Una causa ridicola, veramente ridicola

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Una Causa Ridicola,

Una Causa Ridicola,
Veramente ridicola.

COMMEDIA COMICA IN TRE ATTI

di 
Nunzio Cocivera


PERSONAGGI:

1. Giudice
2. Avvocato (effeminato) Grossi
3. Avvocato (con tic nervoso) Robusi
4. Avvocato (60 anni circa) Scassi
5. Avvocato Lotti
6. Ramisicchi Alessio (46 anni) 
7. Raguzzisi Amilcare (62 anni)
8. Grillofuso Michela (20 anni)
9. Caniniri Pietro (20 anni)
10. Caniniri Cassio (51 anni)
11. Grillofuso Onofria (50 anni)


NB: età e sesso qualsiasi per gli avvocati, escluso Grossi e scassi, che devono essere maschi. 
Gli avvocati devono vestire eleganti, per gli altri abiti a piacere.


I° ATTO

All’apertura del sipario in scena l’avvocato Grossi con raguzzisi Amilcare a destra; a sinistra Ramisicchi Alessio con l’avvocato Robusi; Grossi e Raguzzisi guardano delle carte, tutti gli altri da un lato.

RAMISICCHI: Avvocato ma u giudici unnè?
ROBUSI: Verrà stia tranquillo (con tic nervoso). Non si è mai visto un processo in cui manchi il giudice, stia tranquillo.
RAMISICCHI: Chinni sacciu io, chiddi chi hanno i posti statali sunnu sempri a maggior parti assenteisti e quannu ci su quaddiunu a seggia.
ROBUSI: Non dica fesserie e pensi solo ai fatti suoi.
RAMISICCHI: Ma è sicuru chi vincemu niatri? Chiddu è cunvintu chi vinci iddu e chi l’è pagari salatu; mi dissi “mi paghi salatu così t’insignu u galateo…”
ROBUSI: Ci cattamu du pacchi di sali di chiddu rossu (entra il giudice di qualsiasi età e sesso) cussì si sala i scatuli.
GIUDICE: Buongiorno, gli avvocati si avvicinino al banco (vanno avanti, parlano un po’ e lasciano i fogli).Bene, cominciamo: Raguzzisi Amilcare contro Ramisicchi Alessio (si fanno avanti). Signor Raguzzisi, quì risulta che lei ha sporto denuncia al signor Ramisicchi per pascolo abusivo e per pascolo abusivo continuato.
RAGUZZISI: Sì voscenza, cussì fu. Sono stato costritto a dinunciarlo.
GROSSI: Vostro onore, lo scusi ma è ignorante (gli toglie le mani dalle tasche).
RAGUZZISI: Vostro onore, l’onore è tutto mio, io sugnu un poviru cuntadinu, non haiu studiatu e non mi sacciu spiegari. Vossia mi perdonassi, non fussi meghiu chi parra iddu?
GROSSI: Sì vostro onore, le espongo io i fatti con calma e con dettagli dettagliati.
GIUDICE: No! Parli lei con parole sue. Mi spieghi la denuncia per pascolo abusivo. Io capisco bene il siciliano, parli come sa parlare.
ROBUSI: Vostro onore, una cosa ridicola, mi lasci dire ridicola.
GIUDICE: Lei stia zitto! (a Raguzzisi). Prego, dica. Non si vergogni, parli pure.
RAGUZZISI: Dunchi, vostro onore, l’onore è tutto mio. Deve sapere che io tengo un 4 munnedda di tirrenu chi haiu siminatu a sudda, a sudda a coltivo pi me cunighia e pi catarina alla quale voglio bene.
GIUDICE: Scusi chi è Caterina?
RAGUZZISI: A me crapetta chi eni fighia di Filomena: aveva già ottanni e ma fici infurnata pi Natali, nvità quattri amici e ni scialammu, ni bivemmu 2 litri di vinu (mette le mani in tasca e l’avvocato gliele leva).
GIUDICE: Vada avanti per favore (Raguzzisi fa un passo avanti verso il banco del giudice).
RAGUZZISI: Eseguo vostro onore, agli ordini. (fa un passo avanti e rimane in silenzio)
GROSSI: E’ meglio che le spieghi io i fatti dettagliati signor giudice.
GIUDICE: No! (a Raguzzisi). Vada avanti lei! (Raguzzisi si fa più avanti). Ma signor Raguzzisi vuole andare avanti? (Raguzzisi va più avanti e l’avvocato lo tira indietro).
RAGUZZISI: Agli ordini vado avanti (come prima)
GROSSI: Venga più indietro, venga indietro, dove va?
RAGUZZISI: Ma si vostro onore mi dici di iri avanti io vaiu avanti.
GIUDICE: Continui a dirmi quello che è successo fra lei e il Ramisicchi, però restando lì.
RAMISICCHI: Succedi chi chissu avi soddi di ittari in causi inutili e mi denunciò!
ROBUSI: Una cosa ridicola quella denuncia, mi lasci dire ridicola.
GIUDICE: Silenzio! Lei continui a parlare, e lei avvocato non lo interrompa.
RAGUZZISI: Cetto vostro onore, l’onore è tutto mio. Perciò, io aveva tutti i siri a vidiri i me sudda; comu si dici a crisceva cu l’occhi. Na sira truvai tutto pistatu: i cimi da sudda taghiati, i beddi trussi teniri; mi npustai e trovai il colpevole, lui che pascolava senza problema alcuno!
RAMISICCHI: Mi permette vostro onore? Ci spiego lu fattu a modu me.
GIUDICE: Poi avrà modo di parlare! Lei, continui, vada avanti parlando (a Raguzzisi)
RAGUZZISI: Dunchi, non ci visti di l’occhi, cinni dissi un saccu, chiddi chi sapia e chiddi chi non sapia, iddu si vutau mali, mi vulia isari manu, vulia cuntu e ragiuni. Io allura, ivi a caserma unni i carabbinieri e u denuncià pi pasculu abusivu, così si nsigna a pascolari nta terra di l’autri.
ROBUSI: Una causa ridicola, vostro onore, ridicola!
GIUDICE: Bene, vada avanti con i fatti, poi cos’è successo?
RAMISICCHI: Vostro onuri pozzu parrari, chi parra sempri iddu?
GIUDICE: Silenzio lei! Poi parlerà (a Raguzzisi). Come mai lo ha denunciato anche per pascolo abusivo continuato?
RAGUZZISI: Pecciò vostro onore, l’onore è tutto mio, l’ho denunciato per pascolo abusivo continuato picchì a sira dopu, ca dinuncia fatta, iddu pascolava di novo nel mio terreno senza curarsi da dinuncia e di mia, era dà e comu si fussi a so casa faceva e sfaceva, una cosa chi mi fici veniri na raggia, ci avissi taghiatu u coddu cu faucighiuni, ma rispettu a liggi e u tonna dinunzià.
RAMISICCHI: Vostro onore, io devo assolutamente dire la mia virsioni di lu fattu: iddo parra sempri e voli ragiuni, e si vossia permetti, permetti puru io.
GIUDICE: Bene, lei può parlare in sua discolpa, sempre con parole sue.
RAMISICCHI: Vostro onore mi permetto di diri comu dici u me avvocato: una denuncia ridicola, cosi di cuntari pi fari ridiri sa dinuncia pi pascolo abusivo, ma che scherzamo?
ROBUSI: Vostro onore, davvero…
GIUDICE: Ridicola lo so, dica signor ramisicchi, perché la ritiene ridicola anche lei? Non è che si è fatto contagiare dall’avvocato che ripete sempre “una causa ridicola”?
RAMISICCHI: Ma sa mai vistu denunciari un cristianu pi pasculu abusivu? E’ ridiculo!
ROBUSI: Pascolo abusivo, davvero ridicola, mi lasci dire ridicola!
GIUDICE: Ormai l’ha detto, ma ora stia zitto, lasci parlare lui!
RAMISICCHI: Vostro onori, a vossia ci capitau mai nautru casu di pasculu abusivu nei riguardi di un omo o di fimmina chi fussi in tutta la so carrera?
GIUDICE: Certamente! Non è possibile denunciare l’animale: si denuncia il pastore poiché le denunzie di questo tipo vengono fatte nei riguardi dei pastori; in ogni caso è il pastore che risponde dell’animale e dei danni che esso fa.
GROSSI: E nel caso in esame il pascolo abusivo è continuato, è recidivo.
RAMISICCHI: Comu vostro onori ammisi non putennu dinunciari un nimali si dinuncia il patrone, e ca u discussu fila, non faci na piega, non scappa una viggola, ma cà truppicoi l’asino, cà truppicoi l’asino!
GIUDICE: L’asino in questione appartiene a lei naturalmente?
RAMISICCHI: No, io non haiu né asino né scecco, né tanto meno mulo, era un modo di dire.
RAGUZZISI: Da asino!
GIUDICE: Allora, qual è l’animale che ha pascolato abusivamente nel terreno di Raguzzisi se non è l’asino, una mucca, una capra, un cavallo?
RAGUZZISI: Lui ì l’asino, proprio l’asino che pascolava!
RAMISICCHI: Asino si tu e tutti i to parenti!
RAGUZZISI: Stu maiali, suinu iddu e tutti i parenti amici e conoscenti!
