Un segno del destino

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Un segno del destino

Commedia in tre atti di

Alfio Messina



All’amico Melo Toscano,
che col suo entusiasmo 
ha sempre alimentato 
la fiamma del teatro,
con affetto.




Personaggi :


Þ Mara moglie di Pippo
Þ Pippo marito di Mara
Þ Gianni figlio
Þ Giovanni padre di Pippo
Þ Angelina moglie di Giovanni
Þ Professor Zecca cliente di Mara
Þ Signora Milly cliente di Mara
Þ Saro amico di Pippo
Þ Bambino messaggero
Þ Camilla detta Milly la ragazza di Gianni


In un paesino del meridione

Tempo presente.


Un Segno del destino
Commedia in tre atti.

Scena unica.

ATTO PRIMO

Una modesta stanza arredata in modo semplice.
Un ingresso in fondo usato come comune. La porta d’ingresso è nascosta da una rientranza. Accanto, sulla sinistra, una finestra. 
Una porta nella parete laterale di sinistra, via d’accesso per le altre camere, ed una in quella destra.
Una macchina per cucire in fondo vicino alla finestra; un tavolo leggermente sulla destra, un paio di sedie un po’ traballanti, una poltrona a sinistra per il vecchio nonno e una scopa.
All'apertura del sipario Mara è seduta alla macchina per cucire e conversa con la suocera, la signora Angelina, mentre quest’ultima rammenta.
SCENA Ia.
- Mara e la signora Angelina, sua suocera. -
ANGELINA: Pazienza, che vuoi farci! Io è una vita che lotto, che combatto col padre, e non sono riuscita a cambiarlo!
MARA: Io non voglio cambiare nessuno. Desidererei che la smettesse di stare dietro alle donne!
ANGELINA: È suo padre, mio marito!… Ha ottant’anni e ancora pensa di essere un ragazzino. Se potesse camminare bene e se potesse fare… tu mi capisci… andrebbe ad insultare le giovincelle come tanti anni addietro! (Risentita) Quante me ne ha fatte vedere! Sono martire da cinquant'anni! 
MARA: E meno male che sconosce l’esistenza della “Viagra”.
ANGELINA: (Segnandosi con il segno della croce) E dove?… Qua a Trecastagni?
MARA: In farmacia!
ANGELINA: (Non capisce) L’hanno aperta in farmacia? E la farmacia dove l’hanno spostata?
MARA: Che cosa?
ANGELINA: Questa nuova via!
MARA: Quale nuova via?
ANGELINA: Questa che hai nominato tu ora: via…
MARA: Cosa hai capito?
ANGELINA: (risentita) Ooh, Mara, ti sembro già stonata o sono intontita e non capisco più quello che dici? Dove hanno aperto la via?
MARA: (Sorride) “Viagra” è una pillola!
ANGELINA: Biih!… Mi sembrava il nome di una via come quella che c’era a Catania anni fa, dove dimoravano quelle donnacce spregiudicate. (Riflettendo) Ma a cosa serve?
MARA: (Al pubblico) E ora come glielo spiego? (Imbarazzata) Serve… serve per l’impotenza.
ANGELINA: Ah! Mi vuoi dire che se una persona non ha forza, si prende questa pillola e diventa forte?
MARA: (Si mette a ridere ed annuisce) Sì, sì!
ANGELINA: Quante ne inventano ai tempi d’oggi. Siamo diventati pillole.
MARA: Il bello è che ci sono pillole per curare gli effetti di altre pillole. Che ti duole la testa, pronta un’aspirina; che ti duole lo stomaco per gli effetti dell’aspirina… un’altra pillola. Se questa ti fa venire un giramento di testa… ancora una pillola.
ANGELINA: Fra un paio di giorni potremmo fare a meno di mangiare, basta una pillola!
MARA: Queste già esistono: pillole al pollo, alla carne, alla pasta col sugo…
ANGELINA: E per la vecchiaia niente?
MARA: Stanno studiando, non ti preoccupare.
ANGELINA: Studi… sono sempre per cose stupide, per malattie diciamo… leggere. Vedi se hanno interesse a sperimentare medicine per curare malattie più gravi!
MARA: Hai ragione. Studiano per anni e anni, decenni, e ancora i risultati sono sempre “scarsi o lievi”.
ANGELINA: Ci sono troppi interessi, non gli conviene! È più importante tenere in vita le persone con le medicine...
MARA: Giusto! Se mantengono in vita le persone malate grazie alle medicine, senza guarirle del tutto, le case farmaceutiche guadagnano di più.
ANGELINA: Vero! Se le persone guariscono o si sentono bene, che cosa ne fanno delle medicine?
MARA: A chi le vendono?
ANGELINA: Esattamente! Prendi il… (Non ricorda bene come si chiama) … il… il diesis!
MARA: (Comprende tutt’altra cosa) Dai mamma, a quest’ora prendo il diesis! Chi ci riesce! Io non prendo nemmeno il Do! E poi lo sai che sono stonata.
ANGELINA: Perché il diesis è una malattia che fa cantare?
MARA: (Continua a non capire cosa vuole dire la suocera) Ma che… 
ANGELINA: Su Mara! Il dies… quella malattia grave!
MARA: (Che finalmente capisce) Ah! L’AIDS!
ANGELINA: E che ne so io… ids o come si dice. (Riprendendo il discorso di prima) È più di dieci anni che fanno esperimenti, che ci girano attorno, e ancora nessuno è riuscito a trovare una cura definitiva..
MARA: Ma, sai… purtroppo è difficile.
ANGELINA: (Incredula) Sì, sì… È difficile! Ci credo poco, cara Mara. Ormai sono vecchia e sai quante ne ho visti esperimenti! Però, nel frattempo, hanno sperimentato medicine per allungarci la vita.
MARA: E meno male! Almeno hanno fatto questo!
ANGELINA: Certo! Quanto costa a loro produrre le medicine? Due lire. Quanto costano a noi? Biglietti di centomilalire! E una volta che si sono mangiati tutti questi soldi, tu pensi che hanno interessi a sperimentare una medicina per curare definitivamente un male?
MARA: Che ne sappiamo noi? Peggio per chi si ammala!
ANGELINA: Hai ragione! Però, a volerlo, potrebbero convogliare i soldi della ricerca verso le cose più importanti, invece di sperimentare pillole per la potenza o per il gusto di mangiare! (Pausa. Poi ritornando la discorso originale) Perciò, come ti stavo dicendo, con tuo marito è destino: tale padre, tale figlio! Ti capisco, è difficile accettarlo anche per me che sono sua madre. Almeno se n’andasse a lavorare… avrebbe come passare il tempo. E’ lavativo e donnaiolo come tuo suocero, ecco!
MARA: Se lo dici tu che sei sua madre! Non fa altro che uscire. Che cavolo ci trova in piazza! Il bello è che se gli dici qualcosa si arrabbia! Se gli parli di lavoro, sai che cosa mi risponde: c’è crisi!
ANGELINA: Sì, ora c’è crisi! Ma allora una volta quando non avevamo niente, né acqua né luce, ma soprattutto niente da mangiare… come si doveva chiamare?
MARA: Cara suocera, so io cos’è questa crisi!
ANGELINA: Lo so pure io. Non mi fare agitare. (Pausa. Smettendo di lavorare) Mara, vado dall’altra parte per vedere che sta facendo quel vecchio petulante. (Si alza)
MARA: Mamma, fammi il piacere di preparare qualcosa da mangiare!
ANGELINA: Vediamo cosa faccio. (Si avvia verso l’uscita di sinistra)

SCENA IIa.
- Mara e il marito: Pippo -
- Angelina, uscendo dalla parte sinistra, s’incontra con Pippo, suo figlio e marito di Mara. Egli è un uomo sulla cinquantina, un po’ burbero, donnaiolo, lavativo.
ANGELINA: (Rivolta al figlio) Ecco il cavaliere!
PIPPO: (L’osserva per qualche minuto, come caduto dalle nuvole, mentre la madre scompare. Poi rivolto alla moglie) Sono state le api?
MARA: (Con il capo chino sul lavoro, com’è ormai abitudine quotidiana, risponde con un tono rassegnato) Che vuoi farci! In questa casa ne girano un paio...
PIPPO: (Non raccoglie la provocazione. Attraversa la scena senza nemmeno rivolgere lo sguardo alla moglie) Mara io sto uscendo. (Si avvicina al tavolo).
MARA: (C.S.) E ti pareva... D’altronde senza di te in piazza come fanno? Con tua madre stavamo parlando proprio di questo.
PIPPO: (Fermandosi un po’ prima della porta d’uscita) E certo senza di me come fanno? Io ci vado per questo: per evitare che qualcuno si possa suicidare. (Con atteggiamento sfottente) Avanti, continua a fare la calzetta.
La moglie, stanca delle solite discussione intraprese con il marito, risponde sempre con lo stesso tono insofferente.
MARA: Veramente sto preparando un vestito!
PIPPO: ( non vuole essere sottomesso dalla donna. Tocca una sedia che barcolla un po') Poi quando dici tu sistemiamo queste sedie. Sono tutte sgangherate.
Mara risponde calma ma con la rabbia dentro.
MARA: Quando tu porti i soldi aggiustiamo quella ed altre. È trentacinque anni che abbiamo queste quattro cose e non c’è nemmeno l’idea di poterle cambiare.
PIPPO: E perché dovremmo cambiarle. Hai dimenticato il proverbio: “chi cambia la vecchia con la nuova trova la sua “malanova”!
MARA: Se si tratta di donne, però, meglio la nuova che la vecchia! Ma quando si tratta di soldi… (sottolineando) e di lavoro…
PIPPO: (Un po’ innervosito ed infastidito) Non la mettiamo su questo punto... sai bene come la penso.
La moglie scatta mantenendo la posizione seduta
MARA: Certo, come la pensi tu! Ma quando vado a fare la spesa, la penso in un altro modo.
PIPPO: (Sorpreso) Come!
MARA: Con la mia tasca.
Pippo, toccato in un punto debole…
PIPPO: Incominci? Ma se tutti i lavori sono bloccati, se tutti siamo senza lavoro, io che cosa ci posso fare? Cantieri non ce n’è, al comune non ci sono assunzioni, le ditte non assumono, con chiunque parli ti dicono: c’è crisi. Mi dici cosa devo fare?
MARA: La crisi! Di questi tempi non sento altro che questa parola: crisi. La crisi è per la povera gente. Vuoi sapere che cos’è la crisi?
PIPPO: Sentiamo! Tu sicuramente sei più aggiornata…
MARA: La crisi è stata inventata da chi si è riempito la pancia nel passato e ora guadagna di meno. È tutta una scusa per giustificare le tasse.
PIPPO: (Alzando le spalle da menefreghista) Io cosa posso farci? L’aria è sempre la stessa. Ti dicono: “c’è crisi, non c’è lavoro, non si può fare niente”. Ora me ne vado a rubare!
MARA: (Colpita dalla frase del marito) Magari andassi a rubare! Così ne ho uno meno in mezzo ai piedi. Almeno fai un’attività, e, male che va, ti possono arrestare. Anzi... ti danno da mangiare, ti pagano e se ti secchi a stare senza far nulla, ma ciò è difficile che succede, ti procurano tanti passatempi: televisore, giochi…
PIPPO: (Alzando gli occhi in cielo) Ah, la bellezza di tua madre! Quanto latte di vipera ti ha dato?! (Pausa) A proposito: sai che mentre ero in piazza con gli amici, sono svenuto?
MARA: (Mara si alza dalla sedia e va verso il marito visibilmente preoccupata. Ella, per quanto possa guardare con disprezzo il marito, in fondo, gli vuole bene) Svenuto?!
PIPPO: Come no! Caduto tutto d’un pezzo (come un “passuluni”).
MARA: (Come Sopra) E come mai?! Che cosa ti sei fatto?
PIPPO: Niente. Meno male che ero seduto, se no… mi cresceva un bernoccolo!
MARA: Oh Signore! Non è meglio che andiamo dal dottore?
PIPPO: Quale dottore e dottore.
MARA: Ma scusa, almeno sapremo cosa ti sarà successo. Ci consiglia qual cosa...
PIPPO: Ti hanno mai detto che dai dottori non si va?
MARA: Veramente io so che dai dottori si va proprio in questi casi.
PIPPO: Sì! Bisogna andarci quando non se ne può fare a meno.
MARA: E perché?
PIPPO: Perché quando vai dal dottore, la prima cosa che fa è scriverti le analisi: analisi al sangue, all’urina, alle feci… o addirittura analisi al completo.
MARA: (Con tono scherzoso) Sperando che non prescrivano anche quella al cervello, perché con te si guasterebbe anche l’apparecchio.
PIPPO: Con me! Lasciamo stare. (Riprende il discorso) La seconda è una visita specialistica, possibilmente in un amico suo. La terza..
MARA: E’ lunga la lista?
PIPPO: Lunga? Non termina mai. Perché c’è il principio del “lavora tu che lavoro io”.
MARA: (Dandogli una pacca sulle spalle) Ma vai via. Questa è una delle tue tante filosofie.
PIPPO: Una delle mie…? Ascolta cosa mi hanno raccontato in piazza l’altro giorno.
(Seggono ambedue attorno al tavolo e parlano)
PIPPO: Una volta c’era un dottore, appena laureato. Suo padre era un grande medico del paese. Un pescivendolo un giorno, come fu e come non fu, si conficcò una lisca di pesce in una mano.
MARA: (Incredula) E per una spina di pesce andava dal dottore?
PIPPO: Ascolta tutta la storia. Questa lisca gli procurò un’infezione.
MARA: (Che ha capito) Ah! Ora capisco.
PIPPO: Fu costretto a far vedere la ferita al dottore che fra gli altri era un suo cliente. Il dottore padre gliela curò a poco a poco. Il pescivendolo, come ringraziamento, gli portava a casa il pesce più fresco, quello appena pescato, non come quello che mangiamo noi e non sappiamo né quando è stato pescato né la provenienza…
MARA: (Continuando col tono del marito) Certo, lui convinto che gli curava al meglio la ferita.
PIPPO: Esattamente. Solo che la ferita non guariva. Un giorno nello studio vi si trovava il dottorino, il figlio. Come vide quella ferita infetta, non ebbe pace, perché non riusciva a spiegarsi come mai suo padre di grande esperienza non era riuscito a guarirla. Disinfettò la ferita per bene e dopo un paio di giorni quel disgraziato pescivendolo non soffrì più.
MARA: (Dubbiosa) Posso credere che un dottorino, ne sapeva più del padre ricco d’esperienza di vita!
PIPPO: Ascolta. Il pescivendolo fu felicissimo. Il dottorino come vide il padre gli chiese subito: “Ma, papà, come mai non hai curato l’infezione al pescivendolo?” Suo padre gli rispose: “Perché, gliela hai curata?” “E certo, cosa potevo fare?” “Bestia, - rispose il padre al figlio - e quando mangerai il pesce fresco?” Ora, parabola che si racconta: quando vai dal dottore è difficile che te ne esci, perché ci sono molti interessi..
MARA: (Riflettendo un po’) Ma lo sai che quasi quasi hai ragione.
PIPPO: Questa è una ragione basata sull’esperienza.
MARA: Veramente è esperienza di piazza. Comunque ora che ci penso… a donna Rosa è successa una cosa simile.
PIPPO: Perché, fa la pescivendola pure lei?
MARA: Ma che centra!
PIPPO: Allora? Si è conficcata una lisca?
MARA: No! Se non mi fai finire il discorso!
PIPPO: Parla.
MARA: Mi ha raccontato che l’altro giorno si è sentita male. Così è andata dal medico generico. Questi, per prima cosa, le ha prescritto una visita specialistica. Donna Rosa gli ha chiesto dove poteva farla. Il dottore le ha consigliato un certo specialista... (pausa) del quale non ricordo il nome... naturalmente a pagamento.
PIPPO: (Confermando le sue tesi) Hai visto che è come dico io!
MARA: Basta, lo specialista nemmeno l’ha toccata… due colpetti nello stomaco... toc toc… (pausa, fa il gesto del medico)... duecentomila... e le ha prescritto le analisi al completo.
PIPPO: Giusto. Centomila per ogni colpo. Questo è niente…
MARA: Ancora non ho finito. Fece le analisi complete e le risultò una brutta malattia. Morta, fu letteralmente morta! Che vuoi… da che stai bene da che sei malato grave! (Pippo annuisce) Non contenta di quei risultati, rifece le analisi in un altro laboratorio a pagamento. E sai cosa le hanno detto…
PIPPO: (Incuriosito) Che cosa?
MARA: Sai quanti anni ha donna Rosa?
PIPPO: Che ne so… una settantina.
MARA: Settantadue, esattamente.
PIPPO: Che le hanno detto?
MARA: Incinta di cinque mesi!
PIPPO: Hai visto! Potrei raccontarti tanti episodi simili. Perciò, c’è bisogno di andare dal dottore per sapere cosa è successo.
MARA: Ah, già, allora perché sei svenuto? Che cosa è successo?
PIPPO: (Guardandola negli occhi intensamente) Il morso avvelenato che mi hai dato ieri. Meno male che ho la pelle dura come la suola, se no… ero già morto, stecchito.
MARA: (Tirando un sospiro di sollievo e dandogli una pacca sulla spalla) Sei il solito scemo. Vattene via, fila via! Fammi respirare un po’ d’aria pura.
PIPPO: Se permetti vado a respirarla io. Ti saluto.
(Esce di scena. Mara rimasta sola continua il suo lavoro lamentandosi).
MARA: Non prendere fresco! Ma! Crisi. La crisi forse c’è, o almeno per me c’è stata sempre… non ho avuto mai niente! Ma per quelli che lavoro non ne mangiano, la crisi aumenta. Poi per mio marito! Certo che se incontrassi a Nicolino, che me l’ha presentato, ora come ora... lo farei a stufatino. Lo metterei sotto quest’ago e gli farei il merletto. Meno male che la buonanima di mia madre m’insegnò a cucire... se no avremmo mangiato pietre! Vuol dire che tutto nella vita è destino; come fu destino che mi sposassi con questa razza particolare di essere umano.

