia, che vi vada meglio di mamma.

Lucia                             - Signorina!

Mariano                         - Scusate, vi ho offeso, ma senza mala­nimo.

Acquasalata                  - Piantatela! Questa piange e ride quando gli è comodo.

Katia                             - Villani dal cuore d'oro. Ogni volta che vedo la vostra bambina penso alle mie. Mi siete simpatici con tutta la terra che vi portate addosso.

Acquasalata                  - Alleluja! Pace è fatta e ognuno a casa sua.

Lucia                             - Grazie a Dio, meglio non poteva finire.

Mariano                         - Come dico io: bisogna parlare, spiegare sempre. Altrimenti non ci si capisce e uno crede chissà che.

Acquasalata                  - Tu non ti scandalizzare del tuo coin­quilino. Quando ti sarai ripulito, vedrai che per la gente civile, una donna è troppa per uno solo. Non combaciano, inteso?

Katia                             - Lascialo stare, poveraccio.

Acquasalata                  - Per cui, bisogna dividere con qual­cun altro. A un uomo bastano tre quarti di donna, oppure due donne in tre. Continua tu il conto, ma non perdere le parallele. (Acquasalata prende Katia per un braccio e si avvia).

Katia                             - Così porta soldi a casa, capito, Lucia?

Acquasalata                  - Tempi di Caino e Abele, i nostri.

Lucia                             - (a Mariano) Che vuol dire?

Acquasalata                  - (che ha sentito) Come ti muovi, sei in peccato. Tutti fratelli. Come Caino e Abele e com­pagni. Per cui, pecca tu che pecco io, tanto vale guadagnarci. Buonanotte. (Acquasalata e Katia si chiudono dentro la loro baracca).

Lucia                             - Devi stare attento quando parli. Di là, si sente quello che si dice fuori.

Mariano                         - Lei, col mestiere che fa, è una brava donna ma lui è uno schifo.

Lucia                             - Sta' zitto!

Mariano                         - L'immaginavi d'abitare vicino a gente così?

Lucia                             - Quante cose abbiamo imparato!

Mariano                         - E quante ne dovremo imparare.

Lucia                             - E' tutt'un'altra vita.

Mariano                         - Ci sono stato militare qui: non m'ero accorto di niente.

Lucia                             - Un giorno staremo meglio.

Mariano                         - Io la vedo nera, Lucia.

Lucia                             - Oggi. Ma basta trovare un'occupazione e passa tutto.

Mariano                         - Le stesse cose che dicevi al paese.

Lucia                             - Ti ricordi quante discussioni vicino al camino? Tutte le sere.

Mariano                         - Quella è un'altra storia. Tua madre, i tuoi fratelli, tutt'intorno. Saperlo, che sulla terra nostra, come ti sposti, si cambia modo di ragionare.

Lucia                             - Da noi era più bello.

Mariano                         - Una cosa bella era il fiume. Andare vicino all'acqua, buttarci un ramo piccolo dentro: e contavo fino a cento. Allora il ramo passava davanti casa tua.

Lucia                             - L'acqua era verde. E cantava sui sassi.

Mariano                         - Oppure d'inverno sentivo ore e ore la voce del vento. Ci credi, che l'aria pareva una voce?

Lucia                             - Era una voce e qualche volta - sotto questi archi - io la risento.

Mariano                         - Appena capitano le disgrazie, comin­ciano i ricordi. Ci sarebbe da darsi i cazzotti in testa, invece.

Lucia                             - Mariano, arriva gente.

Mariano                         - Non riconosci chi è? (Entrano da sini­stra Ardìa e Campisi).

Campisi                         - Ehi, chi c'è qua dentro? Pigionanti! (Batte all'uscio di Acquasalata).

Acquasalata                  - (affacciandosi) Chi è?

Campisi                         - C'è il Cavaliere. La pigione. E' il giorno di pigione.

Acquasalata                  - Ah, un momento. (Rientra).

Ardia                             - Qui finisce. Hai imparato qualcosa da questo giro?

Campisi                         - Certo che ho imparato.

Ardia                             - Hai capito cosa significa essere venuto con me, stasera?

Campisi                         - Sì, lo capisco.

Ardia                             - Bravo. Non è passato molto tempo che venivo di persona, tutti i mesi.

Campisi                         - D'ora in poi sarà compito mio. Gliene sono molto grato, Cavaliere, che m'abbia voluto istruire direttamente.

Ardia                             - Ti sto provando, vedremo.

Campisi                         - Posso parlare liberamente?

Ardia                             - Come no.

Campisi                         - Perché si prende tanta briga di queste catapecchie con quel po' di attività che ha in piedi?

Ardia                             - Sono trecento in tutto, ti stupisce? Te n'ho mostrata solo una fetta. E' un'abitudine del dopo­guerra. Tutto fermo, bisognava arrangiarsi. Oggi mi servono per un altro scopo. Sono le mie avan­guardie.

Acquasalata                  - (ricomparendo) Ecco, a voi. Buona­sera. (Si ritira).

Campisi                         - Di poche parole.

Ardia                             - Acquasalata, un bandito.

Campisi                         - Davvero? Un bandito? (Nel frattempo Mariano e Lucia hanno contato il denaro della pi­gione. La coppia sosterà poi in un angolo, quasi alle spalle dei due uomini, ascoltando attentamente).

Ardia                             - Sfrutta le donne. Sono le mie avanguardie, ti dicevo. Mentre fabbrico da una parte, dall'altra mando avanti le baracche, verso la campagna, mi preparo il terreno. E' utilissimo. Acquisto diritti sulla zona, ne studio le possibilità, influenzo i prezzi con la mia presenza, avverto tutti che sto arrivando io. E' legge vecchia di un secolo. Una scalinata: prati, porci, baracche, dimostrazioni, paura delle dimostrazioni, finanziamenti, case, cioè io. (Ride) Poi chiudo dove finisco, spianto le baracche, im­pianto le fondamenta e sposto il villaggio più avanti. Sempre più avanti. Oggi i sistemi stanno cambiando ma anche io. Nessuno m'ha mai scaval­cato, né uomini né avvenimenti. Sono trentasette anni che faccio questo mestiere. Come me non lo conosce nessuno. E ho cominciato con la carriola.

Campisi                         - In ogni caso, ora si deve fermare.

Ardia                             - Dici?

Campisi                         - L'acquedotto.

Ardia                             - L'acquedotto! Sì, l'acquedotto. Mi fermo se mi conviene. Non mi credi capace di smontare queste pietre muffite? E tutto in regola, con bolli e permessi. Ho trentasette anni di carriera. Ti ricordi S. Maria del Vento?

Campisi                         - Quella chiesa del Medio-Evo?

Ardia                             - Io. Ci ho combattuto io. Me n'ha dato di filo da torcere. Alla fine, l'ho tolta di mezzo. Non serviva a niente e ci ho piantato un grattacielo che sprizza faville se lo carezzi con la mano. Hanno strillato come gallinacci: i soliti giornali. Ci vuole altro, me li bevo tutti.

Campisi                         - Lei è diventato uno dei più grandi co­struttori.

Ardia                             - E' la verità, anche se lo dici per arruffia­narti.

Campisi                         - Mi creda: sono sincero.

Ardia                             - Sì, oggi sono un po' celebre.

Campisi                         - Tutta Italia ha visto la sua foto quando l'hanno nominato Cavaliere del Lavoro.

 

Ardia                             - Sempre meglio e sempre di più. Questo è Ardia.

Campisi                         - Mi consideri un suo incondizionato am­miratore.

Ardia                             - I grattacieli sono il mio orgoglio. Non me li fanno costruire, asini! Non hanno capito dove marcia la civiltà. Quei tre che ho potuto tirare su. Stile da americani. Da olandesi. Per la roba storica, ci sono i musei. Ma fuori, la città dev'essere nuova. La gente vuole servizi perfetti, comodità. Tu non immagini cosa significa alzare su dal niente, dalla terra pelata alta zero, tu non immagini che poesia alzare su un palazzo. Bello, lucido, con i colori allegri. E il pane che dò alla gente? Vedrai, vedrai gli ingegneri che mi fanno la corte. E zitti tutti. Posso pagare poco, tanto, niente: nessuno protesta, pronti a darmi ragione. Solo i capitani d'industria se lo possono permettere.

Campisi                         - E' così, ha ragione.

Ardia                             - Nessuno mi ferma. Leggi, funzionari, pano­rama: piazza pulita. Perché è giusto che sia così. Gli altri non ci sono ancora arrivati: costruire, questo è importante. La società ha bisogno di case, uffici nuovi, strade funzionali. Il resto sono balle. Qui da noi gli imprenditori hanno un brutto de­stino, combattere contro gli antichi romani. Sem­pre tra i piedi, sopra e sotto la terra. Grandi co­struttori anche loro, non si discute ma ci siamo noi adesso. Poveracci, loro non c'entrano. Sono i professori d'università che hanno tempo da per­dere e ci vengono a rompere gli stivali. La città ne soffre. Io no: me li bevo tutti. Lunedì comin­ciamo sul fiume. E tra due mesi, laggiù. (Movi­mento d'attenzione di Mariano e Lucia) Su, su, funghi di primavera. Tutti miei, i funghi dell'impreditore Ardia. Cavaliere del Lavoro.

Campisi                         - Funghi di cemento.

Ardia                             - Tu hai insistito per lavorare con me.

Campisi                         - La fortuna sta in alto. Chi la cerca deve allungare il collo.

Ardia                             - Sei di quelli arrabbiati. Se non cambi la macchina ogni sei mesi, ti rodi. E' vero?

Campisi                         - E' un delitto?

Ardia                             - No: il successo non è mai un delitto.

Campisi                         - Il successo dona spesso l'indipendenza e qualche volta la libertà.

Ardia                             - Attento. Io mi riprometto molto da te. Tu hai la grinta dell'arrivista.

Campisi                         - Lei esagera. Cerco solo di migliorare la mia condizione.

Ardia                             - Non ti sarà difficile. Sei molto intelligente. Io so distinguere. Lo sai che ho preso informazioni prima d'assumerti?

Campisi                         - Avrà saputo tutto.

Ardia                             - Hai avuto una crisi di coscienza o ti paga­vano poco?

Campisi                         - L'uno e l'altro.

Ardia                             - Che speravi dalla politica?

Campisi                         - Vendetta. Ho avuto fame dalla nascita. Abitavo una borgata e lì, sul colle, costruirono un albergo di lusso.

Ardia                             - Io non ho mai costruito alberghi, finora.

Campisi                         - E' un controsenso: una stamberga e un hotel, tutto dentro cento metri in linea d'aria.

Ardia                             - Ho capito. La politica come cura della rabbia. E' vecchia.

Lucia                             - Diglielo, può darsi che ti prenda. Di­glielo;

Mariano                         - Come faccio? Come entro in discorso?

Lucia                             - Un po' di sfacciataggine.

Mariano                         - M'ha visto una volta sola. Non mi co­nosce.

Lucia                             - Devi dirglielo.

Campisi                         - L'odio, l'antico rimedio alla miseria umana.

Ardia                             - E sei finito con me, un padrone.

Campisi                         - E' più facile allearsi con un avversario che con un amico.

Ardia                             - E' più facile passare di qua a uno di voi, che di là a uno di noi.

Campisi                         - Ero in brutte acque. Tutti progrediscono e tu, fermo. E non credere nemmeno nel diavolo per tentare dì vendergli l'anima.

Ardia                             - Perché hai scelto proprio me?

Campisi                         - Sapevo tutto: di lei, delle sue ricchezze.

Ardia                             - Sei schietto. Non mi dispiace.

Campisi                         - Grazie.

Ardia                             - Ti saprò manovrare a dovere. Accidenti, s'è fatto tardi.

Campisi                         - Non si sta male, qui. Con questo fresco-lino.

Ardia                             - Liquidiamo questi.

Campisi                         - Sono gli ultimi.

Ardia                             - Gli ultimi venuti. E' una processione che non finisce mai. Qui lavorano sul serio, quando lavorano. Non ci devono essere molti soldi, qua dentro. (Campisi si avvicina alla baracca di Ma­riano).

Mariano                         - Sono qui, signore. Buonasera.

Ardia                             - Ah, stai qui? Oggi sono venuto io per la pigione.

Mariano                         - Sissignore. Eccola qua, pronta.

Ardia                             - Non li conto, va bene?

Mariano                         - C'è tutto, signore.

Ardia                             - (a Campisi) Torni con me? Ti dò uno strappo.

Campisi                         - No, grazie. Continuo di qua.

Mariano                         - Un momento. Scusate. Per favore. (Lu­cia entra nella baracca).

Ardia                             - Che vuoi?

Mariano                         - Ecco, io... Io sono rimasto senza occu­pazione.

Ardia                             - Beh?

Mariano                         - Cerco lavoro. Vorrei lavoro.

Ardia                             - Sono il tuo padrone di casa, mica l'ufficio di collocamento.

Mariano                         - Ho bisogno. Non so a chi chiederlo.

Ardia                             - Ci credo. Ma non posso farci niente. Mi dispiace. (Si avvia).

Mariano                         - Quel cantiere che deve aprire.

Ardia                             - E tu che ne sai?

Mariano                         - Ho sentito. Ero là.

Ardia                             - Ti diverti a spiare.

Mariano                         - Parlavate forte.

Ardia                             - Non è certo che l'apro.

Mariano                         - Lunedì, ho sentito.

Ardia                             - Troppo tardi. E' tutto pieno.

Mariano                         - Quell'altro tra due mesi.

Ardia                             - Troppo presto.

Mariano                         - Ho bisogno di guadagnare. Ho due bambini.

Campisi                         - Faccia qualcosa per quest'uomo.

Ardia                             - Ti commuovi.

Campisi                         - Un po'.

Ardia                             - E' pericoloso.

Campisi                         - Trovi qualcosa. E' povera gente.

Ardia                             - Che sapresti fare?

Mariano                         - Tutto. Quand'uno ha bisogno.

Ardia                             - Cioè niente, se uno ha bisogno.

Mariano                         - M'accontento di poco.

Ardia                             - Il principio è buono.

Mariano                         - Mi basta tirare avanti.

Ardia                             - Anch'io ho cominciato così. Tirare avanti. Sono trentasette anni che grondo sudore.

Campisi                         - (passando vicino a Mariano, va a sedere sul sasso) Chiamalo Cavaliere.

Mariano                         - Ho famiglia. Moglie e due figli.

Ardia                             - Io lo stesso. Due figli. Per fortuna, sono vedovo.

Mariano                         - Cavaliere, a lei non costerebbe. Per me è tutto.

Ardia                             - Questi piangono. Poi si scopre che hanno centomila lire sotto il materasso.

