Una donna libera

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UNA DONNA LIBERA

Commedia in tre atti

di ARMAND SALACROU

PERSONAGGI

LUCIA BLONDEL

CELESTINA, madre di Paolo e Giacomo

ZIA ADRIANA

GIACOMO MIREMONT

PAOLO MIREMONT

« CHER AMI »

MAX

UN ESATTORE DEL GAS

L'AUTISTA

UN RAGAZZO

Il primo e il terzo atto in casa dei Miremont, in campagna. Il secondo atto & Montparnasse. Fra atto e atto passano rispettivamente cinque e sette mesi.

ATTO PRIMO

La camera di soggiorno di una casa agiata di campagna. Vecchi mobili, fotografie sui muri, nes­sun lusso eccessivo, tuttavia molto ordine, molto lindore ovunque. Orologio a pendolo ad una pa­rete. Lampadario nel mezzo.

 (Zia Adriana, una zitellona, seduta in poltrona, fissa immobile la finestra aperta. Quasi subito Giacomo sporge il capo attraverso l'architrave della porta. (Sarà appollaiato su una scala a pioli, nella stanza accanto). Allunga un doppio metro, quasi dovesse misurare il soffitto).

Giacomo                       - Le stelle sono trecento milioni!

Zia Adriana                   - (sussultando) E' questa la maniera di salutare tua zia?

Giacomo                       - Buon giorno, zia Adriana, buon giorno!

Zia Adriana                   - (senza guardare Giacomo) E così, come se niente fosse, ti presenti alle tre del pome­riggio!... (Si volta e non scorge più il nipote) Screan­zato!... (Giacomo rientra, questa volta dalla porta, recando la scala a pioli: la piazza, e vi sale. Zia Adriana lo fissa, muta, piena di disprezzo. Giacomo, afferrato un martello, conficca un grosso chiodo nel soffitto) Sei pazzo?! Vuoi scendere di lì?! Basta, mi fai diventare sorda con quei colpi... Giacomo, ma insomma...

Giacomo                       - (verificando il chiodo) Terrà. Crede­te, zia Adriana, è con immenso dispiacere che di­sturbo la vostra siesta... ma non avrei mai imma­ginato di aver fatto, in soli tre mesi, dei progressi così rapidi... tanto da dover invadere persino la sala da pranzo! (Scende dalla scala, esce rapido).

Zia Adriana                   - Un buono a nulla... un fannullone; ecco cosa sei. Che, per di più, prende la gente per il naso...

Giacomo                       - (rientra con una grossa palla di legno contornata da un anello) Oggi, sono vittima delle proporzioni.

Zia Adriana                   - Cosa?!

Giacomo                       - Eh, sì... perché si può mutare una di­mensione, non un rapporto fra due dimensioni... Però, fatto il primo passo, tutto il resto viene da sé... quasi ci fosse un destino che guida le propor­zioni... Si discorre spesso dei figli e dei figli dei figli dei figli... Giustissimo! Ma anche i gesti hanno i loro discendenti; anche i nostri atti e i nostri pen­sieri sono concatenati ed hanno un loro futuro... An­che tu, zia...

Zia Adriana                   - Io?!...

Giacomo                       - Sì, anche le zitellone come te, cara zia Adriana, avranno una loro generazione che non potranno rinnegare...

Zia Adriana                   - (indicando la palla) Cos'è quella roba?

Giacomo                       - Saturno, zia, Saturno e i suoi anelli...

Zia Adriana                   - Non attaccherai, spero, quella porcheria al soffitto?!

Giacomo                       - Un uomo di scienza stupirebbe del tuo disprezzo per un sì eccelso pianeta... soprattutto se sapesse che tu tolleri in questa stanza quell'orri­bile lampadario pieno di polvere, fuori moda...

Zia Adriana                   - (chiamando) Celestina, Celesti­na!... (Giacomo dopo aver appeso il suo Saturno al chiodo del soffitto, esce portando la scala con sé) Caro Giacomo, stai passando i limiti! (Chiama an­cora) Celestina!

Celestina                       - (la madre di Giacomo, entrando) E' arrivato Paolo?

Zia Adriana                   - No. (Indicando la palla) Guarda!

Celestina                       - Cos'è?

Zia Adriana                   - (spiega soltanto) Giacomo! (Pau­sa, quindi) Un'altra trovata di tuo figlio!

Giacomo                       - (entra leggendo un libro) Ho preso così male le misure, che se voglio finire la messa in opera del mio sistema planetario, tenendo un conto esatto e proporzionale delle distanze fra pianeta e pianeta nel cielo... sarò costretto ad appendere Uranio al soffitto della tua camera da letto, cara zia... Un bel disastro.

Celestina                       - Cos'è questa nuova storia, Giacomo?

Giacomo                       - Quando appesi la terra alla piccola tremula luna nella mia camera, non pensavo che in un secondo tempo mi sarei interessato anche di Saturno, di Uranio e di Nettuno... Eh, sì, cara mamma... perché esiste anche Nettuno! Capirai, tutte queste misure celesti, ridotte proporzionalmen­te, mi costringeranno a ficcare il povero Nettuno nell'ufficio postale, qui dirimpetto. La gentile signo­rina Daniela, che, come se nulla fosse, timbra let­tere per Chicago e la Città del Capo, scommetto non sopporterà l'idea di lavorare con Nettuno sulla testa...

Zia Adriana                   - Scherza, scherza! Domanderemo a tuo fratello che cosa ne pensa della tua nuova mania astronomica!

Giacomo                       - Dubito che possa averne un'idea. Anche se qualche volta Paolo si serve del sole per abbronzarsi la pelle, il mio mondo solare è molto diverso da quello ch'egli frequenta a Parigi...

Celestina                       - Ascolta, Giacomo... tuo fratello sarà qui da un momento all'altro... Viene fra noi assai di rado... quindi, ti prego, non innervosirlo subito, come hai sempre fatto, con la tua mania di pro­spettargli le cose da un tuo speciale punto di vista... (Corre alla finestra) E'... No, non è lui... (Torna da Giacomo) Quando Paolo è qui, non passa giorno che non bisticciate. Ma sì, lo ammetto, non saranno liti vere e proprie... si tratta sempre di dispute tra fratelli, di piccole nuvole passeggere... Tuttavia...

Giacomo                       - Cosa vuoi, mamma: siamo così di­versi, noi due! Lui è un cittadino, io un uomo che vive a contatto con la natura...

Zia Adriana                   - Tu non sei nulla, caro mio! A te la campagna serve solo per sognare... Del resto io avevo sempre detto che non è in una scuola d'agra­ria che si diventa agricoltori, ma stando nelle stal­le in mezzo alle bestie... Soprattutto quello che devi tenere bene in mente, è che tu non hai diritto a sparlare di tuo fratello... Paolo sì, che è un vero uomo, che si guadagna la vita... e i suoi guadagni li sa investire. D'accordo ch'egli vive a Parigi e che a Parigi si comporta da autentico parigino... ma aumenta così il suo conto in banca... Tu invece non guadagni un soldo; al contrario, non fai che mangiarne.