SCENA IIIa.
- Mara e il figlio Gianni. -
- Entra, da sinistra, Gianni, il figlio istruito, un giovane sopra i vent’anni, in cerca di prima occupazione. Premuroso.
GIANNI: Mamma, hai visto la cravatta che mi hanno regalato per il mio compleanno?
MARA: Qua c’è l’altro. Hai chiesto alla nonna? Non l’ha posata lei?
GIANNI: Allora siamo apposto! Se l’ha presa lei… addio cravatta nuova.
MARA: Perché la mangia?
GIANNI: Mamma, non ho tempo di fare dello spirito! Sai benissimo che la nonna non si ricorda mai dove mette le cose. E poi le mischia con quelle di papà o peggio ancora con le cose del nonno!
MARA: Hai guardato nel cassetto del comodino?
GIANNI: Ah, già. (Sta per andare ma viene bloccato dalla madre)
MARA: Quando mai? (Osservandolo) Gianni, come mai ti stai “agghirlandando”?
GIANNI: (Sorpreso) Come! Non ricordi che devo andare alla festa di Carmelo?
MARA: No.
GIANNI: Come no! Ma se mi hai chiesto chi era, dov’era, com’è...
MARA: Di come sei profumato, anzi "impuzzato", sembra più una Carmela che un Carmelo!
GIANNI: Mamma, ti prego, non ricominciare con la solita storia. Anche quando fosse una Carmela!
MARA: No, figlio mio! Oggi è meglio una Carmela che un Carmelo al femminile.
GIANNI: (Non potendone più) Mamma...
MARA: A me non interessa più di tanto. L’importante è che non tornate in tre. Non so se mi sono spiegata. (E fa il gesto per indicare una gestante).
GIANNI: Sì, va bene. Sempre le solite discussioni antiquate e retrograde. 
MARA: Saranno antiquate e retrograde, ma se non funziona in tempo la retrograda... vedi che terno prendi… (Sottolineando le parole) e prendiamo.
GIANNI: Senti, basta con queste discussioni. Ogni volta che devo uscire c’è sempre la solita tiritera. Ai tuoi tempi molte cose non si conoscevano anche perché era proibito parlarne, era un tabù.
MARA: Tabù o non tabù, certe porcherie non si facevano.
GIANNI: Quelle che tu chiami "porcherie", oggi sono frutto di libertà di coscienze, di scambi corporei e quindi di aperture comunicative più importanti di quelle verbali o scritte.
MARA: Senti figlio mio, io non capisco niente di quello che dici. Sarà come dici tu, ma io voglio restare con un po’ di mentalità antica. Non mi spiego come mai una volta c’era la ristrettezza di idee, ma i figli nascevano sani e belli, ma soprattutto nascevano; oggi, c’è la libertà e non ne nascono. C'è il calo demografico!
GIANNI: Che centra il calo demografico! Voglio dirti che oggi ci sono tanti mezzi e tanti strumenti che permettono di avere rapporti in modo libero e sicuro.
MARA: Certo. Infatti, con i mezzi sicuri e liberi vedi cosa nasce: una gioventù mezza abortita e mezza sana.

SCENA IVa.
- Detti più Giovanni, il suocero di Mara, padre di Pippo. In seguito Angelina -
(Entra Giovanni, il padre di Pippo, appoggiandosi su un bastone. Andatura un po' tremolante. Un uomo un po’ sordo che vive di ricordi e gli piacerebbe tanto che qualcuno lo ascoltasse. Tutti, però, conoscono le sue avventure, sempre le stesse e ripetute all’infinito.)
GIOVANNI: (Ripetendo la finale) Di lana. Proprio quello, non ne ho altri?! E poi come facevi a sapere che volevo il berretto di lana? Sei diventata una strega?
MARA: Mamma mia… è arrivato! (Alzatasi, rivolta a Gianni e accarezzandogli il viso affettuosamente) Ti raccomando, stai attento.
GIANNI: Sì, non ti preoccupare mamma. Ogni volta mi rifai le stesse raccomandazioni. E’ quindici anni che mi ripeti di stare attento.
MARA: Le raccomandazioni non sono mai troppe: più ne hai e più probabilità hai di trovare un posto di lavoro.
GIANNI: Maaamma! (Esce dalla scena dalla stessa parte da dove è entrato)
GIOVANNI: Mara, lo hai visto?
MARA: Cosa?
GIOVANNI: Rosa? Ma quale rosa! (Puntualizzando) Io voglio il berretto di lana, che ne devo fare di una rosa.
MARA: Sordo da un orecchio e dall’altro pure! (Alzando un po’ la voce) Papà, con questo caldo che cosa cerchi?
GIOVANNI: Vecchi!? Certo ora siamo vecchi... siamo buoni a nulla. Chiunque ne può approfittare! Ma una volta contavo, e come!
MARA: (Riflessione a voce alta) Vive nel passato: suo conforto!
GIOVANNI: Che devo fare col cappotto!? Mi vuoi fare morire soffocato?
MARA: (C.s.) La vecchiaia! E’ sordo come una campana.
GIOVANNI: (Continuando il discorso) Mara, a proposito di caldo, ti ho mai raccontato quando... in Africa, durante la guerra… (accenna al racconto di vicende vissute)
MARA: (Interrompendolo) Ricominciate? (poi avvicinandosi all’orecchio di Giovanni con tono sostenuto) Io dicevo che fa caldo e il berretto di lana vi fa male!
GIOVANNI: E perché gridi, mica sono sordo? Già mi fa male la testa, tu alzi la voce. Se mi metto il berretto di lana, il mal di testa mi passa.
Entra Angelina che assiste alle battute di Mara.
MARA: Ci penserei io a farvelo passare tutto in una volta, a padre e figlio. (Uscendo di scena raccomanda alla suocera). Pensaci tu!
ANGELINA: (Rivolta al marito) Che è successo?
GIOVANNI: E che ne so! (Fa cenno alla moglie di avvicinare l’orecchio) Angelina... certe volte Mara mi sembra pazza!
ANGELINA: (Con voce alta per farsi sentire) Ma che dici, vecchio stonato!
GIOVANNI: Sì, sì. Tu non mi credi mai! Poco fa, s’è messa a gridare senza ragione.
ANGELINA: Se c’è un pazzo in questa casa, quello sei tu. (Si allontana)
GIOVANNI: (Un po’ alterato) Se io sono pazzo, tu mi vinci per dieci volte. Pazza, pazza, pazza, pazza…
ANGELINA: (Con rabbia) Vecchio stonato e allampanato!
GIOVANNI: (Agitando il bastone) Attenta, attenta... perché a me impanato non l’ha detto nessuno. Attenta a come parli!
ANGELINA: Oltre a essere stonato, sei anche sordo!
GIOVANNI: A bordo? Ti ci mando io con una scarica di pugni in faccia a bordo.
ANGELINA: Tempo perso! (Riflessione a voce alta e al pubblico) Quando si agita non sente niente!
GIOVANNI: Il dente? Ma non uno solo. Tutti quelli che ti sono rimasti, te li farei cadere uno ad uno…. Alle donne di oggi non si può dire niente. Poi questa casa, sembra quella dei pazzi: chi entra, chi esce, chi alza la voce... (Con rabbia) Quand’ ero giovane... 
ANGELINA: Quand’era giovane…(Gli si avvicina) Sempre una cosa sulla lingua: quand’ero giovane… (allontanandosi) Lo so io cos’eri quand’eri giovane!
- Giovanni, rimproverato, si chiude in sé e mormora.
ANGELINA: Mormora, mormora!
GIOVANNI: Chi t’ha chiamato?
ANGELINA: Scorbutico!
GIOVANNI: “Rudico” ci sei tu e tutti quelli che ti vengono dietro!
ANGELINA: Maledetta la sordaggine!
GIOVANNI: Quand’ero giovane vedi se t’azzardavi a rispondermi così!
ANGELINA: Lo vuoi capire che oramai siamo vecchi?
GIOVANNI: E tu lo vuoi capire che non mi devi stonare la testa? Già mi fa un male… tu ti metti a lima!
ANGELINA: Sei un vecchio prepotente.
GIOVANNI: Tu sei una vecchia “allaccarata”. (Danno vita ad un battibecco)
ANGELINA: Me ne voglio andare… se no… sbotto. (Esce da destra)
GIOVANNI: Magari schiattassi tutta in una volta. La vecchiaia…
Viene interrotto da Gianni che esce elegante sportivo.
GIANNI: Mamma... ( osservando che non c’è si rivolge al nonno) Nonno dov’è la mamma?
GIOVANNI: Quale salma e salma. Quand’ero giovane, bevevo, sì e no, mezzo litro di vino, ma buono non come quello di oggi che con una bustina di preparato chimico ne fanno dieci litri. E le persone sono sempre nell’erboristeria con le pance gonfie e disturbi vari.
GIANNI: Sì, va bene! (Alzando la voce) La mamma… dov’è la mamma.
MARA: (dall’ altra stanza) Che vuoi Gianni.
GIANNI: Mamma io sto andando.
MARA: (sempre da fuori) Va bene. Ti raccomando.
GIANNI: (scocciato) Mamma...
GIOVANNI: Gianni, dove stai andando? In una festa?
GIANNI: Sì, nonno. Perché?
GIOVANNI: Ce ne sono belle signorine in questa festa?
GIANNI: Nonno cosa vuoi dire?
GIOVANNI: Posso venirci anch’io? Almeno così mi faccio fare un bel rodaggio…
GIANNI: Nonno, tu ormai hai bisogno di un motore nuovo.
- Gianni sorride e sta per andare.
GIOVANNI: Come? Non mi muovo? Magari ne avessi una a portata…! Gianni, ti raccomando di farti onore, di farti valere e di non fare sperdere la reputazione di tuo nonno. A proposito te l’ho raccontato quando un giorno a Taormina... 
GIANNI: (Gianni si mette le mani ai capelli, poi con un sorriso al pubblico) Racconta sempre le stesse cose.
(Va via, mentre il nonno estasiato dal ricordo continua a raccontare) 
GIOVANNI: ...Era una magnifica giornata. Incontrai una francesina che sembrava una montagna scolpita. Bella… Pulita… ma quanto era bella! La sua pelle profumata e vellutata, sembrava essersi strofinata nelle rose… I suoi capelli: fili d’oro. Quando la vidi… abbagliai, come quando si osserva il sole. Mi avvicinai a lei... (Si sente suonare il campanello. Giovanni, non avvisando il suono, continua il racconto) ...e le dissi: “Bella Signora, montagnetta mia, mi fai fare un giro sopra le tue sciovie”? (Si ode nuovamente il campanello.) …Ancora, quando ci penso, sento suonare campane e campanelli… (Altro tocco di campanello e subito dopo entra un’elegante signora dai trenta ai quarant’anni chiedendo permesso. Giovanni non se ne accorge e continua rapito dai ricordi). I tempi… i tempi purtroppo…
Viene interrotto dalla voce della signora.

