Una donna che piange

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UNA DONNA CHE PIANGE

UNA DONNA CHE PIANGE

Commedia  in due atti di

 Salvino Lorefice

(S I A E:   Sezione   DOR   n.  52246)

salvino.lorefice@tiscali.it          http://utenti.lycos.it/salvinolorefice

Personaggi:

Vedova di un grande scrittore

Presentatore di un  talk  show televisivo

Tecnico delle riprese TV

LA VEDOVA è un’anziana donna, che sta seduta su un’alta poltrona, quasi un trono, che fa primeggiare la sua figura.

IL PRESENTATORE-CONDUTTORE dello show sta seduto su uno sgabello, ma si alza in continuazione, per parlare al pubblico; si rivolge spesso – anche   a gesti- all’operatore Tv, al quale da ordini e consigli per le riprese e le inquadrature. Le persone del pubblico dello studio Tv non sono altro che ombre cinesi, o dei pupazzi, o sagome di cartone, che ridono o applaudono quando su un pannello appare, lampeggiando, la scrittura “risate” oppure “ applausi” oppure “fischi” ecc.

IL  CAMERAMAN  si sposta a destra e a sinistra con la telecamera a spalla, gira in tondo, fa riprese da diverse angolazioni in lungo e in largo. E’ come una presenza che dà spesso fastidio alla vedova. Ogni tanto lascia la videocamera a spalla  per  proseguire le riprese con la telecamera a carrello.

La rappresentazione si svolge nella sala di registrazione di uno studio televisivo, che è quello tipico delle tv private, dove è presente anche il pubblico.

Al centro della scena, in alto, vi è un vi è un video- schermo  gigante, su cui compaiono le immagini  riprese  dall’operatore, quelle reali, in diretta: il presentatore, la vedova, particolari, primi piani, il pubblico della tv e, perché no, il pubblico che sta nella sala del teatro.

PRIMO ATTO

SCENA PRIMA

Sala spettacolo di uno studio televisivo. La scena è al buio. Improvvisamente un “occhio di bue” illumina la vedova.

Vedova: Se voi lo considerate poco o lo giudicate male, è perché lo conoscete da poco e solo nel suo ruolo di impiegato. Io, se l’ho sposato, è perché lo conoscevo da dieci anni: da quando era studentello in ingegneria,  pulito e figlio di famiglia, a quando cominciò ad avere crisi esistenziali; da   quando cominciò ad avere idee tutte sue a quando abbandonò gli studi; da quando era mezzo barbone – e dico mezzo solo perché aveva un tetto- a quando divenne un mezzo terrorista; da quando stava per diventare pazzo a quando decise di diventare scrittore per non morire; da quando, lasciata ingegneria, riprese gli studi in lettere a quando diventò un impiegato statale quasi modello. E tutto questo in dieci anni. Un  uomo così, vi sembra un uomo uguale a tutti gli altri? Vi  sembra un uomo comune? Io l’ho sposato sessant’anni fa. Ora è morto, da dieci anni. E voi lo volete far rivivere. Me l’ho avete chiesto. Bene, cercherò di fare del mio meglio, signori della televisione.

SCENA SECONDA

La scena si illumina. L’operatore tv comincia a fare riprese con la video-camera a spalla.

Voce del presentatore (da fuori scena): Un primo piano, Tony, un bel primo piano. Quel viso sereno…non lasciartelo sfuggire. Così.

Vedova: ed io lì, circondata da tutte quelle persone. Persone? Si è perso il significato, ormai, di quella parola. E quel presentatore…

Presentatore:(come materializzandosi) :Ci dica , signora...

Vedova: Che sorriso ipocrita, ignobile, aveva! Era un presentatore della TV internazionale, l’unica. Si registrava uno spettacolo televisivo, l’unico della settimana, seguitissimo in tutto il mondo, e volevano sapere tutto di lui. Lo avevano scoperto da poco, come scrittore, da un anno, ma lui era morto da dieci e scriveva da cinquant’anni. ( La vedova comincia ad emozionarsi, fino a piangere, sommessamente, con discrezione).

Vedova: E voi lo avete lasciato morire come uno sconosciuto, col desiderio in corpo di vedere pubblicato un suo lavoro.

Presentatore: Le lacrime, Tony, le lacrime. Un primissimo piano di quelle lacrime. Che scoop! Oh! Che scoop! Una donna che piange! Non se ne vedeva da almeno un trentennio.

Vedova: Ed io a scusarmi per quelle lacrime, per quel  pianto che i più non conoscevano. Da decenni, ormai, per legge veniva somministrato un vaccino a tutti i neonati. Un vaccino che atrofizzava le ghiandole lacrimali. “Eliminando gli effetti del dolore – dicevano – elimineremo anche le cause”. E chi poteva smentirli? Coloro che volevano farlo erano misteriosamente spariti. E tutta la gente adulta, quella immune al vaccino, avrebbe dovuto evitare – pena la morte- di piangere in  pubblico o in luogo aperto al pubblico: piangere era diventato nell’arco di un mese un reato contro l’ordine pubblico, contro la tranquillità mondiale. E tutti i capi di stato e  di governo si erano mostrati d’accordo con gli scienziati.

SCENA TERZA

Presentatore: Sta piangendo.

Vedova: Scusate se piango…scusate.

Presentatore: Non fa nulla, signora, non si preoccupi: non può intaccare nessuno più, ormai. Quindi nessuno le torcerà un capello, fino a quando sarà qui dentro. Siete d’accordo voi del pubblico? Un applauso.

Vedova: E’ la prima volta che piango, da quando c’è la legge. Credetemi. Dovete credermi. E non l’avrei fatto se non mi aveste fatto ricordare lui, se non mi aveste chiesto di venire a parlarvi di lui in pubblico, alla TV internazionale.

Presentatore: Ci dica, signora, continui a parlarci di lui, del Grande Scrittore.

Vedova: Lo diceva sempre, forse l’aveva letto da qualche parte, ma ripeteva spesso una frase:” L’eroe non muore. Come il sole, l’eroe non muore. Egli non può morire. O, se muore, è una cosa temporanea – come il sole dietro le nubi. L’eroe deve rinascere, resuscitare, restare eterno”. Che volete d’altro? Non vi basta questo? Lasciatemi andar via, vi prego.

Presentatore: Riprendi qua e là, Tony, un po’ ovunque: carrellate, carrellate sul pubblico, riprendi i visi degli spettatori, le reazioni.

(  Sul grande video schermo appaiono volti inespressivi.)

Vedova: Le luci risplendevano, colorate; quelle più grosse e bianche – i riflettori – abbagliavano. E quel pubblico, sempre lì che mi guardava!

Presentatore: Ci parli di lui, signora.

Vedova: Ma che volete? Che vi dica che prima di andare al cinema voleva prima fare delle lunghe passeggiate in modo da stancarsi per poi godersi meglio la poltrona del cinema, mentre guardava il film? Vi piacerebbe sapere questo? Che gusto ci provate?

Presentatore: Va bene, signora. Purché ne parli, va bene tutto. Il resto verrà da sé. Cerchi di ricordare più che può. Sta andando benissimo. Avanti.

Vedova  ( emozionata ) : Voleva diventare scrittore e vi riuscì: dopo la sua morte, però. Proprio come un Ercole che solo dopo le dodici fatiche venne  assunto nell’olimpo come un  dio.

Presentatore ( interrompendola e rivolgendosi a un’invisibile sala di regia posta in alto): Aspetti, signora. Lassù in regia: va bene lo stacco? … Ok! Seguo l’iter concordato. Tu ci sei, Tony? Bene. Vada avanti, signora.

