Un vigliacco

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UN VIGLIACCO

Commedia in un atto

Di ORIO VERGANI

PERSONAGGI

Il lettore

Uno spettatore

Un vigliacco

Melauri

L’ignoto

La terrazza del Pincio, a Roma, dalla parte del famoso muraglione dei suicidi. Una panchina. Un albero. In fondo il parapetto, e, di là, il vuoto. Sulla panchina un libro, dimenti­cato da qualcuno.

Il lettore                      - (entra da sinistra. Ha l'aspetto so­lito dei flaneurs pomeridiani. Paglietta, pan­taloni bianchi, mise assolutamente estiva. Si ferma a metà scena. Si asciuga il sudore. Leg­ge un cartello attaccato all'albero. « E' vie­tato calpestare le aiuole. Guarda attorno, mormora) Aiole? Non ce n'è! (si accor­ge del libro dimenticato sulla panchina. Lo raccoglie. Guarda, fra le quinte, come se cercasse chi può averlo dimenticato. Ma, evi­dentemente, il giardino è deserto. Sfoglia il libro. Legge il titolo) « L'acqua alla gola, novelle di Orio Vergani » Orio Vergani? Mai sentito nominare.

Uno spettatore            - (ride esageratamente).

Il lettore                      - (Guarda in platea, e riprende, con tono seccato) Mai sentito nominare...

Uno spettatore            - (ride, con minore esagera­zione).

Il lettore                      - (seccato, depone il libro sulla pan­china) Chissà chi l'avrà dimenticato...

Uno spettatore            - Non lo sa?

Il lettore                      - Io no? E lei?

 Uno spettatore           - Glie lo dico io. Non lo ha dimenticato nessuno. L'hanno messo lì appo­sta. Se si fossero dimenticati di quel libro lei non avrebbe saputo andare avanti di una battuta sola. Lo ha messo lì Bragaglia, d'ac­cordo con l'autore, con l'autore del libro, badi, e non della commedia, perchè l'autore non ha scritto una commedia, ma una no­vella che lei, stasera, deve leggere.

Il lettore                      - E lei, tutte queste cose, come le sa?

Uno spettatore            - Io non le sapevo. Me le hanno dette perchè io le dica.

Il lettore                      - Ma lei è venuto da solo o l'hanno mandato?

Uno spettatore            - Mi hanno mandato.

Il lettore                      - Chi?

Uno epettatore            - Ma lei lo sa benissimo. L'au­tore! Non faccia finta di non saper niente, di cascar dalle nuvole.

Il lettore                      - Ma io devo cascar dalle nuvole.

Uno spettatore            - Perchè?

Il lettore                      - Perchè così vuole l'autore.

Uno spettatore            - Ma è un bell'esigente questo autore! Fa tutto lui, combina tutto lui. E' lui che ci mette d'accordo.

Il lettore                      - D'accordo?

Lo spettatore              - Certo! d'accordo perchè io rida quando lei nomina l'autore; d'accordo perchè io la interrompa una battuta dopo. D'accordo perchè io continui a parlare, quel tanto che l'autore crede necessario per far passare qualche minuto e per spiegare di che si tratta. Come tutti gli uomini l'autore ha le sue preoccupazioni. Si è chiesto: « Pos­sibile che io faccia entrare in scena un at­tore, e, senza che il pubblico sia avvertito di che si tratta, gli faccia leggere, con voce sufficientemente monotona...

Il lettore                      - Io una voce monotona?

Lo spettatore              - Sì, lei. «... leggere una vec­chia novella di un vecchio libro? ». Ha ca­pito che era necessario ricorrere a qualche mezzuccio, lontano le mille miglia dall'arte, per pregare il pubblico di aver pazienza e di non interrompere la lettura della novella, visto che, a un certo punto, la interrompe lui stesso. E questo mezzuccio sono io, finto spettatore, povero attore che deve recitare senza suggeritore in mezzo alla gente.

Il lettore                      - E allora, cosa bisogna fare, adesso ?

Lo spettatore              - Questo lo sa lei.

Il lettore                      - Anche questo è vero. So che devo ricominciare e pregarla di non inter­rompermi un'altra volta.