SCENA Va.
- Giovanni e la Signora Milly cliente di Mara.. Poi Mara. -
SIGNORA MILLY: Permesso? (Una signora attraente e ben truccata che cerca di far mostra sempre di sé. Alzando un po' la voce e facendosi notare) C’ è permesso? Si può?
GIOVANNI: Chi è? Avanti.
MILLY: Buongiorno. Chiedo scusa, ma ho suonato tre volte e nessuno mi ha risposto! Visto che un bel giovane mi ha lasciato la porta aperta ne ho approfittato. (Pausa. Non ricevendo risposta continua.) Cercavo la signora Mara. (Giovanni, imbambolato e stupito, l’osserva attentamente dalla testa ai piedi, come se davanti a lui c’è una meravigliosa visione. Dopo un breve silenzio da ambo le parti) E’ in casa la signora Torri?
GIOVANNI: (Dopo averla divorata con gli occhi, verso il pubblico) Mihi! Se non m’assomiglia alla francesina. Se era un paio di anni fa!… Va bene che pure ora posso farmi una bella scivolata.
MILLY: (Un po’ imbarazzata) Mi perdoni. La signora Mara?
GIOVANNI: Tiè!… (facendo gli scongiuri). Qui bara non ce ne vuole. Ancora non è il momento. Però se i becchini fossero come lei, io mi accontenterei di morire trecentosessantacinque giorni l’anno.
MILLY: (Un po’ altezzosa) Ma che fa. Cosa ha capito! Io cercavo la sarta. La signora che sistema i vestiti.
GIOVANNI: Partiti? Partiti di cervello! Tutti pazzi.
MILLY: Sì. Ho capito. (Verso il pubblico) Che giornata! Negli uffici si muore d’ignoranza: gli chiedi una cosa e te ne danno un’altra. Per la strada non si può più camminare che subito t’importunano. Dappertutto c’è confusione, devi fare fila, fila, fila e contro fila. Uffa… una tiritera…
GIOVANNI: (Sempre facendo le corna). E ci torna! Signora, guardi che qua, non c’è bisogno né di bara né di candela!
MILLY: (indicando il vecchio) Questo è sordo come una campana. Chissà cos’ha capito. Mah, pazienza! E’ destino che oggi devo perdere una giornata intera! Non ho concluso niente.
Sta per andarsene quando entra Mara con il cappuccio in mano.
MARA: (Accorgendosi della presenza della signora Milly, le va incontro per salutarla). Signora Milly, come sta?
MILLY: (Stringendole la mano). Bene, grazie, e lei?
MARA: Qua siamo, in questo mondo. Sempre in lotta.
GIOVANNI: Mara!
MARA: Mi scusi un momento (Va da Giovanni e gli consegna il cappuccio) Qua c’è il berretto! (Poi ritorna dalla signora Milly) Quello è mio suocero, ha già fatto la sua conoscenza?
MILLY: (sorridendo) Sì, purtroppo…
GIOVANNI: Mara!
MARA: Scusatelo Signora, è anziano ed anche un po' sordo. Non mi bastava il figlio, ci voleva pure il padre. Pazienza, che posso farci! E’ destino!
GIOVANNI: Mara! Mara!
MARA: Mi perdoni. Vediamo cosa vuole. Permette!
MILLY: Ma la prego.
MARA: (Andando verso Giovanni al pubblico) Com’è insistente! Vede che sto parlando… “Mara, Mara”… (Al vecchio) Che c’è? Che è successo?
GIOVANNI: Senti Mara, posso prendere io le misure alla signora?
MARA: Ma che state dicendo? Con la vecchiaia avete perso qualche rotella. Andate dall’altra parte, poi ne parliamo.
GIOVANNI: (Perplesso) Le prendiamo!? (Con tono fermo) No, no, non hai capito!… Le voglio prendere solo io le misure, perché io... so dove misurare!
MARA: (Alzando il tono della voce) Va bene, abbiamo capito. Domani!
GIOVANNI: Perché domani. Ora non può essere? 
MARA: (Spazientita) Papaaaa! 
Giovanni, mortificato per il rimprovero, in seguito, osservando sempre la signora Milly, raggiunge la poltrona mormorando e siede.
MARA: (Ritorna dalla Milly) Allora, signora, in che cosa posso aiutarla?
MILLY: Certo che ci vuole una pazienza!
MARA: A chi lo dice. Cosa possiamo fare?
MILLY: Se fosse per me… lo metterei in un ospizio per anziani, dove può trovare dei passatempi, delle nuove amicizie, e…
MARA: (Prontamente)…E la morte. Mi perdoni, signora, ma non sarà mai trattato come in famiglia.
MILLY: Sarà, ma io non ci starei dietro ad uno così. Io voglio la mia libertà!
MARA: (Sospirando) Eh! Se fosse solo lui! Il guaio è che c’è anche la moglie e il figlio, cioè mio marito. E quest’ultimo è peggio di lui.
MILLY: E’ sordo anche lui? Poveretta!
MARA: No, non è sordo d’orecchio…
MILLY: E allora di dove? (Pausa) Iihh! (Facendo segno con le mani come per indicare “niente”) Doppiamente poveretta!
MARA: Che cosa vuole dire…? (Gesticola anche lei come la signora Milly)
MILLY: Che non fate…
MARA: (Che non ha capito) Che non fate… (imitando il gesto della signora Milly) che cosa?
MILLY: Ma insomma lei è veramente ingenua!
MARA: Sarà, ma io non ho capito nulla.
MILLY: Lei ha detto che anche suo marito è sordo, ma non d’orecchio. Io ho pensato che… (Ripete il gesto con le mani. Mara la guarda smarrita) Insomma che non riesce a fare l’amore.
MARA: Ahhh! No, anzi… (Abbonda con le mani)
MILLY: Meno male, c’è una speranza di vita. Allora è anziano?
MARA: No. Non è né sordo né anziano. Diciamo che ha un carattere un po’…
MILLY: (Interrompendola) Ah! Ho capito! Che mi dice! Io per non subire le angherie del maschio prepotente o del marito geloso, sarei disposta anche al divorzio. Meno male che mio marito fa tutto quello che gli ordino di fare, altrimenti…
MARA: Altrimenti?
MILLY: Lo pianterei!
MARA: Perché, se i mariti si piantano, nascono un’altra volta?
MILLY: Ma signora Mara…
MARA: Dicevo tanto per scherzare! Però dopo trent’anni di matrimonio.
MILLY: E che vuol dire? Se capita di divorziare… divorzio anche dopo cinquant’anni! Troverò sicuramente un altro pollo da spennare. Se questo non mi basta, ne troverò ancora uno e poi un altro. Cara signora, dopo i quarant’anni inizia una nuova gioventù ed io non intendo perderla. All’uomo maschio, che mi creda, detto fra noi, oggi sono in pochi, basta… un’alzata di gonna,… (si immedesima nella parte di colei che vuole “attraccare”, si muove in modo sensuale, mentre Mara l’osserva incredula e sconvolta. Da lontano Giovanni con crede ai suoi occhi, si proietta in avanti per vedere meglio e quasi cade) …un occhio profondo… scrutante… sensuale… un paio di labbra rosso fuoco… e subito… Pluff! 
MARA: (Imitando il gesto della signora, ma senza capirne il significato effettivo) Pluff!?
MILLY: (Cambiando tono) Voglio prendermi tutto ciò che mi offre la vita, e me ne frego di tutto e di tutti.
MARA: Beh! Su questo punto siamo perfettamente d’accordo. Gli attimi passano e non ritornano più!
MILLY: Giusto!
MARA: Ma torniamo a noi. Che cosa posso fare per lei?
MILLY: Già vero! Quasi dimenticavo. Prima di tutto le chiedo scusa per l’orario.
MARA: Non si preoccupi la mia casa è sempre aperta.
MILLY: La ringrazio. Avrei bisogno che mi stringesse questo vestito (e tira fuori dalla borsa un vestito). L’ ho comprato perché mi piaceva, ma non è perfetto per la mia figura, mi sembra più grande. Pensate di poterlo sistemare?
MARA: Veramente, signora, in questi giorni avrei un po' di lavoro da fare e non so quando...
MILLY: Ma la prego! Lei è sempre così gentile. Troverà certamente un momentino anche per me.
MARA: E va bene. Vediamo cosa posso fare. Accomodiamoci dall’altra parte così le prendo le misure.
(Le due signore si spostano per andare nell’altra stanza, verso la porta di destra. Giovanni, ancora eccitato dalla scena precedente, intuisce lo scopo e chiama Mara).
GIOVANNI: Mara! Mara!
MARA: Di nuovo? Oh, Signore mio! Si è fissato… 
GIOVANNI: (Insistendo) Maruzzella.
MILLY: Andate, Mara, non vi preoccupate per me.
MARA: Grazie, signora. Nel frattempo accomodatevi pure dall’altra parte.
- Mentre Milly si dirige verso la porta di destra, Mara si avvicina al vecchio.
MARA: Non mi dovete chiamare per bestialità! Che c’è!
GIOVANNI: Vengo?
MARA: Per fare?
GIOVANNI: Prendo io le misure?
MARA: (Seccata) Mi dovete fare il cavolo del piacere, che quando ci sono clienti, non mi dovete dire niente. E levatevi dalla testa questi desideri strani. (Detto ciò si allontana e va dalla cliente).
GIOVANNI: Che fa fare essere vecchi! (Si alza dalla poltrona e barcollando, aiutandosi col bastone, va a sbirciare nella toppa della porta di destra dove sono entrate le due donne. Si è appena chinato quando entra il Prof. Zecca).

SCENA VIa.
- Giovanni e il professore Zecca. -
Il professore Zecca è un signore anziano, vestito alla meno peggio, con abiti fuori moda e di qualche anno addietro. Egli ha difficoltà visive a causa delle cataratte e, anche lui, un po’ sordo. Tutti lo chiamano professore, ma in realtà è un maestro di scuola elementare ormai in pensione e che la gente prende in giro per via del cognome. 
P. ZECCA: C’è permesso? Si può? 
- Entra in scena recando in mano una busta con dentro un paio di pantaloni. Giovanni si trova chinato. Il professore Zecca non si accorge che è Giovanni.
ZECCA: Ma dico io: come si può lasciare la porta aperta ai giorni d’oggi. (Intravedendo una figura, la scambia con la signora Mara) Signora Mara, buongiorno. Stavo dicendo: come si può lasciare l’uscio aperto? Va bene che con i tempi che corrono, i ladri entrano lo stesso anche se sono chiusi … ma farglieli trovare aperti? (Non ricevendo risposta alza la voce) Buongiorno.
GIOVANNI: (Accortosi della presenza del professore Zecca) Oh, caro Turi, come stai? (Gli va incontro)
ZECCA: Giovanni, tu sei? Sai non ci vedo più tanto bene. E’ da un po’ che devo andare dall’oculista!
GIOVANNI: Certo che ti faccio pista, vieni avanti. (Lo prende per mano e cerca di accompagnarlo a sedere) Vieni di qua, accomodati!
ZECCA: (Non afferrando la battuta) Gèttati? E da dove mi devo gettare? (Si appoggia alla spalliera di una sedia traballante) Peggio di come sono combinato! L’ambulatorio medico è diventato il mio regno!
GIOVANNI: Ci vuole un sostegno? Non ti preoccupare se la sedia si muove un po’, non farci caso.
ZECCA: Nooo! Il naso… è buono. Sono le orecchie, gli occhi e pure le gambe che ormai non m’accompagnano più. Ma senti, dov’è Mara? Le debbo lasciare questo paio di pantaloni per accorciarli e sistemarli. Quando li ho provati sembravo una cocuzza.
GIOVANNI: Ma quale puzza! (Odora l’aria) Io non sento niente. 
ZECCA: E’ andata per la lente? E’ uscita? Anche lei non vede bene? Mi dispiaci tanto. Va bene, vuol dire che torno dopo.
GIOVANNI: (Smette di odorare l’aria e guarda per terra) Un topo? Dove? Chissà cosa hai visto; mai visti topi in questa casa e puzza non ne sento!
ZECCA: Lento? Certo che vado lento, lento come un treno a vapore, ma arrivo lo stesso. Me ne vado perché devo passare dalla farmacia! Ciao Giovanni, ciao! (Stringe la mano a Giovanni e si avvia verso la porta destra.)
GIOVANNI: Mah! Turi là è occupato. L’uscita è più a sinistra.
ZECCA: A dritta? (Gira leggermente verso destra)
GIOVANNI: A manca!
ZECCA: Devo stare attento all’anca? Certo, alla nostra età è fragile. (Continua a girare a destra)
GIOVANNI: (Con tono più sostenuto) Tutto a sinistra.
ZECCA: Ah, va bene, ciao! (Si dirige verso il pubblico).
GIOVANNI: Ciao! Ho capito t'accompagno io. 
(Insieme fanno un paio di movimenti buffi: si scontrano i bastoni, si cambiano di posto, girano in tondo un paio di volte. A soggetto, come crede meglio il regista.) 
GIOVANNI: Cosa voleva, non ho capito niente! Le persone di questi tempi sono un po’ stonate! (Ritornando guarda la porta dio destra e ricorda. Si dirige prontamente verso quella direzione per continuare a spiare. Mentre sta per chinarsi, entrano Mara e Milly. Gesto di stizza da parte del vecchio.) Mannaggia! 

SCENA VIIa.
- Giovanni, Mara e Milly -
MILLY: Grazie, signora, sapevo di poter contare sul vostro aiuto. Quando ripasso? 
MARA: Non so, provi domani pomeriggio.
MILLY: Va bene! Grazie ancora. Arrivederci.
MARA: Buongiorno Signora Milly. E… stia attenta ai polli…
MILLY: Non si preoccupi… so come spennarli!
(La Signora Milly esce di scena. Mara in disparte verso la comune accenna ai movimenti effettuati dalla signora MILLY: alza leggermente la gonna, guarda verso il pubblico con uno sguardo seducente, pronuncia le labbra. La voce del suocero, però, la riporta nella realtà)
GIOVANNI: Mara.
MARA: (Andando verso il vecchio ripete alcune parole della cliente) …”Maschio… troverò sicuramente un altro pollo da spennare… Se questo non mi basta, ne troverò ancora un altro”… Pluff! Ma che vuole dire con quel: Pluff! Questa... ne ha avuti così tanti che po’ aprire una polleria. (A Giovanni) E’ venuto qualcuno? Mi sembra di aver sentito parlare!
GIOVANNI: Di che ti preoccupi, tanto tu hai il vestito!
MARA: (Alzando la voce) Cosa ha capito?
GIOVANNI: Che ti deve pagare!
MARA: Perso…(C.S.) E’ venuto qualcuno?
GIOVANNI: Ah, sì! È venuto quel matto del maestro Zecca.
MARA: Cosa voleva?
GIOVANNI: Che ne so io. E’ venuto e se n’è andato. Forse, a quanto ho capito io, non gli sono piaciute le sedie. Le ha trovate barcollanti. Poi ha sentito puzza ed ha visto un topo.
MARA: Si sono unite due buoni!
GIOVANNI: Lui è peggio di me! Mara… però le misure, dovevi farle prendere a me. Lo sai che per misurare io…
MARA: Certo che lo so… vedi che cosa è nato dopo l’ultima misura che avete preso! Basta guardare quel galantuomo di vostro figlio Pippo! Ma io non mi arrendo.
GIOVANNI: Che hai detto? Le prendo? Sì, finalmente le prendo, le prendo! Dov’è? Chiamala, vai di corsa e falla venire, chiamala, chiamala! (Cerca di alzarsi dalla sedia ma inciampa nel bastone e cade a terra). Ahiai, ahai, ahi.
MARA: Papà... (mentre cerca di tirarlo su) Maledetta vecchiaia. Almeno si mettesse l’apparecchio acustico.
GIOVANNI: Ahiai... Ahiai...
MARA: Mettetevi in testa che ormai siete anziano, che non avete più l’età; che non siete più un ragazzo e non potete fare più certe cose. Non vi siete divertito abbastanza nella gioventù?
GIOVANNI: (Smettendo i lamenti e guardandola negli occhi). Ora non serviamo più! Mara, per certe cose non c’è età. Io ancora posso attraversare fiumi e valli.
MARA: Certo se vi legano in un elicottero con una corda.
GIOVANNI: Ma che morta e morta, qua c’è acciaio.
MARA: Si vede. Dai, alzatevi… (tenta d’alzarlo) e almeno aiutatemi!