Giacomo                       - Io mangio alla vostra stessa tavola, sempre le stesse cose, la carne due volte alla setti­mana e dell'insalata mal condita ad ogni pasto.

Zia Adriana                   - (non sapendo che cosa rispondere, cambia discorso) Quando penso che con la tua linguaccia, fai girare la testa alle ragazze dì qui, e che in paese ti chiamano «il bel Giacomino». Sì, «un buono da niente: il bel Giacomino ». E di' un po', giovanotto, anche alle ragazze parli di stelle e di astri?!

Celestina                       - Via, Adriana, ti prego...

Zia Adriana                   - Sì, sì... proteggilo! Tu sei troppo buona con lui!

Celestina                       - Senti... (Rumore d'automobile. Cor­re alla finestra) Eccolo!... No, non è la sua mac­china...

Zia Adriana                   - (va anche lei alla finestra) E al­lora chi sarà?

Celestina                       - La macchina s'è fermata al cancel­lo... Ma sì, è Paolo! Eccolo là: sta parlando con Giuseppe...

Zia Adriana                   - Che abbia cambiato macchina? Dio mio, si rovina quel ragazzo! (Celestina esce).

Giacomo                       - (fissando il suo Saturno) Può darsi che Paolo «mi sappia dare un'idea sulle proporzioni..» Paolo ha molte idee, e siccome le idee non costano nulla, le regala volentieri!

Zia Adriana                   - Ma non ti vergogni di stare sem­pre col naso in aria, a non far nulla, mentre tuo fra­tello?!... Se io fossi tua madre, terrei non so quante mucche in stalla, se non altro per fartele mungere dalla mattina alla sera.

Paolo                             - (entra seguito dalla madre. Sulla soglia si ferma e si guarda attorno da dominatore. Pronun­cia con una certa enfasi) Eccomi qua... Buon giorno, zia Adriana... Ciao, Giacomo...

Zia Adriana                   - (a Celestina che accarezza Paolo) Il tuo Paolo, eh?!

Celestina                       - (fiera, commossa) Sì...

Zia Adriana                   - E pensare che è il fratello dì questo fannullone! (Avvicinandogli) Come sta il nostro Paolo?

Paolo                             - Come una quercia dei nostri boschi, zia. E voi? Come trovate la mia cera?

Celestina                       - Ottima! Si vede che l'aria di Parigi ti fa bene.

Paolo                             - (conducendo le due donne alla finestra) Ed ora ammirate la mia macchina! Bella, no?!

Zia Adriana                   - Oh, sì, una macchina da milionari. Però, Paolo, ricordati del detto: «Quando ci sì crede molto ricchi si è sulla soglia della povertà»... Perché è allora che ci si dà alle spese più pazze...

Paolo                             - Hai ragione, zia Adriana...

Celestina                       - Ma, Paolo, la tua macchina se ne va...

Paolo                             - (allontanandosi dalla finestra, senza dar volutamente peso alla cosa) Si, va... a fare una corsa sino alla stazione... a prendere una persona... di cui voglio appunto parlarvi...

Giacomo                       - E così... il tuo nuovo carrettone cor­re forte?

Paolo                             - Difficile risponderti, caro: dato che io non sono orgoglioso. Infatti io non dico mai « faccio tanto all'ora», bensì «in un'ora dò tante fre­nate». Quando vado in macchina, non ho mai l'ambizione di addizionare dei chilometri, bensì di sottrarre delle frenate...

Celestina                       - Ma ora guidi tu la macchina? E se ti capita un guasto per istrada?

Paolo                             - Ma no, la guida sempre Giuseppe.

Zia Adriana                   - Lo spero! Non vorrai che Paolo paghi un autista per nulla. Paolo sa come si sta al mondo, e come ci si comporta con i propri dipen­denti.

Celestina                       - E poi Giuseppe è così prudente...

Zia Adriana                   - I domestici costano magari cari, ma danno un tono; non è vero, Paolo?

Celestina                       - Ma tu, Paolo, avrai bisogno di qualche cosa... Guarda un po'. Io sto qui a chiac­chierare e tu intanto, povero Paolo... Ma era per la gioia di stare qui con te...

Paola                             - Non ho bisogno di niente, grazie. Mi occorre soltanto tutta la vostra attenzione per rac­contarvi qualcosa che certo vi stupirà... (Indicando la palla di Giacomo) Ma cos'è quella roba?

Celestina                       - Tuo fratello, in questi ultimi tempi, si è dato all'astronomia...

Paolo                             - (mezzo ironico) E' un telescopio?

Giacomo                       - Benché in campagna si debba usare sistemi rudimentali, quello non è un telescopio: è Saturno...

Paolo                             - Saturno?

Giacomo                       - Sì. Ho ricostruito il sistema solare, per potermi persuadere della sua perfezione, ma soprattutto della sua meravigliosa realtà. Il Sole è nel giardino, Marte sulle scale, Venere nella camera degli ospiti... lì c'è Saturno.

Paolo                             - Non saprai dunque pensare mai a qual­che cosa di serio?!

Zia Adriana                   - Ma certo, qualcosa dì serio... Ha ragione Paolo...

Giacomo                       - Tutto mi aspettavo da te, meno que­sto rimprovero...

Celestina                       - Oh, non ricominciamo... Io speravo che almeno questa volta...

Giacomo                       - E, bada, io non mi rammarico dei rimproveri che mi fai; trovo soltanto strano che sii proprio tu a dirmi di pensare a qualche cosa di serio; tu che passi la vita ad infinocchiare il prossimo ed a contare frottole.

Paolo                             - Frottole, io?!

Giacomo                       - Spero che non vorrai considerare una cosa seria lo scrivere soffietti pubblicitari che esal­tano oggetti che magari non valgono niente, e di cui tu racconti mirabilia soltanto perché sei pagato per questo. Una ghiacciaia elettrica è un arnese che, in ultima analisi, potrebbe anche non esistere... Andiamo, via: sei troppo intelligente per non com­prendere che le tue trovate pubblicitarie sono delle autentiche frottole, paragonate alla luminosa realtà del mio sistema solare...

Paolo                             - (padroneggiandosi) Debbo sempre ricor­darti che sono più vecchio di te!

Giacomo                       - No, non devi sempre ricordarmi la nostra differenza di età, Paolo...

 Paolo                            - (suo malgrado) Perché?

Giacomo                       - Perché allora mi parrebbe di non aver altro scopo nella vita, che quello di aspettare la tua morte ed il tuo denaro.

Zia Adriana                   - (a Giacomo, velenosa) Caro ra­gazzo, se tuo padre fosse ancora vivo e ti sentisse dire simili assurdità a tuo fratello, il maggiore, non sarebbe certo soddisfatto di te... E nemmeno di te, Paolo, perché tu dovresti punire tuo fratello...

Celestina                       - Il loro padre, non potrebbe pretende­re che si picchino, Adriana; ma che si compren­dano...

