Una burla riuscita

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UNA BURLA RIUSCITA

Originale televisivo

di TULLIO KEZICH

dal racconto di Italo Svevo

PERSONAGGI

MARIO SAMIGLI

GIULIO SAMIGLI, suo fratello

VINKO, contadino

ENRICO GAIA, commesso viaggiatore

Il signor BRAUER

Il signor STRUDELKOPF

Un vecchio cameriere

Un garzone che non parla

Altri clienti e camerieri che non parlano

RICO

PIEROamici di Gaia

Commedia formattata da

 L'azione si svolge a Trieste nei mesi che precedono e seguono il novembre 1918.

Gli ambienti sono: l'appartamento di Mario e Giulio Samigli (una stanza da pranzo e un angolo della stan­za da letto di Mario); l'ufficio commerciale del si­gnor Brauer; l’interno-esterno del Caffè Tommaseo.

La casa dei Samigli è modesta senza essere povera. Qualche mobile Biedermeier che può ricordare un passato migliore della famiglia; molti libri; una fi­nestra dove arrivano i passeri per beccare il pane di Mario. Della stanza di Mario basterà vedere il letto e un canterano con lo specchio.

L'ufficio commerciale di Brauer è molto comune e disadorno.

Il caffè Tommaseo è il tipico caffè triestino, come sopravvive ancora oggi: tavolini di marmo, divanetti alle pareti, stucchi con motivi neoclassici.

Mario Samigli è alla finestra del suo ap­partamento, sbriciola il pane per i passeri che arrivano a beccarlo tutti allegri nel sole caldo del pomeriggio.

Mario segue con grande compiacimento il pasto dei passeri affamati. Comincia ad arrotolarsi una sigaretta che poi accenderà. Dietro alle sue spalle, in fondo a una came­ra modestamente arredata e piuttosto in di­sordine, suo fratello Giulio, più anziano e ammalato, si solleva a sedere sul letto e al­lunga il collo per seguire l'operazione, visi­bilmente preoccupato.

Giulio                       - Mario... Mario.

Mario gli fa cenno di non chiamarlo, potreb­be spaventare gli uccellini.

Giulio                       - (a voce più bassa) Mario... Tutto quel pane!

Mario fa un gesto per dire: non ha impor­tanza. Giulio ha una smorfia d'impazienza e si ricaccia sotto le coperte brontolando.

Giulio                       - Per una volta che abbiamo mezzo chilo di pane di Sérvola, un po' di pane bianco dopo tutto quel castagnaccio...

Mario rileva l'impazienza di Giulio e si af­fretta a sbriciolare un ultimo pezzo dì pane.

Mario                        - Là... sbrigatevi... Per oggi non c'è altro.

Lancia ancora un'occhiata commossa e di­vertita ai passeri, chiude la finestra. Va a portare il piatto con un panino rimasto ac­canto al letto del fratello. Giulio lo prende subito, come per timore di vederselo con­tendere dai passeri.

 Giulio                      - Il caffelatte è sul fuoco.

Mario sparisce in cucina a prendere il pen­tolino del caffelatte, torna in camera, apre una credenza, prende una tazza e versa il caffè, con l'aria di quello che è abituato a compiere queste operazioni tutti i giorni. Mentre porta il caffè al malato chiede:

Mario                        - Come ti senti oggi?

Giulio alza le spalle, con rassegnazione.

Giulio                       - Come un vecchio. Un vecchio gottoso che deve costringere suo fratello a servirgli il caffelatte... e fosse solo il caffelatte.

Mario ha un sorriso d'affetto guardando Giu­lio che comincia a sbriciolare il pane di Servola nel caffè.

Mario                        - Vorrei poter abolire la guerra sul piccolo ippocastano nel cortile, la sera, quando i passeri cer­cano il miglior posto per la notte. Non sarebbe unbuon segno per l'avvenire dell'umanità?

Giulio lo guarda con l'ammirazione che le persone semplici hanno per gli uomini di fantasia.

Giulio                       - Vuoi scrivere un'altra tavoletta?

Mario                        - Ti faccio sentire l'ultima, che ho scritto ieri sera. Va al tavolino dove ci sono inchiostro, ri­sme di carta bianca e qualche foglio mano­scritto. Ne prende uno, legge. "Un uomo generoso, regolarmente, per lunghi anni, aveva regalato del pane agli uccelletti e viveva sicu­ro che l'animo loro fosse pieno di riconoscenza per lui. Non sapeva guardare: altrimenti si sarebbe ac­corto che gli uccelletti lo consideravano un imbecille cui per tanti anni avevano saputo rubare il pane senza che a lui fosse riuscito di catturare neppure uno di loro." Che te ne pare?

Giulio che non è sicuro di aver capito per­fettamente, approva comunque con grandi cenni del capo.

Giulio                       - Eh, eh.

Mario                        - No, no. Voglio un giudizio sincero. Lo sai che mi piace sempre discutere con te tutto quello che scrivo.

Giulio si riscalda a queste parole.

Giulio                       - Bella, bellissima. Un po' triste, forse. Mi piaceva di più l'altra, quella del gigante che combat­te nella palude contro gli animali piccolissimi, e lui pesa tanto che sprofonda nel fango.

Mario                        - Meglio non parlare troppo di queste cose, te l'ho detto. Sai... il gigante, la Germania... la batta­glia, la guerra... Se l'Imperial Regia polizia sente che vanno in giro di queste storie, chissà quello che può succedermi, inchieste, perquisizioni. Prende un foglio sul tavolo, lo agita sul na­so del povero Giulio, spaventatissimo. "Wer hat dieses Màrchen geschrieben? Sie vielleicht?" Hai capito?

Giulio                       - Ma qui siamo soli.

Mario                        - Non dicevo fra noi. Dicevo parlando con la gente che capita qui, la signora del piano di sotto, Vinko: "Sapete, mio fratello ha scritto una favola cosi e cosi..." Silenzio.

Giulio annuisce con molta serietà, finisce il caffelatte e dà la tazza vuota a Mario che la depone sul tavolo centrale.

Giulio                       - Non vai a lavorare oggi?

Mario                        - Il signor Brauer mi ha dato vacanza. Ne approfitterò per mettere un po' d'ordine. Guarda che camera.

Giulio                       - Abbiamo dovuto restringerci qui, non era possibile riscaldare tutto l'appartamento. Io non so come fai a dormire di là, al freddo.

Mario sta mettendo ordine.

Mario                        - Io dormo benissimo.

Giulio                       - Lo credi. Io ti sento agitato. Stanotte poi non so che cosa avevi. Ho sentito dei suoni stra­ni: sospiri profondi come grida di dolore. Mario si ferma ad ascoltarlo, meravigliato. Ti dico che sulle prime mi ha fatto paura. Non sembrava neanche la tua voce. Era come se si la­mentasse un uomo perseguitato dalla sventura, un infelice.

Mario ride incredulo e tuttavia un po' tur­bato.

Mario                        - Sarà un modo nuovo di russare.

La cicala alla porta. Mario va ad aprire, Giulio si sporge dal letto per vedere chi è.

Giulio                       - Chi è?

Mario e Vinko sono ancora nell'ingresso, fuo­ri campo.

Mario                        - Niente. È Vinko con la roba.

Giulio è elettrizzato dall'arrivo dello sloveno che porta la roba da mangiare. Entra Mario seguito da Vinko che ha un grosso sacco da montagna. È uno stavo del contado, parla il dialetto misto a espressioni slovene.

Vinko                       - Doberdàn, sior Mario. Bongiorno, sior Giu­lio, come la sta?

Mario e Giulio          - Bravo, bravo, Vinko. Vieni, fa' vedere.

Conscio della propria importanza, lo slavo comincia a sciorinare i suoi tesori sulla seg­giola e sul letto di Giulio, fra le esclamazio­ni di meraviglia dei due fratelli.

Vinko                       - Quel che gò trova gò porta.

Tira fuori delle uova, una alla volta, metten­dole in fila sulla sedia.

Ovi! 'Ssai dificile trovar. Uno, due, tre... stiri, pet, sest, sedan, ossan... devet, desset... dieci... e pò anco­ra iedanais e dvanais. E adesso...

Sfila dal sacco una collana di salsicce.

... luganighe, queste xe de casa mia, bestia mia. Senti solo odor.

Fa annusare una salsiccia a Giulio, che ha un'espressione beata. Poi tira fuori, luna do­po l'altra, due bottiglie di vino.

E dopo luganighe, terràn. Questo sveia morti. Ie-dan e dva. E come ultima roba...

L'attenzione dei due fratelli è arrivata allo spasimo. Vinko tira fuori un pollastrello.

... polàstro de far frito. Se magna anca ossi.

Mario e Giulio, tutti felici, toccano le prov­viste come ad assicurarsi della loro reale pre­senza.

Giulio                       - Vinko, come faremmo senza di te!

Vinko                       - No ve digo per portar zò de Duttogliano che fadiga. Xe tutto pien de guardie, soldai. Dixi: "Lei porta roba magnare, etwas zu essen?" Mi digo: "No go niente." Lui disi: "Weiter."

Mario e Giulio ridono divertiti.

Mario                        - "Weiter!"... Ah, ah! Ti immagini che scena!

Vinko tira fuori dal sacco la copia di "Una giovinezza", la pulisce con la manica e la porge a Mario, che smette subito di ridere. Giulio lo guarda preoccupato.

Vinko                       - Ecco suo libro... 'Ssai bel. Mia fia ga letto tuto, di prima pagina a ultima.

Mario, con il libro in mano, guarda interro­gativo Giulio.

Giulio                       - Mi aveva chiesto un libro da far leggere a sua figlia... Sai che studia per maestra, no? Le ho dato il tuo romanzo.

Vinko                       - Gà ditto bellissimo. Eia legeva matina, legeva magnando, sera no studava lume. Che omo nostro sior Mario! Dove trova tute quele storie di contar in libro?

Mario è un po' lusingato, va a mettere il li­bro sulla credenza.

Mario                        - Eh, Vinko : sono tanti anni che ho pubbli­cato questo romanzo. E poi aspettavo che se ne accor­gessero, che uscissero gli articoli sui giornali.

Giulio                       - Ma ci sono stati! Il professor Nerini sull'" Indipendente".

Mario                        - No, ma io dico la stampa del Regno, in un quadro più vasto.

Giulio                       - Anche i giornali regnicoli l'hanno segna­lato. Io ricordo il "Corriere della sera".

Mario                        - Nella rubrica "Libri ricevuti".