SCENA QUARTA

Vedova (sospirando): Possedevo  oltre cinquecento libri. Li avevo acquistati nel corso dei miei anni giovanili, durante i miei studi. Avevo romanzi, saggi… Quando lui venne per la prima volta a casa mia non si interessò per niente a me. I suoi occhi scoprirono gli scaffali della libreria e il suo sguardo balenò sui titoli. Li scorreva avidamente, velocemente, come se non avesse tempo e dovesse sbrigarsi prima del ritorno dei miei genitori, come se stesse facendo l’amore con quei libri. Ogni tanto ne estraeva uno dalla fila, lo apriva e guardava l’anno di edizione o chissà che cosa. Poi lo riponeva delicatamente. Quando ebbe finito di guardarli mi disse: “non m’importa se non hai nessuna dote, ma quando ti sposerò mi dovrai regalare questi libri.” “e se non volessi darteli? – replicai. “allora non ti sposerei”, minacciò. Quella sera piansi. E per molto tempo mi rimase il dubbio che volesse sposarmi per i miei libri.

Presentatore: Che uomo, il Grande scrittore! Ma ci dica: qual è  stato, signora, il romanzo più  bello che abbia scritto?

Vedova: Lo diceva sempre: il mio più bel romanzo? È questa vita che sto vivendo con te da più di sessant’anni.

Presentatore: Qual era il suo autore preferito?

Vedova: Bukowski. Charles  Bukowski

Presentatore: Lei è una delle pochissime donne anziane ancora in circolazione: a cosa pensa sia dovuto?

Vedova. (scocciata della domanda): Oh, ma che volete da me? Che volete… (comincia a piangere) Oh, ma perché mi viene sempre da piangere? Perché mi fate parlare sempre di lui? Ecco, vedete? Alla fine ho ancora bisogno del fazzoletto. (piange e si soffia il naso).

Presentatore: ( trionfante) : Una donna che piange, cari spettatori! C’è ancora una donna che piange! E noi ve la stiamo facendo vedere. All’operatore: le lacrime, Tony, inquadra le lacrime, gli occhi, il fazzoletto umido che stringe tra le mani tremanti. Fai dei bellissimi primi piani di quelle meravigliose lacrime.

Vedova:  Scusate se piango. Piango senza motivo. Piango al solo pensiero di quei ricordi. Di dover ricordare sforzandomi di non piangere. Ma non è colpa mia. Quando lui era vivo non piangevamo mai. Né io né lui. Anzi ridevamo sempre, anche se non era famoso. E non piangevano neppure i nostri due figli – ma per loro era naturale: erano stati vaccinati. I nostri figli! Ora, uno è in America, è medico. L’altro è in Francia, è docente universitario. Sono entrambi sposati, vivono felici, perché dovrei piangere? Eh? Dite, perché? Perché? … Voi volete ridere, invece, eh? Ebbene vi farò ridere: vi parlerò del rapporto che c’è tra il colore dei capelli delle donne e i loro peli pubici: il tutto secondo la visione di quel grande scrittore che  era  - che è – l’uomo che volete commemorare. “ Saggio d’alta filosofia genetica antropologica” lo definiva, scherzando, per minimizzare. Ecco, ce l’ho qui ( estrae dalla borsetta un  foglietto spiegazzato). Il giorno dopo che me l’ho lesse glielo  rubai e lo nascosi, per punirlo. Lui  non l’ho cercò mai. Forse non ne ebbe il coraggio. O forse se ne dimenticò, chissà. Ecco, lo legga lei  (porge il foglietto al presentatore, che si appresta a leggere).

Presentatore: (leggendo briosamente, con opportuna interpretazione): “ Se avete notato tutte le bionde hanno i capelli lisci e morbidi. Ebbene: così è anche per i loro peli pubici: li hanno serici. Tutte le donne: così come  hanno i capelli, allo stesso modo hanno i peli del pube. Le bionde, dicevo, sono appariscenti e quando un uomo ne incontra una e le guarda i capelli, inconsciamente pensa ai peli. Ora, se la moglie di quell’uomo non è bionda, quell’uomo sarà inevitabilmente attratto dalla bionda. I peli delle bionde sono come di seta: lisci e scivolosi; una morbidezza unica; sono lucidi come il crine di un cavallo sudato. Oh! Bontà!  “ Le nere, specie quelle nere-nere - , coi capelli più neri della pece, quelle certe bellezze mediterranee – in particolare siciliane o spagnole – hanno i peli pubici tutti arricciati: riccioluti di  sogno, belli. Ecco perché l’uomo è  attratto dalle nere,  perché l’ancestrale ricordo lo riporta alla madre – natura, nella notte dei tempi, quando le donne erano tutte nere e quando più visibile era l’oggetto che lo attraeva quello che lo calamitava. Peli riccioluti ! Giocarci e guardarli estasiato! Toccarli e baciarli e avidamente inebriarsi! Pube peloso! Cespuglietto! Cespuglietto in cui immergersi e perdersi! “Ebbene, la stessa cosa non si può dire delle rosse, benché siano parimenti attraenti. Hanno il pelo pubico crespato, quasi pungente: il rosso è per chi ama le emozioni forti, quasi filo spinato. Non bello da toccare, non attraente, è pelo irsuto. Di  solito le donne rosse sono orgogliose dei loro capelli. Citano film “ Gli uomini preferiscono le bionde” e concludono: però sposano le nere. Loro, le rosse, non si mettono in competizione e si vantano, o  si consolano, dicendo che gli uomini sposano le nere e le bionde perché sono le più comuni: a caccia si acchiappano più anatre che cicogne, ossia: roba facile da trovare, e le cose facili da trovare, si sa, sono  le preferite ma non le più prelibate: margherite e orchidee. Ecco perché tutti gli uomini impazziscono appena vedono una rarità, cioè una rossa. Una volta una rossa fece persino un paragone floreale: “ tra le bionde, le nere, e le rosse c’è la stessa differenza che esiste tra le rose, i carciofi e le orchidee”. Esempio bello e suggestivo.” Fine del saggio.

Vedova: Voi ridete, invece io piansi quando lo lessi. Piansi. Ma no era pericoloso, allora, piangere. Il tempo è un grande costruttore, ma anche un  grande distruttore.

Presentatore: Lasci stare queste cose: continui, continui a narrare, ci parli di lui.

Vedova: Di lui? Ah, sì. Che pazzo era! E quella volta? Lui e quel suo amico! Aveva letto che all’aeroporto erano stati avvistati dei dischi volanti. Ebbene, decise di andare  “ vederli”, manco fossero rimasti lì,  sospesi nel cielo, ad aspettare che la gente andasse ad ammirarli. Lui si trascinò dietro quel suo amico. Non era certo da persone mature comportarsi da creduloni, perciò non lo dissero a nessuno e la sera partirono per l’aeroporto. Ad un bivio si smarrirono ed entrarono in una trattoria per  chiedere la via per l’aeroporto. A  quella richiesta, tutti gli avventori si voltarono a guardarli e uno di loro disse: “ Andate a vedere i dischi volanti ,eh?” e su quella battuta tutti risero. Ma i due amici non si persero d’animo e andarono, cocciutamente, come due bambini, “ a vedere i dischi volanti”. Aspettarono tre ore, al freddo, facendo la spola tra il terrazzino e la sala d’attesa per scaldarsi – a turno- ma di dischi volanti non ne videro. Il giorno dopo il giornale riportò ancora la notizia: “ Avvistati altri dischi volanti all’aeroporto”. E veniva anche precisato a che ora  erano stati avvistati: proprio nelle ore in cui i due amici si trovavano lì. Da allora il Grande Scrittore capì cosa voleva dire “informazione” o “notizia”. Per lui la realtà, la “cronaca”, divenne fantasia. Decise che tra realtà e finzione, nella parola scritta, non v’era alcuna differenza. E ne fece il suo credo. Scrisse l’autobiografia e io, che lo conoscevo da cinquant’anni, sebbene non avessi riscontrato in quell’autobiografia niente di quanto era successo nella vita, dovetti ammettere che ciò che vi era “narrato” era proprio la sua esistenza. C’era lui. Non c’erano fatti. In quell’autobiografia c’erano solo opinioni, solo modi di vedere, capire, interpretare la vita: c’erano solo sentimenti. Lui palpitava in quelle pagine  senza esservi nemmeno presente. Riuscite a capire? Riuscite? Oh, scusate queste lacrime ( piange ).