GIUDICE: Basta! Silenzio! Non vi comportate da persone civili, silenzio e basta con le offese o vi faccio arrestare per oltraggio.
GROSSI: Vostro onore le espongo io i fatti se posso!
GIUDICE: Dica!
GROSSI: Dunque, il mio cliente si è fermato nel terreno e ha trovato Ramisicchi, lui personalmente senza animali di nessuna razza o genere, era lui che tagliava le cime della sulla, sceglieva la più tenera, era proprio lui senza animali. Era lui che si mangiava la sulla del mio cliente e sceglieva la sulla più tenera e per farlo pestava tutto e distrusse il raccolto.
GIUDICE: Lei allora non ha animali di nessun genere?
RAMISICCHI: No, vostro onori, mai avuti animali: ho solo galline e un cani pastori tedesco che si chiama Brik.
GIUDICE: E lei va a mangiarsi l’erba nei pascoli altrui? Non mi sembra normale! Lei deve farsi vedere da un medico.
RAGUZZISI: Vostro onore, l’onore è tutto mio, vido che mi dà ragiuni, non è normali che si mancia a me sudda: chidda è pi me cunighia e a me crapetta e io la cortivo col suduri di la mia fronti. Guardi che fronti sudata ho!
RAMISICCHI: Ma quali suduri da fronti, a sudda si simina e nasci e crisci sula, non avi bisogno di nenti: non si zappulia, non si fa lavaggi, non si bivira, crisci sula dopo seminata.
GROSSI: Questo non c’entra, se cresce sola, seminata o spontanea, il fatto è che non era sua e lei l’ha raccolta (a Ramisicchi), arrecando danni al mio cliente e l’ha pure offeso.
RAMISICCHI: Pi du trussa di suddu chi sta facennu!
RAGUZZISI: Certu ora su du trussa: per ben due volte siete andatu a pascolari nto me funnu in contrata Petra murata nel comuni di Acquaduci, e quanno mi sono pirmisso di parrari io cu tantu di ragiuni, pi poco non mi isava manu.
RAMISICCHI: Certo c’è modo e modo di diri li cosi, mi aviti offeso, mi ha chiamato asino siccumato puzzolenti, fitenti e latru.
RAGUZZISI: Ma quali offeso, chidu chi vi dissi era puru picca.
RAMISICCHI: Picca? Mi dicistu così chi non pozzu ripetiri picchì sugnu educatu.
RAGUZZISI: Siti tantu educatu chi ca ducazioni caviti turnastu a pascolari dopu chi vi richiamà e vi pighià in fraganti pasculu abusivo.
RAMISICCHI: Non s’è mai vistu nuddu chi fa na dinuncia pi sti fissarii; sunnu anni chi trasu unni voghiu e nuddu mai a rivatu a denunciarmi.
ROBUSI: Una denuncia mai vista, una cosa ridicola, proprio ridicola.
RAGUZZISI: Ma quali ridicola! Io aiu sulu du pizzuddu di terra, chi coltivo pi uso personali, iddu riva e si mancia a me sudda! Mi l’è manciari io!
GIUDICE: Perché la mangia anche lei? Davvero? Non mi sembra una cosa normale che esseri umani mangino erba nei pascoli come le mucche o le capre.
RAMISICCHI: No vostro onore, vossìa l’avissi assaggiari: è bonissima, bella dolce ed è ricca di calorie e di proteine, per quello le vacche che la mangiano sono belle rasse.
RAGUZZISI: Cetto, anche io sono il patrone della sulla e io me la mangio. Vossia non l’ha assaggiata mai?
GIUDICE: Ma che siete animali erbivori, mangiate erba?
RAMISICCHI: Vostro onuri, picchì lei non n’ha manciatu mai verdura, minestra: a sudda quannè tennira è bona, duci, appuntu comu si fussi minestra.
ROBUSI: Anche io quando ero ragazzo l’ho mangiata qualche volta.
GROSSI: E pure io non mi vergogno a dire che l’ho assaggiata, anche se non mi è piaciuta. E’ un’erba che molti mangiano le cime quando sono tenere e dolci: è una buona foraggera.
RAGUZZISI: E menu mali chi non cii piaci, se non si manciava chidda chi lasò Ramisicchi (indica il Ramisicchi)
GIUDICE: Bene, visto che siete tutti erbivori, chiariamo i fatti: lei (a Ramisicchi), è ritornato per ben due volte a pascolare nel terreno del Raguzzisi ed ha mangiato la sulla arrecando disturbo al Raguzzisi che ha sporto denuncia contro di lei per pascolo abusivo.
RAMISICCHI: Vero vostro onuri, io ho manciato i primi trussi di sudda tenira e ho vistu chi c’era tanta bella minestra sabbaggia: sono ritornato e ho raccolto tanti burzi di veddura, una di cicoria, una di finocchi sarbaggi, i trussa di sudda e qualche troffa di rapuddi e c’era puru cacchi po’ di negghi.
GROSSI: Era una giornata nuvolosa.
RAMISICCHI: No, era na bella giornata di primavera limpida e senza nuvuli.
ROBUSI: Lei ha appena detto che c’erano un po’ di negghi, cosa intendeva? Nuvole o nebbia?
RAMISICCHI: Né nuvole né negghia: i negghi sono verdura selvatica che non conoscono tutti, ma io modestamente sì!
GIUDICE: Tutte quelle verdure selvatiche lei le ha raccolte nel terreno del Raguzzisi? Senza il suo permesso e dopo che lui ha esposto denuncia nei suoi confronti per pascolo abusivo?
RAGUZZISI: Esattu vostru onori, l’onori è tuttu mio, nel mio tirreno in contrata Pietramura, passau paru, non mi lassò mancu l’occhi pi cianciri, mi distrussi un raccoltu e mi manciò puru a minestra che, essendo nto me tirrenu, è a me; ed io di patruni passai a garzoni e non potei raccogliere quello che era mio, l’avia denunciari puru pi furtu.
ROBUSI: Vostro onore, visto che era una denuncia ridicola non è stato mai denunciato un essere umano per pascolo abusivo, ed il mio cliente ha solo raccolto verdura selvatica e nessuna legge lo vieta.
GROSSI: Robusi distorce i fatti: il mio cliente è stato danneggiato e tutto il suo terreno messo a soqquadro dal Ramisicchi.
RAMISICCHI: Non curremu, io non misi nessun quatru, è inutili che il qui prisenti signori avvocato aggiunge fatti nuovi qualsiasi cosa dici è falso: io ammisi chi mi manciai a sudda ma niente autro fici, lo giuro sulla Bibbia. Io non dico il falso, non dico minzogni, io sono preciso e onesto. L’avvocatu parra e dici, ora parra di quatru, io non sacciu nenti di quatru che truvoi nto so tirrenu, io ho ditto la veritati. Verdura cughì, e basta! Non misi nessun quatru.
GROSSI: Lei è ignorante, non capisce nulla. Mettere a soqquadro significa creare confusione, rovinare, danneggiare, quello che lei ha fatto.
RAMISICCHI: Vostro onori l’ha ntisu? L’ha ntisu come mi ha offinnutu stu avvucatu di causi pessi? Voghiu chi vossia l’arresta pi offesa personali.
GIUDICE: Avvocato la prego si controlli. Adesso avete esposto i fatti, potete andare. Vi richiamerò il 12 del prossimo mese, anzi, fra qualche giorno faremo un sopralluogo nelle campagne. Vi manderò a chiamare così constaterò di persona di cosa effettivamente si tratta (escono tutti tranne Grossi).La causa Caniniri contro Grillofuso, gli avvocati vengano al banco (si fanno avanti grossi, Lotti e l’avvocato Scassi, danno gli atti, i foglia al giudice)
GROSSI: Io vostro onore sono insieme al caro collega Lotti, il difensore della signora e signorina Grillofuso, nostre clienti in detta causa.
GIUDICE: Avvocato Lotti, lei si sieda accanto a me e scriva gli atti, i vostri clienti vengano avanti.
SCASSI: Venite! (Caniniri Cassio con giacca con una manica più corta e Caniniri Pietro con un pantalone con una gamba più corta)I miei clienti come vede sono stati imbrogliati dalla signora Grillofuso, di professione sarta: come può vedere dagli abiti che già sono una prova.
GIUDICE: Bene, signore cominci, esponga i fatti, lei ha denunciato la signora Grillofuso per danni materiali e morali.
