Un orologio si è fermato

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Un orologio si è fermato

Un prologo, due atti e un epilogo di Edoardo Anton


PERSONAGGI

ZIA GIUDITTA

DOTTOR ELIOBAR

MADDALENA

ALINA

ENRICO

ADELAIDE

ASSUNTA

Ai nostri giorni, nella villa di Zia Giuditta..

Il secondo atto è diviso in due quadri


PROLOGO

 Sala terrena della villa. È nell'arredamento, pesante, quasi un cotetro, qualche nota di trasandatezza e un assenza di colore. Nel fon­do, nella metà di destra, si apre sul giardino una veranda che ha una sua porta verso l'e­sterno ed è ornata di piccole palme. A destra la porta che si apre su altre camere. Nel cen­tro la porta che darà sull'ingresso. Poltrone e un divano, a sinistra, dietro un angolo for­mato dalla parete.

Sono in scena Enrico, ragazzo di 18 anni, magro e scontroso, non eccessivamente intelli­gente, timido e impacciato più di quel che non comporti la sua età; Adelaide sua madre, grassa signora cinquantenne seduta su di una poltrona.

Egli è dinanzi al presepe: sta aggiustando i fili della cometa. Ella è seduta al tavolino e con le mani inguantate è occupata in un com­plesso solitario.

Adelaide                  - Di' un po' Enrico; a te sembrano divertenti queste vacanze natalizie in mon­tagna? Ma già, a te sembrano necessarie!

Enrico                       - Zia Giuditta ha tanto insistito nell'invitarci! Ed è stata così affettuosa con noi in questi giorni!

Adelaide                  - Non farti illusioni, Enrico. Lo sai benissimo perchè mia sorella è tanto af­fettuosa! Giuditta è molto cara, ma non è tipo da far nulla per nulla,

Enrico                       - Se non altro questo significa che vuol bene a sua figlia.

Adelaide                  - Ecco. Al liceo sono cominciate le tue vacanze. Cominciano per tutti: non è merito tuo. E lei ci ha invitati soltanto per far piacere a sua figlia. Credimi, sarebbe assai diverso se Alina non si fosse innamo­rata di te.

Enrico                       - Si, ma anch'io mi sono...

Adelaide                  - Di conseguenza. Soltanto di con­seguenza. Alina ha quasi la tua età ed è femmina: figurati in queste condizioni di chi può essere l'iniziativa! Ti ha scelto lei.

Enrico                       - (alzando le spalle) Scelto! Parli in un certo modo, mamma!

Adelaide                  - Un modo gentile. Avrei anche po­tuto osservare che tua cugina avendo sott'occhio soltanto te non ha avuto scelta! E invece non lo osservo. Non lo osservo af­fatto...

Enrico                       - Non ti capisco. Sino a ieri sei stata tu a spingermi, quasi.

Adelaide                  - Io? Oh, dico! Ti ho fatto rilevare i vantaggi materiali che potevano deri­varne... Alina è ricca.

Enrico                       - Io non ho badato a questo.

Adelaide                  - Ma ripensandoci... Sei così gio­vane e dovrai prima laurearti... E non mi pare che tu abbia perduto la testa... (En­rico alza le spalle) Poi, tutte le difficoltà che nascerebbero dal fatto che siete cugini...

Enrico                       - Ma, tutto questo lo sapevi anche prima... Perchè al!ora?...

Adelaide                  - Prima! Prima... Sai bene che le nostre condizioni non sono floride... Era capitata questa occasione... Ma poi... in­somma, avrò le mie ragioni, ora!

Enrico                       - Ma quali?

Voce di zia Giuditta   - Alina! Alina!

Adelaide                  - Ecco Giuditta che cerca la sua adorata vittima. Non la lascia un momento in pace. Vorrà certamente metterle addosso qualche altro scialle.

Enrico                       - Beh, che c'entra! Ognuno ha le sue manìe. Tu allora, mamma, che fai il solita­rio con i guanti per paura dei microbi?

Adelaide                  - E’ provato scientificamente che...

Assunta                    - (entra da destra correndo. Tipo di grossa serva di campagna bonaria e qua­rantenne. Guarda in giro per la stanza e mormora) Non c'è! (Riprende a correre ed esce dal fondo. I due l'hanno seguita con lo sguardo).

Adelaide                  - (riprendendo) A questo proposito domani, in un momento di calma, ti dovrò poi parlare di una cosa seria. (Aprendo la borsa da lavoro ne trae un foglio piegato) Mi è arrivato due ore fa il referto sulla ra­diografia di Alina.

Enrico                       - Una cosa molto seria?

Adelaide                  - Oh Dio! È un referto medico, si sa! (Si ode un fracasso indiavolato, come di legni urtati e infine il rumore di un ve­tro infranto insieme alla):

Voce di Alina           - (acuta, irritata) Non voglio! Vi ho già detto che non voglio! Preferirei ucciderli! (Poi in tono pia pacato) Non fa niente. (Rumore di porta sbattuta. Adelaide ed Enrico al primo rumore sono accorsi alla porta del fondo).

Zia Giuditta             - (entrando da destra) Alina, vero?

Adelaide                  - E chi vuoi che sia?

Zia Giuditta             - Meno male. Stavo in pensiero. Con questo freddo temevo fosse uscita.

Alina                        - (entra dal fondo infagottata in molti scialli, ancora animata dall'ira non del tutto sbollita, succhiandosi un dito ferito. Ella è una ragazza di 17 anni, di struttura gracile, capelli rossastri arruffati, grandi occhi febbrili, inquieti e cerchiati, il viso cosparso d'efelidi; ha un neo su di una guancia. Ha i movimenti, gli scatti di voce e il gesto della belvetta. Con risolutezza dice guar­dando attraverso la porta dalla quale è en­trata) Ecco fatto.

Adelaide                  - Ma che cosa è accaduto?

Alina                        - Niente. Servizio interno di polizia. (Poi, animandosi e quasi adirandosi ancora, rivolta alla madre) I conigli! Quante volte ho detto ad Assunta che voglio che il ma­schio stia separato dalla femmina? E invece, nossignore! Vado lì e trovo il divisorio al­zato! Ho dovuto prendere un bastone e ri­mettere le cose a posto...

Adelaide                  - Povere bestie.

Zia Giuditta             - (con apprensione) Ma ti sei fe­rita!

Alina                        - Ho rotto un vetro della gabbia...

Zia Giuditta             - Sei pazza?

Adelaide                  - Presto, presto. Disinfettare e fa­sciare.

Alina                        - No, no. Il mio sangue me lo succhio io. Già si dice che ne ho poco...

Zia Giuditta             - Ma... ti prego.

Alina                        - (di scatto) No!

Adelaide                  - Ma, l'igiene, l'asepsi... (A Giudit­ta) Mi meraviglio di te!

Zia Giuditta             - Che ci posso fare? Meravi­gliati. (Poi alla figlia) Copriti. (Togliendosi il suo scialle) Mettiti anche questo.

Alina                        - Ma no! Ho caldo. (Allora Giuditta se lo rimette).

Adelaide                  - Ecco di che ti preoccupi!

Alina                        - Avete visto come è bello il presepio?

Zia Giuditta             - (accennando ai due ragazzi) Naturalmente lo avete disposto voi due!

Alina                        - Sì, perchè?

Zia Giuditta             - Avete religiosamente accop­piato ogni pastore con una pia donna.

Enrico                       - Ci pareva che...

Zia Giuditta             - Capisco, capisco.

Adelaide                  - A quei tempi non usava, Enrico. Si sentiva ancora la traccia di Mosè che fu il primo grande igienista. Ma è ora che io me ne vada a dormire.

Alina                        - Zia, la tua camera di sopra è pronta e sa del tuo profumo preferito: lisorormio.

Adelaide                  - Bene. Addio ragazzi. Buona notte. Anche tu, Enrico, non fare tardi. Fra una mezz'ora devi essere a letto.

Enrico                       - Sì. Buona notte, mamma.

Zia Giuditta             - (ad Adelaide) Ti accompagno. (Via insieme Adelaide e Giuditta).

Alina                        - (con malignità soddisfatta) Ho scan­dalizzato la mia futura suocera! (Con un gesto a lei famigliare e che ripeterà ogni tanto, solleva con la mano dalla fronte un ciuffo di capelli ribelli).

Enrico                       - (conciliante) Ma no!...

Alina                        - Dìo, come sei accomodante! E anche fìnto! Lo sai benissimo che l'ho scandaliz­zata.

Enrico                       - (seccato e confuso) Io non mi sono accorto di niente.

Alina                        - Sì, sì, hai paura che litighi con lei... (Eglialza le spalle. Ella vedendo che ha colto nel segno, si diverte a stuzzicarlo e ripete canterellando) Hai paura! Hai paura!

Enrico                       - (seccato) Senti, Se continui così me ne vaao a letto.

Alina                        - (ironica) Sarebbe un peccato: hai ancora parecchi minuti di permesso!

Enrico                       - (c. s.) Ciao. (Si avvia).

Alina                        - (correndogli appresso e abbracciandolo dalle spalle con tenerezza) Ma noi Vieni qui. Con te non si può mai scherzare. (Dopo una pausa) Mi ami?

Enrico                       - Certo.

Alina                        - Ti piaccio?

Enrico                       - Eh!

Alina                        - Dammi un bacio. (Egli la bacia lieve­mente su di una guancia. Ella, dopo una pausa) Come si vede che sei uscito di orologio Tanno scorso!

Enrico                       - Perchè?

Alina                        - Così...

Enrico                       - Che vuol dire?

Alina                        - Sei un bambino.

Enrico                       - (con importanza) Ma fammi il pia­cere! (Siedono sul divano) Anche in colle­gio si diventa uomini.

Alina                        - (con curiosità e furberia) Voi grandi parlavate di donne, eh?

Enrico                       - (evasivo) Ma no!

Alina                        - (c. s. quasi stizzosa) Di la verità... Eh? Ne parlavate.

Enrico                       - (confuso) Sì... qualche volta...

Alina                        - (trionfante) Lo sapevo! (Poi sottovoce come complottando) Racconta!

Enrico                       - (sempre più confuso) Ma... io... io non...

Alina                        - Andiamo, su! Siamo o non siamo fidanzati?

Enrico                       - Questo sì.

Alina                        - (con improvvisa gravità) Voglio co­noscere il tuo passato.

Enrico                       - (c. s.) Ma, sai... Niente d'interes­sante... Fantasie... Letture di libri proibiti sui quali poi... con l'immaginazione...

Alina                        - (interessata quasi morbosamente) Im­maginazione! Già perchè nessuno di voi... si era mai trovato veramente...

Enrico                       - Uno, Diceva. Ma noi non gli cre­devamo.

Alina                        - (jacendoglisi contro con istintiva fem­minilità) E... tu?

Enrico                       - (sfiorandola con le palme e poi riti­rando le mani dietro la schiena, turbato) Io... come gli altri.

Alina                        - (rimanendo immobile contro di lui, anche ella turbata, con voce incolore) Non avevi... mai visto... una donna... (Enrico accenna di no col capo. Ella con forzata di­sinvoltura) Ma appena uscito dal collegio, eh! In quest'anno di liberta! Ti sei ri­fatto, no?

Enrico                       - (imbarazzatissimo) Ma... sai com'è severa mamma! Per certe cose, poi...

Alina                        - Vuoi dire che?... Non ti sei rifatto! (Enrico c. s. chinando il capo accenna di no, imbarazzatissimo. Ella gli si preme con­tro. Ambedue sono turbati dai sensi nella fuisa ambigua e cauta degli adolescenti. Ila riprende con un soffio di voce) Nep­pure... un principio di... avventura?

Enrico                       - Non è proprio un'avventura... Ma sai, quest'anno, al mare... C'era una signora nella camera accanto... Sapeva che io guar­davo... Lo faceva apposta...

Alina                        - Che impressione ti ha fatto?

Enrico                       - Paura,..

Alina                        - Paura?

Enrico                       - Sì. Non ti so dire meglio... Ma... Alina perchè vuoi parlare di queste cose? Non mi piace... Io...

Alina                        - Sì, lo so. Non sta bene. (Con tristezza) Ma, forse, è perchè sto sempre chiusa qua dentro... con tutti questi scialli. Forse per­chè sono un po' malata... (Pausa, poi dà un improvviso riso breve e falso staccan­dosi da lui. Ed eccitata, come respirando a fatica, con le labbra stirate in un sorriso nervoso, dice) Enrico... dovresti prometter­mi una cosa... Tu mi ami, vero? Mi hai detto che... Insomma, ti piaccio.

Enrico                       - Sì.

Alina                        - Ecco. Ma noi dovremo aspettare. Na­turalmente. Dovremo aspettare molto prima di... Compirai gli studi e poi ci sposeremo... Tu devi promettermi, giurarmi, che... (Sup­plichevole) Aspettami, Enrico! Non voglio che tu conosca altre donne! (Agitatissima, con uno scatto di voce stridula e imperiosa) Non voglio! Giura.

Enrico                       - Sì, sì. Ti prometto!

Alina                        - (c. s.) Giura!

Enrico                       - Giuro.

Alina                        - Caro, caro, (Gli accarezza il volto) Ti ho voluto sempre tanto bene. Sin da bambina. No. Da bambina non ti potevo soffrire perchè mi rubavi la torta di mele che adoro. E anche dopo, veramente. Sino all'anno scorso.

Enrico                       - Grazie!

Alina                        - Che ci vuoi fare? Ma poi... Nostra cugina Maddalena... L'estate scorsa era qui con noi, no?

Enrico                       - Infatti.

Alina                        - Quella mocciosa di tredici anni quieta quieta con la faccia da santa e i vestiti da mendicante! Aveva un diario. Glielo leg­gevo tutte le mattine. Di nascosto, si capi­sce. Si era innamorata di te! Stupida...

Enrico                       - Davvero? Beh, poverina!...

Alina                        - Allora, mi sei subito piaciuto. Vedi, anche queste sante servono a qualche cosa. Adesso tu sei mio. (Lo guarda, gli si avvi­cina con provocazione, gli accosta il viso al viso) Baciami, collegiale! (Enrico la bacia sensualmente sulla bocca. In quel momento si ode un rumore di passi sulla destra. I due si staccano e rapidamente siedono ai lati del tavolino. Enrico afferra un giornale e finge di leggere tenendolo evidentemente alla rovescia. Alina come lui prende la pri­ma carta che trova a portata di mano: è la lettera dimenticata da Adelaide).

