Una delle ultime sere di carnovale

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UNA DELLE ULTIME SERE DI CARNOVALE

UNA DELLE ULTIME SERE DI CARNOVALE

di Carlo Goldoni

Commedia veneziana di tre atti in prosa rappresentata in Venezia per la prima volta nel Carnevale dell’anno 1762

L’AUTORE A CHI LEGGE

In fondo di questa Commedia è un’allegoria, che ha bisogno di spiegazione. Essendo io in quell’anno chiamato in Francia, e avendo risolto di andarvi, per lo spazio almeno di due anni, immaginai di prender congedo dal Pubblico di Venezia col mezzo di una commedia; e come non mi pareva ben fatto di parlare sfacciatamente ed alla scoperta di me, e delle cose mie, ho fatto de’ Commedianti una società di Tessitori, o sia di fabbricanti di stoffe, e mi sono coperto col titolo di Disegnatore.

L’allegoria non è male adattata. I Comici eseguiscono le opere degli Autori, ed i Tessitori lavorano sul modello de’ loro Disegnatori.

La similitudine sarebbe più vera, se si trattasse di Commedie a soggetto, nelle quali i Comici ci mettono più del loro, ma può passare anche per le Commedie scritte; e l’allegoria fu ben compresa, e gustata. Vero è, che la Commedia non potea passare che in quella tale occasione, e credo, dopo quel tempo, non sia stata rappresentata; ma vi sono delle cose in essa, che anche senza l’allegoria possono recare qualche diletto, e credo non dispiacerà ai Leggitori d’averla. I caratteri sono veri, semplici e piacevoli, indipendentemente dal fondo della Commedia: un Marito e una Moglie che si amano, e taroccano sempre insieme. Una Donna, che sa essere ammalata, quando s’annoia; e diventa sanissima quando trova da divertirsi. Un giovane brillante, faceto, che diverte gli altri, divertendo se stesso: un buon uomo, capo di famiglia, che sa unire alla più esatta condotta l’allegria e l’onesto divertimento.

La caricatura di una vecchia, che vuol fare la spiritosa: due Amanti, infine, che alla vista di una società numerosa trovano i momenti per intendersi insieme, e procurarsi onestamente il fine dei loro amori. Tutto ciò, aggiunto alla pittura del sistema e del costume di quel ceto di persone, che ho introdotte in quest’opera, basta, mi pare, per dar materia ad una Commedia, anche senza il merito dell’allegoria.

Vi ho introdotto, per adornarla, il giuoco detto della Meneghella, giuoco di carte particolar di Venezia, che non giuocasi in altre parti, e serve di trattenimento alle Società che si trovano numerose e si compiacciono di giuocar tutti insieme, potendo giuocare fino in sedici, alla stessa tavola, e nella medesima compagnia. Come la scena, in cui giuocano i miei personaggi, è lunga, ed i termini di cui si servono non possono essere compresi da quelli che non conoscono un simil giuoco, m’ingegnerò di darne un’idea; e non credo fatica inutile, facendo conoscere il giuoco favorito delle belle giovani Veneziane.

Principiando dall’etimologia del nome, dirò che Menega in Veneziano vuol dire Domenica e Meneghella è il diminutivo, come chi dicesse Domenichella, o Domenichina. La carta che chiamasi la Meneghella, è il due di spade. Quei che conoscono le carte italiane, sapranno che i quattro semi che le compongono formano: Spade, Coppe, Bastoni e Danari. Le figure di questi semi variano secondo i paesi. Le Spade, per esempio, in varie parti sono  impresse diritte, ed in Venezia ritorte, a guisa di sciabole. Il due di Spade è composto di due di queste sciabole, che incrocicchiando le guardie e le punte, formano un ovale nel mezzo, nel cui vacuo è scritto il nome del fabbricatore, ed ordinariamente vi si legge: Messer Domenico Cartoler, all’insegna della Perletta.

Io credo che il nome di Domenico abbia dato il nome di Domenichina, o Domenichella, e in Veneziano di Meneghella: almeno questa etimologia è molto più onesta di quella che alcuni libertini ritrar pretendono dalla figura. Questa dunque è la carta trionfante, la carta superiore di questo gioco; e dopo di essa gli Assi, i Cavalli, i Fanti, i Dieci, i Nove ecc. impiegandosi tutte le cinquantadue carte che formano il mazzo. I Giuocatori si distribuiscono a due per due, i quali devono esser vicini, veggendosi le carte fra di loro,. E facendo banco comune di quel denaro che mettono sopra la tavola, metà per uno, e dividendo alla fine il resto, se perdono, o la vincita oltre il capital, se guadagnano, e rimettendone fuori di nuovo, se il primo capitale è perduto, prima che il giuoco finisca. Le coppie de' Giuocatori  sono per lo più composte di un uomo e di una donna, e la Padrona di casa ha la prudente attenzione di unire le persone che stanno volentieri insieme, cosa che rende oltremodo piacevole questo giuoco all'onesta ma tenera gioventù. Nel mezzo della tavola si mette un tondino, dove ciascheduno  dee porre quella moneta ch'è destinata per il fondo del giuoco; per esempio, un soldo. Se i Giuocatori sono dodici, come nella mia Commedia, ecco dodici soldi nel tondo. Come, e da chi si guadagnano, lo vedremo in appresso.

Per vedere chi è quegli, o quella, che dee dar le carte la prima volta, qualcheduno prende il mazzo, mescola, fa alzare, dà una carta scoperta a ciascheduno, e quegli a cui tocca la Meneghella, è il primo a dar le carte. Questi dunque mescola, fa alzare il suo vicino, e se questi alza, per ventura, e fa vedere la Meneghella, tira i dodici soldi del tondo; passano la mano, e tutti rimettono nel tondino un soldo per ciascheduno. Se non alzasi la Meneghella, quegli che fa le carte, ne dà tre a ciascheduno e ne prende sei per se stesso, delle quali sceglie le tre migliori; e questo chiamasi far "lissia", cioè fare il "bucato". Volta poi la quarantesima carta, s'ella è la Meneghella, tira il tondo, come quegli che l'alza, e passa avanti il mazzo. Colui che ha la mano, giuoca la carta che più gli torna conto, e come vede le carte del suo Compagno, o giuoca un Asso, s'egli ne ha, o giuoca nell'Asso del suo compagno.

Gli Assi, come abbiamo detto, sono le prime carte dopo la Meneghella. La Meneghella può prender l'Asso, e si chiama "tagliare"; e questo succede, se quegli, per esempio, che ha la Meneghella ha tre carte sicure, e teme di doverne perdere due, rispondendo a quei Semi ch'egli non ha, ma rade volte si fa, mentre per lo più l'ultima carta è la più interessante.

Chi prende dunque la prima mano, tira quattro soldi dal tondo, e giuoca poi la carta che vuole, la più utile al suo giuoco, o a quello del suo Compagno; e chi prende la seconda mano, tira ancor quattro soldi. I quattro che restano, dopo le due mani suddette, si dice che restano per l'invito; ed ecco come si fa l'invito. La persona che ha guadagnato la seconda mano, se resta con una terza carta, giudicata buona, o perché sia un Asso, o un Re, o perché sia di un Seme, del quale se ne vedono molte sulla tavola, invita, e si dice “un soldo, o due soldi, o tre ecc. chi vuol veder la mia carta”, e mette la somma nel tondino. Quelli che hanno carte buone, e sperano che siano dello stesso Seme, e superiori in valore alla carta coperta dell'invito, tengono l'invito, e  mettono la somma invitata.

Quegli che ha la Meneghella, tiene sicuramente, ed è certo di vincere; per questa ragione rade volte si tagliano gli Assi colla Meneghella, sperando di far miglior giuoco alla fine. Il giuoco è più bello, quando la Meneghella è stata forzata; cioè quando qualcheduno, per necessità o per elezione, giuocando Spade, trova la Meneghella in mando di qualcheduno senz'altre Spade, e la fa cadere: allora chi l'ha, e la giuoca forzata, si fa dare un soldo da ciascheduno, e tira i quattro soldi dal tondo; ma questo premio qualche volta non vale quello che si può guadagnare nell'invito. Quando l'invito è fatto, e tenuto, quegli che ha invitato, scopre, e fa veder la sua carta.- Allora quei che han tenuto l'invito, se si trovano aver la carta in mano di quel Seme, e che sia superiore, dicono: “io ci fo su quella carta”, per esempio, “dieci, quindici, o venti soldi”. Qualche volta saranno in due o in tre a far lo stesso, perché la carta scoperta sarà, mettiamo, il Fante o il Cavallo di bastoni, ed uno avrà il Re, e l'altro avrà l'Asso; e quegli che ha la Meneghella, tiene sempre, perché è sicuro di vincere; se gli altri si piccano, tanto meglio per lui, anzi non solo tiene tutto quello che invitano, ma aumenta quando può davantaggio, e l'ultimo a scoprire è sempre l'ultimo ad aumentare. Sovente accade, che un Giuocatore non avrà carta buona, o non l'avrà del Seme della carta scoperta, e non ostante rinforza, ed aumenta l'invito. Questa si chiama "Cazzada", una bravata per far ritirare gli altri, e guadagnare il resto del tondo, e la somma del primo o del secondo invito; e chi ha la Meneghella ride, e profitta delle Cazzade.

Ecco a poco presso tutto il famoso giuoco della Meneghella. Dirà qualcheduno, ch'esso non meritava una sì esatta descrizione. Spero che questo tale me la perdonerà, poiché non gli costa gran cosa. Altri aspettano forse, ch'io faccia parola sull'articolo della promessa del Disegnatore, con cui si era impegnato a mandar di Moscovia de' suoi Disegni ai fabbricatori di stoffe in Venezia. Levate il velo dell'allegoria, e preso me in impegno di mandar Commedie in Italia durante il mio soggiorno in Francia, pretendono forse ch'io qui renda conto di quel che ho fatto, o ch'io mi abbia a giustificare di quello ch'io non ho fatto. Ma questo non è il luogo, né il tempo. Mi riserbo di farlo in altra occasione, allora quando col racconto della mia vita, arriverò a parlare della mia andata e del mio soggiorno in Francia.

Personaggi

PERSONAGGI

Sior Zamaria testor, cioè fabbricatore di stoffe

Siora Domenica, figlia di Zamaria

Sior Anzoletto, disegnatore di stoffe

Sior Bastian, mercante di seta

Siora Marta, moglie di Bastian

Sior Lazaro, fabbricatore di stoffe

Sior'Alba, moglie di Lazaro

Sior Agustin, fabbricatore di stoffe

Siora Elenetta, moglie di Agustin

Siora Polonia, che fila oro

Sior Momolo, manganaro

Madama Gatteau, vecchia francese ricamatrice

Cosmo, garzone lavorante di Zamaria

Baldissera, garzone lavorante di Zamaria

Martin, garzone lavorante di Zamaria

La scena si rappresenta in venezia in casa di Zamaria

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Camera e lumi sul tavolino

ZAMARIA, BALDISSERA, COSMO e MARTIN

ZAMARIA  Putti, vegnì qua. Stassera ve dago festa. Semo in ti ultimi zorni de carneval. Dago da cena ai mi amici; dopo cena se balerà quatro menueti; vualtri darè una man, se bisogna, e po magnerè, goderè, ve devertirè.

BALDISSERA  Sior sì, sior patron; grazie al so bon amor.

MARTIN  Semo qua a servirla, e goderemo anca nu le so grazie.

COSMO  Oe, stassera no sentiremo la realtina al teler.(agli altri giovani)

ZAMARIA  Ah! baron, veh! lo so, che ti gh'ha manco voggia dei altri de laorar. Peccà, peccà, che no ti applichi, che no ti voggi tender al sodo. Se ti vol, ti xè un bon laorante; e se ti volessi, ti deventeressi el più bravo testor de sto paese. Ma, sia dito a to onor e gloria, no ti gh'ha volontà de far ben.

COSMO  No so cossa dir. Pol esser anca, che la diga la verità.

ZAMARIA  Oh! via, per stassera no disemo altro. Devertìmose, e che tutti goda. Doman po, sior Cosmo carissimo, dè drio a quel drapeto. Vu, sior Baldissera, domattina a bon'ora andè dal manganer, a véder se i ha dà l'onda a quel amuer, e vu, sior Martin, scomenzerè a ordir quel camelotto color de gazìa

MARTIN  Benissimo; e adesso cossa vorla, che femo?

ZAMARIA  Adesso, andè de là; vardè, se a mia fia ghe bisogna gnente; fè qualcossa, se ghe n'avè voggia; e se no savè cossa far, tolè el trottolo, e devertive.

MARTIN  Oh, che caro sior patron! Almanco el xè sempre aliegro.(parte)

BALDISSERA  La diga. Balerémio anca nu un per de balloni?

ZAMARIA  Sior sì. No se sàlo? Ha da balar tutti; balerò anca mi.

BALDISSERA  Grazie; e viva; oh che gusto! (El xè un vecchietto, che propriamente el fa voggia).

COSMO  La diga, sior patron: me dàla licenza, che alla festa fazza vegnir una putta?

ZAMARIA  Una putta?

COSMO  La vegnirà co so madre.

ZAMARIA  Chi èla?

COSMO  Tognina, fia de siora Gnese, che incana sea.

ZAMARIA  Coss'è? Com'èla? Gh'è pericolo, che sta putta perda el giudizio?

COSMO  Per cossa?

ZAMARIA  Gh'è pericolo, che la te creda?

COSMO  Cossa songio?

ZAMARIA  Un furbazzo, un galiotto, che ghe n'ha burlà cinque.

COSMO  E una sie. Patron, grazie. La farò vegnir. A bon reverirla. (parte)

SCENA SECONDA

ZAMARIA, poi DOMENICA

ZAMARIA  Peccà de costù! el gh'ha un'abilitadazza terribile; ma nol ghe tende. I fa cussì costori. I laora co i gh'ha bisogno; e co i gh'ha un ducato, a revéderse fina che l'è fenìo. M'ha piasso anca a mi a divertirme, e me piase ancora; ma per diana de dia! ai mii interessi ghe tendo; e son quel, che son a forza de tenderghe, e de laorar. Sior sì, sfadigarse co se ghe xè, e gòder i amici ai so tempi, alle so stagion.

DOMENICA  Oh! son qua, sior padre. Òggio fatto presto a vestirme?

ZAMARIA  Brava! chi t'ha conzà

DOMENICA  Mi; da mia posta.

ZAMARIA  Mo va là, che ti par conzada dal Veronese.

DOMENICA  E sì, tra conzarme e vestirme, a un'ora e un quarto no ghe son arivada.

ZAMARIA  Brava! Ti xè una putta de garbo.

DOMENICA  E avanti de prencipiar, son andada in cusina; ho dà i mi ordeni; ho agiutà a far suso i raffioi; ho fatto metter el stuffà in pignatta, e ho volesto metterghe mi la so conza; ho fatto, che i torna a lavar el polame; ho fatto el pien alla dindietta, ho volesto véder a impastar le polpette; ho dà fora el vin; ho messo fora la biancaria. No me manca altro che tirar fora le possae, le sottocoppe, e quelle quatro bottiglie de vin de Cipro.

ZAMARIA  Mo via; mo se lo so; mo se ti xè una donetta de garbo.

DOMENICA  A cena, in quanti sarémio, sior padre?

ZAMARIA  Aspetta. No m'arecordo. Mio compare Lazaro co so muggier.

DOMENICA  Credémio,che la vegna sior'Alba?

ZAMARIA  La m'ha dito de sì. Per cossa no averàvela da vegnir?

DOMENICA  No sàlo, che cossa lessa, che la xè? La gh'ha sempre mal. No la magna, no la parla, no la sa zogar: ora ghe diol la testa, ora ghe diol el stomego, ora ghe vien le fumane.

ZAMARIA  Cossa vustu far? Sior Lazaro el xè mio compare. El xè anca elo de la mia profession; gh'avemo insieme de' negozieti. Qualcossa bisogna ben soportar.

DOMENICA  E chi altri ghe sarà?

ZAMARIA  Ho invidà sior Bastian.

DOMENICA  Sior Bastian Caparetti?

ZAMARIA  Siora sì. Anca elo; perché el xè mercante da sea, ch'el me dà tutto l'anno da laorar.

DOMENICA  E so muggier?

ZAMARIA  Anca siora Marta.

DOMENICA  Siora Marta se degnerala mo de vegnir?

ZAMARIA  Per cossa no s'averàvela da degnar?

DOMENICA  So che la sta sull'aria, che la pratica tutte le prime signore de Marzaria; che la va in te le prime conversazion.

ZAMARIA  E per questo? Nu cossa sémio? No podemo star al pari de chi se sia? Sóngio qualche laorante? Son paron anca mi. Negozio col mio; non ho da dar gnente a nissun. E po, cossa serve? Siora Marta xè la più bona creatura de sto mondo. Credeu, perché la sta ben, perché la gh'ha dei bezzi, che la sia superba? Gnanca per insonio; vederè, vederè, co allegramente che la ne farà star.

DOMENICA  E chi altri vien, sior padre? Vienla sior'Elenetta?

ZAMARIA  Siora sì. No voleu, che abbia invidà mia fiozza Elenetta?

DOMENICA  E so mario?

ZAMARIA  S'intende. Anca mio fiozzo Agustin.

DOMENICA  Mo, co a bon'ora che quel putto s'ha maridà!

ZAMARIA  El s'ha maridà, perché bisognava, ch'el se maridasse. Sto matrimonio l'ho fatto mi. El xè restà fio solo, senza padre, e senza madre. L'ho fatto passar capo mistro testor. L'ha tolto in casa sta putta; la gh'ha dà dei bezzetti; la gh'ha una madre, che per el teler xè un oracolo; la sta con lori...

DOMENICA  So madona sarà un oracolo; ma Agustin xè el più bel pampalugo del mondo.

ZAMARIA  Cossa saveu?

DOMENICA  No se védelo!

ZAMARIA  El xè ben altrettanto bon.

DOMENICA  Bon el xè? E mi ho sentio a dir, che tutto el dì mario e muggier no i fa altro che rosegarse.

ZAMARIA  Saveu perché? Perché i se vol ben. I xè tutti do zelosi; e per questo ogni men de che i ha qualcossa da tarocar; da resto, quel putto el xè l'istessa bontà. Cussì te ne capitasse uno a ti.

DOMENICA  Mi? de diana! Un mario alocco, no lo torave, se el me cargasse de oro.

ZAMARIA  Cossa voréssistu? Un spuzzetta? Un scartozzetto? Che te magnasse tutto? Che te fasse patir la fame?

DOMENICA  No ghe n'è dei putti, che gh'ha del spirito, e che xè boni?

ZAMARIA  Mi ho paura de no.

DOMENICA  Eh! sior sì, che ghe n'è. (modestamente, ma con artifizio, mostrando ch’ella ne ha qualcheduno in veduta)

ZAMARIA  Molto pochi, fia mia.

DOMENICA  E cussì? I àlo minzonai tutti queli, che ha da vegnir?

ZAMARIA  Aspettè. Chi òggio dito?

DOMENICA  No me par, che l'aveva dito de invidar sior Anzoletto dessegnador?

ZAMARIA  Ah! sì ben. Anca elo.

DOMENICA  (Questo giera quello, che me premeva).

ZAMARIA  Tornemo a dir: mio compare...

DOMENICA  Eh! sior sì; m'arecordo tutti. I xè sette, e nu do, che fa nove.

ZAMARIA  E la mistra, che fa diese.

DOMENICA  Quala mistra?

ZAMARIA  La filaoro.

DOMENICA  Oh! gh'ho gusto, che vegna siora Polonia. El doveva invidar anca sior Momolo manganer.

ZAMARIA  L'ho invidà, l'ho pregà; ho fatto de tutto per obligarlo a vegnir, e no gh'è stà caso. El dise, ch'el gh'ha un impegno, che nol pol vegnir.

DOMENICA  Me despiase; perché el xè unico per tegnir in viva una conversazion. Donca co la mistra saremo diese.

ZAMARIA  Siora sì, a tola saremo diese; e fè parechiar de là per i putti.

DOMENICA  Sior sì.

ZAMARIA  E dèghe anca a lori le so possade d'arzento, e la so bozzetta de vin de Cipro.

DOMENICA  Eh! a lori podemo dar del moscato.

ZAMARIA  Siora no; vòi, che i magna, e che i beva de tutto quel che magnemo e bevemo anca nu.

DOMENICA  Oh! xè qua sior'Elena, e sior Agustin.