Campisi                         - Anche così, non sarebbe molto.

Ardia                             - Sono tutti bricconi. Li conosco, ne ho i cantieri zeppi. Alla fine, neanche ti ringraziano. Come i ricci: basta che entrano. Prima si danno per un tozzo di pane, poi cominciano le pretese.

Campisi                         - E' comprensibile.

Ardia                             - E dopo? Se assumo lui, devo licenziare un altro. E questo chi lo garantisce?

Mariano                         - Ho le referenze del parroco.

Ardia                             - Non è per testardaggine ma io non posso star dietro a tutti gli straccioni che arrivano qui. Mandrie di corvi su questa povera città. Tutti qui: manco fosse l'America. Non sono il governo io, e neanche un ente di beneficenza. Rischio il mio capitale, mi scopro, azzardo. Se posso fare il bene, lo faccio. Altrimenti no, è chiaro.

Mariano                         - Se non può, pazienza. Non ho trovato ragioni bastanti.

Ardia                             - Ragioni bastanti! Le ragioni! Lo sai, bar­baro, cos'è la ragione? Ecco, guarda qui. Un cerchio in terra, un piccolo cerchio come questo e chi ha ragione ci si trova in mezzo. E guai a chi vuole entrare. Non c'è posto per due. Chi sta dentro, si difende. Deve difendersi. E' una legge divina. Scorza dura, per mantenere la posizione.

Mariano                         - Io ho la scorza dura ma a che mi serve?

Ardia                             - Una categoria che non sopporto è quella dei piagnoni. Con tutte le iniziative che fermentano. Beh, con il dovuto rispetto per questa bella serata fresca fresca, io me ne vado. Ho immagazzinato abbastanza ossigeno. Vieni allora?

Campisi                         - Prendo di qua. Grazie.

Ardia                             - Rimani a piedi. Stai lontano.

Campisi                         - Sono libero.

Ardia                             - Roba di donne, ho capito. Beato te. Prova un po' a rabbonire questo disgraziato. Ciao.

Campisi                         - Buonasera, Cavaliere. (Campisi accenna ad alzarsi. Ardia esce donde è venuto. Mariano, in piedi, poco discosto da Campisi. Lunga pausa)

Campisi                         - E' molto che stai qui?

Mariano                         - Quest'inverno.

Campisi                         - E' dura, eh?

Mariano                         - No signore, non è dura. E' impossibile.

Campisi                         - Hai mai lavorato?

Mariano                         - Tre volte. Ma poche settimane ogni volta.

Campisi                         - Buon segno. Tutto sta a ficcarsi dentro.

Mariano                         - Lo dicono tutti stasera.

Campisi                         - E' una catena, basta agguantarla.

Mariano                         - Eccomi qui, con le mani in mano, la quarta volta.

Campisi                         - Che sai fare?

Mariano                         - Niente.

Campisi                         - Manovale.

Mariano                         - A casa mia, bracciante. Tre mesi l'anno.

Campisi                         - Minestra e mille lire al giorno.

Mariano                         - Voi lo sapete.

Campisi                         - Ero in politica, tempo addietro.

Mariano                         - Avete già cambiato mestiere. Siete gio­vane.

Campisi                         - Ventisette a settembre. (Si alza) Ma di stirpe precoce. Intendi quello che dico?

Mariano                         - Ho sentito tutto. Lavorate per lui ma senza amore. Solo la carriera.

Campisi                         - No carriera. Soldi.

Mariano                         - Insegnatemi il mestiere.

Campisi                         - Ci vorrebbe più civiltà.

Mariano                         - La conosco la civiltà. Laggiù, passato il fiume, ho fatto il guardiano a un cantiere. S'era ammalato quello effettivo. Ho visto. Una bella villa: mattoni bucati, legno bagnato, condutture vecchie. Spiegatemi un po' questa.

Campisi                         - E tu non ci abiti. Sopra la testa, ti senti il fiato di quello che sta all'ultimo piano. Ormai va così.

Mariano                         - E voi ci state in mezzo. Bravo: non si dovrebbe star male.

Campisi                         - Tra poco, negli edifici nuovi, si sentirà quando fanno l'amore. Su e giù con le molle del letto. Però ti sbagli, non ci sto in mezzo. Spero d'arrivarci. Ardia ha una figlia di vent'anni. Buona. Uno schizzo di sgualdrineria ce l'ha anche lei. Chi se ne frega. Mi piacerebbe di sposarla. Sarebbe un colpo da maestro.

Mariano                         - Sposare una donna che non si rispetta? Senza amore, lo capisco. Anche da noi, le donne le sposa il padre. Quasi tutte senza amore. Ma rispetto ci deve essere.

Campisi                         - Tu non capisci niente. La figlia di Ardia va sposata anche con cento chili di corna per dote. Il padre apprezza la genialità ma ti tiene come schiavetto. Io invece voglio entrare nel clan. Le donne dicono che sono un bel ragazzo. E' la sola chiave che ho. Sai cos'è un clan?

Mariano                         - No.

Campisi                         - Una tribù, metti conto. Si vive così: a tribù. Se non porti il tatuaggio di qualche tribù, l'esistenza è difficile. Come dici tu: è impossibile.

Mariano                         - Io ce l'ho il tatuaggio. Quello dei morti di fame.

Campisi                         - Non conta. Chi è ancora alle prese con i problemi elementari è fuori. Un altro mondo.

Mariano                         - E per cambiare problemi, come si co­mincia?

Campisi                         - Stando nel clan. Chiuso il giro.

Mariano                         - La solita storia.

Campisi                         - Queste tribù messe insieme formano l'Italia. L'Italia Ufficiale, non quella vostra.

Mariano                         - D'Italia ce n'è una sola.

Campisi                         - Ce ne sono almeno due, l'imparerai a tue spese.

Mariano                         - Io sono un buon patriota.

Campisi                         - La tua patria non ti riconosce come cittadino. Tu sei un mezzo italiano.

Mariano                         - Non capisco. Sono parole nuove per me.

Campisi                         - Il discorso del cerchio è stupido. Di vero, c'è solo questo: chi sta dentro, vuole stare solo. Il posto ci sarebbe. Guarda come trattano le donne da strada. O gli artisti, anche. La gente in­somma che non sta nella tribù.

Mariano                         - Noi, allora.

Campisi                         - 0 voi, appunto. Sono feroci. Un'indif­ferenza feroce. Hanno pietà per un cane zoppo, più di voi tutti messi insieme.

Mariano                         - Una volta i compagni - ero sotto le armi, di leva  - mi portarono in una casa. Ero agitato: la prima volta. Rimasi asciutto, impotente. Ci soffrii che non so dire. Ma quest'impotenza che provo oggi! Non potersi muovere, lavorare, non perdere tempo.

Campisi                         - Anni fa ero convinto che voi siete la grande speranza di domani. Dopo tutto, lo penso ancora.

Mariano                         - Sì, la speranza.

Campisi                         - Voi siete i soli che potete spezzare le quattro pareti.

Mariano                         - Spiegatevi meglio.

Campisi                         - Ogni prigione ha quattro pareti.

Mariano                         - Sì.

Campisi                         - Sta' attento. Le pareti della nostra pri­gione si chiamano così: le leggi le tradizioni gli altri e la paura delle leggi delle tradizioni degli altri.

Mariano                         - Continuate.

Campisi                         - Voi siete un popolo vergine, voi così puri così buoni e umili. Miserabili che si svegliano la mattina senza sapere se alla sera avranno man­giato quanto Dio comanda, voi soli siete la spe­ranza, voi potete spezzare le pareti della prigione. E impiccare noi tutti, canaglie delle città.

Mariano                         - Io non so, signore, se ho capito bene. Ma ho idea che vi sbagliate. Primo: siamo tanto deboli che la forza per buttare giù la parete non c'è; secondo, perché in prigione non solo non ci siamo ma ci vogliamo entrare, e con l'ergastolo se possibile. Almeno si mangerà sino alla fine.

Campisi                         - Non darmi retta, sono una buona lana, io.

Mariano                         - Mi piace sentir parlare gente come voi. S'impara sempre.

Campisi                         - Come ti chiami?

Mariano                         - Mormile Mariano.

Campisi                         - Sputami addosso, Mariano. Io sono un disertore.

Mariano                         - A me invece, piace combattere. Se non avessi famiglia, sarei invincibile.

Campisi                         - Questa si chiama retorica.

Mariano                         - Abbiamo troppa pazienza. Ecco la colpa.

Campisi                         - Hai le idee confuse ma ti farai. Ognuno combatte la sua battaglia. E questo nobilita anche ì predoni.

Mariano                         - Noi combattiamo senz'armi.

Campisi                         - Beh, ora t'ho conosciuto. Arrivederci, Mariano. Vedrò d'aiutarti, se mi è possibile.

Mariano                         - Lucia! Lucia!

Campisi                         - Che ti prende?

Mariano                         - Lucia! (Viene Lucia). Lucia, il signore ci ha promesso aiuto. Forse mi trova un'occupa­zione. (Lucia bacia la mano a Campisi).

Campisi                         - Signora! Che fa? Un momento. Maria­no, io ho detto...

Lucia                             - Grazie, signore, grazie.

Mariano                         - E' mia moglie.

Campisi                         - Sì, ma io... accidenti, io sono soltanto un geometra. Adesso lavoro con Ardia. Mi usa come segretario, un po' di tutto. Lui è ricco, co­struisce mezza città. Può darsi, può darsi che possa aiutarvi. Ma non lo garantisco.

Lucia                             - Dio vi rimeriti, signore.

Mariano                         - Ricordatevi di noi. Noi abbiamo biso­gno più dì tutti.

Lucia                             - Per carità, non ve ne dimenticate.

Campisi                         - Ma no, brava gente. Non vi dimentico. Arrivederci, mi chiamo Campisi. Da lunedì, sto nel nuovo cantiere sul fiume. Arrivederci. (Esce a de­stra).

Lucia                             - Ci aiuterà, lo sento. E’ simpatico. Così giovane. Ben vestito.

Mariano                         - Ha detto che non lo garantisce, non hai capito? Basta mezza parola per liquidare tutto un discorso.

Lucia                             - Io ho un presentimento buono. Ci aiu­terà.

Mariano                         - Mucchi di perle! Mucchi di perle le mie ore libere! Montagne di perle, un valore a di­sposizione! Possibile che non serva a nessuno? E' possibile questa ingiustizia? Lucia! Perché gli altri sì e io no?

 

ATTO SECONDO

Nel recinto d'un cantiere edilizio. Lo spiazzo anti­stante il fabbricato in costruzione. Da sinistra a destra corre il tipico steccato a tavole. A sinistra, c'è anche l'ingresso: una grossa e cigolante porta dì legno che si apre in dentro. L'edificio chiude la parete di destra, il primo verso l'esterno dei vani del pianterreno è stato adattato a ufficio del can­tiere ed è chiuso con una porta di legno munita di lucchetto. Disordinatamente sul fondo, bidoni, tavole affastellate, mattoni.

Mattino luminoso. Sono in scena, a sinistra, Varisco, Daniele, Gianna (in pantaloni da viaggio). A de­stra, appartati, Campisi e Mariano. Improvvisamente Mariano dà una spinta a Cam­pisi che cade a terra, e corre verso il centro della scena.

Mariano                         - A me! A me! Daniele! Varisco! A me, l'ha chiesto! Dopo quello che ho ingozzato stamat­tina!

Campisi                         - (rialzandosi) E' impazzito. Mariano (gli va contro) Assassino! Tu giochi con la nostra pelle! (Varisco esce precipitosamente di scena).

Campisi                         - (fermo) Va' via! Va' via subito! E per sempre! Via o ti butto fuori a calci in due secondi, che credi?

Gianna                          - Ma è più forte dì te.

Mariano                         - Campisi! Campisi! (a pugni stretti).

Campisi                         - Basta, perdio! Dopo tutto quello che mi devi! T'ho raccolto dalla strada, a momenti chie­devi la carità sui marciapiedi. Disgraziato! E' così che ricambi l'attenzione che ho per te? Se non ci fossi io, dove, come lavorereste voialtri? Daniele   - Questo è vero.

Campisi                         - Di che mi rimproveri? Oggi il sistema è questo. E io pianto le fondamenta buone. C'è ri­schio? Ma si finisce prima e si comincia da un'altra parte. Siamo sulla terra, non sulla luna! Idiota! Se succede qualcosa, pago io, mica voialtri.

Mariano                         - Io non faccio quel mestiere.

Campisi                         - Idiota un'altra volta! Trova un impren­ditore che vi tratti meglio di me.

Daniele                          - Questo lo devi riconoscere, Mariano.

Campisi                         - E poi, basta. Non rendo conto a nessuno. Io rischio il mio capitale, mi scopro, azzardo. E proibisco a chiunque di venire qui, prima dell'orario.

Gianna                          - L'hai ridotto cenere. Sei un asso, però. Non credevo.

Campisi                         - E se l'è cavata bene. Potrei denunciarlo, per quello che ha fatto.

Mariano                         - Non lo so che ho fatto. Non lo so. E' stato un momento, Campisi. Voi siete largo di mente, voi potete capire quello che ho provato. Mi cacciate via? Va bene, però vi consiglio di riflette­re. Sarebbe un peccato grande mettere in mezzo alla fame me e la mia famiglia. I bambini, Campisi: voi non lì conoscete ma sono loro che mi danno forza. Dignità, avete mai sentito questa parola? Mi cacciate via, e sta bene. Io non so che credevo di trovare in città, ho sognato per anni di venire tra voi, gente civile, seria. Che dico? Voi sicuri di tutto e io di niente. Sono stato sempre attento ai vostri discorsi, eravate tutti padreterni per me. Campisi, se volete dimenticare, io prima ho sbagliato, questa è la mia mano. Io non mi controllo mai, è già capitato altre volte, questa bella signora ha capito, e anche Daniele, Varisco che è sparito. Io non scappo, ho bisogno di lavorare, resto se voi volete. Sono un uomo onesto, non posso promet­tervi altro, se è questo che cercate. (Tende la mano senza umiltà).

Campisi                         - Mi dispiace. Tra di noi, s'è creata una frattura che non si può chiudere. Andiamo, Gianna. Scusami della scenata volgare, ma da uno che ho sfamato e salvato non me l'aspettavo.

Gianna                          - Lo mandi via, davvero? Poveretto!

Campisi                         - Andiamo. E' maledettamente tardi. (Si gira) Capito bene, Mormile? E' da questo momento che non appartieni più alla mia Impresa.

Gianna                          - Intesi che appena sull'Autostrada guido io. (Le loro voci si perdono fuori: si udrà tra poco il rombo del motore. Pausa. Rientra in scena Va­risco).

