Un sogno

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AVVERTENZA

UN SOGNO

una fantasmagoria

di

August Strindberg

AVVERTENZA L'autore in questo «dramma del sogno», richiamandosi alla sua precedente fantasmagoria Verso Damasco, ha cercato di imitare la forma incoerente ma apparentemente logica del sogno. Tutto può avvenire, tutto è possibile e verosimile. Tempo e spazio non esistono, sopra un insignificante fondo realistico l'immaginazione trama e tesse nuovi modelli: un miscuglio di ricordi, di vicende, di libere invenzioni, di stravaganze e d'improvvisazioni. I personaggi si scindono, si moltipllcano, si sdoppiano, si eclissano, si condensano, si dileguano, si raccolgono. Ma una coscienza è su tutti, quella del sogno; perché non ci sono segreti,incoerenze, scrupoli ne leggi. L'autore non condanna, non assolve, riferisce soltanto; e siccome il sogno è per lo più doloroso, meno spesso sereno, cosi un'onda di malinconia e di compassione verso tutto ciò che vive corre per il vacillante racconto. Il sonno, il liberatore, procede spesso penoso, ma quando la sofferenza è più intensa, allora sopravviene il risveglio e questo riconcilia il paziente con la realtà che, per quanto tormentosa possa essere, in questo istante, se paragonata con il sogno doloroso, è una gioia.

PROLOGO

Il fondo rappresenta cumuli di nuvole somiglianti a montagne di ardesia levigate con castelli e rovine di fortezze.Sono visibili le costellazioni del Leone, della Vergine, della Bilancia e, tra esse,il pianeta Giove, molto luminoso. 

 (LA FIGLIA D’INDRA sopra la nuvola più alta)

LA VOCE D’INDRA   - (dall'alto) Dove sei, figlia mia, dove?

LA FIGLIA D’INDRA        - Qui, padre, qui!

LA VOCE D’INDRA   - Ti sei smarrita, figliola, sta' attenta, tu precipiti... Come sei arrivata sin laggiù?

LA FIGLIA D’INDRA        - Ho seguito il guizzo del lampo scendendo dal l'etere alto e ho preso una nuvola per carrozza... Ma la nuvola s'è abbassata, ed ora la corsa va verso il basso... Dimmi, Indra, sommo padre, a quali regioni sono giunta? Perché cosi afoso e pesante è il respiro?

LA VOCE D’INDRA   - Hai lasciato il secondo mondo e sei giunta al terzo, da Sciukra, la stella del mattino, ti sei allontanata ed entri nell'atmosfera della terra; vedi il segno della settima dimora del sole, che si chiama “Bilancia”, dove la stella del giorno si trova all'equinozio di autunno, quando il giorno e la notte si equivalgono.

LA FIGLIA D’INDRA        - Hai nominato la terra; è forse quel mondo oscuro e grave che è rischiarato dalla luna?

LA VOCE D’INDRA   - È il più denso, il più pesante dei mondi che errano nello spazio.

LA FIGLIA D’INDRA        - Dimmi, non vi splende mai il sole?

LA VOCE D’INDRA   - Certo che vi splende, ma non sempre...

LA FIGLIA D’INDRA        - Ora la nuvola si squarcia e vedo laggiù in basso...

LA VOCE D’INDRA   - Che cosa vedi, figliola?

LA FIGLIA D’INDRA        - Vedo... ch'è tanto bello... verdi foreste, acqua azzurra, bianchi monti e campi gialli...

LA VOCE D’INDRA   - Si, è bello, come tutto ciò che ha creato Brahma... ma fu ancora più bello una volta, nel mattino dei tempi; poi accadde qualcosa, una deviazione, forse qualcos'altro, una rivolta seguita da delitto, che bisognò punire...

LA FIGLIA D’INDRA        - Ora odo suoni che vengono di laggiù... Quale stirpe vi dimora?

LA VOCE D’INDRA   - Scendi e vedrai... io non calunnio i figli del Creatore, ma quel che tu odi sin quassù è la loro lingua.

LA FIGLIA D’INDRA        - Ha quasi il suono... non ha un bel suono.

LA VOCE D’INDRA   - Lo credo! La loro lingua madre si chiama la mento. Ecco! Vedi, quella della terra è una razza dispettosa e ingrata...

LA FIGLIA D’INDRA        - Non dire cosi, odo ora gridi di gioia e spari e fragore, vedo brillare lampi, ora suonano campane, si accendono fuochi e mille volte mille voci cantano lodi e ringraziamenti al Cielo... (pausa) Li giudichi con troppa durezza, padre...

LA VOCE D’INDRA   - Scendi, guarda e ascolta, poi ritorna; allora mi dirai se le loro querele e i loro pianti hanno motivo e fon damento...

LA FIGLIA D’INDRA        - Va bene, scenderò, ma tu seguimi, padre!

LA VOCE D’INDRA   - No. Non ci posso respirare...

LA FIGLIA D’INDRA        - La nuvola s'inabissa, l'aria è afosa, io soffoco... Non è aria, ma fumo ed acqua ciò che respiro... cosi pesante che mi trascina giù, giù, e oramai ne avverto anche il movimento, il terzo mondo non è dunque il migliore...

LA VOCE D’INDRA   - Non il migliore, sai, ma neppure il peggiore; si chiama «Polvere», gira come tutti gli altri, e per questo appunto quella stirpe talvolta è presa dalle vertigini, ai confini tra la Stoltezza e la Pazzia. — Coraggio, figliola mia, non è che una prova.

LA FIGLIA D’INDRA        - (in ginocchio, mentre la nuvola s'abbassa) Io scendo!

Il fondo rappresenta un bosco di gigantesche altee in fiore, bianche, carnicine,scarlatte, gialle solfo, violette, sitile cui cime appare il tetto doralo di un castello sormontato dai bocciolo d'un fiore simile a una corona. Davanti alle mura delcastello sono distesi cumuli di paglia che ricoprono concime di stalla. Le quinte laterali, che rimangono fisse per tutta la rappresentazione, sono affreschi stilizzati, a un medesimo tempo ambienti, architettura e paesaggio. 

(IL VETRAIO e LA FIGLIA entrano in scena)

LA FIGLIA                   - II castello cresce sempre di più... Vedi quant'è cresciuto dall’anno scorso?

IL VETRAIO                - (tra sé) Non ho mai visto questo castello... ne ho mai sentito dire che un castello cresca... ma... (alla figlia, con pro fonda consone) Si, è cresciuto due braccia, ma ciò dipende dal fatto che l’hanno concimato... e, se fai attenzione, vedrai che un'ala è spuntata fuori dalla parte del sole.

LA FIGLIA                   - Dovrebbe ben presto fiorire, dal momento che è già passata la festa di san Giovanni!

IL VETRAIO                - Non vedi il fiore lassù?

LA FIGLIA                   - Si, lo vedo! (batte le mani) Dimmi, babbo, perché i non vengono su dal fango?

IL VETRAIO                - (adagio) Perché non si trovano bene nel fango, s'affrettano quanto possono verso l'alto, verso la luce, per fiorire e morire!

LA FIGLIA                   - Sai chi abita in quel castello?

IL VETRAIO                - Lo sapevo, ma non ricordo.

LA FIGLIA                   - Credo vi sia un prigioniero... e certamente aspetterà che io lo liberi.

IL VETRAIO                - Ma a qual prezzo?

LA FIGLIA                   - Non si fa mercato d'un dovere. Entriamo nel castello!

IL VETRAIO                - Sì, entriamo! 

(avanzano verso il fondo che si apre lentamente dai lati)

Ora la scena rappresenta una stanza semplice e nuda con un tavolo e alcune sedie. Su una sedia è seduto un ufficiale, indossa una uniforme moderna molto singolare. Egli si dondola sulla sedia e con la spada picchia sul tavolo.

LA FIGLIA                   - (si avvina all'ufficiale e gli toglie dolcemente di mano la sciabola) Non fare così, non cosi.

L’UFFICIALE              - Cara Agnes, lasciami la sciabola!

LA FIGLIA                   - No, tu spacchi il tavolo! (al padre) Ora scendi nella stanza dei finimenti e mettici il vetro, c'incontreremo dopo! 

(IL VETRAIO esce)

LA FIGLIA                   - Sei prigioniero nella tua camera; sono venuta a li berarti!

L’UFFICIALE              - Ti ho tanto attesa per questo, ma non ero sicuro che saresti venuta.

LA FIGLIA                   - II castello è forte, ha sette pareti, beh — ci riusciremo... Vuoi o non vuoi?

L’UFFICIALE              - A dirla francamente: non so, perché in ogni caso ne avrò male. Ogni gioia nella vita si deve pagare con un dolore che vale il doppio. Dove ora mi trovo si sta male; ma se com prerò la dolce libertà, soffrirò tre volte di più. Agnes, preferisco sopportare tutto questo, purché ti possa vedere!

LA FIGLIA                   - Che cosa vedi in me?

L’UFFICIALE              - La bellezza che è l'armonia dell'universo. — Ci sono linee nella tua figura che ritrovo soltanto nelle orbite del si stema solare, nelle corde bellamente risonanti, nelle vibrazioni della luce! — Tu sei una figlia del cielo...

LA FIGLIA                   - Anche tu lo sci!

L’UFFICIALE              - Perché allora dovrei custodire i cavalli? Curare la scuderia e far portar via lo strame?

LA FIGLIA                   - Per farti desiderare un'evasione.

L’UFFICIALE              - Lo desidero; ma è cosi difficile uscire di qui!

LA FIGLIA                   - È un dovere cercare la libertà nella luce!

L’UFFICIALE              - Dovere? La vita ha mai conosciuto doveri verso di me?

LA FIGLIA                   - Ti consideri ingiustamente, trattato dalla vita?

L’UFFICIALE              - Si, è stata ingiusta...Si odono voci dietro lo schermo divisorio, che e subito tolto.

L’ufficiale e la Figlia guardano da quella parte e coi gesti e con l'espressione mostrano lì loro stupore. A un tavolo e seduta la madre, malatìccia. Dìnnanzi a lei arde una candela, che ella di quando in quando pulisce con uno smoccolatoio. Sul tavolo cataste di camicie di recente cucite, che ella contrassegna con una penna d'oca e inchiostro nero. Un armadio marrone a sinistra.

IL PADRE                     - (porge una mantiglia di seta, con dolcezza) Non la vuoi?

LA MADRE                  - Una mantiglia di seta, caro amico, a che mi serve dal momento che tra poco dovrò morire?

IL PADRE                     - Credi a quel che dice il medico?

LA MADRE                  - Anche a quello che

LUI                                -  dice, ma soprattutto alla voce che mi parla qui dentro. 

IL PADRE                     - (addolorato) Allora, è una cosa seria?... E tu pensi ai tuoi figli, anzitutto e soprattutto!

LA MADRE                  - Sono stati la mia vita, il mio diritto... la mia gioia, e il mio dolore...

IL PADRE                     - Kristina, perdonami... tutto!

LA MADRE                  - Già, e che cosa? Perdonami tu, caro; ci siamo tormen tati; perché? Non lo sappiamo. Non potevamo fare altrimenti!... Intanto, ecco la biancheria dei figlioli... Guarda che si cambino due volte la settimana, mercoledì e domenica, e Lovisa li lavi... tutto il corpo... Esci?

IL PADRE                     - Devo andare all'ufficio! Sono le undici!

LA MADRE                  - Prega Alfredo di venire qui prima che tu esca.

IL PADRE                     - (indica  l’ ufficiale) Egli è già qui, amor mio!

LA MADRE                  - Pensa, comincio anche a veder male... già, si fa buio... (smoccola la candela) Alfredo! Vieni! (il padre esce attraverso la parete, con un cenno del capo per sa lutare)

(L’UFFICIALE si avvicina alla madre)

LA MADRE                  - Chi è quella ragazza?

L’UFFICIALE              - (sottovoce) È Agnes!

LA MADRE                  - Oh, è Agnes! Sai che dicono?... Che sia la figlia del dio Indra, che chiese di poter scendere sulla terra per sapere quale sia realmente la condizione degli uomini... Ma non dir niente!...

L’UFFICIALE              - Una figlia di Dio!

LA MADRE                  - (ad alta voce) Alfredo mio, tra poco mi separerò da te e dai fratelli... Lascia che ti dica una parola per la vita!

L’UFFICIALE              - (addolorato) Di', mamma!

LA MADRE                  - Una parola sola: non contendere mai con Dio!

L’UFFICIALE              - Che vuoi dire, mamma?

LA MADRE                  - Non ti dovrai mai considerare trattato ingiustamente dalla vita.

L’UFFICIALE              - Ma se mi si tratta ingiustamente.

LA MADRE                  - Alludi a. quella volta che fosti punito a torto per aver preso una moneta che fu poi ritrovata!

L’UFFICIALE              - Sì. E’ quella ingiustizia dette poi un falso indirizzo a tutta la mia vita...

LA MADRE                  - Va bene! Va' ora a quell'armadio...

L’UFFICIALE              - (si vergogna) Lo sai dunque! C'è..

LA MADRE                  - II Robinson svizzero... A cagione del quale...

L’UFFICIALE              - Non dir di più!...

LA MADRE                  - A cagione del quale tuo fratello fu punito... e che tu avevi stracciato e avevi nascosto!

L’UFFICIALE              - Pensa che quest'armadio si trova forse là da venti anni... e abbiamo fatto tanti traslochi e mia madre è morta da dieci anni.

LA MADRE                  - Già, e che vuoi dire? Tu vuoi renderti ragione di tutto e per questo sciupi il meglio della tua vita!... Guarda, ecco Lina!

LINA                             - (entra) Cara signora, la ringrazio tanto, ma non posso andare al battesimo...

LA MADRE                  - Perché, figlia mia?

LINA                             -  Non ho nulla da mettermi indosso!

LA MADRE                  - Puoi metterti questa mia mantiglia.

LINA                             -  No, cara signora, non sta bene!

LA MADRE                  - Non ti capisco! Io non andrò mai più a ricevimenti...

L’UFFICIALE              - Che cosa dirà il babbo, è un suo dono...

LA MADRE                  - Che grettezze...

IL PADRE                     - (fa capolino sulla scena) Vuoi prestare alla serva il mio dono?

LA MADRE                  - Non dire cosi... ricorda che io pure sono stata una domestica... perché devi offendere un'innocente?

IL PADRE                     - Perché devi offendere me, tuo marito...

LA MADRE                  - Oh, che vita! Quando si fa qualcosa di bello si trova sempre qualcuno che lo giudica brutto... si fa bene ad uno, si fa male a un altro. Oh, questa vita! (ella smoccola la candela cosi da spegnerla. Si fa buio sulla scena e si abbassa lo schermo)

LA FIGLIA                   - Gli uomini, che pietà!

L’UFFICIALE              - Trovi!

LA FIGLIA                   - Si, la vita è difficile, ma l'amore vince tutto! Vieni e vedra il   (vanno verso il fondo)

Si alza il fondale; ora si vede un nuovo scenario rappresentante un vecchio sporco muro divisorio. Nel mezzo del muro un cancello, che immetti; in un corridoiosboccante su un luminoso spiazzo verde, dove si vede un colossale aconito azzurro. A sinistra presso il cancello siede la portinaia tenendo uno scialle sulcapo e le spalle e lavora una coperta a stelle. A destra un cartellone che

L’ATTACCHINO         - pulisce; vicino una rete da pesca con manico verde. Più lontano, a destra,una porta con un foro a forma di quadrifoglio.

A sinistra del cancello un piccolotiglio dal tronco nero come carbone e foglie di colore verde chiaro; a lato unafinestrella di cantina. 

LA FIGLIA                   - (s'avvicina alla. portinaia) Non è ancora finita la co perta a stelle?

LA PORTINAIA          - No, piccola amica; ventisei anni non sono molti per un simile lavoro!

LA FIGLIA                   - E il fidanzato non è più tornato?

LA PORTINAIA          - No, ma non per colpa sua. Dovette fuggire... po verino, trent'anni fa!

LA FIGLIA                   - (all'attacchinò) Ma essa non faceva parte del balletto? Qui di sopra all'opera?

L’attacchino era il primo numero... ma quando lui  partì  le portò via anche la danza... e allora essa non ebbe più una parte...

LA FIGLIA                   - Tutti si lamentano, almeno con gli occhi, e con la voce...