Zia Adriana                   - (esaltandosi al ricordo) Che uomo (A Giacomo) Sai dove mangiava tuo padre, prima di vendere la tenuta del «Bosco d'amore», cioè quando era ancora il capo di casa? Solo, mangiava; solo ad un tavolo con tua madre che lo serviva in piedi accanto a lui! Dopo, quando lui aveva finito e si era ritirato nel suo studio, si mangiava noi. E quando tuo padre parlava, tutti lo stavano ad ascoltare sull'attenti, perché egli era il capo di casa. In una casa, il capo è quel che un generale è sul campo di battaglia. Il capo, ora, se tutti i valori della vita non fossero sconvolti, dovresti essere tu, Paolo...

Giacomo                       - Ma noi si ascolta Paolo... e lo si ascolterebbe anche più attentamente... se ad un tratto non avesse cambiato mestiere, e da avvocato fosse diventato agente di pubblicità. Paolo, quando eri avvocato, i clienti che ti pagavano per avere da te un consiglio, ti ascoltavano, no?

Paolo                             - Io non voglio discutere delle mie profes­sioni con te. Sì, ho smesso di fare l'avvocato. E con questo?

Zia Adriana                   - Tuttavia, da quando hai lasciato lo studio legale, quale posizione hai saputo crearti!

Giacomo                       - Ora sei direttore d'una agenzia di pubblicità: una specie di venditore di fumo...

Paolo                             - Tutto quello che mi riguarda tu lo giu­dichi buffo, inutile, grottesco... disonesto... E sta bene: ma tu? Cosa fai tu? Che cosa sei tu?

Zia Adriana                   - Vive tutto sospeso a mezz'aria...

Celestina                       - (che Quella è la sua fissazione) Non vorrete, spero, litigare anche oggi?

Paolo                             - No, mamma. Oggi no. Sarei stato anzi felice, prima di annunciarvi la visita... di cui ora vi parlerò, di fissare con Giacomo alcuni punti essen­ziali, per evitare una volta per sempre, altre di­scussioni...

Giacomo                       - Tu vuoi fissare con me dei punti es­senziali?

Paolo                             - Non fare sempre dell'ironia. So, d'altra parte, che non è in poche ore che noi potremo met­terci d'accordo.

Giacomo                       - Tuttavia, pensi che fra qualche se­colo noi potremmo intenderci...

Paolo                             - Non sai nemmeno di che cosa voglia parlare...

Zia Adriana                   - Se noi tutti fossimo restati al no­stro posto, se vostro padre dopo quella sciagurata vendita non fosse morto, voi oggi andreste perfetta­mente d'accordo. (A Paolo) Tu trotteresti dietro all'aratro (a Giacomo) lui accudirebbe alle bestie e mungerebbe il latte... e mio fratello con uno sguardo vi farebbe rigare diritti tutti e due.

Celestina                       - Adriana, non vorrai dire ora che il mio povero marito sia morto per avere venduto la tenuta « Bosco d'amore » per ottocentomila franchi.

Zia Adriana                   - Sì, proprio così.

Celestina                       - Ma il « Bosco d'amore » apparte­neva a te quanto a lui! Se quella vendita, come tu dici, l'ha ucciso, essa avrebbe dovuto uccidere anche te... tanto più che non ha cambiato la sua vita perché aveva subito comprato un'altra fattoria... Aveva anzi dei fastidi di meno...

Zia Adriana                   - Sono per l'appunto ì fastidi che conservano l'uomo...

Paolo                             - Dimentichiamo il passato... Ascoltatemi, vi prego. (Sì mette in posa, come un oratore) La novità che sto per annunciarvi sono certo non vi rattristerà: tuttavia penso che vi avvilupperà come in una nuvola di solitudine...

Giacomo                       - Avvilupparci in una nuvola di soli­tudine! Bello! Scommetto è una frase che usavi in tribunale...

Paolo                             - Sei un essere impossibile; senza rispetto per nulla e nessuno!

Giacomo                       - Io aspetto sempre di mettermi d'ac­cordo sui punti essenziali.

Paolo                             - Giacomo: noi non potremo intenderci finché non avrai acquisito il senso della tua re­sponsabilità.

Celestina                       - Dicci qual è questa famosa novità Paolo...

Paolo                             - M'interrompe ogni volta che sto per dir-velo. (A Giacomo) Ma, si può sapere perché guardi e vedi tutto sotto un aspetto grottesco?

Giacomo                       - Perché ho studiato gli astri! Sapessi come sono tutti meschini e buffi gli uomini, visti di lassù!

Paolo                             - Avrei comunque desiderato conoscere oggi quali sono i tuoi progetti immediati; quali sa­ranno - io amo le parole precise - le tue intenzioni future, e su che base, da oggi, tu intenda organiz­zare la tua vita.

Giacomo                       - Ti ascolto.

Paolo                             - Come, mi ascolti? Sono io che ti stavo chiedendo...

Giacomo                       - Sì-, ma io non ho nulla da risponderti. Proprio non saprei su che base... (Ci pensa un poco su) Sì: l'astronomia.

Paolo                             - Almeno tu facessi delle scoperte!

Giacomo                       - Io?! Scoperte? Ma io ogni giorno sco­pro un nuovo pianeta! Ho scoperto Saturno! (Lo indica al soffitto) Eccolo là! Ho scoperto Uranio, Nettuno... ho scoperto il Sole! Tu alzi le spalle! Tu pensi forse che io abbia scoperto il sole e la luna dopo gli altri... Sì, ma che significa?! E' sempre una mia magnifica scoperta sapere che ora il sole e la luna sono anche un poco miei... (Pausa) No, tu non puoi capire...

Paolo                             - So che a Parigi hai frequentato della brutta gente, degli squilibrati...

 Celestina                      - Ma, Paolo; Giacomo non è rimasto che un anno a Parigi... Due anni fa. (Un sospiro. Pausa) Già due anni! Come passa il tempo! Era l'anno del...

Paolo                             - Poco tempo fa, a Parigi, ho ricevuto la visita di un tuo amico. Mi credeva ancora avvocato, e, sapendomi tuo fratello, era venuto a cercarmi. Aveva commesso... una piccola truffa... che l'aveva condotto in tribunale.

Giacomo                       - Era un mio amico? Può darsi. Se lo ritrovassi lo sarebbe ancora. Io non ho pregiudizi. Quando i nostri posteri avranno scelto i loro eroi, in mezzo a noi contemporanei, chissà che la loro scelta non cada proprio su qualche condannato che a nessun costo vorresti avere per fratello. Ma Pao­lo: pensa a Socrate, a Etienne Dolet, al Cavaliere delle Barre, al Marchese di Sade...

Paolo                             - Ah, sei un sovversivo, dunque?

Giacomo                       - Non spaventare la mamma, ti prego, con sciocchezze inutili. Se tutti i sovversivi fossero come me, sta pur certo che rivoluzioni nel mondo ne scoppierebbero ben poche! Io, caro fratellino, so vedere le cose in controluce, ecco tutto!

