Un quadro

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                                          UN QUADRO

                                               Un atto di Gianni Testori

PERSONE:

GIULIO, pittore

CARLO

MARIA, sua moglie

ALBERTO, modelli

SCENA

Lo studio di un pittore. Da un lato il cavalletto, dall’altro, ma verso il centro, un tavolo: sopra, una natura morta, davanti, una sedia. Una finestra.

Il sipario si apre mentre Giulio prepara la tavolozza: canta a riprese. Campanello. Entrano Alberto e Maria.

GIULIO                        Buongiorno,  signora Maria.

MARIA            Buongiorno. (abbandona sul tavolo il cappello e la borsetta)

ALBERTO        (svogliatamente) Buongiorno. (silenzio)

GIULIO                        E il signor Carlo? Dov’è vostro marito?

MARIA            (distratta) S’è fermato giù in strada a parlare con un amico, a momenti sarà qui.   

Possiamo cominciare.

GIULIO            Allora (indicando), per favore al tavolo. 

(Maria ed Alberto si sistemano dietro al  tavolo, riprendendo la “posa” del giorno 

Precedente: uno di fianco all’altro, quasi di faccia)

GIULIO                        Più a sinistra. Ecco, così va bene. (Rimboccando le maniche apre la finestra. Rumori  

                        dalla strada).

GIULIO            Parlate pure, senza muovervi però, mi raccomando. Signor Alberto, la mano sul

                        Tavolo, per favore, più indietro. (Prende la tavolozza e con molta calma inizia a

                        dipingere. Dalla finestra una canzone lentissima. Maria ne riprende il motivo).

ALBERTO        Ti piace questa canzone?

MARIA            Tanto. (Pausa)

ALBERTO        Sai perché te l’ho chiesto?

MARIA            No…

ALBERTO        Ieri sera al Caffè delle Lucciole l’hanno suonata così insistentemente da fissarmela

                        nella memoria per tutta la notte e per tutta la giornata. Dormivo ed era come se,

                        vicino, qualcuno ne rifacesse continuamente il motivo. E poi al lavoro, a tavola, nella

                        strada…(riprende la canzone) attorno era sempre notte, nel cielo e nel mare le

                        stelle, e una presenza continua, vicino, uno sguardo invisibile e buono, un alito

                        tiepido.

MARIA            (che l’ascoltava rapita, improvvisamente) Ecco, proprio, anche a me, così: uno

                        sguardo invisibile…(chiude gli occhi) e sempre quel motivo dolce, e il vento leggero

                        della  sera, il freddo della ringhiera nel palmo della mano, e un grido lontano,

                        tremendo, dentro il cuore, alle orecchie. Sentilo, sentilo Alberto, è qui (indicando

                        alle orecchie), senti come mi batte (gridando) “Maria, dove vai? Maria” (affannosa)

2

                        Poi le scale velocissime: il portone. Una luce e un’ombra, fermi. La fuga sulla

                        strada, mentre l’aria scioglie i capelli, arriva alle labbra, salata, libera. Gli occhi

                        rossi di due ubriachi. Il cigolio di una finestra. Una luce ancora: poi, l’angolo, in

                        fondo, il mare. I grandi fari dell’autobus: uomini che scendono frettolosi e

                        scantonano. Le luci del Caffè, sedie sul marciapiede, tovaglie pallide, abat-jour.

                        “Attenta, una bicicletta”. I cartelloni sulla riva: gli occhi dell’artista feriti da una

                        striscia rossa e sul muro l’insegna luminosa del “Cinema Centrale”, rossa, verde

                        (calmandosi)…il furgoncino dello spazzino. La scopa striscia sul selciato e la

                        ringhiera è sempre fredda nel palmo della mano. Il mare sotto, batte continua-

                        mente…la bella signora passeggia profumata di viole…uomini e donne felici…un

                        fruscio di biciclette dentro il grido del saxofono…la musica…

GIULIO                        Vi siete spostati un poco (al richiamo i modelli arrossiscono, quasi sorpresi) Più a

                        Sinistra per favore.

                        (Contemporaneamente il campanello, Maria fa cenno di volere andare ad aprire).

                        Non vi disturbate, grazie, vado io. (Entra, abbattuto, Carlo). Buongiorno.

MARIA            Ciao Carlo.

ALBERTO        Ciao Carlo.

CARLO            Ciao (va in fretta a prendere la sua posizione. Seduto sulla sedia di fronte al tavolo,

                        con il braccio appoggiato. Rimane così, immobile).

GIULIO                        (tornando al cavalletto) Perfettamente. (Pausa)

ALBERTO        Aveva un dolce profumo la bibita che il cameriere aveva posato sul tavolo: la

                        cannuccia appoggiata al bicchiere aspettava che la mano ne sciogliesse il leggero

                        involucro di velina. Ma la mano pesava troppo, non aveva forza per rialzarsi. Allora

                        l’uomo si impose qualche movimento: tutti il corpo era duro e pesante. Forse era la

                        solitudine. Inorridito al pensiero di dover restare tutta la notte, inchiodato alla sedia

                        de Caffè, diede uno strappo e si alzò. Ebbe la sensazione che le ossa cigolando si

                        fossero spezzate. Levò dalla tasca dieci lire e le pose sul vassoio, facendole tintinna-

                        re, quasi per avvertire il cameriere. Scese dal marciapiede, si diresse al molo.