SCENA VIIIa.
- Pippo e detti, meno Milly. -
- Entra Pippo. E vedendo che Mara abbraccia il padre.
PIPPO: (Sorridendo) Mara, potevi dirmelo che avevi bisogno di abbracciare un Torri. Proprio mio padre?! Va bene che l’abbraccio resta in famiglia…
MARA: (Scatta, lascia Giovanni che cade nuovamente a terra e si rivolge a Pippo con le mani in viso) Ueee! Io spacco la faccia a te e a quel vecchio stonato. Per chi mi hai preso? Il desiderio ve lo faccio passare a io!
GIOVANNI: Ajai.. (Mentre è ancora a terra) Ma che ho fatto di male?
PIPPO: E calmati. Io stavo scherzando. Guarda come ha fatto cadere quel poverino.
MARA: Ma quale poverino. Ci vorrebbe un bel colpo di legno qua… (facendo segno in fronte) a tutti e due. E poi, se vuoi sapere la verità, io non ce la faccio più a stare dietro tutti. Hai capito?
PIPPO: (Andando ad aiutare il vecchio) Che è successo? Ch'è stato? L’ha morsa qualcosa? E’ venuto qualcuno?
GIOVANNI: Uno? Una signora per una cosa…
PIPPO: Quale cosa?
GIOVANNI: Una posa?
PIPPO: Che posa?
GIOVANNI: Ma quale cosa?
PIPPO: Sì ho capito… ma che posa?
GIOVANNI: A Rosa?
PIPPO: E’ venuta Rosa?
GIOVANNI: Cos’è questa cosa?
PIPPO: E torna con la cosa!
GIOVANNI: Quale cosa?
PIPPO: (innervosendosi) Chi ha detto cosa!
GIOVANNI: Ma se è da due ore che mi dici una cosa!
PIPPO: (innervosito) Basta !!!
MARA: (Rivolta a Pippo in modo sfottente) Forse… ti stai innervosendo? Come mai?
PIPPO: (Per rispondere d’impeto alla moglie, lascia cadere nuovamente Giovanni) Non ti immischiare...
GIOVANNI: (Strapazzato a terra si lamenta) Ahi ... ahiaiaiaiaiiiiii. E’ giornata!
MARA: Chi io?
PIPPO: Ma vedi… Uno torna a casa per rilassarsi, e invece...
MARA: Certo, perché fuori ti innervosisci.
PIPPO: (Accenna ad andarsene) Per cortesia, me ne ritorno in piazza se no sbotto!
MARA: La scusa per riuscire. 
GIOVANNI: (Sempre lamentandosi) Ahi... ahiai..
MARA: Maledizione a me!… Mi viene una cosa…
PIPPO: E dillo, dillo che ti viene voglia d’ammazzarmi. E dire che quando ti ho conosciuta mi sei apparsa come una mela, una caramella, uno zuccherino.
MARA: E con tanti mosconi che volavano vicino a questo zuccherino, venne a cascare proprio il più lavativo e il più...
PIPPO: (Interrompendola) Il più speciale di tutti. Se non era per questo bel moscone tu cadevi nella rete di Toni il pasticciere.
MARA: Che vuoi dire? Almeno con lui mangiavo pasticcini. Mentre con te mangio aria!
PIPPO: Giusto! Però i pasticcini possono portare acidità nello stomaco, intossicazione, diarrea… e se c’è diarrea ti risucchi come una candela.
MARA: Ricordi ancora come ci siamo conosciuti?
PIPPO: Certo che mi ricordo! Sono cose che non si possono dimenticare. (Il suo sguardo si perde su ricordi di momenti felici) Mi sembra ancora ieri… Io camminavo insieme a Nicola “il pipajolo”, e tu stavi aspettando…
MARA: (Interrompendolo) Al mammalucco che passava!
PIPPO: (Prontamente) Che sarebbe Toni il pasticciere.
MARA: Io alludevo a te. Ma giusto giusto chi passò?
PIPPO: Io. Che vuoi, cara mia. Amore a prima vista!
MARA: Cecità assoluta a prima vista! Vuoi dire.
PIPPO: Certo che il destino è strano. L'assenza di Toni in quell'appuntamento... È stato un segno del destino. (Si avvicina alla moglie e la cinge con le braccia)
MARA: (Confermando con amore quei ricordi) Già, la vita è piena di segni del destino! Non potevi passare da un’altra strada? No! Sei passato proprio di là!
GIOVANNI: (Ancora a terra) Che bel quadretto! Sono diventato trasparente. Ahia!
PIPPO: Ora come ora eri pasticcera.
MARA: (Allontanandosi dal marito) Almeno lui lavorava.
PIPPO: Ma puzzavi di uova.
MARA: Hai la battuta sempre pronta. Sei come i gatti: quando cadono, cadono sempre in piedi.
PIPPO: Mara, quando scherziamo scherziamo: c’è crisi.
MARA: (Innervosendosi) E torna con questa crisi. La crisi è per la povera gente. Per coloro che girano e si rigirano sempre in mezzo al fango.
PIPPO: Lo sai cosa mi ha risposto il vicesindaco quando gli ho chiesto un posto al comune come impiegato, operaio, spazzino o qualsiasi cosa?
MARA: Allora?
PIPPO: Mi disse: “caro Giuseppe, tu sei un tipo che hai sempre fatto qualcosa, hai sempre lavoricchiato e quindi un pezzo di pane sai portarlo a casa. Dobbiamo aiutare quelli che non sanno fare niente, a coloro che non hanno un mestiere, “nullafacenti”. Mi veniva l’impeto d’ammazzarlo con le mani. Non solo mi sono tolto la salute, addirittura mi devo sentire dire queste cose. Se ti sai arrangiare non hai diritto ad un posto. Se invece sei lavativo e non ti vuoi sporcare le mani, allora qualche posto esce fuori. Ed io da quel giorno in poi non ho fatto più niente, tranne il mio mestiere.
MARA: Sì, infatti, hai la metà della salute. 
PIPPO: E poi, io quanti voti posso procurargli?
MARA: Che centra questo?
PIPPO: Che centra? È tutto proporzionato?
MARA: Spiegati. Che vuoi dire?
PIPPO: I posti sono riservati a coloro che gli procurano un sacco di voti: più ne porti e più vali.
MARA: Può essere?
PIPPO: Lo dici a me che sento tutto il giorno queste discussioni in piazza!
MARA: Ecco perché stai sempre in giro tutto il giorno: per aggiornarti.
PIPPO: Notizie sempre fresche!
MARA: In verità l’ ho sentita una cosa del genere. Ma senti, il vicesindaco non è quello che ha tutta la famiglia impiegata al municipio?
PIPPO: E allora perché non c’erano più posti!
MARA: Fatto sta che se non era per la pensione di tuo padre e di tua madre e per il mio lavoro, la fame si poteva tagliare col coltello in questa casa.
PIPPO: Sì, in parte è vero. (Si ricorda che il padre è ancora a terra) A proposito di mio padre, lo abbiamo lasciato a terra. (Corre a prendere il padre)
MARA: È roba tua!
GIOVANNI: (Finalmente ricordato, con tono rassegnato) Non c’è bisogno che mi alzi. Ormai mi ero rassegnato a coricarmi per terra, anzi portami il cuscino. (Pippo cerca di sollevarlo) Ahiai, ahi... piano piano. La schiena... si è rotta sicuramente. Piano, piano. (Fa molte smorfie di dolore) Era meglio che non mi toccavi!
PIPPO: Papà cerca di aiutarmi. Sei tutto arrugginito. Ti devo portare da qualche meccanico, così ti faccio dare una bella oleata e una bella ingrassata.
MARA: La devi fare nel cervello, così ti funzionano meglio tutti gli ingranaggi. Se ne hai!
PIPPO: (A Mara) Tu il vizio di pizzicare non te lo levi, vero?. (Riprendendo il discorso di prima) Però a tuo figlio a scuola chi l’ha mantenuto?
MARA: Vero!
PIPPO: Considerato che lui ha completato gli studi, io mi voglio riposare.
MARA: Certo… E’ giusto. Tu devi riposarti. Tuo figlio il posto ce l’ha nella luna e noi campiamo d’aria! Già, tutto apposto! Se morissero i vecchi… sarei curiosa di vedere che fine facciamo.
PIPPO: Non ti preoccupare… non moriremo di fame…
MARA: Sicuro! Dimenticavo che tu hai corrispondenza con i piani alti. E poi lavoro io! 
PIPPO: Aaaaah, che lamento! 
MARA: Aggiungiamo il fatto che se ti metti a lavorare, come fai con le donne? Perciò è meglio che riposi.
PIPPO: Lasciamo un tasto e ne prendiamo un altro? Sei peggio di un pianoforte scordato!
MARA: Questo tasto non ti piace. È stonato o è sordo?
PIPPO: Mara, quante volte devo dirti che io voglio bene solo te. Che non ci sono altre donne per me. Tu sei per me…
MARA: (Intervenendo) Quello che sono io per te non lo so, ma so bene cosa sei per me.
PIPPO: E che cosa?
MARA: La mia rovina!
PIPPO: Dai, Mara! Io ti voglio bene… vedo solo te…
MARA: Con mezzo occhio perché l’altro è impegnato con le altre donne. A qualche pipistrella ancora le corri dietro! Se non me ne accorgo… tutto va bene… Ma se per caso scopro tanto, solo tanto… lo vedi quel manico di scopa, te lo rompo tutto in testa.
PIPPO: Esagerata.
MARA: Ti sembro il tipo che corre dalla mamma o in altri posti come fanno alcune, così lasciano il campo libero al marito? Io… ti spacco la faccia.
PIPPO: Sì, va bene, togliamo l’acqua. (Con tono scherzoso e di farsa) Ma allora quando mi sono portato quella bella signorina...
MARA: (Lo interrompe bruscamente) Che stai dicendo? (Va a prendere la scopa)
PIPPO: (Continuando con lo scherzo senza accorgersi che la moglie ha preso la scopa) Come! Quella bella biondona...
- Giovanni avvertendo ciò che sta per accadere rientra. 
GIOVANNI: Brutto tempo c’è. Sarà meglio che vada a ripararmi. (Si alza ed esce di scena).
- Mara si avventa su di lui con la scopa. 
PIPPO: (Mentre Mara lo colpisce con la scopa) Mara. Oh, oh, oh! Un momento, un momento… io scherzavo... ti dico che scherzavo.
MARA: Io con queste cose non ci scherzo.

- E fra inseguimenti e grida, cala il sipario

ATTO SECONDO

Stesso ambiente. Il pomeriggio del giorno successivo.

SCENA Ia.
- Mara e Gianni. -
Mara è seduta intenta a rammendare. Gianni entra in scena cantando.
GIANNI: (Canta… dopo) Mamma, ti trovo sempre qui?
MARA: Dove vorresti trovarmi, in qualche discoteca o in un manicomio?
GIANNI: Sapessi quanto mi addolora questa situazione, ma vedrai che prima o poi azzeccherò qualche concorso. E allora…
MARA: E allora saremo tutti morti e sepolti. Lo sai che per te abbiamo fatto tanti sacrifici. E chi li ha sempre fatti, li continuerà a fare. Perciò non ti dispiacere. Mio nonno diceva: "dove mangiano tre, mangiano quattro”. Certo a quei tempi non c’era niente da mangiare e soprattutto non c’erano queste porcherie di ora.
GIANNI: Che vai dicendo?
MARA: Che devo dire! Niente, pensieri. Vedo che sei contento e questo mi rallegra. Come mai?
GIANNI: (Facendo l’ingenuo) Non so che dire!
MARA: Attento perché che una madre sa leggere nel cuore del proprio figlio!
GIANNI: Se hai letto nel mio cuore, allora sai perché sono contento.
MARA: Non c’è bisogno di essere una maga. Questa è la felicità che conosciamo tutti: è gioia d’amore. Non devi dirmi niente?
GIANNI: Niente!
MARA: (Insistendo) Proprio niente niente?
GIANNI: Veramente una cosa dovrei dirtela.
MARA: Avanti.
GIANNI: (Contento) Ebbene sì! Mi sono innamorato di una ragazza: bella, carina, affascinante, buona, sincera, gentile….
MARA: Eeee… Basta, basta ho capito com’è. (Poi con un sorriso dolce) Assomigli a me, quando ho conosciuto tuo padre. Il cuore mi scoppiava, mi sussultava, mi lasciava. Non facevo altro che pensare a lui. 
GIANNI: E’ vero. Non faccio altro che pensare a lei... alla sua dolcezza...
MARA: Naturale! Non vorrei sembrarti quella che rompe, ma… a soldi come sta?
GIANNI: (Sconcertato) Mamma, che vai dicendo. A me piace la ragazza, il suo modo di pensare, di agire, di amarmi, di...
MARA: Di morire di fame. Oggi non è più come una volta che con un po’ di cipolla e pane si mangiava primo e secondo; con il lavoro, oltre a sfamarsi, qualcuno riusciva a mettere qualcosa da parte. Oggi, tra lo Stato che vuole la sua parte, tra i padroni di casa che con gli affitti succhiano il sangue, tra le malattie e le medicine che fanno prosciugare le tasche.... vediamo cosa resta di un anno di lavoro. Per te, adesso, è un’offesa guardare i possedimenti, la roba. Quando mi sposai, se avessi guardato queste cose (fa gesto con le mani per indicare i soldi), oggi non mi troverei in queste condizioni.
GIANNI: Mamma, ti prego, risparmiami.
MARA: E meno male che mio padre mi ha lasciato queste quattro mura, se no, eravamo sotto gli “archi della marina”. 
GIANNI: L’amore va oltre le cose terrene.
MARA: Giusto, ma nel terreno ci andiamo a finire prima del tempo se mangiamo amore.
GIANNI: Ma senza l’amore che vita sarebbe? L’amore è il cibo della vita.
MARA: Gianni, tu lo sai che ti voglio bene. Se ti dico ciò è perché non voglio che soffri; perché sono finiti i tempi dell’amore in borotalco, l’amore visto attraverso una dolce e profumata nuvola di polvere. Poi… se c'è l'amore e ci sono pure i soldi… tanto meglio.
GIANNI: Sarà!
MARA: In questa casa, non è un segreto, se non era per me e per la pensione di vecchiaia e d’accompagnamento dei tuoi nonni… non so se ti diplomavi. Tuo padre è un po’, per non dire tutto, lavativo; è vero che le occasioni di lavoro sono scarse, ma è anche vero che lui non fa niente per trovarle
GIANNI: Lo so. Lavoro non ce n’è! Pensa a noi giovani, senza un futuro, senza un buon mestiere, ma con un bel pezzo di carta.
MARA: Giovani?! Una volta si definiva giovane chi aveva l’età al di sotto dei vent'anni, ora sono giovani anche i quarantenni. Però sono diplomati, laureati e disoccupati.
GIANNI: Tutta colpa della sottomissione perpetrata nella nostra terra. Il popolo siciliano è sempre stato abituato a lavorare con la schiena china e non ha mai visto chi stava sopra di lui.
MARA: Perché chi ci stava?
GIANNI: Uomini senza scrupoli che con una manciata di grano, un grappolo d’uva e quattro spiccioli pagavano una vita di sacrifici.
MARA: Sì, però mangiavano.
GIANNI: Certo. Continuavano a mangiare terra, mentre sulla tavola dei padroni c’era il ben di Dio.
MARA: (Con ammirazione, soddisfatta degli studi che il figlio ha compiuto) Hai visto... gli studi.
GIANNI: Se lo Stato agevolasse i datori di lavoro e non pretendesse un’altro stipendio, attraverso le varie forme di contributi, sicuramente ci sarebbero più posti di lavoro.
MARA: Forse è vero.
GIANNI: Se si riuscisse a lenire l’altra piaga dei giorni nostri, il lavoro nero...
MARA: (Interrompendolo e sorpresa) E quale può essere: “il Carbonaio”.
GIANNI: (Gianni sorride) No, mamma, il lavoro fatto di nascosto, senza alcuna tassazione. Come quello che fai tu, per intenderci.
MARA: Come quello che faccio io? E che cosa la sarta?
GIANNI: Non il mestiere in se, ma il lavoro fatto di nascosto per non rilasciare le ricevute fiscali e quindi non pagare le tasse. Sai quanti impiegati fanno il doppio lavoro, così, in nero?
MARA: Che ne posso sapere.
GIANNI: Migliaia in tutta Italia. Se tutti costoro non esercitassero una seconda attività lavorativa o per lo meno pagassero regolarmente le tasse sulle loro prestazioni, ci sarebbe lavoro in abbondanza. Ma soprattutto meno tasse.
MARA: Questo è vero. La metà degli impiegati che conosco io esercita un’altra attività a tempo perso: falegname, idraulico, pittore-imbianchino, elettricista…
GIANNI: Esattamente. E per noi giovani non ci sono sbocchi. 
MARA: Ma non tutti i giovani voglio fare lavori manuali. I giovani diplomati hanno le mani delicate, per bene, senza calli. Non farebbero mai lavori del genere…
GIANNI: Chi l’ha detto? Se offrissimo loro la possibilità di lavorare subito dopo la scuola dell’obbligo, con uno stipendio adeguato, messi in regola… guarda che i giovani lo farebbero ben volentieri.
MARA: Sarà, ma ci credo poco!
GIANNI: Vedi il nord. Dopo la terza media vanno tutti a lavorare, perché le industrie offrono discrete paghe! 
MARA: So pure che li mettono in regola.
GIANNI: Certo! Non come da noi che ti dicono: “Vuoi lavorare? Se ti va bene, ti do due lire ma senza messo in regola, perché mi costi il doppio; se t’interessa, bene, se non t’interessa, “ciao”. Ecco! Invece al nord un capo operaio guadagna più di un professore che ha la qualifica di dirigente!
MARA: Allora tu che dici, non dovevamo mandarti a scuola?
GIANNI: Sì, per carità. Però, adesso, alla mia età, a trentasei anni, chi ti vuole come aiutante? E quanto ti dovrebbe pagare? Ci vorrebbero più controlli seri. Fatti da gente senza scrupoli, fermi nel loro dovere, non da persone che intascano mazzette per chiudere un occhio.
MARA: Se fosse solo un occhio! Però è anche vero che con uno stipendio oggi non si può campare.
GIANNI: È un circolo vizioso. Le tasse sono legate alle entrate: meno entrate, più tasse e di conseguenza la vita più cara.
MARA: Forse, ma io non ci capisco niente. So solamente che se non era per queste quattro cose che rammento…
GIANNI: Sì, mamma, lo so. Hai tutta la mia riconoscenza. Vedrai che avrò fortuna e vi aiuterò io. Ti farò fare tutti i viaggi che hai sempre desiderato e a papà comprerò una bella macchina rossa, come piace a lui.
MARA: Te lo auguro figlio mio. Va bene! Non ne parliamo più. Queste sono discussioni troppo grandi per noi.
GIANNI: Sarà, ma possono cambiare la società in cui viviamo e soprattutto questo bellissimo nostro sud.
MARA: Lascia perdere quello che ti ho detto e non sciupare il momento così bello che stai vivendo. Anzi, tienitelo caro e speriamo che duri per sempre. Però stai attento e sappilo assaporare ogni minuto, ogni istante; perché la vita, figlio mio, è una volata. (pausa) Non mi hai detto come si chiama questa ragazza.
GIANNI: (Tutto radiante) Si chiama Camilla, ma tutti la chiamano Milly.
MARA: Io la conosco una certa signora Milly, ma quella è sposata. E’ un tipino…
GIANNI: No, non è sposata! Chi è?
MARA: Una mia cliente.
GIANNI: Non la conosci né tu né gli altri, non è mai venuta qui. Nessuno in famiglia la conosce.
MARA: Meno male che non è lei e che tu non sei un pollo!
GIANNI: Che centra il pollo.
MARA: Niente. (Riflettendo) Milly, Camilla! Una volta ci chiamavamo Maria, Concetta, Pina, Rosa. Ora non si capisce più l’origine dei nomi, e addirittura ci sono nomi che nemmeno gli impiegati dell’anagrafe sanno scrivere.
GIANNI: Sì, questo è vero. Ma fa parte della cultura più aperta, delle conoscenze che ormai si sono ampliate. Se ci tieni a saperlo Milly non è delle nostre parti. La sua famiglia è del nord.
MARA: (Un po’ preoccupata) Biih! Una nordista figlio mio! Stai attento perché lo sai come si dice: “Donne e buoi dei paesi tuoi”.
GIANNI: Stai tranquilla. E’ una ragazza molto umile ed il suo modo di pensare non rispecchia affatto i tempi. Nel senso che certe pazzie, stranezze di oggi, non le condivide affatto.
MARA: (Rassegnata) Vedi che fai; però, ti prego, stai attento.
GIANNI: Comunque, se è per i soldi non ti preoccupare, perché suo padre è un imprenditore. Questo per rassicurarti. Io l’amo! (Esce di scena cantando dalla parte sinistra). Io l'amo, l'amo.
MARA: Questi figli: quando sono piccoli perché sono piccoli, quando sono grandi perché sono grandi. Pazienza, la vita è questa; ci penserà il destino. Però è bello vederli quando sono così innamorati: l’amore è sempre l’amore. E’ la cosa più bella della vita, anzi è la vita stessa. Da quando si è creato il mondo non è cambiato nemmeno un po’. Ai giorni d’oggi, prima o poi, sono sicura che l’uomo, col suo grande ingegno meccanico, cambierà anche questo sentimento che ha smosso il mondo. Già si sentono certe notizie!