SCENA QUINTA

Presentatore: Una donna che piange! C’è ancora una donna che piange! Ve l’avevo detto, cari telespettatori, che oggi vi avrei presentato una vera rarità.

                   ( a queste parole il pubblico comincia a ridere gradatamente, fino a sghignazzare).

Vedova (sorpresa): Perché? Perché ridete? Non avete rispetto per le mie lacrime?

                   ( il presentatore ride anche lui).

Presentatore: Ah! Ah! Ah! Guardatela: forse sono le prime e ultime lacrime che vedete nella vostra vita, cari telespettatori e spettatori presenti in studio.

Vedova: ( al presentatore): Tu, tu sei … sei tu … li inciti. Ti  credi  un mago della comicità, uno stregone dell’applauso. Smettila. Oh, mi scusi … ma mi faccia domande, la prego … non domande che mi possano ferire. Per piacere.

(Il pubblico continua a ridere, incitato dal presentatore).

Vedova: Ma perché ridete? Che vi ho fatto? Cosa ho detto? Io sto solo piangendo!

                   ( Il presentatore comincia a fare battute che feriscono la vedova nascondendole dietro la facciata dell’intervista).

Presentatore: Ci dica, signora, quando e come fu la prima volta che fece il rapporto amoroso col Grande Scrittore?

Vedova ( sconvolta): No, no, no. Io non merito… Non credo di meritare questo. Per pietà.

Presentatore: Le lacrime, Tony, ci sono di nuovo: non lasciarti scappare il primo piano delle lacrime, se no ti licenzio.

Vedova: Ma che ci fate con le mie lacrime? Perché interessano tanto? Voi non piangete mai: da quando siete nati  non avete mai pianto e non avete mai visto le lacrime. Non avete mai sentito il loro calore sulle guance, mentre scivolavano, a volte lentamente, a volte a fiume. Non potrete mai capirle, perciò a che vi può servire guardarle? E se a qualcuno venisse voglia di piangere? Ma è  impossibile. E se  a qualcuno venisse voglia di imitarmi? Questo sì , è possibile, ma cosa succederebbe? Provate a stringere forte – forte gli occhi: vi insegno a piangere, sì… provat…

Presentatore: ( imbarazzato, furioso, interrompe la vedova): Giammai! Ma signora lei è solo una curiosità. I nostri spettatori non hanno nessun interesse …a…

Vedova ( interrompendo a sua volta): Ma lei mi lasci provare, che ci perde? Insegnerò loro…

Presentatore ( idem): Signora! ( Grida): L’insegnamento ce l’hanno già dato: il sentimento uccide l’intelligenza. Pianga lei, se vuole, ma lasci perdere gli altri.

Vedova: Già, meglio veder piangere che piangere. No?

                   (Durante il battibecco precedente, il pannello con le scritte “ applausi”, “risate” ecc. sembra impazzito e le scritte lampeggiano velocemente con alternanza: di conseguenza si mescolano fischi, applausi e risate di pubblico frastornato, robotizzato).

                   ( L’operatore aggiusta la posa della vedova: la fa mettere di  profilo e le  abbassa le mani per riprendere meglio il viso, ecc.)

                   (Il presentatore gesticola all’indirizzo della  sala di regia, fino a che tutto si calma):

Presentatore ( imperioso, alla vedova): E ora la smetta di piangere, basta con le lacrime – almeno per un po’ – e ci parli ancora di lui, siamo qui per questo, non scordiamocelo ( e si gira a guardare minacciosamente il pubblico). Poi cambia tono ed espressione: diventa dolce, accattivante). Lui, il Grande Scrittore. Forza, signora, racconti.

Vedova ( remissiva, come una bambina rimproverata) : Oh, sì, sì scusate. Avete ragione tutti: se non fosse per lui non sarei qui. Perciò è giusto che vi parli di lui, del Grande Scrittore, dei miei rapporti con lui. Bene, vi parlerò delle bambole, eh? Le mie.

Presentatore: Episodi, signora, aneddoti, prego!

Vedova: Ma sì, è un episodio. Ecco: mi piacevano le bambole, da bambina. E anche da grande. Per questo, lui, me ne regalava di tutti i tipi e di ogni paese.

                   Ed io ridevo di contentezza, quando me le portava. _ Una volta ridevo anch’io, sapete?-

Presentatore: Sì, sì, vada avanti.

Vedova: Me le portava e mi diceva: indovina cosa ti regalo!?” ed io facevo finta di non sapere cosa poteva essere. Poi scartavo il pacchetto e quando tiravo fuori la bambola piangevo, però di gioia.

Presentatore: ( sfottendo):  Vediamo se almeno  Ah! Ah! Ah! Smette di piangere con una barzelletta:

Vedova: Non mi tratti così, la prego. Mi lasci andar via.

Presentatore: Aspetti, ah! ah! aspetti: c’è ancora da divertirsi. Non vorrà lasciarci così, abbandonando a metà milioni e milioni di telespettatori!

Vedova: Vi ho parlato di lui, no? Era questo che volevate, no? Ho finito, io soffro.

Presentatore: Soffre? Ah! ah! ah!  Cosa vuol dire? È legato alle lacrime? Ah! ah! ah!

Vedova: Soffro, come quando lui andava a vedere i film pornografici…

Presentatore: Film pornografici? Questa è buona. E cosa sarebbero? – Che scoop! Che scoop! Le prossime lacrime, Tony, tieniti pronto, mi raccomando.

Vedova: Lui andava a vederli, qualche volta, cercando di non farmelo sapere. Ma io, in un modo o nell’altro, lo scoprivo. E soffrivo. E piangevo.

Presentatore: Piangeva! Ah! ah! ah! ridiamoci su.

Vedova : Perché? perché ridete? basta!

Presentatore ( fingendo): Non ci faccia caso. – Ah! ah! – Non ci faccia caso. Su, continui a parlare di lui.

Vedova: Di lui. Era un grand’uomo. Volete sapere questo?

                   Ecco il grand’uomo. Prima che ci sposassimo mi fece soffrire con due sole parole. Ci avevano regalato un tete à tete, cioè un servizio da caffè per due, e io fui felice: era bellissimo e non ne possedevamo: ci sarebbe servito. Ma lui, vedendomi contenta a sistemare il servizio, disse: “ che tristezza!” Due sole parole: che tristezza. Si vedeva già, per i successivi dieci, venti, trenta anni, prendere il caffè con quelle tazzine. Per lui, abituato alla libertà del non fare mai colazione perché si alzava sempre a mezzogiorno, quelle tazzine erano un simbolo, simbolo della costrizione, della morte prematura: sposo novello che si sarebbe alzato alle sette per andare a lavorare e che avrebbe preso il caffè  nelle tazze preparate dalla mogliettina. Poi  si vedeva già vecchio, con lui ed io seduti su un divano -  come raffigurato da certe statuine di Capodimonte. Seduti su un divano e ancora con quelle tazzine in mano. E io piansi. “ Che tristezza”, disse. Ed io che potevo fare, se non piangere? Doveva sposarmi, trascorrere tutta la sua esistenza insieme con la mia e vedeva questa cosa come una tristezza!

Presentatore: Interessante, tutto quello che ci racconta. Davvero molto interessante. Ma ora non pianga, via. Pensi ai suoi complimenti: che complimenti le faceva per farla contenta?