C.CASSIO: Vostro onore, voscenza, io e il qui presenti mio figlio Petro, avivamo comandato alla presente signora Onofria una giacca io e un causu pi me fighio. Comu voscenza po vedere la giacca, (al figlio) Petru veni (Pietro si fa avanti), e il causo di me figlio, taliassi in che condizioni mi desi.Perciò, io visto e controllato che i vestiari sono stati fatti in codeste condizioni che sono visibili, toccabili e controllabili, non volendo, poichì per natura sono ristio a mi rivolgiri alla leggi, mi sono visto dai fatti e dai misfatti subiti pigliato per i cannarozza, l’ho discorruta e con il qui presenti me fighiu, abbiamo fatto quilera alla signora Grillofuso Onofria. Perché ci paghi questa robba e lu danno e la beffa subita col suo misfatto.
GIUDICE: Signora venga avanti.
ONOFRIA: Buongiorno a vossia signor giudici, mavi a scusari ma io non sugnu istruita picciò mi spiegu con paroli miei. Io giuro sull’anima da bonammitta di me maritu (Pietro e Cassio quando la signora Grillofuso parla del marito fanno il segno delle corna) chi i causi e a giacca i confezionai bene comu sempri, io sugnu na sarta rifinuta e sugnu molto precisa comu un riloggio svizzero. Ci giuro che non so come mai su così, a meno che non li danneggiaro loro.
PIETRO: Vossia taliassi chisti, su causi fatti bene? A mia non mi pari, anzi paro un pagliaccio; qui c’è puro il danno morali, oltri a chiddu materiali.
SCASSI: (prende Pietro per la gamba e lo fa cadere per terra alla fine del discorso). Guardi, le sembra normale, guardi qui c’è un taglio netto: è stato tagliato di proposito (Pietro cade).
PIETRO: Malanova! Che è scemu avvocato?
SCASSI: Scusi, ma lei non sta in piedi.
PIETRO: Sì lei mi sdirupa cetto che cadu. Chiamai l’orbu pi mi iutari, apru l’occhi e mi fici scantari.
MICHELA: Giudici io sugnu Michela Grillofuso, a fighia da qui presenti signura, me matri è a sarta chiù brava che c’è nta Sicilia, la conosciono in tutti li paisi limitrofi.
GIUDICE: Visti i capi esposti non sembrerebbe.
SCASSI: Vostro onore siamo qui per dimostrare che i capi sono stati tagliati di proposito prima di consegnarli ai miei clienti che, dato lo stato nel quale hanno trovato i pezzi in questione, non hanno potuto presiedere al matrimonio della nipote; di qui i danni morali e materiali per i quali hanno sporto denuncia, poiché era la sera prima del matrimonio che i capi sono stati consegnati.
GROSSI: No, è falso! Sono stati consegnati integri e confezionati, non già tagliati come i signori insinuano.
SCASSI: I capi li ha tagliati la signora o la figlia.
LOTTI: No! Qui si vuole girare le carte: il collega deve dimostrare che i capi furono tagliati dalla mia cliente o dalla figlia.
ONOFRIA: Io sono una sarta rifinita e seria, io non danneggio il mio stesso lavoro, sti cosi si fanno con cura e amore e dopu tantu lavoru cu quali cori io l’avissi taghiati? Io li ho confezionati bene e li ho incartati e ho mandato mia figlia a consegnarli integrali e perfetti.
CASSIO: Sì comu i biscotti integrali.
MICHELA: Sì vostro onore è esatto: io purtai ii robbi a casa di Caniniri, incartati e precisi e ci consegnà a Pietru.
PIETRO: E’ vero, è vero, però ho preso i robbi incartati da sopra u bisolo della porta, poiché la signorina dà i pusò, non volendo consegnarli in mie mani; io mi puttai intra dopo averla pagata 318.000 senza battiri giglio, idda si ricugghiu i soddi in ta strada dato che io dà ci ittà. Poi scartai i robbi chi così i truvà. Lo giuro e lo rigiuro se volete.
ONOFRIA: No! Imbroglioni tu e to patri; attentati alla reputazioni prufisiunali, ripetu e dicu e giuru supra a bonammitta di me maritu Carmelo Bufalotta, chi era un sartu puru iddu chi così fu! Boni i fici, e boni ci mannai.
GIUDICE: Mi scusi signora Grillofuso, il cognome Grillofuso è il suo o quello della buonanima di suo marito.
ONOFRIA: Sì vostro onori è il mio cognome, quello della buonanima di mio marito era Bufalotta.
GIUDICE: Ma la signorina Michela, un attimo fa si è qualificata come Michela Grillofuso. Come mai porta il suo cognome?
MICHELA: E’ così! Mi chiamo Grillofuso Michela, per servilla.No saccio come si chiamava, me mamma no sapi mancu cu era il mio vero patri.
ONOFRIA: Sì vostro onori, Michela mi nasciu quando ero signorina: vidi un bello giovani, alto, biondo, inglesi o tedescu, no sacciu… parrava stranieru, mi piaceva e io mi sono lassata iri e nasciu me fighia. Me patri e me mamma mi ittaru fora da casa quando scoprero che ero incinta e io sono iuta a travaghiari nella sartoria del Bufalotta; da cosa nasciu l’amore e ni spusammu. Erimu felici, ma felici veramenti: un iornu mentri litigava cu un clienti pi una piega nta na giacca dopo chi cia stirò e ristirò, quello ancora trovava problemi, me marito s’innervosiu e dal nirvoso non si controllò: non ni potti chiù e ci vuleva dari un coppo di ferro da stiro, ma quel disonorato e disgraziato si scansò tutti i colpi di ferro e a bonammitta nel tentativo ziccò a mano col ferro da stiro attaccato alla presa nta bagnarola cu l’acqua… pighiò a scossa e ristau siccu.
CASSIO: E su liquidò!
GROSSI: Vostro onore non siamo qui per sapere la storia della vita della signora. (Lotti non lo fa continuare)
LOTTI: Ma come dice l’illustre collega, noi siamo qui per dimostrare che la mia cliente è precisa e onesta nel suo lavoro; è impossibile che prima confeziona i capi col sudore della fronte, e poi li danneggia.
C.CASSIO: Ma quali sudori da fronti, u culu avi sudatu.
PIETRO: Papà pi favuri controlla i paroli!
ONOFRIA: Comu si permetti zotico e maladucatu cani niuru.
GIUDICE: Silenzio! Lei signor Caniniri si controlli.
C.CASSIO: Scusassi vostro onori, mi scappò.
LOTTI: Ha visto vostro onore? Un tipo così è capace di tutto, figuriamoci di tagliare i pantaloni.
SCASSI: Lei non si permetta di fare insinuazioni se non può provare quello che dice. E’ illegale e può essere denunciato.
LOTTI: Collega, la faccia finita: i capi li avrebbe danneggiati la signora per ripicca, mi faccia il piacere (ironico)
SCASSI: E’ tutto da dimostrare o da documentare, i capi presentano due tagli netti di forbici che entrambe, la madre e la figlia, hanno potuto fare.
GROSSI: Come il collega ammette, i tagli sono stati fatti da un taglio netto di forbice che sia il padre che il figlio posono aver eseguito.
C.CASSIO: O avvocatu non dicemu cretinati. Io secundu a so testa studiata di omo di coltura spendo dei soddi in questo periodo niro di vacchi sicchi, comando a signora grillofuso che è la sarta chiù caravighiana del paisi e ci consegno 318.000 liri per la manifattura di un giacco e un causo. Ma se per la robba e la manifattura ho speso un occhio. Poi taglio i robbi, che mi costano un occhio, la sira della vigilia dello spusalizziu del nipoti al quali ho rigalato un costoso tilivisori cu tilivideo e l’Eurovisioni incorporato; e poi non ci vaiu mancu a manciari.. ma chi ciò scritto in fronte: minchione !?
LOTTI: Può essere stato il ragazzo!
PIETRO: Ma chi ncucchia, che dice, lei è ubriaco di matina.
C.CASSIO: Signor giudice vossia mi crida io sono un omo di pace, non amo né le sciarre né lu cuttighiu, né tantomeno le denunce o le quirele, ma la spisa eccessiva fatta, lu piaciri mancato della mia partecipazioni alla cirimonia e relativa manciata, chi non ni ficimu, mi hanno spinto fin qui.. e pretendo giustizia, giustizia!!
LOTTI: Poiché è sicuro che voi, non so i motivi, ma siete i responsabili del fatto, avrete la giusta punizione che la giustizia prevede. Quella giustizia che acclamate a voce alta.
C.CASSIO: E pure a vuci bassa a chiamu!
GIUDICE: Bene per oggi basta. Siete rinviati al dodici del prossimo mese, mi studierò gli atti. 
(escono salutando)