SCENA IIa.
- Mara e Pippo. -
- Entra in scena Pippo.
PIPPO: (Sbadiglia) Ahh ! Ho una stanchezza. Mi sento tutto rotto.
MARA: E’ stato quel masso che hai sollevato poco fa. Oppure quella catasta di legna che hai spaccato con l’accetta.
PIPPO: (Assecondandola) Hai ragione. Sempre spiritosa!
MARA: Che vuoi farci, la natura: a uno lo fa spiritoso e a un altro lo fa lavativo.
PIPPO: Lasciamo perdere non è il momento adatto per fare discussioni. (Cambiando discorso) Poco fa ho incontrato tuo figlio e mi è sembrato contento. Non è che ha vinto qualche giocata? Che ha fatto una vincita di quelle belle… al totocalcio, al totogol…
MARA: In casa nostra? Un evento del genere?
PIPPO: Allora cos’ha? Non l'ho mai visto così contento. Pensa… mi ha persino salutato.
MARA: La vincita… l’abbiamo fatta noi, caro mio.
PIPPO: Perché, hai giocato i numeri?
MARA: Sì. Ho giocato: sei, ventidue, trentuno e trentasei; vecchio, pazzo e farfallone.
PIPPO: Dovevi giocare solo trentuno: pazza. Sarebbe uscito in prima estrazione… Che vincita abbiamo fatto?
MARA: Si è fatto fidanzato.
PIPPO: (Trasale) Si è fiii...! E che è pazzo? Cieco! Non vede come si riduce un uomo quando si sposa? Gli devo fare un bel discorsetto.
MARA: Che devi fare?
PIPPO: Non ti preoccupare, ci penso io. No, no, non se ne discute. (Si altera un po') Come si vede che non gli ho insegnato niente. Questa è pazzia, follia. Niente, gli devo parlare.
MARA: Perché ti stai innervosendo?
PIPPO: Perché non voglio che mio figlio faccia la mia stessa fine.
MARA: Voglio restare calma. Non voglio agitarmi.
PIPPO: Non t’agitare, se no diventi aceto, e di quello brutto, non di quello buono. (Dopo un po') Ma almeno questa ragazza ne ha soldi?
MARA: Che pensi? Quando c’è l’amore non si guardano queste cose.
PIPPO: All’amore no, ma nelle tasche dell’innamorata sì.
MARA: Certo! In effetti, quando mi sposai con te, tu mi portasti un patrimonio, allora è giusto che tuo figlio debba guardare queste cose. La tua dote è stata tuo padre e tua madre!
PIPPO: Sempre lo stesso discorso? Una volta era una volta. Adesso i tempi sono cambiati. Prima d’amore si campava, oggi si muore… di fame.
MARA: Tu sei stato sempre un sentimentale
PIPPO: Questa è una cosa che sanno tutti: l’amore ci vuole e i soldi l’alimentano. L’aiutano a campare, a rimanere vivo.
MARA: Se ha soldi, non lo so. Gianni mi ha detto che suo padre è un imprenditore.
PIPPO: (Cambiando tono ed atteggiamento) Ah! Allora cambia tutto! Tutto a suo padre.
MARA: (Lo guarda sbigottito) Fino a due minuti addietro facevi il pazzo, ora... di colpo...
PIPPO: Hai ragione devo parlare con lui a quattrocchi!
MARA: Di nuovo?
PIPPO: Nooo! Gli devo chiedere se per caso “il compare” ha qualche posto dirigenziale da offrirmi.
MARA: Un dirigibile...
PIPPO: Ignorante. Dirigenziale, uno che comanda gli altri.
MARA: Ho capito. A scuola ci sono andata. Per te, al massimo, ci può essere qualche posto di lava cessi.
PIPPO: Hai un bel rispetto di tuo marito.
MARA: Non correre che ancora non c’è né compare né comare.
PIPPO: Per ora! Lascia che a mio figlio impartisco qualche lezioni e poi… vedrai…
MARA: Non fare traffici strani…
PIPPO: Quali traffici… al limite un matrimonio.
- Suonano alla porta .
MARA: (Andando verso la porta) Chi è?

SCENA IIIa.
- Detti più Saro, un amico di Pippo. -
SARO: Mara, sono io, Saro.
MARA: (Rivolgendosi a Pippo) Qua è! E’ arrivato. Scommetto che non vedendoti in piazza si è preoccupato.
PIPPO: Avanti apri, fallo entrare. Lasci le persone fuori?
MARA: Avanti s’accomodi. 
Entra Saro, un amico di Pippo, col quale condivide le avventure “d’amore” e le “esperienze di piazza”.
SARO: Ciao Mara, come stai?
MARA: Bene. Grazie a Dio, battiamo la vita e tu?
SARO: Non c’è male, grazie.
MARA: E i bambini che dicono?
SARO: Quali bambini? Lo sai che non sono sposato!
MARA: Non mi riferivo a quelli legali. Io dicevo di quelli… in giro.
SARO: Hai sempre voglia di scherzare. Se trovassi una donna come te, me la sposerei subito.
MARA: Così invece di fare la cameriera a Pippo, la farei a Saro!
SARO: Che centra!
MARA: E tu non sei amico di quel galantuomo (Indicando Pippo).
SARO: Ciao, Pippo.
PIPPO: Saro, visto che io l’ho già provata, non te la consiglio. Poi se proprio insisti, te la puoi portare. Almeno liberiamo un po’ questa casa.
MARA: Non so se ti conviene.
SARO: Io direi di lasciare le cose così come sono.
PIPPO: Vieni qua, Saro, siediti. Lasciala andare.
SARO: Tua moglie ha sempre il cuore nello zucchero.
PIPPO: Tu dici! A me pare sempre avvelenato.
SARO: Che vai dicendo!
PIPPO: Niente, niente. Se non fosse perché le voglio bene.
SARO: (Minimizzando) Pippo, le parole sono come il vento: passano e non riposano mai.
MARA: Che poeta!
PIPPO: Come mai sei passato?
SARO: Siccome oggi non ti ho visto in piazza, allora mi sono preoccupato. Perciò sono venuto a vedere come stai, che cosa ti è successo.
MARA: Che t’avevo detto?
PIPPO: Mara, mi fai una cortesia?
MARA: Te ne faccio due.
- Esce dalla scena per andare nella stanza accanto. Entra in scena Giovanni. I due s’incontrano.

SCENA IVa.
Pippo, Saro e Giovanni. In seguito Mara ed Angelina.
MARA: (Spingendo Giovanni) Sempre in mezzo ai piedi!
GIOVANNI: Ci vogliono, ci vogliono questi spintoni per sistemarmi una volta per tutte.
PIPPO: Finalmente!
SARO: (Scorgendo il vecchio) Oh! Zio Giovanni. (Va verso il vecchio a salutarlo) Come stiamo?
GIOVANNI: Saro, come stai? Da quanto tempo non vedo tuo padre. Mi farebbe tanto piacere rivederlo. Tu sei Saro della “Za Lora la Gnirriusa”, non è vero?
SARO: (Un po’ infastidito verso Pippo) Una volta ci conoscevano così…
PIPPO: E perché fai così. Era il fregio di famiglia, il cognome della stirpe.
SARO: Era l'indirizzo completo della famiglia. Se un forestiero veniva in questo paese per cercare qualcuno e chiedeva informazioni tramite il cognome, nessuno sapeva indicare dove abitava costui, perché non veniva identificato, riconosciuto. Ma se per caso il forestiero riferiva il nomignolo, subito gli facevano l’elenco della vita, della morte e dei miracoli compiuti. A vuoi, per esempio, vi conoscevano come…
PIPPO: Non sforzare il cervello, non ne vale la pena.
SARO: Ah… “Muri molli”, perché ogni muro che costruivate, dopo al massimo due anni, crollava.
PIPPO: Saro, lasciamo perdere che è meglio.
SARO: Però tuo papà è ancora in gamba. (Con un cenno indica la testa)
PIPPO: Mmm... davvero!
SARO: Si ricorda tutto!
PIPPO: Sì. Tutto quello che piace a lui.
SARO: (A Giovanni) Don Giovanni, che si dice?
GIOVANNI: Puuh .. è da molto tempo che l'ho venduta.
SARO: (Verso Pippo) Che sta dicendo?
PIPPO: Hai detto tu che è in gamba.
SARO: (A Giovanni) Che cosa?
GIOVANNI: Rosa?
PIPPO: Parlagli più forte. È mezzo sordo per non dire tutto.
SARO: (C.s.) Cosa avete detto?
GIOVANNI: La bici. Non mi hai chiesto per la bici?
SARO: No. Io vi ho chiesto che si dice, come state?
GIOVANNI: Ah, io ho capito per la bici. Bene! Qualche dolore che gira per il corpo, un po’ di diabete. Cose di vecchiaia. Tutto sommato non mi posso lamentare.
PIPPO: Tanto i lamenti li sentiamo noi.
SARO: Mi fa piacere. (Dimentica di parlare più forte) Qualche volta avvicino con mio padre.
GIOVANNI: Ladri? Ormai è diventato un mondo di ladri. I politici lo sono sempre stati, ma ora, non ne parliamo. Io vorrei sapere come posso campare, dopo quarant'anni di lavoro, con settecentomilalire al mese. Mi piacerebbe vedere come farebbero loro, che se ne mangiano sette… di milioni non di lire! (Si agita e mena per aria il bastone mentre Saro cerca di evitare i colpi) Se riuscissi a beccarne uno sotto questo bastone, lo sistemerei per le feste.
SARO: (Evitando i colpi e tenendo il vecchio) Basta, basta. Non faccia così. Pippo, Pippo...
GIOVANNI: Pugno di disgraziati, delinquenti. Dovrebbero metterli nel muro della fucilazione. Ma se ritornasse chi dico io?
PIPPO: (Intervenendo in aiuto e rivolgendosi a Saro) Saro, mi fai il favore di non dire più niente.
SARO: Io non potevo immaginare una reazione così esagerata?
GIOVANNI: (Ansimando) Li sistemerei in fila indiana e… tatatataaaaaaa.
- Mitraglia col bastone e dà un colpo a Pippo.
PIPPO: Ahi! (Perdendo la pazienza) Papà siediti. Basta!
SARO: Ti ha fatto male?
PIPPO: Un colpo di bastone è sempre un colpo di bastone.
SARO: Fa sempre così?
PIPPO: Solo quando si parla di politici e di soldi.
SARO: (A Giovanni) Lei deve stare calmo!
GIOVANNI: (Obbedendo agli ordini di Pippo) Se ero più giovane... te lo facevo vedere io? (Riescono a farlo sedere) A proposito Saro, te l’ho raccontato quando…
PIPPO: (Interrompendolo) Incomincia... Papà, Saro ha da fare, poi glielo racconti. Vieni, Saro, siediti. (Vanno a sedersi)
- Entrano Mara ed Angelina frettolose.
MARA: Che è successo?
ANGELINA: Abbiamo sentito delle voci.
PIPPO: Niente, mio padre. Al solito.
ANGELINA: La politica non è vero?
SARO: Oh, la bellezza della signora Angelina. Come sta?
ANGELINA: Ci sei pure tu?
SARO: Sono venuto a trovare questo bell’amico.
MARA: Pippo, vedi che io e mamma stiamo uscendo. Fra poco ritorniamo.
PIPPO: Dove andate?
MARA: Sei geloso?
PIPPO: Io geloso? (Scherzando) Sai che al massimo posso fare un omicidio.
MARA: Vado alla merceria, il tempo di comprare un paio di bottoni; la mamma va a fare un po’ di spesa. Stiamo tornando.
PIPPO: “Ritta, ritta e tutta santa ricca”. Mamma te la raccomando.
ANGELINA: Non c’è bisogno. Piuttosto non fare agitare tuo padre. Se si agita gli si alza la pressione e poi la notte non fa dormire nessuno.
PIPPO: Non ci pensare.
MARA: Ciao, Saro. E ti raccomando di non portare mio marito fuori dalla ritta via.
SARO: Ciao, Mara. Non ti preoccupare. Lo tengo io sotto controllo.
MARA: Meno male che non sei un dottore, perché se controllassi i pazienti come controlli mio marito, chissà quanti morirebbero. (Esce dalla comune insieme ad Angelina dopo che ha salutato Saro).
- I due uomini seggono.
SARO: Però si vede che ti vuole bene.
PIPPO: Lo so, lo so.
SARO: Sono passato per dirti dire che sei un bell’amico.
PIPPO: Perché?
SARO: Non mi hai raccontato com’è finita con quella bella donna.
PIPPO: Quale donna?
SARO: Quale donna! Quella che ha avuto l’incidente davanti a noi, quando eravamo in piazza, e alla quale tu prontamente hai prestato aiuto.
PIPPO: Saro ...
SARO: Che mi devi dire... Tu sei come i lupi: perdi il pelo ma non il vizio.
PIPPO: Vedi se ti sente qualcuno?
SARO: E chi mi deve sentire? Tuo padre?
PIPPO: (Si lascia trasportare) Certo che è una bella donna… provocante… sensuale…
SARO: (Pronto a ricevere le confidenze) Racconta, dai racconta.
PIPPO: Che ti devo raccontare.
SARO: Com’è finita dopo?
PIPPO: (Facendo il finto tondo) Com’è finita… Quel giorno, poi, l’ho accompagnata a casa. Era distrutta. Poverina! Mi sembrava brutto lasciarla sola. Mi fece entrare e ci siamo messi a parlare.
SARO: E di che cosa avete parlato? (Lo ascolta a bocca aperta).
PIPPO: In una situazione come quella, sotto shock, di che cosa si può parlare… di tante cose. Chi si ricorda più! Mi ricordo solamente che… quegli occhi mi hanno divorato. Era come se... era come se…
SARO: (Curioso e immerso nel racconto) Era come se... E continua.
PIPPO: Continuare?... Basta, finito.
SARO: Non ci credo nemmeno se mi porti davanti a un tribunale.
PIPPO: Ah, ma sei curioso…! Poi… ci siamo visti un altro giorno, e poi un altro ancora.
SARO: E lupo! Lo sapevo io!
PIPPO: Non c’è niente. Non ci è uscito un bel niente. Perciò non pensare ad altro. Solo una semplice amicizia.
SARO: (Incredulo) Ci credo! Sei una volpe e non mi vuoi fare partecipe… Sentitelo: “non ci è uscito un bel niente”! Gli amici non si trattano così.
PIPPO: Come ti ho trattato?
SARO: Almeno informati se la signora ha qualche amica, così...
PIPPO: Saro... Ma che ti sei messo in testa. Io sono sposato.
SARO: Tu sì, ma io no! Al limite la passi a me!
PIPPO: Ti ripeto che non c’è stato niente!
SARO: (Alzandosi) Senti, io devo andare. Ci vediamo al solito posto.
PIPPO: (Accompagnandolo) Stai attento, non ti fare scappare mezza parola.
SARO: Se non c’è stato niente, cosa mi deve scappare? Comunque non ti preoccupare: bocca cucita. Saluta tuo padre da parte mia, prima che mi arriva un altro colpo di “mitraglia”. Ciao.
PIPPO: Ciao. Ti raccomando: silenzio.
- Esce di scena Saro.