MARIA            Fu allora che un vento leggero cominciò a spirare sul mare: udivo così i passi fretto-

                        losi degli uomini, il battere allegro dei tacchi. Fu allora che fra tanti rumori avvertii

                        un passo triste e sconsolato. Procedeva senza speranza, quell’uomo. Certo era solo.

                        Provai a passeggiare e m’accorsi che il mio passo gli somigliava. Forse in un tono più

                        Alto, ma ugualmente triste e sconsolato.

ALBERTO        Due vite senza speranza si erano sfiorate nel cammino della notte.

MARIA            Si appoggiò alla ringhiera la donna e avvertì quei passi sempre più allontanarsi.

                        Nello stesso momento in cui il suo orecchio non riuscì più a distinguerli, cominciò a

                        piangere: qualcosa dentro si scioglieva. Forse la solitudine era finita. Allora sentì

                        avvicinarsi uno sguardo invisibile e buono, un alito tiepido e dolce…

ALBERTO        …e anche l’uomo, poco lontano, aveva cominciato a piangere….qualcosa dentro si

                        scioglieva…uno sguardo buono, un alito tiepido e dolce.

MARIA            Così iniziò l’attesa, l’attesa cara e sicura. Sapevo che tu saresti venuto, non quando,

                        ma certo saresti venuto.

CARLO            (rimasto fino allora immobile, scoppia urlando) Maria basta! Nemmeno la carità sal-

                        vate più ora. E io, chi sono io? Niente, completamente niente? Volete farmi vergo-                   gnare davanti a tutti…no…questo è troppo…(calmandosi)…davanti a tutti…(si avven-

                        ta contro Alberto) Alberto vai via, non posso più sopportarti, vai via, via…

GIULIO            (che durante la scena di Carlo s’era scompaginato, corre a dividerli, gridando)

3

                        Il sipario, Santo Iddio, il sipario! Siamo in teatro, e queste cose il pubblico non le

                        deve vedere…(la tela si chiude precipitosamente. Carlo, nel litigio, si trova sul palco-

                        scenico. Guarda attorno, spaurito, cerca di ritrovarsi, ma non riesce…lentamente,

                        stanco, riprende a parlare.

CARLO            …davanti a tutti…sempre solo, come un cane, senza una parola…, (imitando una vo-

                        ce ) “Stai lì, è tuo dovere”…qui solo, come un cane?...”Sì, lì, solo, come un cane” …

                        senza una parola, senza una mano che mi aiuti…(si è accorto che il riflettore colpi-

                        sce solo lui, mentre il resto è nel buio) Ma basta anche voi con quella luce! Volete

                        proprio mostrarmi a tutti, nudo. Eccomi: guardare chi sono. Un povero uomo, un

                        disgraziato, costretto ad andare nello studio di un pittore per guadagnare un po’ di

                        pane, a stare delle ore come vuole lui così, un giorno triste, perché lui vuole così, un

                        giorno triste, (incalzando) ma questo è troppo, questo è troppo. (urlando) Aprite il

                        sipario! Che chiuso, che teatro, che pubblico! Ormai hanno visto tutto, sanno tutto.

                        Cosa credete che siano stupidi? Capiscono bene anche loro come vanno queste

                        Faccende…aprite il sipario!  

                       

(S’apre improvvisamente il sipario. La scena è illuminata con vivezza abbagliante.

                        Alberto e Maria al loro posto, tanto vicini, questa volta da sembrare abbracciati. 

                        Immobili, come statue, e immobile è pure il pittore. Carlo rimane allibito. Dalla

                        finestra ricomincia la canzone di prima: Carlo si precipita addosso ad Alberto e

                        Maria, cercando di staccarli).

CARLO            Alberto, vai via! Non posso più sopportarti. Guarda, divento tutto rosso, rosso!

                        Maria il fuoco! (I due rimangono immobili. Carlo si ritira e ridendo, deluso, come chi

                        ha trovato una ragione persa nella memoria, mentre torna al proprio posto, come

                        a un martirio che si deve subire) E già, non ricordavo, siamo modelli.

                       

(Non appena Carlo ha ripreso il suo posto, il pittore rotta l’immobilità riprende  di-

Pingere.  Maria e Alberto a poco a poco si svincolano e ricomincino a parlare. Dalla

                           strada la solita canzone.

MARIA            …Non sapevo quando, ma certo saresti venuto…(lentamente comincia a calare la  

                        tela)…allora ti vedevo alzare dallo scoglio, venire verso me, nella notte…

ALBERTO        ….correvo…correvo…

MARIA            …e il vento ti portava leggero, con le braccia aperte…

ALBERTO        …così vedi, quasi per coprirti….

MARIA            …ma non c’era più vento allora….

                                                                      F I N E