Zia Giuditta             - (entrando li trova immersi nella lettura e dice stringendosi nel suo grazioso scialle) Ragazzi, non avete anche voi un po' freddo?

Enrico                       - (levando gli occhi dal giornale come cadendo dalle nuvole) Freddo? No, no.

Zia Giuditta             - (attraversando la scena e avvian­dosi al fondo) Bisogna dire ad Assunta di attizzare la ca!daia prima di andare a dormire. (Via dal fondo).

Enrico                       - (sottovoce) Alina! Eh, di'! È andata via! (Ma Alina dopo aver letto il foglio è rimasta con questo sulle ginocchia e gli oc­chi sbarrati innanzi a sé in un'espressione tragica) Che cos'hai?

Alina                        - (trasognata) Che cos'ho? (Con una smorfia, di scatto, strappa rabbiosamente il foglio. Poi con studiata tranquillità, ma con voce di pianto, dice) Nulla. Non ho nulla!

Enrico                       - Ma...

Alina                        - (c. s.) Nulla, ti dico! Pensavo... vieni qua. (Egli si avvicina, ella si alza e prenden­dogli il viso tra le mani lo guarda a lungo) Pensavo che... forse per me l'attesa sarà troppo lunga...

Enrico                       - (fraintendendo) Alina!

Alina                        - Non ti stupire. Non mi giudicare male. Non so... Mi ha presa un'improvvisa fretta... (Togliendosi gli scialli e gettandoli ad uno ad uno lontano con ira) Via! Via! Via, questa lana da vecchi! Ecco, così, libe­ra! Lib era! (Allarga le braccia e poi gli si appende al collo mormorando) Amore mio! Amore mio! Non ti lascerò mai! Mail... Adesso va via. Va! È meglio... (Enrico di­sorientato si stacca da lei e si avvia a destra. Su la soglia si volge a guardarla e via rapi­damente. Alina con le braccia protese ri­mane qualche istante immobile. Poi le braccia le ricadono lungo i fianchi e si butta sul divano in singhiozzi. Ella si è già calmata, ma ancora è distesa quando)

Zia Giuditta             - (entra e dice con sollecitudine) Piccolina! Tu hai sonno!

Alina                        - (ribellandosi) No!

Zia Giuditta             - (dolcemente) Sì, sì. Tu hai sonno. (Raccogliendo qua e là gli scialli) Guarda come sei cattiva: ti sei scoperta. Adesso la mamma ti porta a dormire. (Le si avvicina. Le siede accanto e coprendola con gli scialli se la prende tra le braccia) ...ti porta a dormire!

Alina                        - (con voce incolore, lontana) Mamma!

Zia Giuditta             - Piccolina.

Alina                        - Se io volessi una cosa...

Zia Giuditta             - Ho capito: vuoi un vestito nuovo. Mamma te lo darebbe subito.

Alina                        - Si (pausa). Ma se tu me lo comprassi e poi io non potessi portarlo a lungo?

Zia Giuditta             - Questi son proprio discorsi da grande sonno.

Alina                        - No. Non mi burlare. Pensa quanti vestiti io non metterò! E così per il sole d'estate che si godranno altri... per il co­niglio che finirà per andare dalla coniglia... Enrico che bacerà altre donne!...

Zia Giuditta             - Ma cosa ti prende adesso?

Alina                        - Mamma, se io morissi?

Zia Giuditta             - Sciocca! Che ti viene in men­te! Son cose queste da dire alla tua mam­ma? Stai facendo un brutto capriccio cat­tivo!

Alina                        - Ma se fosse? Mettiamo che fosse! Potrebbe anche darsi, no?

Zia Giuditta             - (con durezza) Alina, finiscila. Non scherzare. È un'ipotesi assurda. Non potrà mai essere. Mai, capisci! (con dolcez­za) Per una mamma una figlia è eterna. La vita mi ha tolto tutto. Tu sai com'io sia sta­ta sola. Senza nessun altri da amare che te. Come sarebbe possibile perderti? Cara, ca­ra bambina mia (la bacia sulla fronte).

Alina                        - (con quella che sembra la testardaggine dei bimbi viziati) Ma se fosse?

Zia Giuditta             - Ah! lo vuoi proprio fare que­sto capriccio!

Alina                        - (scattando) Lasciami dire (poi più pacata) Io vorrei che tu mi promettesti che tutte « le mie cose » quelle che erano per me.

Zia Giuditta             - Perchè vuoi farmi piangere, piccolina ?

Alina                        - Tu me le conserveresti, vero? Non le lasceresti saccheggiare! Mi terresti il posto?

Zia Giuditta             - Oh, Dio! Non farmici neppur pensare! Tu starai bene e...

Alina                        - (imperiosa) Dimmi! Me lo terresti?

Zia Giuditta             - (per accontentarla, con voce di pianto) Ma si. Si...

Alina                        - Ecco. Come se dovessi tornare... Eh?

Zia Giuditta             - Si.

Alina                        - Anche per Enrico?

Zia Giuditta             - Anche per Enrico... Ma perchè stasera vuoi torturarmi così?

Alina                        - Non so. Fantasie...

Zia Giuditta             - Adesso basta: scacciale prima di addormentarti perchè tu possa far sogni lieti. Tu ti sposerai. Sarai felice. E come sempre, non farai in tempo a guardare una cosa che ti piaccia e già la tua mamma te l'avrà portata. Eh? Va bene?

Alina                        - (accucciandosi nel grembo di lei fra gli scialli) Ho freddo. Ho sempre troppo freddo! (Alina chiude gli occhi. Ella la cul­la come se fosse un bimbo. Entra da destra Adelaide in vestaglia e con la testa carica di bigodini. Zia Giuditta le fa cenno di silenzio. Alina apre gli occhi e guarda Ade­laide. Costei in punta di piedi va al tavo­lino e vi cerca qualche cosa, poi non tro­vando, via silenziosamente mentre ancora per qualche istante Zia Giuditta culla Ali­na che ha sempre gli occhi spalancati).

FINE DEL PROLOGO

ATTO PRIMO 

La stessa scena. Qualche lieve modificazione: le piccole palme della veranda sono cresciute poiché dal prologo sono trascorsi cinque anni. Sul tavolo centrale è una fotografia in una cornice d'argento. La veranda sarà illuminata...

All'aprirsi del sipario si vedranno sporgersi dalla veranda Maddalena e il Dottor Eliobar. Ella è vestita semplicemente in abito da mat­tina che non sia bianco. I suoi diciotto anni sono pieni di grazia ma non floridi. Egli è un uomo dai 45 ai 50 anni dai movi­menti pacati e sicuri.

Maddalena               - Non si vedono ancora.

Eliobar                      - (guardando l'orologio) Il treno de­ve essere giunto adesso.

Maddalena               - Che idea mandarli a prendere con il calesse!

Eliobar                      - (ritirandosi) Naturalmente l'auto­mobile è guasta, vero?

Maddalena               - Povera vecchia, nessuno la cura, mai! Si capisce che poi non cammina!

Eliobar                      - Forse è già morta là nella sua ri­messa e nessuno se ne accorge.

Maddalena               - (ridendo) Macché? È solo vec­chia. Dottore, voi che siete tanto sapiente, perchè non la visitate? (battendo con le dita sulla tavola di pietra) Toc-toc, toc-toc, respira, toc-toc... (sentenziando) Che ne di­resti di una cura di ferro e un po' d'olio di fegato di merluzzo?

Eliobar                      - (sorridendo) A proposito, prendi le medicine che ti ho date?

Maddalena               - Si. si. Ma perchè voi dottore domandate all'ammalato « che ne direste di questa cura? »... « Volete fare quest'altra? » Ó va bene o non va bene.

Eliobar                      - No, cara. I dottori intelligenti san­no che la medicina e l'ammalato devono andare d'accordo se si vuole ottenere qual­che cosa (con finta serietà a Maddalena che scruta la strada del Belvedere). Ma io sto osservando che non ti importa niente di quello che mi chiedi e che parli e scherzi come chi abbia bisoeno d'agitarsi per fre­nare l'impazienza d'un'attesa... (con ma­lizia).

Maddalena               - Dottore! Voi siete tanto intelli­gente che non siete discreto... Da un anno, da quando sono uscita dal collegio, non ho segreti: avevo fatto tanta fatica a rimetter­ne insieme uno, ed ecco che me lo sco­prite subito! Non è gentile!

Eliobar                      - (con finta serietà) È vero. E adesso come si fa? Per rimediare non c'è che un mezzo, confidarmelo. Così rimarrà sempre un segreto.

Maddalena               - (dolcemente) Siete la più cor­tese persona che io conosca.

Eliobar                      - (recitando) Dunque, si può sapere che cos'hai piccola Maddalena? Perchè sei così eccitata E perchè guardi dal belvede­re ogni momento? Non riesco a spiegar­melo!

Maddalena               - (ridendo) Eccoli! Sono apparsi alla prima voltata laggiù nella valle! Fra mezz'ora saranno qui.

Assunta                    - (giunge da destra e si arresta con le mani sui fianchi) Avrà fame o avrà sete? Questo è il problema.

Maddalena               - (continua, comicamente con i ver­si d'Amleto) Sognare, dormire forse... Morire, (ride allo stupore «/'Assunta) Co­raggio, Assunta. Se tutti i problemi si ri­ducessero a quello della sua fame o della sua sete!

Assunta                    - Perchè? Che cosa c'è d'altro?

 Maddalena              - (al dottore che sorride divertito) È vecchia, come l'automobile. Vero, dot­tore? (andandole vicino e con enfasi carica­turale) Ma come, Assunta! Sta per arriva­re mio cugino! (pausa per vedere se ha ca­pito, poi guarda il dottore come a dire « non ha capito » scuote la testa e continua) Non lo vedo da sei anni! Allora io ne ave­vo tredici e lui 17! (pausa e. s.) aveva la faccia del cane pechinese e un terribile po­mo d'Adamo che faceva l'ascensore lungo il collo magrissimo... Sarà rimasto Adamo o sarà rimasto il pomo?

Assunta                    - (che l'ha sempre guardata senza ca­pire) Ecco là, giusto i pomi: preparerò della frutta. Così andrà bene per la fame e per la sete (via).

Maddalena               - (cambiando tono, al dottore) Eppure lo amavo... o meglio me ne sono innamorata dopo le ultime vacanze che tra­scorremmo qui insieme io, lui e Alina. Af­fidavo le mie pene di cuore a un quadernet­to scuro. Sapevo che tutte le mie compagne pensavano a qualcuno: per non rimanere indietro cercai di chi mi potessi innamorare. Non conoscevo che Enrico! E mi si diceva che i cucini sono indicatissimi... Poi non venni più per le vacanze... 'Lo dimenticai per un divo cinematografico.

Eliobar                      - Perchè?

Maddalena               - Perchè era più facile averne dei ritratti... Quattro anni fa sepoi che si era quasi fidanzato con la povera Alina, quan­do ella morì.

Eliobar                      - Credo che la zia Giuditta sarebbe stata contenta di unire a lui la sua figliola.

Maddalena               - La curaste voi?

Eliobar                      - Ero appena giunto in paese allora. Non feci in tempo. Se n'è partita in tre giorni.

Maddalena               - (dopo aver dato uno sguardo dal­la veranda) Sono alla seconda voltata. Lui dev'essere vestito di chiaro.

Eliobar                      - Cosicché Enrico non ha mai sapu­to d'esser stato l'eroe di un tuo romanzo.

Maddalena               - Oh, romanzo! È stata soltanto una ingenua prefazione. Non sarebbe nep­pure un piccolo segreto, se non temessi di dare un dispiacere a zia Giuditta.

Eliobar                      - È una sfumatura.

Maddalena               - Certamente. Ma la zia per quel­lo che riguarda Alina è... come dire... stra­na. Non so spiegarmi bene, ma non la ca­pisco.

Eliobar                      - È una donna così complessa! Fuori del comune!

Maddalena               - Non si sa mai che cosa pensi.

Eliobar                      - No, non è chiusa. Ma non si pre­occupa affatto che sia capito quello che dice.

Maddalena               - (guardando il dottore con inten­zione) E quello che fa.

Eliobar                      - (ricambiando lo sguardo) Già.

Maddalena               - In ogni modo avrei paura che un qualsiasi mio interesse per Enrico la potesse offendere nel ricordo di Alina.

Eliobar                      - Ma via!

Maddalena               - Sarà una sciocchezza, forse... Ma guardate: (accenna al vestito) non mi sono neppure vestita per ricevere l'ospite! (ride).

Eliobar                      - Ah, Maddalena! Maddalena! È pe­ricoloso vivere con una sensibilità così sco­perta.

Maddalena               - Ma no! C'è in questo anche la preoccupazione d'essere riconoscente verso zia Giuditta. Voi sapete che mia madre mancò presto e mio padre... Si, ha sempre pagato il conto del collegio, ecco tutto. Sa­rei sola e povera se la zia non avesse tanto insistito per tenermi con sé. Non vorrei mai darle un dispiacere.

Zia Giuditta             - (entrando dalla veranda, lumi­nosa e bellissima come non fossero passati 5 anni; vestita di un vaporoso abito bianco da giardino dice sorridendo) Che mi an­nunciano queste due vedette?

Eliobar                      - Li abbiamo seguiti ad ogni curva per tutti e quattro i chilometri della salita.

Maddalena               - Adesso saranno al ponte. Ma perchè, zia, non facciamo aggiustare l'automobile?

Zia Giuditta             - Vedremo.

Maddalena               - Ci sono anche altre cose. I ve­tri della serra sono tutti rotti e i fiori son diventati selvatici. Il parco sta diventando una jungla. Anche le panchine si dovrebbe­ro mettere a posto. Vuoi che mi occupi io di far aggiustare tutto?

Zia Giuditta             - (che mentre Maddalena par­lava era distratta, come se avesse udito soltanto le ultime parole, le ripete quasi non comprendendone il senso) Aggiustare tutto... Forse che si può « aggiustare tutto » dottore?

Eliobar                      - Come medico vi rispondo di no.

Zia Giuditta             - E come uomo?

Eliobar                      - Ne sono fermamente convinto.

Zia Giuditta             - Deve essere così. Anche quan­do tutta la vita è da aggiustare... (guardan­do Maddalena) Ma perchè sei rimasta con quel vestitino? Come! Arriva Enrico! È questa l'accoglienza che gli fai? No, no, piccolina, devi andare a metterti elegante. Si è fatto un bel ragazzo, sai! Devo inse­gnarti io ad essere civetta? (Maddalena guarda confusa il dottore, poi come senten­do di dover riparare alla suscettibilità at­tribuita poco prima alla zia, le si avvicina, la bacìa in fronte e corre via verso destra, ma ZlA Giuditta richiamandola) Sai già che cosa indosserai?