Varisco                          - Qua la mano, amico. Tu hai la stoffa del condottiero. I sindacati, quella è la tua strada. (Mariano senza dargli retta si avvia lentamente ver­so l'uscita. Silenzio assoluto. Sulla porta, si gira).

Mariano                         - Addio, Daniele. (Daniele abbassa il capo senza rispondere. Mariano si avvia lentamente ver­so l'uscita mentre il resto della scena si oscura: qui si pro-fila prima l'ombra e poi la figura di Lucia che blocca il passo. I due si guardano, lunga pau­sa, poi)

Lucia                             - E' stato per colpa tua?

Mariano                         - Sì.

Lucia                             - Com'è stato?

Mariano                         - Ormai.

Lucia                             - Perché è stato?

Mariano                         - Era cominciata una mala giornata. Era cominciata che io... (La voce si affievolisce mentre stanno uscendo. Improvvisamente, luce piena. La scena è vuota).

La voce di Mariano       - (che picchia da fuori) Vari­sco! Varisco! Sono io! (Varisco appare dall'angolo di destra, tra lo steccato e la costruzione. Apre la por­ta quanto basta per lasciar passare una persona).

Mariano                         - (entrando) E' venuto nessuno?

Varisco                          - C'è uno che t'aspetta da ieri sera.

Mariano                         - Da ieri sera? E chi è?

Varisco                          - Ha dormito con me. Non indovini.

Mariano                         - Chi è? (Dalla stessa direzione di Vari­sco, avanza il padre).

Il Padre                         - Chi è? Mariano?

Mariano                         - Ma è papà! Che è successo? Quando sei arrivato? (/ due si abbracciano).

Varisco                          - Io vado a lavarmi. (Uscirà a destra).

Il Padre                         - Come stai, Mariano?

Mariano                         - Che sorpresa. Perché sei venuto? E' successo qualcosa?

 Il Padre                        - Lucia? I piccoli?

Mariano                         - Noi tutti bene. E mamma?

Il Padre                         - Tutti bene, anche noi.

Mariano                         - Perché non sei venuto da me?

Il Padre                         - In treno ho perso l'indirizzo. Però mi ricordavo il nome dell'impresa: CAMPISI. A forza di domandare, sono arrivato qui, ma era tardi e quel poveretto già dormiva. M'ha consigliato di pas­sare la notte con lui, perché saresti venuto presto stamattina.

Mariano                         - Era vero: eccomi qua.

Il Padre                         - Perché a quest'ora?

Mariano                         - Sono proprio contento di vederti, pa­pà. Ma perché sei venuto senza avvisare?

Il Padre                         - Ci domandiamo le cose uno all'altro. Va bene, comincio io. Ho lasciato le Saline.

Mariano                         - Hai lasciato le Saline? T'hanno caccia­to via?

Il Padre                         - No, di volontà mia.

Mariano                         - E perché? Sei malato?

Il Padre                         - Tuo fratello Antonio aspetta un figlio.

Mariano                         - Questo lo sapevo, ma che c'entra?

Il Padre                         - Corrono le notizie.

Mariano                         - Nessuna notizia. Chi sposa a primavera, d'estate aspetta un figlio. Dalle nostre parti è così.

Il Padre                         - Non trovava niente in paese. Allora ho detto: Mariano scrive che guadagna, io vado con lui, Antonio prende il mio posto alle Saline e tutto. Mamma resta laggiù, per non pesare su uno solo.

Mariano                         - Però Antonio, a sposarsi senza lavoro...

Il Padre                         - Tu lo stesso.

Mariano                         - Proprio perché ci sono passato io!

Il Padre                         - Tu non sei contento. Non è vero che guadagni?

Mariano                         - Ma sì! Te l'ho scritto. E' da un anno, senza smettere mai. Lo sai che sto per lasciare quella maledetta baracca?

Il Padre                         - Che hai, Mariano? Non ti darò tanto peso. La pensione è poca ma c'è.

Mariano                         - Che dici, papà. Hai fatto benissimo.

Il Padre                         - Lo sai che alla direzione non volevano cedere? Secondo loro nessuna legge li obbligava a prendere il figlio al posto del padre. Poi si sono convinti. C'è andata mamma e tutta la famiglia, a pregarli.

Mariano                         - Sì, sì, avete fatto bene.

Il Padre                         - Non è un gran guadagno ma è sicuro. Antonio è ragazzo serio, lo prenderanno subito a benvolere. Io m'arrangerò.

Mariano                         - La pensata è stata buona, sì, sì, è stata buona. Ora la famiglia di Antonio può crescere senza tanto scuro intorno. E mamma li consiglierà: sono così giovani quei due!

Il Padre                         - Quarant'anni in tutto.

Mariano                         - Tu starai con noi. Un po' male, c'è un vano solo per tutti. Ma prima dell'autunno ho sloggiato, quant'è vero che mi chiamo Mariano. Una casa per noi si trova.

Il Padre                         - Aiuterò anch'io la barca. Sono sano e ancora in gamba.

Mariano                         - Tu adesso ti riposi. Hai faticato abba­stanza in vita tua. Le Saline consumano, ho sempre davanti agli occhi le sere che t'addormentavi sul tavolo, tanto eri stanco.

Il Padre                         - Tempi duri. Dodici ore di lavoro. Oggi va meglio.

Mariano                         - Sono contento, papà. Scusa se prima sono rimasto senza parola. E' stata la novità, chi se l'aspettava di trovarti qui, stamattina. Tra qual­che anno, chiameremo mamma con noi.

Il Padre                         - Decidi tu. Ormai sei tu il capo-famiglia.

Mariano                         - Ma sì, papà. Va bene così. Dio ci aiute­rà. Non ti preoccupare. A casa di Mariano, il pane non ti mancherà mai. Vedrai le feste che ti farà Lucia. E i ragazzini? Ho una femmina, papà, bella come la luna. Bianca di pelle, gli occhi così, i ca­pelli di seta. Tu, non la riconosci, quando la vedi. Pare la figlia d'un principe. (Varisco s'affaccia un istante e si ritira) Adesso vattene, non puoi stare qui.

Il Padre                         - Mariano, sta' attento. Varisco m'ha spie­gato quello che avete in mente.

Mariano                         - Te l'avrà spiegato male.

Il Padre                         - Non ti mettere negli impicci.

Mariano                         - Se lavoriamo, hanno bisogno e allora dobbiamo pretendere. In un anno, da manovale sono diventato muratore. E non c'entra che sono bravo. Hanno avuto bisogno d'un muratore bravo. Non si tratta di soldi ma di una questione più impor­tante ancora. La dignità nostra offesa, uomini sen­za valore che nessuno calcola e abbiamo lo stesso sangue: una guerra feroce, padre, ma io non sono stanco.

Il Padre                         - Perché ce l'hai tanto? Non t'hanno fat­to niente di male.

Mariano                         - E anche niente di bene. (Entra Vari­sco).

Il Padre                         - lo non ti so dire altro.

Mariano                         - Sta' tranquillo, andrà tutto a segno. Il principale è razza nuova, giovane: ci si può parlare da uomo a uomo. Lo sai dove sta l'Acquedotto?

Il Padre                         - Non me lo ricordo più.

Mariano                         - Ti scrivo l'indirizzo. Aspetta. (Scrive su una scatola di cerini).

Varisco                          - Un po' d'acqua sul viso e sei subito sveglio.

Il Padre                         - Eh, caldo anche oggi.

Varisco                          - Laggiù che tempo tira?

Il Padre                         - Non è il sole che manca.

Mariano                         - Tieni. Come esci dal cantiere, buttati a destra e vai diritto, finché finisce là strada. Poi domanda, non è lontano. (Accompagna il padre ver­so l'uscita).

Il Padre                         - Mariano, sta' attento. Adesso che hai un buon posto.

Mariano                         - Non è un buon posto, è un posto sol­tanto.

Il Padre                         - Ancora peggio.

Mariano                         - Addio, ci vediamo stasera. Addio, papà. A stasera. (Il Padre esce, quasi spinto via da Ma­riano).

Varisco                          - Vecchierello, tuo padre.

Mariano                         - Uno che ha stretto i denti.

Varisco                          - Un buon cristiano. M'ha tenuto compa­gnia, stanotte.

Mariano                         - Ancora non è venuto nessuno.

Varisco                          - Quanto mi pagate questa levataccia?

Mariano                         - Ci guadagni anche tu, va' là.

Varisco                          - Ho l'impressione che ci guadagneremo tutti.

Mariano                         - L'ora sarebbe passata.

Varisco                          - Se pure verrà qualcuno.

Mariano                         - Verranno tutti, è troppo importante.

Varisco                          - Allora, aspettiamo. (Siede su un fascio di tavole).

Mariano                         - Non ti dispiace dormire lontano da casa?

Varisco                          - No. Anzi.

Mariano                         - Tua moglie non si lamenta?

Varisco                          - Tu fai sempre un sacco di domande.

Mariano                         - Lascia perdere se ti scoccia.

Varisco                          - Quando la notte è diventata per dormi­re, meglio dormire soli.

Mariano                         - La moglie deve dormire con il marito.

Varisco                          - Lo dicono i preti in chiesa. Ma che ne sanno loro?

Mariano                         - Io non lo capisco.

Varisco                          - Tu sei ancora giovane e con la moglie giovane: hai paura delle corna, di' la verità. Metti sopra che sei fresco di terra e la paura cresce per due.

Mariano                         - E' il mestiere del guardiano che non mi piace.

Varisco                          - Sei poco scafato per capire i vantaggi della guardianeria.

Mariano                         - E' più bello costruire. Un mattone so­pra l'altro, si va su.

Varisco                          - Hai ragione anche tu. Toh, guarda qua. (Si alza) Guarda questa mano. C'è stato sopra un quintale di travi, a tuffo. Una mano finita. Per i monchi c'è la guardia, se no, sarebbe fame.

Mariano                         - Abbi pazienza, non lo sapevo.

Varisco                          - Arriva qualcuno. (Entra Daniele).

Daniele                          - Salute a tutti.

Mariano                         - Finalmente. Tu sei il primo.

Daniele                          - Tu. Io sono il secondo.

Varisco                          - Quand'è così, il primo sono io.

Daniele                          - Bella forza, tu ci dormi.

Varisco                          - M'avete levato un'ora di sonno, disgra­ziati.

Mariano                         - Gli altri tardano. (Pausa).

Daniele                          - Non viene più nessuno, Mariano.

Mariano                         - Vengono, vengono.

Daniele                          - Ho detto che non viene più nessuno.

Varisco                          - E' vero, lo so io pure.

Mariano                         - Che avete combinato?

Daniele                          - Ieri, dopo che te ne sei andato. Siamo tutti d'accordo.

Mariano                         - Eravamo d'accordo ma di venire!

Daniele                          - Parliamoci chiaro. Io sto qui come am­basciatore del cantiere. Tocca sempre a me, e ac­cidenti a mio padre che voleva mandarmi all'uni­versità.

Varisco                          - Tu sei l'avvocato.

Mariano                         - Che avete combinato? Insomma! Pos­so saperlo?

Daniele                          - Sta' calmo. Non se ne fa più niente. Punto e a capo.

Mariano                         - Niente! Come niente? Il pericolo che ho scoperto?

Daniele                          - Ha scoperto lui. Dinne un'altra. Ti vuoi mettere in testa che lo sapevamo? Qui c'è gente che è del mestiere da quando hanno inventato il cemento.

Mariano                         - E allora? Perché si sono ritirati?

Daniele                          - Accontentati di lavorare. Ti sei già scordata la disoccupazione?

Mariano                         - Avevamo giurato di non pensarci.

Daniele                          - I disoccupati sono i veri nemici nostri. Se non ci fossero loro, chi ci potrebbe vincere?

Varisco                          - Pagherebbero dieci volte tanto.

Mariano                         - Non m'avete capito bene. O io non mi so spiegare. Qui si corre rischio che crolla il palazzo.

Daniele                          - E qualcuno si romperà la testa. Ma se va bene, diciotto mesi di paga e le marche sul libretto.

Varisco                          - Tira a campare, Mariano.

Mariano                         - Voi non ci state col cervello. Campisi si sfoga con me, ve l'ho detto tante volte. Ha paura anche lui che non regge.

Daniele                          - Ma no, c'è solo un po' troppa sabbia. Fidati, di mestiere sono più vecchio io.

Mariano                         - I puntelli, dico! Altri sette giorni do­vrebbero stare su! Qui oggi crolla tutto! Ma perché state zitti? Rispondete almeno! (Pausa).

Daniele                          - Toh. Fuma.

Mariano                         - Io non vi capisco.

Daniele                          - Sarò avvocato ma gli argomenti non li trovo.

Mariano                         - Andate contro i vostri interessi.

Daniele                          - Tu li conosci i nostri interessi? Allora dimmeli, perché non l'ho mai incontrati faccia a faccia.

Mariano                         - Portare la pelle fino alla vecchiaia. Uno.

Daniele                          - Di fame non si muore. Non basta campare: anche i disoccupati campano, tu lo sai, e può darsi che ci va bene,

Mariano                         - Lavorare una settimana in più. Due.

Daniele                          - Se Campisi ti prende in simpatia, la­vori tutta la vita, altro che settimana.

Mariano                         - La responsabilità verso quelli che ci verranno ad abitare?

Daniele                          - Quelli poi non li conosco. Sto fresco se mi dovessi caricare le responsabilità come fos­sero mattoni.

Mariano                         - E se crolla quando già ci abitano?

Daniele                          - Affari loro. L'ha costruito Campisi, mica noi.

Mariano                         - Noi, noi. Senza queste braccia non si costruisce.

Daniele                          - Oh, senti. Le rogne non mi piace d'an­darmele a cercare. Già ne vengono troppe per conto proprio.

Varisco                          - C'è sempre il collaudo quando il can­tiere si chiude.

Mariano                         - Tu credi al collaudo?

Varisco                          - Questo finora non me l'aveva chiesto nessuno.

Mariano                         - L'ingegnere che costruisce qui, col­lauda là. E quello che costruisce là, collauda qui.

Varisco                          - Meglio crederci.

Mariano                         - Che hai detto prima? C'è troppa sab­bia nel cemento?

Daniele                          - Dicono.

Mariano                         - Allora la situazione è più seria ancora.

Daniele                          - Io è la terza volta che lavoro il cemen­to con le scorie.

Mariano                         - Ecco perché Campisi è tanto preoc­cupato.

Varisco                          - Il pericolo c'è, a levare un cemento debole quand'è ancora fresco.

Mariano                         - E ve ne state così rassegnati?

Daniele                          - Senti, Mariano. Lo sai quanti cantieri sono aperti in tutta la città?

Varisco                          - Seicento.