Vedova: Complimenti? Una volta, ad una sua collega disse che era quasi bella. “Quasi “ capisce? E questo perché finalmente l’aveva vista con la gonna e non con i soliti jeans, abbigliamento che si usava allora. Quel “ quasi “ non fu gradito dalla sua collega, ma per lui era uno dei migliori complimenti. Donne belle per lui ne esistevano ben poche: “non è dal viso o dal corpo che si vede la bellezza – diceva – bensì dagli occhi, dal sorriso. Sono gli occhi che irradiano bellezza”. E io, che piangevo, come potevo sprigionare sorriso e bellezza? Solo ogni tanto, quando imparai a farlo, mi diceva:  “che begli occhi che  hai oggi…”   Oggi! … lo direste un artista un uomo così? Eppure lo amavo, con i suoi difetti e le sue contraddizioni: oh! Quanti ne aveva! Ed ora amo il suo ricordo, ciò che fu suo, ciò che ha creato, ciò che ha lasciato. E non ha creato solo con la penna, sapete? Ha creato anche con  la natura. Da un frutto che mangiava riusciva ad ottenere – tramite il seme – una piantina, che lui andava poi a trapiantare in un posto particolare della campagna, un posto difficile da raggiungere, che solo lui conosceva. In cinquant’anni ha piantato più di trecento alberelli, che oggi sono  forti piante da frutto, un grande magnifico frutteto. Quegli alberi esistono ancora, da qualche parte.

Presentatore: E dove li potremmo trovare? – Per ammirarli, s’intende –

Vedova: Non me lo chieda, la prego: non lo direi mai. Molte altre piante, invece, le lasciò nei vasi. Ne fece dei bonsai, cioè degli alberi nani. Gliel’ho detto: arrivava a creare usando persino la natura come strumento.

                     ( Sullo schermo gigante scorrono delle diapositive raffiguranti artistici bonsai, con accompagnamento musicale – possibilmente un valzer lento.)                      

SCENA SESTA

Presentatore: Ottima trasmissione, quella di stasera. Ma ritorniamo ai complimenti.

Vedova: Ma non l’ha ancora capito? Per lui non esistevano i complimenti. Per lui – che era una buona forchetta – una volta cucinai un fagiano in un modo che solo i più grandi cuochi del mondo sapevano cucinare.

Presentatore ( con disgusto ): Mangiavate i fagiani?

Vedova ( sbrigativa ): Sì: e c’era da leccarsi le dita e quel giorno lui se le leccò.

                   ( Il presentatore fa controscena di disgusto, mimando il “ leccarsi le dita”

                   e lo sputare schifosamente).

Vedova: Io lo guardavo, in attesa che desse un parere, un qualche parere su quello che avevo faticosamente cucinato e, non ricevendo parola alcuna, lo stuzzicai dicendogli che era un fagiano e non il solito pollo. E lui per tutta risposta, mi disse che un pollo fatto bene non ha nulla da invidiare a un fagiano fatto bene. Io non mi arrabbiavo perché il suo modo di fare complimenti lo si ritrovava nelle sue azioni: infatti mangiò tre porzioni di fagiano; del pollo mangiava a stento solo le due ali.

                   Ma, del resto, era pieno di contraddizioni: diceva una cosa e dopo due minuti affermava il contrario. Con convinzione.

Presentatore: Ma veri complimenti, non gliene fece mai?

Vedova: Forse una volta. Gli domandai quale fosse stato il più bel regalo che avesse ricevuto. Lui mi rispose: “ Il più bel regalo sei tu”. Lo direste un complimento?

Presentatore:( con entusiasmo): Ma cero!

Vedova: Lo pensai anch’io, sul momento, ma dopo qualche secondo diedi un’occhiata di sfuggita  al libro che stava leggendo: era ancora aperto ad una pagina dove un personaggio diceva: “ Il mio più bel regalo sei tu “. Corsi via piangendo e lui mi corse dietro cercando di giustificarsi dicendo che non aveva importanza se quella frase l’aveva letta. L’importante era che ciò che aveva detto lo pensasse veramente. E aggiunse che la letteratura è psicoanalisi perché è confronto con la vita reale…e…frasi di questo genere che capiva solo lui e con le quali mi addolciva. E io gliela perdonai. Facemmo  il rapporto amoroso e dev’essere stato allora, quella volta , che concepimmo il nostro secondo figlio. Sì, dev’essere stato quella volta, perché dopo…non fu più permesso concepire figli in quella maniera… ( Si perde nei ricordi, tra sé e sé):

Presentatore: Ma non le disse  mai di quelle frasi che si usava dire una volta? Per esempio: “ ti amo “.

Vedova: Sentir dire “ti amo “ a uno che non ha mai fatto complimenti? Le sembra facile? (Pausa. Poi, ricordandosi ): Anzi non, lo diceva. Però lo diceva solo quando era ubriaco: ed io, pur di sentirglielo dire, lo facevo ubriacare. Diceva serio: “ ti amo “ e poi scoppiava a  ridere. Ma era meglio di niente. Però una volta lo minacciai di lasciarlo, rinfacciandogli che  ad una moglie si doveva dare di più, almeno a  parole. “ Una donna ha diritto ad avere di più dalla vita matrimoniale, gli dissi. Ma ancora una volta lui mi disarmò dicendomi che nella vita c’è solo quello che la vita ci può dare, non c’è qualcosa di più. Tutto quello che la vita ci dà è un “ di più”. Voi cosa avreste fatto? Io mi rifugiai tra le sue braccia e lo pregai di non lasciarmi mai. E gli chiesi di stringermi forte forte.

SCENA SETTIMA

Presentatore: Ed ora passiamo ai litigi. Signora, ha mai litigato veramente col Grande Scrittore?

Vedova: Litigato? Una volta lo lasciai, addirittura.

Presentatore: Ci racconti, ci racconti tutto.

Vedova: Tra i tanti regali che mi fece durante il matrimonio c’era una pelliccia, comprata venti o trenta anni prima. Era una pelliccia di visone fuori moda, che non usavo più, perciò decisi di disfarmene. Lui mi disse che si sarebbe incaricato personalmente di farla avere ad una associazione missionaria.

                   E quel giorno se la portò via. Due mesi dopo andai a trovarlo nel suo studio. Avevo le chiavi, aprii nell’altra stanza, intento a fare il vecchio sporcaccione con la giovane donna delle pulizie. Oh, come lo odiai! Vedo ancora quei due corpi nudi, avvinghiati, la flaccida pelle di lui contro il sodo seno di lei, che rideva. E tutt’e due sulla mia pelliccia, a terra .e mentre scappavo via in punta di piedi, col sangue diventato acqua, lo udii promettere la mia pelliccia a quella puttanella. Mentre indietreggiavo tremante urtai contro un supporto che conteneva le sue pipe: si rovesciò facendole cadere a terra e qualcuna si ruppe. Uscii sbattendo la porta e andai a rifugiarmi da mia sorella. Non mi cercò per niente, quel vigliacco. E quando, dopo una settimana di tormenti, tornai a casa, lui si comportò come se non mi vedesse da poche ore. “ Ciao, cara “. e mi baciò. E sul tavolo c’era un pacchetto regalo: era una parure di brillanti. Gli gettai tutto in faccia, lo schiaffeggiai ripetutamente chiamandolo porco e poi lo abbracciai, baciandolo. E lui ricambiò l’abbraccio. Quella volta  non fui sola  a piangere. Anche il suo viso era rigato di lacrime.

                   (La vedova piange sommessamente. Il presentatore, come per non disturbarla, fa cenno all’operatore di riprenderla. Poi, come un diavolo tentatore, si rivolge  alla vedova).

Presentatore: Su, signora, continui così;  continui a piangere. Vuole che l’aiuti a ricordare? Fu quella l’unica volta che andò con un’altra donna?

Vedova: ( guardandolo con disprezzo): Lei non ha cuore.

Presentatore: Ah! ah! si sbaglia: ne ho addirittura uno nuovo. Me l’hanno trapiantato appena tre mesi fa.