Giulio                       - Ebbene? Il tuo difetto, lasciatelo dire, è che ti butti troppo giù. Sei troppo modesto. Dopo quel libro giovanile non hai scritto più.

Mario                        - Come non ho scritto? Le favole!

Giulio                       - Romanzi, dico. Un altro libro come quel­lo. Perché non lo scrivi?

Mario                        - Ma cosa vuoi, Giulio: il lavoro, tutto il giorno da Brauer; la guerra, adesso... E poi a Trieste, credimi, manca il nutrimento.

Vinko, che capisce a metà, indica la roba che ha portato.

Vinko                       - Adesso la gà de magnar!

Mario                        - No, Vinko caro, dicevo il nutrimento spiri­tuale, l'aria che si respira! Non puoi capire.

Vinko                       - Sior Mario gà granda testa cussi. Devi magnar, devi star ben, devi scrivere suoi libri.

Mario                        - (commosso) Grazie, caro, grazie. Vieni che ti do qualche altro libro per tua figlia... Dev'essere una ragazza molto intelligente.

Sceglie alcuni libri sullo scaffale.

Ecco qua. "Il santo" di Fogazzaro. Grazia Deledda. Verga, "I Malavoglia", questo è un bellissimo libro. "Il fu Mattia Pascal" di Pirandello.

Giulio                       - No, Pirandello no. Mi avevi promesso di leggermelo.

Mario                        - Giusto. Allora ti do le poesie di Carducci, guarda.

Vinko ha messo nel sacco tutti i libri, se lo mette in spalla e si prepara ad andarsene.

Vinko                       - Grazie, grazie. Allora mi vado, tornerò al­tra settimana, si posso.

Giulio                       - I conti, Mario.

Mario mette mano al portafoglio, Vinko fa grandi cenni di diniego.

Vinko                       - Faremo, faremo... Eh, per lei, sior Mario... Arrivederci.

Mario lo accompagna all'uscita. Dalle scale sentiamo la sua voce.

Mario                        - Grazie ancora, Vinko. E ringrazia

Mario rientra.

Che brav'uomo. Ci ha riforniti per una settimana. E non c'è verso di dargli un centesimo.

Giulio                       - Non ti è mica dispiaciuto che gli abbia prestato "Una giovinezza"?

Mario                        - Figurati.

Giulio                       - In fondo ho pensato: se è una ragazza intelligente, che ama i buoni libri-Mano ha riunito tutta la roba portata da Vinko sulla tavola. La mostra a Giulio.

Mario                        - Vedi? Questo è un successo della nostra letteratura. Ho sempre detto che la letteratura ita­liana prospera meglio all'estero che da noi. Ci vole­va uno slavo del Carso per tramutare in luganighe e terrano "Una giovinezza".

Giulio è felice che Mario accetti l'omaggio gastronomico come un riconoscimento delle sue qualità letterarie.

Giulio                       - E non dimenticare il pollo. Vogliamo mangiarcelo subito stasera?

Mario ridendo solleva il pollastro tenendolo per il collo, tira fuori una pentola e lo butta dentro.

Il particolare del pollo nella pentola. Dissolvenza.

Il pollo spolpato in un piatto di portata. Ac­canto la bottiglia dimezzata del vino. La mano di Mario entra in campo, prende la bottiglia, versa il vino nel bicchiere vuo­to di Giulio. La voce di Giulio.

Giulio                       - (/. e.) Basta, lo sai che non posso.

È sera. I due fratelli hanno finito di cenare a un piccolo tavolino accanto al letto. Mario ha avvicinato una poltrona.

Mario                        - Per mezzo bicchiere.

 Giulio beve, Mario comincia a sparecchiare.

Mario                        - Stasera abbiamo fatto parecchio tardi e quasi quasi lascio il lavoro da sbrigare per domatti­na. Metto i piatti di là, nell'acquaio.

Giulio                       - Bravo. Cosi cominciamo subito la lettura.

Mario è nello stanzino accanto che fa da cucina. Sentiamo la voce, fra un rumore di stoviglie e di acqua che corre.

Mario                        - (/. e.) Davvero vuoi che ti legga qualcosa anche stasera? Non sei stanco?

Giulio                       - Sapessi quanto mi piace sentirti leggere. La lettura mi concilia il sonno.

Mario                        - (/. e.) Allora vuol dire che ti annoio.

Giulio                       - No, cosa dici? È che al suono della tua voce, io mi distendo, il mio cuore assume un ritmo regolare, il polmone s'allarga... Insomma ho la sen­sazione di star bene.

Mario rientra asciugandosi le mani con uno strofinaccio. Passa in rassegna i libri dello scaffale.

Mario                        - Cosa leggiamo stasera? De Amicis, Fogazzaro?

Giulio                       - S'era detto di leggere un moderno, Pi­randello.

Mario                        - Ah, già. Pirandello, "Il fu Mattia Pascal".

Prende il libro, va a sedersi accanto a Giulio, che intanto ha tirato fuori il berretto da not­te e si appresta tutto lieto alla lettura.

Mario                        - Io questo Pirandello non lo capisco pro­prio, non mi va giù. Degli argomenti, un uso della lingua... Bah, avrò torto io. Ho visto una sua foto­grafia, ti dirò che mi è antipatico. Un uomo con un pizzetto, qua... Ti ricordi che gli scrissi?

Giulio, che aspetta la lettura è un po' impa­ziente.

Giulio                       - E come no?

Mario apre il libro, fa per iniziare la lettu­ra. Poi lo richiude con delusione di Giulio, e torna al suo discorso.

Mario                        - Non mi rispose. Perciò mi è antipatico. Perché non basta saper scrivere dei bei libri. Bisogna anche saper capire quelli degli altri.

Giulio                       - Giustissimo. Ma adesso leggi.

Mario sospira, apre il libro, legge visibil­mente contrariato.

Mario                        - "Capitolo primo. Premessa". Che vuol di­re premessa? O è il primo capitolo o è una premes­sa, no?

Giulio                       - Leggi, leggi.

Mario                        - "Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal."

Giulio beato sui cuscini segue la lettura.

"...E me ne approfittavo. Ogni qualvolta qualcuno dei miei amici o conoscenti dimostrava d'aver per­duto il senno fino al punto di venire da me per qual­che consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo: 'Io mi chiamo Mattia Pascal'..." Beh, questa poi!

Giulio trasalisce infastidito.

Eh si, scusa. Mi sembra assolutamente infantile, no? Chi si comporterebbe in tale modo nella vita? Ma come, tu vieni da me per un consiglio o... cosa dice, qua? o un suggerimento, e io ti dico: io mi chia­mo Mario Samigli? Eh, no. È troppo sciocco.

Mario mette giù il libro, si arrotola una si­garetta. Giulio lo guarda impaziente, forse anche il fumo gli dà fastidio.

E questi, capisci Giulio, sono i cosiddetti grandi romanzieri, quelli che la critica porta in palma di mano... "Mi chiamo Mattia Pascal!" Bella roba!

Giulio                       - Vai avanti.

Mario riprende il libro con un sospiro.

Mario                        - Si, vado avanti. Allora: "Io mi chiamo Mattia Pascal." "Grazie caro, questo lo so. E ti par poco?" Non pareva molto, per dire la verità, neanche a me..." Ah, meno male. Questo modo di scrivere mi manda in bestia. Mi sembra, scusami, una presa in giro per il lettore.

Giulio                       - Ma ti interrompi sempre. A me piace quando leggi filato. Sai le interruzioni, le polemiche... Cambia il tono della voce, si rompe un'armonia e sfuma tutto il piacere della lettura.

Mario                        - Capisco, capisco. Ora leggerò filato. Però con Pirandello non è facile. Mi sembra che la sua sia una lingua... come dire?... povera, sciatta. Non c'è quel senso dello stile, della frase ben scritta, che fa il merito del grande autore. Non trovi?

Giulio                       - Certo, certo. Anzi, senti: perché non mi leggi qualcos'altro?

Mario si affretta a riporre Pirandello.

Mario                        - Volentieri. Ma che cosa?

Giulio ha un lampo di furberia, deciso a con­quistarsi una lettura ininterrotta e gradevo­le, che concili il sonno.

Giulio                       - Per esempio... il tuo romanzo.

Mario è felice.

Mario                        - "Una giovinezza"? Ma lo conosci già.

Giulio                       - Eh, si. Però non l'ho letto da parecchi anni e insomma... mi piacerebbe riascoltarlo dalla tua voce.

Mario ha già preso il libro, se lo guarda amorosamente.

Mario                        - Non lo farai per complimento?

Giulio                       - Ti pare? Proprio perché provo il desi­derio di riascoltarlo.

Mario                        - È lungo. L'unico critico che se ne occupò disse: troppo lungo.

Giulio                       - Abbiamo tempo. Vedremo se durerà di più il tuo romanzo o la guerra.

Mario, acceso d'entusiasmo, apre il libro, si sistema bene nella poltrona, si schiarisce la voce e comincia a leggere.

Mario                        - Capitolo primo. "Mamma mia, appena ieri sera ricevetti la tua buona e bella lettera. Non dubi­tarne, per me il tuo grande carattere non ha segre­ti; anche quando non so decifrare una parola, com­prendo o mi pare di comprendere ciò che tu volesti facendo camminare a quel modo la penna. Rileggo molte volte le tue lettere: tanto semplici, tanto buo­ne, somigliano a te..."

Giulio si assopisce pian piano, mentre la vo­ce di Mario sì allontana sempre più. Dissolvenza.

Giulio dorme profondamente, comincia perfi­no a ronfare. Mario sta ancora leggendo, sempre più soddisfatto della sua prosa.

Mario                        - "...D'inverno il pavimento della stanza del signor Mailer era coperto di tappeti grigi..." Giulio, Giulio, dormi?

 Tocca un braccio del fratello, che dorme. Ma­rio si alza, spegne la sigaretta, rimbocca le coperte al fratello e sempre con il libro sotto il braccio si avvia all'altra camera. Sull'uscio dà un'ultima occhiata a Giulio, non senza una punta di stizza, e spegne la luce. Nella camera da letto Mario accende solo la lampada sul comodino da notte. Mario appoggia il romanzo al comodino, comincia a togliersi la cravatta, si slaccia il collo del­la camicia.

Mario, allo specchio, si guarda. Ripete a me­moria.

Mario                        - "D'inverno il pavimento della stanza del signor Mailer era coperto di tappeti grigi. Anche i mobili avevano un colore oscuro grigio, i bracciali, le gambe di legno nero. Dei tre beccucci a gas uno solo era acceso e..." Com'è poi?