Lo spettatore              - Literromperla? Ma lei sa perfettamente che io non la interromperò. Lei sa anzi chei, approfittando della calata del sipario, io me ne andrò. Avanti: faccia calare il sipario...

Il lettore                      - Come vuole lei (verso l'interno)

Macchinista                - Sipario! (Il sipario cala rapidamente. Lo spettatore esce. Il sipario si rialza. Dopo qualche istante rientra il lettore. Si ferma a metà scena. Si asciuga il sudore. Legge un cartello attaccato all'albero. « E' vietato calpestare le aiuole ». Guarda attorno. Mormora:) Aiuole? Non ce n'è! (Si accorge del libro dimenticato sulla panchina. Lo raccoglie. Guarda, tra le quin­te, come se cercasse chi può averlo dimen­ticato... Ma evidentemente, il giardino è de­serto. Sfoglia il libro. Legge il titolo) « L'ac­qua alla gola », novelle di Orio Vergani... Orio Vergani? Mai sentito nominare... (guarda in platea come se temesse una nuova interruzione dello spettatore. Riprende) Un libro di novelle, (lo sfoglia. Legge qua e là i titoli) Il fratello ladro... Pia... Il soldato...

Un vigliacco               - (siede) Chissà che roba! (legge, qua e là, qualche riga)... giocava in bersa... Giunse presto innanzi alla sua casa... Il braccio gli ricadde... Un vigliacco... (ha accesa una sigaretta. Comincia a leggere, con un interessamento minimo). « Appena fatti due passi fuor dell'uscio, una giornalaia, con una sottanaccia bigia e il giubbetto verdino, gli era quasi venuta addos­so, strillando il nome del giornale del mat­tino. Ma ora poteva rinunciare anche a que­sto, che pure non voleva mancasse mai, uomo d'ordine e abitudinario com'era, benché così terribilmente nevrastenico, (smettendo di leggere) Gran rinuncia! (riprende a leggere) Glie ne importava proprio tanto del giornale quella mattina, in cui usciva di casa col solo preciso scopo di andare ad uccidersi! (fa un gesto come per dire: com­plimenti!) Non valeva proprio la pena di ti­rare avanti, ormai, al vita. Già gli erano ca­pitate tutte, una dopo l'altra, le disgrazie, sulle spalle, come una fitta di bastonate, di notte, a una cantonata. Povero non era di certo; e non gli mancava nemmeno qualche buon amico, e un nipote lontano, che avrebbe potuto chiamarsi in casa, per compagnia, se l'imbecille non si fosse sposato proprio in quei giorni, (legge sempre molto in fretta, saltando spesso le parole e le frasi intere) Gli toccava restar solo, con la sua malattia, nella gran casa silenziosa, piena di tutta quella roba inutile, mentre a lui sarebbe ba­stato il letto e una sedia per tenerci su i pantaloni, perchè non poteva e non voleva veder nessuno. Solo con la malattia: l'in­sonnia, le vertigini, la perdita della memo­ria, quell'affanno che gli prendeva a guardar la tavola da pranzo vuota da tre lati; e quella noia, quella nausea di tutto, che lo faceva crollar sulle poltrone spossato, strap­pandosi il colletto, tanto gli sembrava di soffocare (fra se) Bella vita! ce E quell'orrore per tutte le superfici lucide, nelle quali si potesse riflettere, anche an­che annebbiato e sformato, il suo pal­lido viso. Aveva messe le fodere sugli spec­chi, sui piani levigati dei tavoli di mogano: aveva gettato il campanello d'argento dello scrittoio, perchè un giorno vi aveva sorpresa, allungata, resa ancor più incavata e spet­trale, la livida sua magrezza. Ma c'era sempre qualcosa di lucido in casa; dove il suo viso, anche senza precisione di lineamenti, appa­riva, magari come una gran macchia gialla nel cavo dei cucchiai, o come una appari­zione azzurra nello smalto blu della coco-ma del caffè, (fra se) Mania dei partico­lari, questo scrittore. « Il dottore aveva un bel dirgli, ogni due giorni, che non soffriva di nessuna malattia organica, e che sarebbe bastata un po' di buona volontà, un po' di moto, imporsi qualche distrazione, per co­minciare a guarire. Il dottore sbagliava; sa-sarebbe morto, certo. Di lì a tre, a cinque anni. Avrebbe resistito tanto, forse; ma sa­rebbero stati anni di martirio; aspettando da un momento all'altro, tutti i giorni, tutte le notti, di sentire, proprio nel corpo, sotto la nuca, o sulla spalla sinistra, improvviso, quel tal colpetto, quel balzo d'un nervo che avrebbe definitivamente sganciato il mecca­nismo rugginoso della