Maddalena               - Dinanzi al guardaroba avrò un'ispirazione.

Zia Giuditta             - Io l'ho già. Nell'armadio di camera mia c'è un vestito bianco di lana. È un po' fuori moda. Ma sarà adatto al­l'ambiente. Ti starà bene.

Maddalena               - (dopo una breve esitazione) Si...

Zia Giuditta             - Forse ti dispiace che sia d'Alina?

Maddalena               - Ma no, figurati! (via a destra).

Zia Giuditta             - (dopo una pausa che ha sotto­lineato un'immobilità riflessiva) Dunque, si diceva...

Eliobar                      - Che siamo d'accordo.

Zia Giuditta             - Io, e voi dottore, ci vogliamo proprio bene!

Eliobar                      - Non serve a nulla, ma è vero lo stesso.

Zia Giuditta             - Insomma, che cosa volete da me?

Eliobar                      - Aggiustarvi come si diceva prima.

Zia Giuditta             - (ride) Un medico, di per sé stesso è un animale nocivo; un filosofo è un pericolo sociale. Proprio a me doveva ca­pitare per amico un medico filosofo!

Eliobar                      - Signora, io vi ho conosciuta venti anni fa. Ci siamo ritrovati pochi giorni dopo la sciagura che vi ha colpita.

Zia Giuditta             - Quale sciagura? (con un sor­riso sereno) Ah si! Dite, dite.

Eliobar                      - Vi voglio bene come un amico sin­cero che non ha secondi fini, (riflettendo) Almeno così credo.

Zia Giuditta             - Quello che mi piace in voi è la coscienza. Ma andate pure avanti...

Eliobar                      - Ebbene, vi dico francamente: c'è nella vostra vita qualche cosa, che non va, che non voglio né ho diritto di sapere, ma che non va.

Zia Giuditta             - (sommessa) Sono felice, dot­tore. (Egli si copre gli occhi stupito e turbato).

Eliobar                      - In un modo innaturale. Voi ado­ravate la vostra figliola, è vero?

Zia Giuditta             - Oh si, l'adoro.

Eliobar                      - Sono certo che è stato per il terrore di soffrire troppo che voi...

Zia Giuditta             - Che io?

Eliobar                      - (imbarazzato) Che vi siete gettata nella prima cosa che v'aiutasse a vivere. Co­me chi s'ubriacasse. Un modo di stordirsi... di non pensare... Ma mi si è detto... Sape­te, il dottore in un paese, anche se come me non è curioso...

Zia Giuditta             - (interrompendolo) Vi si è detto?

Eliobar                      - (imbarazzato) Ma perchè poi? Chi me lo fa fare? Non vorrei aver l'aria di en­trare nella vostra vita privata. Una donna bella e giovane come voi, sola, ha diritto di fare di sé ciò che vuole...

Zia Giuditta             - Vi hanno detto che ho un amante!

Eliobar                      - Così si sono espressi...

Zia Giuditta             - E chi mi hanno dato per com­plice ?

Eliobar                      - Certamente la colpa è degli inge­gneri.

Zia Giuditta             - Quali ingegneri?

Eliobar                      - Quelli che hanno costruito questa villa e quella del vostro vicino dividendole soltanto dal muretto del parco... Sapete, il conte, il vostro vicino, si vede più spesso in villa da qualche tempo e...

Zia Giuditta             - Così si sono espressi...

Eliobar                      - È una sintesi...

Zia Giuditta             - E voi?

Eliobar                      - Io? Io che c'entro?

Zia Giuditta             - Tuttavia...

Eliobar                      - (seccato con sé stesso) Tuttavia... niente! Perchè volete ad ogni costo che ab­bia un'opinione?

Zia Giuditta             - Perchè v'arrabbiate?

Eliobar                      - (sempre più seccato) Ma si! Sembra quasi ch'io abbia un qualche interesse per­sonale!

Zia Giuditta             - Mentre invece...

Eliobar                      - Proprio così. È inutile insinuare... (arrabbiandosi) Oh, insomma! Vi ho detto questo per voi. Non c'è in me nessun egoi­smo. E quale poi?

Zia Giuditta             - Già, quale?

Eliobar                      - Mi hanno spinto soltanto delle ra­gioni... come dire?

Zia Giuditta             - Umane, va sempre bene. Ra­gioni umane; capisco (come recitando una poesia studiata a memoria) Non si ha il di­ritto di avvilire la propria nobiltà d'animo... il proprio corpo... (sorridendogli e con in­tenzione dolce e malinconica) Caro, caro, dottore!

Eliobar                      - (sospirando) Era difficile rendermi più spinoso il mio compito. Pazienza, (con melanconia) Avete ragione. Merito che sia accolta con ironia questa mia sciocca e... tardiva intromissione nella vostra vita.

Zia Giuditta             - Non esagerate, adesso. Bene dico il caso, che ha assegnato alle vostre cure questo piccolo paese. Ho un amico.

Eliobar                      - (con intenzione) Il caso? (ripren­dendosi) Già. Alle volte si burla di noi con malignità. Vi voglio raccontare un vecchio fatto inutile. Vent'anni fa, a Costantino­poli una donna col vestito più azzurro del mondo era a colazione, sola, in un piccolo ristorante turco vicino al Bazar. Uno di quelli, sapete, che anche i vecchi turchi cie­chi trovano facilmente a miglia di distan­za seguendo l'odore di quel loro terribile grasso di montone.

Zia Giuditta             - (sorridendo) Si, li conosco!

Eliobar                      - Ebbene, io entrai e sedetti dinanzi a lei. Lei non mi guardò mai. Ma questo non conta. La guardavo io. E non solo gli occhi. Già da allora ero quello che si dice un visionario! La guardavo con l'anima. Ho subito sentito, dentro di me, una strana affinità con lei. Forse non credete al così detto «colpo di fulmine». Eppure sono stato improvvisamente certo di un nostro destino comune...

Zia Giuditta             - Eliobar! Non mi avevate mai detto che...

Eliobar                      - Non vi poteva interessare. Che cosa potevano contare le convenienze, in simili circostanze? Non vi pare? Dovevo trovare un pretesto qualsiasi fosse pure banale per avvicinarla. Eppure non osavo. Ho riman­dato all'istante successivo. Poi ancora a quello dopo... La lasciavo andar via! Per viltà! Per rispetto a piccole forme tradizio­nali, per educazione, per timidezza, per tutte queste cose che messe insieme non pesano un solo minuto di gioia, io la la­sciavo andar via! Quando mi decisi a se­guirla, l'istante giusto, quello segnato, era già trascorso. Infine ella non era che al­l'angolo della via, sul marciapiede opposto! Voltò. Chi avrebbe detto che non l'avrei raggiunta? Ci si illude sempre di raggiun­gere la propria felictià dopo averla lasciata partire. E invece bisogna coglierla nell'attimo in cui passa. Neil attraversare la strada un ragazzo mi ha urtato. Sono caduto. Una sciocchezza. Ma mi ha impedito di raggiungerla. Quando l'ho rintracciata, un mese dopo, l'ho trovata prossima al fidan­zamento con l'uomo che più tardi sposò e che aveva conosciuto un mese prima. Ho potuto ricostruire: le era stato presentato, proprio quel tal giorno, dopo colazione, quando era rientrata in albergo!

Zia Giuditta             - Non avrei mai supposto che le nostre due vite si fossero, così, sfiorate, allora! Quale responsabilità vi siete preso!

Eliobar                      - Ho pagato di persona.

Zia Giuditta             - Che strana e cieca vita è la nostra! Si lotta, si ama, si soffre, intorno all'asse di quello che si crede il proprio desti­no... E ad un certo punto si scopre che non era il nostro. Abbiamo vissuto un destino che era forse d'altri.

Eliobar                      - L'arbitrio degli uomini è tutto lì, cara amica: essere o no fedeli al proprio compito    - (pausa). Ma torniamo al presente. Vi dirò soltanto che bisogna che vi ripren­diate. Ormai è passato del tempo: 4 anni...

Zia Giuditta             - (improvvisamente dura) Che cos'è questa sciocchezza del tempo? Mi meraviglio di voi, dottore. Voi credete in Dio, nell'immortalità dello spirito e del­la materia, come potete parlare di tempo?

Eliobar                      - Ma è Dio che ha messo il concetto del tempo nella mente degli uomini perchè non fossero frantumati da quello troppo grande dell'eternità. Nessuno può sfuggirvi.

Zia Giuditta             - (fissandolo da vicino, scandisce piano) Voi credete? (Eliobar arretra come se avesse visto nei suoi occhi qualche cosa di penoso, di malato. Ella dà una risata sec­ca, stridula, poi ridivenendo normale, qua­si con civetteria) Ebbene, se per una donna la bellezza è la misura del tempo, provate a dirmi che per me è passato...

Eliobar                      - (rasserenandosi, ma ogni tanto guar­dandola con una specie di preoccupazione) Dovrei mentire.

Assunta                    - (appare affannata dal fondo con un cestino di frutta, piatti e coltelli ecc.) Si­gnora! Signora, c'è il nostro Enrico. Il si­gnorino Enrico... Il dottor Enrico, Madonna benedetta! (La Zia Giuditta j» affaccia alla veranda facendo un gaio gesto di saluto con la mano. Assunta intanto è venuta verso il proscenio dove sul tavolino prepara piatti, posate, frutta ecc. Il dottor Eliobar dapprima indeciso, poi risolvendosi a fatica, quasi vergognoso le si avvicina e le chiede sommesso).

Eliobar                      - Anche ieri sera ?

Assunta                    - (guardando con circospezione verso la padrona che volge loro il dorso) Sissi­gnore, anche ieri sera! (sospira con riprova­zione puritana) È uscita verso le nove con un abito scollato fin qui e è tornata dopo mezzanotte (crolla il capo sdegnosamente) Io non giudico, ma...

Eliobar                      - (interrompendola) Ecco, brava.

Enrico                       - (apparendo dal fondo, esclama lieta­mente) Come va zia Giuditta! Splendida­mente vedo! (Assunta via).

Zia Giuditta             - (dopo aver abbracciato Enrico se ne allontana per guardarlo meglio) Ti sei fatto ancor più un bel figliolo. E poi hai una fronte intelligente, aperta... (come presa da improvviso dubbio) Non mi darai ad intendere che ti sei laureato! (controscena di Eliobar).

Enrico                       - Eppure è così.

Zia Giuditta             - (sospirando comicamente) Pen­sare che sin'ora sei stato un bravo e mite ragazzo! (ridono). (Enrico vede Eliobar. / due s'inchinano) Eccone qui un altro, En­rico. Il dottor Eliobar.

Enrico                       - Eliobar! Piacere. (/ due si stringono la mano).

Zia Giuditta             - Adesso mi spiegherai perchè quella grassa e cara signora che è mia sorella non ha fatto il viaggio con te.

Enrico                       - Come, non lo indovini? Sta facen­do una cura! Tu sai che per nulla al mondo interromperebbe una cura! Adesso si è data ai raggi! Per punirla ho lasciato che arrivi da sola. Tra qualche giorno.

Zia Giuditta             - Soltanto per punirla?

Enrico                       - (ridendo).No. Non ne potevo più d'operazioni, d'autopsie, d'ospedali, di pro­fessori... Oh, scusatemi prof. Eliobar!

Eliobar                      - Chiamatemi dottore. Ho rifiutato la cattedra !

Zia Giuditta             - Hai bisogno di qualche cosa, caro?

Enrico                       - Oh, un viaggio tanto breve!

Zia Giuditta             - Un po' di frutta, allora?

Enrico                       - Quella si, grazie.

Zia Giuditta             - (facendo cenno al dottore d'accomodarsi) Prego, dottore. (Siedono al ta­volino e cominciano a mangiare le frutta).

Enrico                       - (al dottor Eliobar) Siete qui di pas­saggio?

Eliobar                      - No. Sono il medico condotto del paese.

Enrico                       - Volete scherzare! Ho saputo che ave­te rifiutato la cattedra per accettarne una all'estero.

Eliobar                      - Così ho lasciato credere per non passare da originale, ma in realtà, alla che­tichella, ho chiesto una condotta. Mi han­no dato questa.

Enrico                       - Ma perchè? Un uomo come voi! Della vostra dottrina!

Eliobar                      - Che ne sapete della mia dottrina?

Enrico                       - I vostri libri...

Zia Giuditta             - Delitti giovanili, è vero dot­tore? (a Enrico) Una pera?

Enrico                       - Grazie.

Eliobar                      - Imprudenze... Adesso nel campo della scienza medica ufficiale avrei terrore di insegnare qualche cosa. Né me lo per­metterebbero, del resto. Oggi sarei preso per un visionario. Nei tempi passati sarei stato messo al rogo. Ma parliamo di voi che cominciate piuttosto. Amate la vostra arte, naturalmente.

Enrico                       - Mi interessa, si. Ma più che per amore, mi ci sono avvicinato per reazione. Io ho sempre avuto un istintivo orrore, una repulsione fisica per tutto ciò che è morto, corrotto, malato. Voi vi chiederete come, in simili condizioni, io possa fare il medi­co! Non potreste immaginare quanto mi sia costato, per esempio, abituarmi alla sala d'anatomia! Ma sin dall'infanzia sono stato così.

Zia Giuditta             - Si. È vero.

Enrico                       - (a Eliobar) Ho sentito sempre tal­mente nemica la morte che ho dovuto fa­talmente unirmi alla schiera di chi la com­batte.

Eliobar                      - Può essere un ottimo punto di par­tenza il vostro.

Enrico                       - Lo spero. Per quanto non sia an­cora riuscito a soffocare completamente in me l'istinto di repulsione di cui vi parlavo.

Eliobar                      - Ma non dovete! Naturalmente è necessario che lo vinciate. Ma che lo man-teniate vivo. Può esservi prezioso per l'in­tuizione di ciò che è malato.

Enrico                       - Ma io voglio fare il medico non il rabdomante! Come potrei avanzare nel campo scientifico seguendo gli impulsi?

Eliobar                      - Che cosa credete che sia il così det­to occhio clinico?

Enrico                       - Un'esperienza scientifica talmente raffinata da divenire quasi intuizione.

Eliobar                      - Ogni vecchio medico dovrebbe pos­sedere l'occhio clinico allora! È invece una qualità innata e perciò un istinto.