Va al comodino, controlla sul libro.

Ah, ecco. "Dei tre beccucci a gas uno solo era ac­ceso e semichiuso."

Si siede sul letto, inebriato dal suono della propria prosa. Appoggia il libro sul cuscino e comincia, sempre leggendo, ad arrotolarsi una sigaretta.

"Nell'oscurità la stanza diveniva più seria. Alfonso vi stava sempre a disagio. Depose le lettere su un altro pacco, che c'era sul tavolo per la firma, e usci con cautela, senza far rumore, come se il principale fosse stato presente..." Niente male, niente male. E poi vediamo. "Avrebbe anche potuto andarsene, ma una grande stanchezza lo fece rimanere..."

Continua a leggere il suo vecchio romanzo nella notte. Dissolvenza.

Nell'ufficio del signor Brauer, giorno. Alla scrivania Brauer, un uomo anziano, rivede la corrispondenza. Enrico Gaia, capelli bian­chi e baffi neri, estroverso e nervoso, pas­seggia su e giù zoppicando.

Gaia                          - Ma mi dica se non è un difetto questo, la mancanza di puntualità. Io lo dico sempre: quell'uo­mo è un sultano, un principe orientale. Diamogli il narghilè. Bello, pacifico, riposato... Sembra persino che si nutra in abbondanza, con tutta la carestia che c'è.

Brauer, che non ha molta simpatia per Gaia, risponde con delle smorfie o a monosillabi.

Brauer                      - Mah!

Gaia                          - Se è per questo mangio anch'io, eh? Finito io, finiti tutti. Dopo di me il diluvio. La borsa nera mi strozza, ma cosa dovrei fare? Morire di fame? Io compero, pago, combino anche dei buoni affari qual­che volta. Per forza, incantare la gente è il mio me­stiere.

Gaia siede accanto a Brauer, cercando inu­tilmente di interessarlo al suo discorso.

Gaia                          - Il commesso viaggiatore è un mestiere che ammazza di fatica. Ma riserva grandi soddisfazioni. Chieda di me in tutta l'Istria: a Parenzo, a Pirano, a Buie. Lo chieda ai ragazzini, per la strada, chi è Enrico Gaia. Sa che una volta un mio corrispon­dente da Graz mi scrisse proprio cosi, "Enrico Gaia, Istria". E la lettera mi fu recapitata! Davvero.

Brauer lo guarda incredulo.

Brauer                      - Enrico Gaia, Istria?

Gaia                          - Si.

Brauer                      - E la lettera fu recapitata?

Gaia                          - Si... Anche in Dalmazia, badi, mi conoscono bene.

Brauer si alza, va all'archivio con un'espres­sione poco convinta.

Non come in Istria, forse, ma a Spalato, a Sebenico, sono qualcuno. Sa cosa mi dicono i miei clienti dalmati? Che quando arrivo io il ritmo della loro vita si accelera.

Brauer                      - Dicono cosi?

Gaia                          - Si, perché io non viaggio mai solo.

Brauer                      - Ah, no?

Gaia                          - Sempre in compagnia di tre cose, signor Brauer: l'appetito, la sete e la voglia di divertirmi.

Brauer                      - Beato lei.

Gaia                          - Dove arrivo io, si ride, si beve, si canta.

Si alza, accenna a passi di danza cantando.

"A Roma i ga San Piero, a Venezia i ga '1 leon Per noi ghe xe San Giusto co '1 vecio suo melon..."

Brauer sbuffa.

Brauer                      - Lei ha sempre un gran morbino addosso.

Gaia                          - Anche se mi portassero sulla forca, come Guglielmo Oberdan, io sarei capace di farmi una bella risata.

Gaia guarda fieramente davanti a sé, come un martire, poi scoppia a ridere, dà una gran manata sulla spalla di Brauer, piutto­sto seccato. Brauer guarda l'orologio.

Brauer                      - Oggi però Samigli ritarda. Che stia ma­le il fratello?

Gaia                          - Ma no, ma no. Avrà fatto un giro per il re­gno delle nuvole. Sa com'è, il grande scrittore, il poeta. Per quel romanzetto che ha pubblicato, spendendo una fortuna, quand'era giovanotto. E ha riem­pito tutti i carretti del ghetto, lo sa? Ma nemmeno là si vende.

Brauer                      - Non ne parla mai.

Gaia                          - Appunto. Là ti voglio. Ma ci pensa sempre. Sogna ancora di diventare un grande scrittore. Per il mondo, per la gente dico. Perché dentro di sé, po­vero illuso, è convinto dì esserlo. "Una giovinezza"! Bella roba.

Brauer                      - Io so che è un ottimo impiegato. In fin dei conti un letterato è utile per la corrispondenza. Chissà quanti strafalcioni manderei in giro senza il signor Samigli.

Gaia                          - Oh, non dico. Siamo amici da tanti anni. È un brav'uomo, ma indisponente. Si, per quella sua presunzione di essere superiore a un altro. Oh, anch'io, sa, in gioventù, scrivevo poesie. Ne leggo an­cora: D'Annunzio è il mio idolo. "Tutto di verde mi voglio vestire - tutto di verde per santo Giovanni." Ma la vita è una cosa seria, altroché. L'arte va messa da parte. Prima la pagnotta, la lotta per la sopravvi­venza. Del resto guardi come sta lui, con quel fra­tello invalido, e modestamente come stiamo noi due. Eh?

Brauer si stringe nelle spalle.

Brauer                      - Eh.

Gaia                          - Ma la sa l'ultima? Ha perfino paura di es­sere perseguitato per certe sue favole dove parla di uccelletti e simili fandonie.

Brauer                      - Favole?

Entra Mario, affannato. Si toglie il cappotto.

Mario                        - Buongiorno a tutti, mi scuso per il ritardo. (Si soffrega gli occhi) Stanotte ho dormito poco.

Gaia                          - Qualche nuova illuminazione artistica? Qual­che favola destinata a far crollare l'Austria-Ungheria?

 Mario è sinceramente spaventato.

Mario                        - Sei matto?

Gaia                          - Sei matto tu. Ma parla liberamente, gri­dala sui tetti la tua favola. Che ormai, cari amici, è questione di giorni.

Brauer                      - Questione di giorni?

Gaia                          - Ho un amico, persona fidatissima, che di solito sa quel che bolle in pentola... dall'altra parte. Insomma sembra che si prepari una di quelle avan­zate...

Mario                        - Lo dicevi anche prima di Caporetto.

Gaia                          - Zitto, sai? Non nominare Caporetto, uc­cellacelo del malaugurio. Ma guarda un po' questo portatore di scalogna. S'avvicina il momento della redenzione e lui parla di Caporetto.

Mario                        - No, quello che volevo dire...

Brauer                      - Lasci perdere, Samigli. Guardi questa minuta che le ho preparato ieri.

Prende una lettera con carta intestata della ditta, legge.

Stia a sentire. "Spettabile ditta, eccetera. Un ricco signore disponeva di molto pane e si divertiva a smi­nuzzarlo agli uccellini..." Ma che cos'è questa roba?

Gaia ride divertito, Mario è confuso.

Mario                        - Un appunto, niente, mi scusi.

Gaia                          - Una tavoletta! Daccapo con gli uccellini!

Strappa il foglio dalle mani di Brauer. Questa voglio proprio farla vedere in caffè.

Mario cerca di togliergli il foglio, Gaia si sottrae con grandi passi da moschettiere.

Niente paura: la vedranno solo gli intimi.

Brauer si accorge dell'imbarazzo di Mario.

Brauer                      - Signor Gaia, se non le spiace, adesso dovremmo lavorare. Gaia      - Certo, certo.

Rende la lettera a Mario, che la strappa su­bito in pezzi minutissimi.

Scherzavo. Io scherzo sempre. Piuttosto, sono ve­nuto a dirti di venire qualche volta in caffè. Sarà un mese che non ti vediamo al Tommaseo.

Mario comincia ad arrotolarsi la sigaretta.

Mario                        - Sai, ho sempre da fare a casa.

Gaia                          - Ma questi sono giorni da stare fra la gente. Bisogna leggere l'uno nella faccia dell'altro quello che sta arrivando. Dico bene o non dico bene? È un grande momento, signor poeta. Sveglia, sve­glia! È, un grande momento anche per i poeti!

Dissolvenza.

Passano sullo schermo le immagini dell'arri­vo degli italiani a Trieste il 3 novembre del 1918. La città imbandierata, Piazza Grande gremita.

Il generale Petitti di Roreto che scende dal cacciatorpediniere "Audace". La folla in delirio.

All'interno del caffè Tommaseo la stessa at­mosfera d'euforia che abbiamo visto per le strade. I clienti discutono animatamente in gruppi. Tutti portano coccarde e fazzoletti tricolori.

Gaia, con un'enorme coccarda in un gruppo d'amici, sta leggendo ad alta voce, riscuo­tendo approvazioni a ogni periodo, l'articolo di fondo della "Nazione", il nuovo quotidia­no uscito in quei giorni.

 Gaia                         - "È l'ora più grande e più bella della sto­ria di Trieste. Il destino si compie. Su la torre di piazza, issato dai cittadini, sventola il Tricolore. La libertà ride nei volti, esulta nei canti della Patria, mentre le insegne del potere caduto s'abbattono e passa maestosa l'onda dei vessilli per cui è dolce anche morire. Il nostro giornale sorge in quest'ora divina..."

Rico                          - Bene!

Piero                         - Ben detto!

Giusto                      - Che bell'articolo.

Gaia                          - Zitti, zitti, ascoltate ciò che scrive ancora "La Nazione": "Il secolo positivo e beffardo non ha tolto al nostro popolo i santi entusiasmi della patria ! "

Giusto                      - Santi entusiasmi, questa è la parola!

Rico                          - Avete visto che folla in piazza Grande?

Piero                         - Io ho visto il generale Petitti di Roreto: a un metro e mezzo, due, da me, sul molo. Una faccia simpatica.

Gaia mette giù il giornale, si guarda in giro come colto da un pensiero che lo disturba.

Gaia                          - Ma quell'asino di Samigli dov'è?

Uno degli amici fa cenno a Gaia, indicando un angolo tranquillo del caffè, dove vediamo Mario. Mario, anche lui con una coccarda tricolore non troppo vistosa, si sta facendo una siga­retta e legge silenzioso "La Nazione". Gaia, osservando Mario, ha una smorfia di disgusto.

Gaia                          - Eccolo là. Senza entusiasmo, senza spina dorsale. L'uomo superiore! È sempre stato un inetto, privo di calore.

