Una commedia inedita

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Una commedia inedita

Scherzo drammatico in un atto

di Italo Svevo

Revisione e adattamento di Franco Di Leo

(N. iscrizione SIAE 171497)

Personaggi

Enrico

Elena, sua moglie

Adolfo

Rosa

L’azione si svolge in soggiorno con divano, poltrone, tavolino eccetera. A sinistra le altre stanze della casa, a destra l’entrata dall’esterno. Musica di sottofondo che sfuma. Entra in scena Rosa con una valigia in mano e si ferma. Posa la valigia e inizia a parlare.

Rosa: Eh già, sempre de mezzo nu, solo perché semo poareti e contadini. Intanto loro, i siori, i paroni, i fa quelo che vole. Prima i litiga, po i fa la pase, po i decide de trasferirse, tanto … E a Rosa chi ghe pensa, eh? Lo saveva mi. Rosa Schiavon. Schiavon, de nome e de fatto. E intanto gh’ho da far fagotto e tornar al paese. Che po a mi, a dir el vero, non me dispiaseva de star con eli. Anco se lu, el paron, stava tuto el dì a criticarme e a minacciarme de rimandarme indrio. Me tocava caminar sui ovi. Ah, el gh’aveva el suo bel caratterino, proprio. Faseva sempre quelo che voleva lu, spendeva tuto quelo che gh’aveva e anco de più. E done … uh, non ne parlemo. El voleva provarghe anco con mi, ma mi … per carità! E ela? Me faseva ‘na rabia! La gh’ha già un marìo, perché la gh’ha de far la smorfiosa anca col sior Adolfo, el poeta da strapazzo? Me piaseva però quel ebete de poeta. Anco se, a pensarghe ben, el xera proprio un paltan, uno scimunito … come se fa, digo mi, a meterse in una storia cussì … ma lu, niente … Gh’ho capìo, restarò cioca, zitela. E pensar che tuto xe comenzà quando el paron el gh’ha dito ala parona che i se doveva trasferir … (musica di sottofondo; Rosa riprende la valigia ed esce; la musica continua sull’entrata di Elena ed Enrico)

Elena (entra in scena agitatissima): No! No! No! (si siede)

Enrico (la segue, con un sigaro in mano, calmo): Ma perché?

Elena: Come, perché? Perché Trieste non mi piace!

Enrico: Non ti piace? Io credevo invece che fosse il tuo ideale. Durante il viaggio di nozze avresti voluto rimanere lì tutto il tempo. Mi facevi correre tutto il giorno avanti e indietro sul lungomare. Ti entusiasmavi e io sopportavo quella tortura per amore tuo.

Elena: Senti, Enrico, rimanere a Trieste una decina di giorni, sì. Di più no. Figuriamoci andarci a vivere! Mai più. Piuttosto morire. Io non potrei vivere in un posto dove c’è troppo vento e non si può nemmeno tenere aperto l’ombrello se piove.

Enrico: Ma dai!

Elena: Insomma, io a Trieste non vengo.

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Enrico: Di questo dobbiamo parlare.

Elena: Se proprio vuoi, vacci tu! Io rimango qui.

Enrico (dopo una piccola pausa, scherzando). Ehi! Elena, vuoi scherzare? Lo sai che è dovere della moglie seguire il marito. Non lo dico io, è la legge. (ride) Senti, ti piace vivere bene, mangiare cose buone, dormire in un letto soffice? (pausa; Elena lo guarda senza parlare) Va bene, non vuoi rispondere, ma io so che ti piace. Ecco perché devi venire a Trieste. Noi non siamo poveri, è vero, ma nemmeno tanto ricchi. In tre anni che siamo sposati, ho guadagnato appena da pagare i sigari che fumo.

Elena: Bravo!

Enrico: Non è colpa mia. Lo sai benissimo che qui ci sono più agenti di commercio che affari.

Elena: A Trieste sarà la stessa cosa.

Enrico: Non lo so, ma se accetto la rappresentanza che mi hanno offerto ho qualche possibilità in più. E poi a Trieste potrò dedicarmi un po’ di più a te. Mi sembra davvero di averti trascurato.

Elena: Io non mi sono mai lamentata.

Enrico: E come potevi farlo, scusa? Sapevi che io ero occupato con qualche cosa di più serio.

Elena: Se io sono così poco per te importante da essere considerata un pensiero poco serio, non avrai difficoltà a lasciarmi qui, no?