Daniele                          - E quanti crolli ci sono stati quest'an­no? Cinque.

Mariano                         - E undici dei nostri sono morti.

Daniele                          - Cinque su seicento, undici su trenta­mila. Dev'essere jella nera che tocca proprio a noi.

Mariano                         - Voglio sapere una cosa sola. Se è per paura che vi comportate così.

Daniele                          - Un po' la paura, un po' la fiacca.

Varisco                          - E' laggiù che deve scoppiare la rivolu­zione. Qui i materassi sono morbidi ma se si muove qualcuno, gli diamo una mano.

Mariano                         - Tu aspetti i contadini, i contadini di­cono che saranno gli operai a cominciare. Gio­chiamola a pari e dispari.

Daniele                          - Io dico questo: la rivoluzione si fa a stomaco pieno. Come gli studenti l'altro secolo. A stomaco vuoto, si subisce.

Mariano                         - Tu non sei stomaco vuoto.

Varisco                          - Bravi! E' lo stomaco che governa il mondo.

Mariano                         - Così tutte le ingiustizie vanno bene.

Varisco                          - Uffa! Le prediche.

Daniele                          - Dammi retta, Mariano. Qui tira un'al-tr'aria.

Mariano                         - L'ho visto.

Varisco                          - Parlo io un momento. Io ne ho vissute tante. Ho vissuto l'altra guerra, il fascismo dal principio alla fine, su questa pellaccia sta scritta tutta la storia d'Italia. E qual è la morale? E' tutto inutile. Noi non contiamo mente, non siamo capaci di niente, non vogliamo rischiare niente. E' inutile provare a ogni generazione. Zitti e a cuccia.

Mariano                         - E se uno non fosse d'accordo?

Daniele                          - Quello sarebbe matto.

Mariano                         - Perché ieri mi davate ragione? M'avete battuto le mani.

Daniele                          - Perché ragione ce l'hai. Ieri e oggi.

Mariano                         - Ma allora, se ho ragione, se finalmen­te ho ragione, perché sopportare? Perché questa maledizione?

Daniele                          - Perché ti conviene.

Mariano                         - Ma diamogli sotto, se abbiamo ra­gione! Che c'è da perdere, Varisco, che c'è da rischiare? Questo popolo bue! Cominciamo noi, tocca a noi. Daniele! Varisco! Lo capite che siete in torto? Che così non va, non va! Che serve stare diciotto mesi col batticuore se poi si torna dac­capo? Io conosco la fame più di voi. Datemi ret­ta! E' meglio puntare i piedi, è sempre meglio!

Varisco                          - Bravo! Noi non siamo uniti.

Daniele                          - Siamo in tre, gli altri non ci stanno.

Varisco                          - Solo l'aristocrazia ha sentimento di classe. Per il resto, ognuno per sé e Dio per tutti.

Daniele                          - Bella forza, è facile avere quel senti­mento quando si è in pochi.

Varisco                          - Sarà. A me viene spontaneo inchinar­mi davanti a Campisi. Sarà perché gli riconosco la stoffa del mascalzone.

Daniele                          - Io dico che il cemento è secco. Andrà bene, vedrete.

Varisco                          - Nessuno ci consiglia, questa è la verità. Nessuno ci guida. Ci hanno piantato in mezzo alla burrasca. Maledetti! Novanta alla politica e dieci ai sindacati.

Daniele                          - Io avevo diciotto anni quand'è finita la guerra. Erano tutti contenti. Sembrava - che ne so? - sembrava che dovesse capitare qualcosa di grande, di bello.

Varisco                          - Vallo a capire. Più aumentano i nostri deputati, e più si complicano le cose. Mah!

Daniele                          - E' finita così. Ti ricordi quest'inverno? Tutto quel freddo e quell'acqua? Uno specializ­zato come me ti chiudeva la colonna montante con la calce e tutta l'acqua ghiacciata dentro. Proprio non me ne importava più niente.

Varisco                          - Guardalo lì. Pare un bisonte dopo la monta. O contadino, ti verrà male al fegato!

Mariano                         - Se Campisi levasse mezza paga, nes­suno fiaterebbe.

Varisco                          - Dieci anni fa, era diverso. Tutto quello che chiedevi, ti davano. Allora ero con Ardia.

Daniele                          - Il suocero di questo.

Varisco                          - Tremava davanti a noi. Tremava. Oggi stiamo col pizzo sempre pronto a prendere calci. (Gesto adeguato) Tienici con te, capo, ti servire-remo bene.

Daniele                          - E' finita così. Da che dipende?

Mariano                         - La troppa miseria.

Daniele                          - La politica.

Varisco                          - La paura della guerra, dico io.

Daniele                          - Macché guerra e che c'entra la guerra?

Varisco                          - Avvocato, impara. Se scoppia la guer­ra, si muore tutti. Questo pensa la gente. E anche noi, noi siamo gente come gli altri. E allora di­chiarate la guerra senza il nostro permesso? Bene, signori. Accomodatevi. Ma noi intanto - noi uma­nità - ce la spassiamo. Divertimenti, ferragosto al mare, donne nude sui giornali e un frego con la matita blu su tutti i pensieri. Ma lo sapete voi che gli impiegati non portano più i soldi in ban­ca? Questa è la rivoluzione; si divertono tutti. E i soldi per divertirsi? Ecco Campisi che pianta la politica, si butta sotto con le corna in testa e ammucchia. Leva i sostegni una settimana prima e ammucchia. Noialtri poveracci con che forchette si mangia? Ti devi contentare, intanto al banchet­to ci stai seduto pure tu e se sei furbo rimedi una coscetta di pollo. Chi ha unghie arraffa, e chi batte le mani, da vecchio ha la pensione. O ragazzi, che discorso m'è venuto fuori?

Mariano                         - Io abito sotto gli archi, contro la leg­ge. Ogni ora che vivo in famiglia, è un delitto.

Varisco                          - Di' la tua, Daniele.

Daniele                          - Daniele è un fesso.

Varisco                          - Ora vengono i rimorsi.

Daniele                          - Cerchiamo una via di mezzo. Prima si finisce, e poi lo denunciamo alla polizia.

Varisco                          - Mai chiamare la polizia tra noi, tien-telo per detto.

Daniele                          - Denunciamolo all'Ispettorato.

Mariano                         - Io sto a sentire. Va' avanti.

Daniele                          - Scriviamo ai giornali.

Varisco                          - Il nome sul giornale, io non lo met­to. Lo leggono i costruttori e trovati un altro mestiere.

Daniele                          - Scriviamo senza firmare.

Mariano                         - Una peggio dell'altra. Ma dove ti sei messa la coscienza?

Daniele                          - A quel paese tu e la coscienza. Sei un fanatico e basta. E' arrivato ieri dalle campagne e già dà lezione. Toh, ti dò i soldi. Compra una pistola e ammazza Campisi.

Mariano                         - E se io sparo, voi che fate?

Daniele                          - Io non mi lagno.

Mariano                         - E tu, Varisco? Tu hai detto che se qualcuno si muove, gli dai una mano.

Varisco                          - Io sto fermo come una montagna.

Mariano                         - E che cercate un apostolo? Il sabato sera mica vinco alla lotteria, io.

Varisco                          - Di mano buona ce n'ho una sola, la sinistra. E neanche sono mancino.

Mariano                         - La tua scusa è buona.

Daniele                          - Che sarebbe quel tono? Di', mi credi un vigliacco?

Mariano                         - Non parlare più: è meglio.

Daniele                          - Da vigliacco, non mi sono mai com­portato. Se qualcuno Io dice, gli spacco il muso.

Varisco                          - O ragazzi, litighiamo tra noi? Piantia­mola qui.

Daniele                          - Per me va bene. Piantiamola qui.

Varisco                          - E tu, Mariano?

Mariano                         - Che volete da me? Che batto la testa al muro? Finisce qui, basta. (Pausa. Varisco si stira).

Varisco                          - Eh, sì. La coscienza: una parola.

Mariano                         - Il coraggio, un'altra parola.

Varisco                          - Che ti serve il coraggio se i tuoi ne­mici non hanno paura? (Entra Campisi).

Campisi                         - Varisco, il cancello aperto prima del­l'orario!

Varisco                          - Mah! Chi ha aperto il cancello?

Daniele                          - Si discorreva prima di cominciare.

Campisi                         - Daniele... Mariano... Quanta gente!

Daniele                          - Quattro chiacchiere, così.

Campisi                         - La testa a posto, ragazzi. (Si avvia verso l'ufficio) Ho sentito parlare di coraggio. C'è qualcuno che pratica questo sport?

Daniele                          - Chi lo sa.

Campisi                         - II coraggio nella vita dell'uomo è una circostanza. E ce n'è uno solo al mondo. Uno di numero.

Varisco                          - Mio non è.

Campisi                         - Non è di nessuno. Ce lo passiamo a vicenda, cambia padrone, continuamente e quan­do ce l'ha uno, manca a tutti gli altri. E siamo tanti al mondo, che si muore prima di averlo avuto tutti.

Mariano                         - Prova a rispondergli se ne vieni a capo.

Campisi                         - Come dici?

Varisco                          - E lei, ingegnere, così presto qui?

Campisi                         - Aprimi l'ufficio. Prendi le chiavi. Ho la moglie in macchina, vado via subito. Daniele e Mariano insieme, prima della sirena. C'è puzzo di bruciato qua dentro.

Daniele                          - Niente di male, ingegnere. Conosciamo i nostri diritti ma anche i nostri doveri.

Varisco                          - E' aperto, capo.

Campisi                         - (avviandosi) Miei cari, non esistono più doveri o diritti. Ma soltanto: obblighi o van­taggi. (Entra e si affaccia subito di nuovo) Ma­riano, tornerò un po' tardi dalla gita. Tu aspet­tami qui, ti devo parlare.

Mariano                         - Veramente, proprio stasera...

Campisi                         - Cosa c'è? Non puoi?

Mariano                         - E' arrivato mio padre. Vorrei stare un po' in famiglia.

Campisi                         - Domani, è lo stesso. Fa pure il tuo comodo. Non c'è fretta. (Campisi scompare nel­l'ufficio seguito da Varisco),

Daniele                          - E' gentile, Campisi.

Mariano                         - Sì, è gentile.

Daniele                          - Io lo considero un genio.

Mariano                         - Un genio che pensa agli affari propri.

Daniele                          - A sentire te, l'unico mestiere nobile è quello del missionario.

Mariano                         - O non capisci o non vuoi capire.

Daniele                          - Perché sarà venuto a quest'ora?

Mariano                         - Tutti gli impicci che ha in piedi. Uno finisce e cento comincia.

Daniele                          - Qualche spiata, vedrai. Quello ha già saputo tutto.

Varisco                          - (tornando in scena, lascia socchiusa la por­ta dell'ufficio) S'è messo a sfogliare il registro delle forniture.

Danielb                         - Qualche imbroglio di sicuro.

Varisco                          - Speriamo di no.

Mariano                         - Ti sta a cuore?

Varisco                          - Sono vecchio, amico. E so che quando il padrone ha l'acqua alla gola, i vassalli sono già affogati. (Entra Gianna).

Gianna                          - Buongiorno. (/ tre operai salutano ri­spettosamente) In macchina è già un caldo. Il marito, dov'è?

 

Daniele                          - Nell'ufficio. Vado a chiamarlo.

Gianna                          - No, no. Aspetto volentieri. Voi siete i guardiani?

Varisco                          - Io.

Gianna                          - Ma è sudicio qui, tutta questa polvere.

Daniele                          - Stia attenta, signora. Si sporcherà i I pantaloni.

Gianna                          - Non pare? (Si gira su se stessa) Eccomi nel celebre cantiere Campisi. Un po' grezzo.

Daniele                          - Vede questo grigio? Sarà tutto giallo tra due mesi. Un giallo vivo.

Gianna                          - Lei è Mariano?

Mariano                         - Io sono Mariano.

Gianna                          - Mio marito m'ha parlato di lei.

Daniele                          - Come ha indovinato che Mariano sa­rebbe stato uno di noi?

Gianna                          - (un po' confusa) Ho sentito là fuori. I Mio marito lo stima molto, lei. Dice che è intelligente, un operaio moderno. O modello, mica ho capito bene.

Varisco                          - Hai sentito, tu che borbotti sempre?

Gianna                          - Ora ricordo. M'ha parlato di lei, lì, dalle sue parti. A Pasqua abbiamo viaggiato dalle sue parti. Gliel'ha detto?

Mariano                         - No, signora.

Daniele                          - Un viaggio in macchina?

Gianna                          - Sì, ma terre negate al turismo. (A Ma­riano) Lei non c'entra, lei ha un aspetto pulito, anzi.

Daniele                          - Vuole sedersi, signora? Di là abbiamo anche una sedia.

Gianna                          - Grazie, molto cortese. No.

Daniele                          - Veramente fuori c'è scritto che è vie­tato l'ingresso ai non addetti ai lavori.

Gianna                          - Lei sa essere spiritoso.

Daniele                          - Le dispiace?

Gianna                          - Per favore, chiamatemi mio marito. (Varisco entra nell'ufficio).

Daniele                          - Non vuole accomodarsi?

Gianna                          - Parla sempre lei, il suo amico è taci­turno.

Daniele                          - Un caratteraccio.

Gianna                          - Dal fisico non si direbbe di laggiù, anzi.

Mariano                         - Che andate a fare voialtri, in quei paesi?

Gianna                          - Una cosa carina: per strada si vedono tutti uomini. E le donne, Mariano, dove le tenete?

Mariano                         - AI posto loro. A casa!

Gianna                          - Come gli antichi. Il gineceo insomma. Già, poi: la Magna Grecia e tanto basta. (Campisi s'affaccia).

Campisi                         - Scusami, Gianna. Un minuto e sono da te.

Gianna                          - Ti prego, arriveremo tardi.

Campisi                         - Tutto cronometrato. Signori, vi pre­sento la giovane moglie del vostro principale. (La stringe per la vita).

Gianna                          - Oh, ma anche lui, assicuro: un marito fanciullo.

Campisi                         - Colpa della solitudine: ero sempre senza bottoni. Garantito: dietro ogni scapolo, c'è una mamma longeva.

Daniele                          - E adesso, i bottoni come vanno?

Campisi                         - Perché non glielo domandi?

Gianna                          - Che roba è? Freschi da bere?

Campisi                         - Conclusione: è giovane soltanto a ve­derla.

Gianna                          - Come, soltanto a vederla?

Campisi                         - Perché a sentirla, è molto più giovane. (Si ritira).

Gianna                          - Credo che sia un complimento.

Daniele                          - L'avessi detto io, sì.