Gaia si alza, seguito dagli amici e si av­vicina a Mario, silenziosamente. Quando gli è alle spalle, all'improvviso, si mette a cantare forte per spaventarlo.

Gaia                          - "La gallina con due teste / mi la go vista via svolar...!"

Mario ha un sussulto, la sigaretta gli cade dalle mani. Poi vede il Gaia e gli amici e si rasserena, ha un mezzo sorriso. Tutti ridono.

Rico                          - Paura fa novanta!

Gaia si siede accanto a Mario, mentre gli amici si uniscono ad altri gruppi nei tavoli vicini. Gaia è ridanciano e provocatorio.

Gaia                          - Ti sei svegliato, grande scrittore? Oggi al­meno scenderai fra noi mortali, in una giornata come questa.

Mario                        - Vorrei saper descrivere quello che sento. Bisognerebbe avere una penna d'oro per vergare le parole su una pergamena alluminata.

Gaia                          - Una penna d'oro? E dove la trovi a Trieste una penna d'oro? Va' là che sei un bel tipo. Crolla un impero, Trieste viene redenta, si compie il nostro quarantotto, e tu ce l'hai con la tua penna. Ma va' un po'...

Mario                        - Non volevo irritarti. Cercavo solo di espri­mere il mio sentimento con un amico.

Gaia non è persuaso, prende il giornale dal tavolo, lo apre per leggere, volta quasi le spalle all'amico.

Gaia                          - Sarà...

Mario non vuol portare avanti il discorso, comincia ad arrotolarsi un'altra sigaretta. Gaia non riesce a interessarsi alla lettura. Si vede che Mario, con la sua calma, lo infa­stidisce. Gli lancia un paio di occhiate irritate, poi ha negli occhi un lampo di cattive­ria. Mette giù il giornale e dice, con l'aria di chi ha dimenticato una cosa importante.

Gaia                          - A proposito, che stupido a non avertelo detto! Con la confusione che c'è in queste giornate...

Mario lo guarda interrogativo.

Gaia                          - C'è una cosa che devo dirti, una cosa che ti interessa. Riguarda il tuo romanzo.

Mario                        - Il mio romanzo?

Gaia                          - Sta' a sentire. Poco fa, in mezzo a una dimo­strazione, mi imbatto nel rappresentante dell'editore Westermann di Vienna... Sai quell'omino, una faccia da sbirro, un leccapiattini. Lo conosci, no?

Mario si è fatto attento alla parola editore.

Mario                        - No.

Gaia                          - Credevo. Insomma, gli sono andato vicino per seccarlo un po'... Sai, un austriacante di quelli... Proprio oggi mi deve capitare davanti, in mezzo a questo delirio.

Mario                        - E allora?

Gaia                          - Non se la prese per i miei scherzi e mi disse subito: "Lei, se non erro, è amico del signor Mario Samigli. Sa che impegni ha Samigli per quel suo ro­manzo, 'Una giovinezza'?" Li per li non seppi cosa rispondere: tu l'hai venduto, se non erro, quel libro?

Mario                        - Niente affatto. È mio, tutto mio. Ho pa­gato le spese dell'edizione fino all'ultimo centesimo e dall'editore non ho mai avuto mezza corona.

Gaia comincia a godersi la burla.

Gaia                          - Ma cosa mi dici?

Mario                        - È cosi. Neppure mezza corona, mai.

Gaia                          - Certo, in questo modo le cose cambiano.

Mario                        - Le cose cambiano? Non capisco. Spiegati meglio.

Gaia                          - Insomma tu mi garantisci che il solo asso­luto proprietario del libro sei tu?

Mario                        - Te l'ho già detto.

Gaia                          - Meno male.

Mario                        - Come meno male? Non tenermi sulle spi­ne. Perché meno male?

Gaia                          - Perché, caro mio, qui c'è la possibilità di combinare un buon affare.

Mario                        - Un affare?

Gaia lo afferra per il bavero della giacca, lo scuote.

Gaia                          - C'è la possibilità di vendere il tuo libro.

Mario è sbalordito e felice.

Mario                        - Vendere il romanzo all'editore Wester­mann?

Gaia                          - Peccato che io non sapessi come stavano le cose. E se ora buttano fuori di Trieste quel tedescone, addio affare!

Mario è agitatissimo a questa prospettiva.

Mario                        - Ma scusa, non potevi chiedere prima di.... Adesso forse hai rovinato tutto. Come ti è venuto in mente che il romanzo non fosse più mio?

Gaia                          - Posso vedere di rintracciare il tedesco.

Mario                        - Si, bravo. E se non lo troviamo più? In questi giorni, con la folla che si muove fra Trieste e Vienna, in treno, in carrozza, in automobile, a piedi... Ma sai che c'è una fiumana, sulle vie maestre? Eserciti in fuga, borghesi che emigrano o che rim­patriano, migliaia e migliaia di persone. Come fai a rintracciare un uomo in questa babilonia?

Gaia                          - Non ti preoccupare, ci penso io. Camerie­re, carta e penna!

Chiama un vecchio cameriere che passa.

Mario                        - Cosa fai adesso?

Il cameriere porta l'occorrente per scrivere. Gaia comincia a stendere l'accordo.

Cos'è che scrivi?

Gaia                          - ...scusa, ma gli affari sono affari. Prima che io mi metta... alla ricerca di quel tale... devi farmi una dichiarazione scritta, con la quale mi assi­curi una provvigione del cinque per cento.

Mario                        - Figurati! Tutto quello che vuoi. Ma non perdere tempo a scrivere, corri subito a rintracciare quell'uomo... La dichiarazione te la preparo io, te la faccio avere domani.

Gaia                          - E scritta in un momento. Scusami, l'ami­cizia è l'amicizia e un contratto è un'altra cosa.

Porge il foglio da firmare a Mario.

Firma qua. In fede, Mario Samigli.

Mario                        - (firmando) In fede, Mario Samigli.

Gaia                          - Guarda che la dichiarazione impegna anche gli eredi.

Mario                        - Io vorrei aggiungere due righe, un'espres­sione di gratitudine per te.

Gaia                          - Non ha importanza, lascia perdere. Adesso corro a cercare il tedesco. Cameriere, vuole pagarsi?

Mentre il cameriere incassa i quattrini di Gaia.

Mario                        - Pago anch'io, cameriere.

Gaia lo guarda interrogativo.

Vengo con te.

Gaia                          - Ma nemmeno per sogno. Non è opportuno che tu intervenga in questa fase delle trattative.

Mario                        - Sta' tranquillo, non ti toglierò la tua per­centuale.

Gaia                          - Non si tratta di questo. Tu va' a casa. Gli affari devono venir trattati da persone esperte. E poi, a dirtela tutta, sono pressoché sicuro di incontrare quel signore in certi ambienti... Sono posti equivoci, dove tu non metti mai piede.

Mario annuisce convinto.

Mario                        - E lui, invece?

Gaia                          - Tutti i giorni. Ci abita, potrei dire. Adesso vado là. Del resto se non lo trovo oggi posso ripro­vare domani.

Mario                        - E se venisse espulso da Trieste come te­desco?

Gaia perfeziona la burla.

Gaia                          - No, non c'è pericolo. Adesso ricordo che quel tale è di famiglia tedesca, ma è nato in Istria. Perciò diventerà cittadino italiano e non potrà ve­nire espulso.

Mario si tranquillizza.

Mario                        - Però datti subito da fare.

Gaia                          - Corro, signor scrittore!

Gaia se ne va quasi di corsa dal caffé. Mario si alza, va davanti a uno dei Minestro­ni. Lo vediamo dall'esterno, con gli occhi lu­cidi, emozionatissimo. Sentiamo le voci di una dimostrazione che passa, un coro degli evviva. Mario, concentrato nella gioia del successo, non vede e non sente nulla.

Coro                         - "All'armi, all'armi! Ondeggiano le insegne giallo e nere. Fuoco, per dio! sul barbaro, su le tedesche schiere! Non deporrem la spada fin che sia schiavo un angolo dell'itala contrada. Non deporrem la spada fin che sull'Alpi Giulie non splenda il tricolor..."

Sulle ultime battute del coro dissolvenza. È sera. Giulio in casa, è seduto sul letto, con il berretto da notte in mano. Segue con lo sguardo Mario, fuori campo, che va su e giù per la stanza in preda all'eccitazione. Giulio è eccitato anche lui, ma per calmare Mario e per ribadire che la sua ammirazione non aveva bisogno della conferma di un successo, tenta di mostrarsi calmo.

Giulio                       - Naturale, naturale... È una bella cosa, ma noi lo sapevamo già che il libro valeva. Il fatto strano è che non ti sia accaduto prima. Tutta la storia della letteratura è zeppa di uomini celebri, e certo non furono celebri dalla nascita.

Mario che sta camminando su e giù, si la­scia cadere su una sedia. Comincia a farsi una sigaretta, ma è molto nervoso e il ta­bacco gli cade dalla cartina. Lascia perdere.

Mario                        - Tu dici: è naturale... Va bene, ma perché proprio adesso? Perché non dieci anni fa?

Giulio fa una smorfia come per dire: e chi lo sa?

Mario                        - Si lo so, tu dirai: meglio adesso che niente. Vero?

Giulio annuisce.

Tu come pensi che sia successo?

Giulio                       - Be', forse...

Mario                        - Io penso che sia stato un critico.

Giulio                       - Un critico?

Mario                        - Metti che sia capitato nell'ufficio di Westermann un critico veramente importante...

Giulio                       - Ma sai, i critici...

Mario                        - Io ne ho detto sempre male, lo ammetto. Però non bisogna fare di ogni erba un fascio. Questo è un critico al quale non importa certo niente della propria persona. Uno che non chiacchiera, agisce. È andato da Westermann con il mio libro e ha detto: "Ecco l'opera che fa per voi. Vi consiglio di telegra­fare al vostro rappresentante di Trieste e di acqui­starla a qualunque prezzo."

Giulio                       - Ti immagini la meraviglia in città quan­do il tuo libro sarà pubblicato in tedesco. E poi avrai anche dei soldi, forse molti.

Mario                        - Faremo tante cose, vedrai. Compreremo dei mobili nuovi. Faremo dei cambiamenti.

Giulio                       - Ma allora tu non vorrai più leggermi il tuo libro, la sera. Andrai a farti vedere nei caffè, nei circoli degli intellettuali.

Mario                        - Macché, macché. Niente cambierà. E poi tu guarirai, andremo un po' in giro insieme.