Enrico (abbracciandola): Ma tu sei la cosa più seria di questo mondo per me.

Elena (respingendolo fredda): Ti ho già detto che a Trieste non vengo, è inutile ... almeno per il momento.

Enrico: Per il momento! Meno male! Non dobbiamo partire subito, stai tranquilla Avrai tutto il tempo di salutare le tue amiche, mettere ordine con tutta calma nelle tue faccende. In fondo io avevo già deciso di non partire che alla fine ... alla fine ...

Elena: Alla fine?

Enrico (calmo): Alla fine della prossima settimana.

Elena: Alla fine della prossima settimana? Ah! Ma tu sei matto! Davvero, io non vengo. Mi trasferisco da mia mamma e ti lascio partire da solo! Io non vengo!

Enrico: Vedremo.

Rosa (entrando, a braccia conserte): Siòri, cossa fo da magnar, sì insomma, come me devo regolar per il pranzo?

Enrico: Pranziamo fuori. Cioè, io pranzo fuori.

Elena (trattenendo a stento le lacrime): Io non pranzo.

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Enrico: Portami una tazza di caffè.

Rosa (brontolando, a parte): Sì però, mi gh’ho preparà, gh’ho spadellà tuto il santo giorno e  lu: “io

pranzo fuori”, le: “io non pranzo”. Ma per chi m’ha ciapà! Uffa! Uffa! Uffaaaa! (esce seccata con un gesto di stizza)

Enrico (a Elena): Adesso mi fai la cortesia di non piangere. Forza, mostrami un bel viso allegro, come l’avevi il primo anno. Non so perché non ce l’hai più. E’ forse cambiata la moda?

Elena (alza le spalle): Ma per favore!

Enrico: Guarda che lo chiedo per sapere, non per irritarti.

Elena (piangendo): Insomma, la vuoi piantare con questi scherzi?

Enrico: Scherzi? Non sono scherzi! E poi non hai motivo di irritarti! C’è tempo ancora prima di partire! Nel frattempo potrebbero cancellare il mio contratto, oppure potrebbe fallire l’azienda per cui dovrò lavorare o potrei morire io, o tu ...

Elena: Piantala! E’ meglio che me ne vada in camera mia. (esce)

Enrico: Ma Elena!

Rosa (entra con il caffè): Siòr, siòr, siòr, èco gh’ho portà él cafe!

Enrico: Brava. Hai portato anche lo zucchero?

Rosa: Ma certo che l’gh’ho portà, Ècolo, cossa cree, che porto èl cafe e no el suchero? Ma per chi m’ha ciapà, insoma! Col cafe ghe vor el suchero, l’ho sempre portà con el suchero! Ma cossa cree, che son stordìa?

Enrico: Va bene, va bene, va bene. (mette lo zucchero nel caffè, gira il cucchiaino, beve e parla con Rosa) Senti un po’, di che umore è la signora quando io non sono in casa?

Rosa: Di che umore l’è, di che umore l’è. Cossa vuol dire, di che umore l’è? Insoma cossa intende? Mi cosa posso saverne, mica sto a guardar l’umore, mi!

Enrico: Voglio dire, ride, piange, si arrabbia?

Rosa: Beh sì, la se rabia, la se rabia, la se rabia … spesso! Con mi!.

Enrico: Questa è una risposta. Me ne occorrono tre. Ride?

Rosa: Cossa vuol che ghe disa? A volte ride, a volte non ride, a volte ride, a volte non ride ….

Enrico: E piange?

Rosa: Veramente … a volte piange, a volte non piange, a volte piange, a volte non piange ...

Enrico: Allora?

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Rosa (si avvicina e guardandosi intorno, parla molto vicino a Enrico): Eco senta, non diga alla siòra che mi gh’ho ditto ... gh’ho ditto … gh’ho ditto …

Enrico: Non le dirò niente. Allora?

Rosa (si guarda intorno): Adesso, in corridoio … me so accorta che la siòra … che la siòra …

Enrico: La signora?

Rosa (si guarda intorno): Sì insomma, me so accorta che la siòra … la siòra … (urla in faccia a Enrico)…piangeva!

Enrico: Brava!

Rosa: Come dice?