vita dal corpo isteri­lito. Perchè, santo Dio, doveva per tanti giorni ancora, come adesso, sentir la palla dell'occhio  tremare e  ballar nell'orbita? Quando l'occhio, come un torlo d'uovo nel­l'albume, incominciava a ballonzolare, cor­reva in camera; e, alzata la fodera dello specchio qual tanto che lasciasse vedere gli occhi e la radice del naso, si fissava nelle pupille, per vederle sbattere da una parte all'altra dell'orbita. Ma ogni volta l'occhio appariva immobile, benché, anche in quel" l'istante, lo sentisse vibrare e agitarsi nella sgusciatura calda e umida delle palpebre. Pensava che, a strapparsene uno e a metterlo in un cucchiaio, avrebbe continuata la danza, come una palla di mercurio, (fra se) Oh! che schifo! (fa il gesto di levarsi un occhio e di tenerlo in un cucchiaio. Una impres­sione di schifo. Riprende la lettura, una pa­gina o due, leggendo a voce inintelliggibile) « Ebbe la gioia... « Il mondo e la vita... « Aveva soltanto... (legge così, chiari, sol­tanto i capoversi che gli capitano sott'occhio) « Non aveva ancora stabilito, ma gli pareva che all'ultimo istante avrebbe deciso di an­negarsi nel Tevere, (fra se) Bravo! (Ri­prende) ce La, dov'è tranquillo, vicino a Piazza d'Armi. Si scende per la proda ster­posa, si finisce sulla riva nel canneto basso, che scrocchia e si spezza al passaggio, e, d'improvviso, ci si trova coi piedi e con le gambe a mollo; e poi con tutto il corpo, di colpo, nell'acqua. Si può rimaner impi­gliati, appiccicati al fondo, come le rane, o si è ripescati dopo tanto tempo, a Ripa Grande. (Si interrompe per accendere una sigaretta. Ma la sigaretta non tira. Dopo due o tre boc­cate la butta via)'. « Repentinamente ebbe l'impressione di essere seguito e tenuto d'occhio. Sentì uno sguardo che lo fissava, tranquillo, ma osti­nato e preciso. Riuscì a isolarsi dagli altri rumori, e udì, continuo, misurato sul suo passo, un cigolìo lieve di scarpe di vernice, che veniva pel suo stesso marciapiede. Su tutti i rumori della via quel cigolìo domina­va sottile, come un lamento importuno e ridicolo. « Credette di smarrire quella voce negli in­croci delie strade, opponendo barriere di vetture in corsa, di tram scampananti e sca­tenati, barriere di carri alti e lentissimi, vortici di grida (volta la pagina) di uno che zufoli, e gli occhi grigi, come senza pupilla... (fra se) Cosa vuol dire? (guarda nella pa­gina precedente. Si accorge di aver voltate due pagine assieme) Oh! ho voltate due pagine invece di una! Ma fa io stesso, credo. C'è un tale che lo segue. Ho capito, (ri­prendendo a leggere) « Ma era impossibile liberarsene: come da un ritornello di canzone che vi prende il cervello... « Non voleva però voltarsi di nuovo : per non vedere ancora quel!'avvicinarsi di folla anonima, in mezzo alla quale aveva tentato inutilmente di rintracciare il suo uomo... « Dubitò un attimo che tutto fosse un giuoco di nervi. Doveva essere un effetto di sugge­stione. Faceva di tutto per convincersene. Anche lo sguardo, una suggestione. Nessuno lo guardava. Perchè poi, perchè avrebbe do­vuto interessare un passante? Portava un vestito di tutti i giorni grigio - scuro; e il cap­pello nero; il passo anche tranquillo. Forse nel volto aveva una espressione insolita: ma si vide in una vetrina: pallido e serio, al so­lito; ma calmo, anzi stranamente calmo. Ep­pure lo sguardo lo seguiva, fisso, senza tre­mare, senza una distrazione... (Dalla platea uno spettatore invisibile, ma palesemente annoiato, fischia. Il lettore si interrompe. Guarda verso gli alberi). Toh! Ci sono ancora dei merli, ai Pincio! (riprende la lettura). « Dovette volgersi. « Era un signore discretamente pingue: basso di statura; con le gambette corte e grasse e le scarpe lunghe e sottili, brillanti, chiuse da un numero straordinario di bot­toni: due scarpe che sembravano clarinetti d'ebano. Aveva una brevissima barbetta a punta, rattenuta dalle pieghe delle grandi gote cascanti; la bocca piccolissima. « Un tipo assolutamente insignificante e in­concludente... (interrompe la lettura. Posa il libro sulle ginocchia. Si leva la paglietta, e la depone sulla panchina. Riprende a leg­gere dopo un momento). « Ora però si sentì tranquillo, e riprese a camminare. Si avvicinava a Piazza del Po­polo, per il Corso