Giulio ha una smorfia come per dire: non guarirò mai.

No, Giulio. Non devi fare cosi. Proprio adesso che la nostra vita cambierà... Giulio, Giulio.

Si è seduto vicino al letto, abbraccia il fra­tello. Hanno tutti e due gli occhi pieni di lacrime.

Giulio                       - Mario, Mario : sono tanto contento per te.

Mario si scioglie dall'abbraccio, non vuole commuoversi.

Mario                        - Quante storie. Devi essere contento per tutti e due.

Prende "Una giovinezza" sul comodino.

Adesso, guarda. Ti leggo qualche pagina del libro, come ogni sera.

Apre il libro, cerca il segno.

Hai visto che è veramente lungo, è durato più della guerra?

Giulio ride un po' istericamente.

Giulio                       - Già, la guerra è finita... e il libro conti­nua ancora.

Mario                        - Avanti, avanti. Mettiti sotto, che ti leggo un capitolo.

Giulio si mette il berretto da notte, scivola sotto le coperte e. si prepara alla solita let­tura serale.

Dove siamo arrivati? Ah, già: dimenticavo che an­che ieri sera ti sei addormentato.

Giulio                       - Quante volte dovrò ripeterti che non dor­mo? Me ne sto tranquillo, immobile, a gustare la lettura. Finché leggi, ti seguo.

Mario                        - In ogni modo il libro lo conosci, anche se perdi qualche pezzetto... Dunque, eccoci qua. Capitolo diciassette "L'arrivo in città fu triste..."

Giulio, beato sotto le coperte, segue la lettu­ra di Mario.

"...Mentre fuori fioccava la neve bianca e allegra, dal mare soffiava lo scirocco e in città piovigginava monotonamente..." Monotonamente. Ti piace l'uso di questo avverbio?

Giulio si scuote dal piacevole torpore, un po' seccato.

Giulio                       - Eh?

Mario                        - Lo vedi che non ascolti? Dicevo se ti pia­ce l'uso di questo avverbio: monotonamente.

Giulio                       - Monotonamente?

Mario si alza deciso, va allo scaffale dei li­bri.

Mario                        - Per me non è neanche italiano. Lasciami vedere sul Fanfani... Santo cielo, che vocabolario vec­chio. Bisognerà che ne comperi uno nuovo se voglio revisionare il romanzo.

Giulio                       - Revisionare il romanzo?

Giulio è preoccupatissimo.

Mario                        - Fammi trovare questo benedetto avver­bio... "Monòstico, Monoteismo, Monotonia, Monotono, Monotriglifo..." Non c'è. Non esiste, capisci?

Giulio segue senza interesse.

Giulio                       - Oh, bella.

Mario                        - Vedi, vedi? Qui c'è tutto da rivedere, tut­to da correggere.

Giulio                       - Ma se va benissimo cosi! Vai avanti.

Mario                        - Intanto quel "monotonamente" nell'edizio­ne di Westermann lo tolgo. Non ti pare?

Giulio irritato come un bambino.

Giulio                       - Ma se non mi leggi come faccio?

Mario                        - D'accordo, leggo. "...Alfonso ebbe il triste sentimento che quel tempo non avesse più a cessare." Il triste sentimento? È espresso bene, ti pare?

Giulio ha un'espressione di viva impazienza.

Giulio                       - Eh, cosa vuoi che ti dica!

Mario                        - Devo guardare il Tommaseo, i sinonimi.

 Ripone il libro, va allo scaffale, compulsa un altro vocabolario.

"Sentimento, sensibilità, senso, sensualità..."

Giulio                       - Sensualità?

Mario                        - Non è la stessa cosa.

Giulio                       - Eh, no.

Mario torna con i vocabolari in mano, me­ditabondo, al letto del malato.

Ti interrompi ogni momento... E poi guarda, non capisco questa tua smania di cambiare il libro. Se ha avuto successo cosi, bisogna lasciarlo come sta. Altri­menti, Westermann potrebbe non volerlo più.

Mario si sta facendo macchinalmente unasigaretta, pensando ai suoi vocabolari.

Mario                        - Forse hai ragione.

Una lunga pausa. Mario si accende la siga­retta, aspira una boccata, guarda il fumo.

Giulio...

Giulio                       - Si...?

Mario                        - Se Westermann mi pubblica il romanzo... non fumo più.

Giulio è un po' impaziente, fa per rivoltarsi dall'altra parte.

Giulio                       - Bravo.

Mario                        - Ti dispiace se per stasera ci mettiamo a dormire? Mi sento un po' stanco per leggere.

Giulio fa una smorfia come per dire: tanto, sei padrone tu. Mario comincia a riporre i libri, poi ci ripensa e va a riprendere i voca­bolari.

Darò un'occhiata a questi prima di addormentarmi.

Si ferma sulla porta della sua stanza, rivolto a Giulio.

Tutto sta che Gaia riesca a ritrovare quel tedesco. Ti immagini che le dimostrazioni l'abbiano spaven­tato, che si sia nascosto?

Giulio ha un ultimo pensiero di solidarietà peril fratello con voce di sonno.

Giulio                       - In tutti i casi quest'editore a Vienna, si potrà rintracciare.

Mario si solleva a quell'idea.

Mario                        - Giusto, non ci avevo pensato. Be', buo­nanotte.

Spegne la luce, va in camera sua. Giulio nelletto un po' deluso.

Giulio                       - Buonanotte.

Dissolvenza.

Nell'ufficio di Brauer, giorno. Il dettaglio di un biglietto in mano a Mario: "Caro Samigli, ho rintracciato il rappresen­tante di Westermann. Trovati alle undici al caffè Tommaseo, Gaia." La voce di Mario che legge forte per Brauer.

Mario                        - "Caro Samigli, ho rintracciato il rappre­sentante di Westermann (è l'editore di Vienna). Tro­vati alle undici         - (santo cielo, che ore sono adesso? be­ne, appena le nove e mezzo) al caffè Tommaseo. Gaia."

Mario in piedi sta leggendo il biglietto di fronte a Brauer, che cerca di mandare avan­ti il lavoro alla sua scrivania.

Ha visto, signor Brauer? Le cose succedono da un giorno all'altro.

Brauer                      - Anche in commercio ci sono merci che salgono di prezzo all'improvviso.

Mario                        - Anche in commercio, naturalmente. Ma qui si tratta di ben altro... Una vita, signor Brauer. È la mia vita che acquista significato, logica, da un momento all'altro. Ma io lo sapevo, sa? me la senti­vo arrivare, questa fortuna...

Brauer                      - Di letteratura non me ne intendo, ma so che a volte rende quattrini.

I quattrini sono l'ultima preoccupazione di Mario.

Mario                        - Quattrini? Certo. Ma quello che lusinga di più uno scrittore, signor Brauer, è la gloria.

Brauer lo guarda senza capire troppo.

Brauer                      - Capisco. E lei, signor Samigli, chissà co­me diventerà ricco. Certo lascerà quest'ufficio, mi abbandonerà alla mia corrispondenza.

Mario                        - Non corra troppo, signor Brauer. Diamo tempo al tempo. In fondo tutto è ancora da decide­re. Tutto potrebbe ancora vanificarsi.

Dà una rapida occhiata al biglietto.

Santo cielo, speriamo di no. Ma insomma è presto per dire farò questo o farò quest'altro. E poi sa, per quanto renda, un libro è un libro: non può assicura­re l'agiatezza per tutta la vita.

Brauer lo guarda un po' ammirato e un po' perplesso.

No, no. Credo proprio che continuerò a venire qui. Continueremo a lavorare insieme. Scriverò anche le sue lettere, oltre a un nuovo romanzo, spero. Però la ditta dovrà riconoscere i miei sforzi, dopo tanti anni. Dovrà farmi un posto più conforme al mio valo­re, non crede?

Brauer non sa cosa dire.

Brauer                      - Non saprei. Sa come sono quelli di sopra. Però certo, considerata la situazione : lei lavora qui da tanti anni e ormai è uno scrittore alle soglie della celebrità...

Dissolvenza.

Gaia e il rappresentante di Westermann sono seduti sul divanetto del Tommaseo. Strudel­kopf è grasso, impellicciato, calvo, con un pizzo vagamente dannunziano. È mattina, c'è poca gente. Qualche vecchio che legge il giornale. Gaia tocca col gomito il rappresen­tante, accenna all'ingresso. Mario arriva im­bacuccato dalla strada, guarda in giro per il caffè, vede i due che lo aspettano e si di­rige verso di loro.

Mario                        - Scusatemi, sono in ritardo.

Gaia dà a Mario una manata che è quasi un pugno per fingersi cordiale. Poi si rivolge al rappresentante, indicando Mario.

Gaia                          - Artist, immer ein wenig tricco tracco. Il mio amico Mario Samigli, l'autore di "Una giovinezza ". Herr Strudelkopf della firma Westermann di Vienna.

Strudelkopf fa un perfetto inchino. Strette di mano. Tutti si siedono.

 Gaia                         - Non ti sforzare col tuo tedesco, altrimenti finiamo a mezzanotte. Traduco io. Mein Freund hier...

Gaia borbotta qualcosa in tedesco, bisbiglian­do, allo Strudelkopf. Strudelkopf risponde allo stesso modo, facendo capire qualche pa­rola ogni tanto.

Strudelkopf              - Ja... ja... das ist bestimmt... gut... ja.

La conversazione fra Gaia e Strudelkopf si svolge tutta a sussurri, in modo che Mario non capisce una parola e tira l'orecchio per sentire. Gaia si rivolge a Mario.

Gaia                          - Scusa, sono cose delicate. Also, sehe geher-ter Herr, wir wollen die Sache behandeln. Mein Freund hier...

Continua a bisbigliare allo Strudelkopf.

Mario                        - Scusa, mi vuoi far capire qualcosa?

Gaia finge di tradurre, sbrigativamente.

Gaia                          - Le solite divagazioni di cortesia. Parla pu­re apertamente, tanto non capisce una parola d'ita­liano. Insomma dice che è molto onorato, che il suo principale ha molto apprezzato il romanzo.

Mario                        - Davvero?

Gaia                          - Sta' calmo, non far vedere che vai in solluc­chero, altrimenti ci imporrà le sue condizioni. Cerca per una volta nella vita di comportarti seriamente.

Mario                        - Va bene, non ti arrabbiare. Farò come vuoi tu.

Gaia riprende a parlottare con Strudelkopf.

Gaia                          - "Eine Jugendheit" ist ein roman... Wahr?... Wahr?