Enrico: Niente, niente. Vai adesso. (Rosa si avvia) Aspetta. Di’ alla signora che venga un momento a salutarmi. Devo uscire. (Rosa si avvia) Ah, aspetta ancora un istante. (prende dal tavolo una grande busta da cui estrae un libro) Sai per caso chi ha mandato questo libro a mia moglie?

Rosa: Sì.

Enrico (impaziente): Sì, chi?

Rosa: Il signor Adolfo.

Enrico (ride con aria seccata): Ah! Il signor Adolfo, il commediografo. (legge il frontispizio del libro) Giuseppe Giacosa, “Come le foglie”. Bei libracci manda in casa mia!

Rosa: Non lo so, davvero. Il signor Adolfo l’ha prestato alla signora.

Enrico (irritato): Non lo sai, ma sai che l’ha prestato alla signora.

Rosa: La siòra la me gh’aveva ditto che avrebbe ricevuto …

Enrico: Va bene, va bene, non importa. (guarda le rose nel vaso sul tavolo) E queste rose? Le hai prese tu in giardino e le hai messe nel vaso?

Rosa: No, no siòr. Non le ho prese in giardino. Le ha mandate … alla siòra …

Enrico: Chi?

Rosa: Il signor Adolfo.

Enrico: Vai.

Rosa: Sì siòr. (esce)

Enrico (da sé, sfogliando il libro e guardando le rose): E bravo il nostro signor Adolfo! Bravo.

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Elena (entrando): Volevi dirmi ancora qualche gentilezza.

Enrico (con voce dolce): Stavo ammirando quelle rose. Che peccato togliere tutti quei fiori dal giardino!

Elena: Non li ho presi in giardino. Me li ha mandati il signor Adolfo.

Enrico: Ah! il signor Adolfo! (dopo una piccola pausa, ridendo) A proposito, non ti aveva mandato anche una sua commedia da leggere? Com’è?

Elena: Ho letto i primi due atti e penso che non leggerò gli altri due. Non mi piace.

Enrico (contento): Un bel pasticcio, direi. Anche se non ti piace la commedia, ti toccherà sorbirtela tutta e poi parlarne bene.

Elena: No. Il signor Adolfo è una persona di spirito e quindi gli potrò dire la mia opinione, senza problemi.

Enrico: Ma come? Lui è una persona di spirito e la sua commedia è noiosa? Non è una contraddizione?

Elena: Se è per questo, anche i più grandi drammaturghi hanno scritto cose noiose.

Enrico (con aria indifferente): Hai ragione. Bene, io esco! Stai tranquilla, prima di cena non torno.

Elena: Come, tranquilla?

Enrico: Voglio dire, se anche non ritorno prima di cena non devi preoccuparti. A dopo. (la bacia in fronte ed esce)

Elena: A dopo. (resta pensosa per qualche istante) Rosa!

Rosa (entrando): La me comanda, siòra!

Elena: E’ già andato mio marito?

Rosa: Ma come? Non la gh’ha sentìo che l’ha apena serado el porton?

Elena: Senti, se dovesse venire qualcuno …

Rosa: Aspetta visite?

Elena: Potrebbe venire … il signor Adolfo.

Rosa (dura): Ah. Capisso. (sognante) Ah!

Elena: Ecco, se dovesse venire, fallo accomodare qui.

Rosa (da sola): E dove, se no? Ghe xe solo questa stansa per ricever la zente. (a Elena) Va bene, siòra.

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Elena: Bene. Io vado un momento in camera mia e torno subito. (esce)

Rosa (guardando fuori scena): El marìo va e el siòr Adolfo arriva. El siòr Adolfo va e el marìo arriva. Ma che bello. (entra Enrico senza che Rosa lo veda)

Enrico: Rosa.

Rosa (spaventata): Siòr! Màriavergine che stremissio! Oddiodiodio!

Enrico: Stai zitta, sciocca! (le mette una moneta in mano) Prendi.

Rosa: Ma che cossa …? Non capisso. Mi non …

Enrico: Zitta, ti dico. Voglio fare uno scherzo a mia moglie. Aspetta qualcuno, vero?

Rosa: No savarìa … Mi non …

Enrico: Allora? Vuoi che mi arrabbi? Aspetta qualcuno?

Rosa (esita prima di rispondere): Sì.

Enrico: Chi?

Rosa:  El … el siòr Adolfo.

Enrico: Benissimo. E scommetto che ti ha detto di farlo accomodare qui.