Gianna                          - La confidenza la prende tutta lei. Il suo amico là, continua il mutismo. Tutti i rustici sul principio sono un po' timidi. Poi si scatenano. Avrò un chilo di polvere addosso, non pare? (Si gira su se stessa, finendo intenzionalmente vicino a Mariano. Quindi riprende a girare su se stessa finché giunge davanti all'ufficio) Vieni fuori, su, è tardi. Saremo gli ultimi, al solito.

Campisi                         - (tornando in scena) Prontissimo.

Gianna                          - Lo sai che i tuoi operai sono interes­santi? Il tipo galante, il bel tenebroso, il Maciste. (Si avviano verso l'uscita attraversando la scena).

Campisi                         - Gente sveglia. L'ho selezionata io stesso.

Gianna                          - Mi piace. Tornerò qui.

Campisi                         - Non essere sciocca.

Gianna                          - Dopo tutto l'impresa è mia.

Campisi                         - Va bene, tornaci, ma sii più seria.

Gianna                          - Ce l'hai con me, adesso?

Campisi                         - Sei un'incosciente. Che bisogno c'era di attaccar discorso con questi?

Gianna                          - Sei tu che m'hai trascinato qui.

Campisi                         - Ne riparliamo. (Sono giunti alla porta) Arrivederci, ragazzi. Tutto a posto, ora, sì?

Daniele                          - Come al solito, ingegnere.

Varisco                          - A postissimo.

Campisi                         - E tu, Mariano? Ha una grinta, Ma­riano, che mette paura.

Gianna                          - Ma no, che non mette paura.

Campisi                         - Non risponde il nostro amico.

Daniele                          - E' di quelli che si cercano addosso gli scrupoli come i cani le pulci.

Campisi                         - Allora, Mariano? Non rispondi? (Fa un passo) Non rispondi? (Pausa).

Mariano                         - Tutto a posto, signore.

Campisi                         - (avanzando) Ah, bene! Si può sapere che diavolo di congiura avete montato?

Varisco                          - Niente, niente.

Daniele                          - Ma sì, al principale si può dire. Ma­riano aveva un po' di paura a levare i puntelli oggi. Dice che è pericoloso.

Campisi                         - Ah, era questo. Ma no, è tutto secco.

Mariano                         - Speriamo.

Campisi                         - Ewia, t'è venuta paura di morire? Non c'è nessun pericolo, vero, Daniele? Anche il diret­tore dei lavori è d'accordo.

Mariano                         - Il pericolo c'è.

Campisi                         - Giusto. Quello che spaventa non è la morte sicura ma la possibile mortalità.

Gianna                          - (sulla porta) Ora mi sto annoiando. An­diamo.

 

Campisi                         - Vengo. Sicché, Mariano, volevi man­darmi di traverso una gita di luglio?

Mariano                         - Meglio la gita che il fabbricato.

Campisi                         - Sai bene che non leviamo tutto il ban-chinaggio. Stamattina vanno via soltanto i pun­telli più corti.

Mariano                         - Lo so. Lo spuntellamelo si fa un po' per volta ma il crollo capita tutt'insieme.

Campisi                         - Un buon dipendente deve avere fiducia nel suo imprenditore specie quando è un tecnico come me.

Gianna                          - Mi sto annoiandoooo.

Campisi                         - Bene. Sciolgo il comizio. Debutto di Mariano nella gran politica.

Daniele                          - A momenti, i fischi.

Varisco                          - Sbagliando s'impara. Questa è nuo­va, eh?

Campisi                         - Mariano è un gran furbo. Lui lo sa che a protestare ci si guadagna sempre. Vieni qua. Incasserai subito il premio. Ti voglio dire ora quella cosa che t'avevo accennato.

Gianna                          - Per favore!

Campisi                         - Un istante solo, cara. Va' in macchina. Ti raggiungo subito. (Si apparta con Mariano).

Daniele                          - Che gli dirà?

Varisco                          - Il solito sistema. Se lo accarezza. (E' ricostruito l'attimo d'inizio del secondo atto. Im­provvisamente Mariano dà una spinta a Campisi che cade a terra mentre si fa buio. Alla ripresa della luce, sono in scena Daniele e Varisco).

Varisco                          - Noi glielo avevamo detto di starsene zitto.

Daniele                          - Sono stato un vigliacco.

Varisco                          - Non è colpa nostra, Daniele. Mariano lo sa, che non è colpa nostra.

Daniele                          - Non me lo perdonerà mai.

Varisco                          - (va a spalancare del tutto il cancellò) Animo! Al lavoro. Comincia un'altra giornata. Mi tocca di vederne prima di morire, cane d'un mondo. Poveraccio, che racconterà alla moglie? E il padre fresco fresco. Che disgrazia! Tutto ho do­vuto vedere nella vita. Tutto ho dovuto fare. Meno tre cose, però: dire la messa, il mestiere della spia, l'amore con un uomo.

Daniele                          - (sfilandosi la camicia) Per questo, non c'è più pericolo. E chi ti cerca? Sei così brutto. (Cominciano a suonare le sirene dei cantieri: i due si irrigidiscono, evitando di guardarsi).

ATTO TERZO

 (La stessa scena del primo atto ma ora tutto il lato destro è invisibile. Acquasalata fuma sulla so­glia della sua baracca. Dall'altra esce poco dopo Mariano: si avvia verso sinistra).

Acquasalata                  - Mariano. Ehi, Mariano!

Mariano                         - Che vuoi?

Acquasalata                  - Te la fili chiotto chiotto. Dove vai?

Mariano                         - Un appuntamento.

Acquasalata                  - Per questo sei così pulito.

Mariano                         - Per questo.

Acquasalata                  - Guarda che eleganza. Chi t'aspetta?

Mariano                         - Una persona.

Acquasalata                  - Grazie della risposta.

Mariano                         - Katia come sta?

Acquasalata                  - Guarita. Oggi esce dall'ospedale.

Mariano                         - E a te, t'hanno cercato più?

Acquasalata                  - Non c'è stata denunzia.

Mariano                         - T'è andata bene.

Acquasalata                  - Ti sembra reato dare coltellate a donne di marciapiede?

Mariano                         - Se uno punisce la propria donna, ha una ragione sua. E deve farsi giustizia da solo. Poi bisogna pagare. Andare dai carabinieri e dire la verità. La prigione non è infamante se il de­litto è giusto.

Acquasalata                  - Ammetterai che come usanza è un po' cretina.

Mariano                         - Non m'interessa più niente. Né quella legge né questa.

Acquasalata                  - Ti stai buttando giù. Eh, lo capi­sco. La fame trasforma le pecore in tigri, e le ti­gri in pecore.

Mariano                         - Bestie. Tutti quanti.

Acquasalata                  - Perché non te ne vai all'estero? C'è l'emigrazione per disperati come te.

Mariano                         - Ancora non ci penso.

Acquasalata                  - Strano. Di solito i contadini senza terra è la prima cosa che sognano.

Mariano                         - Emigrare è come disertare. E invece uno dovrebbe combattere dov'è nato.

Acquasalata                  - Tutte idee pazze, tutte! Che non stanno in piedi neanche a stirarle.

Mariano                         - Come si fa a emigrare?

Acquasalata                  - E' difficile. Io ti potrei aiutare.

Mariano                         - Tu? Mi pare impossibile.

Acquasalata                  - A te lo dico, perché ho l'impres­sione che tu abbia capito. Io sono in buoni rap­porti con la polizia.

Mariano                         - Sei una spia?

Acquasalata                  - No, è diverso.

Mariano                         - Perciò abiti qui, con tutti i soldi che Katia ti portava.

Acquasalata                  - Ancora un anno e poi non mi ve­dete più. Canada.

Mariano                         - I primi giorni ero convinto che avrei litigato con te.

Acquasalata                  - E perché?

Mariano                         - Perché non mi piacevi.

Acquasalata                  - E perché non ti piacevo? Acquasa­lata piace a tutti.

Mariano                         - Le cose sporche che ti si leggono in fronte.

Acquasalata                  - Mestieri come gli altri.

Mariano                         - Tutti mestieri che non danno sudore.

Acquasalata                  - Hai detto niente.

Mariano                         - Addio. Ci vediamo stasera.

Acquasalata                  - Dove vai? E' per lavoro? Non me Io dici?

Mariano                         - Nelle mie condizioni si bussa a tutte le porte.

Acquasalata                  - Questo non pare, te ne stai sem­pre lì ingrugnato, senza muovere un dito.

Mariano                         - Ho scritto a una signora che m'avevaj dimostrato simpatia.

Acquasalata                  - Ottima idea. Tutto viene dalle l donne, Io garantisce uno che se n'intende. E lei,! t'ha risposto?

Mariano                         - M'ha mandato a chiamare.

Acquasalata                  - E bravo. Caspita. Lo sapesse Lucia.!

Mariano                         - E' una storia seria, Acquasalata.

Acquasalata                  - Raccontami tutto. Siamo amici.

Mariano                         - Amici.

Acquasalata                  - Sì. Amici.

Mariano                         - L'amicizia è una cosa sacra.

Acquasalata                  - Ti piace o no, sono l'unico amico» tuo. No? E allora di' quante volte ti sono venuti a I cercare quelli del cantiere.

Mariano                         - Daniele è venuto.

Acquasalata                  - Un po' poco: una volta, in tre I mesi. Forza. Carogna se non me lo dici.

Mariano                         - Perché quella m'ha invitato?

Acquasalata                  - Perché gli gusti.

Mariano                         - Forse mi darà dei soldi e io li prenderò. Mi vendo, Mariano si vende!

Acquasalata                  - Benissimo, un commercio che dura i da secoli e con buoni frutti per l'intera umanità, Amen.

Mariano                         - Una prostituzione, si dice così? Ma la mia. Di me. Di me, uomo!

Acquasalata                  - Perché ti riscaldi tanto? (Scoppia a ridere).

Mariano                         - Tu ridi!

Acquasalata                  - Con te, Mariano! Con te! Dev'es­sere proprio una gran puttana! Ma guardalo che faccia! Guardatelo! Sei tutto un funerale! Ohi! Mi si spezzano le budella per troppo ridere! Aspet­ta! Ehi, aspetta! Vengo anch'io. Aspetta. E' lai stessa strada dell'ospedale. Aspettami!

Mariano                         - Sei sicuro che Katia vorrà vederti?

Acquasalata                  - La nostra società è utile a tutti ] e due.

Mariano                         - Volevi ammazzarla.

Acquasalata                  - Sono lesto di mano ma la colpa era sua.

Mariano                         - Katia non torna con te, l'ha detto a Lucia quando è andata a trovarla all'ospedale.

Acquasalata                  - La convincerò, con le buone o con le cattive. Senza di lei sono perduto, Mariano. Guar­dami, sono uno straccio, non ti sei accorto come ; sono cambiato in queste settimane?

Mariano                         - Perdi lo stipendio.

Acquasalata                  - Non è solo per lo stipendio. E' perché... è perché... ma sì, perché gli voglio bene, sì, è così, gli voglio bene. A Katia ci sono abi­tuato, è una donna straordinaria. Ma stai su, sembri uno bastonato e zuppo. Sembri tu il marito. A proposito, è una signora con tanto di marito, no?

Mariano                         - E' lui che potrebbe aiutarmi.

Acquasalata                  - Naturale. E' sempre stato così. E I bravo Mariano!

(Escono a sinistra. Buio improv­viso. Poi s'accendono le luci sul lato destro. E' un salotto di casa Campisi, arredamento essenziale. Sono in scena Gianna e Ardia).

Ardia                             - Davvero non m'accompagni?

Gianna                          - Te l'ho detto, papà. Ho visite.

Ardia                             - Tuo marito sa di queste visite?

Gianna                          - Lascia stare mio marito.

Ardia                             - Posso farti una domanda?

Gianna                          - Sotto con la domanda.

Ardia                             - No, un'altra volta.

Gianna                          - No un'altra volta: o è la domanda, o è la risposta.

Ardia                             - A certe domande, è imbarazzo rispon­dere.

Gianna                          - Da qualche tempo hai organizzato una faccia da martire cristiano. T'invecchi, papà.

Ardia                             - Il matrimonio è una cosa importante, Gianna.

Gianna                          - Molto.

Ardia                             - Io mi chiedo spesso se tu hai dell'affetto per tuo marito.

Gianna                          - Ecco la domanda: è arrivata.

Ardia                             - La responsabilità è mia. Ho voluto con­segnarti a un uomo forte.

Gianna                          - Non sentirti in colpa, tu non c'entri.

Ardia                             - Ho trascurato la famiglia ma speravo che l'esempio mio e di tua madre t'insegnasse da solo. Noi ci siamo voluti così bene.

Gianna                          - Potevi spedirmelo per posta, il tuo esempio. Quando tu volevi bene a mia madre, io ero in collegio.

Ardia                             - Dovevo crescerti come una signora. Noi eravamo rozzi.

Gianna                          - Scusami, papà. Come apro bocca, dico una stupidaggine.

Ardia                             - Anche tuo fratello non ha preso da me ma soltanto tu mi dai pensiero.

Gianna                          - Me la cavo benissimo.

Ardia                             - Sta' più vicino a tuo marito. Questo è lo scopo del matrimonio: vivere insieme. Unire le notti e dividere i giorni.

Gianna                          - Nel quartiere gira la voce che frequenti le biblioteche. Dev'essere vero.

Ardia                             - L'unica attività che non mi stanca. Che fine, il grande Ardia!

Gianna                          - Ti sei rimesso a meraviglia, si vede a occhio nudo.

Ardia                             - Il cuore non va più. Ho come un taglio di temperino, qui, sotto la gola. Brucia.

Gianna                          - Hai lavorato tanto. Riposati.

Ardia                             - E oggi, chi aspetti?

Gianna                          - Oh, che inquisizione! E' un operaio li­cenziato che si viene a raccomandare.

Ardia                             - Hai intenzione di aiutarlo?

Gianna                          - Vedrò.

Ardia                             - Non t'immischiare. Sono cose che non capisci. (Entra Mariano).

Mariano                         - Buongiorno. Buongiorno, Cavaliere.

Gianna                          - Venga, s'accomodi.

Ardia                             - Io ti conosco.

Mariano                         - Sì, abito l'Acquedotto.

Ardia                             - Ti ricordo benissimo. Il tuo viso non si dimentica.

Gianna                          - Si chiama Mariano. Quello che sollevò tutto il can can per via del cemento.

Mariano                         - No, io...

Ardia                             - Sì, ho saputo. Ho saputo. Vedi, ragazzo, io ho trent'otto anni di carriera sulle spalle. Io ti posso spiegare. Il cemento porta le scorie perché se le fabbriche smorzano i forni per verificarli, la spesa diventa enorme. E la concorrenza?

Mariano                         - Cavaliere, io vorrei...