ZAMARIA  Oh! via, bravi; i ha fatto ben a vegnir. Scomenzemo a aver un pocheto de compagnia.

DOMENICA  (Mi vorave, che vegnisse sior Anzoletto).

SCENA TERZA

AUGUSTIN, ELENETTA e i suddetti

ZAMARIA  Oe, fiozza!

ELENETTA  Sior santolo, patron

ZAMARIA  Bondì, fiozzo.

ELENETTA  Patrona, siora Domenica.

DOMENICA  Sior'Elena, patrona.

AGUSTIN  Patrona.(a Domenica)

DOMENICA  Patron. (ad Agustin)

ELENETTA  Semo qua a incomodarli.

DOMENICA  Cossa dìsela? La ne fa finezza.

ZAMARIA  Oh! via. A monte le cerimonie. Mettè zoso el tabaro, e 'l capelo. (a Agustin)

AGUSTIN (vuol metter il tabarro sul tavolino)

ZAMARIA  De là, de là, in quell'altra camera.

AGUSTIN (va a mettere giù ecc. e poi torna)

DOMENICA  La vegna qua; la resta servida. (fa sedere Elenetta)

ZAMARIA  Fiozza, senza gnente in testa sè? No gh'avè paura de sfredirve?

ELENETTA  Cossa volévelo, che me mettesse el zendà?

ZAMARIA  No gh'avè una prigioniera?

ELENETTA  La gh'ho, ma no me l'ho messa.

DOMENICA  Mo, che caro sior padre! L'ha da balar, e el vol, che la se desconza la testa!

ZAMARIA  In verità, che vualtre done sè bele; sè bele, da galantomo. Ora ve mettè in testa un stramazzo, ora andè colla testa nua.

DOMENICA  Eh! via, caro elo; cossa sàlo elo?

ELENETTA  Voleva metterme qualcossa in testa, e Agustin no ha volesto.

ZAMARIA  Per cossa no àlo volesto?

ELENETTA  Perché el m'ha conzà elo.

ZAMARIA  Oh bella! el v'ha conzà elo? Per cossa?

ELENETTA  Perché mio mario no vol perucchieri per casa.

ZAMARIA  El v'ha conzà elo? Bravo, pulito. Oe, fiozzo, vegnì qua. L'avè conzada da frìzer vostra muggier.

AGUSTIN  Per cossa?

ZAMARIA  No seu stà vu, che l'ha infarinada?

AGUSTIN  Oh! che caro sior santolo!

DOMENICA  La diga, sior'Elenetta: cossa fa so siora madre? (a Elenetta)

ELENETTA  Eh! cussì, cussì. La m'ha dito, che la reverissa. (con un poco di sussiego)

DOMENICA  Grazie.

ZAMARIA  Perché no xèla vegnua anca ela vostra madona? (a Agustin)

AGUSTIN  No so... No la xè vegnua; ma la xè stada a casa malvolentiera.

ZAMARIA  Oh bela! Perché no vegnir?

ELENETTA  Caro sior santolo, perché volévelo, che la vegnisse? No la xè miga invidada.

ZAMARIA  E per questo? Mi no son andà drio a quelo. No gièrela patrona, se la voleva?

ELENETTA  Oh! no sàlo:

Che chi va, e no xè invidai,

Xè mal visti, o descazzai.

ZAMARIA  Andè là, fiozzo, andèla a levar

ELENETTA  No, no, no stè a andar, che za no la vegnirà. (a Agustin)

ZAMARIA  Se no la vol vegnir, che la lassa star.

DOMENICA  (Vardè dove, che se cazza l'ira! Le gh'ha bisogno, e le gh'ha tanta superbia!)

AGUSTIN  Elena, voleu, che vaga?

ELENETTA  Sior no; no voggio, che andè.

AGUSTIN  Mo per cossa?

ELENETTA  Perché no voggio.

AGUSTIN  Vardè, che sesti; no la vol, che vaga!

ELENETTA  Sior no: no me fè inrabiar.

ZAMARIA  Animo, buttè a monte. No crie; che la xè una vergogna. Stè in pase. Voggiève ben.

AGUSTIN  Mi? De diana! che la 'l diga ela, se ghe voggio ben.

ELENETTA  E mi, sior? Podeu dir, che no ve ne voggia?

AGUSTIN  Mi no digo ste cosse.

ZAMARIA  V'avè tolto con tanto amor.

ELENETTA  E se no l'avesse fatto, la torneria a far.

ZAMARIA  Sentìu, come che la parla? (a Agustin)

AGUSTIN  In quanto a questo, anca mi, se no l'avesse sposada, la sposeria.

ZAMARIA  Via, sièu benedetti! Me consolo de cuor.

AGUSTIN  Ma quela so ustinazion, mi no la posso soffrir.

ELENETTA  Cossa ve fazzio?

AGUSTIN  Tutto el dì la me brontola.

ELENETTA  Perché gh'ho rason.

AGUSTIN  Per cossa gh'aveu rason?

ELENETTA  Perché gh'ho rason.

ZAMARIA  Oe! volémio fenirla? Fiozzo, vegnì con mi, che ve vòi mostrar un drapeto, che gh'ho sul teler, che no ve despiaserà.

AGUSTIN  Sior sì. Lo vederò volentiera.

ZAMARIA  Sentì, fioi; mi ve parlo schietto. Sta sera gh'ho voggia de devertirme; v'ho invidà con tanto de cuor; ma musoni no ghe ne voggio; e criori no ghe ne voggio sentir. Se ve piase, paroni; se no ve piase, aìda. M'aveu capìo? Andémo. (parte, conducendo via Agustin)

SCENA QUARTA

ELENETTA, e poi DOMENICA

ELENETTA  In verità dasseno, per non darghe desturbo, squasi, squasi anderave via.

DOMENICA  Eh! via, cara ela, la lassa andar.

ELENETTA  Mo, no séntela?

DOMENICA  Ghe vorla veramente bene a sior Agustin?

ELENETTA  Se ghe voggio ben? De diana! Se stago un'ora senza de elo, me par de esser persa.

DOMENICA  No dìseli, ch'el xè tanto un bon putto?

ELENETTA  Siora sì, dasseno.

DOMENICA  E i cria donca?

ELENETTA  Cossa dìsela? Se volemo ben, e tutto el dì se magnemo i occhi.

DOMENICA  A mi mo, védela, sto ben nol me comoderia gnente affatto.

ELENETTA  E mi son contenta, che no scambierave el mio stato con chi se sia.

DOMENICA  La gh'ha gusto a criar?

ELENETTA  Crio, ma ghe voggio ben.

DOMENICA  E lu?

ELENETTA  E lu el cria, e el me vol ben.

DOMENICA  Oh! cari.

ELENETTA  Cussì la xè.

DOMENICA  Chi contenta gode.

ELENETTA  Mi son contenta, e godo.

DOMENICA  (Oh siestu! e po te pustu!) Oh! xè qua siora Marta co so mario.

ELENETTA  Chi xèli?

DOMENICA  No la li cognosse?

ELENETTA  Oh! mi no cognosso nissun.

DOMENICA  I xè marcanti da sea; ma de queli, sàla? che ghe piove la roba in casa da tutte le bande.

ELENETTA  Sia malignazo! Gh'ho suggizion. Me vergogno.

DOMENICA  Eh! via, cara ela; la lassa, che la vaga a incontrar. (s'alza e va incontro a Marta)

SCENA QUINTA

MARTA, BASTIAN e dette

ELENETTA  (Anderave più volentiera dessuso con mio mario).

DOMENICA  Patrona riverita.

MARTA  Patrona, siora Domenica.

DOMENICA  Che grazie, che favori xè questi?

MARTA  Cossa dìsela? Semo qua a darghe incomodo.

DOMENICA  Anzi el xè un onor, che nol meritemo.

BASTIAN  Patrona; son qua anca mi a ricever le so care grazie.

DOMENICA  Patron, sior Bastian. La se comoda; la me daga a mi el tabarin.(a Marta)

MARTA  Quel, che la comanda. (si cava il tabarin, e lo dà a Domenica)

DOMENICA  Anca elo, sior Bastian, el me daga el tabaro, e 'l capelo.

BASTIAN  Eh! anderò mi...

DOMENICA  Sior no, sior no; cossa serve? Che el daga qua. Za ho d'andar de là a far un servizieto!

BASTIAN  Me despiase de incomodarla. (si cava ecc. e dà tutto a Domenica, ed ella parte)

SCENA SESTA

MARTA, BASTIAN ed ELENETTA

MARTA  Patrona mia riverita. (ad Elenetta, sedendo)

ELENETTA  Serva.

MARTA  (La cognosseu?) (a Bastian)

BASTIAN  (Mi no).(a Marta)

MARTA  Cossa dìsela de sto fredo? (a Elenetta)

ELENETTA  Cossa vorla? Semo in tel cuor de l'inverno. (a Marta)

BASTIAN  (Son ben curioso de saver chi la xè). (andando dall'altra parte)

MARTA  La xè zovene assae. La lo sentirà poco el fredo.

ELENETTA  Oh! cossa dìsela? No son tanto zovene. Xè un ano, che son maridada.

MARTA  Maridada la xè!

ELENETTA  Servirla.

MARTA  Vardè, vedè! Mi no credeva.

BASTIAN  Perméttela? (siede presso di Elena)

ELENETTA  (Oh caro! Perché no se séntela arente de so muggier?) (guardando verso la scena, e scostandosi)

BASTIAN  Coss'è? No la vol, che me senta arente de ela? (accostandosi)

ELENETTA  La se comoda pur. Con grazia. (s'alza, e va a sedere dall'altra parte)

MARTA  (Mo, la godo ben dasseno).

BASTIAN  Coss'è, signora? Cossa gh'àla paura? Cossa crédela, che mi sia? (a Elena)

ELENETTA  Caro elo, el compatissa. So, che fazzo una mala creanza; ma se vien mio mario, poveretta mi.

BASTIAN  Xèlo qualche vecchio sto so mario?

ELENETTA  Oh! sior no; el xè zovene più de mi.

BASTIAN  E patisse sto boccon de malinconia?

MARTA  Chi xèlo so consorte?

ELENETTA  Sior Agustin Menueli.

MARTA  (Oh! lo cognosso. No me dago gnente de maraveggia).

BASTIAN  (L'ho dito, che nol podeva esser altro, che un pampalugo).

MARTA  Cossa vol dir, che nol xè qua anca elo, sior Agustin?

ELENETTA  Siora sì, che 'l ghe xè. El xè andà de suso co sior santolo Zamaria. De diana! la vorave, che fosse vegnua senza mio mario?

MARTA  Saràvelo un gran delitto? In casa de persone oneste, e civil, no se pol andar qualche volta senza so mario?

ELENETTA  Oh! mi no vago fora della porta senza de elo.

BASTIAN  E sior Agustin lo làssela andar? Lo làssela praticar?

ELENETTA  De dia! che sgrafferave i occhi.

BASTIAN  Oh! se fusse mi so mario...

ELENETTA  Cossa faràvelo?

BASTIAN  Ghe taggierave le ongie.

ELENETTA  Che 'l se consola, che so muggier no lo sgrafferà.

MARTA  Dasseno! cossa voràvela dir?

BASTIAN  (Eh! no ghe badè. No vedeu cossa, che la xè?) (a Marta)

SCENA SETTIMA

DOMENICA, e detti

DOMENICA  Oh! son qua; che i compatissa, se son stada un pocheto tropo. I m'ha chiamà in cusina; son andada a dar un'occhiada. Perché, sàla? se no fusse mi in sta casa, no se farave mai gnente.

MARTA  Eh! savemo, che puta, che la xè.

BASTIAN  Quando magnémio sti confetti, siora Domenica?

DOMENICA  Oh! per mi? l'ha ancora da nasser.

ELENETTA  (Sarave ora, che 'l fusse nato).

BASTIAN  La diga: quanto xè, che no la vede sior Anzoletto?

DOMENICA  Qualo sior Anzoletto?

BASTIAN  Qualo? Quelo...

DOMENICA  Chi quelo?

MARTA  Mo via con quela bocca, che no pol tàser. (a Bastian)

BASTIAN  Mi no digo gnente.

DOMENICA  (Come l'àli savesto, che tra Anzoletto, e mi ghe xè qualche prencipio? Non l'ho dito a nissun; no lo sa gnanca mio padre).

ELENETTA  (Mo che zente, che se ne vol impazzar, dove che no ghe tocca!)

DOMENICA  Oh! vardè chi xè qua!

BASTIAN  Chi? sior Anzoletto?

DOMENICA  (Magari!) Sior Momolo, el manganer.

MARTA  Gh'ho ben gusto dasseno. El xè el più caro matto del mondo.

DOMENICA  El belo xè, che sior padre l'aveva invidà, e 'l gh'ha dito, che nol podeva vegnir.

BASTIAN  No sàla? Lu gh'ha l'abilità de zirar in t'un zorno sette, o otto conversazion.

MARTA  Cossa fàlo, che nol vien avanti?

DOMENICA  L'è capace d'averse fermà coi zoveni, a dirghe cento mile minchionerie.

MARTA  Fermo de tutto, che 'l staga qua stassera.

DOMENICA  Oh! mi no lo lasso andar via seguro.

ELENETTA  (Cossa mai fàlo sto mio marìo, che nol vien? El me fa pensar cento cosse).

DOMENICA  Vèlo qua, vèlo qua sior Momolo.

SCENA OTTAVA

MOMOLO, e detti

MOMOLO  Patrone riverite.

MARTA  Bravo, sior Momolo.

BASTIAN  Bondì, Momolo.

MOMOLO  Paron benedetto. (a Bastian)

DOMENICA  Cossa feu qua? Meriteressi giusto, che ve mandassimo via.

MOMOLO  Saldi; le se ferma, che ghe conterò, come che la xè stada.

DOMENICA  Mo che panchiana!

MOMOLO  Gnente. L'ascolta un omo, col parla. Giera impegnà d'andar a cena in t'un logo. Son andà; m'ho informà chi ghe giera; i m'ha dito, che ghe giera un muso, che no me piase; una certa signora, che 'l so sangue no se confà col mio; e mi ho fatto dir alla parona de casa, che me xè vegnù la freve; e ho chiappà suso, e son vegnù via.

MARTA  Bravo; avè fatto ben.

DOMENICA  Panchiane! panchiane!

MOMOLO  Sì, anca da putto, che la xè cussì. (si volta) Patrona reverita, ghe domando umilmente perdon, se gh'ho voltà, co riverenza, el tabaro; perché giera sora pensier. Me premeva, no so se la me capissa...

ELENETTA  Eh! sior sì, l'ho capio. (voltandosi con disprezzo)

MOMOLO  Chi èla sta signora?

MARTA  No la cognossé? Sior'Elena, muggier de sior Agustin Menueli.

MOMOLO  La me permetta, che fazza el mio debito. (a Elena)

BASTIAN  Momolo, abbiè giudizio.

MOMOLO  Fermève. (a Bastian) Ho tutta la sodisfazion de aver l'onor de conoscerla. Sior Agustin xè mio amigo, e mio bon paron; e la prego anca ela degnarse...

ELENETTA  Grazie, grazie.

MOMOLO  Se la gh'avesse qualcossa da manganar.

ELENETTA  Oh! mi in ste cosse no me n'impazzo.

MOMOLO  Se la me permette, la vegnirò a reverir.

ELENETTA  Mi no ricevo visite; da mi no vien nissun.

MOMOLO  La se ferma. Sàla chi son mi?

ELENETTA  A mi no m'importa de saver.

MOMOLO  Mo via, no la me fazza inspasemar.

ELENETTA  Son stuffa.

MOMOLO  De cossa?

ELENETTA  Siora Domenica, co so bona grazia. (s'alza)

DOMENICA  Che la se comoda.

ELENETTA  (Anderò a véder, dove che s'ha ficcà mio mario). (in atto di partire)

MOMOLO  Patrona.

ELENETTA  Patron. (andando via)

MOMOLO  Gnanca?

ELENETTA  Oh! mi non son de quelle da sbuffonar. (parte. Tutti ridono)

SCENA NONA

DOMENICA, MARTA, BASTIAN, MOMOLO

MOMOLO  In fatti: gh'aveva bisogno di sentarme; senza che nissun s'incomoda, i m'ha favorio la carega.

DOMENICA  Cavève el tabaro.

MOMOLO  La se fermi. Me lo caverò adessadesso.

DOMENICA  Cavèvelo, co volè; per mi no me movo.

MOMOLO  Dove xèlo sior Zamaria?

DOMENICA  El xè dessuso co sior Agustin.

MOMOLO  Cossa diralo, col me vederà?

DOMENICA  Meriteressi, che 'l ve disesse...

MOMOLO  Va' via, che no te voggio. E mi ghe dirave: fermève, che ghe son, e ghe voggio star.

MARTA  L'è, che se volessi andar via, siora Domenica no ve lasserave andar.

MOMOLO  Per so grazia, e non per mio merito.

DOMENICA  Manco mal, che ve cognossè!

MOMOLO  Mi almanco, in bon ponto lo possa dir, tutti me vol ben.

DOMENICA  Per cossa mo credeu, che i ve voggia ben?

MOMOLO  Perché son belo.

DOMENICA  Va' via, malagrazia.

MARTA  E mi cossa sóngio?

MOMOLO  Sìela benedetta; la xè la mia parona anca ela; ma no me n'impazzo. Lasso fari onori de la casa a mio compare Bastian.

BASTIAN  Momolo, quanto xè, che no andè a la comedia? (a Momolo)

MOMOLO  Xè un pezzo. In sti ultimi zorni mi no ghe vago. Me piase più cussì, quatro amici, un gotto de vin, una fersora de maroni.

DOMENICA  Stassera cenerè con nu.

MOMOLO  No la posso servir.

DOMENICA  Per cossa? Averessi ardir de impiantarne?

MOMOLO  Mi no; stago qua fin doman, fin doman l'altro; fin sta quaresema, fin che la vol.

DOMENICA  Cossa donca disèu de no voler cenar?

MOMOLO  Digo cussì, perché gh'averave voggia de servirla ben, e xè otto dì che desordeno, e gh'ho paura de no farme onor.

DOMENICA  Eh! no v'indubitè, che qua da nu no ghe sarà da desordenar.

MOMOLO  Ghe n'è più de quel vin da galantomeni?

DOMENICA  Ghe ne xè ancora.

MOMOLO  Co gh'è de quelo, gnente paura.

DOMENICA  Via, andè de là, andève a cavar el tabaro.

MOMOLO  Con so bona grazia. (in atto d'andare)

DOMENICA  Saveu chi vien stassera da nu? (a Momolo)

MOMOLO  Chi, cara ela?

DOMENICA  Siora Polonia.

MOMOLO  Cara culìa; ghe vòi proprio ben; ma semo in baruffa. Me raccomando a ele; le diga do parolete, cussì senza malizia; le fazza del ben a sto povero pupillo. (parte)

MARTA  L'assicuro, che in t'una compagnia el xè un oracolo.

BASTIAN  Stimo, che 'l xè sempre de sto bon umor.

DOMENICA  Sempre cussì; el xè nato cussì, e 'l morirà cussì.

MARTA  Xè vero, che tra lu e Polonia ghe sia qualcossa?

DOMENICA  Oh! la se fegura. El dise. Ma in quela testa crédela, che ghe sia fondamento? Ela sì piutosto, credo, che la ghe tenderia se 'l disesse dasseno.

BASTIAN  Ghe dirò: el xè cussì alegro, maturlo; ma ai so interessi el ghe tende.

DOMENICA  Sior sì, sior sì; el xè onorato, co fa una perla. Oh! vien zente.

MARTA  Chi xèli?

DOMENICA  Sior'Alba co so mario. Con grazia. (s'alza, e va incontro)

BASTIAN  Xèla quela, che gh'ha sempre mal? (a Marta)

MARTA  Sì, chi la sente ela, la xè sempre amalada: ma no la starave a casa una sera, chi la copasse. (a Bastian)

SCENA DECIMA

ALBA, LAZARO e detti

DOMENICA  Patrona, sior'Alba.

ALBA  Patrona. (si baciano) Patrona.(a Marta)

MARTA  Patrona. (si baciano)

BASTIAN  Compare Lazaro.

LAZARO  Patron sior Bastian. (si baciano Bastian e Lazaro fra di loro)

DOMENICA  Cossa fàla? Stàla ben? (ad Alba)

ALBA  Gh'ho un dolorazzo de testa, che no ghe vedo.

DOMENICA  La se senta. La me daga qua el tabarin.

ALBA  No, no, la lassa; che gh'ho piuttosto fredo. Gh'ho un tremazzo intorno...