Mario è inquieto, vorrebbe sapere ciò che si dicono i due. Tira la giacca al Gaia.

Mario                        - Che cosa gli hai detto?

Gaia si mostra impaziente con Mario.

Gaia                          - Gli ho detto che potrà avere il libro quan­do lo avrà pagato. Qui si tratta di affari, non di lette­ratura.

Mario, nervosissimo, vorrebbe riprendere una vecchia polemica.

Mario                        - Tu mostri di disprezzare tanto la lettera­tura, però hai chiesto il tuo cinque per cento sui gua­dagni del libro.

Gaia gli fa cenno di stare calmo. Si rivolge ancora allo Strudelkopf.

Gaia                          - Herr Westermann muss wissen dass unser Schriftsteller...

Continua come al solito. Strudelkopf inter­viene ogni tanto, risponde a monosillabi.

Strudelkopf              - Ja... naturlich... schon gut... Das freut mich... ja.

Mario chiama il cameriere, tanto per inse­rirsi.

Strudelkopf              - Meine Ehre.

Mario                        - Ich bin sehr froh ihre Bekannschaft zu machen.

Gaia ha un gesto perentorio nei riguardi di Mario.

 Mario                       - Caffè?

I due annuiscono. Mario ordina al cameriere.

Mario                        - Tre caffè.

 All'improvviso, dopo aver fatto un sacco di smorfie, Gaia e Strudelkopf si mettono a ridacchiare.

E ora che cosa c'è?

Gaia non si tiene pili, parla con difficoltà per reprimere le risate.

Gaia                          - Gli ho... raccontato una barzelletta.

Mario                        - Una barzelletta? Adesso?

Gaia                          - È il mio metodo. Lascia fare. Me lo lavo­ro io.

Gaia e Strudelkopf continuano a ridacchiare. Il cameriere porta i caffè. Tutti bevono.

A proposito, il signor Strudelkopf vuole una tua espressa conferma che io sono autorizzato a trattare per te.

Mario                        - Ma io ti ho dato una procura.

Gaia                          - Diglielo anche a voce. Lentamente, forse Io capisce.

Mario                        - Mein Freund, hier... Il signor Gaia... Ca­pisce?

Strudelkopf annuisce vivacemente.

Vede? Il signor Gaia è autorizzato a trattare per me... Si, trattare... Contratto, firma... Er ist wie... ich... tur Sie... Capito?

Strudelkopf finge di aver capito solo "con­tratto". Tira fuori dal portafoglio il con­tratto.

Strudelkopf              - Kontrakt... jawohl.

Mario afferra il contratto, lo scorre, chiede al Gaia.

Mario                        - Hai la penna a serbatoio?

Gaia                          - Un momento. Tu firmeresti senza sapere quello che fai, se non ci fossi qua io.

Strudelkopf sembra irritato dall'incidente.

Mario                        - Hai visto? L'hai fatto arrabbiare.

Gaia si rivolge a Strudelkopf nel solito mo­do.

Gaia                          - Sehr geherter Herr Strudelkopf, wollen wir das Kontrakt noch weiter zusammen besprechen?...

Solito dialogo bisbigliato fra i due. Mario si avvicina con la testa per cercar di capire qualcosa.

Ma cosa vuoi?

Mario                        - E fammi capire qualcosa.

Gaia                          - Insomma, a farla breve, il contratto parla di duecentomila corone per l'acquisto dei diritti di "Una giovinezza" in tutto il mondo.

Mario è sbalordito.

Mario                        - Duecentomila corone?

Gaia                          - Si, ma i diritti per l'Italia rimangono a te. Ho pensato di riservarti questa proprietà perché chis­sà il successo che il libro potrà avere in Italia quan­do si saprà che è stato stampato in tutte le lingue. Ti va?

Mario annuisce stupito e trionfante.

Mario                        - Ma io non so come ringraziarti. Mi pare di vivere in un sogno, non ti so dire...

È colto da un pensiero improvviso.

Però...

Gaia                          - Però? Come però?

Mario                        - Volevo dire... Nel contratto vorrei ci fosse una clausola che il romanzo verrà pubblicato entro la fine del '19.

 Gaia                         - Oh, questa è bella. Non ti pare abbastanza quello che ho fatto? Se hai delle pretese particolari, fatti sotto e parla tu. Io ne ho abbastanza di questi modi da letterato superiore: duecentomila corone in mano e si mette ancora a fare il difficile.

A Gaia, che è veramente arrabbiato, e sta dimenticando la burla, Mario replica timi­damente.

Mario                        - Scusa, non volevo offenderti. Tu hai lavo­rato benissimo, ti sarò eternamente grato. Solo... Io non sono più giovane... Non voglio rischiare di perde­re il momento in cui "Una giovinezza" uscirà in tutte le vetrine. L'ho tanto sognato, capisci?

Gaia fa una smorfia come per dire: voglio accontentarti anche in questo. Si rivolge a Strudelkopf, che intanto ha finto di segui­re e con apprensione professionale il pic­colo litigio fra i due amici, e inizia il solito dialoghetto silenzioso.

Gaia                          - Mein Freund ist nicht zufrieden... Herr Sa­migli mochte wissen wann "Eine Jugendheit" publi-ziert wird...

Strudelkopf dà ampie assicurazioni.

Bene, ha ragione anche lui. Dice: inutile mettere questa clausola. Appena l'editore Westermann entre­rà in possesso di una proprietà, vorrà farla fruttare. E allora che cosa farà? Pubblicherà il romanzo, na­turalmente, nel più breve tempo possibile.

Mario                        - Se è cosi, dammi la penna. Firmo subito.

Gaia                          - Ferma lavoro! Ma pensa un po' a quello che fai, testa matta!

Mario lo guarda senza capire.

Prima di firmare qualsiasi contratto, fuori i soldi. Das Geld, Franz Josef!

Strudelkopf annuisce, tira fuori un assegno bancario, lo apre con due mani e lo tende verso Mario. A questo punto è preso da un accesso di riso al quale si unisce Gaia.

Mario                        - Ma che cosa vi prende? Gli hai raccon­tato un'altra barzelletta?

Gaia fa cenno di no. Continuano a ridere fi­no alle lacrime. Mario si insospettisce.

Ma che cos'è?

Gaia                          - Eh, non ci badare... Stanotte, sai, per di­scutere, siamo finiti in uno di quei posti... C'erano delle mule...

Sbotta ancora a ridere, seguito da Strudel­kopf.

Mario è leggermente disgustato. I due si cal­mano dopo aver riso come matti.

Gaia                          - Su, prendi il tuo assegno... firma...

Mario firma.

Bravo, cosi. E adesso vai, che questo qui me lo porto a festeggiare dove so io.

Altra risata dei due. Mario si alza, stringe la mano di Strudelkopf, che ride sempre, strin­ge la mano a Gaia e si avvia all'uscita come trasognato. Mario è arrivato sulla porta del caffè. Gaia lo chiama, gli corre dietro, lo afferra per la manica.

Senti, Samigli. Dimenticavo di dirti una cosa. Non devi far cambiare subito quest'assegno. Me ne ha pre­gato il signor Strudelkopf. Sai, è firmato da lui e con le comunicazioni postali di adesso non è sicuro che il suo avviso giunga in tempo.

Mario ha un altro lampo di sospetto.

Mario                        - Allora non vale?

Gaia                          - Come non vale, è regolarissimo. Tu devi consegnarlo alla banca avvertendoli di non fare il protesto in caso di rifiuto. Con i tempi che corrono la banca non pagherebbe subito per questo assegno, anche se firmato dal rappresentante dell'editore Westermann, capisci?

Mario                        - Ma la tua provvigione?

Gaia                          - Che fretta c'è? Aspetterò anch'io. Pochi giorni, non casca il mondo. Del resto è come se l'aves­si già in tasca. Arrivederci.

Mario gli dà la mano con sincera ricono­scenza.

Mario                        - Arrivederci... e grazie.

Mario esce dal caffè. Gaia torna al tavolo dove c'è Strudetkopf. Si guardano l'uno con l'altro, serissimi, e poi scoppiano in un'ennesima risata di scherno.

Dissolvenza.

In casa Samigli. È sera. Mario sta al tavolo da lavoro, fuma la sigaretta e scrive un po' svogliato le ultime righe di una favola. Giulio, che vede inquieto il fratello, gli lan­cia delle occhiate interrogative. Nella stanza notiamo molti cambiamenti. Un mobile nuovo, un quadro, lo scaffale dei libri sostituito da un mobiletto che ha l'aria d'essere stato appena comperato.

Giulio                       - Hai scritto una nuova favola? Mario             - Vuoi sentirla?

Prende il foglio e legge.

"In una via suburbana di Trieste vivevano molti passeri, che lietamente si nutrivano con le tante porcheriole che vi trovavano. Vi si stabili poi un ricco signore il cui piacere era di offrire loro il pane in grande quantità. Dopo alcuni mesi mori e i passeri non ebbero più pane. Però non seppero ritornare al loro costume antico, le porcheriole rimasero inutili sulla via. Tutti i passeri morirono e il defunto bene­fattore fu molto biasimato."

Giulio                       - È una favola assai malinconica, con tutti quegli uccellini morti. Che cosa significa?

Mario                        - Credo voglia dire che abituandosi a qual­cosa di nuovo, a una vita diversa e più bella, è difficile tornare alle antiche abitudini. Talvolta è più fa­cile morire.

Mette giù il foglio, meditabondo.

Giulio                       - Via, Mario, non è il caso di abbattersi. Anche se i quattrini dell'editore Westermann non ar­rivano, il signor Brauer ci ha prestato tremila coro­ne con le quali abbiamo potuto mettere a posto il nostro appartamento. E poi il denaro arriverà, è que­stione di tempo. Che cosa dice Brauer?

Mario                        - È andato alla banca anche ieri, ma non c'era niente di nuovo. Oggi voleva che telegrafassi a Westermann.

Giulio                       - Hai ragione. Potevi telegrafare.

Mario                        - Voi non avete pratica di faccende lette­rarie. Non è il caso di sollecitare, si rischia di irritare l'editore. Del resto non potrei inviare un messaggio senza il consenso di Gaia.

Giulio                       - E Gaia dov'è?

Mario                        - Non riesco a trovarlo. Ora che c'è la possi­bilità di muoversi deve aver ripreso le visite ai suoi clienti dell'Istria.

Giulio                       - Ma non c'è da preoccuparsi: il contratto e l'assegno sono stati firmati, no?