Vedova: Cuore, cuore. Non dico “ il “ cuore. Bensì cuore, come sentimento… Ma già, chi non ha mai pianto …

Presentatore: Non si disperda in parole senza senso, signora. Non …

Vedova: E va bene, va bene. Ce ne fu un’altra, di donna, una certa Enrichetta. Era giovane anche quella. Ma ciò che mi fece soffrire di più fu il suo modo di descriverla: “ bella, con occhi dolcissimi. E quel girocollo  con piastrina che le avevo regalato sembrava un ponticello d’oro sul laghetto delle ochette”.

Presentatore: Il laghetto delle ochette?

Vedova ( spiegando ): Sì , è quella fossetta che c’è alla base del collo. ( Gridando ): soffrii perché sua moglie non l’aveva mai descritta in nessuna delle sue opere. Mai, neppure un “ crepa”. E quando glielo rinfacciai mi rispose candidamente: “ E’ perché ti amo, tu esisti,  per me. Se ti descrivessi in un libro, saresti solo nella mia fantasia. Invece ti ho qui, reale, in carne ed ossa: a che mi serve descriverti?” ( sorride amaramente): voleva farmi capire che le altre  non esistevano, per lui. Però ci andava a letto! E poi le descriveva nei suoi romanzi.

Presentatore: Era un amatore dei rapporti amorosi. Ma quante volte si masturbava in una settimana?

Vedova: Anche questo!

Presentatore: Tutto

 Vedova: Sette volte.

Presentatore: Vuole dire …

Vedova: Sì, si masturbava ogni giorno. A volte anche due.

Presentatore: E quando?

Vedova: Quando faceva il rapporto amoroso con me.

Presentatore: ( al pubblico ) Tutto, cari telespettatori. Tutto si viene a conoscere e  a sapere in questa trasmissione seguita da ogni parte del mondo.

Vedova: Si crede a tutto, oggi.

Presentatore: Come dice?

Vedova: Niente.

Presentatore: Era un fenomeno vero?

Vedova: Il Dio, si autodefiniva. E se ne entusiasmava. Eppure, a volte, pensava davvero di essere potente, imbattibile, di avere delle energie che aspettavano solo di essere utilizzate, estrinsecate. Erano quei momenti in cui credeva – e lo faceva credere anche a me – che il mondo fosse a sua disposizione, a portata di mano. Credo che ognuno di noi avesse di  questi momenti, qualche volta, una volta. Ora non  più.

Presentatore. Oh, lasci stare queste stupidaggini : fatti , vogliamo. Fatti, vuole il pubblico: fatti. Si concentri sui fatti.

Vedova: Oh, sì, mi scusi. Stavo dimenticando. Volete fatti, vero? Eccoveli. Sapete cosa era capace di fare il Grande scrittore per dimostrare di essere un vero uomo? In campagna. Una volta eravamo in campagna, in una specie di fattoria del sud, dove c’erano tanti animali. Lui vide il gregge e volle Comprare dal pecoraio un agnellino nato da pochi giorni, due settimane di vita. Stava lì, tranquillo nell'ovile. Lo pagò più del suo va]ore, pur di non avere ostacoli. Afferrò l'agnellino tenendogli unite le zampe posteriori e lo bloccò tra le sue ginocchia, stringendogli la pancia.. Poi gli lasciò le zampe e l'agnello cominciò inutilmente a scalpitare e a belare. Poi, per non farlo più belare - con quei belati sembrava che chiedesse aiuto alla sua mamma… - per non farlo più belare, dicevo, gli strinse il musetto con una mano. Poi, con l’altra,  afferrò il lungo coltello appuntito che gli porgeva il pecoraio e lo conficcò sul lato del  collo dell’agnellino, trapassandolo. Il sangue  sgorgò,  colando in una, scode1la che Un bambino, il figlio del pecoraio, teneva sotto il collo de povero animale, che scalpitava sempre con minor vigore, finché la vita lo abbandonò. Poi lo lasciò cadere per terra. Il Grande scrittore ansimava. Il pecoraio e suo figlio ridevano, stavano quasi per applaudirlo. “Questo sangue è buono da mangiare, dopo averlo fatto indurire, fritto in padella”, disse il pecoraio. Il bambino corse a far friggere il sangue che poi avrebbero avidamente mangiato. Io piansi perché non ero riuscita a farlo desistere, a impedirgli di uccidere quell’indifeso agnellino. Poi, non ancora contento, afferrò una zampa dell’agnello, fece un foro sulla pelle, all'altezza del tallone, e vi soffiò dentro con forza, poggiandovi le labbra. L’agnello cominciò a gonfiarsi come un palloncino: era la pelle, che si staccava dalla carne per effetto della pressione del soffio. Poi, afferrato di nuovo il coltellaccio, squartò l'agnello e spellò il corpicino. “Questa la faremo conciare”, disse Il Grande Scrittore alzando la pelle come un trofeo. "E quello lo faremo arrosto", e indicò la carne ancora sanguigna dell'agnellino.

Presentatore (Dopo una breve pausa). Fiiiu, che fatti.

Vedova (quasi per infierire): E non finì lì. Durante il pasto, consumato all’aperto davanti alla cascina, lui e il pecoraio decisero di castrare un porco. Andarono nel porcile seguiti dal bambino e scelsero il più grosso porco, quello che ingravidava tutte le troie. Lo inseguirono per un po’ e lo afferrarono. Lo rivoltarono a zampe in su e mentre il Grande Scrittore e il bambino lo tenevano, il pecoraio, con un colpo secco, da esperto, gli tagliò i testicoli. E subito dopo lo liberarono. Il porco, grugnendo rumorosamente , raggiunse le sue compagne. Il pecoraio, il Grande Scrittore e il bambino, ridendo, raggiunsero gli altri commensali. Il pecoraio sezionò in due ogni testicolo e li depose sulla griglia. Un orribile lezzo si levò per qualche secondo e, dopo che furono ben cotti, gli uomini mangiarono i testicoli del porco. Anche lui ne mangiò un pezzo. (silenzio.)

Vedova: Allora, come va la commemorazione del grand’uomo, del Grande Scrittore, eh?

Presentatore (con finta indifferenza, ma evidentemente turbato): Beh, che C’è di strano? Del resto tutti sapevano che il Grande Scrittore era rotto a tutte le esperienze. Sappiamo anche che rubava.

Vedova: Già. Rubava. Era costretto a rubare per sopravvivere. Rubava al mercato, rubava ai grandi magazzini, rubava la vita altrui, le storie altrui. Archeologo della vita, si definiva, e rubava passioni, sentimenti... amore. Anzi no: l’amore è stata l’unica cosa che non ha dovuto rubare. Il mio amore per lui.

Presentatore: L’amore?

Vedova: Sì, l'amore, il più bel sentimento del mondo.

Presentatore: Sentimento?. Cos’è?

Vedova: Chi non piange non può capirlo.

Presentatore: Questa vecchietta! bisogna compatirla: è l'unico esemplare che sia rimasto al mondo. Dobbiamo fare tesoro delle sue testimonianze e, per questo, dobbiamo sopportare qualche sproloquio, qua e là. Amore, sentimento, passioni... Chissà a cosa si riferiscono. Ma forse è inutile indagare, probabilmente neppure lei... Ci divertiamo molto di più sentendo narrare di lui, del Grande Scrittore, che questa settimana celebriamo.

FINE PRIMO ATTO
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA

(Il presentatore si volge verso la vedova e la sorprende a piangere in silenzio.)

Presentatore: Presto, Tony, ancora  le lacrime, presto. (Alla vedova:) Narri mentre piange, signora. farà più effetto.

Vedova: me ne frego del vostro effetto.

Presentatore: Ecco, così. Tony, ci sei?

Vedova: Andate via... Lasciatemi andare... Lasciatemi in pace... (Cerca di scacciare l’operatore.)

Presentatore : Dai, Tony , dai. Forza, signora, forza. Così. Così andiamo forte. (Incurante delle sofferenze della vedova:) E ora del lavoro, signora, ci dica del lavoro. Prima di diventare famoso era impiegato statale, vero?