Paolo                             - Tu non sei che un vanitoso, un disgra­ziato!

Giacomo                       - Forse perché vivo così in disparte? Forse perché vivo... sottovoce?

Paolo                             - Io comunque ho il dovere di metterti in guardia!

Giacomo                       - Oh, grazie! (Gli volta le spalle e se ne va alla finestra).

Paolo                             - Sì... dato che io so giudicare e valutare gli individui... Io non mi lascio ingannare né dalle azioni, né dalle parole della gente. Io, caro mio, non sono uno sciocco checché tu ne pensi. Non mi lascio turlupinare né da te, né da altri...

Giacomo                       - (guardando verso il cielo) Che bella giornata d'autunno!

Paolo                             - (andandogli alle spalle) Non pensi, come ogni uomo normale, a crearti un tuo focolare?!

Giacomo                       - (si volta, la parola gli torna ostica) Focolare? (Breve pausa) Ah, no caro mio, no, nem­meno per sogno!

Paolo                             - No?! (Sorride soddisfatto) Bene! Dato quello che sto per dirvi, sono lieto della tua affer­mazione, Giacomo. Dal momento che io penso co­me non potrai stare ancora qui con la mamma e zia Adriana. (Si rabbuia) Però ne sono anche ad­dolorato! Sì, perché la tua affermazione di non spo­sarti e magari dì non credere all'amore, è il frutto di teorie e discorsi dei tuoi amici squilibrati. Sì, perché il non sposarsi e il non credere all'amore... Tu non credi all'amore, vero?

Giacomo                       - Che domanda stupida!

Zia Adriana                   - E le ragazze che alla notte ti aspettano... credono all'amore?

Giacomo                       - Non lo so. Non l'ho mai chiesto. Co­munque quelle sono ragazze per bene...

Zia Adriana                   - Ragazze per bene? Ah!... che in­tendi per ragazze per bene? Che non si fanno pa­gare? L'altra sera ho chiesto al curato se gli di­spiaceva di essere rimasto scapolo. Sapete cosa mi ha risposto, lui che conosce i segreti delle « tue » ragazze per bene? «Mia cara signorina - mi ha detto - i preti si consolano di non aver preso mo­glie, quando in confessionale ascoltano le mogli de­gli altri ».

Paolo                             - Non tutte le donne, zia... non tutte sono a quel modo...

Zia Adriana                   - Sì, tutte le donne, Paolo, senza eccezione.

Paolo                             - (tossisce. Pausa)  Scusate... Siamo usciti di strada.

Zia Adriana                   - Allora deciditi: parla, vieni alla conclusione.

Paolo                             - (inizia sempre come un conferenziere sul­la pedana) Sposarsi giovani è un dovere per co­loro che desiderano che la loro Patria diventi forte e rispettata...

Giacomo                       - (lo prende in giro intonando qualche nota della «Marsigliese») Se sei così pieno di amor patrio, perché diffondi in Francia, esaltandoli, dei prodotti scadenti?

Paolo                             - Tu, quasi quasi, saresti capace di affer­mare che io sono un traditore della Patria, perché cerco di lanciare, di far vendere degli articoli che...

Giacomo                       - ...non valgono niente, come quella porcheria di ghiacciaia che esalti dappertutto, quasi fosse l'uovo di Colombo! Sai, se fossi al tuo posto, cosa scriverei di quella ghiacciaia e, credi, sarebbe comunque una magnifica pubblicità? « La nostra ghiacciaia automatica, come tutte le mera­vigliose macchine del genere, conserva gli alimenti, ma fa marcire gli uomini! ».

Paolo                             - Tu vuoi contraddirmi in tutto. Ma non basta contraddire per avere ragione!

Giacomo                       - Certo che se la verità e la menzogna non avessero che due volti, noi s'andrebbe sempre d'accordo. Tu diresti sempre «sì», io risponderei sempre « no » o viceversa e, una volta per uno, noi avremmo la verità in pugno... Dammi le mani! (Intreccia le mani col fratello) Ecco qua, signori, i «Fratelli Verità»! Io sono il fratello «sì», lui il fratello «no». Da ogni parte del mondo verreb­bero a interrogarci sulle cose più disparate... « Per essere felici è necessario l'amore?». «Sì»; tu ri­spondi « no ». « E l'avvenire dell'umanità...?». « Sì ». « No ». (Come un imbonitore) Avanti, signori, en­trate: i celebri « Fratelli Verità » sono qui a vostra disposizione! Interrogate, signori! Ancora per pochi giorni... «Sì»... «No»...

Zia Adriana                   - Vuoi smetterla?

Giacomo                       - Si può rispondere uno sì, e l'altro no... ed avere ragione entrambi! (Suonano le ore).

Paolo                             - Già le quattro? E non vi ho ancora detto... Con tutte le idee preconcette che ha zia Adriana sulle ragazze! Avrei voluto prepararvi a poco a poco... ma non ne ho avuto il tempo. Sono giunto in ritardo, perché ho bucato due gomme per strada... Poi qui mi sono perso in cento discorsi inutili, con mio fratello... Sì, inutili, Giacomo, e me ne dispiace. Dunque, mamma... zia Adriana... Giacomo, ho la gioia di annunciarvi... insomma, mi sposo!

 Celestina                      - Ti sposi?!

Zia Adriana                   - Con chi?

Paolo                             - Con... con.., la mia fidanzata, che sarà qui a momenti...

Zia Adriana                   - Ti sei fidanzato senza dirci nulla?

Paolo                             - No.

Zia Adriana                   - Come, no?

Paolo                             - No, perché non è ancora la mia fidan­zata ufficiale... Il fidanzamento ufficiale vorrei ap­punto celebrarlo qui, fra voi, questa sera...

Celestina                       - (agitata) Questa sera?! Come si fa...

Paolo                             - Ho mandato Giuseppe a prenderla alla stazione. Arriva da Parigi in treno. Sapete: non mi è parso conveniente condurla in macchina con me...

Celestina                       - (come sopra) Ma la casa non è in ordine...

Paolo                             - (tronfio, commosso) E' un'ora grave, questa, per me, e vorrei, pregherei che tutti mi comprendeste e che, soprattutto, partecipaste con serietà a questo avvenimento così decisivo della mia vita!

Giacomo                       - (burlone come al solito) Da avvocato sei diventato direttore di un'agenzia di pubblicità? Hai sbagliato ancora professione! Tu dovresti fare il capo protocollo, il maestro di cerimonie, il gran ciambellano... (Agli altri) Che belle frasi ha saputo pronunciare al funerale della sua vita di scapolo...

Celestina                       - Ma taci, Giacomo...

Paolo                             - Sì, Giacomo, spero proprio che vorrai comportarti come si deve, quando ti presenterò a colei che io sto per associare al mio avvenire. Gra­direi proprio che tu, almeno oggi, assumessi un contegno dignitoso, se non altro esteriormente...

Giacomo                       - Se non altro esteriormente... Ti ac­contenti di poco-

Paolo                             - Anche la forma ha la sua importanza...