che diventava meno affollato, come il Corso di un'altra città, potente ma decaduta. Il pensiero del suicidio lo ri" prese, come un ragionamento pacato e per­suasivo, tornando a dominarlo: si ritrovò man mano nello stesso stato d'animo di una ora prima, sempre più insensibile e vuoto. « Il gran sole della piazza gii dette le verti­gini. Ebbe paura di non poter giungere nel­l'ombra del viale semicircolare che sale alia altezza del Tevere: ma chiuse un momento gli occhi come per spremerne la troppa luce, e poi traversò, calandosi il cappello sulla fronte. Camminò a lungo per il lungotevere pieno di polvere. Si sarebbe fermato solo quando i primi ciuffi d'erba, pesta e polve­rosa, gli avessero intricato il passo. ce Allora si arrestò, automaticamente: e, senza pensare perchè, si tolse il cappello e lo lasciò cadere in terra. Chiuse gli occhi, abbacinati dai sole, e li riaprì più chiari. « Senza rendersi conto più di nulla, scese il primo passo : ma posò su un ciuffo d'erba secca e scivolò in ginocchio, abbrancandosi a uno sterpo. Il sangue gli aveva dato un tonfo e gli picchiava a martello nella fronte, come se fosse già caduto a capofitto. « Prima di rialzarsi e di ricominciare a scendere, gettò uno sguardo sul viale. Qual­cuno si avvicinava a passi rapidi, tra gli al­beri. Riudì netto, preciso, il lagno di due scarpe di vernice, svelte svelte, e apparve tra gli alberi il signore ignoto, (la lettura, da questo punto, si fa più intensa. L'attenzione del lettore è presa. Non legge più distratto; ma cercando di dar colore ed espressione. Comincia a rappresentarsi innanzi alla fan­tasia del lettore il dramma dei due perso­naggi). « Melauri sentì il sangue gelarsi: risalì sul ciglio della via; come vergognoso, e, non sapendo che contegno assumere, raccolse il cappello e cominciò a spolverarlo con la manica... Poi, come se glielo avessero co­mandato, rimise il cappello in testa, con gesti involontari e impacciati di bestia am­maestrata. Avrebbe pianto come un bam­bino, inchiodato sul ciglio dell'argine, senza decidersi a fare un passo avanti o indietro. Desiderando solo, pazzamente, di voltarsi verso il signore ignoto. « Ma questi non lo guardava neppure. Stava con le mani in tasca, fissando il fiume, come se lo avesse visto per la prima volta; senza nemmeno respirare. « Melauri si mosse cautamente per allon­tanarsi. Pensò di poter sparire, prima che l'ignoto si distraesse dalla sua fissità. Ratte-neva il fiato, e posava il piede nella polvere con mia lentezza di spasimo, come un ladro che si senta sorpreso e non possa fuggire. Raggiunse il ponte. « Quando fu dietro la spallina alta, stando curvo per non essere visto dalla strada, inco" minciò ad affrettare il passo: ma poi non potè a meno, e dovette correre, col fiato mozzo e gli occhi sbarrati, verso Valle Giulia. Si rinfrancò. Che stupido terrore, qualche minuto prima! Di che cosa doveva aver paura, se era come già morto, poiché aveva deciso di morire? Camminava ancora, è vero, respirava, vedeva: ma era già un sopravvi­vere, il suo. Non degli altri doveva temere; ma gli altri di lui; come d'un fantasma. Per­chè aveva superato l'umanità e la vita, pur continuando in apparenza a vivere. Nessuna volontà poteva essere più inflessibile della sua: nessuna forza più rigida della sua. Perchè era la forza, passiva e terribile, di un morto. Fin dalla mattina egli non era più nulla per la vita: e questa nulla per lui: isolato interamente. Era inutile seguirlo, perchè il suo cammino, d'un tratto, spariva, sfuggiva agli occhi dei vivi. Quel cretino ve­stito di nero aveva un bel tenergli dietro, dicendo: « Siamo sempre in due sulla stra­da »; a un dato istante, avrebbe dovuto dire : « Sono io solo »; povero idiota che scherzava coi morti. (La lettura è continuata, sempre più animata, fino a questo punto. La luce, sulla scena, è meno forte. La voce del lettore si fa lenta­mente come soffocata,, finche, nel momento in cui, vivi ormai nella fantasia del lettore, i personaggi appariranno, la voce si spe­gnerà naturalmente, e le battute, che il lettore leggerà sulla pagina, saranno dette ad alta voce dai personaggi). « Erano proprio gli ultimi momenti. Aveva traversato tutta Villa Borghese, passato il cavalcavia del Pincio, seguito il muretto a destra...