(Impotente, la vedova si calma, ma singhiozza; nulla può contro la "tenacia” del presentatore, perciò capisce che il modo migliore per liberarsi è quello di finire di narrare il più presto possibile.)

Vedova: Quell’impiego non lo ha mai interessato. Una volta disse: “l’unica cosa che mi dispiacerebbe, se morissi, è il non aver fatto niente, nella vita. Vorrei scrivere almeno un libro che lasciasse una traccia del mio passaggio su questa terra”.

Presentatore: Una traccia l’ha lasciata, non è vero cari spettatori? E che traccia! Un applauso. E ci dica, signora, che rapporti aveva, suo marito, con quello che chiamavate denaro?

Vedova: Che rapporti? Carnali, direi. Voglio narrarvi qualcosa che ve lo chiarisca.

Presentatore . Sì, signora, ci narri.

Vedova. Un suo amico possedeva un portafoglio in pelle, che ha usato per un breve periodo. Poi la sua ragazza gliene regalò uno nuovo.

Presentatore: Di lui, ci parli di lui, del Grande Scrittore.

Vedova: È  quello che sto facendo! … Il Grande Scrittore, invece, aveva un portafoglio vecchio, brutto... - successe prima che ci sposassimo - ...e non voleva che gliene regalassi uno nuovo. Preferiva usare il suo, di puro cartone e leggermente strappato da un lato. Il Grande Scrittore, una volta offrì il caffè a quel suo amico il quale, notando quel logoro portafoglio, si offerse di vendergli il suo, di seconda mano ma in ottime condizioni. E lui accettò. Il portafoglio del suo amico era in pelle. Vera pelle, un po' usato ma in buono stato. Glielo pagò 500 lire, dopo tre giorni di estenuanti trattative. In seguito mi confessò Che lo comprò usato non per risparmiare, ma perché pensava che gli avrebbe portato fortuna. Però il portafoglio di cartone non lo buttò via. Lo conservò.

(La vedova estrae dalla borsetta un vecchio portafoglio.)

Vedova (emozionandosi fino a piangere): Eccolo. (Lo porge al presentatore e questi lo prende e lo guarda incuriosito, tra il sorpreso e l’incredulo.)

Vedova: Poi gli venne un'idea, che realizzò veramente: non avrebbe mai buttato i suoi portafogli vecchi, ma li avrebbe collezionati. In più avrebbe scritto - e lo fece - la storia di ognuno di essi e avrebbe seppellito il tutto nel bosco, in una cassetta chiusa ermeticamente. Vi scrisse tutto ciò che quei portafogli avevano '”vissuto”, i soldi che avevano contenuto, i luoghi che avevano visitato, descrisse i momenti ricchi e i momenti bui in cui furono vuoti, privi dell’essenza che li rendeva necessari: la banconota. Ne seppellì più di sessanta, un tesoro di ricordi. Questo me lo lasciò. Ecco com’era il suo rapporto con il denaro.

Presentatore: Cos'è?.... Cos’era precisamente quello che lei chiama “denaro”?

Vedova: è  difficile spiegarlo. Oggi tutti possiedono tutto. Ma sessanta anni fa, senza denaro non si cantava messa.

Presentatore: Messa? (Confuso, lascia correre senza approfondire e riprende il vecchio discorso:) Quale fu il suo primo portafoglio?

Vedova: Era in pelle di dromedario - forse di cammello. Glielo aveva regalato suo padre, a dieci anni, e lo ha conservato per tutta la vita senza mai usarlo. Poi, ancora da suo padre, ebbe in regalo quel portafoglio di cartone, che usò per lungo tempo, fino ai primi anni d’università, quando lo conobbi.

Presentatore: Ecco: quando lo conobbe. Faceste subito il rapporto amoroso? Vedova (sorridendo): “Fare il rapporto amoroso": Già, è così che si dice adesso. Sì. E voi, voi che lo fate senza ritegno, senza ritegno volete conoscere quello degli altri. Non avete pietà. Non potete averne: non la conoscete, non sapete neppure cosa sia, la pietà.

Presentatore (assecondando) : No, non la conosciamo, la pietà. In questo ha ragione. Quindi lasci perdere e passi alla Prima Volta. Come fu la Prima Volta?

Vedova (dopo un po’ di esitazione cede imbarazzata):  Fu dopo una serata in pizzeria. Andammo nella sua soffitta, io mi spogliai  e mi misi subito sotto le coperte. Anche lui era nudo, ma stava all’impiedi e fumava un puzzolente sigaro. Mi aveva promesso di farmi leggere un suo racconto e io aspettavo che me lo desse. Non lo avrei fatto avvicinare se prima non mi se. Non lo avrei avesse dato il dattiloscritto. Mi  lanciò una boccata di fumo appestandomi col suo sigaro e mi porse le pagine del racconto. Faceva freddo, in soffitta, nonostante la stufa elettrica accesa. Ma sotto le coperte si stava bene. E lessi il racconto avidamente. Lui, per tutto il tempo, mi osservò senza fiatare. Finito di leggere non mi domandò neanche cosa ne pensassi: sollevò le coperte e si mise sotto, avvicinandosi a me. buttò il sigaro nel lavandino e mi abbracciò. I nostri corpi erano caldi, caldissimi, e ci percepimmo a vicenda. E poi spense la lampadina colorata che dava una fioca luce dell’ambiente e spense il fuoco che c'era in me. Il giorno dopo scrisse quella nostra esperienza. E la scrisse a suo modo, naturalmente. Poche pagine, irriverenti. Senza nessun rispetto per me come donna.

Presentatore: Ecco il passato: donna…  rispetto…  irriguardoso… (pausa) Ecco come veniva fatto il rapporto amoroso più di cinquant’anni fa , cari telespettatori.

Vedova: Ma no... No, la prego...

Presentatore: ...E poi cos'altro, eh? Botte? Insulti?

Vedova: Ma cosa sta dicendo?. Lei si sbaglia. Era uno Scrittore, lui. Doveva per forza scrivere in quel modo. L’ho già detto: per lui il mondo reale non si poteva portare negli scritti così com’era, ossia tale e quale. Ci voleva qualcosa, qualcosa che lui chiamava forza d'urto, che tutto trasformava, anzi no: non “trasformava”… Bensì deformava. Sì, deformava… Deformava la realtà e dalla sua penna uscivano capolavori. Irriguardoso, il suo amore? Vi dico due poesie, ora. Una la scrisse prima di conoscermi. L’altra dopo, molto tempo dopo, avermi conosciuta. La prima si intitola Senza amore. (Recitando:) Senza amore / E non sento / Il bisogno / Nemmeno  / Di una goccia / Della sua / Linfa.

SCENA SECONDA

(Dal portafoglio che il presentatore tiene in mano cade una fotografia. L’operatore la inquadra in primo piano: il Grande Scrittore è fotografato di spalle, mentre abbraccia la vedova, il cui viso sorridente spunta al di sopra della spalla di lui. Sono entrambi giovani.)

(L’operatore si mostra spaventato, confuso: dopo aver inquadrato la foto non sa cosa fare.)

Presentatore ( raccogliendo la fotografia): E questa? (All'operatore:) Su, continua, Tony. Riprendi tutto.

( La vedova si affretta a strappargli la foto di mano. )

Presentatore (sorpreso): Tutte le foto sono state abolite e distrutte tanti anni fa. Come ha fatto a nasconderne una?

Vedova (piange, ma guarda avidamente, contenta, la foto): Oh, no. Cosa mi faranno adesso? Io non sapevo che ci fosse ancora. Era lì, nel suo portafogli, forse infilata in una tasca segreta. Oh, non m'importa di quel che mi faranno. In questo momento provo una doppia gioia: la gioia di rivedere una foto e la gioia di sapere che lui nascondeva una nostra foto. Che uomo! Nonostante la nostra vita vissuta così come l’abbiamo vissuta, se lo incontrassi ancora, lo sposerei di nuovo. E ricomincerei con lui, un'altra volta, malgrado le sofferenze. Oh! Ha nascosto una nostra foto, rischiando per questo la vita. Capisce? Riuscite a capirmi?