Ardia                             - Lo so, lo so. Di scorie ce ne sono troppe. Non ti dò torto, io non ho avuto molti scrupoli ma gli operai l'ho trattati sempre bene e nessuno s'è mai lamentato. Forse ho dovuto compiere azioni illecite qualche volta ma mai disoneste perché la legge è umana ma la morale è santa. Sono i gio­vani che hanno perso ritegno. Sono spudorati.

Gianna                          - Si parla di noi.

Ardia                             - Trent'otto di cantiere e oggi sono Cava­liere del Lavoro. Il Presidente non si vergognerà mai del titolo che m'ha dato. Un imprenditore come Ardia porta onore alla sua patria.

Mariano                         - La verità è che quel giorno...

Ardia                             - La vera disuguaglianza, caro Mariano, non è tra lavoro e disoccupazione. Quella si rimedia.

Mariano                         - E come si rimedia? Io non ci riesco.

Ardia                             - La vera disuguaglianza è tra lavoro e la­voro, tra vacanza e vacanza. Questa non si rime­dia. Tra il molto e il poco, non tra il tutto e il niente. E' meglio stare calmi, quella mattina sa­pevamo tutto.

Mariano                         - Fu un giorno sfortunato.

Ardia                             - Io consigliai Campisi di venire subito a controllarvi. In più, portò lei: davanti a una si­gnora tanto graziosa, non si fanno tragedie.

Gianna                          - Ma no, papà, andavamo in gita davvero.

Ardia                             - Conosco Campisi meglio di te. E' una mia creatura.

Gianna                          - Motivo per cui è anche mio marito. Beh, poi la tragedia avvenne lo stesso.

Mariano                         - Ve lo disse Acquasalata che si doveva scioperare di sorpresa.

Ardia                             - E' un segreto della mia organizzazione.

Mariano                         - Me l'ha confessato lui che è confiden­te della polizia.

Ardia                             - Che sbruffone! La polizia non c'entra. L'ho arruolato io e s'è montato la testa. Servizietti. Mi controlla le baracche. Chi va, chi viene.

Mariano                         - Noi siamo amici. M'aiuterà a emigrare.

Ardia                             - E' uno sbruffone. L'unico aiuto che ti può dare è una spinta verso la galera.

Mariano                         - Ma lui va in Canada.

Ardia                             - Cento volte pregiudicato: come si muove, l'arrestano.

Gianna                          - Una brava persona.

Ardia                             - Arrivederci, per me è tardi. Ho la riti­rata, sapete? Sta' buono, Mariano, tutto si rimedia.

Gianna                          - Te ne vai?

Ardia                             - Sì, torno piano piano. Sai, il respiro mi s'affatica, quando è sera.

Gianna                          - Ciao, riposati.

Ardia                             - Gianna.

Gianna                          - Ciao, papà. Vieni più spesso. (Ardia esce) Temevo che continuasse per un pezzo. Quando comincia la storia della sua vita...

Mariano                         - Non sta tanto bene in salute.

Gianna                          - E' spacciato: miocardite. Eravate co­mici tutti e due. Com'è ben vestito, stasera. Com­plimenti. Qua, sediamoci insieme sul divano. (Sie­dono). Dunque, io ho risposto.

Mariano                         - Sarò debitore in eterno.

Gianna                          - Oh, che paroloni! Non ho fatto ancora niente. Parla pure liberamen... oh, scusi, mi viene spontaneo darle del tu.

Mariano                         - A suo piacere.

Gianna                          - E' vero che s'è deciso a emigrare?

Mariano                         - Non è facile nemmeno questo.

Gianna                          - Io sono curiosa come una scimmia. Non conosco la vostra mentalità e mi piacerebbe cono­scerla.

Mariano                         - Io sono disposto a tutto per sfamare la mia famiglia.

Gianna                          - Comprendo benissimo, non c'è bisogno che lo dica.

Mariano                         - Grazie.

Gianna                          - E' un mondo il nostro, che non è stato ancora aggiustato.

Mariano                         - E' vero.

Gianna                          - Quanti bambini ha lei?

Mariano                         - Due.

Gianna                          - E' contento di averli?

Mariano                         - Sì.

Gianna                          - Anch'io vorrei averne. Mi piacciono i bambini.

Mariano                         - I bambini piacciono a tutti.

Gianna                          - S'è mai chiesto perché? Io sì. Perché sono giocattoli vivi. Nient'altro.

Mariano                         - Sì, è possibile.

Gianna                          - Devo proprio guidarla io, la conversa­zione. (Ride). Quanti anni ha lei?

Mariano                         - Trenta.

Gianna                          - Un'età d'oro. Io ho sempre preferito la compagnia dei trentenni. Perché sì, l'amore a ven-t'anni è poesia, è giovinezza, tutto quello che volete, ma è uno cosa; a trenta invece è tutto, è tutta la vita, capisce?

Mariano                         - Sì, ha ragione.

Gianna                          - Da ragazzi è pulito, semplice, si rinnova senza disastri. Ma a trenta è più impegnato, più completo. E' difficile parlare di queste cose.

Mariano                         - Sì, è difficile.

Gianna                          - Una donna è giudicata subito male se tocca certi argomenti. E' così anche nel nostro am­biente, non crede? Con tutte le arie di evoluti che ci diamo. E da voi?

Mariano                         - E' vero, sì.

Gianna                          - A me piace essere donna. Noi abbiamo un privilegio meraviglioso: darsi a qualcuno. E' magnifico darsi a qualcuno.

Mariano                         - Io non so rispondere ma lei mi capisce.

Gianna                          - Te l'ho già detto che sono curiosa? Ah, sì. Ecco, mi piacerebbe sentire come fate l'amore voialtri.

Mariano                         - Bisognerebbe essere tra uomini.

Gianna                          - Ormai siamo tutti uguali, uomini e donne.

Mariano                         - Non è vero.

Gianna                          - Incomincia, verrà da sé.

Mariano                         - Non sono capace.

Gianna                          - Eri disposto a tutto.

Mariano                         - Che devo dire?

Gianna                          - Non so. Racconta come hai cominciato: per esempio, con tua moglie.

Mariano                         - E' stato molto tempo fa.

Gianna                          - Tutto qui? Oh, imperdonabile: non t'ho offerto ancora niente. Cosa vuoi bere?

Mariano                         - No, no, grazie. Lasci stare. Veramente.

Gianna                          - Prego. Come si chiama tua moglie?

Mariano                         - Lucia.

Gianna                          - Ah, proprio un nome da contadina. Va' avanti.

Mariano                         - Io non m'aspettavo questo interroga­torio.

Gianna                          - Hai ragione, quel biglietto era scritto in modo poco chiaro. Scusa. Non ho badato alla vostra mentalità: al tuo paese mi caricherebbero su una schiena d'asino e giù per il corso a frustate. Una esperienza anche quella, comunque.

Mariano                         - Io vorrei solo che m'aiutasse a trovar lavoro.

Gianna                          - Sta bene. Accontentami. Vai avanti con il tuo racconto.

Mariano                         - Ha deciso così?

Gianna                          - I patti sono questi. (Lunga pausa).

Mariano                         - Una sera, restai solo con lei, dietro il muro di casa sua.

Gianna                          - Vi lasciarono soli?

Mariano                         - All'inizio c'è sempre un momento che ti lasciano soli.

Gianna                          - Vai avanti.

Mariano                         - Così, d'improvviso, io l'ho baciata.

Gianna                          - E lei? Come ha reagito? Questo è inte­ressante.

Mariano                         - Lei alzò gli occhi verso di me e mi chie­se: perché m'hai baciata?

Gianna                          - E tu?

Mariano                         - Io risposi: perché ti voglio bene.

Gianna                          - E lei?

Mariano                         - Lei niente. Io invece trovai una frase, una di quelle che risolvono tutto, che ti rendono padrone della tua donna, superiore a lei.

Gianna                          - E sarebbe?

Mariano                         - Io dissi: la mia risposta è anche una domanda.

Gianna                          - Mh, ben trovata.

Mariano                         - Sì, fu indovinata.

Gianna                          - E lei? Non rispose neanche allora? Co­me si comportò?

Mariano                         - Quello appartiene a Lucia, è roba sua.

Gianna                          - Ehi, non vorrai troncarla qui. Sarebbe uno scherzo idiota. Se vuoi aiuto da parte mia, la strada è questa. (Lunga pausa).

Mariano                         - Allora Lucia si fece piccola piccola e senza alzare gli occhi, disse: io pure.

Gianna                          - Mh, convenzionale. Noi siamo più sbri­gativi, personali, sapessi quanto. E' male ma d'altronde in quei momenti ti prende una febbre e l'unica cosa che desideri è di spogliarti.

Mariano                         - Vorrei andare via.

Gianna                          - No. Ora mi devi raccontare la tua prima notte di nozze.

Mariano                         - Questo è impossibile. (Si alza).

Gianna                          - Siediti. Rimarrà un segreto tra noi.

Mariano                         - No, è impossibile.

Gianna                          - Non credere, Mariano, che per me sia facile. O che è un lusso. Non posso farne a meno, capisci? Lo voglio.

Mariano                         - M'aspettavo un'altra accoglienza.

Gianna                          - Non posso farne a meno, non voglio farne a meno! Avanti, Mariano, avanti!

Mariano                         - Non sono capace. (Si siede di nuovo).

Gianna                          - Eravate in albergo, naturalmente.

Mariano                         - No, una pensione.

Gianna                          - Ad un certo punto, tu hai preso l'ini­ziativa.

Mariano                         - Ho chiuso a chiave.

Gianna                          - Avanti!

Mariano                         - Poi ci siamo guardati negli occhi. Per molto tempo.

Gianna                          - Avanti!

Mariano                         - Poi lei è scappata ridendo verso il letto.

Gianna                          - E tu dietro.

Mariano                         - Io ho spento la luce.

Gianna                          - (isterica) Errore! L'amore vuole il chiaro. Come si tocca, così si vede.

Mariano                         - Lucia sarebbe morta di vergogna.

Gianna                          - Ora siete a letto.

Mariano                         - Mi mandi via, per favore. Sto male.

Gianna                          - E che dicevi intanto? Che dicevi?

Mariano                         - Che le volevo bene.

Gianna                          - E poi? Tutto qui?

Mariano                         - Non mi venivano altre parole.

Gianna                          - Qualcuna un po'... o no?

Mariano                         - Avrei voluto dire tante cose, ma niente mi veniva.

Gianna                          - Ma lei, lei, cosa rispondeva?

Mariano                         - Lei tremava.

Gianna                          - Ma non diceva niente, possibile!

Mariano                         - No, niente. Una moglie nuova nuova, non dice niente.

Gianna                          - Poi come andò?

Mariano                         - Dio fu testimone. Lei vuole mettersi a pari di Dio?

Gianna                          - Nei momenti cruciali, tirate fuori Dio e buonanotte.

Mariano                         - I momenti che può essere amico an­che se spesso non ci è amico.

Gianna                          - Ci siamo distratti.

Mariano                         - Sto male. Posso andar via?

Gianna                          - (ride) Sì, sono stanca anch'io, mi sta pas­sando. Dimmi solo la prima volta che ti vide nudo, un giorno t'avrà pure visto! Coraggio, questo e ci salutiamo.

Mariano                         - Fu al mattino appresso.

Gianna                          - Per lei, era una grande novità, c'è da scommettere. Che disse esattamente? O che fece.

Mariano                         - Disse: mi sembri Adamo. (Gianna scoppia a ridere) Non ridere! (Fa il gesto di colpirla ma lei non se ne avvede).

Gianna                          - E' tanto buffo! Mi sembri Adamo! E basta! Tutto qui! Si contentano loro! Tutto qui! E bravi! (A lungo, istericamente, un riso che finirà in pianto).

Mariano                         - (alzandosi) Povera Lucia! Chissà quale statua gli era rimasta in mente, per quanti anni aveva cercato di figurarsi la forma dell'uomo che sarebbe stato suo marito. Insieme a lui: felicità pochi giorni e compagnia tutta la vita. E io l'ho venduta stasera. I suoi segreti, così belli da tenere in due. (Si alza).

Gianna                          - Tu ora mi disprezzi.

Mariano                         - Addio, signora Gianna. Buona fortuna.

Gianna                          - Parlerò a mio marito. Vedrai che qual­cosa salterà fuori.

Mariano                         - Dice seriamente?

Gianna                          - Certo.

Mariano                         - Non mi prende in giro? Per favore.

Gianna                          - T'aiuterò senz'altro.

Mariano                         - Tornerò al cantiere?

Gianna                          - Quello è chiuso. Ma un altro. Ci puoi contare: gli parlerò io.

Mariano                         - Ah, grazie. Grazie, signora.

Gianna                          - Contento?

Mariano                         - Sì, è andata come volevo.

Gianna                          - Però, adesso, non pensare male di me.

Mariano                         - No, signora, non lo penso.

Gianna                          - E' stato un momento d'invidia. Ma tu non capisci.

Mariano                         - Sissignora, capisco.

Gianna                          - La colpa non è tutta mia, Mariano. Sono cresciuta sola, un gingillo di ceramica su un cri­stallo di Boemia. La solitudine e l'abiezione sono la medesima cosa. Non c'è peggior maestro per i figli, dell'ignorante che fa quattrini. Sto parlando di mio padre.

Mariano                         - Quand'uno lavora, trascura la famiglia.

Gianna                          - Gli anni più belli in collegio. A sedici anni, in collegio. A diciotto anni! E' un'ossessione, tutte quelle femmine insieme. E quando arriva l'amore, è una delusione generale.

Mariano                         - Ormai non le manca niente: è una frase stupida, lo so.

Gianna                          - I soldi risolvono le piccole questioni, non le grandi. Si provano tutte le vie ma non se ne viene a capo. Ho tanto cercato qualcuno che mi stordisse a forza d'amore.

Mariano                         - C'è suo marito, dovrebbe essere finita la sua pena.

Gianna                          - Mi scusi, Mariano, Mi sono comportata come un'oca, per usare un termine decente. Aspetti, le dò un po' di soldi.

Mariano                         - No, non li voglio più.

Gianna                          - Tenga. Su, guardi quanti sono. Via, non faccia sempre lo scontroso. Le servono o no? La fatica c'è stata. Su, non s'offenda. Fanno sempre comodo. Dai, prenda. E prenda! (Mariano prende il danaro e fugge via. Si spengono le luci. Ove pos­sibile, l'intero salotto può scomparire e ricostituirsi la prima scena per intero. Lucia è seduta sul masso e rammenda. Da sinistra, avanza Katia con imper­meàbile sportivo).

Katia                             - Qui si lavora. Buonasera. Lucia (alzandosi) Sei uscita? Come stai?