Celestina                       - Mi gira la testa... Ti sposi...

Zia Adriana                   - (a Giacomo, indicando la palla al soffitto) Togli subito quella roba là...

Giacomo                       - Non credi che la futura sposa di Pao­lo s'interesserà ai miei studi planetari?

Zia Adriana                   - Caro Giacomino: tu non hai mai compreso una cosa: un tipo come te non si può prendere sul serio.

Giacomo                       - E perché, zia Adriana? Per via dei pianeti?

Zia Adriana                   - No; perché sei sbarbato come un curato o un cameriere. Se tu invece avessi una bella barba ed un bel paio di baffi, allora sì che incuteresti stima e rispetto! Oltre tutto poi, un paio di grossi baffi sarebbero come delle sentinelle che impedireb­bero a molte sciocchezze di uscire dalla tua bocca! Guarda là tuo padre! (Mostra il ritratto alla pa­rete) Quello era un uomo! Con quella barba anche a vent'anni imponeva rispetto a sé ed agli altri! Tu invece, con quella faccia da prete, cosa vuoi avere autorità, imporre rispetto, soggezione?! Un uomo che non sa avere autorità non è altro che un servo. Infatti tu, senza i nostri soldi non potresti fare altro che il domestico.

Giacomo                       - (comicamente serio) Zia Adriana, hai perfettamente ragione. Le tue parole mi sono di­scese nel profondo. Ti proverò da oggi in poi che saprò essere degno delle austere tradizioni della no­stra famiglia!

Paolo                             - Staremo a vedere...

Giacomo                       - Sento già la barba spuntarmi al mento!

Giuseppe                       - (l'autista, entrando) La signorina Blondel, è giù in macchina, signore.

Paolo                             - (agitatissimo) Di già!  (Ai parenti) E ancora non vi ho detto...

Zia Adriana                   - (alla finestra) Perché non sale?

Paolo                             - Vado a prenderla. (Esce seguito dall'autista).

Zia Adriana                   - Com'è tutto emozionato!

Giacomo                       - Vado a prepararmi... (Esce).

Zia Adriana                   - Paolo è un ragazzo troppo serio per essersi fatto prendere al laccio da una fraschet­ta; tuttavia mi pare che questa signorina avrebbe potuto farsi accompagnare dal padre o dalla madre, o da tutti e due. Non ti pare?

Celestina                       - (che non pensa ad altro) E credi proprio che resterà a cena?!

Zia Adriana                   - Ma, calmati, Celestina. E' lei che deve essere emozionata, non noi. Noi non dobbiamo che metterci a sedere ed attendere... Siedi! Ci pen­serò io a farle capire subito che in casa Miremont non hanno mai comandato i parenti acquisiti...

Celestina                       - Lo so, Adriana, ma non oltrepassare la misura, ti prego. Anche lei finirà per comportarsi come me... Anche lei saprà diventare presto una Miremont, ed un giorno, anche lei...

Zia Adriana                   - (impaziente) Ma come è lenta questa ragazza...

Celestina                       - E Paolo che non ci aveva detto nulla, nemmeno per lettera... (Entra Lucia Blondel. Bella ragazza, dall'aspetto serio e contegnoso. No-nostante tutto però si scorge subito in lei la vera parigina. Paolo la segue portando la valigia).

Paolo                             - Vi presento la signorina Lucia Blondel di cui vi ho parlato... tanto parlato. Lucia, ecco la mia mamma...

Celestina                       - (alzandosi) Molto felice di cono­scervi, signorina. E... molto commossa. Mio figlio mi ha infatti... tanto parlato di voi... E so che... Del resto non dubito affatto... (Che è quello che soprat­tutto la interessa) Ma ditemi: restate a cena da noi questa sera?

Paolo                             - (presentando) Mia zia Adriana...

Zia Adriana                   - Vi saluto, signorina. Noi amiamo molto Paolo, che è il ritratto morale di mio fratello maggiore, il capo della nostra famiglia. Mio nipote è un ragazzo leale.,. Ma non è fatto sullo stampo dei vostri parigini. Lui è di qui, il suo ceppo parte da questa casa. Ha forse un'educazione parigina, ma il primo latte l'ha succhiato fra queste mura... (Siede).

Lucia                             - Anch'io sono stata allevata in cam­pagna...

Zia Adriana                   - Ah, vostro padre ha delle tenute? Molto bene!

 Lucia                            - No... no...

Paolo                             - Il padre della signorina ha dovuto an­dare a Parigi prestissimo, dato i suoi affari...

Celestina                       - Ma Paolo, non fai sedere la tua fidanzata? (Chiama) Maria, Maria... Dove si sarà cacciata Maria? (A Lucia) Gradirete, spero, un po' di vino nostrano e qualche biscotto da inzupparci dentro...

Lucia                             - Volentieri, grazie, molto gentile! (Ce­lestina esce).

Zia Adriana                   - Paolo, dove conti'di fare abitare tua. moglie, quando sarete sposati?

Paolo                             - Va da sé, cara zia, che io mi sposo per vivere con mia moglie. Abiteremo a Parigi. Ma tutte le vacanze le passeremo qui...

Zia Adriana                   - Ma quando sarai in ufficio, cosa farà tua moglie, sola per Parigi?! Ma già, oggi è di moda che le mogli, mentre i mariti lavorano, va­dano a bighellonare su e giù per le strade. (Pausa) Però, quando avrete bambini, bisognerà che tua moglie venga qui coi piccoli. I ragazzi della nostra razza, per crescere sani e forti, hanno bisogno di respirare quest'aria...

Lucia                             - Siete molto gentile dì invitarmi qui fin d'ora, assieme ai miei bambini!

Zia Adriana                   - Non mi ringraziate. Paolo qui sarà sempre a casa sua, e così i suoi figli... e i figli dei suoi figli.

Celestina                       - (entra con una bottiglia ed un piatto di biscotti) Ecco qua...

Zia Adriana                   - Quello è un esempio da non imi­tare, signorina.

Lucia                             - (che non capisce) Prego...

Zia Adriana                   - Quando si hanno dei domestici è giusto che a servire siano loro e non i padroni!

Celestina                       - Non sono stata capace di pescare Maria. (Lucia parla all'orecchio di Paolo).

Paolo                             - Mamma... ti prego, vuoi far vedere alla signorina Blondel la sua camera... volevo dire, la camera che avrai la bontà di assegnarle per questa notte. Sai, vorrebbe pulirsi un po'... La polvere della strada...

Celestina                       - La camera blu, va bene, Paolo?

Paolo                             - Sì, mamma.

Lucia                             - Mi dispiace disturbarvi.

Celestina                       - Ma cosa dite, cara Lucia? Non siete già un poco in casa vostra?

Paolo                             - (riprendendo la valigia di Lucia) La por­terò io.

Lucia                             - Ah, ve lo proibisco! (Gli prende la va­ligia di mano ed esce con Celestina).