L’ATTACCHINO         - Io non mi lamento troppo... ora no, poiché ho avuto la mia rete da pesca e un verde cestello!

LA FIGLIA                   - Ed è contento?

L’ATTACCHINO         - Si, tanto contento, tanto... il sogno della mia gio vinezza... ed ora è realtà, in verità ho compiuto i cinquant'anni, si capisce...

LA FIGLIA                   - Cinquant'anni per avere una rete da pesca e un cestello...

L’ATTACCHINO         - Un cestello verde... uno verde...

LA FIGLIA                   - (alla portinaia) Mi dia ora lo scialle, mi siederò qui e potrò così osservare le creature umane. Ma  lei stia dietro e mi parli! (si copre con lo scialle e si siede presso il cancello)

LA PORTINAIA          - Oggi è l'ultimo giorno e l'opera si chiude... adesso appunto sapranno se sono scritturati di nuovo...

LA FIGLIA                   - E chi non avrà il posto allora?

LA PORTINAIA          - Già, Signore Gesù, bisogna vedere... mi tiro sul capo lo scialle...

LA FIGLIA                   - Poveretti!

LA PORTINAIA          - Guardi, ecco ne viene una... Non è tra le elette., Guardi, come piange...

(la cantante da destra, fuggendo via dal cancello, col fazzoletto davanti agli occhi. Si ferma un momento nel corridoio davanti al cancello e appoggia il capo entro la parete; poi fugge via)

LA FIGLIA                   - Gli uomini fanno davvero pietà!...

LA PORTINAIA          - Ma guardi; un uomo che sembra felice!

(l’ufficiale entra dal cancello del corridoio; in redingote e cilindro, tenendo in mano un mazzo di rose. Raggiante, felice)

LA PORTINAIA          - Deve sposare la signorina Vittoria!...

L’UFFICIALE              - (in fondo alla scena; guarda in alto, canta) Vittoria!...

LA PORTINAIA          - La signorina verrà subito!

L’UFFICIALE              - Va bene! Il calesse attende, la tavola è imbandita, lo champagne in ghiaccio... permettete che vi abbracci, signore! (abbraccia la figlia e la portinaia.. Canta) Vittoria!

UNA VOCE DI DONNA (dall'alto, canta) Eccomi!

L’UFFICIALE              - (comincia a camminare) Va bene! Attendo!

LA FIGLIA                   - Mi Conosci?

L’UFFICIALE              - No, io non conosco che una donna... Vittoria! Per sette anni sono venuto qui, e l'ho attesa... a mezzogiorno, quando il sole toccava i comignoli e di sera, quando cominciavano a cadere le tenebre della notte... Guardate qui sull'asfalto, vi potrete scorgere le tracce dell'amante fedele! Hurrà! Essa è mia! (canta) Vittoria! (non ottiene risposta) Ebbene, adesso si ve stirà! (all’attacchino) Ecco, vedo la rete! Tutti all'opera vanno pazzi per le reti!... o piuttosto per i pesci! I silenziosi pesci, pro prio perché non possono cantare... Quanto costa un arnese come questo?

L’ATTACCHINO         - È molto caro!

L’UFFICIALE              - (canta) Vittoria!... (scuote il tiglio) Guardate, è verde di nuovo! Per l'ottava volta! (canta) Vittoria!... Ora si accon cerà i capelli... (alla figlia) Senta, signora, mi taccia salire a prendere la mia fidanzata!... 

LA PORTINAIA          - Non entra nessuno sulla scena!

L’UFFICIALE              - Per sette anni sono sempre venuto qui! Sette volte trecentosessantacinque fanno duemilacinquecentocinquantadnque! (si ferma e indica la porta dal quadrifoglio)E questa porta l'ho veduta duemila cinquecento cinquanta cinque volte senza arrivare alla meta a cui conduce! E questo quadrifoglio che deve lasciar passare la luce... per chi deve lasciar passare la luce? C'è forse qualcuno là dietro! Ci sta qualcuno?

LA PORTINAIA          - Non so! Non ho mai veduta aperta quella porta!...

L’UFFICIALE              - Somiglia alla porta d'una dispensa, che vidi quando avevo quattro anni, un pomeriggio di domenica, andando a pas seggio con la domestica! Fuori, per visite a famiglie, ad altre domestiche; io però non entravo che in cucina, e mi mettevo a sedere tra la botte dell'acqua e lo staio del sale; ho visto tante cucine durante la mia vita, e le dispense si trovavano sempre nel vestibolo, con fori tondi e un quadrifoglio... Ma l'opera non ha dispense, perché non ha cucine! (canta) Vittoria!... Ascolti, signora, non potrebbe andar via da un'altra uscita?

LA PORTINAIA          - No, non ce ne sono altre!

L’UFFICIALE              - Ebbene, allora la incontrerò!  (la gente di teatro esce affollandosi e sfila davanti all’ufficiale)

L’UFFICIALE              - Tra poco dovrebbe essere qui!... Signora! Quell'aconito azzurro là fuori! L'ho veduto da quando ero bambino... È lo stesso? Ricordo, in un presbiterio, avevo allora sette anni... due piccioni, piccioni azzurri, stanno sotto quell'aconito... ma quella volta venne un'ape, ed entrò nell'aconito... allora pensai: ecco, sei mia e feci per prendere il fiore; ma l'ape mi punse e piansi... sopraggiunse poi

LA MOGLIE                 - del pastore e vi mise sopra terra bagnata... quindi ci dettero fragole e crema, per cena!... Mi sembra che cominci a far buio. — Dove va l’attacchino?

L’ATTACCHINO         - La sera devo andare a casa a mangiare.

L’UFFICIALE              - (si stropiccia gli occhi) Sera? A quest'ora — Ascolti!... Devo entrare un momento per telefonare al “Castello crescente”.

LA FIGLIA                   - Che ci vai a fare?

L’UFFICIALE              - Dirò al vetraio che metta doppie imposte, perché tra poco sarà inverno ed io soffro terribilmente il freddo.

(entra dalla portinaia)

LA FIGLIA                   - Chi è la signorina Vittoria?

LA PORTINAIA          - È la sua innamorata!

LA FIGLIA                   - Bella risposta! Ciò che essa sia per noi e per gli altri, non gli importa! Essa è soltanto quel che è per lui!... (si fa buio intenso)

LA PORTINAIA          - (accende la lanterna) Oggi fa presto notte!

LA FIGLIA                   - Per gli Dei un anno vale quanto un minuto!

LA PORTINAIA          - E per gli uomini un minuto può essere lungo come un anno.

L’UFFICIALE              - (di nuovo sulla scena, tutto impolverato; le rose sono appassite) Non è ancora venuta?

LA PORTINAIA          - No!

L’UFFICIALE              - Eppure verrà!... Verrà!... (cammina) Ma è vero, forse farei meglio a disdire il pranzo... dal momento che è sera!... Si curo, farò cosi! (entra a telefonare)

LA PORTINAIA          - (alla figlia) Ora vorrei il mio scialle!

LA FIGLIA                   - No, amica mia, tu sei in libertà, farò io il tuo ser vizio... perché voglio conoscere gli uomini e la vita, per con statare se questa è cosf dura come si dice.

LA PORTINAIA          - Ma a questo posto non si deve dormire, mai dor mire, ne di notte, ne di giorno...

LA FIGLIA                   - Non dormire di notte?

LA PORTINAIA          - Si, si può, ma col cordone del campanello attorno al braccio, perché vengono sulla scena i guardiani notturni, che si danno il cambio ogni tre ore...

LA FIGLIA                   - E’ una vera tortura...

LA PORTINAIA          - Sembrerà a voi, ma noi siamo ben felici di avere un simile posto; e se sapeste quanto sono invidiata...

LA FIGLIA                   - Invidiata? Ma s'invidia chi è torturato?

LA PORTINAIA          - Si!... Ma vede, ciò ch'è più duro della veglia e della fatica, dei riscontri d'aria e del freddo e dell'umidità è, come capita a me, il fatto d'essere la confidente di tutti quegli infelici... Ven gono da .me; perché? Leggono forse nelle rughe del mio volto i segni della scrittura runica che il dolore vi ha scavati e che invitano alla confidenza... In questo scialle, amica, si celano trent'anni di dolore, quello mio e quello degli altri!

LA FIGLIA                   - È anche pesante, e brucia come le ortiche.

LA PORTINAIA          - Lo porti pure, perché cosi desidera... quando poi sarà troppo pesante, mi chiami; verrò a darle il cambio.

LA FIGLIA                   - Addio! Devo pur sopportare ciò che può sopportare lei!

LA PORTINAIA          - Vedremo!... Ma sia buona verso i miei piccoli amici e non si stanchi delle loro lagnanze.

(scompare nel corridoio).

Sulla scena si fa buio profondo. Intanto si cambia lo scenario: e il tiglio appare senza foglie. L’aconito azzurro ben presto appassisce e, quando ritorna la luce del giorno, il verde nella prospettiva del corridoio, appare imbrunito e ingiallito.

L' UFFICIALE              - (entra quando torna la luce. Ora ha capelli grigi e barba grigia. Gli abiti sgualciti, il colletto nero e sudicio. Il mazzo di rose avvino, si vedono solo i gambi. Passeggia) . A giudicare da tutte le apparenze, l'estate è passata e l'autunno s'avvicina  Lo vedo da quel tiglio e dall'aconito!... (passeggia) Ma l'autunno e la mia primavera, perché allora si riapre il teatro! E allora anche lei dovrà venire! Gentile signora mi posso sedere intanto su questa sedia?

LA FIGLIA                   - Segga, amico mio, io posso stare in piedi.

L’UFFICIALE              - (siede) Se io potessi dormire un pochino sarebbe davvero un gran bene!... (dorme un momento, si alza di sopras salto e passeggia; si ferma davanti alla porta col quadrifoglio e vi fruga) Questa porta che non mi da pace... cosa nasconde? Dovrebbe nascondere qualche cosa! (si ode dall'alto una tenue musica a. tempo di danza) Ecco! Ora sono cominciate le prove!(la scena si rischiara a tram, come se illuminata da un fuoco a eclissi) Che cos'è? (scandisce secondo le fasi della luce) Luce e buio; luce e buio?

LA FIGLIA                   - (contraffacendolo) Giorno e notte; giorno e notte!... Una pietosa Provvidenza vuole abbreviare la tua attesa! E cosi' fuggono i giorni, che cacciano le notti!

(luce fissa sulla scena. L’attacchino  entra, tenendo in mano la rete e gli attrezzi per affiggere)

L’UFFICIALE              - Ecco l’attacchino con la rete... Ha fatto buona pesca?

L’ATTACCHINO         - Si, certo! L'estate fu calda e un po' lunga... la rete pure buona, ma non era come avevo immaginato...

L’UFFICIALE              - (accentuando) Non era come avevo immaginato... Proprio ben detto! Nulla è come avevo immaginato!... Perché pensare è più che fare, — è superiore alla realtà... (cammina sbattendo il mazzo di rose sfiorite contro le pareti, in modo che cadono le ultime foglie)

L’ATTACCHINO         - Non è scesa ancora?

L’UFFICIALE              - No, non ancora, ma verrà presto!... Sa, attacchino, che diamine mai si nasconda dietro quella porta?

L' ATTACCHINO        - No, non ho visto mai aperta quella porta.

L’UFFICIALE              - Telefonerò a un fabbro perché venga ad aprirla! (va al telefono.

L’attacchino  affigge un manifesto e va verso destra)

LA FIGLIA                   - Qual è il difetto della rete?

L’ATTACCHINO         - Difetto? Già, in verità non ha alcun difetto... ma non è come l'avevo immaginata, e per questo la gioia non fu completa...

LA FIGLIA                   - Come aveva immaginata la sua rete?

L’ATTACCHINO         - Come?... Non saprei dire...

LA FIGLIA                   - Glielo dirò io!... L'aveva pensata come non era. Verde doveva essere, ma non di questo verde!

L’ATTACCHINO         - Lei sì che lo sa, signora! Lei sa tutto — e per questo tutti vengono da Lei con le loro pene... Se volesse ascoltarmi, una volta soltanto...

LA FIGLIA                   - Volentieri... Venga qui dentro e sfoghi il suo cuore... (entra nella sua stanza. L’attacchino rimane fuori della finestra e parla)

Di nuovo buio profondo; quindi luce e il tiglio rinverdisce, e l'aconito fiorisce,il sole splende sul verde nella prospettiva dell'andito.

L’UFFICIALE              - ritorna; è vecchio e coi capelli bianchi; cencioso e con le scarpe logore, porta i rami delmasso di rose. Cammina qua e là, lentamente, come un vecchio. Legge l'affisso.

Una ballerina  entra da destra.

L’UFFICIALE              - È uscita la signorina Vittoria?

LA BALLERINA         - No, non è uscita!

L' UFFICIALE              - Allora aspetto! Verrà presto?

LA BALLERINA         - (con serietà) Certo che verrà!

L’UFFICIALE              - Ora non se ne vada, vedrà che cosa si nasconde dietro quella porta, perché ho mandato a chiamare il fabbro.

LA BALLERINA         - Sarà davvero interessante vedere aperta questa porta. Questa porta e il «Castello crescente”, conosce il “Castello crescente”? 

L’UFFICIALE              - Se lo conosco? Ci sono stato, prigioniero!

LA BALLERINA         - Ah, era lei? Ma perché c'erano tanti cavalli?

L’UFFICIALE              - Era un castelloscuderia, capisce... 

LA BALLERINA         - (addolorata) Che sciocca! A non capirlo!

 (un corista  entra da destra) 

L’UFFICIALE              - È uscita la signorina Vittoria?

IL CORISTA                 - (serio) No, non è uscita! Non esce mai!

L’UFFICIALE              - Fa così perché m'ama!...

IL CORISTA                 - non se ne vada prima che venga il fabbro ad aprire questa porta.

IL CORISTA                 - Oh, si aprirà la porta! Oh, davvero interessante!...Voglio chiedere solo una cosa alla portinaia. 

(il suggeritore  entra da destra)

L’UFFICIALE              - È uscita la signorina Vittoria?

IL SUGGERITORE      - No, per quanto io sappia! 

L’UFFICIALE              - Ecco, vedete! Non lo dicevo che essa mi aspettai — Non se ne vada prima che sia aperta la porta.

IL SUGGERITORE      - Quale porta?

L’UFFICIALE              - C'è forse più d'una porta? 

IL SUGGERITORE      - Ora capisco: quella col quadrifoglio!... Allora rimango, sicuro! Parlerò solo un po' con la portinaia.(la Ballerina, il Corista, il Suggeritore si raggruppano attorno all'Attacchino davanti alla finestra della Portinaia; quivi a turno parlano con la Figlia)

(il vetraio  entra dal cancello)

L’UFFICIALE              - È il fabbro?  

IL VETRAIO                - No, il fabbro era occupato, vale altrettanto il vetraio.

L’UFFICIALE              - Sì, è vero... è vero, ma ha il diamante?

IL VETRAIO                -  Naturalmente! Un vetraio senza diamante, che cosa sarebbe?

L’UFFICIALE              - Nulla! — Dunque all'opera! (batte le mani)

(tutti si riuniscono in cerchio attorno alla porta. I Coristi in costu me di “Maestri cantori”, le comparse vestite come il coro delle ballerine dell'i Aida” fanno irruzione da destra)

L’UFFICIALE              - Fabbro — o vetraio — faccia il suo dovere!

(il vetraio si fa avanti col diamante)

L’UFFICIALE              - Un momento, siccome questo evento non si ripete spesso nella vita d'un uomo, perciò, cari amici, vi prego... riflettete bene...

IL POLIZIOTTO          - (entra) In nome della legge, proibisco l'apertura di questa porta!

L’UFFICIALE              - Oh, Dio mio, quante storie quando si vuoi fare qualche cosa di nuovo, qualcosa di grande!... Ma faremo causa!... Dall'avvo cato dunque! E vedremo se le leggi hanno valore! Dall'avvocato!