Rosa (a parte): Anca elo! Ma se ghe xe solo questa stansa … (a Enrico) Sì.

Enrico: Perfetto. Ascolta, io adesso mi nasconderò dietro quelle tende. Tu fai finta che io non ci sia, non guardare verso le tende e soprattutto non dire niente alla signora. Chiaro?

Rosa (esitante): Sì, ma non capisso …

Enrico (le dà un’altra moneta): Non c’è niente da capire. Fai come ti dico e basta. Altrimenti ti rimando in campagna dai tuoi. Mi sono spiegato? (il campanello suona)

Rosa (guardando le monete, confusa): Sì, sì. No, no, che el staga tranquillo, non dirò gnente. Grassie, grassie! (Enrico va a nascondersi dietro le tende; suona ancora il campanello)

Enrico (rientra in scena e guarda Rosa che è immersa nella contemplazione delle monete) Allora, imbecille! Non senti il campanello? (suona ancora il campanello)

Rosa (si accorge finalmente che sta suonando il campanello): Eh? Ah, sì, ch’el me scusa. Vado, vado! (esce rapidamente, mentre Enrico torna a nascondersi)

Elena (entrando; indossa un vestito diverso, più elegante): Rosa! Rosa! Hanno suonato! Ma non hai sentito?

Rosa (fuori scena): Sì, siòra. Son ‘ndada a dervir.

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Elena: Ecco, brava, con calma, mi raccomando. (entra Rosa seguita da Adolfo)

Rosa (a Adolfo): Se regorda de mi? (Adolfo non la vede nemmeno, tutto sognante verso Elena) Schiavon Rosa. Nubile. (Adolfo non risponde) La vor qualcossa? Caffè? Tè? Me?

Elena: Rosa! (Rosa non si muove) Allora? Vai Rosa, vai. (Rosa esce continuando a fissare Adolfo; ad Adolfo) Mi scusi.

Adolfo: No, la prego. Scusi me, anzi, che ho suonato più volte. Sono un po’ impaziente, forse! (stringe la mano di Elena e si china per baciarla, ma Elena ritira la mano) Lei ha delle mani splendide, signora.

Elena: Mi fa piacere vederla, sono sola oggi. Una curiosità: come mai è passato a trovarmi?

Adolfo (rimane un istante sorpreso): Oh, beh … passavo di qua. Ho visto che le finestre erano aperte e mi sono permesso di suonare. Ho fatto bene? Non vorrei ...

Elena: Ha fatto benissimo! La prego, si sieda. (si siedono; pausa) Bene.

Adolfo: Vedo che la conversazione tra di noi rischia di essere fin troppo formale, signora.

Elena: Crede?

Adolfo: Via, signora Elena, non mi allontani così. Io credevo che lei mi considerasse un confidente intimo.

Elena: Andiamo, signor Adolfo. Lei arriva, si scusa di aver suonato più volte il campanello, ammira le mie mani e finge di dimenticare di essere qui solo perché io avevo lasciato aperta la finestra della mia camera, per invitarla esplicitamente a passare.

Adolfo (le prende la mano e gliela bacia più volte): Ha ragione, ha ragione. Mi scusi.

Elena (ritira la mano): Basta così, andiamo! (dopo una piccola pausa) Parto la prossima settimana.

Adolfo: Va in vacanza?

Elena: No, parto per sempre!

Adolfo: Lei scherza?

Elena: Non scherzerei su una cosa tanto seria. Mio marito si trasferisce per lavoro a Trieste e io devo seguirlo.

Adolfo: Ma questa è una disgrazia per me!

Elena: Non parlerà seriamente, spero?

Adolfo: Signora! Ne può dubitare? (le bacia nuovamente la mano, che Elena ritira subito) Una disgrazia enorme! Io non posso seguirla! Come faccio?

Elena: Senta, avevamo deciso di parlarci francamente, vero?

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Adolfo: Certo.

Elena: Benissimo. Le dirò quindi che per me è forse una fortuna se parto.

Adolfo (ridendo e tentando di attirarla a sé): Per causa mia signora? Oh! dica di sì, la prego.

Elena (ritirandosi): Via, si calmi. Lei pensa che il fatto che le abbia confessato di partire volentieri sia una specie di confessione da civetta.

Adolfo: Ma no, signora, mi creda! Io …

Elena: Andiamo! Lei mi fa torto! Abbiamo detto di parlare francamente e io parlo francamente e sinceramente. Lei è più giovane di me e posso immaginare che cosa pensi quando si avvicina a me.