DOMENICA  Vorla un poco de fogo?

ALBA  La me farà grazia.

DOMENICA  Adesso gh'anderò a tiòr el scaldapiè. E ela ghe ne vorla?

MARTA  Oh! mi no, la veda, stago benissimo.

DOMENICA  Le compatissa, vago mi, perché la donna no pol. (La podeva far de manco de vegnir sta giazzèra). (parte)

LAZARO  Co gh'avevi mal, dovevi star a casa, cara fia.

ALBA  Eh! me passerà.

BASTIAN  (Bisogna, che ghe sia vegnù mal per strada. Se la s'avesse sentio qualcossa a casa, no la sarave vegnua).

MARTA  (Ghe credeu vu, che la gh'abbia mal?) (a Bastian)

LAZARO  Cossa ve sentìu? (ad Alba)

ALBA  Gnente.

MARTA  Mo via, la staga alegra, la se diverta.

ALBA  Gh'ho una mancanza de respiro, che no posso tirar el fià.

LAZARO  Voleu gnente? Voleu andarve a molar el busto?

ALBA  Eh! sior no; n'importa.

BASTIAN  (El gh'ha una gran pazzenzia. Mi no sarave bon).

DOMENICA  Son qua col fogo. La resta servida. (vuol mettere lo scaldapiè ecc.)

ALBA  No la s'incomoda. Gh'ho sto busto cussì stretto, che non me posso gnanca sbassar. (vuol mettere lo scaldapiè, e non può)

DOMENICA  La servirò mi. (mette lo scaldapiè)

LAZARO  Ma no voleu star mal con quel busto cussì serà? Andè là, cara fia, andève a molar.

ALBA  Eh! (con disprezzo)

LAZARO  Fè a vostro modo, che viverè dies'anni de più.

ALBA  Gh'àla un garòfolo? (a Domenica)

DOMENICA  Anderò de là a tòrghelo.

MARTA  Mi, mi se la vol. (vuol tirar fuori un garofano ecc.)

BASTIAN  Vorla un diavolon? (apre una scatoletta ecc.)

ALBA  Sior sì.

DOMENICA  Cossa se séntela?

ALBA  No so gnanca mi. Gh'ho un affanno!...

SCENA UNDICESIMA

MOMOLO e detti

MOMOLO  Oh! son qua.

ALBA  Oh! sior Momolo, sior Momolo. (rallegrandosi)

MOMOLO  Sior'Alba, ghe son servitor.

ALBA  Anca elo xè qua?

MOMOLO  No sàla? Mi penetro per tutto, co fa la luse del sol.

ALBA  Ah! ah! (ride moderatamente)

DOMENICA  Ghe xè passà? (ad Alba)

ALBA  Un pochetto.

MOMOLO  Gh'àla mal? Vorla, che mi ghe daga un recipe  per varir?

ALBA  Via mo; che recipe?

MOMOLO  Recipe, no ghe pensar. Recipe, devertirse. Recipe, sior sì, e ste cosse.

ALBA  Oh! che matto: ah ah ah ah, oh che matto! (ridendo forte)

DOMENICA  Oh! via via, me consolo: la xè varìa.

MARTA  No ghe voleva altri, che sior Momolo a farla varir.

MOMOLO  Vorle, che ghe ne conta una bela? Son stà de su da sior Zamaria. Ho trovà i do novizzi, uno in t'un canton, l'altro in t'un altro. I ha crià, i s'ha dito roba, i pianzeva. Sior Zamaria giera desperà. Mi ho procurà de giustarli. Ho chiapà Agustin per un brazzo. L'ho menà da la novizza. Le indivina mo? Vien qua, va' via; sentì, làsseme star: i m'ha strazzà un manegheto.(mostra il manichetto rotto)

ALBA  Oh bela! oh bela! Oh che gusto! oh bela! (ridendo)

MOMOLO  Grazie del so bon amor. (ad Alba)

DOMENICA  Via, via; ve darò mi una camisa.

MOMOLO  N'importa; lo ficco sotto.

DOMENICA  Bisogna ben, che ve muè, s'avè da balar.

MOMOLO  Se bala anca?

DOMENICA  I dise. Balerala anca ela, sior'Alba?

ALBA  Siora sì; no vorla?

DOMENICA  Oh! via, me consolo.

MARTA  (La gh'ha tanto mal ela, quanto che ghe n'ho mi).

MOMOLO  Ghe digo ben, che ho visto desuso in teler un drapo, che no ho visto el più belo. Un dessegno de sior Anzoletto, che xè una cossa d'incanto, che no gh'ha invidia a uno dei più beli de Franza.

BASTIAN  Cossa serve? I nostri drapi, co se vol, che i riessa, i riesse. Gh'avemo omeni, che xè capaci; gh'avemo sede; gh'avemo colori; gh'avemo tutto.

LAZARO  Cossa disèu, sior Bastian, de quei drapi, che st'anno xè vegnui fora dai mii teleri?

BASTIAN  Stupendi: i me li ha magnai da le man. V'arecordeu quel raso con quei finti màrtori? Tutti lo credeva de Franza. I voleva fina scometter; ma per grazia del Cielo, roba forestiera in te la mia bottega no ghe ne vien.

LAZARO  I me fa da rider! Che i ordena, e che i paga, e i vederà, se savemo far.

ALBA (butta via lo scaldapiedi e il tabarrin)

DOMENICA  Coss'è?

MARTA  Cossa gh'àla?

ALBA  Me vien una fumana.

MOMOLO  Com'èla? Saldi, sior'Alba; saldi, sior'Alba.

ALBA  Eh! andè via de qua; no me rompè la testa.

MOMOLO  Me cavo: fogo in camin; me cavo.

ALBA  Son tutta in t'un'acqua.

DOMENICA  Vorla despogiarse?

ALBA  Siora no.

MARTA  Vorla, che ghe metta un fazzoleto in te le spalle?

ALBA  Oh! giusto.

LAZARO  Voleu gnente, fia?

ALBA  No voggio gnente.

LAZARO  Voleu, che andemo a casa?

ALBA  La me favorissa el mio tabarin.

DOMENICA  La toga.

LAZARO  Andémo; le compatissa.

ALBA  Se la me dà licenza, voggio andar dessuso a véder sto drapo. (a Domenica)

DOMENICA  Ghe xè passà?

ALBA  Me xè passà. Sior Momolo, la favorissa.

MOMOLO  La comandi.

ALBA  El me compagna dessuso.

MOMOLO  Volentiera.

LAZARO  Ve compagnerò mi. (ad Alba)

MOMOLO  Fermève. (a Lazaro) So qua a servirla. Benedeta la mia parona! Saldi, sior'Alba.

ALBA  Coss'è sto saldi?

MOMOLO  Gnente. Saldi. Perché son debole de zonture.(parte con Alba)

SCENA DODICESIMA

DOMENICA, MARTA, BASTIAN e LAZARO

BASTIAN  (Se vede, che tutto el so mal la lo gh'ha in te la testa).

DOMENICA  Via, che i vaga anca lori.

BASTIAN  Eh! mi l'ho visto; so, che drapo, ch'el xè.

DOMENICA  Che i vaga; che i vaga a trovar sior padre.

BASTIAN  Coss'è? Vorle restar sole?

DOMENICA  Sior sì; volemo restar sole.

LAZARO  Andemo, sior Bastian. Se savessi! gh'ho sempre paura, che a mia muggier no ghe vegna mal!

BASTIAN  Gh'avè una gran pazzenzia, compare!

LAZARO  Cossa voleu far? La xè mia muggier.

BASTIAN  Voleu, che mi v'insegna a varirla?

LAZARO  Come?

BASTIAN  Se ghe dise: Àstu mal? sta in casa. Anca sì, che ghe passa el dolor de stomego?

LAZARO  No son bon; no gh'ho cuor; no me basta l'anemo. (parte)

BASTIAN  To danno; gòditela donca, che bon pro te fazza. (parte)

SCENA TREDICESIMA

DOMENICA e MARTA

DOMENICA  Manco mal, che semo un pocheto sole. Gh'ho voggia de parlar con ela.

MARTA  Son qua, siora Domenica; cossa gh'àla da comandarme?

DOMENICA  La diga: cossa intendévelo de dir sior Bastian, col parlava de sior Anzoletto?

MARTA  Mi no so in verità.

DOMENICA  Eh! via, cara ela. La gh'ha pur dito, ch'el tasa.

MARTA  Ghe dirò, co la vol, che ghe diga la verità: ne xè stà dito, che sior Anzoleto gh'ha de la stima per ela; e che anca ela no lo vede mal volentiera.

DOMENICA  Ghe xè mal per questo?

MARTA  Gnente; anzi in verità dasseno, ho dito co mio mario; el sarave un negozio a proposito per tutti do.

DOMENICA  Anca mi, per parlarghe col cuor in man, ghe dirò, che sior Anzoletto, co l'occasion, ch'el vien qua da sior padre a portar i dessegni...

MARTA  Via. Cossa serve? Nualtri marcanti gh'avemo bisogno de' testori; i testori ha bisogno del dessegnador...

DOMENICA  Siora sì. Co l'occasion, che 'l vien qua...

MARTA  Ho capio; i xè zoveni tutti do...

DOMENICA  Ma gnente, sàla? No averemo dito trenta parole.

MARTA  Via!

DOMENICA  El m'ha domandà, se gh'ho morosi.

MARTA  Bon!

DOMENICA  El m'ha tratto un moto, se ghe tenderave.

MARTA  Gh'àla dito de sì?

DOMENICA  Mai.

MARTA  Mo per cossa?

DOMENICA  Oh! la vede ben. (con modestia)

MARTA  No so cossa dir.

DOMENICA  La mistra Polonia, la tiraoro, la conóssela?

MARTA  La conosso.

DOMENICA  Ela, védela, ela m'ha dito qualcossa.

MARTA  E ela gh'àla fatto dir gnente?

DOMENICA  Gnente. S'avemo scritto una polizeta.

MARTA  Sì ben, sì ben. La gh'àla sta polizeta?

DOMENICA  Siora sì. La vorla véder?

MARTA  Magari!

DOMENICA  Adesso ghe la mostro.(si guarda in tasca)

MARTA  (Eh, sì ben. Trenta parole, e una polizeta xè quel, che basta).

DOMENICA  Oh! xè qua la mistra Polonia. (ripone la carta)

MARTA  Gh'àla suggizion?

DOMENICA  No vorave, che la disesse... Ghe la mostrerò un'altra volta.

SCENA QUATTORDICESIMA

POLONIA col zendale sulle spalle, e dette

POLONIA  Patrone riverite.

DOMENICA  Siora Polonia!

MARTA  Patrona, siora Polonia.

DOMENICA  Sola sè?

POLONIA  M'ho fato compagnar da un zovene.

DOMENICA  Coss'è, che me parè scalmanada?

POLONIA  Gnente, gnente. La lassa, che me cava el zendà.

DOMENICA  Saveu, chi ghe xè dessuso?

POLONIA  Chi?

DOMENICA  Sior Momolo.

POLONIA  El manganer?

DOMENICA  Siora sì dasseno.

POLONIA  Uh! sìelo malignazo anca elo. Asti omeni no gh'è da creder; no gh'è da fidarse: i xè tutti compagni.

DOMENICA  Disè: cossa xè stà?

POLONIA  La lassa, che me cava el zendà.(va a porre il zendale sul tavolino)

MARTA  Bisogna, che ghe sia nato qualcossa.

DOMENICA  Sentiremo. Son curiosa anca mi.

POLONIA  Gh'ho da parlar. (a Domenica)

DOMENICA  A mi?

POLONIA  A ela.

DOMENICA  De cossa?

POLONIA  De un no so che.

DOMENICA  Parlè, parlè liberamente. De siora Marta (la xè tanto bona) mi no gh'ho suggizion.

MARTA  Se le vol parlar in secreto, le se comoda pur.

DOMENICA  Oh! giusto. Cossa gh'è? (a Polonia)

POLONIA  Gh'ho da parlar dell'amigo.

DOMENICA  De sior Anzoletto?

POLONIA  Giusto de elo.

DOMENICA  Mo via, parlè.

POLONIA  Sàla gnente, siora Marta? (a Domenica)

DOMENICA  Parlè, ve digo; no abbiè suggizion.

MARTA  Per so grazia, la m'ha dito qualcossa.

POLONIA  Co l'è cussì donca, ghe conterò una bella novità.

DOMENICA  Che xè mo?

POLONIA  Che xè? Che ho savesto de certo, e de seguro, che sior Anzoletto ha avù una lettera da Moscovia; che ghe xè dei testori italiani, che vol, che 'l vaga là a far el dessegnador.

DOMENICA  Poveretta mi!

MARTA  E elo, cossa dìselo?

POLONIA  El va.

MARTA  El va?

POLONIA  Ma siora sì, lu, che 'l va.

DOMENICA  Lo saveu de seguro?

POLONIA  Segurissimo.

MARTA  Come l'aveu savesto?

POLONIA  Che dirò... No vorave, che 'l me sentisse.

DOMENICA  Eh! no v'indubitè, che nol ghe xè, no. E chi sa gnanca, se 'l vien.

POLONIA  Eh! el vien, el vien; e 'l pol esser poco lontan. Co ho passà el ponte de Canareggio, l'ho visto su la fondamenta in bottega de quel dal tabaco.

DOMENICA  Disè, contème. (mortificata)

POLONIA  Ghe xè a Venezia una recamadora franzese, che vien da nu a tòr de l'oro per recamar, che la va in Moscovia anca ela, e la m'ha contà tutto, e la m'ha mostrà la lettera, dove che i ghe scrive de sior Anzoletto, e la m'ha anca dito, che la va in Moscovia con elo.

DOMENICA  Come! Anca con una donna el va via?

POLONIA  Oh! la xè vecchia, sàla? La xè vecchia; la gh'averà più de sessant'anni. La xè madama Gatteau. La conóssela?

DOMENICA  Sì, la conosso. Ho parlà con ela; la xè stada anca in casa mia.

MARTA  Mo ve digo mo ben la verità, che 'l me despiase assae, ma assae.

DOMENICA  Eh! cara ela, la me 'l lassa dir a mi, che me despiase.

MARTA  Dasseno me despiase anca a mi; perché in materia de drapi, la sa, che ogni ano ghe vol de le novità; e lu, per dir quel che xè, per la nostra bottega, l'ha sempre trovà qualcossa che ha dà in tel genio all'universal.

POLONIA  Zito, zito; el xè qua.

DOMENICA  Me vien voggia da darghe una strapazzada...

POLONIA  No, cara ela, no la fazza scene. No la diga gnente, che ghe l'abia dito mi.

DOMENICA  Taserò fin che poderò.

MARTA  La me lassa parlar a mi. (siedono)

POLONIA  La prego de no me minzonar, per amor de quella vecchia recamadora; che se la savesse, che raccola, che la xè!

SCENA QUINDICESIMA

ANZOLETTO e dette; poi COSMO

ANZOLETTO  Patrone mie riverite.

MARTA  Patron.

DOMENICA  (E co allegro, che 'l xè!)

ANZOLETTO  Son qua anca mi a recever le grazie de siora Domenica, e de sior Zamaria.

DOMENICA  Le mie no, la veda. Mi no despenso grazie a nissun.

POLONIA  (Xè impossibile, che la tasa).

ANZOLETTO  Cossa gh'àla, siora Domenica?

DOMENICA  Me dol la testa.

ANZOLETTO  Me despiase ben.

MARTA  La mastega del reobarbaro, che 'l ghe farà ben. La manda alla spezieria; la procura de farse dar de quel de Moscovia. (a Domenica, con caricatura)

ANZOLETTO  De Moscovia?

MARTA  Sior sì. No xè vero, che 'l meggio reobarbaro xè de quelo, che vien de Moscovia?

ANZOLETTO  Mi no so. Mi no me n'intendo.

POLONIA  Che bon tabaco àlo tolto, sior Anzoleto?

ANZOLETTO  Padoan. M'àla visto a comprarlo?

POLONIA  Sior sì. Che 'l me ne daga una presa.

ANZOLETTO  M'ha parso anca a mi de véderla a trapassar. (dà il tabacco ecc.)

POLONIA  (Me pento adesso de aver parlà).

ANZOLETTO  Comàndela? (offre tabacco a Domenica)

DOMENICA  Grazie. No ghe ne togo. (con disprezzo)

ANZOLETTO  Pazzenzia. E ela, comàndela? (a Marta)

MARTA  Ch'el diga: ghe n'àlo comprà assae de sto tabaco? (prendendo tabacco)

ANZOLETTO  No la vede? Mez'onza.

MARTA  Credeva, che 'l ghe n'avesse comprà do, o tre lire.

ANZOLETTO  Perché tanto?

MARTA  Credeva, che 'l s'avesse fatto la provision per el viazo.

ANZOLETTO  Per el viazo?

POLONIA  Che 'l diga, sior Anzoleto...

ANZOLETTO  La prego: de che viazo pàrlela? (a Marta)

MARTA  Eh! gnente; ho falà. Diseva de quel de la recamadora franzese.

POLONIA  (Porla tàser, in so tanta malora?)

ANZOLETTO  Siora, capisso benissimo...

DOMENICA  Eh! via, cara siora Marta, la tasa. I omeni xè paroni de la so libertà. Vorlo andar? che 'l vaga.

ANZOLETTO  La me permetta...

MARTA  Ben, che 'l vaga. Nissun ghe lo pol impedir. Ma perché no dirlo almanco?

ANZOLETTO  La prego...

DOMENICA  Oh! questo po sì. Sperava anca mi, che 'l gh'avesse almanco tanta proprietà de farme sta confidenza.

ANZOLETTO  Perméttele?...

MARTA  Bisogna véder...

DOMENICA  La lassa, ch'el parla.

MARTA  Che 'l diga pur.

POLONIA  (Podeva pur anca mi aspettar a doman).

ANZOLETTO  Ghe dirò. Xè vero, che ho una lettera de Moscovia, che là i me chiama a esercitarme in tel mio mestier. Xè vero, che la proposizion me convien; xè vero anca, che l'ho accettada. Ma xè vero altresì...

MARTA  Belo quel “altresì”; el scomenza a parlar forestier.

ANZOLETTO  Tutto quelo, che la comanda. Parlerò venezian. Ma xè anca vero, che ancuo solamente ho risolto; e che prima de adesso no ghe lo podeva comunicar.

MARTA  Tutte chiaccole, che no val un bezzo.

DOMENICA  Basta. Se per elo ha da esser ben, me consolo.

ANZOLETTO  No so cossa dir. Sarà quel, che piaserà al Cielo.

MARTA  Sentì, fio caro; lassemo le burle da banda. Mi vorave, che fessi del ben. Ma finalmente, qua sè ben visto; e in Moscovia, no savè come che la ve possa andar.

POLONIA  De dia! No digo, che sior Anzoleto sia un cativo dessegnador. Ma che ghe sia in Moscovia sta carestia de dessegnadori, che i abbia de grazia de vegnirghene a cercar uno a Venezia?

ANZOLETTO  Ghe dirò, patrona...

COSMO  Sior Anzoletto, che 'l vegna dessù dal patron, che 'l ghe vol parlar.

ANZOLETTO  Vegno. Andè; disèghe, che vegno subito. (a Cosmo, che parte) Ghe dirò, se le me permette. Xè un pezzo, che i dessegni de sto paese piase, e incontra per tutto. Sia merito dei dessegnadori, o sia merito dei testori, i nostri drapi ha chiapà concetto. Xè andà via dei laoranti, e i xè stai ben accolti. Se gh'ha mandà dei dessegni, i ha avù del compatimento; ma no basta gnancora. Se vol provar, se una man italiana, dessegnando sul fatto, sul gusto dei Moscoviti, possa formar un misto, capace de piaser a le do nazion. La cossa no xè facile, ma no la xè gnanca impussibile. El mal grando xè questo, che i ha falà in te la scielta, che mi son l'infimo dessegnador, e che 'l progetto bellissimo xè in pericolo per causa mia. Ciò non ostante ho risolto d'andar. Chi sa? Son stà compatìo, senza merito, al mio paese; posso aver sta fortuna anca via de qua. Farò el mio dover. De questo me comprometto; l'ho sempre fatto, e procurerò sempre de farlo; e se la mia insuficienza no permetterà che sia applaudido in Moscovia le mie operazion; almanco cercherò d'imparar; tornerò qua con delle nove cognizion, con dei novi lumi, e provederò i mii testori, e servirò la mia patria, che ha sempre avudo per mi tanta clemenza e tanta benignità.(parte)

SCENA SEDICESIMA

DOMENICA, MARTA e POLONIA

MARTA  Respondèghe, se ve basta l'anemo.