Zia Giuditta             - Cominci a renderti conto del perchè il dottor Eliobar faccia il medico condotto?

Enrico                       - Con tutto il rispetto per le vostre idee, non posso accettare un principio che tende a togliere alla medicina il suo carat­tere di scienza sperimentale.

Zia Giuditta             - (appoggiandosi al tavolino co­me chi si goda da un palco uno spettacolo) Mettine insieme due e avrai sempre uno spettacolo edificante! Ancora un po' di frutta, dottore? Voi forse non credete che contengano vitamine...

Eliobar                      - (sorridendo) No, grazie.

Zia Giuditta             - (fingendo di fraintendere) Non lo credete?

Eliobar                      - (sorridendo) Ne sono convinto, ma basta, grazie. (a Enrico) E sono anche con­vinto che siano le parole che guastino ogni cosa. Sperimentale! Ma se per esperimento non si sa neppure perchè se io mi sento de­bole e mangio questa frutta subito mi sento più forte! Perchè mi sono nutrito? Quanto tempo ci mette il mio stomaco per digerire questa frutta perchè poi sia elaborata e in­fine assimilata? Ore! Ed io invece mi sento più forte immediatamente dopo! Perchè?

Enrico                       - Dove volete arrivare?

Eliobar                      - (concitato) A stabilire che, se la scienza sperimentale, non prenderà in con­siderazione le forze sottili, gl'invisibili nu- dei vitali, l'idea, la certezza e la speranza che vivono nell'uomo, non farà mai un passo innanzi.

Enrico                       - (ironico) In sala operatoria non mi sono mai imbattuto col bisturi né in una certezza né in una speranza I

Eliobar                      - (c. s.) Non avete saputo vedere! Altrimenti nello sforzo di perfezione di ciascun organo, di ciascuna fibra, nella lot­ta contro antiche eredità inferiori, nelle fasi drammatiche di ciascuna malattia, voi avreste trovato la certezza di essere stato e la speranza di essere ancora. Avreste trovato una coscienza d'immortalità, che trascende dalla materia nei suoi aspetti apparenti di vita e di morte!

Enrico                       - Sarà, ma tutto ciò non ha nulla a che fare con la medicina.

Zia Giuditta             - Io mi meraviglio, dottore, co­me noi non siamo sempre d'accordo!

Eliobar                      - (fissandola) Non capisco...

Zia Giuditta             - (alzandosi) Naturalmente, perche io vivo come voi pensate soltanto.

Eliobar                      - (imbarazzato) Mi avete frainteso. Questo non ha alcun rapporto con quanto vi dicevo poco fa...

Zia Giuditta             - E che non ripetereste!... (ad Enrico) Questi teorici hanno una paura dell'azione! Una paura... (Eliobar tace im­barazzato, Zia Giuditta si avvia a destra).

Enrico                       - (che ha guardato l'uno e l'altra senza capire, per rompere il disagio del silenzio) É Maddalena? Dov'è Maddalena?

Zia Giuditta             - (con intenzione, trionfante) Ecco! Maddalena! Perchè proprio adesso hai pensato a Maddalena?

Enrico                       - (stupito fa un gesto vago. Ella ride ed uscendo da destra scandisce strana­mente).

Zia Giuditta             - Vado subito a chiamarti Mad­dalena!

Enrico                       - Ma che cos'ha zia Giuditta?

Eliobar                      - Non ci badate. È un po' nervosa.

Enrico                       - Direi inquietante. Non era così prima.

Eliobar                      - Già. In lei c'è un prima e un dopo. In mezzo c'è la morte di Alina.

Enrico                       - Alina!

Eliobar                      - Anche voi dovete essere stato mol­to colpito dalla sua fine! Un'emottisi. Così all'improvviso. Mentre stava per andare con sua madre ad un ballo!

Enrico                       - Poverina! Avevamo sempre giocato insieme io lei e Maddalena, poi un giorno improvvisamente mi accorsi che nel toccar­la mi tremavano le mani. È stata una cosa strana e improvvisa.

Eliobar                      - (sorridendo) Il plesso solare ha tre­mato, direste voi.

Enrico                       - (sorridendo) Che c'entra! (Da de­stra con un primaverile abito bianco entra quasi di corsa Maddalena, Enrico, alzan­dosi di scatto e gioiosamente andandole in­contro) Maddalena!

Maddalena               - Enrico! (stanno per abbracciarsi ma esitano e infine non si abbracciano).

Enrico                       - Non so più come comportarmi, con te. Sei divenuta una signorina! E... (volgen­dosi ad Eliobar) questo lo dico in un orec­chio al dottor Eliobar, una incantevole si­gnorina...

Eliobar                      - (prestandosi allo scherzo) Scusate, come avete detto? Non ho capito bene...

Enrico                       - Incantevole!

Eliobar                      - Ah, ecco! Si, è vero: incantevole!

Maddalena               - (ridendo) Ma la volete finire? Non vi vergognate di allearvi contro una povera ragazza sola?

 Eliobar                     - (con finta serietà) Hai ragione, (ad Enrico) Ha ragione. In due siamo troppi. Io me ne vado, (si avvia verso il fondo).

Maddalena               - No, dottore, scherzavo. Non volevo dire questo!

Eliobar                      - Debbo andarmene davvero. Ho un bimbo malato che crede in me. È commo­vente. Arrivederci. Salutatemi la zia. (via dal fondo).

Maddalena               - Si, arrivederci!

Enrico                       - Arrivederci, dottore. (Andando a se­dere sul tavolino e tenendola per le mani) E adesso, cuginetta, racconta.

Maddalena               - (con comica disperazione) Nien­te, cugino! Niente da raccontare!

Enrico                       - È possibile?

Maddalena               - Si, l'ultima grandinata ha rotto l'ultimo vetro della serra; nello stagno sono nati nuovi nenufari e ad Assunta sempre più folti crescono i baffi...

Enrico                       - (concludendo) Ti annoi, insomma!

Maddalena               - Non saprei diriti. Non è proprio noia... e forse è peggio... Non vedo colori, ecco. Sono come un poco oppressa. Forse non sto bene.

Enrico                       - È la solitudine. Poi qui tutto mi pa­re incupito. Ma adesso sono arrivato io. Ti terrò compagnia e passeremo liete vacanze come una volta.

Maddalena               - (illuminandosi) Oh, si! Ti ho molto aspettato! Per quanto una volta sapevi giocare! Ma adesso te ne sarai dimen­ticato.

Enrico                       - Chi lo dice? fi una calunnia. Vuoi che ti faccia vedere?

Maddalena               - Già, magari vorresti fare al «medico e all'ammalata» tu! (con diffi­denza ingenua). No, no, no. Hai fatto la voce da uomo. Chi sa quali altri giochi hai imparato!

Enrico                       - Certo, ogni età ha i suoi.

Maddalena               - Mi par di vederti con le più giovani amiche di tua madre... e con altre donne peggiori.

Enrico                       - Come peggiori?

Maddalena               - Quelle cattive, voglio dire.

Enrico                       - (ridendo) Non conosco donne catti­ve. Tutte buone, gentili...

Maddalena               - Insomma, confessa che hai mol­te amiche.

Enrico                       - (con finta serietà caricaturalmente) Migliaia.

Maddalena               - Belle?

Enrico                       - Spesso.

Maddalena               - Sfacciato.

Enrico                       - Spesso. No, cioè.... (ride).

Maddalena               - Basta, basta. Non ti domanderò più niente, (pausa) Non ti sei mai dovuto nascondere di notte in un armadio?

Enrico                       - Uh! Gli armadi sono la mia camera da letto abituale!

Maddalena               - Io non so che cosa ci trovino in te le donne!

Enrico                       - (con intenzione) Eh! non te lo posso dire.

Maddalena               - Perchè?

Enrico                       - (con superiorità) Prima di tutto per­chè sei troppo giovane. E poi perchè sei mia cugina.

Maddalena               - Che sarà mai! Mi par di veder­ti far la corte a una donna! (con enfasi ot­tocentesca) « Signora io v'amo »!.

Enrico                       - (negando col capo) È proibito.

Maddalena               - Come, è proibito?

Enrico                       - Si, non lo sai che da dopo la guerra non si può dire? Un mio amico c'è an­dato in prigione.

Maddalena               - Spiritoso! Dirai loro delle me­lensaggini come questa!

Enrico                       - Neppure.

Maddalena               - Ma che cosa puoi dire? Occhi all'in su? Sospiri? Rose rosse? (Enrico sor­ridendo accenna sempre di no) Allora mi piacerebbe proprio sapere come ti comporti.

Enrico                       - Davvero lo vuoi sapere? (alzandosi).

Maddalena               - Si. (Enrico improvvisamente le rovescia il capo indietro e le avvicina len­tamente il viso contro il viso, poi s'arresta, in maniera che si veda bene che non la bacia. La lascia. Ella e turbata e stupita; è rimasta a bocca semiaperta. Arretra un po­co e scuotendo lievemente il capo esclama) Ah!

Enrico                       - (rimessosi anch'egli da un certo tur­bamento riprende l'intonazione di prima) Fa effetto?

Maddalena               - (fingendo indifferenza) Si, si. (pausa).

Enrico                       - Hai altro da chiedere?

Maddalena               - (affrettatamente) No, no! (pausa).

Assunta                    - (entra dal fondo e va dritta al tavo­lino a prendere il cestino delle frutta e il resto).

Maddalena               - (eccitata, festosamente) Assunta, c'è il dolce stasera?

Assunta                    - (sospirando come per cosa troppo solita) Eh! La torta di mele!

Maddalena               - (c. s.) Sono contenta!

Assunta                    - (avviandosi) Ma se non la mangiate mai! (Assunta via).

Maddalena               - Ebbene, stasera la mangerò. Non so perchè ho un grande appetito!...

Enrico                       - (con tono dottorale) Ottimo segno. Sarà inutile ordinarti una cura di bella­donna.

Maddalena               - Mentre per te, invece, eh?

Enrico                       - Ho esagerato per scherzare.. (pausa poi affettuosamente avvicinandosi) Sei in collera per... prima?

Maddalena               - Io? E perchè dovrei esserlo? Si sa bene che era un... esempio.

Enrico                       - Ma naturalmente, un esempio. Tan­to è vero...

Maddalena               - (continuando come per convincer­lo) Che non mi hai baciata.

Enrico                       - Ecco.

Maddalena               - Del resto non ti saresti mai per­messo...

Enrico                       - (guardandola) Mai... mai. (L'attira a sé e pianamente la bacia sulla bocca. I due si staccano e rimangono un istante im­mobili l'uno dinanzi all'altra poi ella va lentamente sulla veranda e rimane un mo­mento a guardare lontano. Infine torna in­dietro, siede sul divano, guarda il cugino e dice con amarezza toccandosi leggermente la gonna).

Maddalena               - Deve proprio piacerti molto questo vestito!

Enrico                       - Perchè?

Maddalena               - Così. Noto che ha sempre con te un certo tipo di successo.

Enrico                       - (dopo una pausa durante la quale ca­pisce) Non è tuo! (Ella accenna ai no col capo; egli sorride con eguale amarezza) Alle volte il caso gioca dei tiri di cattivo gusto.

Maddalena               - Non generalizzare, Enrico, non ne vale la pena. È molto più semplice. Si è innamorati, poi s'incontra un'altra donna, e, se è piacevole la si bacia pache... ha lo stesso vestito o perchè... non ha lo stesso vestito.

Enrico                       - Ma che ne sai, tu!

Maddalena               - Non c'è bisogno di avere un'e­sperienza per capire queste cose.

Enrico                       - Beata te!

Maddalena               - E sei appena arrivato! Che cosa succederà domani! O fra una settimana!... E che farai dopo due ore che sarai partito!

Enrico                       - Ma perchè non dici la verità? Se non ci fosse il ricordo di quella poverina non penseresti tutte queste cose inutili.

Maddalena               - In ogni caso la ringrazio di (ar­mici pensare.

Enrico                       - Ma hai torto! Alina non c'è più. Ella è morta da quattro anni e tiene nel mio ricordo lo stesso posto che tiene nel tuo. Né maggiore, né diverso.

Maddalena               - Sei leggero!

Enrico                       - No, sono vivo, Maddalena! E ho ventiquattro anni! E ho appena cominciato a vivere. Tu ne hai diciassette...

Maddalena               - Diciotto.

Enrico                       - È molto poco egualmente, credi. Sarebbe ingiusto avere degli impacci. Siamo nell'età in cui si cerca.

Maddalena               - Che cosa ?

Enrico                       - E chi lo sa ?

Maddalena               - E allora ?

Enrico                       - Si cerca lo stesso. Tu vuoi essere fe­lice? (ella fa un cenno come a significare «se fosse possibile, certamente») E anch'io. Lo vedi? Cerchiamo la stessa cosa. Vuoi che proviamo per un poco ad essere alleati? Non si sa mai! Chi sa che in due... eh?

Maddalena               - Forse in due...

Enrico                       - Brava! Qua la mano. E sorridi. Co­sì va bene. Il nostro esercito (accenna a loro due) ha vinto la prima battaglia. Forse oggi è una bella giornata.

Maddalena               - Ma chi comanda?

Enrico                       - Che domande! Io.

Maddalena               - Prepotente. Hai ordini?

Enrico                       - Molti: niente pensieri tristi.

Maddalena               - Niente.

Enrico                       - Appetito.

Maddalena               - Va bene.

Enrico                       - Segretezza.

Maddalena               - Si.

Enrico                       - Distruzione di fotografie di uomini più belli di me.

Maddalena               - Sarà fatto.

Enrico                       - Ah, ce ne sono!

Maddalena               - Una raccolta innocente come quella dei francobolli...

Enrico                       - La sequestro.

Maddalena               - C'è altro?

Enrico                       - Porgere la punta del naso al vostro generale.

Maddalena               - Ma...

Enrico                       - Obbedire, (ella gli porge il viso gra­ziosamente, egli, tenendolo tra le due mani la bacia lievemente sulla fronte. In quel mo­mento si ode la voce di Zia Giuditta che, comparendo dalla vetrata, dice, dolce­mente).

Zia Giuditta             - Ragazzi, non avete anche voi un po' freddo? (va a chiudere i vetri della veranda. Poi riprende) La cena è pronta. Andiamo.

Enrico                       - (guarda le due donne alternativamen­te come chi ricordi improvvisamente uno strano sogno impreciso. Zia Giuditta in­tanto attraversa la scena e prendendo af­fettuosamente per mano Maddalena esce con lei da destra, mentre Enrico immobile la segue con lo sguardo).