FINE I° ATTO

II° ATTO

Si ricorda agli attori che le due parti degli avvocati, Grossi e Robusi, sono da affidare ad attori bravi nel mimare il tic nervoso di robusi che deve essere continuo e che interessa il viso ed un braccio che si alza ed abbassa spesso. La parte di Grossi è di un effeminato evidente nel parlare, nei gesti e nel portamento; l’abbigliamento di Grossi deve essere elegante con gusto, ma estroso e con colori vivaci, però maschile.

All’apertura sulla scena vuota entra caniniri e Pietro (vestiti bene).

C.CASSIO: Petru mi raccumannu tranquillo, niautru avemu ragiuni, pecciò semu nta na butti di ferru si tu non i taghiasti pi ti vendicari.
PIETRO: Ma Michela e so mamma dichiarinu chi i robbi erinu boni (entra Onofria), ma io ne taghiai comu ti l’è diri.
ONOFRIA: E boni erunu, sti mischinità vi putevu risparmiari: tribunali, dinuncia, vigugnativi, siti pi daveru peggiu d’un cani niru (vestita castigata, senza nulla di scollato, ecc.), trascinarmi in tribunale per vendicarvi, e poi di cosa, visto che fu Pietro a lasciare mia figlia.
C.CASSIO: Ringraziati chi semu ca se no vu dicia io chi vi avia diri. Voi avete voluto vendicarvi di Pietro.
ONOFRIA: Chi mata diri, sintemu forza, sintemu chi mati a diri? Parrati si aviti curaggiu.
C.CASSIO: Lassamu peddiri che è meghiu signora, lassamu peddiri, io sugnu educatu e non voghiu sbaghiari a parrari, non mi istigati.
ONOFRIA: Non lassamu peddiri nenti, cà ati a parrari e voghiu vidiri cata diri.
C.CASSIO: Io dicu che pareva na pirsona seria quannu me fighiu era zitu cu vostra fighia; ora chi me fighiu a lassò, cu tortu o ragiuni, ni ruvinasti i robbi. Non mi lo aspettavo veramente non pensavo lo avreste fatto, ci voli curaggio e coscienza, fare una cosa così brutta, a camula vi manciò u cirvellu.
ONOFRIA: Io chissu non vu lassu diri: giuru sopra a l’anima da bonammitta di Bufalotta chi erinu perfetti. Tutto potevo fari, ci ristai mali chistu è sicuru, quannu Petru a lassò, ma non mi abbassau a sti mischinità: io sono onesta e precisa, e a bonanima di me maritu u sartu si rivoltassi nella tomba si io avissi danneggiato i robbi, lo giuro.
PIETRO: No! Putiti giurari supra cu vuliti, o Bufalotta o vacca svizzera, i robbi i niscì io nta catta e non erinu boni erinu taghiati.
ONOFRIA: Brughiuni, non sulu mi pighiasti in giru a me fighia, ora puru dici minzogni e cu sa faccia di santittu innocenti; sugnu sicura chi fusti tu, to patri non pensu.
C.CASSIO: Oh! Signura Grillo mi pari piddaveru un Grillofuso comu u cognomi c’aviti: me fighiu avi i so difetti ma non è capaci di fari na carognata simili, sugnu sicuru.
ONOFRIA: Parroi u cavaleri Briscula: viatri aviti u cugnumi famosu, Caniniri, e siti peggiu di cani nta vuatri parenti siti tutti sciarriati, puru tra frati e soru.
C.CASSIO: Chisti non su cavoli vostri, pinsati e vostri robbi loddi sutta o suli navemu tutti cosi di cui vergognarsi e non sempre pi cuppa nostra i cosi da vita sono imprividibili.
ONOFRIA: E dicistu giustu, pensati e vostri robbi loddi, puru a chiddi o friscu non sulu o suli, i videva io quannu vinia a vostra casa nto bagno pun misi avevu sempri na tuvaghia fitusa e rugnusa comu vui.
PIETRO: Ca si cacchi parola c’è di diri…
C.CASSIO: Mutu tu! In quanto a vui fitusa siti, vui pi vostra informazioni a me casa nto bidè du bagnu si po’ manciari e nto lavandinu si po’ biviri, e nto cessu non vi dicu chi si po’ fari!
ONOFRIA: Cettu, picchì nte biccheri e nte piatti non si pò: fetunu di buriddu.
PIETRO: Ma chi sta dicennu a me casa c’è l’oru da pulizia, apposta non manciava nenti quannu venia dà… vi manciavu tutti cosi.
ONOFRIA: Manciava pi non fari dispiaciri a me fighia, ma u manciari non mi eva né pi supra né pi sutta. Vi l’assicuru io: mi rivultavunu i budedda.
C.CASSIO: Io u visti pighiari pi sutta e comu ncugnavu pi nta panza, pi nta ventri.
ONOFRIA: Viautri comu manciavu tutti, pari chi grazia di Diu non videvu mai.
C.CASSIO: nta me casa u manciari abbonda, u ittamu puru, chiddu chi spinnemu pi manciari niautri vui vu sugnati: u manciari u schifiamu.
ONOFRIA: No, vui non è chi u manciari u ittati picchì c’è abbondanza, u ittati picchì fa schifu; manciati tutti i rassi e sivi carni i pecuri e i maiali.
C.CASSIO: A me casa c’è a spisa meghiu di ristoranti, mentri cacchi vota chi vinni a manciari da voi non c’era da scegliere. Quelle poche volte che vinni a vostra casa, volte che si ponnu cuntari supra na manu picchì vinevu sempri unni mia, ma pochi voti noi siamo stati a vostra casa a manciari, mi dastu i piatti puliti, nel senso che erinu vacanti. Manciamu liggeri, i yogurt chi fermenti vivi, u furmaggiu ca muffa, manciati i cosi chi vermi, si ci pensu mi veninu i brividi.
ONOFRIA: Si vidi chi siti gnuranti in fatto di manciari, io videsi u gorgonzola che custa chi sordi e chi veni usato dai nobili, no u furmaggiu di pecora, duru comu u feru, chi mi davu vui.
C.CASSIO: Macara parra: io abituatu chi cosi genuini chi manciu a me casa cu si ntragni chi manciai dà andava sempri o bagnu cu stomicu sciotu.
ONOFRIA: Io ti ho dato cose di alta gastronomia.
PIETRO: Apposta, cu tutta sa gastronomia chi mancià a vostra casa mi vinni a gastriti cronica, a coliti e l’acido uricu.
CASSIO: E l’acido muriatico.
ONOFRIA: Tu a gastriti l’ha nta testa e puru a babbaria cronica; a lassasti a ame fighia, peggiu pi tia, piddisti un bocciolo di rosa.
PIETRO: Picchì, peggiu pi mia era si aveva viri na soggira comu a lei.
ONOFRIA: Tu avevi trovatu na ragazza onorata, a na carusa d’oru. Ora ti po’ pighiari na femmina di strata, si ti voli.
PIETRO: Io i fimmini l’haiu truvatu sempri e ni trovu quantu ni voghiu.
ONOFRIA: Minch…! Ma stavi facennu diri una, parrau l’attori da Rai.
C.CASSIO: Chi avissi a diri, me fighiu ha statu sempri richiestu di fimmini, i telefonati rivinu a ciumi a me casa.
ONOFRIA: Cettu, comu a so patri.
C.CASSIO: Enutili chi parrati, me fighiu eni unu di chiù beddi carusi du paisi e no diciu io, u diciunu l’autri fimmini cu ceccunu.
ONOFRIA: E’ tuttu so patri (ironica), si vidi, siti perfetti.
C.CASSIO: Quannera carusu io facia veniri a vista i l’occhi. No comu a vui chi mi pariti na ciurra, na tacchina.
ONOFRIA: A vista i l’occhi e orbi! E a cu videva u nurbavu.
LOTTI: Ehi! Ma dove siamo? Controllatevi signori.
ONOFRIA: Lei no sapi chi mi dissiru patri e fighiu.. mi chiamò ciurra.
C.CASSIO: Sì, na ciurra spinnata.
LOTTI: Non bisogna accettare provocazioni. Tanta gente lo fa apposta per avere la ragione dalla sua: istigano, incitano alla lite, ma bisogna essere forti e non accettare provocazioni. Nemmeno quando queste sono offensive e uno vorrebbe aggredire chi le fa, bisogna avere la forza di mantenere a calma e non farsi provocare, e di conseguenza non provocare.
ONOFRIA: Ma quali provocazioni, io non provocai a nuddu, sugnu tutta mucciata (mostra i vestiti castigati) e non voghiu certu provocare a chistu!