DOMENICA  El xè andà via, perché no ghe responda; ma ghe ne dirò tante, che spero, che no l'anderà.

POLONIA  Vorla, che ghe insegna, mi cossa che l'ha da far? La parla con quela vecchia recamadora; altri che ela no poderave trovar la strada de farlo restar.

DOMENICA  Ghe parleria volentiera; ma la parla tanto poco italian, che stento a intenderla, che mai più.

POLONIA  Se stenta, ma se capisse. La fazza a mio modo, la parla con madama Gatteau.

DOMENICA  Come poderàvio far a parlarghe?

POLONIA  Oe! la sta qua ai “do Ponti”. Vago a véder, se de là ghe xè el putto, che m'ha compagnà; e se no, ghel digo a un dei so zoveni, e la mando a chiamar. Poverazza! la me fa peccà. I ghe dà speranza, e po, tolè suso. Omeni! Omeni! Son squasi in tel caso anca mi. Se la savesse! Basta, no digo altro. E po i dise de nu. Uh! che gh'avemo un cuor nu, che no fazzo per dir, ma semo proprio da imbalsamar.(parte)

SCENA DICIASSETTESIMA

MARTA e DOMENICA

MARTA  Siora Domenica, cossa gh'àla intenzion de far?

DOMENICA  No so gnanca mi.

MARTA  Ma pur?

DOMENICA  Vorla, che andémo dessuso anca nu?

MARTA  Quel che la comanda.

DOMENICA  La resta servida, che adessadesso vegno anca mi.

MARTA  Vorla restar qua?

DOMENICA  Un pochetto. Se la me permette?

MARTA  La se comoda. (Ho capio; la se vol conseggiar da so posta. Che la varda de no far pezo. Ho sempre sentio a dir, che amor xè orbo; e chi se lassa menar da un orbo, va a pericolo de cascar in t'un fosso). (parte)

SCENA DICIOTTESIMA

DOMENICA sola

DOMENICA  No so quala far. No voria, che l'andasse; ma no vorave gnanca esser causa mi, che 'l perdesse la so fortuna. Certo, za che se vede, che sta recamadora gh'ha corrispondenza in Moscovia, se poderia farghe parlar per qualchedun, e obligarla a scriver de là, che nol sa, che no l'è bon, che ghe n'è de meggio... E mi, che a Anzoleto ghe voggio ben; mi saria capace de farghe perder el so conceto? No, no sarà mai vero. Che 'l vaga, se l'ha d'andar; patirò, me despiaserà; ma pazzenzia. No faria sto torto né a lu, né a nissun, se credesse de deventar principessa. No, no certo; patir, crepar; ma rassegnarse al Cielo, e perder tutto, più tosto che far una mala azion. (parte)

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

ZAMARIA e ANZOLETTO

ZAMARIA  Vegnì qua mo, sior Anzoleto.

ANZOLETTO  Son qua a servirla, sior Zamaria.

ZAMARIA  Com'èla, compare? Xè vero quel, che i dise? Xèla la verità, che andè via?

ANZOLETTO  Sior sì, xè verissimo. Son chiamà in Moscovia.

ZAMARIA  Seu mo veramente chiamà, o seu vu che ha brogià per andar?

ANZOLETTO  V'assicuro, da omo d'onor, che mi a sta cossa no ghe pensava; ve posso mostrar le lettere. Le ha viste i mii patroni, i mii amici; e i fatti mii li sa tutto el mondo. E po, caro sior Zamaria, me crederessi cussì minchion, che, stando ben dove son, dove no me manca da laorar, volesse lassar el certo per l'incerto, e rischiar de precipitarme? Considerè un'altra cossa. I me paga i viazi. Co se cerca, co se prega, co se fa brogio, ve par a vu, che se possa sperar i viazi d'andar, e tornar?

ZAMARIA  Fè conto de tornar donca.

ANZOLETTO  Se el Cielo me lassa in vita, lo spero, lo desidero, e lo farò.

ZAMARIA  No so cossa dir; andè che 'l Cielo ve benediga. Me despiase, che fin che stè via, no gh'averemo dei vostri dessegni.

ANZOLETTO  E per questo? Manca in sto paese dei ottimi dessegnadori? Venezia no xè scarsa de bei talenti. In tutte le arte, in tutte le scienze la xè stada sempre felice; e adesso più che mai in ste lagune fiorisse i bei spiriti, e 'l bon gusto, e le novità. Per mi ho fatto troppo. Son stà più sofferto de quel, che merito.

ZAMARIA  Mi no so gnente. Savè, che nualtri testori no semo boni da altro, che da eseguir; e no tocca a nu a giudicar. Ma gièrimo usai con vu. I mii teleri principalmente i giera provisti da vu, e la nostra roba incontrava, e i nostri aventori giera contenti.

ANZOLETTO  Caro sior Zamaria, vu parlè con tropa bontà. De cento, e più dessegni, che ho fatto, qualchedun ghe n'è andà mal, e qualche volta avè butà la seda, l'oro, e l'arzento per causa mia.

ZAMARIA  Mi no digo cussì. So, che i mii drapi laorai sui vostri dessegni, se no i ho smaltii a Venezia, i ho smaltii in terraferma; e se in qualcun ho descapità, m'ho reffatto sora la brocca con quelli, che xè andai ben.

ANZOLETTO  Sièu benedeto! Vu sè un omo onesto. Vu sè un omo da ben. Ma ghe xè dei altri testori, che no parla cussì.

ZAMARIA  Vegnì qua, sentì. No poderessi, fin che stè via, mandarme dei dessegni da dove che sè?

ANZOLETTO  Perché no? Se ve compiasessi de comandarme, e se ve fidessi de mi, ve servirave con tutto el cuor.

ZAMARIA  Sior sì; mandèghene, e non ve dubitè.

ANZOLETTO  Ghe ne manderò.

ZAMARIA  V'impegneu?

ANZOLETTO  M'impegno.

ZAMARIA  Me prometteu?

ANZOLETTO  Ve prometto.

ZAMARIA  Vardè ben, che su la vostra parola torò l'impegno coi mii aventori.

ANZOLETTO  Gh'ho tanto respetto, e tante obligazion coi aventori de sta bottega, che sarave un ingrato, se trascurasse de corisponder a le finezze, che i m'ha praticà. Se vu disè dasseno; se volè, se ve preme, anca mi v'assicuro, no mancherò.

ZAMARIA  Bravo, son contento; me fido de vu. No parlemo altro. Devertìmose, godémose in bona pase. Oe, zente, dove seu? Animo, vegnì de qua.

SCENA SECONDA

Tutti

MOMOLO  Son qua, paron, comandè.

ZAMARIA  E vu prima de tutti.

MOMOLO  Son qua mi; capo de ballo mi.

ZAMARIA  Adesso no se bala. Se balerà dopo cena. Che ora xè?

MOMOLO  No so; ho lassà el reloggio dal reloggier.

MARTA  Xè tre ore, sior Zamaria.

MARTA  Tre, e do cinque. A cinqu'ore anderemo a cena. Via intanto, che i fazza qualcossa, che i se deverta. Presto, carte, luse, taolini.

DOMENICA  (Gh'ho altra voggia mi, che zogar).

ZAMARIA  Zoghemo a un zogo, che zoga tutti.

ALBA  Per mi, che i me lassa fora.

ZAMARIA  Siora no; l'ha da zogar anca ela. (ad Alba)

ALBA  Mi no so zogar.

LAZARO  Eh! sì, cara fia, che savè zogar. (ad Alba)

ALBA  No so, me stuffo, vago via co la testa; fazzo dei spropositi, e i cria, e mi co i cria, butto le carte in tola.

MARTA  Oh! via, a cossa se zoga? (a Domenica)

DOMENICA  A quel, che i comanda lori. Mi za no zogo.

MARTA  Gnanca ela no zoga? Oh! bella. Donca lassemo star de zogar. (Ho capio; el reobarbaro gh'ha fatto mal).

ZAMARIA  Oe, Domenica, xèstu matta? Coss'è ste scene?

DOMENICA  Via, via; per no desgustar la compagnia, zogherò anca mi.

MARTA  A cossa podémio zogar?

MOMOLO  La se ferma. Mi gh'ho in scarsela la facoltà de cinquanta soldi; se le vol, che li taggia, le servo.

ZAMARIA  No, compare, in casa mia no se zoga a la basseta.

BASTIAN  Zoghemo al mecante in fiera.

MARTA  Sior no, sior no. Mi me piase zogar co le carte in man.

ZAMARIA  Dixè vu, compare Lazaro. Trovè un zogo, che piasa anca a vostra muggier.

ALBA  Mo se mi no zogo.

ZAMARIA  Mo se mi vòi, che la zoga.

LAZARO  Zoghemo a barba Valerio.

POLONIA  Oh! che zogo sempio che 'l trova fora. Più tosto po a la tondina.

MARTA  Ih! un zogo, che no fenisse mai. Vorli, che diga mi?

ZAMARIA  Sì, la diga ela.

MARTA  Zoghemo a la meneghela.

ZAMARIA  Sì, per diana. A la meneghela.

MARTA  In quanti sémio? Chi zoga?

MOMOLO  Mi, per no me perder.

ALBA  Mi no seguro.

ZAMARIA  Giusto mo vu, comare, avè da zogar per la prima. Zogherè con mi.

ALBA  Mo se mi no so.

MARTA  E elo, sior Zamaria, ghe ne sàlo?

ZAMARIA  Mi sarà vint'ani che no ho zogà.

MARTA  Bisogna compagnar un che sa, e un che no sa. Via, la fazza ela, siora Domenica; la unissa ela i zogadori; da brava.

DOMENICA  Mi no so, no gh'ho pratica; la fazza ela.

MARTA  Vorla, che fazza mi?

DOMENICA  Sì, la me fa finezza.

MARTA  Sior'Alba...

ALBA  La me metta con uno, che ghe ne sappia, perché, prima mi no ghe ne so, e po me diol la testa, che la me va in pezzi.

MARTA  La zogherà con mio mario, che 'l xè bravo.

BASTIAN  (Cospetto! M'àla fatto un bel regalo mia muggier!)

MARTA  Sior Momolo zogherà co siora Eleneta.

ELENETTA  Siora?

MARTA  La zogherà co sior Momolo.

ELENETTA  Mi no, la veda.

MOMOLO  La me refuda

MARTA  Via, via, ho inteso. La zogherà co so mario.

MOMOLO  La se ferma. Son qua; chi me vol? Son reffudà. I bocconi reffudai xè meggio dei altri.

MARTA  Vu zogherè con siora Polonia.

POLONIA  No lo voggio.

MOMOLO  Chi no me vol, no me merita.

POLONIA  Varè, che fusto!

MARTA  Via, via, destrighémose, che vien tardi. L'è dita. Siora Polonia, e sior Momolo. Mi zogherò co sior Lazaro, e siora Domenica co sior Anzoleto.

ANZOLETTO  (Sì ben; sto incontro lo desiderava). (si accosta)

DOMENICA  No, cara siora Marta, mi la me lassa fora.

ZAMARIA  Coss'è? Farastu anca ti de le putelae?

DOMENICA  Mi ho da tender de là.

ZAMARIA  Ghe tenderò mi.

MARTA  Aponto. Nol gh'ha compagno, sior Zamaria?

ZAMARIA  Mi no m'importa; che i zoghi loro. Za mi no so, e po anca ghe vedo poco. Animo, la taolada xè fatta. Putti, portè de qua quela tola longa, e delle carieghe. Portè un mazzo de carte, e un piatelo.(i giovani portano tutto) Gh'àli soldoni? Gh'àli bisogno de soldoni?

AGUSTIN  (Sior santolo, caro elo, el me impresta un da vinti).

ZAMARIA  (Coss'è, fiozzo? No gh'avè bezzi?)

AGUSTIN  (Sior no; mia muggier no voi, che porta bezzi in scarsella).

ZAMARIA  Oe, fiozza. (ad Elena)

ELENETTA  Sior. (a Zamaria)

ZAMARIA  (Che diavolo de vergogna! Gnanca vinti soldi in scarsella no volè, che gh'abbia vostro mario?) (ad Elena)

ELENETTA  (Eh! caro sior; coi omeni gh'ha dei bezzi in scarsela, no se sa, che occasion, che ghe possa vegnir). (a Zamaria)

ZAMARIA  (Da una banda no la gh'ha gnanca torto. Digo ben, che xè assae, che Agustin ghe staga). (Tolè, fiozzo, queste xè tre lire).

AGUSTIN  (Cossa vorlo, che fazza de tanti bezzi?)

ZAMARIA  (Podè perder anca de più).

AGUSTIN  (Oh! mi no perdo più de un da vinti).

MARTA  Animo, patroni. Tutti ai so posti.

(Si dispongono tutti a sedere. Domenica in principio della tavola; poi Anzoletto, poi Marta, poi Lazaro, poi Alba, poi Bastian, poi Elena, poi Agostino, poi Polonia, poi Momolo)

ANZOLETTO  (Gh'ho ben piacer de aver l'onor de zogar con ela. La fortuna m'ha volesto beneficar). (a Domenica)

DOMENICA  (Eh! via, caro sior, ch'el vaga a burlar in qualche altro logo). (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (La me permetta, che me possa giustificar).

DOMENICA  (Zitto, zitto; za che mio padre no ha savesto gnente fin adesso, no voggio, che 'l se n'incorza, e che 'l m'abbia da criar senza sugo).(siedono ai loro posti)

MARTA  Mettemo suso do soldi per omo. Semo in diese; do fia diese vinti. La prima carta tira sette. La segonda sie, perché se lassa el soldo dell'invido; e in ultima resta sette. (tutti pongono il loro soldo nel tondino)

ANZOLETTO  (Ghe vòi più ben de quelo, che la se imagina).(a Domenica)

DOMENICA  (Eh! caro sior, s'el me volesse ben, no l'anderave in Moscovia).(ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Ma la prego de considerar...)

DOMENICA  (Zitto, zitto, ch'el tasa).

POLONIA  La diga, siora Domenica. M'imagino, che faremo l'invido ligà.

DOMENICA  Per mi, quel, che la comanda.

POLONIA  Che no se passa un traero.

MARTA  Oh! per un traero no se pol far cazzade! Cossa dìsela ela?

ALBA  Che i fazza pur quel, che i vol. (a Marta) Me casca i occhi da sonno.(a Bastian)

BASTIAN  (Stago fresco! M'ha toccà una bona compagna).

MARTA  (dando le carte per veder a chi tocca) Mi diria, che se podesse invidar almanco do traeri.

AGUSTIN  Mi no voggio che se invida più de do soldi.

MARTA  Tanto fa, che lassemo star.

ZAMARIA  Via, fiozzo, no siè cussì spilorza. Co se ghe xè, se ghe sta.

ELENETTA  Ben; co avemo perso un da vinti, no zoghemo altro.

ZAMARIA  Gh'aveu paura? Zoghè per mi.

ELENETTA  Eh! sior no; zogheremo per nu.

MARTA  Oh! tocca a far le carte a siora Polonia. (passano il mazzo a Polonia)

ZAMARIA (va girando dietro le sedie, e guarda coll'occhialetto)

MOMOLO  Vorla, che le fazza mi per ela? (a Polonia)

POLONIA  Eh! sior no, le so far anca mi. (a Momolo) Se fa lissìa? (mescolando le carte)

MARTA  Siora sì. No vorla?

ZAMARIA  Via, da bravi, e fè de le bele cazzade.

BASTIAN  Sior'Alba gh'ha sonno. La me darà licenza, che parla qualche volta con ela.(a Elena)

ELENETTA  (Eh! sior no; che 'l tenda a la so compagna). (a Bastian)

BASTIAN  (Mo via, no la sia cussì cattiva). (a Elena)

AGUSTIN  (Cossa te dìselo?) (a Elena)

ELENETTA  (Se ti savessi! el me fa una rabia!...) (a Agostino)

AGUSTIN  (Vien qua da mi, che mi vegnirò là). (Agostino ed Elena si mutano di posto)

BASTIAN  (Mo che razza de zente).

ZAMARIA  Coss'è? Coss'è ste muanze? (ad Agostino e ad Elena)

AGUSTIN  Oh! védelo? Mi bisogna, che regola el zogo; de là no podeva, e qua son a bona man.

MARTA  (Mo che scempiezzi!)

ZAMARIA  Putto, fè a modo mio. Stè a casa, no andè in nissun logo, perché al tempo d'ancuo, i ve tacherà i moccoli drio. (ad Agostino, e parte)

SCENA TERZA

Tutti, fuori di ZAMARIA

POLONIA  Alzè.

MOMOLO  Se almanco alzasse la meneghela. (alzando)Dèmele bone, che son bon anca mi. (a Polonia)

POLONIA  (Sì, sì, sior baron). (dando fuori le carte, che si fanno passare di mano in mano)

MOMOLO  (Mo via, che sè la mia cara colona). (a Polonia)

POLONIA  (No ve credo una maledetta). (a Momolo)

MOMOLO  (Mettème a la prova, e vederè, se digo la verità). (a Polonia)

POLONIA  (Ben, ben. Vederemo). (a Momolo, facendo lissìa)

ELENETTA  Mo che carte, che la n'ha dà; se pol far pezo?

DOMENICA  (Mi no gh'ho gnente; tanto fa, che le butta a monte).(ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (No, no; la tegna le carte in man. Vardando le carte, se pol dir qualche paroleta).(a Domenica)

DOMENICA  (Cossa serve parlar? Le xè parole buttade via). (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Me preme de dirghe le mie rason). (a Domenica)

ELENETTA  El re de bastoni. (giuocando) Buttè zo quela. (ad Agostino)

AGUSTIN  Sior no; questa.

ELENETTA  E mi voggio questa. (leva una carte delle tre di Agostino e la butta in tavola)

BASTIAN  (dà giù la sua carta) Via, la responda. (ad Alba)

ALBA  Cossa òggio da responder?

BASTIAN  No la vede? Bastoni.

ALBA  Quala òggio da dar?

BASTIAN  Mo via. L'asso. (le fa dar giù l'asso di bastoni)

ELENETTA  Sia malignazo! Subito l'asso. (tutti gettano la loro carta in tavola)

MARTA  (Che 'l tegna su le so carte. Vorlo, che i ghe veda la meneghela?) (a Lazaro, piano)

LAZARO  (Eh no gh'è pericolo, che nissun me la veda). (piano a Maria)

BASTIAN  Via, la zoga.

ALBA  Cossa òi da zogar? (ad Alba)

BASTIAN  Quel fante.

ALBA  Qual fante?

BASTIAN  Mo quelo, quelo. No la ghe vede? (con impazienza)

ALBA  Mi deboto buto le carte in tola.

BASTIAN  Mo no la vaga in colera. El fante de danari. (giuocando la carta di sior'Alba)

LAZARO  Ve sentìu gnente? (ad Alba, giuocando, e si lascia veder le carte)

ALBA  Gnente. (a Lazaro) (Oe, mio mario gh'ha la meneghela). (piano a Bastian, ridendo)

MARTA  Vorlo tegnir su le so carte? (a Lazaro)

POLONIA  Coss'è, patroni, gh'àli la meneghela? (a Marta e a Lazaro)

MARTA  Eh! gh'avemo dei totani.(rispondendo per sé e per Lazaro)

ANZOLETTO  Danari no ghe n'avemo.(rispondendo)

DOMENICA  (Sti maledetti danari xè queli, che lo fa andar via). (ad Anzoletto, rispondendo colla carta)

ANZOLETTO  (No solamente i danari, ma anca un pocheto de onor). (a Domenica)

MOMOLO  El cavalo, saràvelo bon? (giuocando)

ELENETTA  Sior no; gh'avemo el re. (giuocando)

BASTIAN  E mi l'asso.

ELENETTA  Sì! i gh'ha tutti i assi del mondo.

BASTIAN  Tiremo tredese soldi; e quel soldo chi vol véder la mia carta. (tira i soldi dal piatto)

MARTA  Nualtri un soldeto per omo. (mettono due soldi in piatto)

ANZOLETTO  Nu no volemo gnente.

MOMOLO  Un soldeto mi.

POLONIA  Eh! no, caro vu, che i gh'ha la meneghela.(a Momolo)

MOMOLO  Vedémola.

POLONIA  Mi no voggio.

MOMOLO  Co no volè, sè parona. Co una donna dise no voggio, me rendo subito.

MARTA  Gh'è altri, che voggia gnente?