Zia Adriana                   - Ragazzo mio, non ti faccio i miei complimenti!

Paolo                             - Perché, zia? Non la trovate graziosa?

Zia Adriana                   - Non apre nemmeno bocca, che tu rispondi « sì ». Non poteva aspettare che fossi­mo noi ad offrirle una camera? E' questa l'educa­zione che insegnano nella famosa Parigi? E poi, quella strana maniera di esprimersi: « Vi proibisco di portare la mia valigia ».  « Ve lo proibi­sco »... Ah!...

Paolo                             - Lo diceva per complimento...

Zia Adriana                   - Bel complimento...

Paolo                             - Intendeva dire: « Vi prego di non di­sturbarvi... ».

Zia Adriana                   - Non cercare tanto di scusarla... Ed io che speravo tu assomigliassi a tuo padre! (Im­periosa) Stappa quella bottiglia! (.Poiché Paolo la guarda interrogativo) Visto che ti piace ricevere ordini... stappa quella bottiglia!

Paolo                             - (eseguendo) Vedrete, zia, che tutto an­drà per il meglio...

Zia Adriana                   - Temo molto! Comunque, cambia sistema, ragazzo mio e fin d'ora. Tu sai che sei mio erede, ma sai anche che io non ammetterò mai che una donnetta qualunque sperperi il mio patri­monio.

Paolo                             - Sarà mia moglie, zia Adriana...

Zia Adriana                   - (poco convinta) Sì... sì... (Pausa) Dove l'hai conosciuta?

Paolo                             - In casa di amici comuni.

Zia Adriana                   - Quando?

Paolo                             - Circa... circa un anno fa. (Pausa).

Zia Adriana                   - E... questo è tutto?

Paolo                             - Non capisco...

Zia Adriana                   - Questo è tutto quanto mi dici? Sì, insomma, spero saprai chi sia! E la sua fami­glia? Conti presentarcela il giorno delle nozze?

Paolo                             - No, non sarà possibile... D’altronde... io non sposo la sua famiglia...

Zia Adriana                   - Lo voglio sperare. Ce ne sarà già abbastanza di una per casa...

Paolo                             - Ma zia, come potete giudicarla, se la conoscete appena da cinque minuti?

Zia Adriana                   - Questo è vero. Beh, non voglio affliggerti oltre, ragazzo mio.

Paolo                             - Poi, zia... Per Lucia io conto sulla vostra protezione. Se la sua giovinezza a prima vista la può far sembrare un poco leggera - intendiamoci, leg­gera spiritualmente, e questo è colpa del mondo in cui tutti oggi viviamo - sono certo che la vista dei luoghi della nostra famiglia le darà un nuovo punto d'appoggio e di partenza... Vedrete, zia Adria­na, Lucia acquisterà assai presto la personalità dei Miremont. Ne sono sicuro!

Celestina                       - (che rientra con Lucia) Non trovi, Adriana, che la signorina assomigli un poco alla cugina Giannina?

Zia Adriana                   - (sbirciandola) Sì, può darsi... un po' nel mento.

Celestina                       - Anche gli occhi sono gli stessi. Tu non trovi, Paolo?

Paolo                             - Ho visto così poco la cugina Giannina!

Zia Adriana                   - E' venuta alla tua prima comu­nione con Agata! Non ricordi che s'era ficcata in testa di far sposare... Ma non ricordi?

Paolo                             - No, zia.

Zia Adriana                   - Ma i Guilbert, anch'essi cugini! Ebbene, ci è riuscita! E i Guilbert hanno anche dei bambini. (A Lucia) Ma sì, la cugina Giannina è stata la madrina del loro primogenito.

Celestina                       - E il primogenito ha già fatto la pri­ma comunione.

Zia Adriana                   - Che sciocchezze, Celestina, vuoi che non l'abbia fatta se è già padre di famiglia! (Gesto a Celestina. Ora comprende cosa volesse dire. Chiedere cioè se anche Lucia avrà fatto la prima comunione. Poi cambia discorso) Ecco Agata. (Mo­stra un ritratto) Questa qui, accanto al nonno...

Lucia                             - Oh, è ancora molto giovane!

Celestina                       - In fotografia, che è di chissà quan­to tempo fa...

Zia Adriana                   - Agata è morta cinque anni fa...

Lucia                             - Ah... (Non sa che dire. Indica timida­mente un altro ritratto) E questo bel bambino?

Celestina                       - E' lo zio Florindo. Un brav'uomo.

Lucia                             - (indicando Saturno) E quello? Cos'è quello? (Tanto per dire ma stranamente intimidita).

Paolo                             - Oh, quello... E' un gingillo di mio fra­tello... Ma già; cosa fa Giacomo che non viene?

Celestina                       - (versando il vino) La signorina avrà sete...

Paolo                             - Non vi spaventa bere del vino, Lucia?

Lucia                             - Oh, no...

Celestina                       - Brindiamo alla vostra felicità, ra­gazzi miei!

Paolo                             - Ma si può sapere cosa fa Giacomo?

Zia Adriana                   - Ancora una delle sue sconvenien­ze! Perché non è qui?

Paolo                             - (chiamando) Giacomo, Giacomo, ti stia­mo aspettando. (Agli altri) Ma cosa fa? (Richiama) Giacomo!...

Lucia                             - Lasciate, vi prego. Forse non osa...

Zia Adriana                   - Non osa? Ah, signorina, questa è buona! Giacomo che non osa...

Paolo                             - (enfatico) D'altra parte noi non possia­mo - nella nostra casa - brindare al nostro av­venire, senza la sua presenza. (Richiama nervoso) Ma insomma, Giacomo!

La voce di Giacomo     - Eccomi, eccomi, vengo...

Paolo                             - Cara Lucia ho l'onore di presentarvi...

Giacomo                       - (entra truccato da vecchio padre no­bile: barba fluente, grossi baffi; comicamente au­stero) Mia futura cognata, è con sentimento di profonda commozione che io..

Paolo                             - Per Dio...

Giacomo                       - (pacato) Mio caro fratello, vi siete dimenticato... (Allude al discorso della zia sull'au­sterità degli uomini barbuti).

Zia Adriana                   - Non ho ragione di affermare che la nostra famiglia sta precipitando in un baratro? (Celestina, accorata, fissa Lucia sbalordita).

Paolo                            - Lucia, vi prego di scusare... di scusare... non so nemmeno io come dire. (A Giacomo) Vattene, perdio!

Giacomo                       - (a Lucia) Vi prego anch'io di scusare, signorina, le violenze verbali di un fratello che m un giorno come questo, manca a tal punto di calma e di dignità...

Paolo                             - Sei un mascalzone!

Giacomo                       - Cara futura cognata: chissà quale triste opinione avrete del rispetto di Paolo verso i sacri lari...

Zia Adriana                   - Saltimbanco!

Paolo                             - L'ha fatto per burlarsi dì noi, Lucia... la sua barba è finta.

Lucia                             - (scoppiando a ridere) Lo vedo che è finta! Che buffo! Se avessi mai immaginato...