Presentatore ( con complicità) : Signora, ci dica: cosa si prova a guardare una fotografia? Che senso ha guardare un pezzetto di cartoncino colorato?

Vedova (con nostalgia, sospira, ci pensa su, sorride): Si ricorda. Ecco perché sono state abolite. Le foto permettevano ad una persona di rivivere. Guardando una foto ci si estraniava dal mondo. Quando si guardavano delle fotografie, per qualche minuto non si viveva il presente, si viveva il passato. Anzi, lo si viveva un’altra volta. Basta una foto (la guarda commossa) e si ricordano certi momenti, a volte bellissimi a volte meno belli. Una foto crea anche lo stesso sentimento, la stessa sensazione, lo stesso stato d'animo che si aveva al momento dello “scatto". Ogni foto era una storia, un fatto. Erano anche testimonianze. E ogni foto poteva far discutere per ore, giorni. Forse è per questo che sono state abolite. Per far dimenticare.

Presentatore: Guarda, Tony, guarda che bella. Inquadra la fotografia. (l’operatore appare spaventato, si allontana, rifiutandosi di inquadrare la foto) - (Il presentatore rimane conquistato dalla foto, continua  a guardarla estasiato.)

Vedova : Quando sfogliavo un album di fotografie, era come se sfogliassi il tempo.

Presentatore: “Sfogliare il tempo”! ….

Vedova: A me piaceva guardare le fotografie. Qualsiasi fotografia, specialmente quelle fotografie d’epoca, ingiallite, che mi portavano nel tempo che non avevo vissuto. Le fotografie sono – voglio dire erano - vita, che lo si voglia o no.

Presentatore: E noi, qui, stasera, abbiamo detto tutte queste cose? Non posso crederci. Tony, hai registrato tutto? (Tony è più che mai spaventato.)

Presentatore ( imperioso): Tony!  (Con cautela, Tony poggia a terra la video-camera ed esce correndo, impaurito da chissà cosa.)

Vedova (come in trance): Avevo due criceti, da bambina: Arcibaldo e Petronilla. Arcibaldo è morto per amore, Petronilla  di dolore. Al Grande scrittore piaceva un frutto, in particolare. Anche quello, oggi, è scomparso. Ma resta una sua poesia, a ricordare quel frutto (comincia a recitare:) Denti di morto, mangio / Denti per Re, per pranzi da Re / Denti di morto, sul tetto / Dolci e aspri, rossi e bianchi / O con un punto di carie, nera / Carie nera sui denti di morto / Da buttare, da mangiare./ buoni, sul piatto / Morbidi e schizzosi / E la pelle amara che vi si attacca, / Denti sporchi di giallo. / Un dente di morto / Due, tre, centoventi più centoventi / Denti di morto nel bicchiere. / Col cucchiaino, mangio / A sette a sette / Per il mio piacere / da gustare, ma solo in autunno / Denti di morto, per non piangere. (Pausa.)

Presentatore: Denti di morto?

Vedova: I grani di melograno!

Presentatore: Oh! E scrisse altre... Come ha detto che si chiamavano? sì: poesie.

(La Vedova tira fuori dalla borsetta tre o quattro fogli piegati.)

Vedova: Queste. (Porge i fogli al presentatore.)

(Il presentatore, prima esamina gli scritti, incredulo; poi legge, contento del nuovo scoop.)

Presentatore (leggendo): "Andare dal corniciaio per per mettere cornici a stampe leonardesche e raffaellite, più quadro ad olio...

Vedova: No, no. Mi sono sbagliata...

Presentatore : No, lasci: è interessante. (Continua a leggere) "Fare bucato…”

Vedova: No, sono i suoi promemoria...

Presentatore : "...Scrivere ai critici. Battere a macchina i racconti...”

Vedova: No, la prego, no. (Piange allunga le braccia e poi si arrende, impotente.)

Presentatore (incurante della vedova, continua a leggere imperterrito, avidamente). "Scrivere a editori e inviare racconti. Spedire racconti pornografici a riviste specializzate. Fare doccia. Andare al cinema. Telefonare al giornale. Telefonare a Pasquale, il pittore. Scrivere racconto sulla... morte. Andare in banca per versamento. Andare all'altra banca per prelievo. Andare a gabinetto poi fare barba. Andare ufficio collocamento per tesserino disoccupazione..."

 Vedova: No, basta, la prego. Basta. ( Piange. )

 Presentatore (Infierendo): "...Falsificare francobolli. Andare al museo. Dichiarazioni redditi: Sì o no?” (Guarda la vedova.) Uh! Come piange Tony, dove sei? (riprende a leggere:) fotocopiare manoscritti. Comprare libro Come diventare ricchi nel l981. Telefonare a casa. Fare all’amore - telefonare a Rosy.”

Vedova: Ma perché? È una tortura. No, la prego.

Presentatore: "Cominciare a scrivere seriamente. Litigare e mandare affa’nculo  il caporeparto. Licenziarsi dalla ditta. Invitare Sara a cena - o a teatro. Invitare Laura a cena - o a teatro. Invitare Silvia a cena - o a letto. Andare al casinò. Comprare Marijuana. Recuperare sonno perso.

Vedova (singhiozzando): E' contento, adesso? Cosa ci ha guadagnato?

Presentatore: Ma sono scritti... Come dire? Sono più belli delle poesie.

Vedova (Ironica): Lo so. Per questo non volevo che li leggesse.

Presentatore (con solenne serietà): E' mia opinione Che dovessi leggerli.

Vedova: Sapete cosa diceva il Grande Scrittore? Diceva: “Mi piacciono le opinioni, perché  sono teorie, cioè quelle affermazioni che non possono essere provate e delle quali - ecco il bello - si può sostenere il contrario, perché  neanche questo può essere dimostrato”.

Presentatore (estasiato, dopo una breve pausa): Bello!

SCENA  TERZA

(Timidamente entra in scena Tony e riprende il suo lavoro con la videocamera)

 Presentatore (a Tony): Ti sei perso un sacco di lacrime. Cerca di recuperare. (Alla vedova:) Dell’impiego, signora. Non ci ha ancora parlato del suo impiego statale.

Vedova: C’era il buio, davanti a lui. Si vedeva solo un piccolo, piccolissimo spiraglio, da dove entrava un  po’ di luce. Sarebbe riuscito a fare breccia in quello spiraglio e vedere la luce? Le mie emozioni e il mio stato d'animo mi dicevano di sì, ma l’intelletto e la ragione avanzavano molti dubbi. Il destino non esiste o, se esiste, è fatto di tante piccole trappole disposte da noi stessi lungo il cammino della vita. Trappole nelle quali prima o poi cadiamo. Infatti, poco prima che ci sposassimo, venne assunto in un Ente statale, impiegato di sesto livello. Da allora si mise in testa che nessuno volesse niente da lui, nessuno pretendesse niente dal Grande Scrittore. Bastava che facesse il proprio dovere, le sue ore in ufficio, e nessuno gli chiedeva più nulla. Bastava che lavorasse, che contribuisse a far andare avanti quel carrozzone statale con le ruote contorte e traballanti. Era tutto normale. E per moltissimi anni venne lasciato tranquillo. In fin dei conti, per un miserabile stipendio, faceva fin troppo bene la sua parte per la Società. Ma la sua vita non, poteva avere termine in un ufficio statale.  (Comincia a piangere.)

Presentatore (fa cenno a Tony di riprendere, le lacrime. Poi , alla vedova: ) Certo , certo. Infatti poi divenne un grande scrittore.