Mario si alza, va al mobiletto dei libri. Giu­lio segue con apprensione i suoi movimenti.

 Mario                       - Si, certo. Ma non vorrei che si fossero ca­piti male. Chissà se Gaia conosce tanto bene il tede­sco. Potrebbe aver sbagliato.

Giulio                       - Mi fai la lettura? Sai che dovrei addor­mentarmi presto perché domani mattina devo pren­dere la medicina e poi riposare due ore prima di bere il caffè? Se non mi addormento subito, domani mi tocca spostare tutti i pasti.

Mario                        - Ieri sera non mi pare tu abbia gradito molto la lettura del mio libro.

Giulio                       - Ti interrompevi sempre per una cosa o per l'altra... A un certo punto ti sei messo addirittura a leggere il vocabolario, con la storia che devi riscrivere il tuo libro! Io ho bisogno di una lettura piana, che evochi immagini dolci... Perché non tor­niamo, per una volta, a De Amicis o a Fogazzaro?

Mario è punto sul vivo.

Mario                        - Li preferisci al mio libro?

Giulio                       - Non ti sarai mica offeso?

Mario                        - Figurati. Per me l'uno o l'altro... Il fatto è che la lettura ad alta voce mi costa fatica, per ri­guardo alla mia gola non devo farla più.

Giulio è deluso.

Giulio                       - Se vuoi leggimi pure il tuo romanzo.

Mario è irritatissimo.

Mario                        - Ma non ti ho detto che si tratta della go­la? Per la gola è lo stesso leggere la prosa di Fogaz­zaro, di De Amicis o la mia!

Giulio                       - Tu sai che io amo la tua prosa più di quella degli altri. Non sto a sentirla ogni sera da tanti anni benché la sappia quasi a memoria?

Mario                        - Benissimo. Vedo che accetti la letteratura con la stessa smorfia con cui inghiottisci il tuo acido salicilico. Mi rimproveri di averti propinato delle co­se che già sapevi a memoria?

Mario fa per ritirarsi in camera sua.

Giulio                       - Mario, Mario, non dire cosi, non ti ar­rabbiare. Non vedi in che stato sono? Non vedi che vita è la mia? Ti pare che valga la pena di essere vissuta? Non è colpa mia se sono ammalato.

Mario                        - Non ti agitare, Giulio. Sta' tranquillo. Se vuoi leggerò qualcosa ad alta voce.

Giulio alza le spalle, si volta dall'altra par­te. Mario si avvicina al letto, siede sulla pol­trona, apre il vocabolario.

Mario                        - "Accarnire - accarnare, participio passa­to: accanito"

Accartocciamento - lo accartocciare - stato della cosa accartocciata

Accartocciare - avvolgere a similitudine di scar­toccio, arrotolare

Giulio, che gli volta sempre le spalle, è esa­sperato.

Accartocciatura - l'effetto dell'accartocciare

Accasamento - lo accasare o l'accasarsi - il marita­re, il maritarsi Accasare...

Giulio si volge di scatto contro il fratello.

Giulio                       - Basta! Basta con quel dannato vocabola­rio! Non ne posso più!

Mario si alza, pieno di dignità, prende il vo­cabolario e si avvia in camera sua. Come al solito spegne la luce ma non si volge a salu­tare il fratello.

Giulio                       - Leggitelo da solo! Leggi tutta la notte! Studiatelo quel vocabolario cosi il tuo romanzo sarà ancora migliore! E intanto io resto qui ad aspettare la morte! Ma perché continuo a curarmi, dico io, perché?

Singhiozza. Dopo un po', sempre singhioz­zando, guarda l'orologio sul comodino, pren­de una bottiglietta e brontolando si versa una dose di medicina, la inghiottisce. Dissolvenza.

Al Caffè Tommaseo, mattina. Gaia è fra tre o quattro amici, nel solito angolo. Pochi clienti intorno.

Gaia                          - Insomma non l'avete visto?

Rico                          - Ma si, è stato qua l'altra sera, dieci minu-ti. Si è messo in un angolo a leggere "La Nazione".

Piero                         - Non mi pareva di cattivo umore.

Gaia                          - Ma non vi ha detto niente? Non ha parla­to, non si è confidato?

Giusto                      - No, con me ha parlato del tempo, della bora.

Gaia                          - Della bora? Ma che razza di scrittore è? Ha avuto un grande successo, duecentomila corone, l'editore Westermann gli ha fatto un contratto, e lui non va in giro a scriverlo sui muri?

Piero                         - Va' là che speravi di vederlo fare delle grosse stupidaggini, correre ai giornali a comunicare la notizia e roba del genere.

Gaia                          - Mi stupisco che sia cosi tranquillo. Chiun­que altro a quest'ora avrebbe fatto fuoco e fiamme.

Rico                          - Ma solo il fatto che i quattrini non arri­vano alla banca...

Gaia                          - È una testa nelle nuvole, ecco quello che è. Non c'è nemmeno gusto a prenderlo in giro.

Giusto                      - Ma chi ha fatto la parte dell'editore te­desco nella burla?

Gaia                          - Come, non lo sai? Marcovina.

Giusto                      - Marcovina? Ma se sa appena qualche pa­rola di tedesco.

Rico                          - Samigli ci è cascato come un perognocco.

Tutti ridono.

Gaia                          - Dovevate vederlo, Marcovina: ja, ja, bestimmt, jawohl... Che spettacolo!

Piero                         - E quando se ne accorgerà?

Gaia                          - Ma figurati, prima che quello se ne accor­ga dobbiamo ancora divertirci.

Si avvicina un vecchio cameriere per pren­dere le tazzine vuote del caffè, seguito da un ragazzo di bottega. Si fermano anche loro a sentire.

Vecchio cameriere    - Pòvero signor Samigli, che burla !

Gaia                          - Ah, ma non bisogna farla finire qui. Io ho un'idea fantastica...

Indica Rico.

Tu!

Rico                          - Io?

Gaia                          - Si, tu conosci tutti e due i Samigli, sei stato a casa loro.

Rico                          - Certo.

Gaia                          - Allora senti: stasera, verso le sette, passi da casa Samigli e gli fai un discorsetto. Dici che co­nosci il rappresentante di un altro editore tedesco, più forte di Westermann, e che può offrire duecen­tocinquantamila corone. Anzi: trecentomila.

Rico                          - Non ci cascherà mai.

Gaia                          - Come? Voglio vedere, voglio proprio vedere.

Rico                          - Ma non so, fare una cosa cosi...

Gaia                          - E devi dirgli che questo nuovo editore gli pubblicherebbe il romanzo immediatamente. Ti im­magini la rabbia di Samigli a credersi già impegnato con Westermann!

Gaia ride cattivo. Ma gli altri non si diver­tono più tanto. Il vecchio cameriere ha l'aria di disapprovare decisamente. Il ragazzo sem­bra sbalordito.

Rico                          - No, no. Non ci sto.

Giusto                      - Un bel gioco dura poco.

Piero                         - Sarebbe crudele, a questo punto, conti­nuare.

Giusto                      - Vi figurate come rimarrà Mario Samigli quando saprà che è stata tutta una burla?

Vecchio cameriere      - Ne soffrirà molto, povero si­gnor Samigli. Lui è cosi attaccato a quel suo roman­zo. Per mesi veniva qui a sfogliare tutti i giornali, voleva vedere se parlavano di lui.

Gaia                          - Imbecille! Cretino! Ma come si fa a essere cosi idioti, dico io...

Si guarda in giro, vede che gli altri non so­lidarizzano più con lui. Alza le spalle.

Come volete ! Potevamo divertirci un mondo a pren­dere ancora in giro quella specie di scrittore!

Il ragazzo è sbalordito, incredulo. Dissolvenza.

In casa Samigli, sera. I due fratelli finiscono di mangiare. Mario mangia al grande tavolo centrale, Giulio al solito tavolino accanto al letto. Per un po' non si parlano. Giulio, alla fine della cena, prende un cuc­chiaio di medicina.

Giulio                       - Contro ogni buon senso io continuo a cu­rarmi, come vedi.

Mario comincia a sparecchiare, come nella prima scena.

Mario                        - Non devi agitarti, Giulio. Non dobbiamo più litigare.

Giulio è pronto a piangere.

Giulio                       - Io non avrei mai creduto...

Mario è rasserenato.

Mario                        - Basta, basta. Acqua passata, non merita parlarne.

Giulio                       - No, io vorrei che ci spiegassimo. Non ci deve essere nessun'ombra fra noi.

Mario                        - Giulio, è tutto passato. Siamo nervosi in questi giorni. L'editore non ha ancora dato notizie, Gaia non si trova...

Giulio                       - No, guarda che Gaia è tornato. Me l'ha detto Sergio, quel ragazzino, il figlio della signo­ra del piano di sotto... Sai che adesso fa il camerie­re al Tommaseo?

Mario è andato in cucina a portare i piatti. Rumore dell'acqua nell'acquaio.

Mario                        - (/. e.) M'ha servito il caffè un paio di volte.

Giulio                       - È lui che ha visto Gaia, stamattina. Ma quel ragazzo capisce poco, sai. Non è per niente sve­glio. Figurati che è venuto a raccontarmi tutta una storia. Che Gaia ti avrebbe fatto una burla, insieme con uno che fingeva di parlare tedesco, per far rap­presentare una tua commedia da un certo capocomico Giostermann...

Mentre parla Giulio intuisce la verità e ri­mane annichilito. Si aggrappa all'ultima spe­ranza.

Ma quando mai hai scritto una commedia? Io gliel'ho detto a quello stupido di Sergio che tu non hai mai... Insomma non capisco come può avermi rac­contato...

Mario rientra dalla cucina pallidissimo, va a sedersi lentamente su una seggiola. Giulio lo guarda agitatissimo, tremando.

Ma no, Mario, che cosa ti viene in mente? Il con­tratto con l'editore era vero, l'assegno era vero... Quel ragazzo, non ricordo neppure io che cosa ha raccon­tato. Sono ragazzi ignoranti, capiscono una cosa per l'altra...

Di fronte al mutismo di Mario anche le ar­gomentazioni di Giulio si spengono. Un lungo silenzio. Mario si vede crollare ad­dosso tutte le sue illusioni. Mario si avvicina al letto, siede sulla poltro­na, prende la mano del fratello e gli parla con tono supplichevole, ma fermo.

Mario                        - Giulio, devo sapere. Dimmi esattamente quello che ti ha detto il ragazzo.

Dissolvenza.