Voce di Zia Giuditta   - (da fuori) Hai in­teso, Enrico?

Enrico                       - (rimane ancora un istante immobile, poi come destandosi da una sciocca visione molesta, si scuote, sorride e dice avviando­si) Eccomi, eccomi, zia Giuditta.

SIPARIO

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

La stessa scena. (All'alzarsi del sipario sono in scena Enrico e stia madre. Egli, vestito di scuro, è chino su di Adelaide, la madre, che è seduta su di una poltrona. Egli la sta auscultando).

Enrico                       - (rialzandosi) Non hai niente, mam­ma.

Adelaide                  - Vale la pena di avere un figlio medico per sentirsi dire quello che qualun­que altro dottore mi direbbe!

Enrico                       - Non è colpa mia se stai benissimo.

Adelaide                  - Ma non mi persuade! È possi­bile che non uno dei miliardi di bacteri che circolano (gesto ampio per aria) si occupi di me? Pensa che ieri ero in giardino, sen­za guanti naturalmente, e due donne del contado mi hanno voluto stringere la mano con il futile pretesto che ti avevano conosciuto quand'eri bambino!

Enrico                       - (con finta serietà) Che orrore!

Adelaide                  - Questa storia della stretta di ma­no è una vera barbarie.

Enrico                       - Sarai corsa a lavarti, immagino.

Adelaide                  - Nell'alcool! Ed è inutile scher­zare. Ero felice quando hai scelto la tua professione perchè credevo di avere in te un alleato, invece dinnanzi al contagio sei di­venuto di una leggerezza impressionante.

Enrico                       - Vi ho preso confidenza. E poi, di che ti lamenti? Hai da me tre consulti al giorno assolutamente gratuiti!

Adelaide                  - Ecco un vantaggio che tra poco finirà.

Enrico                       -Perchè?

Adelaide                  - Sei proprio tu il figlio che una volta sposato passa ogni giorno dalla casa della madre per vedere come sta!

Enrico                       - Insomma, ho capito: ti vuoi lamen­tare.

Adelaide                  - Io?

Enrico                       - Oh, è giusto sai! Anche le madri hanno un loro periodo di fidanzamento du­rante il quale si preparano spiritualmente a divenire suocere.

Adelaide                  - Non lo dire! Questa tua intesa con Maddalena, benché sia stata così fulminea, mi ha rallegrata.

Enrico                       - Meno male! Io mi domando con ter­rore che cosa avresti fatto se ne fossi stata scontenta!

Adelaide                  - E perchè dovrei esserlo? Non sono mica pazza! Tu sei un medico e la vita da scapolo ti porterebbe a vicende sentimen­tali pericolose e complicate. Perderesti mol­to tempo e ti distrarresti fatalmente dallo studio e dalla professione. Il matrimonio, invece, è una cosa pratica, pulita...

Enrico                       - Non c'è che dire: quando tu ap­provi una cosa, la sotterri!

Adelaide                  - Il mio e un punto di vista mater­no. Ho anche parlato con mia sorella. Voi siete giovani, innamorati, e certi discorsi vi apparirebbero profanazioni. Siamo noi madri che dobbiamo occuparcene. E se de­vo essere sincera, Giuditta si è comportata come una vera madre.

Enrico                       - (seccato) Che vuoi dire?

Adelaide                  - (con soddisfazione) Darà a Maddalena quello che avrebbe dato ad Alina.

Enrico                       - (c. s.) La dote?

Adelaide                  - Eh già! Vuoi che si parli della sua benedizione? Una vera madre!

Enrico                       - (e. s.) Ma si, ho capito!

 Adelaide                 - No, no. Ha la sua importanza. All'inizio della tua carriera non sarai preoccupato per lei. Del resto Maddalena è una ragazza perfetta; ma non potrebbe soppor­tare una vita disagiata. Non tocca a me sottolineare la sua poca salute...

Enrico                       - Tutte le suocere si lamentano della salute della nuora.

Adelaide                  - (sospirando) Eh lo so! Tutte. E invece io non posso fare neanche questo! Perchè tu sei medico! Poi dì che sono for­tunata! (pausa) Io penso sopratutto ai figli c'è sempre la vecchia stona della consanguineità. È tua cucina. Complicazioni. Tu ricorderai che ti dissi la stessa cosa anche quando si trattava di Alina...

Enrico                       - (con uno scatto alzandosi e metten­dosi a passeggiare nervosamente) Senti, mamma, non si potrebbe parlare dei premi letterari o della situazione europea? Ci sono tanti argomenti allegri al mondo!

Adelaide                  - (guardandolo e alzandosi) E poi, se vuoi sapere tutto il mio pensiero...

Enrico                       - No! Proprio... tutto non Io voglio sapere..

Adelaide                  - Non ti ho mai visto tanto di cat­tivo umore come in questi giorni, (avvian­dosi a destra) Figlio mio, l'amore non ti giova al carattere. Speriamo che la festa di questa sera ti rallegri.

Enrico                       - Non ci andrò!

Adelaide                  - Ma come! Così! All'ultimo mo­mento! Daresti un dispiacere a Maddalena e anche a tua zia. Quella d'oggi è per lei una data triste. Bisogna divagarla. (Entra dalla porta-vetrata della veranda di sinistra con un leggerissimo impermeabile di gom­ma nera lucida e trasparente col cappuccio in testa, Maddalena. Mentre ella si toglie l'impermeabile scuotendolo dall'acqua, A-delaide continua, dalla porta, rivolta a lei) Oh brava! Cerca di convincerlo tu. Non vuole venire con voi questa sera! (via).

Enrico                       - Da dove vieni, con questo tempo?

Maddalena               - Davvero non ci vuoi accompa­gnare?

Enrico                       - Non solo, ma vorrei che voi non ci andaste. O meglio che tu non ci andassi.

Maddalena               - Perchè?

Enrico                       - Sei appena convalescente e le serate sono ancora fredde...

Maddalena               - La villa dei nostri amici è ri­scaldata.

Enrico                       - Già, tu credi con questo... È tutto il giorno che piove.

Maddalena               - Viene a prenderci il dottor Eliobar con la macchina...

Enrico                       - Altro pazzo! (ella ha un colpo di tosse) Lo vedi? Lo vedi che la tosse non ti è passata?

Maddalena               - (con grazia infantile per convin­cerlo) È la paura! Pensavo « Oh Dio! se adesso tossisco sono rovinata »... E subito ho tossito... È colpa tua.

Enrico                       - Te lo dico molto seriamente, Mad­dalena.

Maddalena               - (piagnucolando) Si, si... capisco che vuoi farmi passare per un impiastro. E io che per farti piacere avevo messo anche la maglietta!

Enrico                       - Dov'è?

Maddalena               - (gli si avvicina con civetteria e sta per fargli guardare dentro la scollatura, ma si trattiene e con finta serietà) Ma chi sei tu?

Enrico                       - (dopo un istante di perplessità capi­sce e dice in fretta) Il dottore, il dottore.

                                 - (con due dita riconosce il bordo della ma­glietta) L'hai tagliata, vero?

Maddalena               - Un pochino pochino... Veniva fuori! Non essere cattivo! Mi farai amma­lare davvero! Sono tanti giorni che penso a questa sera. Ballerò con te. Tu mi terrai fra le braccia... Ti sentirò vicino... (cam­biando tono con melanconia) È così raro! Mi lasci troppo sola, Enrico!

Enrico                       - Ma se sono sempre stato qui, tra la casa e il giardino!

Maddalena               - (c. s.) Già. Eppure tra la casa e il giardino spesso io ti cerco e non ti trovo.

Enrico                       - È una parabola ?

Maddalena               - (c. s. con sorriso amaro) Di­scendente!

Enrico                       - Sei ingiusta.

Maddalena               - Non vedi che appena si tratta d'essere un poco lieti insieme ti rifiuti?

Enrico                       - (con forza) Ma se non chiederei al­tro! (pausa. Poi risolvendosi) Si, si. Andre­mo a ballare. Voglio stringerti forte così. (l'attira a sé) E sentire il ritmo del tuo cor­po vivo contro il mio...

Maddalena               - (fingendosi scandalizzata) En­rico!

Enrico                       - Mi dispiace per te, ma ti farò arros­sire per tutta la sera.

Maddalena               - (con comico pudore) Avrò una mascherina di seta rosa...

Enrico                       - Benissimo. Messo così in salvo il pu­dore, rideremo e cacceremo tutte le ombre!

Maddalena               - (allontanando il viso da quello di lui e guardandolo) Quali ombre?

Enrico                       - È un modo di dire che serve a con­fessare d'aver un brutto carattere.

Maddalena               - Ah, lo sai d'essere un tiranno!

Enrico                       - È naturale: ti amo!

Maddalena               - Non sempre. Ma forse è vero.

Enrico                       - È vero. È vero. Specialmente quan­do penso... a noi due.

Maddalena               - Come a noi due?

Enrico                       - Non ti so spiegare.,. Noi due! Iso­lare nell'immaginazione noi due. Come se fossimo gli unici campioni umani in mezzo ad una fauna inferiore... Pensare alla no­stra vita in comune... in una nostra casa...

Maddalena               - (standogli sempre vicina con te­nerezza) Perchè non mi racconti sempre di queste belle fiabe?

Enrico                       - Forse perchè a volte sono troppo impaziente di viverle.

Maddalena               - E dire che io credo felice la mia vita di oggi! E invece quando quello che tu dici sarà vero, forse dovrò accorgermi che ero infelice I

Enrico                       - Non te ne lascerò il tempo.

Maddalena               - (con comica autorità) Rispon­derò sempre io al telefono (fingendo) Il si­gnor dottore - mio marito - è occupatis­simo, (gli fa l'occhietto ed egli risponde con eguale gesto d'intesa) Ha dieci clienti in anticamera... (si volge ancora per fargli l'occhietto, ma, ridendo, egli con le mani le fa cenno d'abbassare la cifra) Cinque... (stessa controscena). Enrico accenna così così... ella con forza) Uno, uno grasso gras­so... Se vuole un appuntamento per questa sera alle 8 (egli fa cenno che è l'ora di pran­zo) Allora venga alle 6. Pagamento antici­pato (finge di abbassare il ricevitore) Che cosa mi compri?

Enrico                       - (passandole una mano sul capo) Tutto quello che vuoi, (ritirando la mano dai capelli e guardandola, dice con il tono di rimprovero che si ha verso i bimbi) Hai i capelli umidi. Lo vedi che cosa succede ad uscire con questo tempo? È così che ti curi? A proposito: non mi hai poi detto dove sei stata.

Maddalena               - (cercando di sviare, ma con sin­cerità) Non è grave! Te lo dirò un'altra volta.

Enrico                       - Perche? Non si può sapere?

Maddalena               - Se proprio vuoi, si può. Ma... sarebbe meglio di no.

Enrico                       - Adesso m'incuriosisci.

Maddalena               - Siamo cosi sereni! Lascia an­dare.

Enrico                       - (cercando di capire) Turberebbe la nostra serenità!

Maddalena               - È una sciocchezza. Ma so che è una cosa che ti dispiace.

Enrico                       - (riflette un momento guardandola; infine capisce e prendendo improvvisamen­te un tono sommesso, ostile, lontano) Ho capito. Sei andata laggiù. (Ella alza le spalle e va a guardare fuori dei vetri della veran­da) Ti avevo pregata. Una cosa che mi di­spiace! Si vede che non capisci. Da un me­se lotto contro un ricordo che non era in me, ma che tutti voi avete avuto il pessimo gusto di risuscitarmi dinanzi ogni momen­to. Chi sa perchè? E non a caso, no! C'è una specie di proposito, un piano sagace, freddo... Zia Giuditta, mia madre... E tu come gli altri. Io cerco con ogni sforzo di isolarti dall'immagine di quella poverina che è morta, di scioglierti da ogni parente­la con lei, e nossignore! Ogni tanto ti devo vedere correre con un fascio di fiori laggiù alla cappella dove ella dovrebbe riposare in pace! Ma non potrà! Ha troppo da fare qui dentro tra noi, come figlia, nuora, fidanza­ta a suggerirti abiti, gesti, sentimenti, paro­le! Ma non vedi che le stai persino asso­migliando? E poi ti lamenti di sentirmi lontano! Io a te, sarei vicino. Ma a te!

Maddalena               - (fiocamente, come trasognata) Tu non vuoi capire... È più forte di me. So che per questo t'irrita ogni cosa qui dentro. Ma non posso reagire... Anche oggi: so­no salita in camera mia. Sul letto era il ve­stito da ballo... Il mio carnevale con te che amo. Sulla tavola, sulla finestra, sul caminetto, dappertutto fiori, fiori... Quelli che stamattina tu hai fatto cogliere per me... Mi sono guardata allo specchio: mi sono visto un volto così felice! Così felice che... ho avuto rimorso, Enrico. Come se avessi usurpato qualche cosa (com movendosi) Tut­to questo era suo! Doveva essere suo! (sem­pre più commossa) Almeno poterle dire che... Che mi perdoni d'essere... felice... Infine ho diviso con lei soltanto un po' dei nostri fiori!...

Enrico                       - Tu credi! Ma guarda gli effetti! Io ti sono lontano come... se tu fossi in un al­tro mondo...

Maddalena               - (continuando con voce afona, as­sente) Lo so.

Enrico                       - Sei tu che lo vuoi.

Maddalena               - (c. s.) No. Spesso tu mi sei così ostile! Sento che non mi puoi soffrire. Ba­sta una parola.

Enrico                       - Vedi che anche tu lo capisci.

Maddalena               - Già. Ma tu non ne capisci la ragione vera.

Enrico                       - È tanto semplice, mi pare! Supponi d'essere vedova e che io e chi ti circonda ci adoperassimo a sovrapporre l'immagine del­l'uomo che ti è morto alla mia. E aucsto continuamente, con ogni mezzo, si che spesso abbracciandomi tu ci stringessi tutti e due, me e l'altro! Non è una cosa ibrida? quasi ripugnante?

 Maddalena              - No, Enrico. La ragione vera è che tu ti sei ingannato. Tu amavi Alina e quando mi hai ritrovata qui al suo posto hai continuato ad amarla in me.

Enrico                       - Non è vero.

Maddalena               - Lasciami dire. Ogni volta che questo inganno che hai fatto a te stesso prende contorni precisi e ti mostra la sua trama, t'indigni, perchè non vuoi confes­sartelo.