AGUSTIN  Mi un soldo.

ELENETTA  Sior no.

AGUSTIN  Un soldo!

ELENETTA  Sparagnémolo.

MARTA  E lori, vorli gnente? (a Bastian e ad Alba)

BASTIAN  Gnente a sto mondo.

MARTA  Vostro danno. Vedeu? V'avè fatto cognosser che la gh'avè. (a Lazaro, tirando il piatto)

LAZARO  Mi? Come? (tutti mettono di nuovo i loro due soldi nel tondo, fuori di Domenica e Anzoletto, perché parlano e non badano)

MARTA  Eh! sì, sì, careto; no stè ben a rente vostra muggier.

ALBA  Poverazzo! el xè de bon cuor mio mario.(ridendo)

MARTA  Tocca a far le carte a sior'Elenetta. (dà le carte ad Elena) Via, chi manca a metter su?

ANZOLETTO  Mancheremo nualtri. (prende i quattro soldi)

MARTA  (Mo i compatisso, poverazzi!)

ANZOLETTO  (Se la savesse, quanto che me despiase).(a Domenica)

DOMENICA  (De cossa?)

ANZOLETTO  (De doverla lassar). (mettendo i soldi nel piatto)

DOMENICA  (Busiaro!) (ad Anzoletto)

ELENETTA  Che la leva. (a Polonia, dandole le carte perché alzi)

MARTA  (Siora Domenica, come vàla?) (a Domenica)

DOMENICA  (Qua no se sente altro, che de le busie). (a Marta)

MARTA  (Se sè un putto civil, tratè almanco con sincerità). (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Per farghe véder, che no son busiaro, ghe farà una proposizion). (a Domenica, che senta anche Marta)

DOMENICA  (Che xè?)

ANZOLETTO  (Vorla vegnir in Moscovia con mi?) (come sopra)

MARTA  (Sì ben, che l'accetta. Nol dise mal). (a Domenica)

DOMENICA  (Come?) (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Col consenso de so sior padre). (come sopra)

MARTA  (Se gh'intende). (a Domenica)

DOMENICA  (Sposai?) (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (No vorla?) (come sopra)

MARTA  (Bravo, bravo dasseno). (ad Anzoletto, rimettendosi al giuoco)

AGUSTIN  Spade, che la vegna. (giuocando)

DOMENICA  Spade? Chi zoga spade? (con allegria)

AGUSTIN  Mi; el cinque de spade.

DOMENICA  E mi el cavalo. (allegra butta giù la carta)

MARTA  L'aspetta, che no tocca a ela. (a Domenica) (Adesso la se confonde per l'allegrezza). Via a lori. (a Bastian e ad Alba)

BASTIAN  El re. (dando giù la carta) A ela, la responda. (ad Alba)

ALBA  Son stuffa. (rispondendo con disprezzo)

BASTIAN  (Anca mi).

MARTA  Mi ghe metto l'asso; ma ghe scometto, che vien fora la meneghella. (dà giù la carta)

DOMENICA  Via, che 'l responda. (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Me preme, che la me responda ela). (a Domenica, giuocando)

DOMENICA  (Ghe responderò). (ad Anzoletto)

ELENETTA  Presto, che i se destriga. (a Momolo e Polonia)

POLONIA  Cossa serve? (risponde)

MOMOLO  Vienla? (ad Elena, rispondendo)

ELENETTA  Vèla qua. (dà giù la meneghella con allegrezza)

MOMOLO  Cara culìa!

AGUSTIN  Che i la paga. (con allegria)

MARTA  Xèla sforzada?

ELENETTA  Siora sì. (raccoglie i soldi) Tirè sette soldi. (ad Agostino che li tira dal piatto) Coppe, el sette. (giuoca)

AGUSTIN  El re. (giuoca)

BASTIAN  No tiremo mai. (giuoca)

ALBA  Me vien l'accidia. (giuoca, e si tocca la testa)

MARTA  No ghe n'ho coppe. (giuoca) Via el traga zo quel baston. (a Lazaro)

DOMENICA  (Se mio padre volesse...) (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Se podemo provar). (a Domenica)

MARTA  Via, che i responda. (a Domenica e ad Anzoletto)

DOMENICA  Cossa zógheli?

MARTA  Coppe.

DOMENICA  Cossa gh'è de coppe?

ELENETTA  El re. No la vede?

DOMENICA  Ghe n'avémio nu coppe? Ah! sì, l'asso. (giuoca, e poi parla piano ad Anzoletto)

ELENETTA  Malignazzo! e tanto la sta?

MARTA  (Mi la compatisso).

MOMOLO  Bon pro ve fazza, compare Anzoleto.(forte ad Anzoletto)

ANZOLETTO  De cossa?

MOMOLO  Eh! gnente; de quel asso de coppe, che avè zogà.

DOMENICA  Xela nostra?

POLONIA  No vorla? El xè l'asso, e xè zoso la meneghela.

DOMENICA  La meneghela  xè zo? Aspettè. Tutti quei bezzi chi vol véder la mia carta.

POLONIA  Ih! ih! (meravigliandosi)

ELENETTA  Sior no, sior no.

DOMENICA  Ben. Chi no vol, vaga via.

POLONIA  A monte, a monte. (a Momolo)

MOMOLO  Mi mo la vederia volentiera.

POLONIA  E mi no.

MOMOLO  Ghe scometto, che la xè una bulada in credenza.

POLONIA  Voleu véderla? Soddisfève.

MOMOLO  Cossa dìsela ela colla so prudenza? (ad Elenetta)

ELENETTA  Mi? che 'l fazza el so zogo. (a Momolo, ruvidamente)

MOMOLO  Mo via, no la me tratta mal, che son una persona civil.

AGUSTIN  La fenìmio, sior Momolo?

MOMOLO  Fermève. Quanto àli dito su la so carta?

DOMENICA  Sette soldi, seu sordo?

MOMOLO  Mora l'avarizia, e crepa la gnagnera: sette soldi. (mette i soldi in piatto)

DOMENICA  Che xè altri?

AGUSTIN  Ghe semo nu.

MARTA  E nu gnente. (getta via le carte)

ELENETTA  Oh! figurève, se vòi buttar via sette soldi. Dè qua, dè qua.(prende le carte di Agostino e le butta a monte)

AGUSTIN  Mo via, siora, seu patrona vu? (a Elena)

ELENETTA  Mi la voggio cussì. (ad Agostino)

AGUSTIN  Debotto, debotto...

ELENETTA  Coss'è sto debotto?

AGUSTIN  Insolente.

ELENETTA  Musso.

MOMOLO  Le se ferma.

MARTA  Mo no fali stomego? (a Lazaro, parlando di Agostino e di Elena)

DOMENICA  Via, ghe xè altri?

BASTIAN  Vorla, che i mettemo? (ad Alba)

ALBA  Cossa?

BASTIAN  Sti sette soldi?

ALBA  Per mi, che 'l ghe ne metta anca trenta, cossa m'importa?

BASTIAN  Mo la zoga molto de gusto! Ecco qua sette soldi. (li mette)

DOMENICA  Questo xè el fante de danari. (scopre la carta)

AGUSTIN  Vedeu, siora? (ad Elena)

ELENETTA  E cussì?

AGUSTIN  Col re la m'ha fatto andar via.

ELENETTA  Chi se podeva imaginar, che co una strazza de carta la andasse a invidar sette soldi? Se vede, che la gh'ha dei bezzi da buttar via.

DOMENICA  Cara siora, se zoga; se fa per tegnir el zogo in viva. No gh'avemo bezzi da buttar via; ma no semo gnanca spilorzi.

MOMOLO  La se ferma. Su quel fante altri diese soldetti

BASTIAN  Vorla, che ghe tegnimo? (ad Alba)

ALBA  A mi el me domanda? Co sto sussuro me va atorno la testa che no ghe vedo.

BASTIAN  Son qua mi con diese soldetti.

MOMOLO  Cossa dìsela ela? (a Domenica)

DOMENICA  Per mi, no vòi altro.

MOMOLO  Questo qua xè el lustrissimo sior cavalo.

BASTIAN  Altri diese soldetti su quel lustrissimo sior cavalo. (li mette in piatto)

MOMOLO  El re xè a monte; la meneghela  xè zoso; no gh'è altro, che l'asso. O l'asso, o una cazzada. A Momolo manganer cazzae no se ghe ne fa. Son qua, diese soldi, compare Bastian.

BASTIAN  Aspettè; avanti che i mettè suso, voleu, che spartimo?

MOMOLO  No, compare, o tutti vostri, o tutti mii. (li mette)

BASTIAN  Co l'è cussì, tirèveli.

MOMOLO  Grazie. (vuol tirare il piatto)

BASTIAN  Fermève. Questo xè l'asso, compare.

MOMOLO  Tegnìme la testa, tegnìme la testa.

ELENETTA  Védistu? (ad Agostino)

AGUSTIN  Ti gh'ha rason. (ad Elena)

BASTIAN  Tiremo sto piatelo. (tira il piatto)

ALBA  Xèli tutti nostri?

BASTIAN  Tutti nostri.

ALBA  Tutti nostri?

BASTIAN  Tutti nostri.

ALBA  Oh! bravo sior Bastian, bravo sior Bastian, bravo sior Bastian. (ridendo)

MARTA  Vedeu? Questo xè un bel incontro. Nu de ste fortune no ghe n'avemo. (a Lazaro)

LAZARO  Gh'ho gusto, che mia muggier se diverta. Àla sentio, come che l'ha ridesto?

MARTA  Vardè, vedè! Fè sbarar i mascoli per sta bela cossa. Oh! via, che i metta suso, patroni. Tocca a far le carte a sior Agustin. (Agostino mescola le carte, e tutti mettono)

DOMENICA  (Caro sior Anzoleto, saria troppo felice, se succedesse sta cossa!)

ANZOLETTO  (Se sior Zamaria se contenta, mi la gh'ho per fatibile).

DOMENICA  Mettemo suso.

ANZOLETTO  Son qua mi. (Se la vol, mi ghe parlerò). (a Domenica)

DOMENICA  (Magari!)

AGUSTIN  Alza, via, da brava, alza la meneghela. (ad Elena)

ELENETTA  Vèla qua, vèla qua. (alza la meneghella)

AGUSTIN  El piato, el piato. (tira il piatto, e passa le carte a Bastian)

MOMOLO  Brava, me consolo con ela. (ad Elena)

POLONIA  (Ghe scometto, che so mario ha fatto qualche fufigna per far alzar la meneghela). (a Momolo)

MOMOLO  (Sì, ho visto tutto; la meneghela giera fora del mazzo). (a Polonia)

MARTA  Animo, patroni. Bisogna tornar a metter suso.

ANZOLETTO  (Subito, che s'ha fenio de zogar, mi ghe parlo).

DOMENICA  (Se savesse, come far a fenir). (mettono i denari nel tondo)

BASTIAN  Via, da bravo, alzèla anca vu. (ad Agostino, dandogli da alzare)

AGUSTIN  Eh! sior no. (Basta una volta). (alza)

BASTIAN (dà fuori le carte)

SCENA QUARTA

ZAMARIA e detti

ZAMARIA  Come vàla? (a Domenica)

DOMENICA  Eh! la va ben.(con allegria)

ZAMARIA  Vadagneu? (a Domenica)

DOMENICA  Ho speranza de vadagnar. (guardando Anzoletto)

ANZOLETTO  Cussì spero anca mi. (guardando Domenica)

ZAMARIA  E qua, come vàla? (a Lazaro e Marta)

LAZARO  Ben, sior compare.

MARTA  Ben disè? Se perdemo.

LAZARO  Oe, mia muggier xè de bona voggia.(a Zamaria)

ZAMARIA  Sì? Me consolo. Come vàla, siora comare? (ad Alba)

ALBA  Oimei; che odor gh'àlo intorno, sior compare?

ZAMARIA  Pol esser, che me sapia le man da nosa muschiada.

ALBA  Oh! che 'l vaga via, che no posso soffrir sta spuzza.

ZAMARIA  Spuzza, ghe disè?

ALBA  Che 'l vaga via, che debotto me vien mal.

LAZARO  Mo, andè via, caro sior compare. (alzandosi un poco)

ZAMARIA  Ih! ih! cossa gh'òggio intorno? El contagio? E qua come xèla? (a Momolo)

MOMOLO  Mi son el tipo del delirio. Sfortunà al zogo; sfortunà in amor. Chi me scazza, chi me brontola, chi me cria; all'ultima de le ultime, fazzo conto, che anderò in Moscovia anca mi.

POLONIA  Cossa andereu a far in Moscovia?

MOMOLO  A impastar el caviaro.

ZAMARIA  Oh! che caro matto.(va del bello girando dietro le sedie)

MARTA  Oh! via, a chi tocca a zogar?

BASTIAN  Aspettè, che fazza la mia lissìa.(fa la scelta delle carte)

DOMENICA  (Se 'l savesse! gh'ho una paura, che 'l diga de no mio padre, che tremo).(ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Crédela, che a mi nol me la voggia dar?)

DOMENICA  (Se 'l stasse a Venezia, no gh'averia nissun dubbio; ma andando via, nol gh'ha altro, che mi; e so che l'ha dito cento volte, che lontana da elo, nol vol assolutamente, che vaga).

ANZOLETTO  (Questa la me despiaserave infinitamente).

ZAMARIA (arriva sopra la sedia di Domenica, senza ch'ella se ne accorga)

DOMENICA  (E per questo s'avemio da abandonar?) (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Mi no me perdo de coragio cussì per poco). (a Domenica)

ZAMARIA  (Che interessi gh'àli sti siori?)

BASTIAN  Via, che la zoga quel asso. (ad Alba)

ALBA  L'asso de coppe. (giuocando)

DOMENICA  Oh! qua el xè? (a Zamaria scoprendolo, mortificata)

ZAMARIA  De cossa se descorre, patroni?

DOMENICA  Consegiévimo le nostre carte.

ZAMARIA  E cossa parlèvi de abandonar?

DOMENICA  De abandonar?

ANZOLETTO  Sior sì; ghe par a elo, che queste sia carte da abandonar? Ghe par a elo, che qua no se possa chiapar? La voleva buttar via le so carte; no, digo mi, tegnìmole suso. Mi no me perdo de coragio per cussì poco.

ZAMARIA  Sì ben; se i zoga qua, se ghe dà questa, e co st'altra se pol far zogo.

BASTIAN  A proposito de abandonar, aveu savesto sior Zamaria, che sior Anzoleto ne abandona?

ZAMARIA  Sior sì, l'ho savesto; ma el m'ha anca promesso, che 'l me manderà dei dessegni; n'è vero, fio mio?

ANZOLETTO  Sior sì, ho promesso, e li manderè.

BASTIAN  Caro sior Anzoleto, co andè via vu, cossa serve, che mandè i dessegni? Co no sè vu assistente al teler, credeu che i testori possa redur i drappi segondo la vostra intenzion?

ANZOLETTO  Caro sior Bastian, la perdona. La fa torto, a dir cussì, a persone che gh'ha la pratica, che gh'ha esperienza, e che gh'ha abilità. Xè tanti anni, che i laora sui mii dessegni, che oramai i gh'ha poco bisogno de mi. Per maggior cautela, farò i dessegni più sminuzzadi, con tutti quei chiari, e scuri, e con tutti quei ombrizamenti, che sarà necessari. Minierò le carte; ghe sarà su i colori. No la s'indubita; gh'ho tanta speranza, che i aventori sarà contenti; e che 'l so servitor Anzoleto no ghe sarà desutile gnanca lontan.

BASTIAN  Cossa disèu, sior Lazaro? Seu persuaso?

LAZARO  Mi sì, che 'l manda pur, e che nol se dubita gnente.

ZAMARIA  E po, cossa serve? No dìselo, che 'l tornerà?

BASTIAN  Oh! mi mo credo, che nol torna altro,

ANZOLETTO  Per cossa crédelo, che non abbia più da tornar?

ZAMARIA  Che i zoga, che i zoga, che co i averà fenio de zogar, parleremo. Gh'ho una cossa in mente. Chi sa? Co se vol, che 'l torna, so mi quel, che ghe vol per farlo tornar. Via, che i se destriga, che debotto xè ora da andar a cena.

BASTIAN  Nu gh'avemo in tola l'asso de coppe. (tutti rispondono) La zoga quel, che la vol. Quel diese de bastoni. (Ad Alba. Tira i sette soldi)

SCENA QUINTA

COSMO  e detti

COSMO  Siora Polonia, xè qua una franzese, che la domanda ela.

POLONIA  Dasseno? (Me despiase, che semo qua).

ZAMARIA  Chi èla sta franzese, che ve domanda? (a Polonia)

POLONIA  La sarà madama Gatteau, la recamadora.

ZAMARIA  Sì, la cognosso. Se volè, fela vegnir avanti.

ANZOLETTO  (Madama Gatteau!) (a Domenica)

DOMENICA  (Sior sì, ghe conterò tutto). (ad Anzoletto)

POLONIA  Via; za che sior Zamaria se contenta, disèghe, che la resta servida.(a Cosmo)

COSMO  Benissimo. (La par la marantega vestia da festa). (parte)

SCENA SESTA

MADAMA GATTEAU e detti

MADAMA  Messieurs, mesdames. J'ai l'honneur de vous saluer. (fa riverenza a tutti)

ZAMARIA  Madama, la reverisso.

MADAMA  Votre servante, monsieur.

ANZOLETTO  Servo, madama Gatteau.

MADAMA  Bon soir, mon cher Anjoletto.(riverenza amorosa)

POLONIA  Madama Gatteau.(chiamandola)

MADAMA  Me voici, madamoiselle. (fa riverenza a tutti, e passa vicino a Polonia)

ALBA (si agita, fa dei contorcimenti)

MOMOLO  Forti. Com'èla? (verso sior'Alba, alzandosi)

MARTA  Coss'è? Cossa gh'àla? (ad Alba)

BASTIAN  Ghe vien le fumane? (ad Alba)

LAZARO  Cossa gh'aveu, fia mia?

ALBA  Ho sentio un odor, che me fa morir. (come sopra)

MARTA  Anca mi ho sentio qualcossa, ma no capisso.

MOMOLO  Lavanda, sampareglie, odori che consola el cuor.

BASTIAN  Odori de madama Gatteau.

LAZARO  Sia maledìo sti odori.

ALBA  Me vien mal.

MOMOLO  Fermève, che so qua mi. (s'alza)

ZAMARIA  Presto, va là, agiùtila. No ti vedi? (a Domenica)

DOMENICA  (Cossa vorlo? Che impianta qua madama Gatteau? Le xè tante). (a Zamaria)

MARTA  La vegna qua, sior'Elena, la me daga una man.

ELENETTA  Son qua. Poveretta! la me fa peccà.

DOMENICA  Siora Polonia, cara fia, menèla in te la mia camera. (a Polonia)

POLONIA  Siora sì, volentiera. (Sia malignazo sti muri de meza piera). (Polonia e Marta conducono via sior'Alba)

MOMOLO  Aséo, bulgaro, assa fetida, pezza brusada; presto, miedego, chirurgo, spizier. Mi vago intanto a darme una scaldadina. (parte)

LAZARO  Caro sior Zamaria, che 'l vegna de là con mi.

ZAMARIA  No ghe xè tre done?

LAZARO  Se bisognasse mandar a chiamar qualchedun.

ZAMARIA  Podè andar anca va, se bisogna.

LAZARO  Mi no gh'ho cuor de abandonar mia muggier. (parte)

ZAMARIA  Anca mi gh'ho qualcossa da far.

BASTIAN  Anderò mi, sior Zamaria, anderò mi. Cara madama, con quei vostri odori...

MADAMA  Pardonnez-moi, monsieur. Je n'ai pas de mauvaises odeurs.

BASTIAN  Pardonnez-moi, madame; vous avez des odeurs détestables. (parte)

MADAMA  Fy donc, fy donc.

AGUSTIN  (Dove che xè mia muggier, ghe posso andar anca mi). (in atto di partire)

ZAMARIA  Dove andeu, fiozzo?

AGUSTIN  Vago de là un pocheto.

ZAMARIA  Aveu paura, che i ve magna vostra muggier?

AGUSTIN  Oh! giusto; vago cussì, per véder se bisognasse qualcossa. (va via correndo)

ZAMARIA  Mo el xè ridicolo quel, che sta ben.

ANZOLETTO  (Sior Zamaria; za che gh'avemo sto poco de tempo, se me dè licenza, ve vorave parlar).