C.CASSIO: Ma cu vi talia? Si siti na vecchia racchia.
PIETRO: Sedici e sedici trentadui, io non voghiu a vostra fighia e vaddu a vui.
ONOFRIA: Oh, fino a prova contraria me fighia tavia dittu sì picchì parevi un bravu carusu, parivi! Inveci sì l’opposto.
C.CASSIO: Me fighiu è l’oru di vostri occhi. Fa firmari i riglogi.
LOTTI: Finiamola! Fatemi capire (a Pietro) tu eri fidanzato con Michela grillofuso? Prima della causa?
PIETRO: Ero, ha detto bene, eravamo fidanzati.
LOTTI: (a Onofria) Perché non sono stato informato né io né il mio collega?
GROSSI: (si ricorda che Grossi è effiminato) Cos’è che non ci hanno detto?
LOTTI: Che i ragazzi erano fidanzati prima dei fatti in questione, qui sebentrano nuovi elementi che potrebbero ribaltare le posizioni.
GROSSI: Fidanzati (al collega), fidanzati (alla signora), fidanzati (a Cassio), veramente fidanzati (a Pietro) ?
PIETRO: Sì, fidanzati che c’è di strano?
GROSSI: Tu, fidanzato? Con lei?
PIETRO: Sì, ripeto che c’è di strano?
GROSSI: Fidanzato, tu fidanzato, non può essere.
PIETRO: picchì sugnu così racchio?
GROSSI: Macchè, sei molto carino, perché eri fidanzato con quella?
ONOFRIA: Oh avvocato di me scappi, chi ciaviti a diri a me fighia Michela?
GROSSI: Nulla, nulla, non era adatta a Pietro, si vede subito.
C.CASSIO: Ben ditto avvocato, me fighio si salvò in tempu.
ONOFRIA: Vostru fighiu era riccu e no sapia, voghiu vidiri a cu si pighia ora, voghiu vidiri chi racchia si pigghia!
GROSSI: Un bel ragazzo come lui si prende chi vuole. Lei taccia.
ONOFRIA: Come no! Magara a lei. Mi pari propriu u so tipo, facissu na bella coppia, proprio na bella parighia di scecchi: l’avvocato e il cliente, o meglio i clienti, patri e fighiu! Lei i difenni come se fossero i suoi clienti, o u faci picchì ci piaci Petru?
GROSSI: Non diciamo fesserie signora non insinui, non mi offenda io sono il suo legale, mi sono solo confuso.
LOTTI: Caro collega lasciamo perdere gli altri problemi, ma alla luce di questi nuovi avvenimenti dobbiamo esaminare una nuova linea di difesa.
C.CASSIO: Oh! (al figlio) Ma chistu picchì ti difenni? Non è chi tu… e iddu?
PIETRO: Ma chi dì papà, chi pensi!
C.CASSIO: E chinni sacciu io!
PIETRO: Tranquillo papà!
LOTTI: Collega dobbiamo riesaminare il caso!
GROSSI: Certo, caro collega hai ragione, dato il fatto nuovo del fidanzamento dei ragazzi… (entra Scassi che sente le ultime parole)
SCASSI: Come? I ragazzi si sono fidanzati? E da quando? E perché?
PIETRO: Perché, chiede perché. Lei perché si è fidanzato con sua moglie all’epoca? L’amava, da sempre ci si sposa e fidanza per amore.
SCASSI: A te chi te l’ha detto! Non è sempre così.
PIETRO: E’ normale, ci passano tutti di sa strata.
C.CASSIO: Comu, lei si maritò senza mi si fari zitu?
SCASSI: Esattamente!
ONOFRIA: Certo all’epoca ci fidanzavano i genitori.
SCASSI: Non nel mio caso.
PIETRO: Lei comu fici?
SCASSI: All’epoca la mia attuale moglie era fidanzata con mio fratello.
ONOFRIA: E lei ha rubato la zita a suo fratello? Svergugnatu! Non si verrgogna?
SCASSI: Lei si controlli e pensi ai fatti suoi; dunque i rispettivi genitori avevano fidanzato Patrizia con Filippo.
C.CASSIO: Cu su chissi?
SCASSI: Patrizia è mia moglie e Filippo è mio fratello.
C.CASSIO: Non è pi mi ntricari, ma a signura avi ragiuni cu quali curaggiu ci pighiastu a zita a vostru frati? Non è leale.
ONOFRIA: Grazie tante.
C.CASSIO: Prego! Stavota aviti ragiuni. E quando c’è, c’è.
SCASSI: Insomma mi lasciate finire, dicevo si erano trovati fidanzati loro malgrado. Patrizia non voleva Filippo e Filippo amava Catena.
PIETRO: Cu è Catena? Chistu mi cunfunniu: ma di cu cavulu sta parrannu? Io non capì chiù nenti.
ONOFRIA: Non è a prima vota, cu sa testa chi ha tu na caputu mai nenti, i cosi ti l’hannu a nbuccari ca cucchiaredda.
SCASSI: Mia cognata! Catena è la mia attuale cognata.
ONOFRIA: Come avete risolto allora la quistioni?
SCASSI: In modo drastico: una sera Patrizia era triste e mi confidò che non voleva mio fratello e io gli risposi di fuggire con me, per mettere tutti davanti al fatto compiuto; poiché io l’amavo.
C.CASSIO: E comu finiu?
PIETRO: Secundu mia a schifiu finiu, veru?
SCASSI: Beh, all’epoca sì: io ero giovane, dovevo laurearmi, mio fratello fuggì con la donna che amava ed io fuggì con Patrizia; abbiamo messo il fuoco in casa, ma ora bene o male siamo qui.
GROSSI: Ora che sappiamo la storia d’amore del collega torniamo ai fatti!
SCASSI: Certo, pensiamo ai fatti: i ragazzi si sono fidanzati. Cose incredibili.
ONOFRIA: Si lassaru!
PIETRO: Pi megghiu diri a lassai io a Michela e ci tengo a precisari, io non vulissi chi si dicissi u cuntrariu, pa me reputazioni di masculu.
ONOFRIA: Bella perdita chi fici me fighia cu tia; io dicu chi baciò terra du preiu.
MICHELA: (che entra) Pi futtuna iaprì l’occhi in tempo! Buongiorno a tutti.
SCASSI: Insomma, fatemi capire, voi siete fidanzati e lasciati?
MICHELA: Cettu pi fottuna: mi lassò prima chi u conosceva bonu, se no u lassava io.
SCASSI: Ma come avete fatto così in fretta a fidanzarvi e lasciarvi?
LOTTI: Caro collega, se 2+2 fa 4, non ci sono dubbi, sia il fidanzamento che la rottura sono precedenti alla causa in corso, vero?
GROSSI: oserei dire che sicuramente il tutto è collegato, è collegato.
SCASSI: Come? E magari la causa che affrontano è scaturita dalla rottura del fidanzamento. Il danno è collegato alla rottura del rapporto dei giovani ragazzi, vero?
ONOFRIA: Ci putemu giurari chi chissi u ficiunu apposta, pi vinditta.
SCASSI: Ditemi: i motivi della rottura a chi sono attribuibili?
ONOFRIA: Iddu a lassò a me fighia e senza motivo, non avemo chiarimenti accettabili e motivi validi di riscontro che avallino il motivo della rottura, poiché il ragazzo fu evasivo e non cii chiarì i dubbi; ci disse chi scoprì di non averla mai amata e stava facendo un errore.
SCASSI: Ora si spiega tutto. La causa di tutto è qui. La signora Grillofuso, offesa dall’atteggiamento di rifiuto dell’impegno assunto da Pietro, per vendicarsi ha tagliato i capi prima di consegnarli.
ONOFRIA: Chi cavulu dici avvocatu? Non dicemu babbarii. Io sono precisa e onesta e non scenderei così in basso, né per vendetta, né per altro: pur avendo interrotto i rapporti in corso, da professionista seria quale sono completai il lavoro cominciato.
SCASSI: Avanti signora, lei mi vuole dire che ha fatto salti di gioia quando Pietro ha fatto dietro front? Non credo proprio, neghi se può.
ONOFRIA: Onestamente all’inizio mi nchianaru, ma ora sugnu cuntenta e non ci fazzu più caso, solo non capì i motivi di Pietro.
SCASSI: E tu michela, come l’hai presa?
MICHELA: Io? Masculi naio quantu ni voghiu, certu fu offisa nto me orgogliu, ma sugnu cuntenta chi finiu; l’unica cosa chi mi fa rabbia è chi no lassà io.Per me è stato uno schiaffo morale essere lasciata da quella cosa fitusa.