Enrico                       - Maddalena ti giuro che ti sbagli. Io...

Maddalena               - (con tristezza) Tu, come gli altri, qui. Mi vuoi bene soltanto per quel poco ch'io ricordo d'Alina, per ciò ch'io sostituisco di lei, per ciò in cui le somiglio. Non mi faccio illusioni. Io non ho mai avu­to nulla, prima. E anche oggi per me non ci sarebbe nulla di tutto questo: né casa, né madre, né fidanzato... E invece, così ho quasi una casa, quasi una madre, quasi un danzato... quasi l'amore! Ah! Ah! E poi non dovrei andare ogni giorno a ringra­ziarla !

Enrico                       - Povera bambina. Noi hai la forza di vivere per tuo conto! Tu chi sei? (av­viandosi dalla portai Più tardi mi dirai con chi ballerò stasera! (via da destra).

(Maddalena corre alla porta come per inse­guirlo, poi vi rinuncia e rimane piangente, appoggiaata ai vetri della veranda. Fuori aumenta lo scrosciar della pioggia. Entra dalla destra vestita da sera Zia Giuditta bella e luminosa più che mai).

Zia Giuditta             - Non vai a vestirti? Più tardi sarà qui Eliobar. Cos'hai? Non avrai sonno! (Le va accanto, le volge il viso) Piangi! Pie-colina, perchè piangi? (Maddalena cerca e non trova il fazzoletto per asciugarsi le la­crime. Zia Giuditta trae il suo dalla ma­nica, teneramente le asciuga gli occhi e dol­ce, insinuante, riprende) Dunque? Che co­sa è accaduto?

Maddalena               - (con voce ancora velata) Niente.

Zia Giuditta             - (la scruta, poi con indifferenza come fingendo di credere) Meglio. Ma adesso per un altro niente sorridi. È car­nevale ed anche i nostri amici che ci aspet­tano saranno egualmente mascherati. (Mad­dalena china il capo) Ti riesce difficile? (In tono materno) Avevi più confidenza in me, prima. Credi che ci sia differenza tra me e la tua mamma? Eh? Dì!

Maddalena               - (con slancio) No, zia!. Zai Giuditta     - Ecco. No. Non c'è differen­za. E allora dimmi. La... suocera?

Maddalena               - No. (Vanno verso la tavola; poi siederanno).

Zia Giuditta             - Enrico! (Maddalena ammette con un cenno) Naturalmente. L'ho incontrato adesso e mi pareva di buon umore... Tutti così questi uomini! Non appena rie­scono a farci soffrire sono soddisfatti.

Maddalena               - No... Non credo. Anche lui è infelice.

Zia Giuditta             - Tutti e due! Ma allora, ragaz­zi miei, voi vi amate! Non piangere più, altrimenti avrai gli occhi rossi. Certo l'a­more costa una certa fatica. È come seguire un bimbo irrequieto e spesso un poco stu­pido... Ma per chi ha energia da vendere...

Maddalena               - No, è che c'è tra noi un equi­voco... un'incomprensione.

Zia Giuditta             - Sei sicura di capirti, tu? Co­me puoi pensare che sia facile capirsi a vicenda?

Maddalena               - Ma questa è una cosa grave! Insomma, Enrico non può dimenticarsi di Alina.

Zia Giuditta             - (restando impassibile) E per­chè dovrebbe dimenticarsene?

 Maddalena              - Ma continua ad amarla in me!

Zia Giudita               - Piccolina, tu non hai esperien­za. Ogni uomo in tutta la vita ama sempre una stessa donna sconosciuta. E ogni volta che s'innamora, con maggiore o minore forza ne adatta l'immagine alla compagna del suo presente. Queste cose sarebbe bene non saperle. Ma, sapendole, non c'è che ras­segnarsi,

Maddalena               - (cupa) Io ne sono gelosa.

Zia Giuditta             - È sciocco. Se ciò ch'egli ama lo riconosce in te! È tuo.

Maddalena               - Può essere. Ma io forse non ne avrei tanta pena se non fosse lui a dolersene.

Zia Giuditta             - (indignata) Lui! Lui se ne duole?

Maddalena               - Tanto da staccarsi da me.

Zia Giuditta             - (si alza agitandosi sempre più indignata) È incredibile! E diceva di amarla! E come puoi credere tu ad un uomo che rinnega cosi i suoi sentimenti? Domani direbbe di te la stessa cosa. Sai, la giovi­nezza passa presto. Anch'io ero giovane... Poi lo sono stata meno... È passata una ra­gazzetti, una qualunque... E mio marito se n'è andato!... Se ne duole! Non sai quante attenzioni, quante parole... Enrico aveva per Alina! Si disperava appena lei pareva un po' distratta... Una voita persino vo­leva uccidersi perchè io non volevo più che si sposassero... Qui... tutto, tutto e testi­mone del loro amore... Qua ho scoperto il loro primo bacio... Là si sono scambiata la prima promessa... Guarda (trae in fretta dalla cornice un ritratto) la dedica...«ad Alina, per sempre. Enrico». Vedi? En­rico! Per sempre! Non un minuto meno dell'eternità! E tu vuoi affidare la tua vita, i tuoi sogni ad un uomo simile?

Maddalena               - Basta! Basta!

Zia Giuditta             - (con amarezza) Basta? Ma quante volte dirai basta inutilmente quan­do ti sentirai sola accanto a lui, quando avrai bisogno di una parola buona, e tutte, tutte saranno dette tranne quella che tu aspetti. Quando sarai incompresa... Già lo sei. Trascurata: lo sarai presto. Tradita: certamente un giorno. Niente fugge alla decadenza. Niente. Eccetto quello che vive nello spirito. E questo non è certo il caso. Guarda la tua vita già da oggi. No... (riprendendosi come chi abbia detto troppo e con eccessiva violenza). Tu non resistere­sti (sedendole accanto con improvvisa quasi astuta tenerezza) No, tu non sei fatta per uscire fuori, nel mondo. Hai un'anima trop­po sensibile. Soffriresti eccessivamente. A te occorre un nido tepido e quieto come a un uccellino. Cara. (La bacia e le tiene la testa appoggiata sulla spalla). Non è così?

Maddalena               - (che piange pianamente, con una guancia sempre appoggiata a lei, con un fil di voce) Si. (Poi nella battuta che se­gue ella ogni tanto annuirà col capo alle parole di Zia Giuditta).

Zia Giudtta              - E poi, la salute! Tu non hai una salute sufficiente a compiere la lotta per l'amore. In fondo, bisogna anche pen­sare che un uomo giovane e sano come En­rico ne sarebbe sacrificato. E tu non lo vuoi sacrificare, vero? Tu non puoi essere una compagna. Sei una creatura da curare, da difendere da tutto ciò ch'è violento; anche dalla gioia. Per te ci vuole la tenerezza di una mamma e non l'amore di un uomo. Non si può pretendere che un amante si trasformi in una mamma! Non ti pare?

Maddalena               - (c. s.) Si.

Zia Giuditta             - E che bisogno ce ne sarebbe poi, quando tu ne hai qui una che ti adora? E che non ti farà soffrire! (Gesto affettuoso tra le due donne) Non piangere più. Que­sta deve essere l'ultima volta che ti vedo piangere. (Si stacca da lei cercando di farla sorridere) Non eravamo felici prima che arrivasse quell'intruso? Eh?

Maddalena               - (asciugandosi gli occhi) È ve­ro, si.

Zia Giuditta             - E così sarà di nuovo per sem­pre. (Sbarrando gli occhi in un punto lon­tano) Per sempre!

Maddalena               - Si, zia.

(Zia Giuditta la bacia in fronte mentre entra da destra Enrico e si ferma sulla soglia a guardare).

Zia Giuditta             - (accorgendosi di lui, a Madda­lena prendendola per mano) Vieni a ve­stirti. È tardi. Sarai subito pronta. Chi sa se Assunta ti ha stirato il vestito. Vado a vedere io. (Andandosene, squadrando En­rico, con affettuoso sorriso) Ti sta bene l'abito nero. (Via).

Enrico                       - (segue Zia Giuditta con lo sguardo un momento, poi guarda l'orologio e dice) Ci sono ancora due ore di tempo! Ch idea, un ballo in un paese, alle dieci di sera (Maddalena va alla tavola, riordina alcuni
ninnoli, raddrizza distrattamente il ritrat­to di Alina e siede sfogliando una rivista. Enrico siede dall'altra parte della tavola) Domani a mezzogiorno parto.

Maddalena               - (indifferente con voce tranquilla, fredda, senza malinconia) Ah sii

Enrico                       - (scandendo e aiutandosi coi gesti co­me si farebbe con uno straniero del quale non si conoscesse la lingua) Parto. Vado via.

Maddalena               - (c. s.) Si, si. Ho capito. (Pausa).

Enrico                       - E non mi chiedi dove vado? Per­chè?

Maddalena               - (c. s.) Dove vai?

Enrico                       - Torno a Milano.

Maddalena               - È giusto.

Enrico                       - (irritato) Che cosa? Che cosa è giu­sto?

Maddalena               - Quello che hai deciso. Perchè devo pensare che tu voglia fare una cosa che non va bene?

Enrico                       - Questo è tutto quello che hai da dirmi sapendo che torno in città? (Madda­lena si stringe nelle spalle come per dire '« non saprei proprio »...) È fuori luogo questo atteggiamento. Non so se partirò, ma in ogni modo avrei voluto vederti di­versa.

Maddalena               - (quasi automatica, trasognata) Ma io non voglio essere diversa.

Assunta                    - (entrando dal fondo ed avviandosi a destra con un vestito da sera in mano) Ecco, pronto, signorina. Lo porto di sopra.

Maddalena               - (vivacemente) No, no. Da qua. Vado su io.

Assunta                    - (consegna il vestito a Maddalena che si è alzata e si avvia a destra. Assunta rapidamente via dal fondo).

Enrico                       - Che cosa ti è successo? (Ella si arre­sta tenendo il vestito dinanzi alla persona come provandoselo) Questo ti suggerisce l'amore che hai per me?

Maddalena               - (immobile) Ma io non ti amo.

Enrico                       - (si alza e le pone le mani sulle spalle) Maddalena!

Maddalena               - (c. s. accennando con un gesto inutile, automatico, a tirarsi indietro dalla fronte un ciuffo di capelli che non ha).

Enrico                       - (a voce appena più alta) Ma che cos'è questa commedia?

Maddalena               - (con fastidio) Non gridare. È la verità. Non lo vedi? (Sporge il viso im­mobile).

 Enrico                      - (pausa) Pure ti è accaduto qualche cosa. Non ti riconosco. Non è possibile che tu così improvvisamente... (Incredulo) Co­me ti sei accorta che non mi ami?

Maddalena               - (con serietà ma sempre svagata, indifferente) Non puoi capire. Ho sen­tito che la mia vita è così. (Accenna fuori) Una sera piovosa. Qui, in una villa decre­pita, addormentata, in un parco quasi sel­vatico.

Enrico                       - (che mentre ella parlava l'ha fissata con sempre maggiore interesse come sco­prendo qualcosa di nascosto nelle sue pa­role) Continua.

Maddalena               - (senza guardarlo, sempre traso­gnata) Ho creduto d'amarti perchè m'hai baciata... Era il tuo calore... Ma io non ho più sangue... Se si provasse a pungermi con un coltello si vedrebbe che non ho più sangue...

Enrico                       - (c. s. come per destarla) Maddalena!

Maddalena               - (difendendosi, come colta in fal­lo e arretrando verso la porta facendosi di nuovo istintivamente scudo col vestito con­tro la persona) Basta... Non c'è altro...

(Con angoscia) Perchè mi guardi?... Non c'è altro... il resto non mi appartiene...

(Quasi gridando) Non è mio... non è mio...

(Si avvia a destra, si ferma su la soglia e dice) Non è in me che lo devi cercare...

(Via.)

SIPARIO SUL QUADRO

QUADRO SECONDO

La camera di Alina. Caratteristici mobili da giovinetta. Sarebbe un ambiente chiaro e al­legro se l'ora notturna, il camino spento, e il generale aspetto di polveroso abbandono non ne facessero una tetra reliquia. Una por­ta in fondo, una finestra a sinistra presso il lato del letto. A destra delia porta un casset­tone. Sulla parete di destra in prima il ca­mino, in seconda un armadio. All'alzarsi del sipario la scena è vuota e buia. Soltanto la intermittente luce dei lampi lon­tani entra palpitando attraverso i vetri della finestra. Fuori piove. Non giunge l'eco dei tuoni.

Zia Giuditta             - (dà due giri di chiave per apri­re la porta ed entra cautamente, richiuden­do dietro di sé. Scatto dell'interruttore una, due, tre volte: inutilmente. La luce non si accende. Allora ella va quasi a tentoni al camino sulla cui mensola trova un can­delabro a sette bracci e fiammiferi, accende le candele, la stanza s'illumina irregolar­mente lasciando alcuni angoli in. ombra. Ella che ha sul vestito del quadro prece­dente un domino nero si guarda intorno. Vede a terra un orsacchiotto di stoffa, sorride, va a raccoglierlo e mettendolo sul letto dice tra sé scuotendo il capo) Sempre la stessa bambina! (Va alla finestra e si as­sicura che sia ben chiusa. È presa da un senso di freddo. SÌ guarda intorno. Guarda un orologio fermo che è sul camino e dice) Le tre! Questo è l'unico luogo della casa dove sono sempre le tre... (Si avvicina a una fotografia che è di fianco a uno spec­chio e continua) Ma deve esistere un altro luogo - molto lontano o molto vicino - dove non sono neppure le tre... Forse un... frammento di quel luogo è in noi... Tutto sta a chiudere lì ciò che non deve morire!... (Si volge verso la porta, sta un momento in ascolto poi scuote il capo e mormora) Non c'è nessuno. (Apre un cassetto, ne trae nastri, fiori e fotografie che considera sorridendo. Poi siede mettendosi in grembo tutte le piccole e care cose. Infine mormo­ra con toni a sbalzi da folle sempre più segnati sino alla fine della scena) Il nastro della prima comunione! Com'è ingiallito! (L'annusa) Sa ancora d'incenso... (Pausa) Cammina dritta! (Fingendo un dialogo) Com'è compunta la sua bambina! (Ride) Non si sono accorti che ha messo un piede sopra lo strascico di Giovanna. (D'improv­viso) Vergogna! L'hai fatta cadere! (Ride. Pausa) Sai che Giovanna si è sposata? (Si scuote, guarda le fotografie. Ride tra sé. Prende in mano una matassima di lana rossa) E questo che cos'è? Ah! Ricordo. Naturalmente non l'ho potuta dipanare tutta! Non stavi mai ferma! Dov'è l'arco­laio? (Si alza e va a prendere l'arcolaio presso il camino. Torna a sedere. Lo pone con la matassina dinanzi a sé su di una sedia e comincia a dipanare) Un po' di pa­zienza. Ancora un minuto ed è finito. Non bisogna stancarsi. (Pausa. Si arresta assor­ta) Io ho tanta pazienza... Da quanto tem­po ti aspetto? La gente dice che sono quat­tro anni! Può darsi che dica la verità. (Si alza, tutto ciò che ha in grembo cade. Con improvvisa angoscia) Ma allora perchè non mi dà un segno! Un segno che è lei qui vicino a me... (Si alza di scatto e quasi grida) Se sei tu che... (S'arresta e mormo­ra quasi con spavento) No, potrebbe non avvenire nulla e... No, non bisogna. Non bisogna tentare Iddio. (Poi umilmente) Ma ti prego! ti prego... (Si arresta di nuovo in ascolto; poi corre cauta alla porta, l'apre di colpo. Si ode fuori la voce di Maddale­na che dà un piccolo grido di spavento).