La scena sì trasforma nello studio d'un avvocato, a sipario alzato, nella maniera seguente: il cancello rimane fisso e lungo da cancello alla sbarra dell'ufficio, che traversa a meta la scena. La stanza delLA portinaia rimane come studio dell'avvocato, ma aperta sul davanti; il tiglio sfrondato diviene un appendicappelli e attaccapanni; la tabella per le affissioni è ricoperta di notifichc e sentenze; la porta col quadrifoglio appartiene ora a un armadio per documenti. L’Avvocato, in giacca e cravatta bianca, siede a sinistra oltre il cancello, pressouno scrittoio pieno di carte. Il suo aspetto rivela sofferenze inaudite: bianco come la calce con rughe e con ombre color violetta; egli è brutto, il volto rispecchia tutte le specie di colpe e di vizi con cui l'esercizio della sua. professione lo costringe a prendere contatto. Dei suoi due scrivani,  uno ha un braccio solo e l'altro e guercio. La gente, che s'era riunita per assistere all’ apertura della porta, sembra fare anticamera dall’avvocato e mostra la noia d'una lunga attesa. La figlia, con lo scialle, e l’ufficiale  in primo piano.

L’ AVVOCATO           - (si avvicina alla figlia) Dimmi, sorella, posso prendere codesto scialle... lo terrò appeso qua dentro finché avrò fuoco nella stufa; poi lo brucerò insieme con tutti i suoi dolori e le sue miserie...

LA FIGLIA                   - Non ancora, fratello, voglio che prima sia ben pieno;  soprattutto desidero mettere insieme i tuoi dolori, tutte le confidenze da te ricevute circa crimini, vizi, misfatti, calunnie, men  zogne....

L’ AVVOCATO           - Piccola amica, allora il tuo scialle non basterebbe .più! Osserva questi muri; non sembra quasi che tutti i peccati ne abbiano sporcato i parati; guarda quelle carte su cui redigo storie di misfatti; guarda me... Qui non viene mai nessuno che sorrida; sguardi cattivi soltanto, denti stretti, pugni serrati... E tutti rove sciano su di me la loro cattiveria, la loro gelosia, i loro sospetti... Guarda, le mie mani sono nere, e non si potranno mai pulire, guarda come sono tutte screpolate e insanguinate... non riesco a portare gli abiti più di qualche giorno, perché puzzano delle colpe altrui... Qualche volta qua dentro faccio dei suffumigi con lo zolfo, ma non giova; dormo qui vicino e non sogno che colpe... Attualmente ho in giudizio un omicidio... sta bene; ma sai che cos'è peggio di tutto?... Separare gli sposi! — Sembra quasi, allora, che si lanci un urlo dalle viscere della terra alla sommità del ciclo... un grido di tradimento contro la forza primordiale, la sorgente del bene, contro 1' amore... E, vedi, quando i fogli sono ben pieni delle loro mutue querele, e alla fine un individuo innamorato prende a quattr' occhi sua moglie, le da una tiratina ali' orecchio e sorridendo le rivolge la semplice domanda: che cosa ha Lei contro suo marito — o moglie — allora Lei — oppure Lui— rimane senza risposta, e ne ignora il motivoi Una volta — già, si trattava d'insalata verde; un' altra volta si trattava di una parola; il più delle volte di nulla. Ma tormenti, dolori! Li devo sopportare iol... Guarda il mio aspetto! E credi che potrei conquistare l'amore di una donna con questa mia espressione di delinquente? E credi che qualcuno vorrebbe essermi amico, amico a me, che ho da esigere i debiti di tutta la città, i debiti in denaro?... Gran male essere uomo!

LA FIGLIA                   - Poveri uomini!

L’ AVVOCATO           - Cosi è! E di che cosa vivano gli uomini, è per me un enigma. Si sposano con duemila corone, quando ne hanno bisogno di quattromila... fanno debiti, si capisce, fanno debiti, tutti! Si va avanti con espedienti e stratagemmi fino alla morte... e l'asse eredi tario sono debiti! Chi dovrà pagare, alla fine, mi chiedo!

LA FIGLIA                   - Colui che nutre gli uccelli!

L’ AVVOCATO           - Già. Ma se colui che nutre gli uccelli volesse scendere sulla terra e vedere quale sia la condizione dei poveri figli del l'uomo, forse sarebbe preso da misericordia...

LA FIGLIA                   - Poveri uomini! 

L’AVVOCATO            - Già, è vero! (all’ufficiale) Che cosa desidera lei?

L’UFFICIALE              - Vorrei solo chiedere se è uscita la signorina Vittoria!

L’ AVVOCATO           - No, non è uscita, stia pure tranquillo... perché fruga in quel mio armadio?

L' UFFICIALE              - Mi pareva che quella porta fosse proprio cosi...

L’AVVOCATO            - Oh no, oh no, oh no! 

(si odono squillare le campane della chiesa)

L' UFFICIALE              - C'è un funerale in città?

L’ AVVOCATO           - No; è una promozione, la promozione dei dottori. E ci dovrò andare anch'io e sarò dottore in diritto. Forse

LEI                                 - avrebbe piacere di essere promosso ed avere una corona di alloro?

L' UFFICIALE              - Si, perché no? È sempre una piccola distrazione...

L’ AVVOCATO           - Dobbiamo forse procedere subito a quella solenne ceri monia? Vada a cambiarsi d'abito!

(l’ufficale esce; si fa buio sulla scena; intanto si operano i seguenti cambiamenti. La sbarra rimane, ma ora serve da balaustra del coro di una chiesa, la tabella per le affissioni diviene la tavola per i numeri dei salmi; il tiglio attaccapanni diviene un candelabro, la scrivania dell’avvocato la cattedra d'un professore; la porta col quadrifoglio conduce alla sacrestia...

I coristi dei «.Maestri Cantori» divengono araldi con scettri e le comparse portano corone di alloro. Gli altri fanno da spettatori. Il fondale si alza e il nuovo fondale mostra un grande organo con in basso le tastiere e sopra lo specchio. Si ode musical Ai latile quattro facoltà: filosofia, teologia, medicina e diritto. La scena rimane vuota per un momento. Araldi da destra. Le comparse recando le corone di alloro a braccio teso, seguono tre laureandi uno dopo l'altro, entrano da sinistra, e vengono incoronati dal coro delle comparse; escono quindi da destra. L’’avvocato si fa avanti per essere incoronato.Le comparse gli volgono le spalle, rifiutandosi d'incoronarlo, ed escono. L’avvocato, scosso, s'appoggia ad un pilastro, Tutti escono e l’avvocato  rimane solo)

LA FIGLIA                   - (entra con un velo bianco sul capo e sulle spalle) Vedi, ora ho lavato lo scialle... Ma, perché sei qui? Non hai ricevuto la laurea?

L’ AVVOCATO           - No, non ne ero degno.

LA FIGLIA                   - Perché? Perché tu hai preso le difese del povero, hai messo una buona parola per il reo, hai alleviato il peso del colpe vole, hai ottenuto una dilazione per il condannato... Poveri mortali... angeli non sono; peccato per loro.

L’ AVVOCATO           - Non dir male degli uomini, ne farò la difesa...

LA FIGLIA                   - (appoggiata all'organo) Perché schiaffeggiano i loro amici?

L’AVVOCATO            - Non sanno fare di meglio!

LA FIGLIA                   - Illuminiamoli. Vuoi? Insieme con me?

L’ AVVOCATO           - Non vogliono essere illuminati!... Oh, che il nostro lamento giunga agli Dei del cielo...

LA FIGLIA                   - Arriverà sino al trono di Dio!... (si ferma presso l'organo) Sai che cosa vedo in questo specchio?... Il mondo dal verso giusto!... Si, perché è al rovescio!

L’AVVOCATO            - E come mai s'è capovolto?

LA FIGLIA                   - Quando fu presa la copia...

L’ AVVOCATO           - Vedi, ora hai detto bene. La copia... fu sempre una mia idea che questa fosse una cattiva copia... e quando cominciai a ricordare le immagini originali, tutto mi disgustava... Gli uomini la chiamavano incontentabilità, e schegge dello specchio del dia volo nell' occhio ed altro ancora...

LA FIGLIA                   - È una pazzia! Guarda le quattro facoltà!... Il governo, che regge lo stato, le sovvenziona tutt' e quattro: la teologia, la dottrina di Dio, sempre attaccata e messa in ridicolo dalla filo sofia, che si spaccia per la stessa sapienza! E la medicina, che av versa sempre la filosofìa'e non annovera la teologia tra le scienze, ma la chiama superstizione... E siedono allo stesso concistoro, che deve insegnare alla gioventù il rispetto per l'università! È proprio un manicomio! E guai a chi primo rinsavisce!

L’ AVVOCATO           - I teologi sono forse i primi a saperlo. Come studio preparatorio apprendono la filosofia, la quale loro insegna che la teologia è un nonsenso, poi in teologia imparano che la filosofia è un nonsenso. Matti, eh?

LA FIGLIA                   - E poi la giurisprudenza, serva di tutti, ma non dei servi!

L’ AVVOCATO           - La giustizia, che quando vuoi essere giusta, da il colpo di grazia!... Il giusto che così spesso commette ingiustizie!

LA FIGLIA                   - Come vi aggiustate tutto, voi, esseri umani! Bambini! Vieni, riceverai da me una corona... una corona che ti starà meglio! (gli pone sul capo una corona di spine) Ora suonerò per tei (ella siede all'organo e suona un «Kyrie»; ma invece delle note dell’organo si odono voci umane)

VOCI DI FANCIULLO       - Eterno, eterno! (sostenuta l'ultima nota)

VOCI DI DONNA       - Pietà! (sostenuta l'ultima nota)

VOCI DI UOMO          - (tenori) Liberaci, in nome della tua misericordia! (sostenuta l'ultima nota)

VOCI DI UOMO          - (bassi) Esaudisci i tuoi figlioli, Signore, e non essere irato con noi.

TUTTI                            - Pietà! Ascoltaci! Misericordia per i mortali! — Eterno, pcrché sei lontano?... Dal profondo del cuore gridiamo: grazia, Eterno! Non rendere troppo pesante il peso dei tuoi figli! Ascoltaci! Ascoltaci!

Buio Su tutta scena; la figlio si alza e si avvicina all’Avvocato. L'organo, con luci combinate, si trasforma nella grotta di Fingal. Il mare si inoltra nelle caverne sotto i pilastri di basalto e produce un concerto sonoro di onde e di vento.

L’AVVOCATO            - Dove siamo, sorella?

LA FIGLIA                   - Che cosa odi?

L’ AVVOCATO           - Sento cadere gocce...

LA FIGLIA                   - Sono lacrime, quando piangono gli uomini... Cosa odi inoltre?

L’ AVVOCATO           - Sospiri... gemiti... lamenti...

LA FIGLIA                   - È giunto sin qui il lamento dei mortali, non oltre. Ma perché quest'eterno lamento? La vita non ha nulla che possa rallegrare?

L’AVVOCATO            - Si, la cosa più dolce, che è la più amara, l'amore. Sposa e casa! La cosa suprema e l'infima!

LA FIGLIA                   - Vorrei provare!

L’AVVOCATO            - Con me?

LA FIGLIA                   - Con te. Tu conosci gli scogli e le pietre dello scandalo, sapremo evitarli!

L’AVVOCATO            - Io sono povero!

LA FIGLIA                   - Che importa, purché ci amiamo? E un po' di bellezza non costa niente!

L’AVVOCATO            - Ho antipatie che forse saranno tue simpatie?

LA FIGLIA                   - Si accomoderanno!

L’ AVVOCATO           - Se ci stanchiamo?

LA FIGLIA                   - Allora verrà il bimbo e porterà distrazioni sempre nuove!

L’AVVOCATO            - Tu, proprio tu mi vuoi, vuoi me; povero, brutto, di sprezzato?

LA FIGLIA                   - Si, uniamo i nostri destini!

L’AVVOCATO            - E sia, dunque!

Una camera molto semplice a fianco dello studio d'avvocato. A destra un granletto a due piazze sotto una cortina; una finestra. A sinistra una stufa con vasellame da cucina. Kristina è intenta ad incollare carta su una controfinestra. Nel fondo una porta aperta sullo studio; di fuori si vede povera gente che aspetta l'udienza.

KRISTINA                    - Incollo, incollo!

LA FIGLIA                   - (pallida e magra siede presso la stufa) Mi togli l'aria! Soffoco!...

KRISTINA                    - Ecco, ancora una piccola fessura!

LA FIGLIA                   - Aria, aria, non posso respirare!

KRISTINA                    - Incollo, incollo!

L’ AVVOCATO           - È giusto, Kristina; il calore costa caro!

LA FIGLIA                   - Oh, è come se tu m'incollassi la bocca!

L' AVVOCATO            - (si ferma sulla porta tenendo una carta tra le mani) Dorme il bimbo?

LA FIGLIA                   - Sì, finalmente!

L’ AVVOCATO           - (con dolcezza) Queste grida fanno scappar via i clienti!

LA FIGLIA                   - E che ci si può fare?

L’ AVVOCATO           - Nulla!

LA FIGLIA                   - Potremmo prendere un appartamento più grande!

L’ AVVOCATO           - Non abbiamo danaro!

LA FIGLIA                   - Posso aprire la finestra, quest' aria viziata mi soffoca?

L’ AVVOCATO           - Allora se ne andrà il caldo ed avremo freddo!

LA FIGLIA                   - È terribile!... Possiamo almeno far pulizia?

L’ AVVOCATO           - Tu non ce la fai a far pulizia, io neppure, e

KRISTINA                    - deve incollare; deve incollare tutta la casa, ogni fessura nel soffitto,  nel pavimento, sulle pareti!

LA FIGLIA                   - Ero preparata alla povertà, non alla sporcizia!

L’ AVVOCATO           - La povertà è sempre più o meno sporca!

LA FIGLIA                   - Tutto ciò è peggio di quel che avevo immaginato!

L’ AVVOCATO           - Ma non è ancora il peggio! Abbiamo infatti cibo nella  pentola!

LA FIGLIA                   - Ma quale cibo?...

L’ AVVOCATO           - II cavolo costa poco, è nutriente e buono!

LA FIGLIA                   - A chi piace il cavolo! Per me è nauseante!

L’ AVVOCATO           - Perché non 1' hai detto?

LA FIGLIA                   - Perché t' amavo! Volevo sacrificarti i miei gusti!

L’ AVVOCATO           - Allora dovrò sacrificare a te anche il mio gusto per il  cavolo! L'offerta deve essere reciproca!

LA FIGLIA                   - Cosa mangeremo dunque? Pesce? Ma tu odi il pesce.

L’AVVOCATO            - E poi è caro!

LA FIGLIA                   - Tutto questo è più difficile di quel che credevo!

L’AVVOCATO            - (affabilmente) Vedi, quanto è difficile la vita... E il bimbo che doveva essere il vincolo d' unione e la benedizione!... È stato la nostra rovina!

LA FIGLIA                   - Caro, io muoio in qucst' aria, in questa camera che guarda sul cortile, con queste grida di bimbo per ore interminabili, senza sonno; e poi quel

LA GENTE                   - là fuori con i loro dolori, le loro mi serie e le loro querele... Io muoio qui dentro!

L’ AVVOCATO           - Povero piccolo fiore, senza luce, senz' aria...

LA FIGLIA                   - E dici che v'è chi sta peggio!

L’ AVVOCATO           - Io sono tra i fortunati del quartiere.

LA FIGLIA                   - Tutto potrebbe andare, se potessi trovare almeno qual cosa di bello in casa!

L’ AVVOCATO           - So che desideri un fiore, in particolare un elitropio, ma costa una corona e cinquanta, cioè sei litri di latte e quattro ber rcttate di patate.

LA FIGLIA                   - Rimarrei volentieri senza mangiare pur d' avere il mio fiore.

L’ AVVOCATO           - Esiste una specie di bellezza che non costa nulla, e la cui assenza dalla casa costituisce il più grande tormento per un uomo dotato del senso del bello!

LA FIGLIA                   - E qual’è?

L’ AVVOCATO           - Se lo dico, ti adiri!

LA FIGLIA                   - Avevamo convenuto di non adirarci.

L’ AVVOCATO           - Avevamo convenuto... Tutto va bene, per ora, Agnes, ma non le parole brevi e duTc... le conosci? Non ancora!

LA FIGLIA                   - Non le udiremo mai!

L’AVVOCATO            - Mai per quel che mi riguarda!

LA FIGLIA                   - Parla dunque!