ZAMARIA  Sior sì, volentiera; vegnì de là con mi. (parte)

ANZOLETTO  Prego el Cielo, che nol me diga de no. Quella povera putta me despiaserave tropo a lassarla. (parte)

SCENA SETTIMA

DOMENICA e MADAMA GATTEAU

DOMENICA  Ve prego de compatir, madama, se siora Polonia, per causa mia, v'ha mandà a incomodar.

MADAMA  C'est un honneur pour moi. (riverenza)

DOMENICA  Mo fème el servizio de parlar italian.

MADAMA  Io so poco parlare, poco.

DOMENICA  Eh! che parlè benissimo.

MADAMA  Vous êtes bien bonne, mademoiselle. (riverenza)

DOMENICA  Disème, cara madama; sior Anzoleto dessegnador xèlo veramente impegnà d'andar in Moscovia?

MADAMA  Oui, mademoiselle, il est engagé, très engagé.

DOMENICA  E gh'avè d'andar anca vu?

MADAMA  Oui, mademoiselle. Nous irons ensemble. Il y aura une voiture à nous deux.

DOMENICA  Mo fème el servizio de parlar italian.

MADAMA  Alons toujours italiano; parlare sempre italiano.

DOMENICA  Disème, cara madama; se 'l menasse con elo una zovene, no l'anderave in sedia con vu? (scherzando)

MADAMA  Ah fy, mademoiselle! Me connoissez-vous bien? Je suis honnête femme, et en outre... e oltre questo, come potrebbe esser possibile, ch'io vedessi altra femmina con Anjoletto, qui est mon cher ami, mon cher amour, mon mignon?

DOMENICA  Come! sè innamorada de sior Anzoleto? (con maraviglia)

MADAMA  Hélas! mademoiselle, je ne vous le cacherai pas.

DOMENICA  (Oh! vecchia del diavolo. Squasi squasi me l'ho imaginada. Ma, grazie al Cielo, no la me dà zelosia). Lo sàlo elo, che ghe sè inamorada?

MADAMA  Mademoiselle; pas encore tout affait.

DOMENICA  Perché no ghe l'aveu dito?

MADAMA  Ah! la pudeur... Come voi dite? Il rossore me lo ha impedito.

DOMENICA  Seu ancora da maridar?

MADAMA  Non, mademoiselle. Io ho avuto trois mariti.

DOMENICA  E ve xè restà ancora la pudeur?

MADAMA  Oui, per la grazia du Ciel.

DOMENICA  E andar con elo da sola a solo da Venezia fin a Moscovia, no patiria gnente la pudeur?

MADAMA  Io son sicura della mia virtù.

DOMENICA  Sì, per la vostra virtù, e anca un pocheto per la vostra età.

MADAMA  Pour mon âge? Pour mon âge, vous dites, mademoiselle? Quanti anni mi donate voi?

DOMENICA  Mi no saveria; no vorave dir un sproposito. Sessanta? (per farghe grazia).

MADAMA  Beaucoup moins, beaucoup moins.

DOMENICA  Come? Cossa disèu?

MADAMA  Molto meno, molto meno.

DOMENICA  Cinquanta?

MADAMA  Molto meno.

DOMENICA  Quaranta?

MADAMA  Un poco meno.

DOMENICA  Bisogna dir, madama, che le donne al vostro paese, de tre mesi le parla, de tre ani le se marida, de vinti ani le sia vecchie, e de quaranta decrepite.

MADAMA  Vous vous moquez de moi, mademoiselle. (sdegnosa)

DOMENICA  Mi no moco gnente. Digo cussì per modo de dir.

MADAMA  Io amo molto monsieur Anjoletto; e il Cielo lo ha fatto nascere per la mia consolassione. Lui faira suoi dissegni; je fairai miei ricami, e guadagneremo beaucoup d'argento, e viveremo ensemble in perfecta pace, in perfecto amore; je l'adorerai, il m'adorera.

DOMENICA  Ho paura, madama, che 'l v'adorerà poco.

MADAMA  Pourquoi donc, s'il vous plaît?

DOMENICA  Purquè, purquà  el xè inamorà de una zovene.

MADAMA  Est-il possible?

DOMENICA  La xè cussì, come che ve digo mi; e ve dirò mo anca de più: che pol esser, che sta zovene el la voggia sposar, che 'l la voggia menar in Moscovia con elo.

MADAMA  Je ne puis pas croire; mais si tout è vero quel, che voi dite; si monsieur Anjoletto è amoroso di un'altra giovine, je fairai le diable à quatre; et monsieur Anjoletto non anderà più in Moscovia. Je n'irai pas, mais il n'ira pas; oui: je n'irai pas, mais il n'ira pas.

DOMENICA  Poveretta! me despiase de averve dà sto travaggio.

MADAMA  E chi è questa femmina, che mi vuol rapire mon petit coeur?

DOMENICA  No so; no so ben chi la sia.

MADAMA  Si vous ne la connoissez-pas, je me flate, mademoiselle...

DOMENICA  Cossa? Ve vien el flato?

MADAMA  Point de plesanteries; je dico, ch'io mi lusingo, che monsieur Anjoletto non sarà amoroso di altra, che de moi.

DOMENICA  E mi ve digo de certo, che 'l xè amoroso de un'altra, e che son squasi segura, che 'l la sposerà.

MADAMA  Non, non; je ne le crois pas.

DOMENICA  Se volè crepar, mi no so cossa farve.

MADAMA  Je dis, non lo credo, non lo credo. Il faut que je lui parle; bisogna, che io gli parli, che io lo veda. Il faut, que je lui découvre ma flamme, et je suis sure, qu'il saura me préférer à toute autre. D'ailleurs, s'il est cruel, s'il est barbare contre moi, je jure, parole d'honnête femme: je n'irai pas en Russie, mais il n'ira pas; je n'irai pas, mais il n'ira pas. (parte)

DOMENICA  Mo va là, fia mia, che ti xè un capo d'opera. Pàrleghe quanto, che ti vol, che per grazia del Cielo no ti xè in stato de metterme in zelosia. Me despiase, che la dise, per quel che posso capir: mi non anderò, ma non l'anderà gnanca lu. No so, perché la lo diga; no so, che man, che la gh'abbia; e se possa depender da ela el farlo andar, o no farlo andar. Pol esser anca, che la se lusinga, senza rason, come che la se lusingava, che 'l gh'avesse da voler ben; e che la creda, che, scrivendo ai so amici, ghe possa bastar l'anemo de farlo restar, per astio, per vendetta, o per speranza col tempo de farlo zo. Mi no so cossa dir; se no l'andasse per causa mia, me despiaserave, e per dir la verità, gh'averave gusto de andar anca mi; ma finalmente, se 'l restasse a Venezia, che mal sarave per elo? Za nol ghe n'ha bisogno; el sta ben dove che 'l xè, e qua no ghe manca da laorar. El va via, più per capricio, che per interesse. Bezzi no credo, che 'l ghe ne voggia avanzar. Lo conosso, el xè un galantomo: vadagna poco, vadagna assae, in fin dell'anno sarà l'istesso. El dise, che 'l va via per l'onor. Cossa vorlo de più de quel, che l'ha avudo qua? No s'ha visto fina quatro, o cinque teleri in t'una volta laorar sui so dessegni? No xè piene le boteghe de roba dessegnada da lu? Vorlo statue? Vorlo trombe? Vorlo tamburi? Sarave forsi meggio per elo, e per mi, che 'l restasse qua: che se a diese ghe despiaseria, che 'l restasse; ghe sarà cento, che gh'averà da caro, che 'l resta.(parte)

ATTO TERZO

SCENA PRIMA

DOMENICA e POLONIA

DOMENICA  La xè cussì, fia mia, come che ve conto.

POLONIA  Tutto averave credesto, ma no mai, che quela vecchia s'avesse incapricià de quel putto.

DOMENICA  Poverazza! La vorave el quarto mario.

POLONIA  E se vede, che la 'l vol zovene.

DOMENICA  No crederave mai, che Anzoleto fasse sta bestialità.

POLONIA  No lo credo cussì minchion; e po no m'àla dito, che 'l s'ha dichiarà de volerla sposar?

DOMENICA  Sì, cussì l'ha dito; ma bisogna sentir cossa che dirà mio sior padre.

POLONIA  Sentiremo. No pàrleli insieme adesso?

DOMENICA  I parla; ma i va drio molto un pezzo. Se savessi co curiosa che son!

POLONIA  Mi la compatisso.

DOMENICA  Ho paura, che sior padre no me voggia lassar andar.

POLONIA  No se xè gnancora seguri, che sior Anzoleto abbia d'andar. Per quel, che ha dito la vecchia, no xèlo ancora in forsi d'andar?

DOMENICA  Basta; sia quel, ch'esser se voggia; che 'l vaga, o che 'l staga, me basta, che 'l sia mio mario.

POLONIA  El Cielo ghe conceda la grazia.

DOMENICA  E vu, fia, co sior Momolo, come vàla?

POLONIA  No védela, che corlo che 'l xè? Come pòssio fidarme?

DOMENICA  Mettèlo alle strette, e che 'l ve resolva; o un bel sì, o un bel no.

POLONIA  Certo, che cussì mi no voggio più star.

DOMENICA  Oh! xè qua siora Marta. Sentimo, cossa che fa sior'Alba.

SCENA SECONDA

MARTA e dette

MARTA  Mo quante scene! mo quante smorfie! mo quante scene!

DOMENICA  De chi, siora Marta?

MARTA  De quela cara sior'Alba.

POLONIA  Causa so mario. Se so mario no la segondasse, no la le farave.

DOMENICA  Ghe xè passà? (a Marta)

MARTA  Ghe xè passà, ghe xè tornà; ghe xè tornà a passar. Ora la pianze, ora la ride; la xè una cossa, che se i la mettesse in comedia, no i lo crederia.

DOMENICA  Debotto xè ora de andar a cena. Vegnirala a tola sior'Alba?

MARTA  Rèstela qua la recamadora franzese?

DOMENICA  Sior padre l'ha invidada; no so, pol esser de sì, che la resta; ma per certe scenette, che xè nate, pol esser anca de no.

MARTA  Oh! se la ghe xè ela, sior'Alba no vien a tola seguro.

POLONIA  Per i odori forsi?

MARTA  Per i odori.

POLONIA  Adesso, adesso anderò mi de là; e sentirò dove diavolo, che la gh'ha sti odori; e vederò, se ghe li posso levar.

DOMENICA  Sì, cara fia, andè de là; parlèghe, e vedè de scavar circa quel negozio, che vu savè.

POLONIA  Siora sì; la lassa far a mi. Mi con madama gh'ho confidenza; posso parlarghe con libertà.

DOMENICA  Fè per mi, che anca mi farò qualcossa per vu.

POLONIA  Ghe raccomando; se la pol dirghe do parole a Momolo, la senta, che intenzion, che 'l gh'ha.

DOMENICA  Siora sì; lo farò volentiera.

MARTA  Brave! Da bone amighe: ve aggiutè una con l'altra.

POLONIA  Cossa vorla far? Una man lava l'altra.

MARTA  E tutte do, cossa làvele?

POLONIA  Tutto quel, che la vol. (parte)

SCENA TERZA

DOMENICA e MARTA

MARTA  Ghe xè gnente da novo de sior Anzoleto?

DOMENICA  No so; el xè de là co sior padre.

MARTA  Sperémio ben?

DOMENICA  Chi sa?

MARTA  Vèlo qua; vèlo qua sior Anzoleto.

DOMENICA  Oimè! propriamente me trema el cuor.

SCENA QUARTA

ANZOLETTO  e dette

MARTA  Com'èla, sior Anzoleto?

ANZOLETTO  Mal.

DOMENICA  Come mal?

ANZOLETTO  No gh'è caso; ho dito tutto quel, che podeva dir: e nol se vol persuàder, e no gh'è remedio che 'l se voggia piegar.

DOMENICA  Poveretta mi!

MARTA  Mo, per cossa?

ANZOLETTO  Per dir la verità, el m'ha parlà con tanto amor, e con tanta bontà, che 'l m'ha intenerio. El dise, e 'l protesta, che se stasse qua, el me la daria la so putta con tutto el cuor; ma andando via, e andando cussì lontan, nol gh'ha cuor de lassarla andar. Nol gh'ha altri, che ela; el ghe vol ben; el xè vecchio; el gh'ha paura de no véderla più; nol vol restar solo, senza nissun dal cuor. No so cossa dir, el m'ha fato pianzer; me diol in te l'anema, me sento a morir; ma co no gh'è remedio, bisogna rassegnarse al destin.

DOMENICA  Ah! pazzenzia.

ANZOLETTO  Cara siora Domenica, el Cielo sa, se ghe voggio ben. Ghe prometto alla presenza de sta signora, sull'onor mio, in fede de galantomo, de omo onesto, e da ben: altre che ela no sposerò. La lassa, che vaga; tornerò presto; vegnirò a sposarla; ghe lo zuro con tutto el cuor.

MARTA  (Propriamente me intenerisso anca mi). Via, siora Domenica, cossa vorla far? No séntela? El ghe promette de vegnirla a sposar.

DOMENICA  Eh! cara ela, col sarà via de qua, nol s'arecorderà più de mi.

ANZOLETTO  No son capace de usar ingratitudine con chi che sia, molto manco con ela, verso la qual gh'ho tanta stima, tanto debito, e tanto amor.

MARTA  Mo, caro sior Anzoleto, za che professè a siora Domenica tanto amor; perché no ve resolveu de restar?

ANZOLETTO  No posso; son in impegno. Ho dà parola; bisogna andar.

DOMENICA  Ma seu seguro veramente de andar?

ANZOLETTO  Se vivo, son segurissimo.

DOMENICA  Aveu parlà con madama Gatteau?

ANZOLETTO  Mi no. Cosa dìsela? Apponto; cossa xèla vegnua a far qua?

DOMENICA  No savè, che la ve vol ben? Che la xè inamorada de vu?

ANZOLETTO  De mi?

MARTA  Disèu dasseno, siora Domenica?

DOMENICA  Pur tropo digo la verità.

ANZOLETTO  Pur tropo, la dise? Cossa xè sto pur tropo? Me crederàvela cussì matto?

DOMENICA  Eh! caro sior; la xè vecchia, xè vero; ma soli, in t'un calesse, in t'un viazo cussì lontan, no se sa quel, che possa nasser.

MARTA  Cossa diavolo voleu, che nassa?

ANZOLETTO  Se credesse, che sta cossa ghe fasse ombra, anderò solo, no m'importa de compagnia. Intanto ho accettà d'andar con madama, in quanto m'ha parso, che la so età me podesse assicurar da ogni critica, e da ogni mormorazion. Da resto, no m'importa d'andar con ela, e no gh'anderò.

DOMENICA  Sì; ma la se protesta, che se ghe negherè corespondenza al so amor, no l'anderà ela, e no anderè gnanca vu.

ANZOLETTO  Cossa gh'ìntrela in t'i fatti mii? Xèla ela forsi, che me fa andar?

DOMENICA  Mi no so altro; ve digo, che a mi colla so bocca la m'ha dito cussì.

MARTA  Sior sì; la xè capace de scriver de le lettere contra de vu; de farve perder el credito, e de farve del mal.

ANZOLETTO  Mi no so cossa dir. Se la gh'ha sto cuor, che la 'l fazza, che gnanca per questo mi no me saverò vendicar. Mi stimo madama Gatteau. La xè una brava recamadora, e dei so recami mi non ho mai dito mal. Perché me vorla insolentar mi? Perché vorla dir mal de mi? Lassemo star da una banda sto so ridicolo amor, che 'l xè un pettegolezzo, che no val gnente. In cossa se vorla taccar per descreditarme? Forsi, perché i mii dessegni xè d'un gusto diverso dai so recami? Mi venero i sói, e ela no poderà mai arivar a destruzer i mii. El Cielo benedissa le so fatture, e a mi me daga grazia de no pezorar ne le mie. Fazza madama quel, che ghe par; mi anderò in Moscovia, e sarà de mi quel che 'l Cielo destinerà.

MARTA  Sior sì; parla, parla. La conclusion xè questa: anderò in Moscovia.

DOMENICA  E mi poverazza resterò qua.

ANZOLETTO  La veda ela, se ghe basta l'anemo co so sior padre... (a Domenica)

MARTA  Vorla, che ghe parlemo? Vorla, che andémo insieme a parlarghe? (a Domenica)

DOMENICA  Sì, cara ela. La me fazza sto ben. La vegna de là con mi. Da mia posta no gh'averia coraggio de parlar.

MARTA  Andémo.

ANZOLETTO  Prego el Cielo, che le gh'abia più fortuna de mi.

DOMENICA  Lo disèu de cuor?

ANZOLETTO  El Cielo me fulmina, se no digo la verità.

MARTA  Andémo, siora Domenica, andémo, che gh'ho bona speranza. Mi, co me metto in te le cosse, ghe riesso. (parte)

DOMENICA  Caro Anzoleto, e averessi cuor de lassarme?

ANZOLETTO  No so cossa dir... La vede, in che stato, che son...

DOMENICA  Mo andè là, che saressi un gran can. (parte)

SCENA QUINTA

ANZOLETTO, poi MADAMA GATTEAU

ANZOLETTO  Veramente a sta putta xè qualche tempo, che ghe voggio ben; ma la so modestia no ha mai fatto, che conossa el so amor. Adesso, che son per partir, la me fa saver quel che no saveva e s'ha aumentà estremamente la mia passion. Con tutto questo, nassa quel che sa nasser, ho rissolto, ho promesso, e bisogna andar. Se non andasse, no se dirave miga: nol va, perché el s'ha pentio; ma se dirave piutosto: nol va, perché no i lo vol. L'ha parlà senza fondamento; no i giera altro i sói che casteli in aria; coss'hai da far in Moscovia de un cattivo dessegnador?  A ste cosse ghe son avezzo. No le me fa certo specie; ma la prudenza insegna de schivarle, co le se pol schivar.

MADAMA  Ah! mon cher Anjoletto...

ANZOLETTO  Coss'è, madama, cossa me voressi dir? (alterato)

MADAMA  Doucement, mon ami, doucement, s'il vous plaît.

ANZOLETTO  Scusème. Son un poco alterà.

MADAMA  J'ai quelque chose à vous dire.

ANZOLETTO  Avè da dirme qualcossa?

MADAMA  Oui, mon cher ami.

ANZOLETTO  E ben; cossa voleu dirme?

MADAMA  J'ai de la peine à me déclarer; mais il le faut pour ma tranquillité. Hélas! je meurs pour vous.

ANZOLETTO  Permettème madama, che ve diga con pienissima libertà, che ve ringrazio de l'amor che gh'avè per mi; ma che 'l mio stato presente, e l'impegno, che gh'ho co siora Domenica, che amo, quanto mi stesso, me rende incapace d'ogni altro amor. Sta vostra dichiarazion me mette in necessità de abandonar l'idea de vegnir in Moscovia con vu; ma in Moscovia spero de andarghe, e se 'l Cielo vol, ghe anderò. So, che ve sè protestada de voler scriver contro de mi; sfoghève pur, se volè; ma sappiè, che no gh'ho paura de vu. Ve digo per ultimo, per via de amichevole amonizion, tra vu e mi, che nissun ne sente: pensè ai vostri anni, e vergognève d'una passion, che xè indegna dela vostra età, e che ve pol render oggetto de derision. (parte)

SCENA SESTA

MADAMA GATTEAU

MADAMA  Oh Ciel! quel coup de foudre! Suis-je moi-même? ou ne suis-je plus qu'une ombre, un fantôme? Ai-je tout d'un coup perdu ces grãces, ces charmes?... (tira fuori uno specchio, e si guarda) Hélas! suis-je donc si vieille, si laide, si affreuse? Ah! malheureuse Gatteau.

SCENA SETTIMA

ZAMARIA e la suddetta, poi COSMO

ZAMARIA  Coss'è, madama? cossa xè stà?

MADAMA  Ce n'est rien, ce n'est rien, monsieur; c'est une fleur, que je ne sçaurois placer, qui me met en colère. (mostra accomodarsi un fiore della cuffia)

ZAMARIA  Parlè italian, se volè, che ve intenda.

MADAMA  Je dis, ch'io sono arrabbiata con un fiore della mia cuffia.

ZAMARIA  Mo via, cara madama, no ve desperè per sta sorte de cosse. (Oh! povereto mi! Xèla questa per mi una sera de carneval, o xèla la sera dei desperai?)

MADAMA  Dite, monsieur Jamaria: pare a voi, ch'io sia vecchia, ch'io sia brutta, ch'io sia detestabile?