SCASSI: (arriva il giudice) Tu sei sicuramente la colpevole di tutto.
GIUDICE: Buongiorno, accomodatevi (tutti prendono posto)Causa Caniniri contro grillofuso, vengano avanti (si fanno avanti con gli avvocati). Dunque riassumiamo una attimo la causa: i signori caniniri hanno sporto denuncia per danneggiamento nei riguardi della Grillofuso Onofria che si professa innocente dell’accusa di danneggiamento.
ONOFRIA: E nnocente sogno. Giuro e rigiuro supra l’anima di Bufalotta, me marito buonanima. Che io giammai danneggiai il mio lavoro (Pietro e Cassio fanno le corna)
SCASSI: Vostro onore, sono emersi nuovi fatti che sono a sostegno dei miei clienti e lei deve saperli e tenerne conto.
GIUDICE: Dica avvocato, sentiamo i nuovi fatti.
SCASSI: Dunque, ho saputo da poco che Grillofuso Michela e Caniniri Pietro erano fidanzati e ll’aepoca della rottura del fidanzamento furono messi in opera i capi in questione.
GIUDICE: Bene, e allora?
GROSSI: Allora il collega vuole abbinar dei fatti estranei alla causa in corso.
SCASSI: Se il collega mi permette, dimostrerò che questo fatto è una chiara prova nel processo in corso che chiarisce e mette tutto sotto una nuova luce e una valutazione valutabile che c’era un precedente non irrilevante che dimostra che ci sono buoni motivi nel credere che il tutto venga a sostegno dei miei clienti.
LOTTI: Caso mai questo fatto è una prova a favore dei miei clienti.
SCASSI: Collega mi faccia parlare per favore, stia zitto!
GIUDICE: Avvocati, per favore!
LOTTI: Scusi vostro onore.
SCASSI: Scusi anche me, ma il collega non mi lascia parlare.
GIUDICE: Vada avanti avvocato, e sia conciso.
C.CASSIO: Cu è su Conciso? Tu u canusci? (al figlio)
PIETRO: Papà! (fa segno al padre di stare zitto, Cassio scrolla le spalle)
SCASSI: Dunque, il suddetto fidanzamento è stato rotto con nessun motivo apparente da Pietro e la signora aveva in corso di cucitura i capi in questione che consegnato tagliati per vendetta presumibilmente.
GROSSI: E’ falso, è falso! Sicuramente falso.
LOTTI: Il collega non ha prove, fa solo delle congetture.
CASSIO: Chi faci i confetturi (al figlio che gli fa cenno di tacere)
ONOFRIA: L’avvocatu dici fissarii e rossi, io consegnai i robbi belli cuciti perfetti a me fighia mi ci porta nta carta russa chi usu sempri e chiusi cu nastru adesivu dalle mie proprie mani.
PIETRO: Non è vero, io i robbi i pighia sul bisolo di casa e erinu nta carta gialla ncudduriati senza scocci.
ONOFRIA: E’ brughiuni, ora puru a carta dici chi era di nautru culuri?
C.CASSIO: A carta a visti puru io e era gialla, giallissima!
ONOFRIA: Brughiuni, patri e fighiu. Michela com’era a carta chi ncartu i robbi io?Com’eni? Dicci subito a tutti di chi colori eni.
MICHELA: (Vistosamente imbarazzata) Io… io.. russa era.
LOTTI: Vostro onore qui adesso sembra che ci sia pure il colore della carta cambiato, i signori mentono sicuramente.
GIUDICE: Signori Caniniri, dicono che il colore era la carta che avvolgeva i capi in questione?
PIETRO: Gialla vostro onore! Giuro che era gialla come un taxi, come il limone maturo, come il sole giallo; gialla come la gelosia, gialla come la margherita.
ONOFRIA: Ma i margherite non sono bianche?
PIETRO: Ci sono pure gialle se lei non lo sa.
MICHELA: Brughiuni, cosa tinta, puru culuri da carta ora canciò, siti brughiuni patri e fighiu. Me mamma non usa carta gialla (poco convincente)
C.CASSIO: Chistu non tu lassu diri, a iddu brughiuni ciu po’ diri picchì brughiò a tia, ma a mia no! Vostro onore giuro che la carta era gialla.
LOTTI: Vostro onore il colore della carta è un dettaglio irrilevante. Il fatto è che i capi sono stati danneggiati dai signori senza ombra di dubbio.
MICHELA: Ha ragione foru iddi.
ONOFRIA: Ah no! Ca u culuri non è irrilevanti comu dici iddu, è importanti: io ho sempre usato il colore rosso per scaramanzia, contro il malocchio.
GROSSI: Io confermo, la mia cliente dice il vero per la superstizione che ha, sono anni che avvolge i capi in carta rossa.
ONOFRIA: U sapi vostro onore prima minni succideva una o ionnu, sugnu sempre malucchiata di maiari. C’è gente tinta e invidiosa in giro.
SCASSI: Stupide superstizioni che però non c’entrano con la causa.
GIUDICE: Le superstizioni non c’entrano, ma il colore della carta sembra di sì, ciò dimostra che i capi sono stati scartati, tagliati e rimessi dentro una carta di diverso colore. Ma da chi dei signori?
ONOFRIA: Esatto, io uso carta russa, dicci chi carta aiu usatu io me fighia?
SCASSI: L’ultima persona a maneggiarli in casa Grillofuso fu Michela.
MICHELA: Russa era, me mamma ha sempri usatu a carta russa fora malocchiu.
ONOFRIA: Esattu, io a usu russa pu malocchiu, semu sempri malucchiati.
PIETRO: Io giuro supra l’anima di cu vuliti chi a carta era gialla, pallida giallina.
C.CASSIO: E’ gialla, era giallu, come l’uccello di mio fratello.. u canarinu chi avi nta iaggia.
ONOFRIA: Michela chi è stu fattu da carta gialla? Non è chi tu…
MICHELA: Chinni sacciu io? Mamma chiddi broghiunu.
SCASSI: Lei personalmente portò i capi a casa Caniniri e per vendicarsi di Pietro eseguì il taglio dei capi in questione.
ONOFRIA: Michela non è chi tu…
MICHELA: (impaurita) No mamma non fu io!
GIUDICE: Signorina non si mente in tribunale. Dica la verità può essere denunziata per falsa testimonianza.
MICHELA: E va bene: fu io chi i taghià pi mi vendicari e ci misi a carta gialla picchì a russa si strazzò. Chiddu mi usò e mi lassò… da cosa tinta!
ONOFRIA: Comu, tu.. tu.. tu.. (sviene e gli avvocati la rianimano)
GIUDICE: Visti i fatti nuovi finora emersi, condanno la signora Grillofuso a ritornare ai signori qui presenti tutte le somme incassate per il lavoro dannegggiato dalla figlia; inoltre ritornare una cifra di lire 1.000.000 per danni morali, poiché sono stati turlupinati e portati in tribunale; infine ritornare i soldi incassati con gli interessi e risarcire il valore della stoffa e a tutte le spese processuali. Il caso è chiuso, potete andare. (il giudice esce)
ONOFRIA: Comu chiusu? Io ti apru a testa disgraziata! Ti manciu u cori, chi figura, chi virgogna! Io ti tiru u coddu comu un puddicinu (avanza minacciosa verso Michela che fugge inseguita dalla madre e dagli avvocati per la stanza)
MICHELA: Aiuto, no fazzu chiù, perdono!
ONOFRIA: Perdono? Come ti posso perdonare, a parte la spesa, la figura fatta, tu hai attentato alla mia riputazione professionale di grande sarta rifinita e con tanti anni di onesto e preciso lavoro di sartoria.
MICHELA: Mamma ma io mi vuleva vendicare di Petru, non vuleva danneggiari a tia.
ONOFRIA: Io zignà chi i guai, i problemi si affrontano a testa iauta senza chinari u capo con orgoglio e dignità e tu mi porti nto tribunali, mi macchi d’infamia.
MICHELA: Tu mi macchiasti a mia d’infamia prima di nasciri sugnu fighia di nuddu!
ONOFRIA: Io ti scippu i capiddi (si lancia verso Michela che fugge inseguita dalla mamma e dagli avvocati)