Adolfo: No, signora, davvero. Io non … (Elena fa cenno di non parlare)

Elena: Lasci stare. Mi creda! A che cosa servo, io, in questa vita? A chi? Io mi sento così inutile.

Adolfo (sorridendo): Inutile? Lei?

Elena: E a chi sono utile? A me? Io mi annoio, tanto, sempre. Non ho figli. Mio marito, per me, è come se non esistesse. (si sente un urlo soffocato da parte di Enrico dietro le tende)

Adolfo: E allora sia utile a me, se ha bisogno di essere utile a qualcuno. (le bacia la mano)

Elena (ironica): Bravo! Io so con quali intenzioni lei si è avvicinato a me; non mi faccio illusioni.

Adolfo (con impeto): Io queste intenzioni non gliele ho mai nascoste. Ma lei le ignora. Certo! Lei prova per me amicizia, ma nemmeno l’ombra del sentimento che io provo per lei.

Elena: E’ vero.

Adolfo (afferrandola per le spalle): Ma il cuore? Non le dice niente il cuore? (Elena guarda a terra, Adolfo cerca di abbracciarla, Elena si fa abbracciare, inerte) Elena!

Elena (con aria triste): Adolfo!

Adolfo: Hai letto la mia commedia?

Elena: Solo i due primi atti! Lasciami, ti prego! (si svincola)

Adolfo: Ti sono piaciuti?

Elena: No.

Adolfo: No? Perché?

Elena: Ma come puoi pensare che il pubblico rimanga seduto due ore a vedere i personaggi che vanno su e giù per la scena solo per dire delle sciocchezze? Devi fare dei cambiamenti! Quel testo manca d’intreccio, credimi. Non vale niente.

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Adolfo (sforzandosi di ridere): Oh, beh … certo … solo che per giudicare una commedia bisogna intendersene.

Elena (lo guarda un momento, sorpresa e offesa): Capisco. Vuol dire allora che non me ne intendo.

Pazienza.

Adolfo (seccato): Mi scusi, ma tutto a un tratto lei ha cambiato parere. Ieri mi ha detto una cosa diversa. Le avevo spiegato che cosa intendevo dire con quella commedia. Fatica sprecata.

Elena (adirandosi): Oh, basta, insomma! Non mi piace e non andò avanti a leggere. Non immaginavo di provare così tanta noia.

Adolfo (seccato): E va bene. Non occorre che dica altro! Ho capito! Il suo giudizio ora lo conosco! Vedrò di sentire anche qualche altro parere.

Elena: Benissimo. Potrà essere diverso dal mio, non ne dubito.

Adolfo (seccato): Certo. Evidente. Ho avuto il torto di chiedere questo giudizio ad una donna. Già. Le donne di oggi … sappiamo benissimo …

Elena (lo guarda seccata, vorrebbe rispondere, ma si trattiene; va verso l’angolo dove è nascosto

Enrico; si sorprende nel vederlo, si ricompone a fatica; prende un copione) Ecco il suo testo.

Adesso è tardi; mi scusi, ma devo congedarla.

Adolfo (prende il copione con un gesto deciso e guarda seccato Elena) Signora! (fa un cenno di saluto con la testa)

Elena: Signore! (Adolfo le gira le spalle ed esce; Elena chiama Rosa) Rosa! (Rosa entra; Elena le fa segno di scostare la tenda; Rosa finge di non capire; Elena insiste; Rosa apre la tenda; Enrico appare, con aria offesa; Rosa si allontana)

Rosa (a parte): Qua xe megio che me ne torni in cusina. Come se dise … tra mugèr e marìo … (esce, mentre Elena ed Enrico si guardano senza parlare)

Elena (a Enrico): Allora?

Enrico (seccato): Ero geloso, non senza fondamento mi pare! Ho visto che eravate arrivati abbastanza avanti.

Elena: Io non mi scuso! Hai sentito quello che ho detto di te? Quella è la mia scusa! E ora fai quello che vuoi!

Enrico (duro): Lo so bene quello che farò! Prima di tutto verrai con me a Trieste... e poi...

Elena (dura): E poi?

Enrico (cade in ginocchio; completamente distrutto): … e poi farò tutto quello che mi dirai tu, amore!

FINE

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