Melauri                       -  (entra in scena, e va compiendo tutti i particolari dell'azione così come, man mano, il lettore va leggendoli).

Il lettore                      - ... dove forma una piccola ter­razza di belvedere. Il giardino era deserto. Posò il cappello su una panchina, guardò che ora segnava l'orologio. Tutto era in or­dine. Non gli restava altro da fare che spor­gersi dal muragliene, e abbandonarsi nei vuoto. Tirava un po' d'aria, e, poiché il sudore gli colava per. la nuca, rialzò il ba' vero della giacchetta.

L'ignoto                      - (entra seguendo Melauri, posa la pa­glietta sul ripiano del muretto e si affaccia)

Il lettore                      - (sempre più immerso nella lettu­ra) Poi si affacciò. Era come se il vuoto non esistesse. La strada sembrava, lì sotto, a pochi metri. Non bisognava chiuder gli occhi. Dette una occhiata a sinistra, dove il muro faceva uno spigolo, ripido e altissimo: poi a destra, risalendo lentamente con lo sguardo dalla strada sino al ciglio, come se avesse voluto contar le pietre. Tranquilla­mente affacciato, alcuni metri in là, stava il signore vestito di nero. Aveva posata la pa­glietta sul piano del muretto, e guardava fìsso Melauri, come se avesse aspettato un seguale. Melauri però era rimasto immobile. E l'ignoto gli rivolse la parola... (la voce del lettore tace. Continua però, con il solo sguardo la lettura delle battute che seguono e che i personaggi dicono man mano che ha silenziosamente le legge).

L'ignoto                      - (cortesemente) Lei si vuole uc­cidere?

Melauri                       - (tace).

L'ignoto                      -  (si avvicina) Lei si vuole uccidere, newero ?

Melauri                       - Io uccidermi? No!

L'ignoto                      - Perchè negare? Crede che non si capisca? Lei vuole ammazzarsi.

Melauri                       - Ma le sembra una domanda?

L'ignoto                      - E' indiscreta? Non mi pare. Io non le chiedo mica se vuole uccidere me. Io non la offendo. Non è certo una colpa la sua.

Melauri                       - Non ho mai avuta questa idea. E la sua domanda mi sembra, scusi sa, strana.

L'ignoto                      - Lei continua a mentirmi. Perchè non ha il coraggio di guardarmi negli occhi?