L’AVVOCATO            - Ecco; quando entro in una casa guardo subito come la tenda è appoggiata sul bracciolo a borchia... (si avvicina alla tenda della finestra e l'aggiusta) e se e disposta come una corda o uno strofinaccio... allora me ne vado immediatamente!... Poi do un'oc chiata alle sedie... sono a posto, allora ci rimango!... (aggiusta una sedia contro la parete) Quindi guardo le candele sui cande lieri... pendono, allora la casa va alla malora!... (aggiusta una candela sul cassettone) Questa è la bellezza, vedi, mia piccola amica, che non costa nulla!

LA FIGLIA                   - (china il capo sul petto) Niente parole brusche, Axell

L’AVVOCATO            - Non erano brusche!

LA FIGLIA                   - Sì, lo erano!

L’AVVOCATO            - Ma senti, diamine!

LA FIGLIA                   - Che modo di parlare è questo?

L’AVVOCATO            - Perdona, Agnes! Ma io ho sofferto per il tuo disordine quanto tu per la sporcizia! E non ho osato dare una mano per assestare la stanza, perché allora ti saresti offesa come se ti avessi rimproverata... Uff! La finiamo?

LA FIGLIA                   - È terribilmente difficile la vita coniugale... più difficile di tutto! Bisognerebbe essere angeli, credo!

L’AVVOCATO            - Si, anch' io!

LA FIGLIA                   - Dopo tutto ciò, mi pare di cominciare ad odiarti!

L’AVVOCATO            - Guai a noi!... Ma preveniamo l'odio! Prometto che non faro mai più osservazioni sul servizio... sebbene sia una tortura per me!

LA FIGLIA                   - Ed io mangerò cavolo, per quanto sia una sofferenza per me!

L’AVVOCATO            - Così, una vita in comune nel dolore! La gioia dell'uno, la pena dell'altro!

LA FIGLIA                   - Poveri uomini!

L’AVVOCATO            - Lo riconosci?

LA FIGLIA                   - Si, ma, in nome di Dio, evitiamo gli scogli, ora che li conosciamo cosi bene!

L’AVVOCATO            - Evitiamoli! Siamo in fondo degli esseri ragionevoli ed illuminati; potremmo anche perdonare e sopportare!

LA FIGLIA                   - Possiamo anche ridercela di certe piccolezze!

L’ AVVOCATO           - Noi, infine, lo possiamo!... Sai, leggevo stamane sul Mattino... «a proposito, dov'è il giornale?

LA FIGLIA                   - (impacciata) Quale giornale?

L’AVVOCATO            - (con durezza) Prendo mai più d'un giornale?

LA FIGLIA                   - Ridi ora, e non parlare con durezza... col tuo giornale ho fatto fuoco...

L’ AVVOCATO           - (adirato) Ma diamine!

LA FIGLIA                   - Ridi ora!... Lo bruciai, perché insultava ciò che per me  è sacro.

L’AVVOCATO            - E per me è profano! Su (batte le mani, fuori di sé)  Riderò tanto da far vedere i molari... sarò ragionevole, e nascon  derò le mie opinioni, e dirò di si a tutto e dissimulerò e farò  l'ipocrita! E così, tu hai bruciato il mio giornale! Bene! (rassetta  le cortine del letto) Guarda! Ora mi metto di nuovo a metter  ordine per farti adirare!... Agnes, questa vita è semplicemente  impossibile!

LA FIGLIA                   - Davvero!

L’ AVVOCATO           - Eppure, bisogna sopportare, non per il giuramento, ma per amore del bimbo!

LA FIGLIA                   - È vero! Per amore del bimbo. Oh! — Oh!... Dobbiamo sopportare!

L’ AVVOCATO           - E adesso devo andare dai miei clienti. Ascolta, bronto lano dall'impazienza di potersi dilaniare a vicenda, darsi ammende, mandarsi reciprocamente in galera... sciagurati...

LA FIGLIA                   - Poveri, poveri uomini! E costei che non fa altro che incol lare. (china il capo sul petto in tacita agitazione)

KRISTINA                    - Incollo! Incollo!

(L’avvocato rimane sulla porta e ne tocca nervosamente la maniglia)

LA FIGLIA                   - Oh, come stride questa serratura; sembra quasi che tu stringa le molle del mio cuore...

L’AVVOCATO            - Io stringo, stringo...

LA FIGLIA                   - Non farlo!

L’ AVVOCATO           - Io stringo...

LA FIGLIA                   - No!

L’ AVVOCATO           - Io...

L’ UFFICIALE             - (entrando dall'ufficio, mette la mano sulla maniglia) Permette!

L’AVVOCATO            - (lascia la maniglia) Favorisca! Dal momento che lei è laureato!

L’ UFFICIALE             - Ora la vita è tutta mia. Tutte le vie mi sono aperte, è asceso il Parnaso, l'alloro conquistato; l'immortalità, la gloria, tutto è mio!

L’AVVOCATO            - E Lei come vivrà?

L’ UFFICIALE             - Come vivere?

L’AVVOCATO            - Dovrà ben procurarsi abitazione, abiti, vitto?

L’ UFFICIALE             - Non mancheranno, purché qualcuno ci ami!

L’AVVOCATO            - Pensa cosf... Lo creda pure... Incolla, Pristina, incolla! Finché non potranno più respirare!  (esce retrocedendo, facendo cenni con la testa)

KRISTINA                    - Incollo, incollo! Finche non potranno più respirare!

L’UFFICIALE              - Vieni, con me?

LA FIGLIA                   - Subito! Ma dove?

L’UFFICIALE              - A Baiabella! Laggiù è estate, là splende il sole, vi si trovano gioventù, fanciulli e fiori; canto e danza, festa e allegria.

LA FIGLIA                   - Allora ci vengo!

L’ UFFICIALE             - Vieni!

L’ AVVOCATO           - (rientra) Ecco ritorno al mio primo inferno... questo è stato il secondo... e il maggiore! Il più dolce è il maggiore degli inferni... Ma guarda, essa ha di nuovo lasciato cadere in terra delle forcine!... (raccoglie qualcosa da terra)

L’ UFFICIALE             - Pensa, ha scoperto persino le forcine!...

L’AVVOCATO            - Persino?... Guardi questa! Due bracci, ma una forcina! Sono due ed una! Li raddrizzo e allora è un pezzo solo! Li piego, sono due, senza cessare di essere uno! Ciò vuoi dire: i due sono uno! Ma se la spezzo — qui! Allora sono due, due! (spezza la forcina, ne getta i pezzi)

L’ UFFICIALE             - Tutto questo ha veduto!... Ma prima di potersi spez zare, bisogna far divergere i bracci. Se convergono, restano uniti.

L’AVVOCATO            - E se sono paralleli — da non incontrarsi mai — allora non tengono ne si spezzano.

L’ UFFICIALE             - La forcina è la più perfetta delle cose create! Una linea retta che è uguale a due parallele!

L’AVVOCATO            - Una serratura che chiude quand'è aperta!

L’ UFFICIALE             - Aperta chiude una treccia di capelli che diviene aperta quando si chiude...

L’AVVOCATO            - Somiglia a quella porta! Quando la chiudo apro l'uscita, per te, Agnes!   (esce e chiude la porta)

LA FIGLIA                   - Dunque?

Cambiamento di scena: il letto con le cortine si trasforma in una tenda; la stufa rimane; il fondale si alza; si vedono a destra monti arsi con erica rossa e tronconi di alberi bianconeri, avanzi dell'incendio d'una foresta; porcili rossi e altri fabbricati. Tra questi una palestra da ginnastica medico meccanica all'aperto, dove alcune persone si esercitano su macchine che assomigliano a strumenti di tortura. A sinistra sul proscenio, parte del portico dell'edificio di quarantena con fornelli, muri di caldaie, tubazioni. Lo spazio intermedio rappresenta uno stretto di mare. Il fondo rappresenta una bella spiaggia alberata con pontili adorni di bandiere, ove sono ormeggiate barche bianche, parte con le vele issate, parte senza. Sulla spiaggia, tra il fogliame degli alberi. Si scorgono piccole ville italiane, padiglioni,chioschi, statue di marmo.

(il capo della quarantena vestito come un negro, cammina sulla spiaggia)

L’ UFFICIALE             - (si fa avanti e gli stringe la mano) Ordstròm! Tu sei sbarcato qui?

IL CAPO                       - Si, sono io!

L’ UFFICIALE             - È Baiabella questo luogo?

IL CAPO                       - No, dall'altra parte; questo è lo «Stretto della Vergogna»!

L’ UFFICIALE             - Allora noi ci siamo sbagliati!

IL CAPO                       - Noi? Non vuoi presentarmi?

L’ UFFICIALE             - No, non è possibile, (a mezza voce) È la figlia di Indra in persona!

IL CAPO                       - D'Indra? Credevo che fosse Waruna stesso!... Non ti stupisce dunque il mio viso nero?

L' UFFICIALE              - Caro mio, ho compiuto cinquant' anni, e allora non ci si meraviglia più di nulla! — Ho avuto subito l'impressione che tu dovessi andare ad una mascherata questo pomeriggio.

IL CAPO                       - Giustissimo! E spero che mi accompagnerete!

L’ UFFICIALE             - Certamente; perché qui... non è uno spettacolo molto attraente!... Che razza di gente vi abita?

IL CAPO                       - Qui stanno i malati, là i sani!

L’ UFFICIALE             - Qui dunque non ci sono che poveretti?

IL CAPO                       - No, caro mio, qui stanno, i ricchi! Guarda quello là sul cavalietto! Ha mangiato troppo fegato d'oca con tartufi ed ha bevuto troppo borgogna e gli si sono lignificati i piedi!

L’UFFICIALE              - Lignificati?

IL CAPO                       - Ha piedi di legno screziato!... E quello là che sta sulla ghigliottina, quello ha bevuto tanto Henncssy che gli devono spianare la spina dorsale.

L’UFFICIALE              - Ma nulla di bene!

IL CAPO                       - Del resto, abitano da questa parte tutti coloro che devono nascondere qualche miseria! Guarda quello che viene, per esempio!

(un vecchio zerbinotto è portato su una sedia a rotelle, seguito da una magra brutta civetta di sessant'anni, vestita all'ultima moda, corteggiata dall’amico sui quarant'anni)

L’UFFICIALE              - II maggiore! Il nostro compagno di scuola!

IL CAPO                       - Don Giovanni! Vedi, è ancora innamorato di quello spettro che è al suo fianco. Non vede che s'è invecchiata, che. è brutta, infedele, crudele!

L’UFFICIALE              - Questo è l'amore! E non avrei mai creduto che quel farfallone fosse capace d'amare con tanta intensità e sul seno!

IL CAPO                       - Un bel punto di vista!

L’UFFICIALE              - Io pure ho amato Vittoria... si, passeggio ancora nel corridoio per attenderla...

IL CAPO                       - Sei tu che passeggi nel corridoio?

L’UFFICIALE              - Sono io!

IL CAPO                       - Allora, non avete ancora aperto la porta?

L'UFFICIALE               - No, siamo in causa...

L’ATTACCHINO         - è andato via con la sua rete, si capisce, e cosi sono differite le deposizioni... nel frattempo

IL VETRAIO                - ha messo i vetri al Castello che è cresciuto di mezzo piano... È stato un anno eccezionalmente buono... caldo e umido!

IL CAPO                       - Non cosi caldo come là dentro, in casa mia!

L’UFFICIALE              - Che calore hai nelle stufe?

IL CAPO                       - Quando disinfettiamo cose sospette di colera, abbiamo ses santa gradi.

L’UFFICIALE              - È dunque ritornato un'altra volta il colera?

IL CAPO                       - Non lo sai?

L’UFFICIALE              - Certamente, ma dimentico cosi spesso ciò che so!

IL CAPO                       - Desidero spesso di poter dimenticare, soprattutto me stes so; perciò vado in cerca di mascherate, di travestimenti, di vita di società!

L’UFFICIALE              - Che t'è capitato dunque?

IL CAPO                       - Se ne parlo dicono che sono un fanfarone, se taccio mi  dicono ipocrita.

L’UFFICIALE              - E per questo ti sei annerito il viso?

IL CAPO                       - Un po' più nero del solito!

L’UFFICIALE              - Chi viene?

IL CAPO                       - Oh, è un poeta che deve fare il suo bagno di fango!

(il poeta con lo sguardo al cielo, porta un secchio di fango)

L’UFFICIALE              - Ma via, egli dovrebbe fare bagni di luce e d'aria!

IL CAPO                       - No, egli se ne sta sempre nelle regioni superne, e cosi  sente la nostalgia del fango... che fa la pelle dura come quella del porco a forza di rivoltarcisi. Per questo non sente le punture  dell'assillo!

L’UFFICIALE              - Che mondo meraviglioso di contraddizioni!

IL POETA                     - (estatico) Dalla creta il dio Ptah creò l'uomo su di un piatto da vasaio, sopra un tornio — (scettico) oppure su altra dia voleria del genere!... (estatico) Con la creta creò lo scultore il suo capolavoro più o meno immortale — (scettico) e spesso non è che robaccia! (estatico) Con l'argilla si fanno questi recipienti tanto necessari alla dispensa, i quali con un nome comune si chiamano vasi, piatti — (scettico) assai poco del resto m'importa come si chiamino! (estatico) Questa è l'argilla! Quando l'argilla è liquida si chiama fango. — “C'est mon affaire!”. (grida) Lina! 

(Lina entra con un secchio)

IL POETA                     - Lina, mostrati alla signorina Agnes! — Ti conobbi dieci anni fa quand'eri giovane, graziosa, e, diciamolo pure, una bella figliola... Guardate com'è ridotta! Cinque figli, fatiche, gridi, fame, legnate! Guardate come s'è dileguata la bellezza, com'è scomparsa la gioia, nell'adempimento dei doveri, che avrebbero dovuto dare la soddisfazione interiore, che si rivela nelle linee armoniche del volto e nel tranquillo fulgore dell'occhio...

IL CAPO                       - (gli mette la mano davanti alla bocca) Tieni la bocca chiusa! Taci!

IL POETA                     - Cosf dicono tutti! E quando si tace dicono: parla! Persone intrattabili!

LA FIGLIA                   - (si avvicina a Lina) Racconta le tue pene!

LINA                             -  No, non oso; perché mi capiterebbe di peggio!

LA FIGLIA                   - Chi è cosi crudele?

LINA                             - Non posso dirlo, perché poi mi darebbe legnate!

IL POETA                     - Cosi è! Ne parlerò io però, anche se il Moro mi farà saltare i denti dalla bocca!... Dirò che qualche volta vi sono delle iniquità... Agnes, figlia di Dio! Odi tu suon di musica e danza, su quel colle? — Bene! Festeggiano la sorella di Lina, che è tornata dalla città, dove s'era perduta, capisci... Ora s'uccide il vitello grasso; ma Lina, ch'è rimasta a casa, deve andare col secchio a dar da mangiare al porco!...

LA FIGLIA                   - Fanno festa in casa perché la donna perduta ha ab bandonato la cattiva strada; e non perché è ritornata a casa. Nota bene!

IL POETA                     - Ma allora date un pranzo ed un ballo tutte le sere per questa incontaminata lavoratrice, che non andò mai per la falsa strada, ecco... Non lo fanno: quando invece Lina è libera, deve andarsene in chiesa e sentirsi rimproverare, perché non è perfetta! È giustizia questa?

LA FIGLIA                   - Vi sono domande cui è molto difficile rispondere, perché... si presentano tanti casi imprevisti...

IL POETA                     - Tutto questo comprese però il califfo, Harumal Rascid! Egli se ne stava seduto tranquillo sul suo trono e di. lassù non vedeva mai come stavano coloro che si trovavano in basso! Alla fine le lagnanze raggiunsero i suoi orecchi. E un bel giorno scese, si travesti e andò tra il popolo senza essere riconosciuto per vedere come fosse amministrata la giustizia.

LA FIGLIA                   - LEI non crederà che io sia Harum il giusto?

L’UFFICIALE              - Parliamo d'altro!... Ecco, viene gente!(una barca, bianca a forma di drago, con vela di seta di un azzurro pallido sul pennone d'oro, con albero d'oro e banderuole rosa, scivola per lo stretto venendo da sinistra. Sono seduti al timone, abbracciati, le braccio intrecciate, lui e lei)

L’UFFICIALE              - Guarda, la perfetta felicità, la beatitudine senza con fini, il tripudio del giovane amore!   (sia luce sulla scena)

LUI                                -  (si alza in piedi nella barca e canta) Salve, Baiabella, dove la mia giovinezza vide le sue primavere, dove sognai i primi sogni rosati, ecco ritorno a te, non più solo come allora! Boschetti e baie, cielo e mare, salutatela! Amor mio, sposa mia! Sole mio, vita mia!