SCENA Va.
- Pippo, Giovanni e la Signora Milly. -
PIPPO: Papà, Saro ti ha salutato.
GIOVANNI: E’ cascato? Chi?
PIPPO: (Soprapensiero) Saro…
GIOVANNI: Come… è caduto?
PIPPO: (Più forte) Ti ha salutato!
- Suonano alla porta. Pippo va ad aprire.
GIOVANNI: Ahaaa, ciao Saro, salutami tuo padre.
PIPPO: Sì! Se n’è andato.
Aperta la porta, Pippo è sorpreso. Entra la signora Milly.
PIPPO: (Sorpreso) Tu qui?
MILLY: Tu qui?
PIPPO: (C.S. Sbianca. Impacciato e confuso) Io… proprio non t’aspettavo.
MILLY: Neanch’io. Non sapevo che frequentassi la mia stessa sarta.
PIPPO: Veramente non lo sapevo nemmeno io… Sono di passaggio. (Preoccupato) Come mai qui?
MILLY: Sono venuta per il vestito.
PIPPO: (Come sopra) Vestito? Quale vestito, io non ho alcun vestito.
MILLY: Nooo! Cosa hai capito. Ho portato alla signora Mara un vestito da sistemare e sono venuta a ritirarlo. A proposito non c’è?
PIPPO: (Tira un respiro di sollievo) Ahh! (Poi afferrandole la mano) E’ un segno del destino. C’incontriamo sempre. Milly, io...
- Inizia a sbaciucchiarla dalla mano. La signora non fa nulla per fermarlo.
MILLY: Ma che fai!
GIOVANNI: (Si accorge di Milly e compie un sobbalzo dalla sedia) Mih! La francesina. Pippo, Pippo.
PIPPO: No. (Al pubblico) Quasi quasi avevo dimenticato che c’era mio padre. (Verso Milly) 
Milly perdonami. Torno subito. (Si reca da Giovanni). Che c’è papà.
GIOVANNI: Pippo, stavolta le misure alla francesina le prendo io, cascasse il mondo!
PIPPO: Ma che figura mi fai fare? Piuttosto perché non vai a vedere il televisore dall’altra parte? Ci sarà sicuramente il telegiornale con delle notizie interessantissime.
GIOVANNI: Mi stai dicendo che vuoi il campo di battaglia libero, non è vero?
PIPPO: Ma che campo di battaglia e battaglia.
GIOVANNI: Allora perché non lasci a me questo campo di battaglia e le notizie le vai a sentire tu?
PIPPO: (Accigliandosi, ma avendo cura di non farsi sentire dalla signora) Papà.
GIOVANNI: E va bene! Ma solo perché sei mio figlio.
PIPPO: Andiamo, t'accompagno.
GIOVANNI: Non c’è bisogno. Non perdere tempo. Vai all’attacco!
- (Pippo si reca dalla signora. Giovanni mentre esce...) E fatti onore. (Con la coda dell’occhio segue la scena tra Pippo e Milly, fino a quando scompare).
MILLY: Cosa voleva dire?
PIPPO: Niente. Lo sai... è vecchio, un po' stonato. (Con la mano di dietro fa cenno al padre di andare via.)
MILLY: E sì! Lo ricordo bene, l’ho già conosciuto. È difficile convivere con una persona che non è più in sensi.
PIPPO: A chi lo dici. Ci sono momenti in cui...
MILLY: (riflettendo) Ma non eri di passaggio?
PIPPO: (Un po’ imbarazzato) Appunto! Quelle poche volte… Ma lasciamo stare. Perché sprecare questo tempo prezioso. (Si avvicina alla signora) Parliamo di noi.
MILLY: Di noi?
PIPPO: Io dalla prima volta che ti ho vista… “'ntronai”… non riesco più a scordarti. Quando chiudo gli occhi non faccio altro che pensare a te… ai tuoi occhi… alle tue labbra… al tuo dolce viso… ai momenti che abbiamo passato assieme.
MILLY: Ti prego, non fare così... io non...
PIPPO: (Si avvicina ancora di più) Io non resisto più. Quando sono vicino a te divento un fuoco vivo... brucio. (La bacia. La signora non fa molta resistenza)
MILLY: Possono vederci. Qui... in questa casa. Pinucchetto, ti prego... nooo! Controllati, Pinucchetto!
PIPPO: Com’è bello sentire pronunciare il mio nome dalle tue labbra. Sì, io per te sono: Pippo, Pino, Pinuccio, Pinocchio... Milly mia, bella Milly mia. 
(E continua nell’intento di baciarla).
MILLY: (Cerca di svincolarsi) Noo, per favore... Ho detto qui no! Possiamo vederci al solito posto. Sotto c’è mio marito che m’aspetta, potrebbe salire.
PIPPO: Che m’interessa! Ora come ora posso affrontare chiunque, anche Maciste (Continua a stringerla. Milly cede).
- Suonano.
MILLY: Stanno suonando.
PIPPO: Sono gli angeli del cielo.
MILLY: No, è il campanello.
PIPPO: Lascia che suonino anche le campane. 
- Suono di campanello.
MILLY: (Staccandosi da Pippo e sistemandosi) No, basta così!
PIPPO: E va bene. (Si ricompone. Altro suono.)
MILLY: Ma non va nessuno ad aprire? Certo che questa è una casa strana.
PIPPO: Avranno il cameriere in ferie.
MILLY: Figurarsi… il cameriere!
- Ancora campanello.
PIPPO: Visto che non apre nessuno, apro io. (Va ad aprire. Al pubblico). Proprio ora devono rompersi le corna.
- Entra Mara.
PIPPO: (Visibilmente imbarazzato) Oh, Mara... sei ritornata così presto?

SCENA VIa.
- Pippo, Milly, Mara ed in seguito il professore Zecca. -
MARA: Ci vuole tanto per aprire?
PIPPO: Ero dall’altra parte. Il tempo ci vuole.
MARA: Ho dimenticato le chiavi e ho dovuto suonare.
PIPPO: (A bassa voce) Meno male.
MARA: Cosa hai detto?
PIPPO: Chi io? Ma se non ho parlato.
MARA: (Vedendo Milly) Oh! Signora Milly, come va?
MILLY: Bene grazie.
MARA: Avete conosciuto mio marito.
MILLY: (Molto sorpresa) Suo marito?
MARA: Propriamente, mio marito.
MILLY: (Lanciandosi delle occhiate con Pippo) Sì... sì, ci siamo presentati poco fa.
PIPPO: (C.S.) Già. Ci siamo appena conosciuti.
MILLY: E’ stato molto gentile. Oserei dire… caldo!
MARA: Lui quando si tratta di donne è sempre gentile… (Lancia delle occhiate “omicide” al marito) ma proprio caldo! (Sottovoce al marito) Che vuole dire? Dopo ne parliamo!
MILLY: Come?
PIPPO: Non ci faccia caso! Mia moglie è donna scherzosa.
MARA: (A Pippo piano per non farsi sentire e fra i denti) Fino a quando non ti rompo le gambe. (Suonano alla porta. In modo brusco si rivolge al marito) Vai ad aprire, vedi chi è.
PIPPO: Modi gentili! (Va ad aprire)
MILLY: Sono passata per il vestito.
MARA: E’ pronto. Lo volete provare?
MILLY: No. Non c’è bisogno. Ho un po’ di fretta e poi voi siete così brava! Eventualmente ripasso.
MARA: Grazie.
MILLY: Quanto vi devo?
MARA: Lasciatemi cinquantamilalire, giusto per voi. (Va a prendere il vestito)
MILLY: Apre il portamonete e prende i soldi. 
- Nel frattempo entra il professore Zecca. Porta una fasciatura molto evidente a mo’ d’ingessatura ad un braccio. In mano reca sempre la busta con i pantaloni.
PIPPO: Accomodatevi professor Zecca. Avanti.
ZECCA: Grazie, Peppuccio! C’è Mara?
PIPPO: Là ce n’è un pezzo! Ora viene.
ZECCA: Che bene e bene! Non lo vedi come sono ridotto!
MARA: (Consegnando il vestito) Ecco a voi. Se ci fossero dei problemi non esitate a venire. 
MILLY: Non credo. Ecco i soldi. Grazie ancora e arrivederci.
MARA: Arrivederci signora Milly, grazie a lei.
- Le due donne si salutano e si stringono la mano. Milly si avvia verso l’uscita. Prontamente Pippo..
PIPPO: (Premuroso e sdolcinato l’accompagna e scompare qualche istante) Arrivederci signora e molto piacere di averla conosciuta. L’accompagno… (Figura del “cascamorto”). 
- Escono.
SCENA VIIa.
Zecca, Mara e dopo Pippo.
ZECCA: (Pensando di parlare con Pippo si rivolge al pubblico) Pippo, cosa hai detto? C'è Mara? Non ho capito bene.
MARA: Qua sono professore. Come sta?
ZECCA: (Si gira verso Mara) Come?
MARA: Dico come va?
ZECCA: Stavo dicendo a Pippo proprio questo: non va per niente bene!
MARA: Come mai?
ZECCA: Guai? Che mancano guai? A tempesta: guai sopra guai. Quando arriva la vecchiaia, figlia mia!...
- Rientra Pippo, tutto allegro con qualche capello fuori posto. La moglie l’osserva a lungo e in cagnesco.
PIPPO: (Per sviare la moglie si rivolge subito al professore) Allora, caro professore!
ZECCA: Sì, dal dottore. Certo ci sono stato. E quello che cosa mi poteva dire: slogatura della spalla e rottura del radio.
PIPPO: Rottura di che? Che centra la radio col braccio...
ZECCA: Non mi bastava la cataratta, la sordaggine, ci voleva l'avambraccio rotto!
MARA: Questa gli mancava, poverino!
ZECCA: Un momentino? E va bene, visto che insistete, mi siedo solo un momentino. Il tempo di riposarmi un po’, grazie. Però mi dovete guidare.
PIPPO: (A Mara sottovoce) Gli hai detto di sedersi?
MARA: Ormai! Prendigli lo sterzo e guidalo (Accompagnano il professore a sedere e seggono.)
PIPPO: Allora, professore, che è successo?
MARA: Qualche ragazzaccio gli ha dato una legnata.
PIPPO: Ma che dici! Non lo sai che il professore è in pensione. Chi gliela doveva dare una legnata.
ZECCA: Una “pignata”, bravo! Giusto! Te lo hanno già raccontato?
Pippo e Mara si guardano stupefatti.
PIPPO: Ai tempi d’oggi i ragazzi non si possono tenere più!
MARA: Hai ragione. Una volta, se parlavano, le legnate erano assicurate.
PIPPO: Anche lui usava le mani e non le aveva certo leggere. E’ vero professore?
ZECCA: Che cosa?
PIPPO: (Più forte) Una volta c’era più educazione.
Da questo momento in poi marito e moglie parlarno più forte, mentre il professore porta continuamente una mano all’orecchio per aumentare la capacità d’ascolto. I suoi movimenti sono goffi e suscitano l'ilarità, soprattutto quando, una volta ogni tanto, nel girarsi col braccio fasciato colpisce Pippo che tenta di schivare i colpi.
ZECCA: Puh! Non c’è paragone. La famiglia, cari amici miei, fa assai. E’ la base della società. Oggi insistono nel dire: la società si forma sul lavoro, sugli scambi, sulla comunicazione… e tante bestialità. La famiglia è la base della piramide al rovescio. Oggi con questa falsa libertà non si capisce più niente. Una volta, quando in una famiglia veniva a mancare l’educazione, ci pensava la scuola. Il padre e la madre baciavano le mani al maestro quando quest’ultimo bacchettava il loro figlio. A scuola si portava: prima una bella bacchettina e poi i libri. Se qualcuno sbagliava a parlare… zacchete! (Gesto con le mani che quasi va a colpire Pippo)
MARA: Stavolta, però, zacchete lo ha avuto lei.
PIPPO: Ed è partito un braccio. Oggi ti denunziano se tocchi un ragazzo con un solo dito.
MARA: È giusto. Una volta, certi insegnanti, se ne approfittavano.
ZECCA: No, no, non ne buttavano, non ne buttavano! Silenzio e pipa!
PIPPO: Che dice, professore?
ZECCA: Pippuzzo, lasciamo stare me che ormai sono vecchio, ma tu ancora ragazzo e già non senti più. Ti ho detto che gli scolari, quando le prendevano, stavano muti, in silenzio, non dicevano nemmeno una parola; insomma, non gridavano perché sapevano che arrivavano le altre bacchettate.
MARA: Ma allora il braccio?
ZECCA: Se vi racconto non ci credete! Camminavo per la mia strada. Un gruppo di figli di buona donna… che non si dovrebbe dire…
PIPPO: Una pallonata! Le hanno tirato una bella pallonata.
ZECCA: Ma che vai dicendo, Pippuzzo… quale staccionata e staccionata.
MARA: (Sottovoce a Pippo) Siamo sistemati. Può far compagnia a tuo padre.
ZECCA: Quei ragazzacci mi insultarono: “Professore Zecca, l’azzecca la zecca che si è azzeccata nell’azzuccamento dello zucco? (Cantando) Zicca, zicca, zicca insisti che azzecca, zicca, zicca ccacca!” (Al canto si unisce Pippo che già conosce le parole e continua)
PIPPO: …e zicca, zicca, zicca insisti che azzecca, zicca, zicca ccacca!
ZECCA: (Arrabbiato) E com’è, pure tu mi prendi in giro?
MARA: I ragazzi scherzano!
ZECCA: (Adirato) Maledetto quell’impiegato dell’anagrafe quando pigliò la penna in mano. E con lui il maestro che glielo insegnò!
PIPPO: Professore, ma che centra ora l’impiegato comunale!
ZECCA: Centra e come se centra! Il cognome in origine non era Zecca, ma bensì Recca. Questo gran disgraziato, quando ha trascritto l’atto di nascita,… imbecille… l’ha interpretato come Zecca e scrisse Zecca. Non vi dico e non vi racconto, quando ho dovuto dimostrare che mio padre era mio padre e io ero il figlio di mio padre.
MARA: E perché?
ZECCA: Perché mio padre risultava di cognome Recca, mentre io risultavo e tutt’ora risulto Zecca.
MARA: Ecco perché si chiama Zecca. Io veramente pensavo che era un soprannome, un nomignolo.
PIPPO: Certo che i cognomi sono strani!
ZECCA: Strani? Sono vere e proprie barzellette! Per esempio… 
MARA: (Al pubblico) Inizia… e chi se lo toglie più davanti!
ZECCA: Tutti quelli che portano un cognome di genere animali, anche se questo non è sempre vero, hanno radici antiche.
PIPPO: Nobili!
ZECCA: Quali nobili! Si chiamano così perché i signorotti di un tempo si solevano passare tanti capricci. Fra questi quello di assaporare carni fresche, cioè giovani donzelle… ragazzette vah!…
MARA: Oh Signore! Erano cannibali?
PIPPO: Che dici? Il professore vuole dire che pretendevano dalle ragazze di andare in macelleria per prendergli la carne tenera e fresca. Vero professore?
ZECCA: Volevo dire che gli dovevano riscaldare il letto.
MARA: Perché, non ne avevano mattoni caldi oppure ferri.
ZECCA: Mara… Insomma, dovevano stare una notte con lui e farlo divertire!
PIPPO: (Precisando) Fare all’amore! E cerchi di parlare tutto in una volta, professore!
ZECCA: Comunque sia… queste donzelle lo dovevano soddisfare. Se il signorotto restava compiaciuto, cioè … detto così… gli era piaciuto, allora, la famiglia riceveva in cambio un po’ di denaro, qualche capo di bestiame o addirittura un misero terreno. Se non restava soddisfatto o la fanciulla si rifiutava, veniva cambiato il cognome a tutti i componenti della famiglia: “Tu da oggi ti chiamerai: pollo, gallo, porco, topo, gallina, gatto, pecora, ecc… ecc.. 
MARA: Faceva una fattoria!
PIPPO: (Con curiosità) Allora... io che mi chiamo Torri?
ZECCA: (Messo in difficoltà) Non è che posso sapere tutti i significati dei cognomi!
MARA: Certo, Pippo, il professore non può sapere tutto, anche perché oramai è un maestro in pensione. Ha perso l’esercizio. (Incuriosita) Ma perché si può chiamare così?
ZECCA: Che ne so… (Pausa) Molto probabilmente, ma è solo una possibile ipotesi… perché…
MARA e PIPPO: Perché?
ZECCA: Perché la sua famiglia abitava presso una località dove erano presenti… delle torri. Oppure…
MARA: Oppure…
ZECCA: Ripeto è sempre una supposizione… perché… Come posso dire… ecco… perché da un insulto o da un soprannome, si passava all’identificazione di quell’individuo e non essendoci registri anagrafici, si tramandava oralmente e finiva col diventare il cognome.
PIPPO: Un soprannome?
ZECCA: Sì, nel tuo caso, sicuramente, perché anticamente l’ava…
PIPPO: Lava, cosa lava?
ZECCA: L’antenata… a scuola non eri un grande! Me lo ricordo ancora. Dunque, dicevo… forse perché l’antenata metteva le corna al marito… e ne aveva fatte così tante e lunghe, che assomigliavano a due torri.
PIPPO: Ora capisco perché gli hanno rotto il braccio.
MARA: A proposito! Il braccio, professore?
ZECCA: Giusto. Dove eravamo? Ah, sì. Dicevo… 'sti ragazzacci…
PIPPO: L’avete inseguiti e siete caduto.
ZECCA: Ma come, alla mia età, cieco e sordo inseguire dei ragazzi.
MARA: Allora?
ZECCA: Se non mi fate finire che m’interrompete. Si trovavano sotto un pino. Ci sono andato e quando sono giunto là, mi sono sentito un colpo nella spalla.
PIPPO: Un colpo?
MARA: (insofferente) Fallo finire!
ZECCA: Giusto dice Mara! Una pigna o meglio una pignata nella spalla che mi ha fatto girare di scatto. Sotto il piede ce n’era un’altra. Il piede si è girato tondo in tondo, distribuendo a tutto il corpo il girotondo e sono caduto con tutto il mio peso su questa parte fragile. Porco mondo, me la sono rotta!
PIPPO: Due ore, raccontando la storia di Orlando, per dire che è caduto.
MARA: Col girotondo!
ZECCA: Così mi sono ridotto solo, cieco, sordo e monco.
PIPPO: C’è sempre peggio!
MARA: Lei non si è voluto maritare! 
ZECCA: Maritare? Io non ho voluto? Non ho trovato un partito che facesse al caso mio.
PIPPO: Signori miei, non ha trovato un partito... Ce ne sono tanti partiti e partitelli.
ZECCA: Se trovassi una donna come te, Maruzza bella, sarei pronto a sposarmela magari domani mattina.
PIPPO: (Guardando la moglie) Possibile che tutti si vogliono sposare con te! Professore è già impegnata. Quasi quasi sono geloso con tutti questi pretendenti!
MARA: Che vuoi, sono la donna ideale: per fare la cameriera e la cuoca.
PIPPO: Due sono le cose: o non ti conoscono bene, hai delle dote nascoste, oppure…
MARA: Oppure sono così bella dentro e fuori che tu non mi meriti.
ZECCA: Io dicevo tanto per dire. Nel senso che donne come Mara al giorno d’oggi non ce ne sono più!
MARA: Menomale! Intende dire che fesse come me non ce ne sono più!
ZECCA: L’ho detto io! Ma ditemi una cosa… quella bella signora che era qua, quando sono entrato io, com’è combinata?
PIPPO: (Al pubblico) E meno male che non vede bene! 
MARA: (Al professore) Professore lasci perdere… Quella cerca galletti, no tacchini.
PIPPO: Che centrano i galletti e i tacchini?
ZECCA: Sai che cos’è… alla mia età… soli….
MARA: Ci doveva pensare prima!
ZECCA: Prima c’era la mammà: questa non le piaceva, quella era troppo “cavalla”, quell’altra aveva la lingua lunga… Se c’era lei… (Tira un respiro di sollievo) A proposito sono venuto per i pantaloni.
MARA: Quali pantaloni?
ZECCA: Questi. (Prende la busta e la porge a Mara) Li puoi accorciare per favore. Guarda c’è già la linea.
MARA: Certo. (Piano) Chissà chi ha preso la misura!
ZECCA: Prima ci pensava la mammà. (Con rimorso) La mia vita è stata sempre per i libri e là non c’è scritto come si accorciano i pantaloni o per lo meno, si può trovare scritto ma non li accorciano praticamente.
PIPPO: Che vuole fare. Mia moglie per questo non legge.
MARA: Non startene a preoccupare!
ZECCA: Avanti signori. Io vi lascio ai vostri affari e levo il disturbo. Me ne vado a casa a riflettere.
PIPPO: (Al pubblico e alla moglie) Non ci posso credere! (Poi al prof.) Ma che disturbo, a mia moglie fa sempre piacere sentirla parlare. Se vuole, può ancora restare.
ZECCA: Bravo, meditare! Nella vita bisogna sempre meditare!
PIPPO: Come no! Io lo faccio sempre.
ZECCA: Avanti, io vado via. Piuttosto non lasciate le porte aperte. (Si alza e con lui anche gli altri) Signori arrivederci a tutti! ( Si avvia verso la direzione del pubblico)
PIPPO: Professore, meglio l’accompagno io. (Prendendolo per il braccio) Venga, le faccio strada! 
ZECCA: Grazie Pippo. Di nuovo, ciao Mara.
MARA: Arrivederci, professore.
- Pippo prende per un braccio il professore e lo accompagna fino all’uscita. Via dalla comune. Mara, rimasta sola sulla scena, osserva i pantaloni e confronta “le gambe”.
MARA: me lo aspettavo: una più lunga e una più corta. Quale sarà quella giusta? 
- Nel frattempo rientra Pippo.
PIPPO: (Entrando) Certo che è un bel tipo. (Ridendo) Gli mancava solo il braccio rotto!
MARA: Ma perché lo chiamano professore se è un maestro?
PIPPO: In segno di rispetto.
MARA: Rispetto?! Tutti lo conoscono come “il professore Azzicca la zecca”.
PIPPO: Ma vedi dove sono andati a finire i suoi occhi orbi: nella signora… Tu poi mi devi spiegare che cosa centrano i galletti.
MARA: (Ricordandosi della situazione precedente) A proposito di signora…
PIPPO: Che è successo?
MARA: (Mentre si allontana per andare a prendere la scopa) Sei stato proprio gentile... quanto sei stato gentile… (prende la scopa) e come mai tutte queste sdolcinature? E che cosa voleva dire… caldo?
PIPPO: Dai, Mara! Volevo essere gentile con una cliente.
MARA: (Dimenando la scopa in aria) Ma se non sei d’accordo che faccio questo mestiere, come mai ora tutta la gentilezza con i clienti?
PIPPO: Un po' di gentilezza aiuta gli affari.
MARA: Aspetta che la misuriamo.
PIPPO: (Capisce che la situazione è critica) Non c’è bisogno che la misuri… Conosco la tua misura! 
- Mara si avvicina con la scopa in mano, mentre Pippo cerca di scappare e di schivare i colpi.
PIPPO: Mara, ma possibile che non ragioni. Io ti voglio bene!
MARA: (Sempre dimenando la scopa) Anch’io! E non sai quanto!
- Pippo scappa verso la porta interna. Nel frattempo entra Giovanni e si becca un colpo di scopa. Stramazza a terra. Mara e Pippo si fermano ad aiutarlo.
GIOVANNI: Ahi... ahiaiaiai! Mi avete ammazzato! (Al pubblico) Potevate avvisarmi che da questa parte c’era brutto tempo.