Melauri                       - Io non ho il coraggio?

L'ignoto                      - Infatti non lo ha. Curioso. Come se le facessi paura. Non avrei creduto, lei che ha tanto fegato.

Melauri                       - Da uccidermi?

L'ignoto                      - Sì. Lei ha questo coraggio. Certi la chiamano vigliaccheria. Io invece so che è un coraggio sublime.

Melauri                       - Ebbene, le assicuro...

L'ignoto                      - Non mi assicuri niente. Non si vergogni! Non ha proprio da arrossire, lei. Mi ha meravigliato solo, un momento fa, quel suo attimo di incertezza.

Melauri                       - Incertezza?

L'ignoto                      - Sì. Quando ha guardato iì vuoto, e non si è gettato.

Melauri                       - Io? Ma le ripeto che questa in­tenzione...

L'ignoto                      - Senta, signore: lei capirà poi se ne ho il diritto. Mi lasci parlare. Non ini interrompa. Dopo mi sarà sincero. Come lo sono io, in questi ultimi istanti.

Melauri                       - Incertezza? (Silenzio).

L'ignoto                      - Gliela si legge in faccia la 9ua vo­lontà. E non solo adesso, creda. Anche sta­mattina. Io l'ho incontrato in via Cavour. Lei camminava vicino al muro. Era distratto. Solo per combinazione non si è sporcato con­tro la vetrina, verniciata di fresco, di un oro­logiaio. Non le dirò come fosse il suo volto, perchè non conosco il stio viso delle altre giornate: e forse perchè al primo istante, qualcos'altro mi ha fatto comprendere, indo­vinare. Ma non c'era da sbagliarsi. Io le co­nosco queste espressioni del volto: come la mia mano. Le guancie non sono sola

(A questo punto il lettore è giunto alla fine della pagina. Deve voltare il foglio. Non rie­sce a voltarlo con rapidità. La dizione det­rattore si arresta nettamente. Immobilità. La dizione e Vazione riprendono soltanto quando la pagina è stata voltata).

L'ignoto                      - ...mente pallide, ma come già morte; e le labbra tremano.

Melauri                       - Le mie labbra tremavano?

L'ignoto                      - Sì. Impercettibilmente quasi, ma tremavano. Come quando si ha la febbre. Camminava con un passo rapido e automa­tico, troppo sicuro. Non aveva la febbre: e le labbra tremavano. E perchè teneva le mani in tasca? Non per il freddo. Ma perchè le mani fanno paura. Le si immaginano morte, ed è troppo hrutto. Solo i suoi occhi erano prodigiosamente vivi: tutti pupilla per guardare tanto, benché non vedessero nulla. E infatti lei non mi ha visto, per quanto io mi fossi fermato di colpo a fissarlo. Ho ca­pito subito che era deciso per questa mat­tina. L'ho capito come se io fossi stato nel suo cerminciato a seguirla. Non comprendevo dove volello; ma non come un intruso, badi! Ho colesse andar a finire... (queste ultime righe sono dette dall'attore con assoluto non senso, finche tace)

Il lettore                      - (fissando attentamente la pagina)  Cerminciato... volello... colesse...? Ma cosa vuol dire?... (dopo un attimo, mentre gli attori sono rimasti nella immobilità della azione interrotta) Ah! Un errore di stampa. Le righe fuor di posto, (contando le righe) una, due, tre, quattro... (ricomincia a leggere).

L'ignoto                      - (riprendendo il tono esatto) L'ho capito come se io fossi stato nel suo cervello. Ma non come un intruso, Badi! Ho comin­ciato a seguirla. Non comprendevo dove vo­lesse andar a finire. Lei era forse un po' stor­dito; e doveva, senza accorgersene, sbagliar strada. Mi ha fatto stancare in principio, finché non mi ha dato animo la certezza che era questione di pochissimo tempo, e che forse si sarebbe giunti alla fine da un mo­mento all'altro. A un certo punto, poco dopo Piazza Venezia, appena infilato il Corso, lei ha sentito che io la pedinavo. Una prima volta si è voltato, ma non mi ha visto. E' passato allora per tutte le vie laterali. Perchè voleva farmi perdere le sue tracce? Aveva paura? Girava a tutte le cantonate. Io non sapevo se nascondermi o lasciarmi scoprire. Ma avevo una paura folle di perderla di vi­sta; per questo la fissavo. Lei se ne è accorto : e ha rallentato il passo. Allora ho avuto la certezza che non sbagliavo, pensando che voleva uccidersi. Non le era possibile distrar­re la propria volontà. Altrimenti avrebbe reagito; mi avrebbe fermato, o guardato in modo che avrei dovuto lasciarla andar per la sua strada. Ma il suo pensiero era troppo fisso perchè potesse occuparsi troppo a lungo di me. Ha di nuovo affrettato il passo... (Tace. Immobile).