(dai pontili di Baiabella le bandiere salutano; bianchi fazzoletti sventolano dalle ville e dalla spiaggia e sullo stretto risuona un accordo d'arpe e violini)

IL POETA                     - Guardate come sono raggianti di felicità! Sentite che accordi musicali sull'acqua! Eros!

L’UFFICIALE              - È Vittorial

IL CAPO                       - E poi?

L’UFFICIALE              - La sua Vittoria; la mia è tutta per me! E la mia nessuno la può vedere!... Ora tu issa la bandiera della qua rantena, ed io tirerò la rete!

( il capo agita una bandiera gialla)

L’UFFICIALE              - (tira una fune e la barca si dirìge verso lo “Stretto della Vergogna») Fermi là!

(lui e lei s'accorgono del pauroso paesaggio e si comunicano il loro stupore)

IL CAPO                       - Proprio vero! È un bel sacrifìcio! Ma devono fermarsi qui tutti, tutti coloro che provengono da luoghi infetti!

IL POETA                     - Pensa, parlare in tal modo, agire cosi quando si ve dono due esseri uniti nell'amore! Non li toccare! Non toccare l'amore; è un crimine di lesa maestà!... Guai a noi! Tutto ciò che è bello sarà travolto nel fango!

(lui e lei  scendono a terra, tristi e vergognosi)

LUI                                -  Ahimè! Che male abbiamo fatto?

IL CAPO                       - Non è necessario aver fatto nulla per essere colpiti dai piccoli fastidi della vita!

LEI                                 - Cosi brevi sono la gioia e la felicità?

LUI                                -  Quanto tempo dovremmo rimanere qui?

IL CAPO                       - Quaranta giorni e quaranta notti!

LEI                                 - Allora è preferibile gettarsi in mare!

LUI                                -  Vivere qui, tra monti bruciai) e porcili?

IL POETA                     - L'amore vince tutto, anche il fumo dello zolfo e il fenolo!

IL CAPO                       - (accende il camino, si levano fiamme azzurre: di zolfo')  Ecco, accendo lo zolfo! Entrino, prego!

LEI                                 - Oh! La mia veste azzurra perderà il colore!

IL CAPO                       - E diverrà bianca! Anche le tue rose rosse diverranno bianche!

LUI                                -  Ed anche le tue guance! In quaranta giorni!

LEI                                 - (all’Ufficiale ) Ciò ti farà piacere!

L’UFFICIALE              - No, non e cosi! La tua felicità è stata invero la fonte del mio dolore, ma non fa niente, io sono ora laureato, e d'altra parte ho una posizione. Oh! si sì, e in autunno avrò un posto in una scuola per studiare insieme con i ragazzi le medesime lezioni che studiai nella mia infanzia, durante tutta la mia giovinezza, ed ora studierò di nuovo le stesse lezioni per tutta l'età matura e infine nella mia vecchiaia, le stesse lezioni: quanto fa due volte due? Quante volte sta esatta mente il due nel quattro?... Finché andrò in pensione e me ne starò — in ozio ad aspettare i pasti e i giornali fino a che, infine, sarò portato alla cremazione e sarò bruciato... Non avete qui alcun pensionato? Questa è la cosa peggiore dopo due volte due che fanno quattro; ricominciare la scuola, quando si è laureati; fare sempre le stesse domande finché si muore.

(un signore piuttosto anziano  passa, tenendo le mani dietro la schiena) Guardi, ecco un pensionato e attende la fine della vita; sarà certamente un capitano che non è passato maggiore, o un referendario che non è passato procuratore — molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti... Passeggia e attende l'ora della colazione...

IL PENSIONATO        - No, il giornale! Il giornale del mattino!

L’UFFICIALE              - E non ha che cinquantaquattro anni; ne può vivere ancora venticinque e aspetterà sempre l'ora dei pasti e il gior nale... non è terribile?

IL PENSIONATO        - Che cosa c'è dunque che non sia terribile? Dite, dite, dite!

L’UFFICIALE              - Oh, lo dica chi lo sa!... Ora io studierò insieme con i ragazzi due volte due fan quattro! Quante volte entra il due nel quattro? (si prende il capo tra le mani, disperato) E Vittoria, che amavo e a cui auguravo la più grande felicità su questa terra... Ora essa ha la felicità, la massima che si possa conoscere e per questo soffro... soffro, soffro!

LEI                                 - Credi che io possa essere felice quando ti vedo soffrire? Come puoi pensarlo? Consolerà forse il tuo dolore sapere che dovrò ri manere qui prigioniera per quaranta giorni e quaranta notti? Dimmi, questo consolerà il tuo dolore?

L'UFFICIALE               - Sì e no! Non posso aver gioia quando tu soffri! Ohi

LEI                                 - E credi che la mia felicità si possa costruire sul tuo dolore?

TUTTI                            (sollevano le mani verso il ciclo e mandano un grido di do lore simile a un accordo stonato) Oh!

LA FIGLIA                   - Eterno, ascoltali! La vita è cattiva! Che pietà fanno gli uomini!

TUTTI                            - Oh!

Per un momento buio profondo sulla scena mentre tutti i presenti si dileguano o cambiano posto.Quando ritorna la luce, si vede nel fondo la spiaggia dello «Stretto della Vergogna», ma in ombra. Nel mezzo lo stretto di mare, «Baiabella» è in primopiano, in piena luce. A destra un'ala del casino con le finestre aperte; si scorgono coppie che ballano nell'interno. Sedute sopra una cassa vuota  tre ragazzi, tenendosi per la vita, guardano la danza. Sullo scalone del casinò una panca su cuie seduta la brutta Edith, a capo scoperto, triste, con i capelli scoiirolli. Davanti a lei  un pianoforte aperto. A sinistra una casa di legno, gialla.fuori, due fanciulli, in abiti estivi, giocano a palla. Nel fondo, in primo piano, un imbarcadero con barelle bianche, pennoni conbandiere. Al largo, nello stretto, una bianca nave da guerra, attrezzata come unbrigantino, con portelli per cannoni. Ma tutto il paesaggio ha un aspetto invernale, neve sugli alberi spogli e in terra.

Entrano la figlia e l’ufficiale.

LA FIGLIA                   - Qui pace e felicità del tempo di vacanza! Il lavoro è cessato; ogni giorno è festa; gli uomini indossano abili splendidi, musiche e danze sin dal mattino, (alle ragazze) Perché non entrate a ballare, ragazze?

LA RAGAZZA             - Noi?

L’UFFICIALE              - Sono domestichel

LA FIGLIA                   - È vero!... Ma perché Edith rimane là seduta invece di andare a ballare?  (Edith nasconde il volto, tra le mani)

L’UFFICIALE              - Non chiederglielo! È rimasta seduta per tre ore senza  essere invitata...  (entra nella casa gialla a sinistra)

LA FIGLIA                   - Che divertimento crudele!

LA MADRE                  - (entra; con abito scollato, si avvicina a Edith) Perché non entri, come t'avevo detto?

EDITH                           - Perche non posso invitarmi da me. Che io sia brutta, lo so; e per questo nessuno vuoi ballare con me, ma avrei potuto fare a meno di ricordarmelo!(comincia a suonare sul piano «Toccata con fuga n. 10» di Seba stiano Bach.

Dall'interno del salone risuonano le note d'un valzer, prima sommesse, poi gradualmente salgono di tono quasi volessero sfidare la “Toccata” di Bach. Edith continua a suonare e sì sforza di sopraffare il valzer. Appaiono sulla porta coppie di ballerini che ascoltano la musica; tutti sulla scena stanno ad ascoltare con devozione)

UN UFFICIALE DI MARINA (prende Alice per la vita, una delle ospiti della sala da ballo, e la conduce al pontile) Suvvia, vieni! (Edith smette di suonare, si alza e li guarda disperata. Rimane m piedi come pietrificata)

Ora viene tolta la parete della casa gialla. Si vedono tre banchi di scuola su cui sono seduti ragazzi; fra essi è l’ufficiale e appare turbato e triste. Dinanzi a loro il maestro con gli occhiali, il gesso e la bacchetta in mano.

IL MAESTRO               - (all’ufficiale) Allora, ragazzo mio, sai dirmi quanto fa due volte due? (l’ufficiale rimane seduto; cerca la risposta, con un doloroso atteggiamento del volto, senza trovarla)

IL MAESTRO               -  Devi alzarti, quando sei interrogato.

L’UFFICIALE              - (s'alza addolorato) Due... volte due... Mi faccia ve dere!... Fa due due.

IL MAESTRO               - Cosi! Non hai studiato la lezione!

L’UFFICIALE              - (vergognoso) Si, l'ho studiata, ma... Non so come sia, ma non so ripeterla...

IL MAESTRO               - Mi vuoi ingannare! Lo sai e non sai dirlol Forse potrò aiutarti! (con energia tira i capelli all’ufficiale)

L’UFFICIALE              - Oh, è terribile, è terribile!

IL MAESTRO               - Si, è terribile che un ragazzone cosi grande e grosso non abbia un po' di amor proprio...

L’UFFICIALE              - (addolorato) Un ragazzo grande, si, io sono grande, assai più grande degli altri, io sono adulto, ho terminato la scuola... (come svegliandosi) — ma sono laureato... Perché allora mi trovo qui? Non sono dunque stato promosso?

IL MAESTRO               - Certamente, ma devi sedere qui e maturare, vedi. Devi maturare... Non e forse giusto?

L’UFFICIALE              - (si passa la mano sulla fronte') Sì, è giusto, bisogna maturare... Due volte due... fa due, e lo dimostrerò per analo gia, la migliore di tutte le prove! Senta un po'!... Una volta uno fa uno, quindi due volte due fa due! Perché ciò che vale per uno deve valere anche per l'altro!

IL MAESTRO               - La prova è pcrfcl'iarncnte conforme alle leggi della logica, ma la risposta non è giusta!

L’UFFICIALE              - Ciò che è conforme alle leggi della logica non può essere mcn che giusto! Proviamo! Uno diviso uno ci sta una volta, quindi due diviso due ci sta due volte!

IL MAESTRO               - Perfettamente giusto secondo la prova dell'analogia. Ma quanto fa una volta tre?

L’UFFICIALE              - Tre!

IL MAESTRO               - Quindi due volte tre fa pure tre!

L’UFFICIALE              - (riflettendo) No, non può essere giusto... non può... oppure anche... (siede, disperandosi) No, non sono ancora maturo!

IL MAESTRO               - No, non sei maturo ancora...

L’UFFICIALE              - Ma per quanto tempo dovrò rimanere qui, dunque?

IL MAESTRO               - Quanto tempo? Credi che il tempo e lo spazio esistano?... Supponi che il tempo esista, sai dirmi allora che cosa sia il tempo? Che cos'è il tempo?

L’UFFICIALE              - Tempo... (pensa) Non lo so dire, ma so che cosa sia: ergo io posso sapere quanto fa due volte due senza che io lo sappia dire. Sa dirmi, maestro, che cosa sia il tempo?

IL MAESTRO               - Certo che lo So!

TUTTI I RAGAZZI      - Lo dica, allora!

IL MAESTRO               - II tempo?... Vediamo! (rimane in piedi immobile col dito sul naso) Mentre parliamo il tempo fugge. Dunque il tem po è qualcosa che fugge mentre parlo!

UN RAGAZZO            - (s'alza) Ora  il maestro parla e mentre il maestro parla io fuggo; quindi io sono il tempo!

(fugge) 

IL MAESTRO               - Giustissimo secondo le leggi della logica!

L’UFFICIALE              - Ma allora le leggi della logica sono insensate, perché Nils, che è fuggito, non può essere il tempo!

IL MAESTRO               - Eppure, ciò è giustissimo secondo le leggi della lo gica, sebbene insensato.

L’UFFICIALE              - Dunque la logica è pazza!

IL MAESTRO               - Sembra proprio cosi! Ma se è pazza la logica, tutto il mondo è pazzo... e allora che diavolo sto a fare qui per inse gnarvi delle sciocchezze!... Se qualcuno m'invita a bere un cicchet to, potremo andare a fare il bagno!

L’UFFICIALE              - Questo è un “posterius prius” oppure un mondo al la rovescia, perché prima ci si bagna e poi si beve un cicchetto! Vecchio stupidone!

IL MAESTRO               - Dottore, non sia presuntuoso!

L’UFFICIALE              - Ufficiale, prego! Io sono ufficiale, e non comprendo perché ini trovi qui a prendere sgridate tra i ragazzi di scuola...

IL MAESTRO               - (alzando il dito) Dobbiamo maturare!

IL CAPO                       - (entra) Comincia la quarantena!

L’UFFICIALE              - Ma guarda, sei tu! Pensa, costui mi fa stare sui banchi di scuola, sebbene io sia laureato!

IL CAPO                       - Oh, ma perché non te ne vai via?

L’UFFICIALE              - Dimmi dove!... Andare via? Non è tanto facile!

IL MAESTRO               - No, penso di no! Cerca!

L’UFFICIALE              - (al cafo) Salvami! Salvami dagli occhi di costui!

IL CAPO                       - Vieni via!... Vieni e aiutaci a ballare... Dobbiamo ballare prima che scoppi la peste! Ecco!

L’UFFICIALE              - II brigantino dunque partirà?

IL CAPO                       - Prima il brigantino partirà!... Quante lacrime, si capisce!

L’UFFICIALE              - Sempre lacrime: quando si arriva e quando si parte!...  Andiamo!

(escono. Il maestro continua in silenzio la sua lezione)

(le ragazze che erano vicino alla finestra della sala da ballo, tristi,  si recano al pontile; Edith, che era rimasta in piedi impietrita  presso il piano, le segue)

LA FIGLIA                   - (all’ufficiale) Non si trova dunque nessun essere felice  in questo paradiso?

L’UFFICIALE              - Si, ecco due sposi novelli! Ascoltiamoli!

(entrano gli sposi novelli)

IL MARITO                  - (alla moglie) La mia felicità è talmente sconfinata che vorrei morire...

LA MOGLIE                 - Perché morire?

IL MARITO                  - Perché in grembo alla felicità germina il seme dell'in felicità; e la felicità si consuma da sé, come la fiamma... che non può ardere eternamente, ma deve spegnersi; questo presen timento della fine annulla la felicità quand'è al culmine.

LA MOGLIE                 - Moriamo insieme, subito!

IL MARITO                  - Morire? Va bene! Perché temo la felicità! La sedut trice! (vanno verso il mare)

LA FIGLIA                   - (all’ufficiale) La vita è cattiva! Che pena fanno gli uomini!

L’UFFICIALE              - Guarda colui che viene! È il più invidiato dei mortali in questo luogo!

(entra IL CIECO, condotto per mano) Egli possiede tutti questi cento villini italiani; possiede tutti questi bracci di mare, queste baie, queste spiagge e boschi, con i pesci dell'acqua e gli uccelli dell'aria e la selvaggina della foresta. Migliala di uomini sono suoi fittavoli e il sole sorge sul suo mare e tramonta sulle sue terre...

LA FIGLIA                   - Ebbene, anche lui si lamenta?

L’UFFICIALE              - Sì, e con ragione, perché non può vedere!

IL CAPO                       - È cieco!...

LA FIGLIA                   - II più invidiato di tutti!

L’UFFICIALE              - Ora egli vedrà partire il brigantino su cui si trova suo figlio!