Vedova (gridando): NO! Non lo divenne: lo era già. Lo era sempre stato. È questo che non riuscite a capire. Voi avete voluto scoprirlo solo dopo la sua morte. Però sin da allora voleva inventare mille cose, ma avete ucciso la sua fantasia ed era come se aveste ucciso lui. Voleva creare, fantasticare, vivere in mondi di sogni, ma lo avete azzerato, lo volevate come voi: morti viventi. E lui voleva creare mondi, vite. Mondi migliori, vite migliori, senza uffici. Andava in ufficio al mattino presto e tornava a casa la sera tardi. E le sue opere a metà lo guardavano mute; gli ricordavano chi era e lo facevano star male. Opere create a metà e mai finite, che avrebbe finito, prima o poi. E stavano lì, le  sue creature, come aborti che un ufficio aveva impedito di nascere, di scaturire da quell'anima immortale che era la fantasia del Grande Scrittore. E piangeva il padre, e piangeva la madre, madre natura, e piangeva il mondo, e piangevano tutti, anche i morti che morto lo volevano, come loro, felici di lavorare in un ufficio. ( Pausa )  E dopo alcuni anni di impiego statale scrisse una poesia che mi fece rabbrividire, che mi fece presagire qualcosa di grave: “Uomo alle soglie del tempo / Cosa fai seduto lì / A guardare inerme / Mentre la morte / Comincia a coprirti / Col suo nero Mantello?”

(La vedova singhiozza sommessamente e piange.)

Presentatore (con discrezione): E le altre poesie?

Vedova (prende dalla borsetta due fogli e li porge al presentatore). Ecco. Legga lei, io non ne avrei la forza.

Presentatore ( apre i fogli) . “Passerà questa stagione” - è il titolo. (si schiarisce la voce). Bianche cime innevate / Lontane, alte a toccare il cielo / Montagne e colline Baciate dal limpido sole mattutino  / Voi coronate il mio triste e lento andare. / Persino tu, /Rabbioso e gelido vento, / Persino tu / Urli e piangi un pianto sommesso e impotente / E sembri impedirmi l'andare / Verso il grigio, triste e Mortale cemento / Che si staglia, feroce e inumano / Verso il cielo sereno / Come spina maligna / Nel cuore innocente di un bimbo. / E Avanzo, lento. / E ancora violente sferzate / Di polvere e gelo / Mi trapassano il cuore. / E le foglie, tristi anch'esse, come me / Gialle animelle senz’ali / Vibrano tutte e si strappano nette / Dai rami grigi e morti / Cedendo al vento dell’uggioso mattino. / Vento complice e tentatore / Cui resisto a stento. / E sembrano fuggire, le foglie /Mentre mi sfiorano, rapide / Il petto, le gambe / Il sangue e l’anima mia / E mi dicono - sadiche e tentatrici / Vieni con noi / Danza con noi / Vola con noi / Fuggi con noi. / Ma io, soldato d’un esercito di morti / Né quel giorno ne mai / Riuscii a disertare / La mia postazione , Una trincea di grigie pratiche da smaltire."

Vedova: Non è granché, come poesia, eh? Ma capite, ora, cosa voleva dire per lui andare in ufficio?

Presentatore (spulciando tra i fogli che ha in mano): E quest’altra?  “Piccolo uccellino?”

Vedova: No, quella no. L’ha dedicata a me. La scrisse sul frontespizio di un suo libro. E' quella che scrisse molto tempo dopo avermi conosciuta.

Presentatore: Leggiamola.

Vedova: No, è mia.

Presentatore : E allora ce la legga lei.

Vedova: Io?

Presentatore: sì . Un applauso, signori.

( La vedova, a malincuore, si appresta a leggere. )

Vedova: "Tu, piccolo uccellino di primo volo, /Tu vorresti volare, lo so / Ma sempre ricadi. / A volte è un’ancora invisibile /La tua ingenuità. A volte tu stesso, testardo. / O i tuoi sbagli. / Tenero uccellino di primo volo! /Volerai, stanne certo / Ti aiuterò a farlo. / Ma sorridi, ti prego."

(Pausa. )

Vedova: La scrisse un Natale di tanti anni fa. Non voleva che piangessi. Un giorno mi disse che era stufo di vedermi piangere. “Devi essere felice”, mi diceva. E io gli rispondevo che si può essere felici anche piangendo, anzi: forse, chi piange, dimostra di essere più felice di chi ride quando invece vorrebbe piangere ma non può. Ormai era stato distrutto il sentimento.

( Pausa. )

Vedova (al pubblico): E voi, non vi siete ancora stancati di vedermi piangere?

Presentatore: Ma no! Per noi è un piacere vederla piangere. È una tale novità! non è vero, cari spettatori? Un applauso.

SCENA QUARTA

(Gli applausi vanno scemando. )

Vedova: Oh, lo so, per voi sono una bestia rara. Oh sì. Una donna che piange non l’avevate mai vista. E non avete mai visto una donna che muore, vero?

Presentatore (spaventato): Non dica quella parola, signora.

Vedova (infierendo): Morte. Vi spaventa la morte, vero? Quella vi fa paura, fa paura a tutti. Ha sempre fatto paura. La paura della morte non si potrà mai abolire. E volete sapere una cosa? Una cosa veramente segreta sul Grande Scrittore? L'ho ucciso io.

Presentatore (confuso): Ma signora, si esce dagli schemi. Non è possibile. Ucciso, lei? Non è possibile. Tony, spegni tutto, non registrare.

Vedova: No, Tony. Continua a registrare, invece. Riprendili. Su, dai. I miei occhi... Sapete una cosa? Erano pieni di lacrime, mentre lo uccidevo. lui era lì, debole, vecchio. Era lì , sul letto, senza più forze, ne volontà. Mi  avvicinai, presi un cuscino, lo poggiai sul suo viso mentre dormiva e. . . (Scoppia a piangere.)

Presentatore (spaventato e confuso): è incredibile! Cosa è successo? Cosa succederà adesso? Non esistono più né omicidi nè assassini da almeno trent'anni.

Vedova: Ma di che ti preoccupi? Questa trasmissione non l’abbiamo voluta né io né tu. L’ha voluta qualcun altro, di proposito, perché non ci fossero più scrittori. Lui è stato l’u1timo, ma l’hanno pescato troppo tardi, dopo la sua morte. Ve lo hanno dato in pasto, prima con la sua opera, per farvelo gustare, assaporare. Ora ve lo vogliono sottrarre, lo vogliono uccidere ancora - me lo vogliono far uccidere ancora - con la mia testimonianza. Il Grande Scrittore è stato ucciso molte volte, ma sempre è resuscitato. Ma da oggi in poi nessuno lo potrà più uccidere.

Presentatore (più spaventato che mai): Tony, spegni tutto...

Vedova: Da decenni conduci questa trasmissione. Tutte le volte l’hai condotta per uccidere la memoria di qualcuno o qualcosa. Però ti impediscono di parlare di morte. Ma stasera i tuoi milioni di telespettatori la vedranno, la morte. In diretta. Forza Tony.

Presentatore ( a Tony che passa la diretta): Tony, no.

(Ma Tony è ormai un cane sciolto, che ha assaporato il sangue: sa solo che il suo compito è quello di fare riprese.)

(La vedova estrae dalla borsetta un pugnale e improvvisamente si scaglia contro il presentatore, colpendolo al ventre. Il presentatore si accascia al suolo, morto. L’operatore inquadra il corpo ormai privo di vita.)

Vedova: Avevo il mio pianto, la mia solitaria sofferenza, ero tranquilla. Tu (al presentatore morto): tu hai fatto rinascere in me il ricordo di lui e, con il ricordo, anche il rimorso per quello che gli ho fatto. Ed è come se l’avessi ucciso ancora.

(La vedova lascia cadere il pugnale e l'operatore lo inquadra in primo piano, zoomando.)

Vedova: Inquadratemi pure, adesso. Inquadrate il mio volto, ormai non ho più lacrime.

(Ma l'inquadratura resta fissa sul pugnale.)

BUIO.