Il lettore                      - (ha, infatti, interrotta la lettura. Posa il libro sulla panchina. Leva di tasca un portasigarette. Accende una sigaretta. Ri­pone la scatola, riprende il libro e rico­mincia a leggere).

L'ignoto                      - ... Se non l'ho perduto di vista tra la folla, è stato perchè anch'io avevo una vo­lontà feroce, ossessionante, di non lasciarla sfuggire. Vicino al ponte di Piazza d'Armi si è fermato: ha posato il cappello in terra. Io mi affrettavo dietro gli alberi del viale, col cuore in gola, perchè temevo di arrivare tardi. A un certo istante lei si è nuovamente accorto di me; era già sulla china ed è tor­nato sulla strada. Le giuro che avrei voluto parlarle subito. Ma ho avuta una vergogna immensa. Se lei non mi avesse capito? Poi è rimasto nascosto dietro il ponte, forse an­noiato della mia inesplicabile insistenza.

Melauri                       - Appunto. Io andavo...

L'ignoto                      - Sì, lei andava: ma voleva andar solo. E io non volevo questo. Lei capirà, mi compatirà. L'ho proprio inseguito; correndo in certi punti, perchè non potevo rintrac­ciarlo. Era «osi distante, in fondo a un viale di Villa Borghese. Pensavo, che grasso come sono, non mi sarebbe stato possibile rag­giungerla. Però, non so come, non mi è mancato il fiato: mi sono arrischiato per una scorciatoia traverso i prati. L'ho seguito con un cuore che non avevo l'uguale quando ero ragazzo e innamorato. Era la 'mia ultima felicità, la mia unica fortuna che io affer­ravo. Giunto al muraglione, indovinavo che lei si sarebbe fermato, perchè la tentazione qui è troppo grande. Erano gli ultimi istanti. Ecco; ho potuto avvicinarmi anche sul viale aperto, sul cavalcavia. Giunto lì, dov'è adesso, lei ha di nuovo posato il cappello; ho fatto anch'io altrettanto. Lei si è affac­ciato, e anch'io. La fissavo, sa, aspettavo il suo gesto, come si aspetta il gesto miracoloso di una immagine santa.

Melauri                       - Per impedirlo?

L'ignoto                      - Impedirlo? Ma non ha capito?

Melauri                       - No!

L'ignoto                      - Ma io aspettavo che lei si buttasse.

Melauri                       - Ma lei è un pazzo!

L'ignoto                      - Io? per nulla. Dica piuttosto: uno che ha paura.

Melauri                       - Lei?

L'ignoto                      - Io. Lei capisce; lei che si è liberato dalle piccolezze del mondo tanto da poter uccidersi, capisce. Io devo ammazzarmi da sei mesi. Da sei mesi mi trascino avanti con la necessità di morire. Non le dico le mie disgrazie: ma è per non uccidere una donna, e far soffrire poi i miei bambini, che io pre­ferisco uccidermi. Sono sei mesi di tormenti. Ogni mattina, ogni notte, ogni momento in cui ero solo, ho provato: fino al momento decisivo la forza non mi mancava: ma poi non reggevo : perchè nella vita ho tanto sof­ferto che speravo sempre, aspettando, di non soffrire più, e anche perchè avevo, non mi vergogno a dirlo, paura. Era una cosa pietosa. Non riuscivo mai a compiere l'ultimo gesto : La mia volontà, a quel punto, si spezzava. Pensavo invece che è una cosa così semplice; premere un dito sul grilletto di una rivol­tella; bere un po' d'acqua avvelenata; in­goiare una pillola; giacere traverso le ro­taie della ferrovia, di notte; buttarsi in acqua; lasciarsi cascare dalla finestra. Ma non potevo. Una notte il mezzo, unico, mi è balenato. Occorreva che qualcuno, ecco, mi dimostrasse la semplicità, la naturalezza di questo gesto: che qualcuno...