IL CIECO                      - Io non vedo, ma odo. Odo l'artiglio dell'ancora raspare sul fondo fangoso come quando si tira via l'amo da un pesce e gli si strappa il cuore dalla gola!... Mio figlio, il mio unico figlio, partirà per terre straniere sul vasto mare; potrò solo se guirlo coi mici pensieri... Ora sento stridere la catena... e... qualche cosa che sventola e sbatte come biancheria stesa sulle  corde ad asciugare, forse fazzoletti bagnati... e sento singhiozzi e sospiri come quando uomini piangono... sarà forse il risciacquio delle piccole onde contro la chiglia oppure saranno le ra gazze della spiaggia... le abbandonate... le inconsolabili... Chiesi una volta a un bambino perché mai il mare fosse salato e il bambino che aveva il padre marinaio rispose subito: il mare è salato perché i marinai piangono tanto. E perché i marinai pian gono tanto?... Si, rispose, perché devono sempre partire... E per questo mettono sempre i fazzoletti ad asciugare sugli alberi della nave!... Perché si piange quando si e tristi, domandai ancora?.., Ecco, disse, perché qualche volta bisogna lavare gli occhiali per vederci meglio!...(il brigantino ha spiegato le vele e scivola via; le ragazze sulla spiaggia agitano i fazzoletti e ogni tanto si asciugano le lacrime. Ora sull'albero di prua si issa il segnale “Si”, un disco rosso sul fondo bianco! Alice agita il fazzoletto in segno di festa per rispondere)

LA FIGLIA                   - (all’ufficiale) Che significa quella bandiera?

L’UFFICIALE              - Significa «si». È il «si» del tenente, rosso, come il sangue rosso del cuore segnato sulla coperta azzurra del cielo!

LA FIGLIA                   - E com'è il “no” ?

L’UFFICIALE              - È azzurro come il sangue viziato delle vene azzurre... ma vedi com'è contenta Alice?

LA FIGLIA                   - E come piange Edith!...

IL CIECO                      - Incontrarsi e separarsi! Separarsi e incontrarsi! Ecco la vita! Io incontrai sua madre! E lei poi se ne andò! Mi rimaneva il figlio; ora se n'è andato!

LA FIGLIA                   - Ritornerà!...

IL CIELO                      - Chi mi parla? Ho udito un giorno questa voce! Nei miei sogni, nella mia giovinezza, quando cominciavano le va canze d'estate, al tempo delle mie nozze, quando nacque mio figlio; ogni volta che la vita mi sorrideva, sentivo questa voce, come un dolce vento del sud, come un accordo d'arpa sceso dal cielo, come immagino sia il coro degli angeli la notte di Natale...

(l’avvocato entra, si avvicina al cieco, gli sussurra qualche cosa)

IL CIECO                      - Davvero!

L’AVVOCATO            - Sì, è cosi! (s'avvicina alla figlia) Tu hai veduto molte cose, ma non hai ancora provato le peggiori.

LA FIGLIA                   - Che sarà mai?

L’AVVOCATO            - Ricapitolare... ripetere!... Tornare indietro! Studiare di nuovo la lezione! Vieni!

LA FIGLIA                   - Dove?

L’AVVOCATO            - Ai tuoi doveri!

LA FIGLIA                   - Che cosa sono?

L’AVVOCATO            - Tutto ciò che ti mette orrore! Tutto ciò che non vuoi e che devi! La rinuncia, l'abnegazione, la privazione, andar via... tutto ciò che è sgradevole, disgustoso, penoso...

LA FIGLIA                   - Non ci sono doveri gradevoli?

L’AVVOCATO            - Diventano gradevoli quando sono stati adempiuti...

LA FIGLIA                   - Quando non esistono più. Il dovere è perciò sgrade vole! Che cosa è dunque gradevole?

L’AVVOCATO            - Gradevole è il peccato.

LA FIGLIA                   - II peccato?

L’AVVOCATO            - Che sarà punito, già! Ho trascorso un giorno piace vole e una piacevole notte, il giorno successivo un dolore d'in ferno e una cattiva coscienza.

LA FIGLIA                   - Strano!

L’AVVOCATO            - Sì, mi desto al mattino col mal di capo; e poi co mincia la ripetizione, quella terribile ripetizione. E cos'i tutto ciò che ieri era bello, piacevole, allegro, stamattina nel ricordo si presenta brutto, ripugnante, stupido. Cosi il piacere marcisce e la gioia si frantuma. Ciò che gli uomini chiamano successo è sempre motivo di avversità. I successi che riportai nella mia vita furono la mia rovina. Gli uomini hanno un odio istin tivo per la prosperità altrui; sembra loro ingiusto che il destino favorisca qualcuno, e perciò cercano di rimettere l'equilibrio, col gettar pietre sulla sua via. Avere ingegno è pericoloso perché può capitare di morire di fame!... Intanto, ritorna ai tuoi do veri, altrimenti ti citerò in giudizio, e passeremo per tutt'e tre  le istanze, una, due, tre!

LA FIGLIA                   - Ritornare? Al camino con la pentola dei cavoli, gli abitini del bambino...

L’AVVOCATO            - Sicuro! Oggi faremo bucato grosso, laveremo tutti i  fazzoletti...

LA FIGLIA                   - Oh! Dovrò occuparmi ancora di queste cose?

L’AVVOCATO            - Tutta la vita non è che ripetizione... Guarda quel  maestro... ieri fu laureato, ebbe la corona d'alloro, il colpo di  cannone, sali sul Parnaso e fu abbracciato dal monarca... ed  oggi ricomincia ad andare a scuola, domanda quanto fa due volte due, e cosi fino alla morte... Intanto, torna indietro, a casa tua!

LA FIGLIA                   - Allora preferisco morire!

L’AVVOCATO            - Morire? Non si può! Perché, prima di tutto è una cosa disonorevole, tanto che la salma sarebbe oltraggiata, e poi... si è maledetti!... È peccato mortale!

LA FIGLIA                   - Non è facile la vita dell'uomo.

TUTTI                            - Bene!

LA FIGLIA                   - Non ritorno all'abiezione e alla sporcizia con voi!.., Voglio ritornare lassù, donde sono venuta, ma... prima biso gnerà aprire la porta perché io possa conoscere il segreto... Vo glio che la porta si apra!

L’AVVOCATO            - Dovresti ritornare allora sui tuoi passi, rifare la stessa strada e sopportare le contrarietà del processo, le ripetizioni, le trascrizioni, le repliche...

LA FIGLIA                   - Sarà cosi, ma andrò prima nella solitudine e nel de serto, per ritrovare me stessa! Arnvederci! (al poeta) Seguimi! (voci di dolore dal fondo, in lontananza: “Ahime! Ahimè! Ahimè!”)

LA FIGLIA                   - Che cosa c'è?

L’AVVOCATO            - Sono gl'infelici dello «Stretto della Vergogna»!

LA FIGLIA                   - Perché oggi si lamentano più del solito?

L’AVVOCATO            - Perché qui splende il sole, perché c'è musica, danza, giovinezza! Allora essi vedono ancora più grandi i propri dolori!

LA FIGLIA                   - Dovremmo liberarli!

L’AVVOCATO            - Provaci! Venne una volta un salvatore, ma fu croci fisso!

LA FIGLIA                   - Da chi?

L’AVVOCATO            - Da tutti i benpensanti!

LA FIGLIA                   - Chi Sono?

L’AVVOCATO            - Non conosci tutti i benpensanti? Allora li conoscerai!

LA FIGLIA                   - Sono coloro che ti hanno rifiutato la laurea?

L’AVVOCATO            - Sì!

LA FIGLIA                   - Allora li conosco!Una spiaggia mediterranea. A sinistra, sul proscenio, un muro bianco, da misporgono alberi di aranci con frulli. Sul fondo ville e casinò con terrazzi. A destra, un grosso mucchio di carbon fossile con due camole. Nel fondo, a destra,un lembo di mare azzurro.

Due carbonai nudi fino alla cintola, con viso, mani e le parti nude del dorso completamente nere, sono seduti, ciascuno sulla propria carriola, in preda alla disperazione. 

(la figlia e l’avvocato  nel fondo)

LA FIGLIA                   - Ma questo è il paradiso!

PRIMO CARBONAIO        - È un inferno.

SECONDO CARBONAIO Quarantotto gradi all'ombra!

PRIMO CARBONAIO        - Andiamo al mare?

SECONDO CARBONAIO Allora verrà la polizia! Qui non si può fare il bagno!

PRIMO CARBONAIO        - Non si può cogliere neppure un frutto dal l'albero?

SECONDO CARBONAIO No, allora verrà la polizia.

PRIMO CARBONAIO        - Ma non posso lavorare con questo caldo; me ne vado.

SECONDO CARBONAIO Allora verrà la polizia e ti arresterà... (pausa) E rimarrai inoltre senza mangiare...

PRIMO CARBONAIO        - Senza mangiare? Noi che lavoriamo di più, mangiamo di meno; e i ricchi che non fanno nulla, hanno di più... Non si potrebbe — senza scostarci troppo dalla verità — asserire che ciò è ingiusto?... Che ne dice la figlia degli Dei?

LA FIGLIA                   - Rimango senza risposta!... Ma dimmi, che hai fatto che sei cosi nero e la tua sorte è così dura?

PRIMO CARBONAIO        - Che cosa abbiamo fatto? Siamo nati da geni tori poveri e un po' cattivi... Forse condannati un paio di volte!

LA FIGLIA                   - Condannati?

PRIMO CARBONAIO        - Si; gli impuniti stanno lassù al casinò e man giano otto piatti con vino.

LA FIGLIA                   - (all’avvocato) Può essere vero?

L’AVVOCATO            - Press'a poco, sì.

LA FIGLIA                   - Non pensi che ogni uomo talvolta si sia meritato la  prigione?

L’AVVOCATO            - Si.

LA FIGLIA                   - Anche tu?

L’AVVOCATO            - Sì.

LA FIGLIA                   - È vero che questi poveri uomini non possono bagnarsi nel mare?

L’AVVOCATO            - Si; neppure con gli abiti indosso! Solo chi si vuole affogare evita la multa. Ma poi bisogna fare i conti con la polizia!

LA FIGLIA                   - Non possono uscire di città e bagnarsi là fuori, m aperta campagna?

L’AVVOCATO            - Non esiste aperta campagna, tutto è chiuso!

LA FIGLIA                   - Là fuori all'aperto, dico!

L’AVVOCATO            - Non esiste nulla che sia libero, tutto è occupato!

LA FIGLIA                   - Anche il. mare, il grande, il vasto...

L’AVVOCATO            - Tutto! Tu non puoi andare con una barca sul mare e approdare a terra senza che questo fatto sia registrato e col pito da una tassa. Ecco il bello!

LA FIGLIA                   - Ma questo non è il paradiso!

L’AVVOCATO            - No, sfido!

LA FIGLIA                   - E perché gli uomini non fanno nulla per migliorare la propria condizione...

L’AVVOCATO            - Certo che lo fanno, ma tutti i riformatori finiscono in prigione o al manicomio...

LA FIGLIA                   - Chi li mette in prigione?

L’AVVOCATO            - Tutti i benpensanti, gli uomini probi...

LA FIGLIA                   - Chi li manda al manicomio?

L’AVVOCATO            - La loro disperazione nel vedere i loro tentativi senza speranza!

LA FIGLIA                   - E a nessuno è venuto in mente che, per ragioni occulte, le cose debbano essere proprio come sono?

L’AVVOCATO            - Si, coloro che stanno bene la pensano sempre cos(!

LA FIGLIA                   - Che le cose stiano bene come sono?

PRIMO CARBONAIO        - Eppure, noi siamo le colonne della società; se non vi si portasse il carbone si spegnerebbe il fornello in cu cina, il caminetto nella stanza, le macchine nella fabbrica; al lora si spegnerebbe la luce per la strada, nella bottega, in casa; tenebre e freddo piomberebbero su voi... e per questo sudiamo come all'inferno per trasportare nero carbone... Che ci date voi in cambio?

L’AVVOCATO            - (alla figlia) Aiutali... (pausa) Che la vita non possa essere uguale per tutti, lo capisco; ma che ci debbano essere delle disuguaglianze simili...

(il signore e la signora traversano la scena)

LA SIGNORA              - Vieni a fare una partita?

IL SIGNORE                - No, bisogna che taccia una passeggiatina per poter mangiare a pranzo!

PRIMO CARBONAIO        - Per poter mangiare a pranzo?

SECONDO CARBONAIO Per poter...?

(entrano alcuni bambini; gridano di paura non appena vedono i neri operai)

PRIMO CARBONAIO        - Gridano, appena ci vedono! Gridano...

SECONDO CARBONAIO Puah!... Bisognerebbe metter fuori dei patiboli per fare operare subito questo corpo corrotto...

PRIMO CARBONAIO        - Puah! Lo dico anch'io! Puah!

L’AVVOCATO            - (alla figlia) Tutta una pazzia! Gli uomini non sa rebbero tanto cattivi... ma...

LA FIGLIA                   - Ma...

L’AVVOCATO            - Ma l'amministrazione...

LA FIGLIA                   - (nasconde il viso ed esce) Questo non è il paradiso!i 

CARBONAI                 - ... No, è l'inferno, questo)

La grotta di Finga!. Lunghe onde verdi penetrano adagio nella grotta; nel proscenio galleggia sulle onde un gavitello dipinto dì rosso, ma non manda suon iche al momento voluto. Musica del venti. Musica delle onde.

IL POETA                     - Dove mi hai condotto?

LA FIGLIA                   - Lontano dal brontolio e dai lamenti dei figli dell'uomo; agli estremi confini dell'oceano, a questa grotta che noi chia miamo «Orecchio d'Indra», poiché si dice che il Signore del Cielo ascolti qui i lamenti dei mortali!

IL POETA                     - Come? Qui?

LA FIGLIA                   - Non vedi che questa grotta è costruita come una con chiglia? Ecco, lo vedi. E non sai che il tuo orecchio è fatto come una conchiglia? Lo sai, ma non ci hai mai pensato, (raccoglie una conchiglia dalla riva') Da piccino, non hai mai tenuto una conchiglia contro l'orecchio e udito... udito sussurrare il sangue del tuo cuore, mormorare i tuoi pensieri nel cervello, screpo larsi mille piccoli filamenti nei tessuti del tuo corpo... .Tutto ciò ascolti in una piccola conchiglia, immagina dunque che cosa non. dovrai udire in una cosi grande...

IL POETA                     - (ascolta) Non odo nulla, fuorché il sibilo del vento...

LA FIGLIA                   - Allora farò io da interprete! Ascolta! Il lamento dei venti! 

(recita con musica sommessa)

Nati sotto le nuvole del ciclo,  fummo cacciati dai fulmini d'Indra  giù su questa terra polverosa...  Il fimo dei campi i piedi c'imbrattò;  la polvere delle strade,  i fumi della città,  aliti cattivi,  odor di cucina, vapori di vino  dovemmo sopportar...  Fuori sul vasto mare cercammo  l'aria per i nostri polmoni,  per scuotere le ali,  e lavare i nostri piedi.  Indra, Signor del Cielo,  ascoltaci!  Ascolta i nostri sospiri!  La terra non è pura,  la vita non è buona,  cattivo non è l'uomo,  buono neppure.  Vive come può,  un giorno dopo l'altro.  I figli della polvere sulla polvere vanno,  dalla polvere nati  alla polvere tornando.  Piedi ebbero per marciare,  non ali.  S'infangano,  la colpa è loro  o tua?

IL POETA                     - Cosi una volta ho udito...

LA FIGLIA                   - Silenzio, i venti cantano ancora!  (recita, con musica sommessa)  Noi venti, figli dell'aria,  portiamo il pianto dell'uomo.  Ci udivi  nel tubo del camino le sere d'autunno,  ai portelli della stufa,  alla fessura della finestra,  quando la pioggia fuori piangeva sui tegoli del tetto;  oppure le sere d'inverno  sulla foresta di pini nevosa,  sul tempestoso mare  udisti pianto e gemito  sulla sartia e sulla vela...  Siamo noi venti,  i figli dell'aria,  che dai petti dell'uomo  che traversammo  questi suoni imparammo del dolore...  Nell'infcrmeria, sul campo di battaglia,  nelle camere dei bimbi soprattutto  dove i neonati gemono,  piangono, gridano  per il dolore d'essere nati. .  Siamo noi, noi, i venti  fischianti, urlanti  ohimè, ohimè, ohimè!

IL POETA                     - Mi sembra che dianzi...

LA FIGLIA                   - Silenzio! Cantano le onde!  (recita, con musica sommessa)  Siamo noi, noi, le onde,  cullanti i venti  per il riposo!  Verdi culle, le onde.  Umide siamo, e salse;  somigliamo alle fiamme del fuoco;  umide fiamme noi siamo.  Spegnenti, brucianti,  311  lavanti, bagnanti,  generanti, germinanti.  Noi, noi, le onde,  cullanti i venti  per il riposo!