ZAMARIA  No, madama; chi v'ha dito sta cossa? Vu brutta? No xè vero gnente. Sè in bona età, sè pulita, fè la vostra fegura.

MADAMA  Ah! l'honnêt homme, que vous êtes, monsieur Jamaria!

ZAMARIA  (Per dir la verità, la gh'ha i so anetti, ma la i porta ben, e la xè una dona de sesto).

MADAMA  Monsieur Anjoletto ha avuto la témérité de me dire des sottises, des impertinences.

ZAMARIA  Cara fia, i xè cussì i zoveni; no i gh'ha giudizio. No i pensa, che i ha da vegnir vecchi anca lori.

MADAMA  Est-il vrai, monsieur Jamaria, che vostra figlia ira in Moscovia avec monsieur Anjoletto?

ZAMARIA  Cara vu, tasè. No so gnente. M'ha parlà el putto, e gh'ho dito de no; m'ha parlà la putta, m'ha parlà siora Marta, e no gh'ho dito né sì, né no. Le ho voleste tegnir in speranza, per non desturbar la conversazion. Se volè andar in Moscovia con Anzoleto, comodève, che mia fia no gh'ho intenzion, che la vaga.

MADAMA  Non, monsieur Jamaria; monsieur Anjoletto non è pas digne de moi. Il a avuto la témérité di sprezzarmi. Je mourerois piuttosto, che andar con lui. Il è vrai, che sola non posso andare. Che non sono ancora sì vecchia, e che ho con me molto argento, e avrei bisogno de la compagnie di un onest'uomo; mais je aborrisco questi giovani impertinenti, e je voudrois accompagnarmi con un uomo avanzato.

ZAMARIA  Sì ben, ve lodo, e sarà meggio per vu.

MADAMA  Est-il vrai, monsieur Jamaria, que vous êtes veuf?

ZAMARIA  Come? Se mi son vovi?

MADAMA  Voglio dire: è vero che voi siete vedovo?

ZAMARIA Siora sì; son veduo.

MADAMA  Oh! la miserabile vita, ch'è quella di noi poveri vedovelli! Pourquoi non vi maritate, monsieur Jamaria?

ZAMARIA  Oh! che cara madama. Ve par, che mi sia in stato de maridarme?

MADAMA  Comment, monsieur? Un homme, come voi siete, potrebbe svegliare le fiamme de Cupidon dans le coeur d'une jolie dame.

ZAMARIA  Oh! che cara madama.

MADAMA  Voi siete fresco, robusto, adorabile.

ZAMARIA  Disèu dasseno?

COSMO  Sior padron, la vegna de là in cusina a dar un'occhiada, e ordenar cossa che s'ha da metter in tola.

ZAMARIA  Dove xè mia fia?

COSMO  La xè de là con quelle altre signore.

ZAMARIA  Vegno mi donca. (Cosmo parte) Con grazia, madama, vago de là, perché i vol metter in tola. Se volè andar in camera da mia fia, comodève.

MADAMA  Non, monsieur, je resterai ici, se voi mi donate la permission.

ZAMARIA  Comodève, come volè. A revéderse a tola.

MADAMA  Ricordatevi, ch'io voglio a table sedere appresso di voi.

ZAMARIA  Arente de mi?

MADAMA  Oui, monsieur, si vous plaît. (riverenza)

ZAMARIA  (Oh! che cara madama. La xè godibile, da galantomo). (parte)

SCENA OTTAVA

MADAMA GATTEAU, poi MOMOLO

MADAMA  Oui, monsieur Jamaria seroit mieux mon fait. Il n'est plus jeune, mais il est encore frais. Il est libre sur tout. Il trouve, que je ne suis pas vieille ni laide, et il a raison. Voyons un peu. (tira fuori lo specchietto) Oui, mes yeux sont toujours frippons. La colère m'a fait changer. Mettons du rouge. (tira fuori una scatoletta, e si dà il belletto col pennello)

MOMOLO  Madama, vostro servitor tre tombole.

MADAMA  Monsieur, votre servante. (fa la riverenza, e seguita a bellettarsi)

MOMOLO  Brava! pulito, cussì me piase; senza suggizion.

MADAMA  Monsieur, so bene, che questo si fa in Italia segretamente; mais nous en France ci diamo il rosso pubblicamente, et parmi nous ce n'est pas un inganno, mais un usage, une galanterie. (ripone il tutto)

MOMOLO  Siora sì; la xè un'usanza, che no me despiase. Piutosto una riosa de so man, che un cogumero de so piè. La favorissa de vegnir al supè.

MADAMA  Pardonnez-moi, monsieur. Je n'ai pas l'honneur de vous connoître.

MOMOLO  No la me conosse? Mi son el complimentario de la maison.

MADAMA  Êtes vous de ces messieurs? De ces ouvriers en soie?

MOMOLO  Coman, madama? Io non intender.

MADAMA  Siete voi di questi signori... Come si dice? Che fanno: tri, tra, tri, tra, tri, tra? (fa il moto di quei che tessono)

MOMOLO  No, madama. Io sono di queli che fano: i, u, i, u, i, u. (fa il moto della ruota del mangano)

MADAMA  Êtes vous gondoliere? (fa il cenno di vogare)

MOMOLO  No, diable, no star barcariolo. Star patron de mangano.

MADAMA  Che cosa vuol dir mangano?

MOMOLO  Vuol dir gran pietra, gran pietra, e metter sopra tutto quel, che voler; e dar onda, e manganar, sea, lana, tela, e anca vecchia, se bisognar.

MADAMA  Oui, oui, la calandre, la calandre.

MOMOLO  La calandra, la calandra.

MADAMA  Eh bien, monsieur, ne m'avez vous pas dit, qu'on a servi?

MOMOLO  Comuòdo?

MADAMA  Non m'avete voi detto, che hanno servito la soupe?

MOMOLO  I ha servio la sopa? (con maraviglia, non intendendo)

MADAMA  Oui, che hanno messo in tavola?

MOMOLO  Uì, uì, hanno messo in tavola.

MADAMA  Alons donc, si vous plaît.

MOMOLO  Comàndela, che la serva? (le offerisce la mano)

MADAMA  Bien obligée, monsieur Manganò.

MOMOLO  M'àla tolto mi per el mangano?

MADAMA  Êtes vous marié?

MOMOLO  Siora no, son putto.

MADAMA  Et pourquoi no vi maritate?

MOMOLO  No me marido, perché nessuna me vol.

MADAMA  Cependant, vous meritez beaucoup.

MOMOLO  Grazie a la so bontà.

MADAMA  Je ne puis pas dire d'avantage.

MOMOLO  Chi l'impedisce, che non la parla?

MADAMA  C'est la pudeur.

MOMOLO  Mo cara quela pudor! Mo cara! mo benedetta!

MADAMA  Frippon, coquin, badin! (vezzosamente)

MOMOLO  Me vorla ben?

MADAMA  (Mais non; il est trop babillard). Alons, monsieur, si vous plaît.(sostenuta)

MOMOLO  Son qua a servirla.(le dà la mano)

MADAMA  Bien obligée, monsieur Manganò.(gli dà la mano con una riverenza)

MOMOLO  Andémo. (Che pùssistu esser manganada!) (partono)

SCENA NONA

Tinello, con tavola lunga apparecchiata per dodici persone, con tondi, posate, sedie ecc. con quattro lumi in tavola, e varie pietanze in mezzo, fra le quali dei ravioli, un cappone, delle paste sfogliate ecc. Una credenziera in fondo, con lumi, tondi, bicchieri, boccie, bottiglie, ecc. Si tira avanti la tavola. — Tutti, fuorché Madama e Momolo.

ZAMARIA  Animo; presto, che i raffioi se giazza.

DOMENICA  (El m'ha dà speranza. Nol m'ha dito de no). (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (Mo via; gh'ho un poco più de consolazion). (a Domenica)

ZAMARIA  (No i voggio miga arente quei putti). Siora Marta, la se senta qua. (quasi in mezzo)

MARTA  Sior sì, dove che 'l comanda.(siede)

ZAMARIA  Sior Anzoleto, vegnì qua arente de siora Marta.

ANZOLETTO  (Oh! questa no me l'aspettava). (s’incammina mortificato, spiacendogli non dover sedere vicino a Domenica)

DOMENICA  (Poveretta mi! Sta cossa me mette in agitazion). (per la stessa causa)

MARTA  Perché no se sentémio, come che gièrimo sentai ala meneghela? (a Zamaria)

ZAMARIA  Per stavolta la se contenta cussì; gh'ho gusto de disponer mi. Sior Anzoleto qua. (gli assegna la sedia vicino a Marta)

ANZOLETTO  Son qua. (siede melanconico)

MARTA  (Coss'è, putto? I ve l'ha fatta, ah!) (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (La tasa, cara ela, che son fora de mi). (a Marta)

ZAMARIA  Siora comare, qua. (ad Alba)

MARTA  Do done arente? (a Zamaria)

ZAMARIA  Eh! siora no, qua in mezzo vegnirà sior Momolo, che 'l sa trinzar. Dov'èlo sior Momolo? Vardè, chiamèlo, che 'l vegna; che vegna anca madama Gatteau. Qua, siora comare. (ad Alba)

ALBA  Che 'l varda ben, che madama no gh'abbia odori, che se la gh'ha odori, mi scampo via. (siede)

POLONIA  No la s'indubita, sior'Alba, che gh'ho fatto la visita mi, e odori no la ghe n'ha più.

ZAMARIA  Qua, Sior Bastian.

BASTIAN  (Per dia, che anca a tola m'ha da toccar sto sorbetto impetrìo!) (siede presso sior’Alba)

ZAMARIA  Vegnì qua, siora Polonia, sentève qua.

POLONIA  Volentiera, dove che 'l vol. (siede presso a Bastian)

ZAMARIA  E qua, sior compare.(a Lazaro)

LAZARO  Mo caro, sior compare...

ZAMARIA  Coss'è, no stè ben? Ve metto arente mia fia. Domenica se senterà qua. (nell’ultimo luogo)

DOMENICA  (Pazzenzia! Me toccherà a magnar del velen). (siede)

ZAMARIA  Via, no ve sentè, sior compare? (a Lazaro)

LAZARO  Son tropo lontan da mia mugier.

ZAMARIA  Com'èla? Seu deventà zeloso anca vu?

LAZARO  Eh! giusto. Xè, che mi so el so natural, e a tola son avezzo a governarmela mi.

ALBA  Eh! per quel, che magno mi, no gh'è pericolo che me fazza mal.

BASTIAN  E po, son qua mi; no ve dubitè gnente. La governerò mi.

LAZARO  Caro sior Bastian ve la raccomando. (siede)

ZAMARIA  Qua mia fiozza. (a Elena, presso Bastian) E qua mio fiozzo.(ad Agostino, presso a Elena)

AGUSTIN  Mi qua? (Agostino va presso Bastian)

ZAMARIA  No, no, qua ela, e vu qua. (a Agostino)

ELENETTA  Eh! sior no, mi stago ben qua. (presso Agostino)

ZAMARIA  Sior no, ve digo omo, e donna. Che diavolo! No ve basta a esser arente a vostra muggier? Cossa gh'aveu paura? Sior Anzoleto savè, che putto, che 'l xè.

AGUSTIN  Caro sior santolo, se el me vol ben, che el me lassa star qua.(a Zamaria)

ZAMARIA  Stè, dove, diavolo, che volè. (a Agostino)

AGUSTIN  (Magnerò de più gusto). (a Elena, sedendo)

ELENETTA  (Anca mi starò con più libertà). (a Agostino, sedendo)

SCENA DECIMA

MOMOLO e detti

MOMOLO  La se fermi, che so qua anca mi.

ZAMARIA  Via, destrighève. Dove xè madama?

MOMOLO  Madama gh'ha riguardo a vegnir, per amor de la pudeur.

ZAMARIA  Eh! andè là; disèghe, che la vegna.

MOMOLO  No, dasseno, sul sodo. La gh'ha riguardo a vegnir per amor de sior Anzoleto.

ANZOLETTO  Per mi disèghe, che no la se toga nissun pensier. Quel che xè stà, xè stà. Se l'ha parlà per rabia, la merita qualche compatimento. Ghe sarò bon amigo; basta che la me lassa star.

MOMOLO  Co l'è cussì, la vago donca a levar. Sàle, chi son mi? Monsieur Manganò per servirle. (parte)

MARTA  Mo, che caro matto, che 'l xè!

POLONIA  (Gh'àla po dito gnente, siora Domenica?) (a Domenica)

DOMENICA  (Cara fia, ve prego, lassème star). (a Polonia)

POLONIA  (Poveretta! la compatisso). No se pol miga dir:

                La lontananza ogni gran piaga sana.

Bisogna dir in sto caso:

                La lontananza fa mazor la piaga. (accennando la distanza in cui si trovano Domenica e Anzoletto)

SCENA UNDICESIMA

MADAMA GATTEAU, MOMOLO e detti

MOMOLO  Largo, largo al complimentario. (dando braccio a Madama, e la conduce presso a Zamaria)

ZAMARIA  Oh! via, manco mal; ghe semo tutti.

MADAMA  J'ai l'honneur de présenter mon très-humble respect à toute la compagnie. (facendo la riverenza, ed è risalutata)

ZAMARIA  Son qua, madama; avè dito de voler restar arente de mi, e v'ho salvà el posto.

MOMOLO  Fermève, che madama ha da star in mezzo. (a Zamaria)

ZAMARIA  Sior no, che in mezzo avè da star vu per taggiar.

MOMOLO  Mi, compare, fazzo conto de sentarme qua.(presso Elena)

ELENETTA  Sior no.

AGUSTIN  Sior no.

ZAMARIA  Andè là, ve digo; andève a sentar in mezzo.

MOMOLO  Sior sì; gh'avè rason. Son el più belo, ho da star in mezzo. (va a sedere)

ZAMARIA  Sentève qua, madama. (le assegna l’ultimo posto)

MADAMA  Bien obligée à votre politesse. Je vous remercie. (fa una riverenza a Zamaria, e siede)

ZAMARIA  Fiozza, ve contenteu, che me senta qua? (ad Elena, sedendo)

ELENETTA  Oh sior sì; no xèlo patron? (a Zamaria)

AGUSTIN  (No ghe star tanto d'arente). (ad Elena)

ELENETTA  (Oh! no lo tocco, no t'indubitar). (ad Agostino)

MOMOLO (Dà i ravioli a tutti. Tutti si mettono la salvietta)

MADAMA  Faites-moi l'honneur, monsieur. (a Zamaria, facendosi puntare la salvietta)

ZAMARIA  Saveroggio far? (si mette gli occhiali per puntare la salvietta)

MADAMA  Très-parfaitement; obligée, monsieur.

MOMOLO  Siora Marta. Sior Anzoletto. (dando i ravioli) Siora... Com'èla? Xè falà el scacco. Una pedina fora de logo. (vedendo che Agostino è presso Anzoletto, e non una donna)

AGUSTIN  Dè qua, dè qua, destrighève. (a Momolo)

MOMOLO  Tolè, compare; e questi... tolè: drio man.(fa passar i tondi)

AGUSTIN  A mia muggier.

MOMOLO  Vedeu? Non ardisso gnanca de nominarla. (ad Agostino, burlandosi di lui) Questi a sior Zamaria; e questi a madama.

MADAMA  Bien obligée, monsieur. (si mette a mangiare col cucchiaro e forchetta)

ELENETTA  (Cossa distu? Co pochi, che 'l me n'ha dà?) (ad Agostino)

AGUSTIN  (E a mi? Varda. El lo fa per despetto).(a Elena)

LAZARO  Muggier? (a sior’Alba)

ALBA  Cossa gh'è?

LAZARO  Ve piàseli?

ALBA  Oh! mi, savè, che de sta roba no ghe ne magno.

LAZARO  Poverazza! Mi no so de cossa, che la viva. (a Polonia)

POLONIA  (No voleu, che no la gh'abbia fame? Avanti de vegnir de qua, la xè andada in cusina, e la s'ha fatto far tanto de zàina de pan in brodo). (a Lazaro)

LAZARO  (Sì, ah! poverazza. Bisogna, che no la podesse più). (a Polonia)

MARTA  Forti, siora Domenica. Coss'è? No la magna?

DOMENICA  Siora sì, magno. (Me sento, che no posso più).

MARTA  (Poverazza! la compatisso). (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (No so, chi staga pezo da ela a mi). (a Marta)

ZAMARIA  Ve piàseli sti rafioletti? (a Madama)

MADAMA  Ils sont délicieux, sur ma parole. (a Zamaria)

ZAMARIA  Fème servizio de parlar italian. (a Madama)

MADAMA  (Oui, monsieur. Non so per voi, che cosa non facessi). (a Zamaria)

ZAMARIA  (Per mi?) (a Madama)

MADAMA  (Per voi, mon cher). (a Zamaria)

ZAMARIA  (Cossa xè sto ser?) (a Madama)

MADAMA  (Vuol dire, mio caro). (a Zamaria)

ZAMARIA  (Caro, a mi me disè?) (a Madama)

MOMOLO  Patroni: chi vol del figà, se ne toga.

POLONIA  Dè qua, dèmene una fetta a mi.

MOMOLO  A vu, fia mia? No solamente el figà, ma el cuor ve darave, el cuor. (a Polonia, dandole il fegato)

MADAMA  Ah! le bon morceau qu'est le coeur. (a Zamaria)

ZAMARIA  Cossa, fia? (a Madama)

MADAMA  Il cuore è il miglior boccone del mondo. (a Zamaria)

ZAMARIA  Ve piàselo? (a Madama)

MADAMA  Oui, molto mi piace il cuore; ma tutti i cuori non farebbero il mio piacere. Il vostro, monsieur Jamaria, il vostro cuore mi potrebbe fare contenta. (a Zamaria)

ZAMARIA  Disèu dasseno? (a Madama)

MARTA  Sior Zamaria, com'èla?

POLONIA  Oe, me consolo, sior Zamaria.

MOMOLO  Le se ferma.(alle donne) Seguitè, compare, che mi intanto taggierò sto capon. (a Zamaria. Taglia un cappone, poi lo presenta)

ZAMARIA  Coss'è, male lengue? Cossa voressi dir? No se pol discorer gnanca?

BASTIAN  Lassè che i diga, sior Zamaria; co capita de ste fortune, no le se lassa scampar. (ridendo)

MARTA  Mo vardèli, se no i par do sposini! Se no i fa invidia a la zoventù!

POLONIA  Eh! co gh'è la salute, i ani no i stimo gnente.

BASTIAN  I xè tutti do prosperosi; el Ciel li benediga, che i consola el cuor.

ZAMARIA  Disè quel che volè, che mi no ve bado. (Tendémo a nu). (a Madama)

MADAMA  (On parle per rabbia, per rabbia). (a Zamaria)

MOMOLO  Che i se serva de capon; co i s'averà po servio, taggieremo st'altro, se bisognerà.

MARTA  Patroni: a la salute de chi se vol ben. (beve)

MADAMA  Je vous fais raison, madame, et que vive l'amour. (guardando Zamaria, e beve)

ZAMARIA  Evviva l'amor. (beve)

BASTIAN  E viva sior Zamaria. (beve)

POLONIA  Evviva madama Gatteau. (beve)

MADAMA  Vous me faites bien de l'honneur.

MOMOLO  Fermève. A la salute del più belo de tutti; e viva mi; grazie a la so bontà. (beve)

ELENETTA  Oh! a la salute de tutta sta compagnia. (beve)

AGUSTIN  A la confermazion del detto. (beve)

LAZARO  A la salute de mia muggier. (beve)

ALBA  Grazie. A la salute de mio mario. (beve acqua, ridendo)

LAZARO  Co l'acqua me lo fè el prindese?

ALBA  Con cossa? No saveu, che no bevo vin?

POLONIA  (In cusina la ghe n'ha bevù tanto de gotto). (a Lazaro)

LAZARO  (Sì ben; per qualche volta el miedego ghe l'ha ordenà). (a Polonia)

MARTA  Via, nol beve, sior Anzoleto? Portèghe un gotto de vin, che 'l fazza un prindese almanco.

POLONIA  E ela, siora Domenica, no la beve? Via, portèghe da bever a la padroncina.

DOMENICA  No, no; no ve incomodè, che no bevo.(ai servitori)

ZAMARIA  Cossa fastu? No ti magni, no ti bevi, ti pianzi el morto. (a Domenica)

DOMENICA  Eh! caro sior padre, mi lasso, che 'l se diverta elo.

ZAMARIA  Coss'è? Cossa voréssistu dir?