Melauri                       - Qualcuno?

L'ignoto                      - Si uccidesse sotto i miei occhi. Io l'avrei imitato all'istante.

Melauri                       - Ed è per questo...

L'ignoto                      - Oh sì! per questo io l'ho seguito. Lei si uccideva. Io ne avevo la sicurezza. Ba­stava che io le venissi dietro, che la imitassi, per finirla una buona volta. Capisce adesso la mia felicità? Perchè non è facile trovare uno che si vuol uccidere sotto i nostri occhi. Io ero già appoggiato al muricciolo. Aspet­tavo solo che lei si lasciasse cadere. Si sa­rebbe cascati insieme, (tace).

Melauri                       - (al colmo dell'imbarazzo e dell'indi' gnazione) Senta. Lei si è sbagliato. Io non volevo uccidermi. E la sua mi pare una bella pretesa.

L'ignoto                      - Pretesa? Ma cosa le chiedo io? Non voglio oppormi alla sua volontà. Non voglio fare, come si dice, un bel gesto. Lei mi perdoni, ma non c'è nulla di male in quello che io le chiedo. E' come una carità. Si vergogna, lei, forse, di me? Ma se è come se io non esistessi. Lei si butta...

Melauri                       - Ma io non mi butto nemmeno per sogno.

L'ignoto                      - (con una supplica) Sì. E io la se­guo, cosìl.. come una pietra urtata nella ca­duta. Pensi: siamo uguali in questo momen­to. Ognuno ha avuto i suoi dolori, i suoi spa­simi, e ha la sua disperazione. Ci rimane solo questa cosa, in comune, vede; il modo per finirci.

Melauri                       - Per finirci? Ma dica per finirsi lei. Io non le faccio .mica da comodino, sa! Se lei ha paura...

L'ignoto                      - Perchè mentisce adesso?

Melauri                       - Ma! santo Dio santissimo! ma lei sbaglia. Cosa devo fare per dimostrarglielo? Le par poco uccidersi? Glielo devo insegnare io? Come se sapessi come si fa!

L'ignoto                      - (al colmo della indignazione) Come si fa? A me domanda come si fa? Sa cosa è lei? Un vigliacco! un vigliacco!!

Melauri                       - (tace stremato da una paura agghiac­ciante).

L'ignoto                      - (smania, vinto dalla rabbia e dalla disperazione, lo insulta con voce strozzata, e getta il cappello) Vigliacco! Vigliaccone! ! Come si fa? Ce l'ho io il coraggio, ormai, Schifoso! Guarda! ora ti faccio vedere! (bal­za a sedere sul muricciolo e s'abbandona con la- schiena in giù).

Melauri                       - (è, prima, inchiodato dall'orrore. Vorrebbe guardare, già, nell'abisso. Ma lo spavento è troppo forte. Si allontana di cor­sa, pazzo di paura).

Il lettore                      - (che, avvinto dalla drammaticità della situazione, si era levato in piedi, e, continuando a leggere con la massima inten­sità, era arretrato fino ad essere accanto al murìcciuolo, vicino ai due personaggi per lui invisibili, continua a leggere per qualche istante. Poi leva gli occhi, chiude il libro, riconosce il luogo dove si è svolta la rappre­sentazione narrata nel libro. Quasi suggestio­nato, guarda giù, nel vuoto, come se là in fondo dovesse realmente apparirgli il corpo del suicida. Ma, naturalmente non c'è nulla. Allora si riscuote) Sciocco! Lasciarsi sug­gestionare fino a questo punto!... (tace) E questo libro? (ha un'idea. Si guarda attorno. Poi, con decisione, lo butta dal muraglione) Almeno lui! (Esce. Cala la tela)

FINE