Katia                             - Un po' fiacca ma bene.

Lucia                             - Come sono contenta. Devi mangiare su­bito, sei troppo pallida.

Katia                             - Ho voglia d'abbracciarti, Lucia. Ti di­spiace? (L'abbraccia).

Lucia                             - No, che non mi dispiace.

Katia                             - In ospedale, ho avuto tempo di riflettere. E sai che ho scoperto? Tu non mi chiami mai per nome. Mi dai del tu ma il nome: mai. Perché?

Lucia                             - Così. Un nome difficile.

Katia                             - Ti vergogni, è vero?

Lucia                             - No.

Katia                             - E allora perché non mi chiami?

Lucia                             - Katia.

Katia                             - No! Non mi chiamo Katia! Capito? Non devi chiamarmi così. Almeno tu: mi chiamo An­gela.

Lucia                             - E' più bello, Angela.

Katia                             - Lo scelse mia madre. Quando mi chiami, se vuoi farmi un piacere, chiamami Angela.

Lucia                             - Io ho una sorella che si chiama così.

Katia                             - E' un nome comune. Quanto mi piace­rebbe essere tua sorella!

Lucia                             - Siamo già amiche.

Katia                             - Lucia Lucia e Lucia: se si dice tante volte il nome, si diventa più amiche.

Lucia                             - Tu non sei debole, non ti fermi un minuto.

Katia                             - Se in avvenire ti ricorderai di me - qual­che volta - ricordati di Angela e mai di Katia.

Lucia                             - Perché piangi?

Katia                             - E ora raccontami: come vanno gli affari? Novità dell'Acquedotto: chi è nato e chi è morto. Mariano dove sta? Ha trovato un impiego?

Lucia                             - Ancora no, ma oggi o domani sicura­mente.

Katia                             - Quanto mi dispiace che ve la passiate così male, voi due. Non so che darei per aiutarvi. Acquasalata s'è preso tutto quando m'hanno por­tata via.

Lucia                             - Per domani abbiamo ancora, non ti preoc­cupare.

Katia                             - Avessi soldi, te ne darei. Volentieri. Ma sono senza. Bisogna ricominciare. Posso vedere Li­setta?

Lucia                             - E' uscita col nonno.

Katia                             - Ho scoperto un'altra cosa importante. (Ride).

Lucia                             - Come sei diversa dalle donne che ho co­nosciuto io!

Katia                             - Diversa in peggio, sì.

Lucia                             - Volevo dire che cambi spesso di carattere.

Katia                             - Di carattere? Magari.

Lucia                             - Non stare troppo in piedi. Vuoi un po' di pane?

Katia                             - Vado via. Lucia. Via per sempre.

Lucia                             - Non torni qui da noi, agli Archi?

 

Katia                             - L'altra cosa che ho scoperto è questa. Io sono una ego-i-sta. Conosco tanti segreti per truc­carsi, per darsi una bellezza e in tutto questo tempo che siamo state vicine, non t'ho insegnato niente.

Lucia                             - Io non ne ho bisogno.

Katia                             - Sì, invece. Vieni qua, rimediamo subito. Sei carina tu. La pelle scura, i capelli neri. E begli occhi. Hai lo sguardo dei caprioli, ce l'hai presente? T'insegnerò a rialzarti le ciglia, come le signore chic.

Lucia                             - Perché mi canzoni?

Katia                             - Sentilo bene, non è riso il mio. Lo sai che tempo fa mi comprai una borsa apposta per i ferri? Una montagna di forbici e di lime che è un'officina. Sarà ancora là dentro, te la regalo.

Lucia                             - Angela, io non posso essere allegra.

Katia                             - Hai almeno un motivo più di me. Su, fatti vedere, la linea c'è, dovresti solo darti un movimento, un po' di grazia ci vuole, quand'una si muove.

Lucia                             - Sta' ferma! Io sto bene così.

Katia                             - Ti sei arrabbiata.

Lucia                             - Io devo stare come sono. Una madre di famiglia.

Katia                             - E invece ti sbagli. Tu hai un bel marito, te lo devi conservare. Non ce n'è tanti come lui. Ripuliscilo un po' e vedrai come gli saltano ad­dosso.

Lucia                             - Qualunque cosa capita, sarà mio marito fino alla morte.

Katia                             - Lucia, dammi una risposta, ma dammela vera. Hai preso mai botte da lui?

Lucia                             - Perché me lo domandi?

Katia                             - Perché vorrei che tu lo domandassi a me.

Lucia                             - Io non te lo domando.

Katia                             - Di una come me, dovresti essere curiosa.

Lucia                             - Sarebbe un peccato da confessare subito in chiesa.

Katia                             - I primi tempi però, mi guardavi fissa fissa.

Lucia                             - Io rientro: preparo per stasera.

Katia                             - Addio, Lucia. Non ci vedremo più.

Lucia                             - Ma che hai?

Katia                             - Se tu un giorno avessi tanto denaro, ba­deresti alle mie bambine? Che madre saresti per loro!

Lucia                             - Non piangere. Tu hai bisogno di riposare.

Katia                             - Acquasalata m'ha aspettato al Ponte del­l'Autostrada. Ho le ossa a pezzi, Lucia, per le botte che ho preso. Appena uscita dall'ospedale, m'ha ridotta così, quell'assassino.

Lucia                             - Oh, Signore, che disgrazia!

Katia                             - Mi s'è messo un dolore fitto alle costole.

Lucia                             - Va' a letto subito. Ti porto acqua calda.

Katia                             - No, Lucia, io scappo. Devo scappare.

Lucia                             - Sta' attenta. Se ti riprende? Sta' attenta.

Katia                             - Se stiamo insieme, o lui ammazza me o io ammazzo lui.

Lucia                             - Cercate d'accordarvi. Ti vuole bene.

Katia                             - Lo sai tu?

Lucia                             - L'ho capito.

Katia                             - Per me è finita. Per me non c'è stato nessun Mariano. Solo gente come Acquasalata mi vuole bene, a me.

Lucia                             - Non è vero, anche noi.

Katia                             - Voi? Perché vi ho dato una mano.

Lucia                             - No! Non è per questo.

Katia                             - Per me non cambia più. (Entra Mariano) Ormai. Addio, Lucia. Di' che non m'hai visto. (Fugge a sinistra).

Lucia                             - (qualche passo in quella direzione) An­gela! Angela! Angela!

Mariano                         - Vieni qui! Perché la chiami Angela? Perché strilli? Non ricominciare con le confidenze a quella!

Lucia                             - Hai novità? Che t'hanno detto all'Ufficio del Lavoro?

Mariano                         - Macché Ufficio del Lavoro!

Lucia                             - Niente anche oggi.

Mariano                         - La giornata non è andata persa. Tieni.

Lucia                             - Chi te l'ha dati?

Mariano                         - Me l'hanno regalati.

Lucia                             - Come regalati?

Mariano                         - Come? Me l'hanno regalati! Hai capito o devo ripetere?

Lucia                             - Dove sei stato?

Mariano                         - A spasso!

Lucia                             - Tu sei andato a bere, ti si sente addosso.

Mariano                         - Non ne posso più, Lucia. Andiamo via di qui. Non capisco nessuno, quello che faccio, sba­glio. Mi sembra d'essere uno straniero.

Lucia                             - Adesso calmati. In certi momenti, non ti controlli più. Intanto ci sono questi, per qualche giorno si va avanti. Tu soldi guadagnati male non li porteresti a casa.

Mariano                         - Una folla ti passa vicino per la stra­da. Ti urtano con le braccia ma come ci parli? Come attacchi discorso? Come ti spieghi?

Lucia                             - Tu hai bevuto: pazienza. Mi piacerebbe sapere come li hai avuti. Non sono pochi. Forse hai lavorato in un buon posto e non vuoi dirmelo.

Mariano                         - Montare sul treno e tornare a casa: è l'unica.

Lucia                             - No, questo mai.

Mariano                         - Un anno fa eri pronta.

Lucia                             - Un anno fa sbagliavo. Qui si può cam­pare, si vede. Bisogna avere pazienza, ecco tutto.

Mariano                         - Se ti raccontassi che m'è capitato oggi. Sembra una barzelletta. Di quelle sporche.

Lucia                             - Non voglio sapere.

Mariano                         - Una tortura, è stata.

Lucia                             - Va' a dormire un po', approfitta che non c'è nessuno.

Mariano                         - Andiamo via. Andiamo via! Non è po­sto per noi.

Lucia                             - Lo diventerà. Tanti dei nostri si sono adattati e adesso campano bene. Ci vuole pa­zienza.

Mariano                         - Sarà peggio. In ogni modo, sarà peggio.

Lucia                             - Quando bevi, non connetti più. Su, vieni a dormire. Cammina.

Mariano                         - Che mi saltò in testa, quella mattina. Ormai ero dentro. Che rimorso, da awelenarcisi il sangue.

Lucia                             - E' presto per dirlo. I tuoi figli hanno un padre onesto e un giorno se ne vanteranno.

Mariano                         - Qui sta il punto, Lucia: vantarsi di che? Con chi? I figli? Ma sarà impossibile siste­mare tutte le esperienze che uno s'è messo in corpo. Insegnargli che? A camminare diritto o a quattro zampe? Tu non Io capisci ma io oggi -dentro quella casa di lusso - io oggi ho visto tutto chiaro. Limpido, come l'acqua del pozzo.

Lucia                             - Ho capito dove sei stato.

Mariano                         - No, che non l'indovini.

Lucia                             - Non mancare di rispetto alla tua famiglia.

Mariano                         - Sono stanco, senza amici! Senza un esempio davanti.

Lucia                             - Qui ti deve passare.

Mariano                         - Domani ti racconto tutto. E' giusto, lo devi sapere.

Lucia                             - Credevo che bastasse aspettare. Sbagliato anche questo.

Mariano                         - Povera Lucia, è la donna che ci ri­mette col matrimonio.

Lucia                             - Ancora un mese, due settimane. Per ì figli, qui è più facile che qualcuno ti aiuti. E' più facile mandarli a scuola. Laggiù eravamo tutti a chiedere. E solo Dio poteva aiutare.

Mariano                         - Se c'era uno che poteva onorare Dio, eccolo qua. Ma cosa chiedevo io? Un po' di lavoro, creanza e giustizia.

Lucia                             - D'ora in poi, le questioni le decideremo insieme. (Entra il padre da destra ma essi non lo scorgeranno).

Mariano                         - Sì, sì, va bene, mamma. Pensa tu. Io lavorerò se sarò fortunato, altrimenti sto qui, su questo macigno, senza dare fastidio a nessuno. (Si siede).

Lucia                             - Perché non vuoi dormire?

Mariano                         - Oggi, quand'ho passato un brutto mo­mento, mi sei venuta in mente tu.

Lucia                             - Proprio io?

Mariano                         - Ho pensato così: Lucia sta sola a casa e nessuno la consiglia.

Lucia                             - Consiglia di che?

Mariano                         - Come fossi morto. Ho pensato così, senza volerlo. Che tu eri sola qui, in mezzo a questa gentaccia.

Lucia                             - Non andare più in quei posti, me lo prometti?

Mariano                         - Lucia. (Si alza e l'abbraccia) Papà dove sta?

Il padre                         - (avanzando) Sono qui, Mariano.

Mariano                         - Che brutto vizio, ti nascondi sempre.

Il Padre                         - Porto buone notizie.

Mariano                         - Finalmente! Ho bisogno di buone no­tizie.

Il Padre                         - Da domani aiuto la barca.

Mariano                         - Vado io al tuo posto, dove?

Il Padre                         - Non è per te, ci vuole un vecchio.

Mariano                         - E che lavoro hai trovato? Hai visto, sei più bravo di me.

Il Padre                         - Da quando sono arrivato ho girato. Ho girato, osservato e tutto. Così oggi ho preso con me Lisetta e sono andato.

Mariano                         - Ma andato dove? E Lisetta che c'entra?

Il Padre                         - Eccola laggiù. S'è fermata ad acchiap­pare grilli.

Mariano                         - Dove siete stati?

Il Padre                         - Non lo so: una strada larga, tutti negozi e tanta luce che parevano fuochi artificiali. Oggi è andata così così: un po' mi vergDgnavo e riamo scappati subito. Un esperimento. Domani ci starò tutto il giorno.

Mariano                         - Papà, che hai combinato?

Il Padre                         - Eh? La polizia è passata ma non diceva niente. Buoni ragazzi anche loro. Vivi e lascia vi­vere. Ho chiesto la carità, Mariano.

Mariano                         - Questa non me la dovevi combinare. Che scherzo m'hai fatto, che avvilimento. E ades­so che ci resta più? E' la maledizione che arriva, abbiamo voluto troppo e ora si sconta. Bisognava restare laggiù, in mezzo alla terra. La carità, no. Con mia figlia, no. Siamo gente per bene. La no­stra famiglia, papà, tu ci hai cresciuto così. Lo sapessero al paese. L'unico che ha lavorato tutta la vita: un patriarca. Ma che t'ha preso, che t'è capitato? Tutte le fatiche per resistere.

Il Padre                         - Credevo di aiutare, ho sbagliato?

Mariano                         - Questo è l'ultimo colpo. Peggio di Lu­cia che prese i soldi da quella donna. E' la male­dizione che arriva, bisogna andare via, tornare indietro.

Il Padre                         - Ho sbagliato.

Mariano                         - Mia figlia non dovevi portarla. Qui di­venteremo disonorati per sempre.

Il Padre                         - Vivere a lungo è ingiusto quanto morire giovani.

Mariano                         - Lucia! Tu non dici niente? Questa è l'ultima giornata che stiamo qui. Giù all'inferno! E guai a chi esce!

Il Padre                         - Mi sono bastati tre mesi per rinnegare tutto. Che vita è stata la mia: pentirsi di vivere tanto.

Mariano                         - Perché non m'hai detto niente? Perché hai preso l'iniziativa da solo?

Il Padre                         - Volevo aiutarti. T'ho visto soffrire e mi bruciava dentro. Perdona: ho sbagliato. (Entra nella baracca).

Mariano                         - Lui è vecchio, il disonore non lo tocca ma l'innocenza di Lisetta me la doveva lasciare.

Lucia                             - Ma che capisce quella!

Mariano                         - Non dipende dall'età. Allora sarebbero innocenti solo quelli senza cervello. No, i piccoli sono innocenti perché lontani dai soldi. E lui ce l'ha avvicinata.

Lucia                             - L'hai rimproverato. Basta e non se ne parla più.

Mariano                         - E' stato un avvertimento. Ma se tua figlia avesse quindici anni - o sedici - i pericoli ...i...i teppisti i prepotenti che passeggiano qui intorno. Se stai in miseria i figli non t'obbediscono, non li tieni a freno.