DOMENICA  Mi? Gnente.

MARTA  Caro sior Zamaria, no vorlo, che quella povera putta sia malinconica? El xè causa elo.

ZAMARIA  Mo per cossa?

MARTA  El parla in t'una maniera, e po el se contien in t'un'altra. El ghe dà de le bone speranze, e po, e po... no digo altro.

ZAMARIA  Co gh'ho dà speranza, che la gh'abbia pazzenzia.

MARTA  E per cossa méttelo sti putti uno a Mestre, e l'altro a Malghera?

ZAMARIA  Mo, cara siora Marta...

MARTA  Mo, caro sior Zamaria... (con calore)

MOMOLO  Fermève.

BASTIAN  Tasè, quietève, no interompè. (a Momolo)

MOMOLO  Lassè parlar i omeni.

BASTIAN  Lassè parlar mia muggier.

MARTA  Gh'ho parlà mi a sior Zamaria; so quel, che 'l m'ha dito a mi.(verso Bastian)

MOMOLO  La se fermi.

BASTIAN  Tasè.

ALBA  (s’alza con impeto)

MARTA  Coss'è? Ghe vien mal?

LAZARO  Coss'è stà?

ALBA  Ghe domando scusa; che i compatissa. Gh'ho tanto de testa. Mi in mezzo a ste ose no ghe posso star.

LAZARO  Voleu, che andémo a casa?

ZAMARIA  Mo via, compare, mo via, siora comare, quietève per carità.

MARTA  La vaga là in tel posto de siora Domenica, che so mario no la stordirà.

LAZARO  Sì ben, vegnì qua. Se conténtela? (a Domenica)

DOMENICA  Per mi, che la se comoda pur. (s’alza)

ALBA  Mi son cussì; le me compatissa. Gh'ho una testa cussì debole, che la se me scalda per gnente. (parte dal suo posto)

LAZARO  Poverazza la xè delicata. (a Polonia)

MARTA  Anca mi voggio star arente de mio mario.(va a sedere presso Bastian)

BASTIAN  Per cossa sta novità? (a Marta)

MARTA  (Eh! tasé vu, che no savè gnente). (a Bastian, piano)

DOMENICA  Perché no vala al so posto? (a Marta)

MARTA  Perché stago ben qua.

DOMENICA  E mi, dove vorla, che vaga?

MARTA  No ghe xè una carega voda? (accenna dov’ella era prima, presso Anzoletto)

DOMENICA  Vorlo vegnir qua elo, sior padre? (a Zamaria)

MADAMA  Pardonnez-moi, mademoiselle, monsieur votre père, ne me faira pas cette incivilité. (a Domenica)

DOMENICA  Me senterò mi donca. (siede)

ZAMARIA  (Cossa òggio da far? Bisogna, che gh'abbia pazzenzia). (vedendo Domenica presso Anzoletto)

ANZOLETTO  (Sia ringrazià el Cielo!) (a Domenica)

DOMENICA  (Ghe son po arivada). (ad Anzoletto)

ANZOLETTO  (No podeva più).

MARTA  Siora Domenica?

DOMENICA  Siora.

MARTA  (Òggio fatto pulito?) (alzandosi davanti a Momolo)

DOMENICA  (Pulitissimo). (alzandosi davanti a Momolo)

MOMOLO  Vorle, che ghe diga, patrone? che sto vegnir davanti dei galantomeni in sta maniera no la sta ben, e no la par bon. Voggio ben esser tutto quel, che le vol; ma gnanca per el so zogattolo no le m'ha da tòr. (con faccia soda)

MARTA  Coss'è? Seu matto? (a Momolo)

DOMENICA  Che grilo ve xè saltà? (a Momolo)

ZAMARIA  Momolo. Cossa xè stà? Cossa v'àli fatto?

MOMOLO  Caro sior Bastian, la me fazza la finezza de vegnir qua, perché ste signore le me tol un pochetto troppo per man. (s’alza)

BASTIAN  Son qua, compare. No ve scaldè, perché qua no ghe vedo rason de scaldarse. (s’alza dal suo posto, e va nell’altro)

MARTA  No me par d'averve struppià. (a Momolo)

MOMOLO  Le se ferma, che me xè passà. (sedendo presso Polonia, e ridendo)

MARTA  Spieghèmola mo. (a Momolo)

MOMOLO  Adesso ghe la spiego in volgar. Tutti xè arente a la so colona, e anca mi me son rampegà. Cossa disèu, vita mia? Òggio fatto ben? (a Polonia)

POLONIA  Mo quando, quando fareu giudizio?

MOMOLO  El mese de mai, quando vienlo?

MARTA  Andè là, che m'avevi fatto vegnir suso el mio caldo. Ma stimo, con che muso duro! (a Momolo)

AGUSTIN  (Nu almanco no se scambiemo). (a Elena)

ELENETTA  (Oh! nu stemo ben). (a Agostino)

AGUSTIN  (Oh! che magnada, che ho dà). (a Elena)

ELENETTA  (No xè miga gnancora fenio). (a Agostino)

MARTA  E cussì, gh'è altri prindesi?

MOMOLO  Son qua mi. Al bon viazo de compare Anzoleto.(beve)

MARTA  Petèvelo el vostro prindese.

MOMOLO  Per cossa me l'òi da petar?

MARTA  Co no va via anca siora Domenica, petèvelo.

MOMOLO  Dème da bever. Al bon viazo de sior Anzoleto, e siora Domenica. (beve)

MARTA  Petèvelo. (a Momolo)

MOMOLO  Anca questo m'ho da petar? (a Marta)

MARTA  Co sior Zamaria no dise de sì, petèvelo. (a Momolo)

MOMOLO  Dème da bever. (forte ai servitori)

BASTIAN  Compare, ve ne peterè  de quei pochi.

MOMOLO  Fermève, dème da bever.

                Alla salute de sior Zamaria,

                Che la so putta lasserà andar via. (beve)

MARTA  Petèvelo. (a Momolo)

MOMOLO  Dème da bever. (forte ai servitori)

POLONIA  Oe, seu matto? (gli leva il bicchiere)

MOMOLO  La se fermi. (a Polonia)

POLONIA  No vòi, che bevè altro, ve digo.

MADAMA  Alons, monsieur, alons, facciamo la partita in quattro. Monsieur Anjoletto, e mademoiselle Dominique. Monsieur Jamaria, et moi.

MARTA  Animo, da bravo, sior Zamaria.

LAZARO  Sior compare? (a Zamaria)

ZAMARIA  Cossa gh'è?

LAZARO  Badème a mi. Un poco de muggier la xè una gran bela cossa.

ZAMARIA  Disèu dasseno?

MOMOLO  Fermève. Ascoltè un omo, che parla. Chi sóngio mi? Sior Momolo manganer. Un bon putto, un putto civil, che laora, che fa el so dover; ma che no gh'ha mai un ducato in scarsela. Per cossa no gh'òggio mai un ducato in scarsela? Perché no son maridà. No gh'ho regola, no gh'ho governo. Vago a tórzio co fa le barche rotte. Marìdete. Me mariderò. Quando? Quando? Co sta zoggia vorrà. (accennando Polonia)

POLONIA  Fè giudizio, e ve sposerò. (a Momolo)

MOMOLO  Sposème, e farò giudizio. (a Polonia)

POLONIA  No me fido. (a Momolo)

MOMOLO  Provè. (a Polonia)

MARTA  Orsù, sior Momolo, fenìla. Maridève, se volè: se no volè, lassé star; ma a nu ne preme, che se marida siora Domenica, e sior Anzoleto.

ZAMARIA  Patrona, in sta cossa gh'ho da intrar anca mi?

MARTA  Sior sì; ma che dificoltà ghe xè?

ZAMARIA  Ghe xè, che no gh'ho altri a sto mondo, che ela, e che no gh'ho cuor de lassarla andar.

MARTA  E per el ben, che ghe volè, voleu véderla desperada? Voleu, che la se ve inferma in t'un letto?(a Zamaria)

ZAMARIA  In sto stato ti xè? (a Domenica, pateticamente)

DOMENICA  Caro sior padre, mi so so cossa dir. Ghe confesso la verità; la mia passion xè granda; e no so cossa che sarà de mi.

ZAMARIA  E ti gh'averà cuor de lassarme? In sta età, senza nissun dal cuor, te darà l'anemo de abandonarme?

MARTA  Per cossa non andeu con ela, sior Zamaria?

BASTIAN  Perché no ve marideu?

POLONIA  Perché non andeu con madama?

MOMOLO  Tolè esempio da un omo. Maridève, compare.

MARTA  E andè via co la vostra creatura.

ZAMARIA  E i mii interessi? E i mii teleri? E la mia bottega?

DOMENICA  Caro sior padre, co tornerà sior Anzoleto, torneremo anca nu.

ZAMARIA  Ma intanto, averàvio da spiantar qua el mio negozio? Da perder el mio inviamento? Da abandonar i mii teleri?

MOMOLO  Fermève, compare. Se avè bisogno de un agente, de un direttor, pontual, onorato; me conossè, savè chi son. Son qua mi.

BASTIAN  E mi ve prometto, che per el mio negozio no lasserò che servirme dei vostri omeni, e dei vostri teleri; basta che s'impegna sior Anzoleto, anca che vu no ghe siè, de mandar i dessegni, che l'ha promesso.

ANZOLETTO  Sior sì; quel che ho dito a sior Zamaria, lo ratifico a sior Lazaro, e a sior Agustin. Manderò i mii dessegni, e no ghe ne lasserò mai mancar.

MARTA  E cussì, cossa resòlvelo, sior Zamaria?

ZAMARIA  No so gnente. No le xè cosse da resolver cussì in t'un fià.

MADAMA  Ascoltate, monsieur Jamaria. Voi avete del bene, e qui non lo perderete. Io poi ho tanto in mio pouvoir, che potreste essere très-contento di passare avec moi vostra vita.

ZAMARIA  Madama, fème una finezza, vegnì un pocheto de là con mi. (s’alza)

MADAMA  Très-volontiers, monsieur. (s’alza)

ZAMARIA  Domenica, vien de là anca ti.

DOMENICA  Sior sì, sior pare, vegno anca mi. (Stè alliegro, Anzoleto, che spero ben). (s’alza)

ZAMARIA  (Voggio véder prima in quanti piè de acqua, che son). Patroni, con so bona grazia. (parte)

MADAMA  Messieurs, avec votre permission. (parte)

DOMENICA  Prego el Cielo, che la vaga ben. (parte)

SCENA DODICESIMA

Tutti, fuorché i tre suddetti. Tutti s’alzano, vengono avanti. I servitori sparecchiano. AGOSTINO ed ELENA restano indietro.

MARTA  Sior Anzoleto, me ne consolo.

ANZOLETTO  Spèrela ben?

MARTA  Oh! mi sì; mi ve la dago per fatta.

BASTIAN  El xè un omo cauto sior Zamaria. El vorrà segurarse del stato de madama.

POLONIA  Eh! madama gh'ha dei bezzi, gh'ha delle zoggie; la sta ben, ben; ma tre volte ben.

MOMOLO  No àla avù tre marii? Un poco de pele de uno, un poco de pele de un altro, la s'averà fatto el borson.

MARTA  Ne scriveralo, sior Anzoleto?

ANZOLETTO  No vorla? Scriverò ai mii cari amici; scriverò ai mii patroni; se saverà frequentemente de mi; e se saverà sempre la verità. Perché mi no gh'ho altro de bon a sto mondo, che la schiettezza de cuor, la verità in bocca, e la sincerità su la penna.(Agostino ed Elena parlano piano fra di loro, e partono)

MOMOLO  Oe! i do zelosi se l'ha moccada.

ANZOLETTO  Lassè, che i fazza. Bisogna soffrir tutti col so difetto. Specialmente co i xè de quei, che no dà molestia a nissun. Credème, compare, che 'l più bel studio xè quelo de conoscer i caratteri de le persone, e prevalerse del bon esempio, e correger se stessi, vedendo in altri quele cosse, che no par bon.

MARTA  Scrivène spesso, sior Anzoleto.

ANZOLETTO  Scriverò; ma che i scriva anca lori.

MOMOLO  Mi ve scriverò le novità.

ANZOLETTO  Me farè un piaser grandissimo.

MOMOLO  E se vien fora critiche, voleu che ve le manda?

ANZOLETTO  Ve dirò; se le xè critiche, sior sì; se le xè satire, sior no. Ma al dì d'ancuo, par che sia dificile el criticar senza satirizar; onde no ve incomodè de mandarmele. No le me piase, né per mi, né per altri. Se vegnirà fora de le cosse contra de mi, pazzenzia: za el responder no serve a gnente; perché se gh'avè torto, fè pezo a parlar; e se gh'avè rason, o presto, o tardi, el mondo ve la farà

COSMO  Patroni, dise sior Zamaria, che i se contenta de andar tutti de là.

MARTA  Dove?

COSMO  In portego, che xè parechià per balar.

MARTA  Andémo, sior Anzoleto; bon augurio, andémo.(prende Anzoletto per mano)

ANZOLETTO  E pur ancora me trema el cuor.

MARTA  Mario, vegnì anca va, andémo. (prende anch’ella Bastian per mano)

BASTIAN  Mia muggier almanco xè de bon cuor.(parte con Marta e Anzoletto)

MOMOLO  Comàndela, che la serva?

POLONIA  Magari, che sior Zamaria ve lassasse vu diretor del so negozio de testor.

MOMOLO  Ve par, che saria capace de portarme ben?

POLONIA  Sè un poco matturlo; ma gh'avè de l'abilità, e sè un zovene pontual.

MOMOLO  Oh! sia benedeto, chi me vol ben. (a Polonia)

POLONIA  Animo, animo, andémo.(lo prende per un braccio)

MOMOLO  Con so portazion. (a Lazaro e Alba, e parte)

LAZARO  Via, muggier, andémo. Andémose a devertir.

ALBA  Mi anderave in letto più volentiera.

LAZARO  Voleu, che andémo a casa?

ALBA  Cossa voleu? Che i se n'abbia per mal?

LAZARO  Voleu andarve a buttar sul letto un tantin?

ALBA  Andémo de là, che voggio balar. (s’alza, e parte)

LAZARO  (Brava! Mo che cara cossa, che xè sta mia muggier!) (parte)

SCENA TREDICESIMA

Sala illuminata per il ballo. — DOMENICA, ZAMARIA, MADAMA, AGUSTIN, ELENA, con altre persone, tutte a sedere. Poi MARTA, ANZOLETTO e BASTIAN, poi POLONIA e MOMOLO, poi ALBA, poi LAZARO

MARTA  Semo qua, sior Zamaria.

ZAMARIA  (s’alza dal suo posto, e corre incontro a Anzoletto)Vegnì qua, sior Anzoleto, vegnì qua, fio mio. Ho risolto, ho stabilio: ve darò mia fia, vegnirò con vu. Sieu benedetto; sè mio zenero, sè mio fio.

MARTA  Evviva, evviva siora Domenica, me ne consolo.

DOMENICA  Grazie, grazie.(alzandosi)

ANZOLETTO  Caro sior Zamaria, no gh'ho termini che basta per ringraziarlo; l'allegrezza me impedisce el parlar.

BASTIAN  Me consolo co sior Anzoleto, e co siora Domenica.

MOMOLO  Compare Anzoleto, anca mi co tanto de cuor.

POLONIA  Anca mi, con tutti, dasseno.

LAZARO  Bravi, bravi; anca mi gh'ho consolazion. Muggier, vegnì qua anca va, sentì.(ad Alba)

ALBA  Eh! ho sentio; me ne consolo.(colla solita flemma)

LAZARO  Poverazza! la xè debole; no la pol star in piè. (a tutti)

ELENETTA  Sior santolo, siora Domenica, me ne consolo.

AGUSTIN (prende Elena per mano, e la conduce a sedere dov’erano prima)

ZAMARIA  Scampè, vedè, che no i ve la sorba. (a Agostino) Sior Momolo, vegnì qua.

MOMOLO  Comandè, paron.

ZAMARIA  Za che v'avè esebìo de favorirme; fazzo conto de lassarve a vu el manizo dei mii interessi.

MOMOLO  E mi pontualmente ve servirò.

ZAMARIA  Ve darò un tanto a l'anno, e un terzo dei utili, acciò che v'interessè con amor.

MOMOLO  Tutto quello, che comandè.

ZAMARIA  Ma fè da omo.

MOMOLO  Se ho da far da omo, bisogna, che me marida.

ZAMARIA  Maridève.

MOMOLO  Me mariderò, se sta cara zoggia me vol. (a Polonia)

POLONIA  Sior sì: adesso, co sto poco de fondamento, ve sposerò!

MARTA  Oh! via, le candele se brusa. Prencipiemo a balar.

ZAMARIA  Siora sì, subito; ma avanti de prencipiar: putti, destrighève, dève la man. (a Anzoletto e Domenica)

ANZOLETTO  Son qua, con tutta la consolazion.

DOMENICA  Son fora de mi da la contentezza.

ANZOLETTO  Mario, e muggier. (si danno la mano)

BASTIAN  Sior Anzoleto, novamente me ne consolo. Andè a bon viazo, e no ve desmenteghè de nu.

ANZOLETTO  Cossa dìsela mai, caro sior Bastian? Mi scordarme de sto paese? De la mia adoratissima patria? Dei mii patroni? Dei mii cari amici? No xè questa la prima volta, che vago; e sempre, dove son stà, ha portà el nome de Venezia scolpìo nel cuor; m'ho recordà delle grazie, dei benefizi, che ho recevesto; ho sempre desiderà de tornar; co son tornà, me xè stà sempre de consolazion. Ogni confronto, che ho avù occasion de far, m'ha sempre fatto comparir più belo, più magnifico, più respetabile el mio paese; ogni volta, che son tornà, ho scoverto de le belezze maggior; e cussì sarà anca sta volta, se 'l Cielo me concederà de tornar. Confesso, e zuro su l'onor mio, che parto col cuor strazzà; che nissun allettamento, che nissuna fortuna, se ghe n'avesse, compenserà el despiaser de star lontan da chi me vol ben. Conservème el vostro amor, cari amici, el Cielo ve benedissa, e ve lo diga de cuor.

MARTA  Via, no parlemo altro. No disè altro, che debotto me fè contaminar. Sior Zamaria, prencipiemo a balar.

ZAMARIA  Un momento de tempo. La lassa, che destriga un'altra picola facendetta, e po son con ela. Madama. (chiamandola)

MADAMA  Que voulez-vous, monsieur? (s’alza)

ZAMARIA  Favorì de vegnir qua.

MADAMA  Me voici à vos ordres.(s’accosta)

ZAMARIA  Mia fia xè maridada.

MADAMA  Madame, monsieur.(a Domenica e Anzoletto) Je vous fais mon compliment.

ZAMARIA  Se volè, se podemo sposar anca nu.

MADAMA  Quel bonheur! quel plaisir! que je suis heureuse, mon cher ami!

ZAMARIA  Voleu, o no voleu, in bon italian?

MADAMA  Voici la main, mon petit coeur. (gli dà la mano)

ZAMARIA  Mario, e muggier.

MADAMA  Ah mon mignon! (a Zamaria)

MOMOLO  Fermève. Con un ambo se vadagna poco. Siora Polonia, ghe vol el terno.

POLONIA  Ho capio. Me voressi sposar co sto sugo?

MOMOLO  Sti altri con che sugo s'àli sposà?

ZAMARIA  Via, siora Polonia, fè anca vu quel, che avemo fatto nu.

POLONIA  Me conséggielo, che la fazza?

ZAMARIA  Sì, ve conseggio, e me sarà de consolazion.

POLONIA  Co l'è cussì, son qua co volè. (a Momolo)

MOMOLO  Mia muggier.

POLONIA  Mio mario.

MARTA  Bravi.

LAZARO  Pulito.

ANZOLETTO  Me ne consolo.

MOMOLO  Fermève. Che ho prencipià a far giudizio.(serio)

ZAMARIA  Oh! adesso andémo a balar.

DOMENICA  Andémo, che anca mi balerò de cuor. Mi circa l'andar via no serve, che diga gnente: ha dito tanto che basta sior Anzoleto. Digo ben, che anca mi son piena de obligazion con chi m'ha fatto del ben, e che se degna de volerme ben. Andémo, fenimo de gòder una de ste ultime sere de carneval. Signori con tanta bontà n'avè favorio; vualtri, che sè avezzi a gòder de le belissime sere de carneval, ve parla muffa la nostra? Compatìla, ve supplico, compatìla almanco in grazia del vostro povero dessegnador.