Giacomo                       - Accolgo la vostra risata con estrema umiltà... Però ora sono debitore a voi tutti di una pubblica confessione...

Paolo                             - (minacciandolo) Ancora una parola e... (Lucia, sempre sorridente, trattiene Paolo).

Zia Adriana                   - Visto che tu non hai preso a schiaffi quel disgraziato, preferisco andarmene, an­che perché (fissando Lucia) non so proprio cosa ci sia da ridere...

Paolo                             - Rimanete, zia Adriana, vi prego. (A Giacomo) Giacomo, l'aver agito così in un giorno come questo... (Riprendendosi) Comunque oggi io non voglio giudicare il tuo contegno; soltanto ti dichiaro che non ti vorrò più vedere, che tu dovrai andar­tene da questa casa, da questi luoghi dove, quale capo di casa, ti proibisco di rimettere più piede... (Celestina, accasciata su una sedia, fissa sempre Lucia).

Lucia                             - Paolo, permettete una parola?

Celestina                       - (si alza e corre ad abbracciare Paolo) Mio povero Paolo!

Paolo                             - L'ha fatto per oltraggiarmi!

Lucia                             - Io, scusate, mi domando perché non la prendete in ridere, come ho fatto io... Ad ogni modo io non voglio affatto che vi accapigliate per cau­sa mia!

Zia Adriana                   - Ah, non vuole affatto?... Me ne vado... me ne vado. Non resisto più! «Io non vo­glio... «Voglio». Ah! (Un gesto di sconforto irato. Esce in fretta).

Giacomo                       - Sentite dunque...

Paolo                             - Tu sta zitto e vattene!

Lucia                             - Via, Paolo, non v'arrabbiate così.

Paolo                             - Dovete scusarmi... ma d'altronde com­prenderete...

Lucia                             - Paolo, volete lasciarmi un poco sola con vostro fratello? Sono certa che noi ci comprende­remo...

Paolo                             - Voi siete troppo buona, Lucia, ad occu­parvi dì questo sfrontato imbecille!

Lucia                             -  Paolo, io voglio farvi fare la pace!

Celestina                       - Ma sì... ma sì... Vieni Paolo. La signorina saprà accomodare tutto con calma e dol­cezza...

Lucia                             - E questa sera ci ritroveremo a cena tutti allegri e sorridenti... A meno che vostro fratello rifiuti di ascoltarmi.

Giacomo                       - Tutt'altro. Io ascolto tutti. La vostra sarà la seconda, magari la terza lezione della gior­nata.

Celestina                       - Ma certo! Paolo, vieni con me... Noi intanto penseremo alla cena ed anche... agli umori di zia Adriana, la quale, poveretta... Vieni, Paolo.

Paolo -                           - Voi siete troppo buona, Lucia... (Via con la madre).

Giacomo                       - (a Lucia) Osservo, del resto senza gelosia alcuna, che voi siete apprezzata e compresa, mentre io sono sempre misconosciuto...

 Lucia                            - Toglietevi quella barba che possa ve­dere a chi assomigliate!

Giacomo                       - Da un'ora assomiglio a mio fratello... Anzi, sono mio fratello, da un'ora. Io, così, sono l'anima della famiglia, il saggio della casa, la feli­cità della vita, la rettitudine fatta persona!

Lucia                             - Tutto questo, merito della vostra barba?

Giacomo                       - Sì, tutto questo merito della mia barba. Ma c'è dell'altro: il deciderlo di coltivare le gioie domestiche, una mano sulla culla dell'ultimo nato, l'altra mano sul bastone del nonno...

Lucia                             - Non siete per caso... un poco matto?

Giacomo                       - Perché vi parlo metaforicamente e vi presento un motivo allegorico? Ma tutto è allegoria e metafora in questa casa! Quel motivo, un giorno o l'altro, voglio anzi scolpirlo nel marmo!

Lucia                             - Siete scultore?

Giacomo                       - No, ma lo diventerò. (Pausa) Già vedo la scena; la sera noi saremo qui, uniti, stretti, sotto la lampada; il giorno sotto l'occhio vigile e severo di zia Adriana: voi agucchiando, io scolpendo, mio fratello in continua adorazione di voi... Il bere e il mangiare ce lo recheranno, mattina e sera, degli esseri sconosciuti che, ogni giorno, lavorano qualche minuto per noi... tanto da permettervi di lavorare di maglia dalla mattina alla sera, senza che la vo­stra felicità e la vostra immobilità ne sia scossa...

Lucia                             - Perché mi prendete in giro? Confesso che Paolo mi aveva descritto suo fratello assai di­verso... Io vi credevo un po' campagnolo, un po' cittadino... ed avevo già progettato di galoppare con voi attraverso la brughiera.

Giacomo                       - Amate i cavalli?

Lucia                             - Oh, tanto! Io non sono mai andata a cavallo, ma immagino che debba essere meravi­glioso correre su un cavallo incontro al vento...

Giacomo                       - Ecco a cosa pensate: a galoppare. In­vece di preparare la risposta al discorso che mio fratello terrà questa sera a tavola, dopo il pranzo...

Lucia                             - Paolo terrà un discorso? Oh, bella! E a chi?

Giacomo                       - Alla solennità dell'ora: a sua madre, a sua zia, a voi, a quei ritratti... anche a me, se ci sarò...

Lucia                             - Siete proprio sicuro che farà un di­scorso?

Giacomo                       - Non sarà certo il primo che gli sen­tirete pronunciare. Paolo passa la vita a fare di­scorsi... Ma signorina, mi viene il dubbio che ab­biate conosciuto Paolo questa mattina soltanto!

Lucia                             - No... conosco Paolo da... Ma via, toglie­tevi quella barba odiosa... Qua, ve la tolgo io... (Gli toglie la barba) Adesso vi pulisco... (Gli leva U fazzoletto dal taschino e gli pulisce la faccia) Oh, ecco! Adesso sì che siete un bel ragazzo... Ma ditemi, perché vi siete messa una barba posticcia; speravate disgustarmi?

Giacomo                       - Non pensavo affatto a voi; non vi conoscevo ancora. Io sapevo soltanto che voi era­vate stata scelta da mio fratello...

Lucia                             - Stata scelta... Non sono mica un vaso giapponese, da esser scelta in un bazar!...

Giacomo                       - Allora siete stata voi a scegliere Paolo...

Lucia                             - Incominciate ad indispettirmi.

Giacomo                       - Avete detto di non averlo mai visto in collera... Porse per questo siete ora molto fiera della vostra scelta, cioè dopo aver visto come Paolo, poco fa, sia partito lancia in resta contro di me!

Lucia                             - Voi non dovete voler troppo bene a vo­stro fratello...

Giacomo                       - E' un pochino troppo solenne per il mio carattere, lo confesso. Però mi vuol bene; certo mi vuol bene soltanto perché è scritto che si deve voler bene al proprio fratello... E poi, perché in me ama la sua dignità fraterna...

Lucia                             - Litigate spesso?