Interno-esterno del Caffè Tommaseo, matti­na. Gaia si sta congedando da Giusto, che rimane nel caffè quasi vuoto a leggere il giornale. Il vecchio cameriere gli sta infilan­do il paltò.

Gaia                          - Grazie, Giovanni. Beati voi che ve ne state qui al caldo, a bere, e io devo andare in Istria con questa bora.

Dà un'occhiata oltre i vetri.

Che giornata!

Vecchio cameriere    - Stamattina c'erano delle on­de alte cosi. Una cosa mai vista.

Giusto                      - Ci vogliono i pesi nelle tasche per non volare via.

Gaia                          - Eh, con quello che cominciano a valere le corone in tasca, porca miseria, si è veramente troppo leggeri. C'è da volare fino a San Daniele del Carso.

Vecchio cameriere    - Che disastro con questi soldi !

Gaia gli dà la mancia.

Gaia                          - Tieni. Corone svalutate, ma date col cuore.

Guarda ancora fuori. Brrrrr... Devo buttarmi altrimenti perdo il treno.

Canticchia.

"E come la bora che viene e che va    - i disi che '1 mondo se gà ribalta..."

Esce canticchiando e battendo i piedi, facen­do un cenno di saluto all'amico. Davanti al caffè, colpito da un refoto, Gaia si piega. La bora è fortissima. Continua a canticchiare e a parlottare fra sé.

E anca '1 tram de Opcina... xe nato disgrazia..."

Dall'altra parte della strada, senza cappello, con i capelli in disordine, l'aria distrutta e minacciosa, arriva Mario. Mario di fronte a Gaia nella bora. Si guar­dano. Mario è addolorato, furibondo. Gaia capisce alla prima occhiata che il suo in­ganno è stato scoperto, ma tenta di conti­nuare il gioco.

Gaia                          - Hai avuto notizie di Westermann?

Mario, esasperato, certo per la prima volta in vita sua, alza con grande sforzo la mano destra e appioppa due schiaffi al Gaia, fa­cendogli volare via il cappello. Gaia è spaventatissimo, si tocca la guancia colpita, la testa.

Mario lo guarda fieramente e si allontana nella bora.

Gaia si china a raccogliere il cappello, ma non lo trova più. Grida dietro a Mario, qua­si piangendo.

 Gaia                         - Mario, Mario! Per uno scherzo da niente!

Dissolvenza.

Mario è seduto nell'ufficio di Brauer, con il cappotto aperto e i capelli ancora in disor­dine. Brauer gli offre una tazza di caffè.

Brauer                      - Beva, beva. Con questo freddo.

Mario beve, riconoscente. Un silenzio.

Certo, anche a me la somma era parsa eccessiva. Duecentomila corone.

Mario alza le mani come per dire: e che cosa ci vuol fare, sono stato uno sciocco.

Per quanto, insomma, poteva anche succedere.

Mario sta pensando: non poteva succedere, il libro non vale tanto. Comincia a farsi una sigaretta.

E a Gaia, gliele ha date?

Mario annuisce. Schiaffi?

Mario annuisce. Molti?

Mario fa un cenno come per dire: cosi cosi.

Anche calci?

Mario                        - No, calci no. La prossima volta che lo incontro, se oserà divulgare la burla che mi ha fatto.

Brauer                      - Bravo. Lei s'è comportato benissimo.

Mario                        - Mi dispiace per mio fratello. Lui aveva tanta stima per me e ora...

Brauer                      - E ora continuerà ad averla. Non sarà la burla malvagia di un tipo come Gaia a far mutare il giudizio che suo fratello dà di lei.

Mario                        - Crede?

Brauer                      - Ne sono sicuro.

Mario                        - Io speravo anche di dargli una vita più comoda, di comprargli tante cose... Sa io non ho mai tenuto al denaro, mi sarebbe piaciuto che il libro fosse tradotto.

Brauer gli mette una mano sulla spalla, com­prensivo.

Brauer                      - Bene, quanto al denaro...

Brauer va alla scrivania, prende alcuni fogli e torna verso Mario.

Gliene volevo parlare proprio ieri. Poi ho visto che lei era cosi nervoso...

Mario guarda senza interesse i fogli.

Mario                        - Nervoso? Capirà.

Brauer                      - Nel disbrigo del suo affare mi sono presa la responsabilità di una modesta iniziativa personale.

Mario                        - Altri guai? Per carità, non me ne parli. Non adesso.

Brauer siede accanto a Mario.

Brauer                      - Ci conosciamo da tanti anni : le pare che io sarei il tipo da metterla nei guai, Samigli?

Mario, fa cenno di no con la testa, ma pensa sempre ad altro.

E allora prima mi stia a sentire, poi mi dirà se ho fatto bene o male. Il giorno che andai in banca a de­positare quel famoso assegno... ricorda?

Mario                        - Mi pareva d'aver toccato il cielo con un dito, imbecille che ero.

Brauer                      - Non pensi alla burla, ora, e mi segua. Quel giorno l'impiegato della banca, che è un amico mio, mi consigliò di garantirmi il cambio.

 Mario                       - Il cambio?

Brauer                      - L'assegno era per duecentomila corone, io pensai di incassarlo in lire. Mi dissi: meglio avere in mano la moneta di chi ha vinto la guerra piuttosto che quella di chi ha perso. Chiaro?

Mario                        - Ebbene?

Brauer                      - Naturalmente l'impiegato non poteva dar­mi subito delle buone lire in contanti per un asse­gno di duecentomila corone che poteva anche risul­tare scoperto.

Mario                        - Altroché, se lo era.

Brauer                      - Anche questo, vedrà, non ha molta im­portanza. Insomma l'impiegato mi disse: "Con i sal­ti che ci sono in questi giorni con la quotazione delle corone austriache, le consiglio di assicurarsi il cam­bio della giornata." Perciò insieme alla ricevuta del­l'assegno mi diede un cedolino in cui la banca di­chiarava di aver comperato dal signor Mario Sami­gli duecentomila corone al prezzo di settantacinque­mila lire.

Mario alza le spalle.

Mario                        - Tanto non vale niente. L'assegno è un pez­zo di carta qualsiasi, un assegno da burla. Sarà molto se non avremo delle noie per aver presentato in ban­ca un assegno falso.

Brauer tira fuori l'assegno.

Brauer                      - L'assegno non ci procurerà delle noie perché l'ho ritirato io stesso.

Mario                        - Lei?

Brauer                      - L'inflazione è andata tanto avanti che versare duecentomila corone in contanti alla banca non è stato un problema. Non erano certo le corone del giorno in cui Gaia le fece la burla. Sa quanto è scesa la moneta austriaca? C'è della gente che le brucia, in questi giorni, le corone!

Mario prende l'assegno.

Mario                        - Ma come le è venuto in mente...?

Brauer                      - In commercio si diventa sospettosi, a me­no di non essere dei poeti come lei. Insomma mi par­ve più sicuro avere in mano settantacinquemila lire in contanti piuttosto che un cedolino rilasciato su un assegno di copertura piuttosto dubbia.

Mario                        - Continuo a non capire.

Brauer                      - In breve: la banca si è impegnata ad ac­quistare da lei duecentomila corone al prezzo di set­tantacinquemila lire. Vero?

Mario                        - Vero.

Brauer                      - Le duecentomila corone sono state ver­sate da me e oggi come oggi non valgono pratica­mente nulla. Vero?

Mario                        - Vero.

Brauer                      - In questi giorni c'è fior di commercianti che vanno alla malora per il crollo della corona au­striaca, ma ci sono anche molti trafficanti che hanno combinato dei buoni affari. Per questa transazione curata da me lei guadagna... mi faccia controllare... settantamila lire.

Mario                        - Settantamila lire? Io?

Brauer                      - Settantamila lire e qualche spicciolo, a-desso verificheremo. Il denaro è depositato in banca a suo nome.

Mario si alza in piedi furente.

Mario                        - Che se lo tengano! Io quello sporco dena­ro non lo voglio!

 Brauer                     - Calma, Samigli. Lei è un letterato, non ha mai saputo giudicare un affare.

Mario                        - Io sono quello che sono! Non voglio nien­te da nessuno! Basta!

Brauer                      - E allora le dirò una cosa: pensi a suo fratello, alle sue esigenze! Non mi dica che questo denaro non vi farà comodo! E non mi dica che ho agito male perché mi arrabbio, porca miseria.

Mario, sbalordito dall'improvvisa furia di Brauer, si calma.

Mario                        - No, lei ha tutte le ragioni. Lei ha agito be­nissimo, signor Brauer. Non dicevo per lei.

Brauer è veramente un po' arrabbiato.

Brauer                      - Pensi a suo fratello, non le dico altro.

Mario                        - È giusto.

Brauer                      - E se non le basta, pensi anche a me. Io le ho prestato dei quattrini su questo assegno da burla, sono suo creditore e non ci voglio rimettere. D'accordo?

Mario fa un gesto come per dire: d'accordo, non si arrabbi.

Certo, settantamila lire... È una bella cifra. O mi sbaglio?

Mario                        - No, no. Mio fratello sarà contento. E lo dobbiamo a lei, signor Brauer.

Brauer                      - Ho fatto del mio meglio.

Mario ha un'improvvisa illuminazione.

Mario                        - E poi, in un certo senso, sono sempre quattrini che ho guadagnato con il mio libro; no?

Brauer ha un moto d'impazienza nel vedere che il vecchio sognatore è incorreggibile.

Brauer                      - Sono quattrini che piovono dal cielo, al­troché. E ora si levi il cappotto e mettiamoci al la­voro, che il sole mangia le ore.

Mario va ad appendere il cappotto all'attac­capanni. Colto da un pensiero, scuote la te-sta. Si rivolge a Brauer e dice:

Mario                        - Sa che cosa le dico? È più facile conosce­re la vita dei passeri che la nostra.

Brauer, già alla scrivania, lo guarda con una punta di compatimento, bofonchia.

Brauer                      - Già, già. Ci sono quelle lettere urgenti, Samigli. L'affare della fabbrica di Sérvola.

Mario siede alla scrivania, tira qualche boc­cata dalla sigaretta e si appresta a scrivere. Prende la carta intestata della ditta e comin­cia una lettera. Poi la appallottola e la getta via. Prende un altro foglio e scrive con lena sempre maggiore. Fuori campo la sua voce che legge.

Mario                        - (/. e.) "La rondinella disse al passero: 'Sei un animale spregevole perché ti nutrì delle porcheriole che trovi per terra.' Il passero rispose: 'Le porcheriole che nutrono il mio volo s'innalzano con me."

Dissolvenza.

FINE