Zia Giuditta             - (tira in scena Maddalena che è vestita con l'abito che aveva in mano nel quadro precedente, le chiede con enorme tensione nella voce) Piccolina! Come mai hai pensato di venire qui? Eh? Dimmi, come mai?

Maddalena               - (che si guarda intorno con stu­pore) Ma... non so. Sono uscita dalla mia camera... e invece di scendere... Poi il cor­ridoio era buio e ho visto la luce filtrare...

Zia Giuditta             - Non lo sai perchè sei venuta! (Misteriosa) È perche io ti aspettavo... (Maddalena la guarda un poco sgomenta. Ella allora come per dare un altro senso alle sue parole) Per dipanare questa matas­sa... (La spinge a sedere su la sedia dov'era l'arcolaio che depone a terra. Ne toglie la matassina e la mette in mano a Madda­lena, cominciando ad aggomitolare) Ti sei spaventata, prima!

Maddalena               - Hai aperto all'improvviso... So che questa camera è sempre chiusa da... da allora...

Zia Giuditta             - Ah! Ah! Credevi fosse un fantasma! È strano che proprio tu possa credere a un fantasma!...

Maddalena               - Perchè? Perchè proprio io? Non sono poi tanto coraggiosa...

Zia Giuditta             - Occorre più coraggio a non crederci, Maddalena. (Pausa durante la qua­le Maddalena guarda a terra le cose ca­dute) Che guardi? Niente. Nastri sbiaditi... vecchie cose... fotografie... I pettegolezzi del passato... (Poi come non dando impor­tanza) Hai parlato con Enrico?

Maddalena               - (spenta) Fra Enrico e me è tutto finito.

Zia Giuditta             - Ti dispiace?

Maddalena               - (esita, poi, chiusa) No. Non par­liamo più di questo.

Zia Giuditta             - Bene. Parliamo di noi, allora. Mi dicevi di questa camera. Ci vengo spes­so... Sai che cos'è stasera? È l'ultima sera di carnevale...

Maddalena               - Come la sera...

Zìa Giuditta             - Si. Come la sera in cui Alina cadde e perse conoscenza. (Ella si alza la­sciando il gomitolo a mezzo) Stavamo per andare ad un ballo. Come tra poco io e te. Avevamo i nostri dòmini... Eravamo al­legre. Io mi sono avviata e le ho detto: «Vieni!» Lì. Nel passare la soglia della porta è svenuta... (Lunga pausa) Poi, dopo qualche giorno dissero che era morta! La portarono via. Ma io sapevo che non era vero... Li lasciai fare! E cominciai ad aspet­tare... Senza lagrime, senza lutti... Ogni sera andai alla cappelletta, là dove hanno messo il suo caro corpicino... a parlare con lei. Mi vestivo da sera per rallegrarla... La gente ha creduto che andassi a convegni 'amore! E infatti erano convegni d'amore! Ho voluto tenerle il suo posto, capisci? Glielo avevo promesso, perchè potesse tor­nare... e ritrovare tutto ciò che amava...

Maddalena               - (avvicinandolcsi con tenerezza, vincendo lo sgomento che le parole di lei le hanno provocato) Non ti agitare così, adesso, cara. Ci sono qua io e...

Zia Giuditta             - Appunto! Un giorno sei arri­vata qui tu. Ti guardavo dalla finestra mentre salivi il viale e ho avuto una grande emozione... come una specie di presagio... È come se ti avessi riconosciuta... Sono co­se che è difficile dire... Sembrano pazzie... Ma da quando tu sei venuta in questa ca­sa... Ora io so, dopo un anno che ti guar­do, che tu hai Io stesso suo cuore, lo stesso suo sangue, la stessa sua anima... (Madda­lena arretra sgomenta) Non ti spaventare! È possibile, sai, non lasciar morire qualcu­no! Basta un grande, uno sconfinato amore che giunga sino in fondo ai mari e sino alle palpitanti stelle dei cieli. E chi dovrebbe partirsene ne ritrova la magica eco sonora nelle rotanti sfere dell'universo ed è ricon­dotto al suo centro. (Si batte il petto) Un cuore. Lo sguardo spirituale non perde di vista l'immagine cara e la trattiene, così, la trattiene amorosamente, disperatamente... Sinché dinanzi agli occhi non appare la carne viva di una creatura come te... E allora le due immagini lentamente diven­gono mistiche sorelle, si sovrappongono, si innestano, si fondono e Puna nutre l'altra e la fa magicamente vivere, fiorire... Come per l'opera di un giardiniere accorto un tronco selvatico fiorisce i fiori del mandorlo. Tu non te ne puoi rendere conto. Ma io che ti guardo ho visto la tua trasformazio­ne... L'ultima volta che sono andata lag­giù, alla cappella, le ho portato i tuoi con­fetti di fidanzata... ho sentito che lei non c'era più... È inutile ormai che io vada su di una tomba vuota. Solo, ora io aspetto un segno! Qualche cosa che non mi lasci la possibilità del dubbio. Tu lo capisci, questo?

Maddalnea               - (sempre più sbigottita) Capisco che oramai mi ami molto...

Zia Giuditta             - Dimmi, Maddalena, e tu?

Maddalena               - Anch'io, naturalmente. Ma... non so... Tutto quello che mi dici mi angoscia, mi fa male... Sono stanca. Ti prego, asciami andare.

Zia Giuditta             - (supplichevole) Piccolina, piccolina! Tu non devi spaventarti... Soltan­to... ascoltami. Aiutami.

Maddalena               - (sbigottita) Che cosa devo fare...

Zia Giuditta             - Ricordare. Sforzati di ritro­vare Qualche cosa che Dio ha nascosto den­tro di te perchè io ti riconoscessi. Poi tutto sarà semplice e chiaro: noi vivremo felici. Ora. zitta! C'è un erande segreto fra noi... (Solenne) L'attesa di un miracolo. Madda­lena! Bisopna avere fede. Gli altri non sanno che tutto, il destino dell'uomo, la sua eter­nità e i woi miracoli dioendono dalla fede. (Pausa) Riprendiamo lietamente la nostra vita, io e te. Sorridimi, piccolina! Cosi.

Maddalena               - (guardandola come un uccellino affascinato) Sì.

Zia Giudttta             - Vieni. (Va all'armadio e lo aure traendone un domino che tende a Maddalena).

Maddalena               - (istintivamente respingendolo) Ma potrei anche venire così, no?

Zia Giuditta             - No. È un ballo mascherato. Vieni, ti starà benissimo. (Le infila il domino).

Maddalena               - (rabbrividendo) Come è freddo!

Zia Giuditta             - Lo riscalderai tu. (Le mette sul viso la maschera ed ella stessa prova la sua. Poi conduce la ragazza davanti allo specchio e si guarda accanto a lei) Eh, che ne dici? Perfetto!

Maddalena               - Sì. (Ride timidamente) Anche un'altra volta mi sono messa un domino così, ad una festa.

Zia Giuditta             - Dove?

Maddalena               - Oh, in collegio! Mi pare... Op­pure... Forse sbaglio. L'avrò sognato...

Enrico                       - (entrando, rivolto a Zia Giuditta) Finalmente vi trovo! C'è il dottore che aspetta. (Maddalena si toglie subito la ma­scherina).

Zia Giuditta             - Bisogna far presto, allora!

Enrico                       - Un momento, scusa. Tu hai parlato con lei, vero?

Zia Giuditta             - (seccamente) Non capisco. (Maddalena siede presso il camino e rimane immobile, intenta come un fantoccio).

Enrico                       - Tu sai quello che voglio dire.

Zia Giuditta             - (si toglie la mascherina) Si, si. Mi dispiace molto, Enrico, ma non sono dalla tua parte. Maddalena ha ragione. Non ho potuto fare a meno d'essere sincera con lei come lo sono con te.

Enrico                       - Non è questo. Tu sai benissimo che non è questo. Non si tratta di stabilire se Maddalena abbia torto o ragione. Madda­lena non conta. Guardala. An cara, dolcis­sima Zia Giuditta! Me l'aspettavo, sai! È meraviglioso come non s'impari mai niente! Messi nelle stesse condizioni si compiono invariabilmente gli stessi gesti. È addirit­tura noioso!

Zia Giuditta             - (tranquilla) Ma è naturale! Hai forse cambiato, tu? Trovo in te come genero gli stessi insopportabili difetti che opo qualche tempo ho trovato anche l'altra volta.

Enrico                       - Di' piuttosto che il tuo egoismo è sempre lo stesso.

Zia Giuditta             - Tu credi che sia io a proi­bire a Maddalena?...

Enrico                       - Oh, proibire! Sei troppo intelligente! Corrodi sapientemente gli impulsi, arruggi­nisci i sentimenti!

Zia Giuditta             - Letteratura! Adoro Madda­lena e non voglio che il suo bene.

Enrico                       - Il tuo. Vuoi fare di lei quello che hai fatto di Alina: una povera creatura, dall'anima anemica.

Zia Giuditta             - Che cosa t'importa? È mia. Se tu l'ami come io l'ho fatta bene, ma se tu la prendi per modificarla, per rifarla a tuo modo, no. Assomiglia al tuo ideale? Quello che hai sempre cercato? E allora chiudi gli occhi e aiutami a renderla felice. Non assomiglia? E allora vattene. Non tormentarla più.

Enrico                       - Ma di chi parli? Qui non c'è che tua nipote...

Zia Giuditta             - (netta) Tra me e Maddalena non ci potrebbe essere un più stretto vincolo di sangue. (Maddalena con gesto istintivo si Passa la mano sulla fronte come per tirare indietro un ciuffo di capelli che non ha. È il gesto che abbiamo visto abituale in Alina nel prologo. Zia Giuditta, adirata, conti­nua) E proprio per duello che tu dici, io non voglio, capisci? Non voglio che sposi un uomo come te! Preferisco un contadino senza pretese e senza indiscrezioni.

Enrico                       - Hai paura...

Zia Giuditta             - Non dire sciocchezze.

Enrico                       - Hai paura perche sai che Madda­lena mi ama.

Zia Giuditta             - Maddalena è felice così. Non ha nessun desiderio.

Enrico                       - Povera bambina! (Pausa. Poi Enrico continua rivolto a Maddalena in tono tene­rissimo) È vero quello che dice? Madda­lena! Rispondi!

Maddalena               - (a fatica togliendosi dalla sua po­sizione ed alzandosi) Non so più niente. Mi sento strappare di qua e di là... Che vo­lete da me? Perchè non mi lasciate in pace? Che cosa vi ho fatto di male?

Enrico                       - Ma non capisci! Non capisci che qui è in gioco la tua vita, se non vuoi dire la nostra! La tua felicità.

Zia Giuditta             - (si è avviata alla porta, l'ha aperta e varcata. Si volge dall'altra parte della soglia dice) La sua felicità è da que­sta parte, mio povero Enrico. (A Madda­lena) Vieni...

Enrico                       - Io ti offro le lotte, le gioie e i pati­menti. Ti offro l'amore! Ti prometto di farti ora ridere ora piangere, ma sempre vivere! (Come per destare la ragazza che, incerta si avvia verso Zia Giuditta) Mad­dalena!

Zia Giuditta             - (soavisima, quasi sino a parere insidiosa, allargando le braccia e appog­giando le braccia agli stipiti della porta in modo da sembrare una croce nera) Ed io ti offro la pace. Una pace ch'è lieta per il solo fatto ch'è senza mutamenti. Ti pro­metto di farti vivere nella misura che sa­rà necessaria a non farti piangere. Vieni, Maddalena... Perchè esiti? Chiunque, se ci pensasse, sceglierebbe me! (Ha una lieve risatina: come un trillo infantile) Ma non tutti sono così saggi! Vieni... (Maddalena si muove come un automa verso la zia. Quando giunge presso la porta è come s'ella urtasse contro un cristallo. Barcolla. Tende le braccia come a difendersi da qualche cosa di terribilmente pauroso e si affloscia a terra. Zia Giuditta, dopo una lunga pausa, ha un grido altissimo e urla) Ah! Alina muore! Alina muore!

SIPARIO

EPILOGO

Scena del primo atto.

Enrico è seduto presso la vetrata dalla quale entra il colore livido dell'alba. Ha il bavero della giacca tirato sul collo. È infreddolito, stanco, come chi abbia passato la notte in piedi. Assunta entra da destra con una tazza in mano, attraversa la scena ed esce a sinistra. Subito rientra con il dottor Eliobar comin­ciando a parlare dalle quinte.

Assunta                    - Oh, ecco. Finalmente. Scusate, dot­tore, a quest'ora!

Eliobar                      - (entrando con il bavero del cappotto alzato ed il cappello in mano) Che cosa c'è? (Poi vede Enrico) Buon giorno.

Enrico                       - Buon giorno.

Eliobar                      - (a luì) Che cosa è accaduto di nuo­vo? (Enrico si stringe nella spalle ed ha un gesto vaso. Eliobar aiutato da Assunta si spoglia del cappotto).

Assunta                    - Quando l'avete lasciata a letto sta­notte era tranquilla. Anche noi siamo an­dati a dormire. Ma qui non c'è pace. Due ore fa, saranno state le quattro, abbiamo sentito gridare...

Eliobar                      - Maddalena gridava?