LA FIGLIA                   - Perfide onde e infedeli; tutto ciò che non brucia sulla terra affoga nelle onde. Guarda, (indica un rottame) Ecco ciò . che il mare ha saccheggiato e spazzato via... Delle navi afion date non rimangono che le polene... e i nomi: “Giustizia”, “Amicizia”, “Aurea Pace”, “Speranza” — questo è tutto quel che rimane della speranza!... dell'ingannevole speranza... Di scollati, scalmi, gottazze! E guarda: la boa... ha salvato se stes sa, ma ha lasciato morire i naufraghi!

IL POETA                     - (cerca tra i rottami) Ecco l'insegna della nave “Giu stizia”. La stessa nave che lasciò Baiabella col figlio del cieco. Naufragata, dunque! E a bordo si trovava il fidanzato di Alice, l'amore senza speranza di Edith.

LA FIGLIA                   - II cieco? Baiabella? Devo aver sognato! E il fidanzato di Alice, la brutta Edith, lo Stretto della Vergogna e la quarantena, lo zolfo e il fenolo, la proclamazione dei laureati in chiesa, lo studio d'avvocato, il corridoio e Vittoria, il Castello Crescente e  l’ufficiale….. Tutto ciò ho sognato...

IL POETA                     - Su tutto questo una volta feci una poesia!

LA FIGLIA                   - Dunque sai che cos'è poesia...

IL POETA                     - Io so che cos'è sogno... Che cos'è poesia?

LA FIGLIA                   - Non realtà, ma più della realtà... non sogno, ma sogni da svegli...

IL POETA                     - E gli esseri umani credono che noi poeti non facciamo altro che scherzare... inventare e fantasticare.

LA FIGLIA                   - Ciò è bene, amico mio, altrimenti il mondo diverrebbe un deserto per mancanza di spirito d'iniziativa. Tutti se ne starebbero a pancia all'aria a guardare il ciclo; nessuno mette rebbe mano all'aratro e alla vanga, alla pala e alla zappa.

IL POETA                     - E questo lo dici tu, figlia d'Indra, che per metà hai la tua casa in cielo...

LA FIGLIA                   - Hai ragione di rimproverarmi; sono rimasta troppo tempo quaggiù e ho fatto troppi bagni di fango come te... I miei pensieri non sanno più volare; fango sulle ali... terra ai piedi... e io stessa (solleva le braccio) io affogo, affogo... Aiutami, padre, Dio del Cielo! (silenzio) Non odo più la sua ri sposta! L'etere non porta più il suono delle sue labbra alla con chiglia del mio orecchio... il filo d'argento s'è spezzato... Ahimè, sono vincolata alla terra!

IL POETA                     - Desideri salire... presto?

LA FIGLIA                   - Non appena avrò bruciato questa polvere... Perché l'ac qua dell'oceano non mi potrebbe purificare. Perché me lo chiedi?

IL POETA                     - Perché avrei... una preghiera... una supplica...

LA FIGLIA                   - Che supplica...

IL POETA                     - Una supplica dell'umanità al padrone del mondo, com posta da un sognatore!

LA FIGLIA                   - Dovrà essere presentata da...?

IL POETA                     - Dalla figlia di Indra...

LA FIGLIA                   - Puoi dire il tuo poema?

IL POETA                     - Sì!

LA FIGLIA                   - Recitalo dunque!

IL POETA                     - Recitalo tu, piuttosto!

LA FIGLIA                   - Dove dovrò leggerlo?

IL POETA                     - Nei miei pensieri, oppure qui! (presenta un rotolo di carta)

LA FIGLIA                   - Va bene, lo reciterò! (prende il foglio, ma recita a memoria) Perché nascere devi con dolore, perché tormenti tua madre, essere umano, quando le dai la gioia della maternità, la gioia di tutte le gioie? Perché ti desti alla vita, perché saluti la luce, con un grido d'ira e di dolore? Perché non sorridi alla vita, essere umano, quando il dono della vita deve essere la gioia stessa? Perché nasciamo come le fiere, noi d'origine divina e stirpe umana? Altra veste lo spirito esige, non questa di sangue e di fango! L'immagine di Dio cambierà denti... ... Silenzio, temerario... la creatura non biasimi il creatore! Nessuno ha sciolto ancora l'enigma della vita!...  E poi comincia il corso della vita  su spine, cardi e pietre;  se talora procede per libera via,  questa viene subito interdetta;  cogli un fiore, e subito vieni a sapere  che il fiore appartiene ad un altro;  un campo sbarra la via  e devi proseguire il tuo cammino,  calpesti cosi la sementa d'un altro; altri poi il campo tuo calpesterà, per un giusto contrappasso! Ogni gioia che provi porta a tutti gli altri dolore; ma il tuo dolore gioia non porta, perciò dolore si somma a dolore! Cosi procede la tua vita fino alla morte, che purtroppo sarà pane d'un altro! E pensi in tal modo di avvicinarti ----- o figlio della polvere, all'Altissimo?

IL POETA                     - Come farà il figlio della polvere a trovare parole si chiare e pure e facili capaci d'innalzarsi dalla terra... Figlia di Dio, vuoi la nostra querela tradurre in quella lingua che meglio intendono gli Dei?

LA FIGLIA                   - Si, Voglio!

IL POETA                     - (indica la boa) Che cosa galleggia laggiù?... Una boa?

LA FIGLIA                   - Si!

IL POETA                     - Somiglia a un polmone con una laringe!

LA FIGLIA                   - Essa è la sentinella del mare. Canta, quando il peri colo si avvicina.

IL POETA                     - Mi pare che il mare s'ingrossi e i marosi comincino ad avvicinarsi...

LA FIGLIA                   - Proprio cosi!

IL POETA                     -  Ahimè! Che vedo? Una nave... davanti alla scogliera...

LA FIGLIA                   - Che nave può essere?

IL POETA                     - Credo il Vascello Fantasma.

LA FIGLIA                   - Che cos'è?

IL POETA                     - L'“Olandese Volante”.

LA FIGLIA                   - Proprio Lui? Perché è punito tanto duramente e perché non prende terra?

IL POETA                     - Perché ha avuto sette mogli infedeli.

LA FIGLIA                   - E per questo deve essere punito?

IL POETA                     - Si! Tutti i benpensanti lo hanno condannato...

LA FIGLIA                   - Mondo strano!... E come farà a liberarsi da questo bando?

IL POETA                     - Liberare? Guardiamoci bene dal liberarlo...

LA FIGLIA                   - Perché?

IL POETA                     - Per questo, che... No, non è l'Olandese! È una nave qualunque in pericolo... Perché ora la boa non grida?... Guarda, il mare cresce, i marosi s'innalzano; ben presto saremo bloc cati nella grotta!.,. Ora suonano la campana a bordo! Tra poco avremo un'altra polena... Grida, boa, fa' il tuo dovere, sentinella...(la boa canta un accordo a quattro voci 56, somigliante a corni per la nebbia) L'equipaggio ci fa segni... ma anche noi periremo!

LA FIGLIA                   - Non vuoi la liberazione?

IL POETA                     - Certamente, sicuro che la voglio, ma non ora... e non la voglio nell'acqua!

L'EQUIPAGGIO          (canta a quattro voci) Krist, Kyrie!

IL POETA                     - Ora gridano; e il mare mugge! Ma nessuno ascolta!

L'EQUIPAGGIO          - (come prima) Krist, Kyrie!

LA FIGLIA                   - Chi viene laggiù?

IL POETA                     - Andando sull'acqua? Uno solo e capace di camminare sul l'acqua — Pietro, lo scoglio, non è, perché è affondato come una pietra... (un bianco chiarore si vede sul mare)

L'EQUIPAGGIO          - Krist, Kyrie!

LA FIGLIA                   - È Lui?

IL POETA                     - È Lui, il Crocifisso...

LA FIGLIA                   - Perché — dimmi, perché fu crocifisso?

IL POETA                     - Perché voleva liberare...

LA FIGLIA                   - Chi — l'ho dimenticato, chi lo ha crocifisso?

IL POETA                     - Tutti i benpensanti.

LA FIGLIA                   - Che mondo strano!

IL POETA                     - II mare ingrossa. La tenebra ci copre... la tempesta cresce...  (l'equipaggio manda un urlo)

IL POETA                     - L'equipaggio urla dallo spavento, anche quando riesce a vedere il suo Salvatore... Ed ora... si gettano in mare per ti more del liberatore... (l'equipaggio manda, un nuovo urlo)

IL POETA                     - Ora urlano perché devono morirei Gridano quando nascono e gridano quando muoiono! 

(le onde crescenti minacciano di sommergerli nella grotta)

LA FIGLIA                   - Se fossi sicura che è una nave...

IL POETA                     - In verità... non ritengo che sia una nave... è una casa a due piani, con alberi davanti... e... la torre del telefono... una torre che arriva alle nuvole... È la torre di Babele moderna, che manda fili in alto, per comunicare con quei di sopra...

LA FIGLIA                   - Figlio, il pensiero dell'uomo non ha bisogno di fili di metallo per spostarsi... la preghiera del giusto traversa i mon di... Non è davvero una torre di Babele; se vuoi dare l'assalto al ciclo, devi assaltarlo con le tue preghiere!

IL POETA                     - No, non è una casa... niente torre telefonica... vedi?

LA FIGLIA                   - Che vedi?

IL POETA                     - Vedo una landa nella neve, un campo da esercitazioni... il sole invernale splende dietro una chiesa sul colle e il cam panile getta la sua lunga ombra sulla neve... arriva ora una truppa di soldati, che marciano per la landa; marciano sul cam panile, su fino alla guglia; adesso si trovano sulla croce, ma ho la sensazione che il primo che calpesterà il gallo dovrà morire... ora si avvicinano... il caporale che va in testa... oh ohi Passa una nuvola sulla landa, davanti al sole, si capisce... e tutto è finito, l'acqua della nuvola ha spento il fuoco del sole! — La luce del sole creò la figura nera del campanile, ma l'immagine nera della nuvola distrusse l'immagine nera del campanile...(durante le precedenti parole la scena se mutata nel corridoio del teatro)

LA FIGLIA                   - (alla portinaia) Non è ancora arrivato il cancelliere?

LA PORTINAIA          - No!

LA FIGLIA                   - E i decani?

LA PORTINAIA          - Neppure!

LA FIGLIA                   - Chiamali subito allora, perché bisogna aprire la porta...

LA PORTINAIA          - È proprio tanto urgente?

LA FIGLIA                   - Si! Permane infatti il sospetto che la soluzione dell'enigma dell'universo sia custodita là dentro!... Chiama il cancelliere e i decani delle quattro facoltà, dunque! (la portinaichiama con un fischietto)

LA FIGLIA                   - E non dimenticare

IL VETRAIO                - col diamante; altrimenti non potremo far nulla!

(LA GENTE di teatro entra da sinistra, come all'inizio dello spettacolo)

L’UFFICIALE              - (entra dal fondo, in redingote e cilindro, tenendo un mazzo di rose in mano, raggiante di gioia) Vittoria!

LA PORTINAIA          - La signorina verrà subito!

L’UFFICIALE              - Va bene! Il calesse attende, la tavola è imbandita, lo sciampagne in ghiaccio... La posso abbracciare, signora? (abbraccia la portinaia) Vittoria!

UNA VOCE DI DONNA(dall'alto, canta) Eccomi!

L’UFFICIALE              - (comincia a camminare) Bene! Aspetterò!

IL POETA                     - Mi pare d'aver già vissuto tutto ciò...

LA FIGLIA                   - A me pure.

IL POETA                     - Forse ho sognato?

LA FIGLIA                   - Oppure immaginato, forse?

IL POETA                     - Oppure immaginato.

LA FIGLIA                   - Allora tu sai che cos'è poesia.

IL POETA                     - Io so che cos'è sogno. 

LA FIGLIA                   - Mi sembra di essere stata insieme con te in qualche altro luogo e di avere già detto queste parole.

IL POETA                     - Potrai dunque facilmente valutare che cosa sia la realtà!

LA FIGLIA                   - Oppure sogno!

IL POETA                     - Oppure poesia!

(il lord cancelliere  e i decani  delle facoltà di teologia, filosofia, medicina, giurisprudenza)

IL CANCELLIERE      - Si tratta della porta, naturalmente! — Che ne pensa il decano della facoltà di teologia?

IL DECANO DI TEOLOGIA Io non penso, io credo... “credo”.

IL DECANO DI FILOSOFIA Io Suppongo...

IL DECANO DI MEDICINA Io So...

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Io dubito, finché non avrò prove e testimonianze!

IL CANCELLIERE      - Ora cominceranno di nuovo a litigare... Che cosa crede dunque il teologo?

IL DECANO DI TEOLOGIA Credo che questa porta non si debba aprire, poiché nasconde verità pericolose...

IL DECANO DI FILOSOFIA La verità non è mai pericolosa.

IL DECANO DI MEDICINA Che cos'è la verità?

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Tutto ciò che si può provare con due testimoni.

IL DECANO DI TEOLOGIA Un cavilioso con due falsi testimoni riesce a provare tutto.

IL DECANO DI FILOSOFIA Verità è sapienza, e la sapienza, la scienza è la stessa filosofia... La filosofia è la scienza delle scienze, il sapere dei saperi, e tutte le altre scienze sono le serve della filosofia.

IL DECANO DI MEDICINA L'unica scienza è la scienza naturale, la filosofia non è scienza. Non è altro che vana speculazione.

IL DECANO DI TEOLOGIA Bravo!

IL DECANO DI FILOSOFIA (al teologo) Tu dici bravo! E tu chi sei? Sei il nemico mortale di tutti i saperi, sei l'antinomia della scienza, sei l'ignoranza e l'oscurità...

IL DECANO DI MEDICINA Bravo!

IL DECANO DI TEOLOGIA (al medico) Tu dici bravo, tu che non vedi più in là del naso che si spinge sul microscopio, tu che credi soltanto ai tuoi ingannevoli sensi, ai tuoi occhi per esempio,318   che possono essere presbiti, miopi, ciechi, ottenebrati, guerci, strabici, daltonici, eritropici, cloropici...

IL DECANO DI MEDICINA Scimunito!

IL DECANO'DI TEOLOGIA Asino! (vengono alle mani)

IL CANCELLIERE      - Calmi! Una cornacchia non deve cavar gli occhi all'altra

IL DECANO DI FILOSOFIA Se dovessi scegliere tra queste due, la teo logia e la medicina, non sceglierei ne l'una ne l'altra!

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA E se io dovessi sedere come giudice tra voialtri tre, vi condannerei — tutti!... Non riuscite a mettervi mai d'accordo su un solo punto; ciò non è mai capitato. — Ma torniamo al fatto! Quali sono le opinioni del cancelliere circa quella porta e circa la sua apertura?

IL CANCELLIERE      - Opinioni? Non ho opinioni. Sono stato messo qui dal governo soltanto per vedere che lor signori non si rompano braccia e gambe nel concistoro... mentre educano la gioventù. Opinioni? No, me ne guardo bene io dall'avere opinioni. Una volta ne avevo qualcuna, ma furono subito confutate; le opinioni sono subito confutate — dall'avversario, si capisce!... Non possiamo ora aprire la porta, anche col rischio che vi si nascondano peri colose verità?

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Che cos'è verità? Dov'è la verità?

IL DECANO DI TEOLOGIA Io sono la verità e la vita...

IL DECANO DI FILOSOFIA Io sono la scienza delle scienze...

IL DECANO DI MEDICINA Io sono la scienza esatta...

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Io dubito! (vengono alle mani)

LA FIGLIA                   - Maestri della gioventù, vergognatevi!

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Cancelliere, rappresentante del Governo, Capo del Corpo Insegnante, denunci il reato di questa . donna! Essa vi ha detto «vergognatevi», il che costituisce un oltraggio; e vi ha chiamati, in senso maligno ed ironico, “maestri della gioventù”, e questo costituisce un affronto.

LA FIGLIA                   - Povera gioventù!

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Essa compiange la gioventù, cioè accusa noi. Cancelliere, denunci il reato.

LA FIGLIA                   - Si, io vi accuso, voi tutti quanti, di seminare il dubbio e la discordia nel cuore dei giovani. 

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Ascoltate, essa stessa desta il dubbio circa la nostra autorità sui giovani, e poi accusa noi di seminare noi stessi il dubbio. Non è questa un'azione criminale, chiedo a tutti i benpensanti?