Si chiude il sipario.

ATTO TERZO

Stessa scena. Alcuni giorni dopo.
SCENA Ia.
- Angelina, un bambino e poi Gianni. -
- Scena vuota. Suona il campanello. Entra dalla parte destra Angelina e va ad aprire.
ANGELINA: Avanti. Accomodati (Introduce un bambino che deve consegnare una busta a Gianni.
BAMBINO: Buongiorno. Lei chi è?
ANGELINA: Questa è bella! Chi sono io? Per giusta legge prima dovresti dirmi chi sei tu!
BAMBINO: Cosa può importare a lei chi sono io! Me lo chiama il padrone.
ANGELINA: (Alzando gli occhi al cielo) Incominciamo bene la mattinata! (Al bambino) Quale padrone, qui non ci sono padroni. 
BAMBINO: Avanti… non mi faccia perdere tempo. Ho un sacco di cose da fare!
ANGELINA: Si può sapere che cosa vuoi?
BAMBINO: (Al pubblico) Questa di mattina è già ubriaca! (Ad Angelina) Le ho detto, proprio in questo momento, che voglio parlare col suo padrone. Io con le cameriere non ci parlo, non mi fido!
ANGELINA: Senti... (Indicando l’uscita) Vattene con le tue gambe da dove sei venuto perché mi si stanno sciogliendo le mani. Io non sono la cameriera di nessuno e ti ho detto che qua non ci sono padroni. Io sono la madre del signor Torri!
BAMBINO: Oh, finalmente! Me lo chiama… (Tira fuori dalla tasca una busta e legge il nominativo scritto sopra) …signor Gianni Torri.
ANGELINA: Ah, mio nipote?
BAMBINO: Signora, a me non interessa la parentela! Lo chiama?
ANGELINA: Aspetta un momento! (Va via dalla sinistra mormorando) Che mi tocca fare!
BAMBINO: Finalmente! Che ci vuole per capire due parole! E meno male che le ho detto che ho cose importanti da sbrigare! (Si aggira nella stanza in attesa di Gianni. Dopo qualche istante arriva Gianni, un po' insonnolito)
GIANNI: Sei tu che mi cerchi?
BAMBINO: Se lei è Gianni Torri, sì!
GIANNI: Sono io, cosa c’è?
BAMBINO: Una signorina ieri sera mi ha detto di consegnare questa busta personalmente a lui.
GIANNI: Sono io in persona. La puoi consegnare.
BAMBINO: Chi dice che è lei in persona.
GIANNI: Perché vedi altre persone qui, in questa stanza?
BAMBINO: Senta, poco fa c’era una vecchia… e già fate due... Non mi faccia perdere tempo perché ne ho perduto abbastanza.
GIANNI: Quella… vecchia… era mia nonna.
BAMBINO: M’importa! La signorina mi disse che questa busta è molto importante e che, per le cose che contiene, vale cinque-mila-lire (Scandisce bene). Perciò la devo consegnare al signor Gianni Torri in persona.
GIANNI: Ah! Capisco! E’ molto personale per le cinque-mila-lire.
BAMBINO: Non mi sono spiegato bene!
GIANNI: No! Ti sei spiegato perfettamente. Allora, io sono Gianni Torri e per essere io in persona, ti devo dare cinquemilalire.
BAMBINO: Senta, lei ha detto che è....
GIANNI: Gianni Torri.
BAMBINO: Esatto. Me le vuole dare queste cinquemilalire?
GIANNI: Due ore per dire la stessa cosa. (Mette la mano in tasca e tira fuori il portafoglio). Mi dispiace ma non ho cinquemilalire! Ho solamente millelire o diecimilalire.
BAMBINO: E allora vuol dire che non è lei la Torre che cercavo io... (e fa il gesto di andarsene)
GIANNI: (Lo afferra per un braccio) Aspetta… (Prende le diecimila lire) Ecco qua. Spero che il signore sia soddisfatto.
BAMBINO: Lei sì che è un galantuomo. Di questi tempi, con la crisi che c’è, dobbiamo guadagnare qualcosa.
GIANNI: Cerca di andartene prima che ci ripenso.
BAMBINO: (Dandosi una piccola botta con la mano in testa) Noooo! Mi è venuto in mente che devo andare in un altro posto. Arrivederci e grazie.
- Esce dalla scena. Gianni resta da solo e inizia la lettura della misteriosa lettera.
GIANNI: Iniziamo bene la giornata. (Guarda ed annusa la lettera. Sorride) La mia dolce Milly. Usa sempre lo stesso profumo che le ho regalato. (Siede e legge) 
“Amore mio, dolce vita mia,
mi dispiace di usare questo antico mezzo di comunicazione, ma non ho avuto il tempo, né la forza, né il coraggio di chiamarti al telefono o di aspettare che ci vedessimo per dirtelo di persona. Ho deciso di partire per non incontrarti più e per non incorrere in vergogna. Sì, qualcosa non ha funzionato. Aspetto un bambino. (Pausa) Perdonami! Ti amo tanto. Tua per sempre Milly”.
- Pausa e silenzio. Scena di smarrimento da parte di Gianni.
Milly... Milly... come hai potuto… Amore mio! 
- Si avvia verso la comune come per uscire, ma si ferma. Smarrito, gli scivola il foglio per terra ma trattiene la busta. Esce da sinistra e dopo un po' rientra con una giacca. Premuroso si avvia fuori.
Millyyyy....
- Appena esce Gianni, entra Pippo lamentandosi.

SCENA IIa.
- Pippo. Poi Mara -
PIPPO: Che brutta nottata. Mio padre non mi ha fatto dormire nemmeno un po’. Tutta la notte a lamentarsi: “Ahi, ahiai, ahi”. Speriamo che la giornata sia bella, limpida e serena.
- Va verso la finestra, l’apre ed osserva il cielo. Nel girarsi si accorge della lettera per terra accanto alla comune.
PIPPO: Sempre cose in mezzo ai piedi. (Guardando il foglio) Qualche bolletta da pagare. Sicuro. Ma come mai per terra? (Dopo averlo raccolto, lo annusa. Poi con stupore) Una bolletta profumata! Oggi ne arrivano di tutti i tipi e di tutte le qualità. Le studiano tutte per far pagare la gente… e quanti modelli... Se c'è il profumo, sicuramente, sarà più cara.
- Apre il foglietto, si siede ed inizia a leggerlo a voce alta.
“Amore mio, dolce vita mia”... Le cose di mio figlio... Ah, quando siamo giovani!
(Continua la lettura) ....” mi dispiace di usare questo… (ecc.. ) …Aspetto un figlio”. (Si alza di scatto tutto entusiasta) E bravo il figlio mio. Ora si che ci siamo. (Da vita ad un saltarello) Lalla la, lalla la, lallaralla! Sono compare di un imprenditore. Macchine di lusso, belle, sportive rosso fuoco. Soldi, vita agevole... (Orgoglioso) Mio figlio! (Continua la lettura del messaggio) “Perdonami! Ti amo tanto”… Eh, l’amore! …”Tua per sempre Milly”. (Silenzio) Come? Milly! (Inizia ad ansimare, incredulo). Milly? (Si siede. Si sente male, accusa qualche malore. Si alza dalla sedia e si mette seduto in poltrona) Ho la testa che mi fa din don. (Ancora incredulo, come se fosse tutto un sogno, riguarda la lettera) …Milly? C’è scritto proprio Milly. E come faccio ora? E come è arrivato questa lettera qua. E se l’ha letto Mara? Ma poi… come è successo? Io le ho dato solo un bacio! Le altre volte è successo qualcosa... ma di qualcosa a un figlio! Mi sento male. Sento che muoio. Il cuore mi lascia.
- Entra Mara che ha sentito solo l’ultima battuta. Lo guarda.
MARA: Poi tu, sei esagerato. Fai tutto questo spettacolo per un po’ di sonno che hai perso.
PIPPO: (Al pubblico) Magari fosse uno spettacolo e sonno perso. Lo sai che ti dico, ora vado a coricarmi un’altra volta, può darsi che sto sognando.
- Mara si avvicina e gli da un pizzicotto.
PIPPO: Ahi! Sei matta?
MARA: Mi hanno detto che si fa così quando si vuol capire se una persona sta dormendo oppure è sveglia.
PIPPO: E tu lascialo fare agli altri.
MARA: (Guardandolo preoccupata) Pippo, ma sei pallido, bianco. Forse non ti senti bene?
PIPPO: (Confuso) Mi sento incinto. (Accorgendosi della gaff) Volevo dire che sto male, ma male assai.
MARA: Si vede che ti senti male. Sei bianco bianco in faccia. Sembri una “paletta” di fichidindia.
PIPPO: Solo in faccia? Se mi tagliassero le vene non uscirebbe nemmeno una goccia di sangue.
MARA: E tutto per un po’ di sonno perso.
PIPPO: Io il sonno ce l’ho particolare.
MARA: Se continua così, che tu debba sentirti male e lui lamentarsi tutta la notte, dobbiamo cercare una soluzione.
PIPPO: (Soprapensiero) Sì, e che facciamo? La portiamo nella ginecologa? La facciamo abortire?
MARA: Oh Signore mio! E diventato pazzo! Pippo, ma che stai dicendo?
PIPPO: (tra le nuvole) Perché che cosa ho detto!
MARA: (Assecondandolo) Niente, niente non ti preoccupare. Se lo portiamo all’ospizio, non lo trattano come lo trattiamo noi. Mi fa pena, poveraccio… Tua madre che fa? E poi… come facciamo senza la sua pensione?
PIPPO: Ma di chi stai parlando?
MARA: Va bene! Poi te lo dico. Mi fai preoccupare. È la prima volta che ti vedo in questo stato.