Assunta                    - Sì. Sono corsa io prima. Lui non l'ha fatto entrare. La signorina si dibatteva nel letto. Era come matta. Gridava parole senza senso, «Lasciami! Lasciami! » grida­va... E nessuno la toccava... E piangeva... È ripeteva sempre «Che cosa vuoi ancora! Adesso basta. Non ho più niente... » E al­tre cose così da matta...

Eliobar                      - E la signora Giuditta ?

Assunta                    - Non si. poteva avvicinare che rico­minciava più forte. Invece da me si è la­sciata mettere sotto le coperte e poi si è calmata.

Eliobar                      - Adesso dorme?

Assunta                    - No. Non vuole.

Eliobar                      - (avviandosi) Andiamo a vedere. (As­sunta va per prima alla porta di destra. La socchiude, guarda, fa passare il dottore, richiudendo. Poi riattraversa, si ferma di­nanzi a Enrico e dice)

Assunta                    - Guarda che faccia! Adesso che c'è il dottore dovreste andare a riposarvi un poco.

Enrico                       - No.

Assunta                    - (scrollando il capo avvicinandosi al camino presso cui è Enrico accende il fuoco dicendo) È inutile. Qui non va. Qui biso­gna far benedire la casa. (Poi misteriosa­mente) Sei anni fa, a Pasqua, un fulmine ha incendiato il ramo d'ulivo che era sul cancello. Io lo dissi subito: brutto segno. Infatti da allora... E poi, voi siete istruito, signorino Enrico, ma credete a me, che certe cose le capisco alla mia maniera... Se il Si­gnore si prende un'anima sa quello che fa, no? E noi si china la testa. E si prega per la pace dell'anima che può averne bisogno. E anche si piange che è come pregare. No che ci si veste di rosso e si lascia il suo posto a tavola... come si è fatto qui. Allora nima non trova mai pace e di notte viene a battere ai vetri e porta disgrazia alla casa... (Pausa) Ma adesso vado a prendervi il caffè che ho fatto per voi. E anche per il dottore, poveretto. (Si avvia a sinistra. Ma prima che esca, entra da sinistra Adelaide in vestito da viaggio).

Adelaide                  - (ad Assunta) Assunta, la mia va­ligia è pronta. Fammela portare giù alla sta­zione da Giovanni.

Assunta                    - Va via?

Adelaide                  - Con il treno delle sette.

 Assunta                   - È un accelerato.

Adelaide                  - Non importa. Non importa.

Assunta                    - Vuole la carrozza?

Adelaide                  - No. Non occorre. Vado giù a pie­di. Una passeggiata. (Assunta via a sinistra Adelaide considera il figlio e poi chiede) E tu?

Enrico                       - Che cosa?

Adelaide                  - Si, dico, che intenzioni hai?

Enrico                       - Forse ti raggiungerò più tardi. (Dopo una pausa) Neanche tu mi chiedi percnè me ne vado?

Adelaide                  - Lo sai che non amo le promi­scuità; e le confidenze sono promiscuità. E poi è così chiaro: se te ne vai avrai le tue ragioni. Del resto ho la sensazione che la nostra presenza sia poco gradita.

Enrico                       - Allora non c'è che da lavarsene le mani, vero? È comodo e igienico... come dici tu.

Adelaide                  - Non capisco la tua ironìa... In questo momento, poi. Tu lo sai, io a certe cose non resisto... Sono troppo sensibile. Non posso vedere malati. Spiegalo tu a mia sorella...

Enrico                       - Sì. Si. Ma sarebbe meglio che tu facessi presto, ora.

Adelaide                  - Si, si, anch'io lo penso... Allora ti aspetto? Arrivederci... (Guardandosi in­torno) Le valigie le ho fatte... la borsetta ce l'ho... Non dimentico niente?

Enrico                       - Oh, quasi niente, mamma! Arrive­derci.

Eliobar                      - (rientra da sinistra. Subito Assunta entra da destra con il caffè che depone sul tavolo presso il camino e mesce nelle taz­zine. Poi guarda il dottore ma non otte­nendo schiarimenti esce da sinistra. Enrico ed Eliobar siedono e prendono il caffè in silenzio. Infine Eliobar scaldandosi al ca­mino dice) E voi che cosa intendete fare per lei?

Enrico                       - Ci ho pensato tutta la notte. Ma... che cosa ha infine?

Eliobar                      - Nulla di grave, definito, per ora. Un certo choc nervoso. Si deve essere de­stata in preda a sogni paurosi.

Enrico                       - Tutti ne facciamo.

Eliobar                      - Già. Ma quando riapriamo gli oc­chi la realtà li smentisce. E poi il suo orga­nismo è impoverito, debilitato.

Enrico                       - Questo basterebbe a spiegare il suo malore di ieri sera. Era turbata, impaurita, e si è sentita mancare...

Eliobar                      - E perchè proprio in quel momento?

Enrico                       - Non si sceglie il momento in cui si sviene. Certo, una coincidenza strana.

Eliobar                      - Si, si... Coincidenza... Ognuno è padrone di dare ai fatti il nome che crede.

Enrico                       - Purtroppo a me non riesce vedere nulla al di là dei fatti.

Eliobar                      - Già, già. Che Maddalena rimane qui è però un fatto. E che altre scosse ner­vose come quelle di ieri sera possono por­tarle conseguenze gravissime, è un altro fatto.

Enrico                       - Non avrà mai la forza di andarsene.

Eliobar                      - Perciò ve ne andate voi...

Enrico                       - Ho riflettuto a lungo. Tenterò di farle sentire la mia mancanza. Alle volte la disperazione...

Eliobar                      - Non vi giustificate. È tanto difficile conoscersi. Non sapete neppur voi perchè fuggite.

Enrico                       - (piano) È brutto, vero?

Eliobar                      - No. Forse è crudele. Ma è naturale e giusto.

Enrico                       - (c. s.) Dottore, non l'amo più qui. Non posso amarla qui.

Eliobar                      - Non dite niente. Lo so. Non è un peccato essere dalla parte della vita. Tutte le religioni impongono ai vivi il distacco dal mondo dei morti. Li onorano ma se ne liberano per non esserne contaminati. La Chiesa cattolica poi è ancora più accorta: anche un prete di campagna disapprova che chi resta sia legato dal dolore a chi è par­tito. (Pausa) Leggete mai il Vangelo voi, giovane medico?

Enrico                       - No.

Eliobar                      - Male. Rubate qualche ora ai testi di patologia e leggetelo. Cristo disse a un suo discepolo: « Lascia i morti seppellire i loro morti ». (Alzandosi continua in altro tono) Ora chi mi preoccupa è vostra zia.

Enrico                       - È molto abbattuta?

Eliobar                      - Dite distrutta 1 Ho tentato di spie­garle che non era proprio il caso. Ma ho avuto la sensazione che non mi udisse nep­pure. Mi ha solo domandato se Maddalena poteva alzarsi. Ho risposto di si. Tra poco nascerà il sole.

Enrico                       - Ora dov'è?

Eliobar                      - Di là da Maddalena. La guarda fissa. Non oso dirvi come la guarda!... Tor­no fra qualche minuto. (Prende il cappello e si avvia con Enrico).

Enrico                       - Vedo che anche per un filosofo esi­stono cose che non osa dire... (i due via a sinistra parlando).

Zia Giuditta             - (entra da destra. Sembra ed è invecchiata di io anni. Volto pallidissimo, capelli spettinati, vestita di nero come una beghina, ella si guarda intorno e fa qualche passo come se non riconoscesse l'ambiente).

Assunta                    - (entrando da sinistra la vede e dice) Avete bisogno di niente, signora? (Zia Giu­ditta si volge e senza parlare scuote il capo. Assunta va ad aprire la vetrata per lasciare entrare il sole e poi esce da sinistra incro­ciando Enrico che rientra).

Zia Giuditta             - (come riconoscendo in lui lo scopo del suo vagare qua e là per la stan­za) Enrico!

Enrico                       - Zia Giuditta!

Zia Giuditta             - (con tono intenso e incolore) Enrico, portala via. Se le vuoi bene salvala. Portala via subito.

Enrico                       - Zia, che cosa vuoi dire? Che cosa è accaduto?

Zia Giuditta             - (andando verso di lui) Avevi ragione tu. Io non volevo il suo bene, ma solo il mio. (Con improvvisa angoscia come vedendo dinanzi a sé uno spettacolo terri­bile) Dio! Dio! Non posso sopportare que­sto!... Non potrò mai... (Scoppia a piangere fra le braccia di Enrico).

Enrico                       - (facendola sedere con affettuosità) Non piangere così, zia. Che cosa c'è? Mad­dalena? Non può essere per lei. Non ha nulla di grave.

Zia Giuditta             - Enrico, non tentare di conso­larmi. Tu mi hai sempre capito e per questo io non ti potevo soffrire. Perdonami. Ma adesso io non ho che te. Sono disperata. Tutto si confonde nella mia mente.

Enrico                       - (con grande pietà) Povera, cara, zia.

Zia Giuditta             - Oh, se tu sapessi che cosa vuol dire avere atteso per anni! Ogni ora, ogni minuto il segno di un miracolo! E nello stesso istante, in cui questo miracolo si compie dover chiudere gli occhi per non ve­dere... Il segno che no tanto aspettato mi ha rivelato l'inutilità della mia opera. Per­chè io non volevo questo! Capisci? Io con tutta la mia tenerezza non potrò mutare i! suo destino! (Crescendo) E se io l'amo così, muore! E se io la guardo e l'accarezzo come mia figlia, muore! E se rimane qui con me, muore! Il suo male sono io...

Enrico                       - Tutto questo non è che uno spaven­tevole sogno.

Zia Giuditta             - Ma non verrà mai il mattino? Tutti viviamo lo stesso incubo. E lei più di tutti, povera bambina. Stanotte l'ho vista dibattersi come un uccellino. (Coprendosi gli occhi) E i suoi occhi!... Oramai mi odia. Ha paura di tutto. Di questa casa. Del giar­dino. Della sua camera. E dei fantasmi che strisciano lungo i muri. Bisogna che io la liberi.

Enrico                       - Tu vuoi questo?

Zia Giuditta             - Sì. Perchè l'adoro. Più di pri­ma. Il resto mi sfugge. Una sola cosa è chiara: io debbo liberarla da me perchè lei possa vivere. Va. È di là che ti aspetta. Non dirle nulla. Evitami l'agonia poicnè già l'ho pianta tutta la notte. Le ho detto che la porterai in città per un giorno a farsi visi­tare da un medico di fama. Poi le dirai quello che vorrai. E io non aspetterò più.

Enrico                       - Tu potrai pensarla con me nella vita: sana, serena, forse anche felice. Que­sto non potrà consolarti?

Zia Giuditta             - Si. Se io fossi abbastanza buona da sentire il bene degli altri come il mio. Ma io non mi stimo abbastanza. Sì, sarò lieta che i miei nipoti siano felici: ecco tutto. Ma qui o ai confini del mondo, se io la pensassi come l'ho pensata fino a ieri sarebbe inutile questo mio sacrificio. È sopratutto da qui (si batte la fronte) che se ne deve andare... Per sempre. Come se fosse morta, perchè io possa piangere in pace chi non c'è più... (Egli si alza. Ella quasi fermandolo con il gesto) Senti, En­rico... non portarla qui. Non vorrei. Non voglio che mi veda così. Maddalena è buo­na: e pur avendo paura di me avrebbe ri­morso di ricordarmi qui sola e tanto infe­lice. E forse vorrebbe tornare. (Prevedendo le parole di Enrico) Si, lo so... ci sarai tu a impedirglielo. Ma sarà meglio per lei scusarmi... come stanotte: la zia pazza... a zia malvagia che voleva farle del male. (Enrico le bacia la mano. Ella accarezzan­dogli il capo continua) Addio, Enrico. Non essere ingrato. Ti ho dato per due volte quello che avevo di meglio. Sappilo custodire con cura. (Enrico rimane qualche mo­mento immobile poi bacia la mano a Zia Giuditta mormorando commosso).

Enrico                       - Ti ringrazio di avermi fatto vedere questo.

Zia Giuditta             - Eh, figliolo! Si fa il bene sol­tanto quando non se ne duo fare a meno. Va, caro. E fa presto! (Enrico si alza ed esce dicendo).

Enrico                       - Maddalena! Sei pronta?

Zia Giuditta             - (rimane immobile. Entra da sinistra Assunta che chiede).

Assunta                    - Signora, la carrozza è pronta da un pezzo.

Zia Giuditta             - (con uno scatto) Ma si, va bene! Sarà questione di un minuto, non aver paura

Lunga pausa durante la quale Assunta esce su la veranda e si affaccia. Zia Giuditta ri­mane in ascolto.

La sua sofferenza sale sul suo volto mentre si ode dal giardino sbattere con violenza lo sportello della carrozza e poi dapprima lenti i so­nagli e gli zoccoli del cavallo poi al trotto sempre pia veloce il loro suono che si attenua nella distanza. Rientra dalla veranda Assunta che la vede, così, abbattuta sulla poltrona e per farle coraggio dice):

Assunta                    - Sta meglio, sa, la signorina. Sa­lendo in carrozza sorrideva!

Zia Giuditta             - (con voce incolore) Va' a fare la sua stanza...

Assunta                    - (avviandosi a destra) Subito, si­gnora.

Zia Giuditta             - E poi chiudila.

Assunta                    - (si ferma su la soglia) Come chiu­derla?

Zia Giuditta             - (non risponde. Assunta atteg­gia il volto come chi non capisca ed esce da destra).

Eliobar                      - (entrando da sinistra e deponendo il cappello su di una sedia dice con tono gio­viale come per rallegrare l'amica) Ah! Ah! Li ho incontrati. Ma io non avevo dato il permesso di farla uscire a passeggio! Queste malate mi guariscono così a tradimento! (Poi osservando Zia Giuditta che si alza e si passa le mani nei capelli guardando fis­samente dinanzi a se) Che cosa c'è? (Poi sempre più preoccupato) Vi sentite male?

Zia Giuditta             - (con intonazione alta, ma fred­dissima e incolore) Io... io non so. (Si guarda in giro con angoscia).

Eliobar                      - Ma che cosa avete!

Zia Giuditta             - (c. s.) Non ho niente. Non ho più niente! Dovrò pur fare qualche cosa anch'io, ora... Ma sono rimasta indietro... Ho perso tempo... Dottore... Dottore aiuta­temi voi!

Eliobar                      - Mia cara, tutto quello che posso fare...

FINE