Lucia                             - (piangendo) E allora, bisogna tornare?

Mariano                         - Tu hai più giudizio di me. Parliamone insieme. (Mentre vanno a sedere, entrano da si­nistra Acquasalata e Katia. La donna esita quasi a salutare i due).

Acquasalata                  - Avanti! Cammina. Ho voglia di dor­mire. (La spinge nella baracca. Si chiudono dentro).

Mariano                         - Lisetta tienila sempre con te. Non mandarla con nessuno. Neanche con me, solo la madre protegge la figlia.

Lucia                             - Va bene, non la mando più con nessuno.

Mariano                         - Vorrei che ti somigliasse. Che venisse su come te.

Lucia                             - Meglio di me. Io sono una contadina ma lei sarà una signorina di città. Tutta carina, ele­gante.

Mariano                         - Speriamo. Noi siamo di terra e la città è di pietra. Cattiva come la pietra.

Lucia                             - E Lisetta invece sarà buona. Sarà la pri­ma signorina buona di città. Sei contento?

Mariano                         - Tu sei brava ma io ho perso la bus­sola.

Lucia                             - Quando si desidera veramente una cosa, alla fine s'ottiene.

Mariano                         - Allora tutte le voglie si dovrebbero agguantare per il collo. E invece non è.

Lucia                             - Perché rinunciano. Ma chi non rinuncia, arriva. (Entra Campisi. I due si alzeranno).

Campisi                         - Salve, Mariano. Buonasera, signora. Come stai? Non mi dai la mano?

Mariano                         - Sì, scusate la sorpresa.

Campisi                         - Ti devo parlare. (Lucia si allontana subito ed entrerà in casa) Tu sei stato a casa mia, oggi.

Mariano                         - Sì, signore. Due ore fa.

Campisi                         - Ti piace il mio servizio di spionaggio?

Mariano                         - Spiego il motivo della visita.

Campisi                         - Sta' zitto. Interrogo io.

Mariano                         - Sono andato a raccomandarmi.

Campisi                         - Lo so, t'hanno già raccomandato. Il primo punto è chiarito.

Mariano                         - E basta.

Campisi                         - Niente « e basta ».

Mariano                         - Che volete? Io sono un povero disgra­ziato.

Campisi                         - Non t'allarmare, sono venuto con buo­ne intenzioni. E' tempo d'accomodamenti, Mariano, non di guerre.

Mariano                         - Mi avete domandato, vi ho risposto.

Campisi                         - La tua visita ha toccato due argomenti; Su uno, siamo intesi. Il secondo?

Mariano                         - State tranquillo, m'è parsa una signora a modo.

Campisi                         - Non sta a te giudicarla! Perché s'è in­contrata con uno come te, questo non è chiaro.

Mariano                         - E' stato una specie d'interrogatorio.

Campisi                         - Ho capito.

Mariano                         - Le donne belle sono capricciose, così dicono da noi.

Campisi                         - (dà un calcio a un sasso) Ero sicuro d'avere vinto. E invece no. Non è vero niente. Cristo! Non è vero niente! Niente!

Mariano                         - Io dico che bisogna cercare la tran­quillità e allora va scelta una donna sottomessa, non capricciosa.

Campisi                         - Non so perché mi viene di dirlo a te, ma è da tempo che ho un'apprensione. Una paura.

Mariano                         - Ho mancato di rispetto a Lucia. Quei soldi non andavano presi.

Campisi                         - Io m'ero sposato per i soldi. La sban­data è venuta dopo. Così la fregatura l'ho avuta intera.

Mariano                         - Sono uscito da casa vostra senza che ci siamo sfiorati una mano. Altro non mi riguarda.

Campisi                         - (scattando) E questo è peggio, Ma­riano! Qui sta il delitto! Che condanna m'è capi­tata, io che m'ero costruito una vita senza punti deboli, io andarmi a innamorare come un ragaz­zino. Una condanna, Mariano, uno coraggioso co­me me, una tegola che m'ha steso chissà per quanti anni. Non ci voleva: parola, non ci voleva in que­sto periodo della mia vita. Sono partito male con lei, non me lo perdonerà più d'averla sposata per i soldi. Non mi crederà mai che il giorno che non la vedo è sprecato per me. Io la voglio per me, ma lei, lei come accoglie suo marito?

Mariano                         - Ognuno ha la sua croce.

Campisi                         - Non so che decidere, Mariano. Mi trovo senza amici.

Mariano                         - Lo capisco.

Campisi                         - Senza un esempio, davanti. Come uno straniero.

Mariano                         - Mi dispiace per voi. M'avete licenziato ingiustamente ma non siete malvagio.

Campisi                         - Ero già malincamminato per conto mio ma ho incontrato chi mi trascina giù più veloce ancora.

Mariano -                      - Io ero disposto a tutto per vivere, voi per vivere bene. Eccoci qua tutti e due.

Campisi                         - La luce questa volta verrà dal basso. E' necessario raggiungere il fondo della ripugnan­za, lasciarsi andare senza resistere. L'assoluta cor­ruzione significa già libertà assoluta. Dobbiamo corromperci, marcire tutti interi perché le vecchie idee sono insufficienti a correggere. E comunque non si tratta più di correggere ma di cominciare. Solo quando avremo toccato il fondo, allora avre­mo orrore di noi stessi. Quando sarà uno schifo generale per ogni minuto della nostra esistenza, senza un attimo di sollievo, senza una speranza di perdono, un fango universale, allora sentiremo un tale ribrezzo di noi e della nostra condizione che si comincerà a risalire. Non lo dico per me, per giustificare la canaglia che ti sta dinanzi, lo dico per voi, per voi che mancate di tutto e siete i più vili. I miserabili che si vendono per poco, il controsenso del secolo. Sbrigatevi a calare giù, per voi è più facile e sarete i primi a riemergere.

Mariano                         - Vendersi per poco: sì. E' vero.

Campisi                         - Ho i nervi corrosi, Mariano. Non ascol­tare le mie sciocchezze. Certi scatti impressiona­no ma dietro c'è il vuoto. Gianna è solo un po' estrosa, siamo due matti ma andiamo d'accordis-simo. Non galoppare con la fantasia. Un po' di stanchezza, sì, questa c'è, bisognerebbe andare in vacanza. Un viaggio. Ecco: un viaggio. E si torna sani, restaurati.

Mariano                         - Ricordatevi di me, prima di partire.

Campisi                         - La vacanza ci vuole. In autunno, è be­nefica. Sì, prima di partire vorrei essere certo che non ti metti a cicalare come una donnetta. A volte, per darsi arie, uno inventa storie.

Mariano                         - Guardate se è possibile riprendermi al cantiere. Vi servirò bene, senza fastidi. Parola d'onore.

Campisi                         - Gianna m'ha detto che vuoi scrivere ai giornali, chiacchierare sui cantieri.

Mariano                         - Ha detto così?

Campisi                         - Che vorresti scrivere?

Mariano                         - Sì, è vero. Sono dannato e non ho altre carte in mano.

Campisi                         - Perché non ti sei deciso prima?

Mariano                         - Speravo di sistemarla.

Campisi                         - E cosa vorresti dire esattamente? Sen­tiamo.

Mariano                         - Io non parlo, riprendetemi con voi e sto zitto.

Campisi                         - Sì, appunto, questo era il vero motivo della mia venuta qui, e i discorsi hanno portato lontano. Ecco, volevo dirti proprio questo. Ho sempre bisogno d'un uomo di fiducia. E ancora te, ho in mente.

Mariano                         - (pausa) Sono pronto.

Campisi                         - Tu sei sveglio, buttati ed è fatta. In realtà è di due persone che ho bisogno. Uno sa­rebbe Daniele, lui è più istruito ma un altro lo dovrà affiancare. Vai d'accordo con Daniele?

Mariano                         - Altro che! Siamo amici, io e Daniele. E' venuto a trovarmi.

Campisi                         - E' là, in macchina. Ora te Io mando. Se accetti, festeggiate l'avvenimento. Ha già com­prato un fiasco, di quello rosso che pare sangue bruciato. Lui è convinto che ci stai.

Mariano                         - Si vede che mi conosce.

Campisi                         - Non mi chiedi di che si tratta?

Mariano                         - No. Accetto e basta.

Campisi                         - Niente di losco, intendiamoci. Quello che t'ho offerto l'altra volta. Un lavoro che chie­de attenzione. Daniele sarà il nuovo assistente e tu farai il marcatempo. Te la senti?

Mariano                         - (pausa) Non mi tormentate con le do­mande. Dite quello che devo fare e lo faccio.

Campisi                         - Niente di male. Lo sai benissimo: è tut­ta gente che si accontenta di lavorare. D'altra par­te, le assicurazioni sociali mi stroncano.

Mariano                         - La paura è stata tanta che va bene tutto.

Campisi                         - In cambio ti chiedo due cose. Il licen­ziamento non è mai esistito, e casa mia tu non sai nemmeno dove sta.

Mariano                         - E chi paria.

Campisi                         - Gianna è soltanto una ragazzina sven­tata. Tutto qui. Tra qualche anno si mette in se­sto. Sarebbe stupido che si divulgassero voci sul suo conto.

Mariano                         - Mi sarebbe piaciuto di più fare il mu­ratore.

Campisi                         - Tu adesso dirai che t'ho voluto umi­liare, approfittare delle tue condizioni. O vendi­carmi, magari. Niente affatto. Ho veramente bi­sogno di gente in gamba. Del resto, la prova è che te l'ho proposto quella famosa mattina ma tu fosti intrattabile.

Mariano                         - Sono stato uno scemo.

Campisi                         - Va' a vedere quella palazzina, ti prego. Tutte le tue paure, m'avevi messo in apprensione. Solida e bella, come poche. E' andata a ruba. Ce n'è gente di buon gusto. E io la servo. Questa è una città che non smette mai di crescere. C'è da mangiare per tutti e un giorno ci saranno cin­que milioni di persone e poi tutti gli italiani avranno una casa qui. A New York vivono in quindici milioni ed è una città brutta. Perché qui non dovremmo starci il doppio? E l'avremo co­struita noi, una metropoli moderna. Ardia comin­ciò come te: badile e calce. Chi è capace salta i fossi alla cieca. Tuo figlio andrà all'università e il figlio di tuo figlio sarà qualcuno in società. Questa è la scala e tu ormai sei un cittadino in­tero. I patti, li ricordi.

Mariano                         - Non lo dite più, io ho già scordato tutto.

Campisi                         - Vieni domani. Ti darò le prime di­sposizioni.

Mariano                         - Per me è la salvezza.

Campisi                         - Non hai pratica del nuovo incarico e non posso darti molto. Ma presto ti aumento, è promesso.

Mariano                         - Mi meriterò l'aumento.

Campisi                         - Sarà contenta Lucia?

Mariano                         - E' un mestiere che non conosce.

Campisi                         - Le donne parlano spesso a vanvera, non raccontare niente.

Mariano                         - Sì, è meglio. Mi abituerò. Anche mio padre non diceva tutto a casa.

Campisi                         - La regola è non fidarsi di nessuno. Questo non significa diffidare di tutti ma contare solo su se stessi.

Mariano                         - Sarò segreto, ve lo garantisco.

Campisi                         - Addio, Mariano. Io sono più sollevato, e tu?

Mariano                         - Anch'io, sì.

Campisi                         - A domani, allora. Vieni alle nove.

Mariano                         - Sta bene, alle nove. (Si stringono la mano).

Campisi                         - Ti mando Daniele. (Si avvia. Prima di uscire) Buonanotte, Mariano. Salutami tua moglie.

Mariano                         - Grazie, buonanotte. (Campisi esce, a destra. A tempo debito, rombo della sua auto) Lu­cia! Lucia!

 

Lucia                             - (correndo fuori) Non dire niente! Non dire niente! E' buona notizia!

Mariano                         - Lucia. (L'abbraccia strettamente. Sulla porta della sua baracca, s'affaccia Acquasalata e si ferma a fumare beatamente).

Lucia                             - Che c'entra adesso quella faccia scura? Ma come, non sei contento?

Mariano                         - Beh, sai che ti dico? Ho una voglia matta di prenderti a sculacciate.

Lucia                             - Se ci riesci. (Fugge via).

Mariano                         - Se ti prendo, ti gonfio di sculacciate.

Lucia                             - Se ci riesci, se ci riesci. (Entra Daniele con un fiasco in mano. I due s'arrestano).

Daniele                          - Allegria. Avevo indovinato. (Mostra, po­sando in terra, il fiasco).

Mariano                         - E che altro, se non è allegria?

Daniele                          - Lavoro da quattro anni in fila: co­mincia a mancarmi poca roba.

Mariano                         - Io sto ancora qui.

Daniele                          - Cominci tardi. Ma t'andrà bene lo stesso.

Mariano                         - Bisogna vedere che bene.

Daniele                          - E allora perché tanta festa?

Mariano                         - Il vino l'hai portato tu.

Daniele                          - Ridevi, due minuti fa.

Mariano                         - Anche i matti ridono.

Daniele                          - Ti sei arreso, Mariano? (Gli è vicino).

Mariano                         - Sembra, ma non è.

Daniele                          - Non t'arrendere. Se molli tu avremo troppe scuse.

Mariano                         - Gli ho stretto la mano.

Daniele                          - Non vuol dire niente.

Mariano                         - In quel momento, ho cominciato a odiarlo.

Daniele                          - Bravo, con loro bisogna avere due facce.

Mariano                         - Gli sbagli sono tutti nostri.

Daniele                          - Abbiamo aspettato troppo. Sono arri­vate prima le automobili.

Mariano                         - Ci siamo ancora lontani.

Daniele                          - Sì, ma nessuno ci vuole rinunziare. C'era una volta una tribù tutta nuda. Poi uno della tribù si mise un lenzuolo ai fianchi. Allora tutti si vergognarono di girare nudi.

Mariano                         - Siamo due carogne. Ma si potrebbe sempre ricominciare.

Daniele                          - Io ci sto, lo sai. Prima ero vigliacco perché avevo paura della fame. Ma adesso, se si sta senza lavoro qualche mese, roba da vendere ce l'ho. Io ci starei.

Mariano                         - L'automobile non cambierà niente. Fin­ché ci sarà una ingiustizia, ci sarà voglia di giu­stizia. Daniele, è una voglia che non passa. Mai. (Si stringono la mano. Dietro Acquasalata si profila Katia un po' discinta che piega sorridendo la testa sulle spalle dell'uomo. Sull'uscio dell'ultima baracca il padre s'affanna ad aggiustare un ma­nico di scopa. Si spengono una a una tutte le luci e quindi si chiude lentamente il sipario.

FINE