SCENA IIIa.
- Detti e Giovanni. Poi Angelina. - 
GIOVANNI: (Entrando sorridente e con vitalità) Buongiorno a tutti.
MARA: Eccolo qua. Il nominato esce sempre sul piano.
GIOVANNI: Piano, piano. Non ti preoccupare che vado piano. Questa notte mi sono scialato a dormire.
MARA: A chi lo dite? Basta guardare vostro figlio per capirlo.
GIOVANNI: Pippo, ma sei pallido pallido.
PIPPO: (Sempre sopra pensiero) Ma con un bacio… se non si trasmette nemmeno l’AIDS… non può succedere.
GIOVANNI: Può succedere, può succedere. Non ti seccare, lasciami la poltrona libera, quanto mi siedo. (Pippo si alza un po' tremolante. Mara lo accompagna a sedersi). Pippo mi vuoi fare concorrenza? Ti ho mai raccontato quando una volta ho incontrato...
MARA: (Interrompendolo) Non cominciate con le solite avventure. Lui che ha la testa stordita, voi incrementate la dose!
GIOVANNI: Ma io volevo solo...
PIPPO: (Come sopra) Magari fossi stato solo quel giorno!
Nel frattempo entra Angelina.
GIOVANNI: Angelina, Pippo mi pare un po’ strano. E’ pallido!
ANGELINA: (Anche lei osserva Pippo) Vero! Pippo ma sei pallido! Non ti senti bene?
MARA: (Ad Angelina) Siccome stanotte non ha dormito e non solo lui, per colpa di qualcuno... si è svegliato così, strano.
GIOVANNI: Io mi sono scialato a dormire. Ho fatto un sogno così vero, ma così vero, che non mi sono svegliato per niente. Lo sapete, di solito alle quattro sono con i piedi per terra, ma stanotte... niente troppo bello, bello bello veramente…
ANGELINA: Me ne sono accorta che hai dormito, ma io non ho chiuso un occhio! Che cavolo combina la notte non lo so!
GIOVANNI: Sogno!
MARA: Ma come? Non vi siete lamentato tutta la notte?
GIOVANNI: Chi io? Ma se ti dico che ho fatto un sogno miracoloso. Pensa che ho sognato la francesina. Era sempre così bella...
ANGELINA: Ma vattene vecchio stonato. Dove ti arriva la fantasia!
MARA: Ma allora i lamenti, che erano?
GIOVANNI: E che ne so io! Vi ripeto che io non ho sentito niente.
MARA: Non sente da sveglio figuriamoci quando dorme! Mah! Pippo, ti faccio un po’ di caffè?
PIPPO: Non voglio niente. (A bassa voce verso il pubblico) Un po’ di veleno. Ci vorrebbe un po’ di veleno, altro che caffè. E se mia moglie lo scoprisse? Non basterebbero tutte le scope del supermercato.
GIOVANNI: Maruccia, fallo un po’ a me, così mi tiro su.
ANGELINA: Lo faccio io. (Angelina uscendo si ferma per un attimo da Giovanni, lo guarda) La francesina… Te la darei io la francesina! Vecchio stonato!
GIOVANNI: Pazza!
ANGELINA: Stonato!
GIOVANNI: Pazza!
ANGELINA: Rimbambito! - Esce
GIOVANNI: Pazza, pazza, pazza….
MARA: L’ammazzerei?
PIPPO: (Preoccupato. Si cambia in viso) A chi?! Allora lo sai?
MARA: (Sorpresa) So che cosa?
PIPPO: Niente!
MARA: Booh! Te l’ho detto: sei troppo strano.
PIPPO: A chi ammazzeresti?
MARA: A tuo padre. Lui è il primo, tu sei il secondo della lista!
PIPPO: (Tira un sospiro di sollievo) Ahh!
MARA: Perché devo negare l’evidenza! Io non lo capisco: le cose che gli convengono le sente a volo, quelle che non gli piacciono bisogna ripetergliele due, tre volte.
- Entra Gianni. Anche lui triste e sbiancato.

SCENA IVa.
- Giovanni, Gianni, Pippo e poi Mara. -
GIOVANNI: Eh, nipotino mio. Vieni qua che ti racconto il sogno che ho fatto stanotte.
- Gianni non ha alcuna voglia d’ascoltare il nonno.
MARA: Gianni, sei tornato? Stamattina sei uscito come un razzo, senza dire niente… ma che è successo?
GIANNI: Ho avuto da fare.
MARA: Hai una cera… peggio di quella di tuo padre.
PIPPO: Meglio di quella mia sicuro.
GIANNI: Vi prego. Non ho voglia di discutere. (Siede)
MARA: Non dirmi che nemmeno tu hai riposato bene?
PIPPO: Basta guardarlo in faccia.
MARA: Tu non parlare che sei più morto di lui. 
- Dopo un po’ di tempo.
GIOVANNI: Miiih! C’è un’atmosfera! Scommetto che quando muoio io, una uguale non sapete realizzarla.
GIANNI: (Scoppia in lacrime) Basta, basta.
PIPPO: (Piange anche lui) E perché piangi?
MARA: Che è successo?
GIOVANNI: Oooh! Ancora vivo sono.
MARA: Per un po’ di sonno perso state mettendo su delle scene!
GIANNI: Non si tratta di sonno.
PIPPO: Magari si trattasse di sonno.
MARA: Ma allora che c’è? Me lo volete dire che cosa è successo?
GIOVANNI: (Mettendosi sempre in atteggiamento di ascolto con una mano all’orecchio) Persi. È da una vita che lo dico: siete tutti una massa di gente persa.
GIANNI: La ragazza...
GIOVANNI: Pazza! Bravo bravo. Gente pazza, una casa di pazzi!
MARA: Gianni, parla che c’è?
GIANNI: La ragazza mi ...
PIPPO: La femmina... quella femmina!
MARA: Pippo, ti stai immedesimando anche tu? E quando mai.
PIPPO: Io soffro con chi soffre.
MARA: (Agitandosi) Ma insomma, si può sapere che cosa è successo?
GIANNI: Se n'è andata. Mi ha lasciato!
PIPPO: Anche la tua. (Piange grottescamente) Sventurati!
MARA: Io non ci capisco più niente. Gianni vuoi dire che la ragazza ti ha lasciato?
GIANNI: Sì. È così. Mi ha lasciato.
MARA: Che spavento! Ancora ascoltavo. E non fare così. Ce ne sono tante femmine.
PIPPO: Ha ragione di fare così. Dove lo trovo un compare imprenditore?
MARA: Non fari lo scimunito. Invece di aiutarlo, vedi cosa gli dice. (Riflettendo su ciò che ha detto Pippo) Maa ... un momento... (Verso Pippo) a te... chi ti ha lasciato?
PIPPO: Chi mi ha lasciato?
GIOVANNI: Chi si è collassato? Perché piangete? Mi dite che cosa è successo?
MARA: Tu l’hai detto.
PIPPO: Io? (Imbarazzato) Ma io partecipavo al dolore del ragazzo.
GIANNI: Mi ha lasciato. Se n’è andata al nord, è partita. Poteva almeno parlarne prima con me. Cercavamo insieme una soluzione.
MARA: (Al figlio) Come mai così all’improvviso?
PIPPO: Le cose succedono così…all’improvviso… quante persone ci sono che un momento prima stavano bene, e poi di colpo si ritrovano sotto terra? (Mormorandosi) Dove vorrei trovarmi io ora… in questo momento.
GIANNI: Mamma… papà… (piangendo) - È successo!
PIPPO: (Disperandosi piange con il figlio) E’ successo!
MARA: Ho capito che è successo, ma che cosa?
GIANNI: Tenetevi forte.
PIPPO: Senti figlio mio, se il colpo è troppo forte, prima dillo a tuo nonno, perché io oggi, non so se lo reggo.
MARA: Dai Gianni, non mi fare stare sopra le spine. Basta ora!
GIANNI: (Scoppia in lacrime) Mi ha lasciato perché aspetta un bambino.
PIPPO: (Anche lui in lacrime e in crescendo) Pure la tua! Oh sventurati noi!
- Silenzio di sbigottimento.
GIANNI: (continua il racconto) ...E pensando che voi non l’avreste accettata, ha preferito recarsi dai suoi parenti, al nord.
PIPPO: E per questo fai così? Hai sbagliato. Non la dovevi fare scappare.
MARA: (Ferita) Sono sconvolta. (Siede) Da te… proprio da te… non me l’aspettavo.
PIPPO: Io però ti capisco come ti senti. (Da solo) A me… chi mi capisce? Ho perso un compare imprenditore, una famiglia ed anche... un’amante. (Va dal padre). Papà che devo fare?
GIOVANNI: Che vuoi fare! Ti metti nel letto a dormire e vedrai che ti riprendi.
MARA: E va bene. Oramai il danno è fatto! Dobbiamo cercare una soluzione. Non ti disperare. Poi come si dice: “si chiude una porta e si apre…
PIPPO: (Subito) …Una voragine.
MARA: (Marcando le parole) …Un portone (Al figlio) Ma come fai a dire che è incinta?
GIANNI: Mi ha scritto una lettera che mi ha fatto avere con un ragazzino.
- Cerca la lettera in tasca, tira fuori la busta, ma non lo trova.
GIANNI: Eppure l’avevo messo in tasca. Ma dov’è? (Inizia a cercare il foglietto).
PIPPO: (Si avvicina al padre e parla con lui, ignaro di ciò che cerca Gianni) Papà, tu sei il migliore. Mi piacerebbe sapere se ti sei mai trovato in una situazione uguale alla mia.
GIOVANNI: Ppuuuh... Case di pazzi ne ho visto tante, perciò una più o una meno. Pippo non ti ho mai raccontato quando una volta…
PIPPO: Sì, papà… Ne hai raccontate tante, ma come la mia situazione, mai! (Vedendo che madre e figlio sono intenti nel cercare ..). Che state cercando?
- Entra Angelina con il caffè.
ANGELINA: Ecco il caffè.
GIANNI: Niente mamma, vuol dire che l’ho persa quando sono andato via per fermarla.
ANGELINA: (Vedendo che madre e figlio cercano) Cosa avete perduto?
MARA: Gianni stava cercando una lettera che non trova più.
PIPPO: Lettera?
MARA: Sì. Una lettera della sua ragazza.
GIANNI: Una lettera in cui mi spiegava le ragioni della sua scelta.
ANGELINA: Ah, la lettera di questa mattina.
GIANNI: Esattamente!
PIPPO: Ma che lettera era?
MARA: Ma perché secondo te che tipo di lettera poteva essere?
PIPPO: Ci sono lettere di informazione, contestazione, amore. 
GIANNI: Era un foglio bianco...
PIPPO: Un foglio bianco?!
GIANNI: (Irritato) Sì, papà, un normale foglio bianco. L’ho riconosciuto dal profumo col quale era impregnato.
PIPPO: (Inizia a capire) Un foglio tutto profumato, bianco, con la scrittura in blu. 
GIANNI: Papà perché fai tutto il misterioso?
MARA: Già. Perché tutta sta tiritera?
PIPPO: (Risollevato e rallegrato, tira fuori la lettera dalla tasca, mentre tutti l’osservano) Come questo?
GIANNI: Sì, come quello. (Va dal padre e prende la lettera)
MARA: Pippo, tu sapevi tutto e…
PIPPO: Mi dispiacevo per il ragazzo.
GIANNI: Ecco, mamma leggi. (Lo porge alla madre) 
Mara prende la lettera e la legge.
PIPPO: (A parte mentre Mara legge la lettera a bassa voce) Senti, Gianni, la tua ragazza si chiama Milly?
GIANNI: Sì. Esattamente si chiama Camilla, ma tutti la chiamano affettuosamente Milly. (Piange) Milly, amore mio. Perché lo hai fatto?
PIPPO: Allora si chiama proprio Milly Milly.
GIANNI: Papà, Milly, Milly. Perché mi chiedi. Forse la conosci? Sai qualcosa che io non so.
PIPPO: Chi io? No. Conoscevo una signora che aveva lo stesso nome. (Diventa più allegro).
GIANNI: Almeno n’avessimo parlato prima. E’ stata una mazzata.
PIPPO: A chi lo dici! (Al padre) Hai capito papà, si chiama Milly.
GIOVANNI: Billy, ho sentito! Avevo un cane che si chiamava con lo stesso nome: Billy.
MARA: E va bene Gianni, ormai il sugo è fatto, perciò…
PIPPO: Dai Gianni! Ce ne sono tante femmine!
MARA: Se lo dice tuo padre! Lui è un esperto in questo campo!
GIANNI: Non come la mia Milly. Lei è unica, la sola donna della mia vita.
MARA: (Guardando Pippo) Pippo, vedo con piacere che ti sei ripreso.
PIPPO: Sì, mi sento meglio assai... Ma molto meglio.
ANGELINA: Sarà stato l’odore del caffè.
MARA: Menomale.
PIPPO: (Si avvicina a Mara) Mara, Maruzza mia, ti voglio bene.
MARA: (Incredula si rivolge ad Angelina) No! Mi sono sbagliata: è impazzito! Tuo figlio è pazzo completo!
ANGELINA: Te ne sei accorta adesso?
PIPPO: (A Gianni) Anche a te: ti voglio bene (lo abbraccia e lo bacia).
GIANNI: Ma papà. (Siede)
MARA: Angelina, mi sto preoccupando. Gli sta venendo qualcosa. Forse è stato il troppo dispiacere.
PIPPO: Quale dispiacere e dispiacere. La mia vita cambierà. Niente più femmine se non quelle di questa casa. La famiglia deve venire prima d’ogni cosa. E tu, non ti preoccupare che il destino non è così crudele. Vedrai che le cose si sistemeranno.
- Tutti osservano Pippo increduli.
GIOVANNI: Senti Pippo, le porti a me un po’ di femmine?
PIPPO: Quando si tratta di donne ha un udito eccezionale. 
ANGELINA: Ancora… non gli è bastato quello che ha fatto nella sua vita…
MARA: (Al marito) Prima stavi morendo, ora sei uscito completamente fuori di senno.
PIPPO: Sono normalissimo! Da domani si cambia vita. Cercheremo d’inventarci un lavoro; ce ne andiamo a raccogliere verdure selvatiche, a lavare scale e tu… (rivolto al figlio) …non devi mai vergognarti del mestiere che farai, perché il lavoro, qualunque esso sia, è onestà!
- Si sente il campanello.

SCENA Va.
- Detti più Camilla detta Milly. -
MARA: Pippo, va’… vedi tu chi è. Chiunque sia, mi dispiace, ma in questo momento non ci sono.
- Pippo va ad aprire. 
PIPPO: Avanti s’accomodi.
Entra Milly la fidanzata di Gianni.
MILLY: Scusate, non volevo disturbare.
GIANNI: (Si alza di scatto) Milly... amore mio. Milly. Sei tornata.
- Contemporaneamente.
PIPPO e MARA: Milly?!
GIOVANNI: Billy?! Angelina, c’è Billy, è tornato? Dov’è, dov’è?
ANGELINA: Statti zitto. Accuccia!
MILLY: Perdonami amore mio per quello che ho fatto...
GIANNI: (Abbracciandola affettuosamente) Non ti preoccupare. La cosa più importante è che sei tornata.
MILLY: L’aereo non è partito, ho pensato ad un segno del destino. Ho riflettuto su noi due, al futuro che potevo offrire al nostro bambino. Crescerlo senza un padre! Come spiegargli il perché era senza padre… Non c’è l'ho fatta.
GIANNI: Hai fatto benissimo.
MILLY: Ma… tu, mi vuoi bene lo stesso?
GIANNI: E me lo chiedi? Più di prima. Papà, mamma… questa è Milly.
PIPPO: (Andando verso Milly) Figlia mia. Mi hai dato la vita. Non sai che sollievo mi hai dato.
MARA: (L’accoglie come una figlia) Ragazza mia. Figlia mia. (l’abbraccia calorosamente).
- Tutti si abbracciano a Milly.
GIOVANNI: Che destino infame. Nessuno mi abbraccia.
Angelina va ad abbracciare il marito!

Si chiude il sipario.

Trecastagni, agosto 1998