TUTTI I BENPENSANTI Si, è un atto criminale!

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Tutte le persone benpensanti ti hanno condannata! Va' in pace col tuo guadagno! Altrimenti!...

LA FIGLIA                   - II mio guadagno? Altrimenti? Altrimenti che cosa?

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Altrimenti sarai lapidata.

IL POETA                     - Oppure messa in croce.

LA FIGLIA                   - Vado. Seguimi, e conoscerai l'enigma!

IL POETA                     - Quale enigma?  .

LA FIGLIA                   - Che intende dire costui con la frase «mio guadagno»?...

IL POETA                     - Probabilmente niente. È quel che noi chiamiamo «ciance». Egli cianciava.

LA FIGLIA                   - Ma con questo mi ha profondamente offesa!

IL POETA                     - E appunto per questo l'ha detto... Gli uomini sono fatti cosi.

TUTTI I BENPENSANTI Hurrà! La porta è aperta!

IL CANCELLIERE      - Che cosa si nascondeva dietro la porta?

IL VETRAIO                - Non riesco a veder nulla.

IL CANCELLIERE      - Non riesce a veder nulla; eh, ci credo!... Decani! Che cosa si nascondeva dietro la porta?

IL DECANO DI TEOLOGIA Nulla! Ecco la soluzione dell enigma del mondo... All'inizio, dal nulla Iddio creò il ciclo e la terra.

IL DECANO DI FILOSOFIA Da nulla si fa nulla.

IL DECANO DI MEDICINA Sciocchezze! È il nulla.

IL DECANO DI GIURISPRUDENZA Dubito, e qua si presenta una frode. Me ne appello a tutti i benpensanti!

LA FIGLIA                   - (al poeta) Chi sono i benpensanti?

IL POETA                     - Già, lo dica chi lo sa. Tutti i benpensanti per lo pm non sono che una sola persona. Oggi sono io e i miei, domani tu e i tuoi. — Ci chiamano, o meglio, ci facciamo chiamare cosi.

TUTTI I BENPENSANTI Ci hanno ingannato!

IL CANCELLIERE      - Chi vi ha ingannato?

TUTTI I BENPENSANTI La figlia!

IL CANCELLIERE      - Vuole la figlia essere tanto gentile da dirci che cosa intendeva fare con questa apertura della porta?

LA FIGLIA                   - No, amici! Se lo dicessi, non mi credereste.

IL DECANO DI MEDICINA Ma non c'è nulla.

LA FIGLIA                   - L'hai detto. — Ma non hai capito niente!

IL DECANO DI MEDICINA Sono sciocchezze quelle che conta costei.

TUTTI                            - Sciocchezze!

LA FIGLIA                   - (al poeta) Peccato per loro!

IL POETA                     - Sul serio?

LA FIGLIA                   - Sempre, sul serio.

IL POETA                     - Poveretti anche i benpensanti?

LA FIGLIA                   - Forse più degli altri.

IL POETA                     - Anche le quattro facoltà?

LA FIGLIA                   - Anche loro, e non meno degli altri! Quattro teste, quattro cuori, in un solo corpo! Chi ha creato questo mostro?

TUTTI                            - Essa non risponde!

IL CANCELLIERE      - Allora picchiatela!

LA FIGLIA                   - Io ho risposto.

IL CANCELLIERE      - Udite, risponde.

TUTTI                            - Picchiamola! Risponde!

LA FIGLIA                   - Sia che risponda, sia che non risponda: picchiarla... Vieni, veggente, io — lontano di qui! — ti rivelerò l'enigma, — ma fuori nel deserto, dove nessuno ci ascolti, nessuno ci veda! Perché...

L’AVVOCATO            - (si fa avanti, prende la figlia per il braccio) Hai dimenticato i tuoi doveri?

LA FIGLIA                   - Oh, Dio mio, no! Ho doveri più alti!

L’AVVOCATO            - E tuo figlio?

LA FIGLIA                   Mio figlio! E poi?

L’AVVOCATO            - Tuo figlio ti chiama.

LA FIGLIA                   - Mio figlio! Ahi, sono vincolata alla terra... E questo tormento nel petto, quest'angustia... che cos'è?

L’AVVOCATO            - Non lo sai?

LA FIGLIA                   - No!

L’AVVOCATO            - È il rimorso.

LA FIGLIA                   II rimorso?

L’AVVOCATO            - Sì! Il rimorso si presenta dopo ogni dovere trascurato, dopo ogni piacere, anche il più innocente, se mai esiste piacere innocente, il che è dubbio; e dopo ogni dolore che si procura al prossimo.

LA FIGLIA                   - E non esiste un rimedio!

L’AVVOCATO            - Sì, ma uno solo! Compiere subito il proprio dovere….

LA FIGLIA                   - Mi sembri un demone, quando pronunci la parola “dovere”! – Ma quando si devono compiere due doveri, come nel caso mio?

L’AVVOCATO            - Allora si adempie prima l’uno e poi l’altro!

LA FIGLIA                   - Il più alto prima…. Perciò, bada tu al figliolo, ed io compirò il mio dovere.

L’AVVOCATO            - Il tuo figliolo soffre per la tua mancanza… puoi tollerare che un altro essere umano soffra per causa tua?

LA FIGLIA                   - Provo un turbamento nell’anima… il cuore si spezza, due forze la dilaniano!

L’AVVOCATO            - Sono le piccole disarmonie della vita, vedi!

LA FIGLIA                   - Oh, come fanno male.

IL POETA                     - Se tu solo sospettassi quale dolore e desolazione io abbia provocato nell’adempimento della mia vocazione, nota vocazione, che è il massimo dei doveri, non mi vorresti più dare la mano!

LA FIGLIA                   - Come?

IL POETA                     - Avevo un padre, il quale aveva riposto tutte le sue speranze in me, unico figlio, che avrebbe dovuto continuare i suoi affari…. Fuggii dalla scuola commerciale…. Mio padre ne morì dal dolore. Mia madre voleva far di me un religioso… ma io non potevo …. Mi scacciò…. Avevo un amico che mi soccorse nei duri tempi del bisogno. L’amico si comportò come un tiranno verso coloro che io difendevo e per i quali cantavo. Dovetti ridurre al silenzio il mio benefattore ed amico, per salvare l’anima mia! Da allora non ho più pace; la gente mi chiama disonorato, reietto; non giova che la mia coscienza dica: hai fatto bene, perché subito dopo la coscienza dice: hai fatto male! Così è la vita…

LA FIGLIA                   - Seguimi nel deserto!

L’AVVOCATO            - E tuo figlio?

LA FIGLIA                   - (Indica tutti i presenti) – Ecco i miei figli! Presi uno per uno sono buoni, ma quando si trovano insieme, litigano e diventano demoni…. Addio!

Davanti al Castello: la stessa scena del primo quadro. Ma il campo davanti al Castello ora è interamente ricoperto di fiori (aconito). Sul tetto del Castello, sulla lanterna, proprio in cima, si vede il bocciolo d'un crisantemo che sta per sbocciare. Le finestre del Castello sono illuminate con candele.

LA FIGLIA                   - Non è lontana l'ora in cui io, con l'aiuto del fuoco, risalirò nell'etere... questo è ciò che voi chiamate morire ed a cui vi avvicinate con timore.

IL POETA                     - II timore dell'ignoto.

LA FIGLIA                   - Che conoscete.

IL POETA                     - Chi lo conosce?

LA FIGLIA                   - Tutti! Perché non credete ai vostri profeti?

IL POETA                     - I profeti sono stati sempre fraintesi: come mai ciò? — E “se Dio ha parlato, perché gli uomini non gli credono?”. La sua potenza persuasiva dovrebbe essere irresistibile.

LA FIGLIA                   - Hai sempre dubitato?

IL POETA                     - No, molte volte ho avuto la certezza; ma poco dopo si dileguò come un sogno quando ci si sveglia.

LA FIGLIA                   - Non è facile la vita dell'uomol

IL POETA                     - Lo comprendi e lo riconosci?...

LA FIGLIA                   - Si!

IL POETA                     - Dimmi. Non fu Indra che una volta mandò sulla terra suo figlio per ascoltare le querele dell'umanità?

LA FIGLIA                   - Sf, è vero! E come fu accolto?

IL POETA                     - Come compf la sua missione? Tanto per rispondere con una domanda.

LA FIGLIA                   - E per rispondere con un'altra... Non migliorò la condi zione degli uomini dopo quella sua visita sulla terra? Rispon dimi secondo verità!

IL POETA                     - Migliorò?... Si, un pochino!... Molto pochino!... Ma invece di chiedere: vuoi tu dirmi l'enigma?

LA FIGLIA                   - Sì, ma a quale scopo? Tu non mi crederai!

IL POETA                     - Ti crederò perché so chi sei!

LA FIGLIA                   - Va bene, parlerò!... Nel mattino dei tempi, prima che il  sole cominciasse a splendere, Brahma, la forza divina primor  diale, andò da Mata, la madre del mondo, e si lasciò da lei sedurre per propagarsi. Questo fatto, il contatto della sostanza  divina primordiale con la materia terrena, fu il peccato originale  del cielo. Il mondo, la vita e gli uomini cosi non sono altro che  fantasmi, ombre, immagini di sogno...

IL POETA                     - II mio sogno! 

LA FIGLIA                   - Un sogno reale!... Ma per liberarsi dalla materia terrena, i discendenti di Brahma cercano la privazione, il dolore... Ecco il dolore che è liberazione... Questo desiderio di soffrire però contrasta con la brama di gioire, oppure amore... comprendi dunque cosa sia l'amore, con le sue più grandi gioie nei più grandi dolori, la più completa delizia nella più profonda ama rezza! Comprendi ora che cosa sia la donna? La donna, per colpa della quale il peccato e la morte sono entrati nella vita?

IL POETA                     - Comprendo!... E la fine?...

LA FIGLIA                   - Quella che conosci... La lotta tra il dolore della gioia e la gioia del dolore, il tormento del penitente e i piaceri del libertino...

IL POETA                     - Lotta, dunque?

LA FIGLIA                   - La lotta tra forze contrarie produce energia, come il fuoco e l'acqua generano il vapore...

IL POETA                     - Ma la pace? La quiete?

LA FIGLIA                   - Taci, a te non è concesso chiedere oltre, e a me rispondere!.. L'ara è già pronta per il sacrificio... i fiori vegliano, le candele accese... bianchi lenzuoli davanti alla finestra, rami d'abete sul portone...

IL POETA                     - Dici tutto questo con serenità, come se non soffrissi alcun dolore!

LA FIGLIA                   - Davvero?... Ho sofferto tutti i vostri dolori, ma cento volte più forti, perché le mie sensazioni sono più acute...

IL POETA                     - Racconta le tue pene!

LA FIGLIA                   - Poeta, sapresti tu raccontare le tue, ma senza una parola di più; potrebbe la tua parola, una volta soltanto, accordarsi col tuo pensiero?

IL POETA                     - Hai ragione, no! Sono vissuto infatti come un sordomuto con me stesso; e quando la folla ammirata stava ad ascoltare il mio canto, sentivo che il mio canto altro non era che uno stridulo grido — per questo, vedi, impallidivo sempre quando mi rendevano omaggio!

LA FIGLIA                   - E vorresti allora che io?... Guardami negli occhi!

IL POETA                     - Oramai non sopporto più il tuo sguardo...

LA FIGLIA                   - E come potresti sopportare la mia parola, se io volessi parlare la mia lingua!...

IL POETA                     - Dimmi dunque, prima di andartene: che cosa ti ha  fatto maggiormente soffrire su questa terra?

LA FIGLIA                   - Esistere; sentire la mia vista affievolita da un occhio,  il mio udito ottuso da un orecchio, e il mio pensiero, il mio pensiero etereo e luminoso, vincolato dei labirinti delle circonvoluzioni del cervello... Avrai ben visto un cervello: quante strade false, quante strade torte...

IL POETA                     - Si; e appunto per questo tutti i benpensanti hanno idee storte!

LA FIGLIA                   - Male, sempre male, e voi tutti non siete che male!...

IL POETA                     - E che altro potremmo essere?

LA FIGLIA                   - Ora per prima cosa scuoto la polvere dai miei piedi... la terra, il fango... (si toglie le scarpe e le getta nel fuoco)

LA PORTINAIA          - (entra, getta il suo scialle nel fuoco) Anche io posso dunque bruciare il mio scialle?

(esce)

L’UFFICIALE              - (entra) Ed io le mie rose, che non hanno più che le spine!

(esce)

L’ATTACCHINO         - (entra) Al fuoco gli affissi, ma la rete, mai!

(esce)

IL VETRAIO                - (entra) II diamante, che aprì la porta! Addio! 

(esce)

L’AVVOCATO            - (entra) L'incartamento del grande processo, riguardante la barba del papa oppure l'abbassamento d'acqua delle sorgenti del Gange. 

(esce)

IL CAPO DELLA QUARANTENA (entra) Una piccola offerta: la maschera nera che mi fece negro contro la mia volontà!

 (esce)

VITTORIA                    - (entra) Bellezza mia, mio affanno! 

(esce)

EDITH                           - (entra) Bruttezza mia, mio affanno!

 (esce)

IL CIECO                      - (entra, pone una mano sul fuoco) Io offro la mia mano per il mio occhio! (esce; DON GIOVANNI entra in scena sulla sedia a rotelle. LEI e L'AMICO)  

DON GIOVANNI        - Spicciamoci, spicciamoci, la vita è breve!   (esce insieme con gli altri)

IL POETA                     - Ho letto che, quando la vita s'avvicina alla fine, tutto e tutti ci sfilano davanti in un unico “défilé”... È questa la fine? .

LA FIGLIA                   - Si, la mia! Addio!

IL POETA                     - Dammi un saluto d'addio!

LA FIGLIA                   - No, non posso! Credi tu che le vostre parole siano capaci di esprimere i nostri pensieri!

IL TEOLOGO               - (entra furibondo) Sono rinnegato da Dio, perseguitato dagli uomini, abbandonato dal governo, schernito dai colleghi! Come potrei credere, quando nessuno crede... come potrei difen dere un Dio, che non difende i suoi fedeli? Sono tutte sciocchezze!  (getta un libro nel fuoco ed esce)

IL POETA                     - (raccoglie il libro dal fuoco) Sai che cos'era? Un martiro logio, un calendario con un martire per ogni giorno dell'anno.

LA FIGLIA                   - Un martire?

IL POETA                     - Si; chi è tormentato e ucciso per la sua fede! Dimmi perché! Credi forse che tutti coloro che sono tormentati soffrano, che tutti coloro che sono uccisi conoscano il dolore? Il dolore è redenzione e la morte liberazione.

KRISTINA                    - (entra, tenendo in mano strisce di carta) Io incollo, incollo finché non ci sarà più nulla da incollare...

IL POETA                     - E se lo stesso ciclo si spaccasse, cercheresti di riappicci carlo... Va' pure!

KRISTINA                    - Non ci sono doppie finestre al Castello?

IL POETA                     - No, sai, almeno là non ce ne sono!

KRISTINA                    - (esce) Allora ci vado!

LA FIGLIA                   - È imminente il nostro commiato, la fine s'avvicina; addio, essere umano, sognatore, poeta che meglio comprendi la vita; su ali sospeso, sopra la terra, talora nella polvere ti cali per sfiorarla, non per restarvi!... Ora che me ne vado... nell'ora dell'addio,  quando separarci bisogna da un luogo, da un amico, come non cresce il rammarico per ciò che s'è amato, e il pentimento di ciò che s'è offeso... Ora sento i dolori di tutta l'esistenza, come di essere umana creatura... Si soffre anche per ciò che non si seppe apprezzare, ci si pente pure delle cose non godute... Si vuole andare e si vuoi restare... Cosi le metà del cuore si spezzano al suo arresto, dilaniato il sentimento, quasi tra cavalli contrastanti, da incertezza, da disarmonia... Addio! Ai tuoi fratelli di' che li ricordo, vado ora lassù, le loro querele in nome tuo al Trono porterò. Addio!

(entra nel Castello. Si ode musica. Il fondo è illuminato dalla luce del Castello, che brucia, e adesso mostra una farete dì volti umani, imploranti, doloranti, disperati... Mentre brucia il Castello, il bocciolo del fiore sul tetto si apre in un gigantesco crisantemo)

FINE