FINE II° ATTO

III° ATTO


All’apertura sulla scena vuota entra Ramisicchi Alessio con borsa di verdura selvatica, quella del momento reperibile nei campi e, se è peiodo, dei rametti teneri di sulla (dipende il periodo di rappresentazione dell’opera) e posa tutto sul banco o su una sedia.

RAMISICCHI: Permesso, oh! Ma ca non c’è nuddu! Mancu da specie di avvocatu chi aiu arriva!
ROBUSI: (entra) Ah! Lei è già qui (con tic nervoso)
RAMISICCHI: Ca sugnu, passai da casa, so mughieri mi dissi “già è andato”.
ROBUSI: Sì, stamani sono uscito presto. (si ricorda che Robusi ha un tic nervoso che si fa notare spesso)
RAMISICCHI: Ci puttai quattru fissarii di campagna, si non soffenni (dipende il periodo): cipolle, peperoni, pomodori, melenzane (se è inverno), cavolfiore, rape, finocchi, fave e piselli. Ci lassai tutto a so mughieri.
ROBUSI: Grazie, non mi offendo, anzi, di questi tempi le cose genuine sono gradite. E le porti più spesso.
RAMISICCHI: Meghiu così, unu tanti voti pensa chi sbaghia, non sapi mai comu savi a comportari, pensa chi soffenni.
ROBUSI: (nota la borsa e, se è periodo, la sulla) Cosa ha portato quì?
RAMISICCHI: Un pugno di verdura sabbaggia pi vostro onore, a sudda (se c’è) pi ci fari vidiri. Cussì cia facemu assaggiari puru a iddu, capaci chi ci piaci e a verdura cia potta a so mughieri.
ROBUSI: Senta non esiste in tribunale portare qualcosa al giudice.
RAMISICCHI: Io a verdura cia portu a tutti, picchì a iddu no?
ROBUSI: In questo caso non è il caso (tic nervoso evidente)
RAMISICCHI: Picchì nta stu casu non è u casu? (e mima il tic)
ROBUSI: Perché il giudice in udienza non può accettare nulla (sempre il tic nervoso alla fine di ogni frase), nulla, è impossibile.
RAMISICCHI: Perché il giudice in udienza non po’ accettari? (rifà la mima del tic) E poi chi nomi eni udienza, quanto meno (se il giudice è uomo) savia chiamari Udienzo, non Udienza, chi è fimmina.
ROBUSI: Udienza vuole dire mentre fa la causa, non è il suo nome (sempre il tic)
RAMISICCHI: Ah! E quali eni il suo nome? (rimima il tic)
ROBUSI: Non ha importanza il nome del giudice, non può accettare nulla! (tic sempre a fine frase) e non so come si chiama.
RAMISICCHI: E perché non può accettare nulla il giudice, non ni mancia (rifà il tic)
ROBUSI: Ora basta. Primo, io sono il suo legale, e ciò che le dico deve fare; secondo, la smetta di farmi il verso, la mia è una malattia (tic nervoso evidente) e lei è un cafone maleducato.
RAMISICCHI: E si calmassi io schizzava avvocato!
ROBUSI: (sempre agitato) Lei è ignorante, mi ha fatto innervosire, ora il tic nervoso ce l’ho più evidente: è collegato ai nervi, in questo caso come farò la causa, come farò… come farò?
RAMISICCHI: Facissi comu voli, basta chi vincemu. Io non voghio perdiri.
ROBUSI: (sempre agitato col tic frequente comincia a balbettare)Ho… i .. mii.. ee.. ii… du… du… dubbiii.
RAMISICCHI: Chi ci pighiò, mancu sapi parrari chiù?
ROBUSI: E’, è … il .. ne.. e.. e.. rr.. voso! Mi.. ca .. ca… pi.. taaa qua.. nn.. do mi… mi aaa… giii… too. Ma… ma… nnna… ggia!
RAMISICCHI: Semu cunsumati, si calmassi, mi raccumannu ca semu ruvinati, ppiddemu a causa piddemu tuttu, si calmi.
ROBUSI: Mi… caa.. mmu… eee… chi… èèèè… faciliiii! Le.. lei mi ha ha… ha.. fa.. faatto, ma… ma… mannaggiaaa a le.. lei!, inne… inner… vosii… ree e chi si caa… ca.. lma p.. pi.. piùùùù.
RAMISICCHI: Issi a biviri, si pighiassi cacchi cosa, na camumilla, un the, un biccheri di acqua, na menta pipirita, na gazzusa.
ROBUSI: Sii… vaaa.. vado! (esce)
RAMISICCHI: Miscula, certu chi mi ciccai un avocatu chi fiocchi! Mancu parra chiù, ca finisci chi peddu a causa, porcu d’un sceccu zoppu.(rimasto solo prende la borsa con la verdura) Ma io non capisciu picchì a viddura o giudici non cia pozzu dari. Ora cia dugnu o primu chi trasi, anzi, no u primu chi trasi pò essiri Amilcare raguzzisi, a cugghì unn’iddu (ne esce un po’) Ma! Quasi quasi ma tonna pottu a casa e ma manciu a facci di tutti, giudice compreso. Ma sì, ma fazzu fritta, ci scafuddu du bicchierotti di vinu a facci di chi mi voli mali, Raguzzisi u primu, a cugghì nta so terra, ma manciu a facci so, a facci so e di so avvocati e fazzu comu si dici “l’asino a porta e u sceccu sa mancia”.
GROSSI: Buongiorno! (si ricorda che è un po’ effeminato: dice buongiorno accentuando il suo senso di ambiguità, allungando una mano sul viso di Ramisicchi)
RAMISICCHI: Buongiorno e tinissi i manu o postu: io finu chi cia fazzu staiu su l’autra sponda, chidda china di donne, fimmine, femmine.
GROSSI: Pazienza, non sa cosa si perde! Scemo!
RAMISICCHI: E no voghiu sapiri (facendogli il verso), scaltro.
GROSSI: Lei è proprio un uomo rude, come piacciono a me (lo tocca da qualche parte)
RAMISICCHI: Sintissi io non haiu nenti cu chiddi comu a lei: ognuno vive la vita chi voli, ma con iscrezione, con educazione e con la massima riservatezza possibile, sall’aggassi du bastimentu.
GROSSI: Si vede che lei è un tipo intelligente. Bravo! Non tutti la pensano come lei, il mondo è pieno di razzismo.
RAMISICCHI: Io rispetto tutti e voghiu essiri rispettato.
GROSSI: Bene, passiamo alla causa: il suo avvocato?
RAMISICCHI: Ora veni. Credo che ora viene.
GROSSI: E’ un bell’uomo, peccato che ha quel tic nervoso, la vita a volte gioca brutti scherzi.
RAMISICCHI: A iddu! (allusivo)
GROSSI: E anche a me purtroppo. Avrei voluto essere più fortunato, ma pazienza.
RAMISICCHI: (allusivo) Chistu è veru, a vita gioca brutti scherzi (indicando l’avvocato)
GROSSI: Il mio cliente non si è visto ancora?
RAMISICCHI: No! E spero chi mentri patti pi cà si rumpi u coddu.
GROSSI: Senta! Le faccio un aproposta che dovrebbe accettare per il suo bene.
RAMISICCHI: Ora ora chi ci dissi? Non accetto proposte. Lassassi peddiri, ciato spricato. Non ci sto!
GROSSI: Che ha capito? Io dicevo una proposta collegata alla causa.
RAMISICCHI: Va beni, ditemi. Sintemu sa proposta si centra ca causa.
GROSSI: Lei paga al mio cliente un forfè, diciamo… 300.000 lire, e chiudiamo tutto, senza andare avanti con la causa.
RAMISICCHI: Lei duna i numeri: io non pagu nenti, quali fuffè, non sinni parra propria. Io vincerò, sono sicuro come sicuro che domani fa giorno di nuovo.
GROSSI: Peggio per lei, le costerà di più. Molto di più!
RAMISICCHI: A mia non mi costa nenti, io vincio! Sono sicurissimo.
GROSSI: Più va avanti con la causa, più mi sembra improbabile che lei vinca, per cui le propongo di accettare la mia proposta.. è vantaggiosissima.
RAGUZZISI: (entra) Chi proposta, sintemu chi vuliti fari?
RAMISICCHI: Nenti, picchì io non accetto proposta, chi sugnu scemu? O vi paru fissa. Furfè, chi furfè, 300.000 lire, chi sugnu scemu? Mi voli fari pagari 300.000 lire.
GROSSI: Era una proposta onesta!
RAGUZZISI: Comu? Chi su si tricentu mila liri?
GROSSI: Avevo proposto al ramisicchi un forfè di 300.000 lire, ma non ha acettato.
RAGUZZISI: Comu? Lei proponi un furfè? Si stuiassi u culu cu furfè. 300.000 lire non bastanu mancu pi pagari a lei e iddu si faci prigari; tricentu mila liri si pò mettiri nta l’anchi. M’ava pagari salatu, salatissimu (entra Robusi).
RAMISICCHI: Ti cattu centu chili di sali e ti salu cu tutta a to famighia, come le sarde.
RAGUZZISI: Io chiedu un milioni di danni materiali e morali, e u sali tu pò manciari tu e tutta a to settima generazioni di scemi. Chi vi manca u sali nto ciriveddu?
GROSSI: Calmi, per favore, calmi siamo in tribunale.
RAGUZZISI: Io l’ho denunziato pi pascolo abusivo continuato e lo voglio vedere pagare, deve pagarmi, anche a rate dilaniati nel tempo, ma mi deve pagare!
GROSSI: E pagherà, pagherà la giusta cifra.
RAMISICCHI: U pasculu abusivo non è contemplato in nessuna causa finora esistente nei riguardi di uomini o donne chi fussino, picciò hai solo spiso sordi e pirso tempo e perdi la causa e la faccia.
ROBUSI: Esatto, chiederò al giudice il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste (tic nervoso) e la finiamo subito.
RAGUZZISI: E’ nutili chi lei parra complicatu, cà u fattu ci fu e sava pagari.
RAMISICCHI: Io non pagu nenti, non haiu nenti di pagari, ti pò spinsirari chi piddisti a causa e i causi, picchì resti senza sordi.
RAGUZZISI: Io cridu a giustizia di l’omini, ma si a giustizia di l’omini ti asolvi, ha passari poi a giustizia di Dio e lui sa che devi pagare.
RAMISICCHI: Picchì a giustizia è questa: io vinciu e tu peddi. Perdi e basta.
RAGUZZISI: Tu a briscula pò vinciri si ti passa a carta, sennò peddi puru a scupa.
ROBUSI: Ora smettiamola signori, potrebbe entrare il giudice. Dareste un brutto spettacolo con questi battibecchi.
RAGUZZISI: Lei pò battiri un beccu e a capra si voli, io voghiu essiri pagatu, risarcitu, rimborsato. Ho ragione e voglio pagati tutti i danni.
RAMISICCHI: Un paru di provuli! Paga! Tu a mia e i me spisi picchì perdi la causa.
RAGUZZISI: A to soru pagu!
GROSSI: Signori calma, calma.
RAGUZZISI: Va beni, io non parru chiù, fazzu parrari u me avvocatu, parrassi lei!
GROSSI: Quando sarà il momento parlerò, stia tranquillo.
ROBUSI: Anch’io parlerò e vincerò la causa, chistu è sicuro.
RAGUZZISI: Chistu è fissatu chi vinci! E non si cunvinci chi perdi.
GROSSI: E lei lo lasci parlare, vedremo, vedremo il da farsi.
ROBUSI: Che vedremo, questa è una denuncia ridicola, lasciatemelo dire, davvero ridicola… e lo dimostrerò con i fatti!
RAGUZZISI: Ormai u sapemu a memoria di quantu voti l’ha dittu; ma chi mi cunvinciu chi vincemu io avi du primu mumentu si a leggi c’è si vedrà, io ho ragioni da vendiri e vincerò e mi cunvincio chi…!
GROSSI: Di cosa si convince?
RAGUZZISI: Chi tutti i dui sono ridicoli, mi lasci dire ridicoli.
ROBUSI: Parli ora che può, dopo il verdetto pagherà in silenzio ca cuda nto menzu i l’anchi, come di lei (entra il giudice).
GIUDICE: Buongiorno signori! (prendono tutti posto; il giudice garda le carte) Gli avvocati vengano avanti.
ROBUSI: Vostro onore mi permettto di suggerire per la causa in questione una soluzione semplice.
GIUDICE: Sentiamo avvocato, le parti hanno concordato qualche accordo privato?
GROSSI: No vostro onore, non c’è nessun accordo, non so il collega cos’ha in mente. Credo qualche baggianata.
GIUDICE: Dica avvocato, cosa propone come soluzione?
ROBUSI: Vostro onore, non essendo mai stata presentata in nessuna corte precedente la questione di una causa per pascolo abusivo nei riguardi di nessun essere umano, propongo per la causa in questione il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste.
RAGUZZISI: Comu u fattu non sussisti? Il fattu ci fu, lei vostro onore l’onore è tutto mio, u visti nto sopralluogu chi u fattu ci fu?
RAMISICCHI: Ma quali fattu? Io cughi du fila di verdura i campagna e qualche trusso di sulla; quardi vostro onore, questa è la sulla.
GIUDICE: La conosco, ho visto tutto nel sopralluogo effettuato.
GROSSI: Vostro onore, come lei potè constatare, sì il Ramisicchi raccolse verdura selvatica ma danneggiò il raccolto.
RAMISICCHI: Non dicemu brughiunirii avvocato Grossi, dà non c’era nessun raccolto sulu erbaggio. Ora vossia arrivò raccolto, non dicemu falsità.
GROSSI: Scusi lei cosa intende per raccolto?
RAMISICCHI: U raccolto è u frumentu, i favi, i ciciri, avena, l’orzo; a sudda non è racolto è erba, raccolto è tutto ciò che è ortaggi, legumi, granturco, patate, finocchi, senza offesa avvocato!
RAGUZZISI: Picchì, secunnu tia io a sudda non la raccoglio pi li miei animali, pi li miei cunughi e la mia capretta? E tu bruttu rummicu ncaddatu e rugnusu…
GIUDICE: Signori, per favore!
RAMISICCHI: U ntisi vostro onore, a mia mi chiamò rummico ncadduto e rugnuso; a mia chi sugnu u specchiu di so occhi.
GIUDICE: Silenzio! Raguzzisi lei si controlli non è con gli insulti che si ottiene giustizia. Esprimiamo i fatti con calma.
RAGUZZISI: Mi piddunassi vostro onore, l’onore è tutto mio, ma io non mi controllo quando quella facci di vilenu… scusassi… quanno lui mi cumpari davanti a l’occhi io vidu russo. Mi sali u sangu agli occhi.
ROBUSI: Vostro onore chiudiamo questa causa ridicola, mi lasci dire…
GIUDICE: Ormai u sapemu, ridicola, davvero ridicola, come dice lei.
RAGUZZISI: Cu chissu si ncantò un disco, ripeti sempri na cosa comu u pappagallu.
ROBUSI: Lei non si permetta di fare dello spirito!
RAGUZZISI: Io non fici nenti.
GIUDICE: Signori avvocati, avete elementi nuovi da sottoporre a questa corte per il caso Raguzzisi-Ramisicchi?
GROSSI: Vostro onore come lei personalmente prese visione, tutto il terreno era calpestato ed il raccolto danneggiato.
RAMISICCHI: Lei si fissò cu su raccolto, chi visti tritrola di coghiri?
GROSSI: Va bene! Come lei dalla sua ignoranza si ostina a…
ROBUSI: Vostro onore protesto: qui mi offende il cliente, chiedo le scuse del collega al mio cliente.
GIUDICE: Avvocato Grossi, si limiti ad esporre i fatti senza giudizi personali offensivi nei confronti delle parti in causa.
RAMISICCHI: Quali parti, ca io fu offeso.
GROSSI: Chiedo scusa vostro onore, scusi anche lei signor Ramisicchi. Dunque, dicevo l’erbaggio era calpestato e tutto il terreno danneggiato: varie volte senza ritegno lui tornò nel terreno del mio cliente nonostante una denuncia ripetuta ed il procedimento in corso, il Ramisicchi continuò più volte a tornare nel terreno danneggiando l’erbaggio. Questi sono i fatti.
RAGUZZISI: Vero fu vostro onore, pure avanteri u truvà dà chi cughieva minestra ed alla mia osservazione gli chiesi sulu cu quali curaggio ti fa ancora vidiri cà! Mi dissi: “tonna dinuncimi, mi facisti un baffo prima e mi pò fari due baffi ora e tri baffi a prossima vota”.
RAMISICCHI: Ah, ci tengo a dire, dato chi iddo parrò, che fui minazzato con una petra da lui; mi dissi: “io ti spacco sa tistazza fitusa chi ha.
ROBUSI: Lo ha preso a colpi di pietra?
RAMISICCHI: No, poi a ittò e se ne andò picchì io avevo un pezzo di legno e lo aspettavo fermo senza indietreggiare con piedi fermi e coraggio; si scantò e andò via, non m i vosi affrontari, sa fifò.
RAGUZZISI: Finu a prova contraria, io non mi scantu di nuddu e tanto meno di tia; chi ti bastassi un ciusciuni e cascassi sulu. Non volevo dalla ragione andare in torto e sarei stato scemo a raccogliere la sfida.
RAMISICCHI: A mia mi basta un ciusciuni si tu non ga cadutu nterra pi non aviri largu.Io sono forte come un toro e guarda chi musculi (si mostra)
RAGUZZISI: Tu du toto pò viri na sula cosa supra a testa : i corna !
RAMISICCHI: A mia mi dici chi iaiu i corna propriu i ddu chi veni di na famighia di curnuti ca patenti, puru so soru Ginoveffa cu tutti l’omini du paisi chi c’erunu e poi sinni fuivu cu parrinu; appena u visti ci livò subitu a tonaca.
GIUDICE: Contegno signori. Contegno e calma.
GROSSI: La smetta per favore, si calmi.
ROBUSI: Anche lei la smetta.
RAGUZZISI: Me soru fino a prova cuntraria sinni fuivu cu parrino che era un omo scapolo e comu a tutti l’omini ci mancava na donna: a liggi è sbaghiata che ne fa spusari; ma to soru spasciò na famighia, fici lassari a Stefano Scaffelli, chiddu chi è fighiu di Minicu Scupa e niputi di donna Fibbronia, chi avi a putia e fa u furgiaro, u fici lassari cu so mughieri e poi lassò puru a iddo dopo che consumò na onorata famighia e fici parrari un paisi sanu.
RAMISICCHI: Un uomo di chiesa, la vergogna di un intero paisi, un sacrilegio, un’offesa alla religione e alla ragione.
RAGUZZISI: Vadditi i to corna e i to braghi, e i to budedda fradici.
RAMISICCHI: U fradiciu l’ha tu e puru a gobba comu i cammilli anzi comu u dromicario.
GIUDICE: Basta, silenzio! Vi faccio arrestare, qui non siamo in piazza, contegno.
RAGUZZISI: Cos’è il dormicario che ha detto?
GROSSI: Vostro onore mi scuso per il comportamento deplorevole del mio cliente: lo perdoni è la prima volta che viene in tribunale.
RAMISICCHI: Dromicario è chiddu cu na gobba, u cammillo navi dui (al Raguzzisi)
ROBUSI: Anche io mi associo al collega, ci scusi: signor Ramisicchi si dice dromedario e cammello, ora finitela.
RAGUZZISI: Mancu sapi parrari su scemu.
RAMISICCHI: Cammillo, e scemu si tu.
GIUDICE: Basta! Ora ascoltate in silenzio il verdetto che emetterò seduta stante, non voglio vedervi più davanti a me, il primo che apre bocca lo faccio arrestare.Visti gli atti, le prove, il sopralluogo da me effettuato nei terreni in contrada Pietra Murata del signor Raguzzisi, e visti i reali danni arrecatovi dal Ramisicchi (Ramisicchi fa per parlare, ma il suo avvocato gli tappa la bocca), condanno il Ramisicchi al risarcimento danni nella misura di lire 720.000 al raguzzisi e a tutte le spese processuali. Così ho detto (il giudice si alza ed esce)
GROSSI: Cosa le avevo detto?
RAGUZZISI: Grazie avvocato, complimenti (al Ramisicchi)(gesto eloquente al Ramisicchi) Tiè! (col braccio)
RAMISICCHI: (Robusi gli toglie la mano dalla bocca) U sa cu ci la fari sa mossa? Mandiccilla a to soru e o parrino. Ia ragiuni chi non c’è liggi (Grossi e Raguzzisi si avviano verso l’uscita). Si c’era a liggi tu pagavi si a ligi c’era un ava pagari tutti sti sordi per l’erba (escono di scena Raguzzisi con l’avvocato Grossi)
ROBUSI: Pazienza, è andata male. Il giudice ha deciso così! (sempre il tic)
RAMISICCHI: (facendo il verso del tic) A lei ci ivu mali? Picchì io non pagu! Non avia essiri na causa ridicola, veramenti ridicula?
ROBUSI: Comu non mi paga, lei deve pagare tutto purtroppo.
RAMISICCHI: Pagherò tutti tranne lei! (gli fa il verso del tic)
ROBUSI: Ma è inaudito e veramente ridicolo, una causa lasciatemi dire ridicola.
RAMISICCHI: Lei dice che è ridicola, dica come vuole, lei mi convinse che era una causa ridicola, che non c’era problema. Ora il problema c’è per lei perché io non la pago: mi facissi causa, tantu i perdi i causi.
ROBUSI: Non sia ri..ridi..co..lo lei… lei… mi… mi deve paga… pagare.
RAMISICCHI: Lei si atta.. attacchi al tram: non pago, non pago! (esce)
ROBUSI: (lo insegue) Ma dove, dove va… venga… venga qui (uscendo)
RAMISICCHI: (uscendo) Non pago!

FINE