Giacomo                       - (senza rispondere direttamente) Co­me, in voi, amerà la sua qualità di marito. Voi sa­rete lo specchio ove lui si fisserà «marito»... Mi par già di vederlo specchiarsi nei vostri occhi, in­tento ad aggiustarsi la sua cravatta maritale!

Lucia                             - Dunque, detestando vostro fratello - perché mi sembra chiaro che voi lo detestiate - avete immaginato questa farsa con la speranza di sconcertare la sua fidanzata e mandare all'aria il suo matrimonio?

Giacomo                       - Non sapevo si trattasse di voi... di voi come vi vedo ora... Io avevo immaginato che mio fratello potesse snidare soltanto una sciocchi-na, una pupattola insipida.

Lucia                             - Siete molto gentile... tuttavia il vostro giro di frasi manca di «chic».

Giacomo                       - (si alza) Ah, non vi metterete adesso a giudicarmi anche voi! In questa casa gli uni pas­sano il tempo a giudicare gli altri! Un modo come un altro per fare dei complimenti a sé stessi. Badate, non dico questo per voi. Voi, forse siete diversa; ma, insomma, se la mia barba è riuscita a farvi ridere...

Lucia                             - Ho riso perché, lì per lì, sono rimasta divertita e sorpresa; mi aspettavo di trovarmi da­vanti ad un provinciale timido, ed invece sono precipitata in piena farsa studentesca. Perché, la vostra barba, lasciatemelo dire, è la trovata di uno studentello di immaginazione molto limitata... Sulle prime sono rimasta divertita, sorpresa... innervosi­ta... Non illudetevi però adesso che io abbia trovata la vostra barba finta affatto trascendentale!

Giacomo                       - Scusatemi, signorina!

Lucia                             - Ma sì, vi scuso... Dunque, perché avete immaginato quella mascherata?

Giacomo                       - Perché qui la vita è asfissiante, im­possibile.

Lucia                             - E perché non ve ne andate di qui, allora?

Giacomo                       - Per non dover incontrare donne come voi, che subito ti scoraggiano con un'aria da « non toccatemi » dicendo: « Sì, ho capito, d'accordo... e poi? ».

Lucia                             - Appunto. E poi?

Giacomo                       - Giusto. E poi? (Pausa) E poi c'è il vuoto. Quella vecchia bisbetica di zia Adriana ha ragione... tutto precipita! Mi capite? Tutto precipita! La zia, però, ha torto quando vorrebbe tornare indietro nel tempo, cancellare il presente, risusci­tare una felicità perduta che noi non sapremmo più afferrare. (Pausa. Passeggia. Indi si ferma davanti alla tavola) Vedrete: quella bisbetica finirà per proporre a Paolo di mangiare da solo, accanto al termosifone, mentre voi lo servirete, in piedi, ritta accanto a lui... Così pretendeva nostro padre, un tempo, accanto al caminetto e mia madre... Senti­rete, sentirete la loro enfasi quando diranno: « I Miremont, qua... i Miremont, là...». Che buffoni! D'accordo, del resto, che questa rivolta, questo schi­fo in me non conduce a nulla. Però mi occupa lo spirito, ed è già qualcosa, sa!

Lucia                             - Questa è la vostra unica occupazione?

Giacomo                       - Sì.

Lucia                             - Congratulazioni!

Giacomo                       - Se voi avete qualcosa di meglio da offrirmi.

Lucia                             - Non vorrete farmi ora credere che il non far niente sia un ammirabile sistema di vita!

Giacomo                       - E' colpa mia, forse, se nulla è cosi perfetto, così grande da soddisfare i miei desideri, né abbastanza solido ch'io vi possa appendere la mia smisurata ambizione?

Lucia                             - E’ dunque così grande la vostra ambi­zione?

Giacomo                       - Ve l'ho detto: smisurata! Tutto ciò che soddisfa gli altri, non appaga me. (Pausa. Ride) Ah! Non avete mai visto mio fratello seduto dietro la sua scrivania, nel suo studio dì Parigi?

Lucia                             - Cosa c'entra adesso questo? Sì, qualche volta... anzi spesso.

Giacomo                       - Io una volta sola, un giorno che mi aveva invitato per farsi ammirare fra un cataclisma di telefoni e di macchine che scrivono sciocchezze su sciocchezze. Nell'atmosfera inumana di quell'ufficio, perfino i fiori sulla scrivania sembravano schiavi sottomessi, di donne perdute, di prostitute per ricchi industriali.

Lucia                             - Ma dico, siete pazzo?

Giacomo                       - E che m'importa di ciò che pensate di me... dato che me ne vado, che non mi vedrete più... Io andrò a cercare...

Lucia                             - Cosa?

Giacomo                       - Se lo sapessi non starei a cercare...

Lucia                             - Ma dove volete andare? (Pausa. Giacomo cerca inutilmente di chiudere la porta in faccia alle lagrime) Perché ora fate sforzi per non pian­gere? Piangete, sfogatevi...

Giacomo                       - Piangere, io? Errore. Non è ancora nata la donna che mi vedrà piangere.

Lucia                             - Valete assai meno di vostro fratello!

Giacomo                       - Meno di Paolo?

Lucia                             - Volevo dire che almeno Paolo ha già pianto per delle donne; almeno per una donna!

Giacomo                       - (felice) Voi avete fatto piangere Pao­lo? Voi? Davvero?! Raccontatemi: come piange il mio grande fratello? In che posa si mette? Ditemi: dai suoi occhi sgorgavano lacrime vere? E stava in ginocchio davanti a voi?

Lucia                             - (cerca dì frenarne l'esaltazione) Vi pre­go, calmatevi!

Giacomo                       - Non ostante tutto, mia bella amica, voi non conoscete Paolo. O, meglio: voi conoscerete Paolo, non il signor Miremont! Che pena mi fate!

Lucia                             - Pena, perché?

Giacomo                       - (fissandola) Io me ne andrò di qui non soltanto per me, ma anche per non vedervi diventare per sempre una signora Miremont!

Lucia                             - Per sempre? Certo che nel pronunciare questa parola la gola si chiude... Ma purtroppo la regola è uguale per tutte. Ci si sposa una volta per sempre.

Giacomo                       - Vi ripeto: me ne vado e mi pento anzi di non di non essermene andato ieri, prima del vostro arrivo, prima di conoscervi... E non tor­nerò più... Lucia, per non dover constatare che cosa qua dentro siano riusciti a fare di voi!

Lucia                             - E di voi, che cosa farete?

Giacomo                       - Non lo so, Lucia...

Lucia                             - Invece dovete dirmelo! Che maniera» la vostra! Lo stesso giorno in cui entro per sem­pre nella vostra famiglia voi ve ne andate... Ah, no, non voglio!

Giacomo                       - Allora vi interessate del destino delle persone che incontrate anche una sola volta nella vita? Allora voi, vedendo un tizio in treno, nel metrò, vi chiederete: « Sì, è un tipo simpatico, bello... ma fra dieci anni, come sarà finito? ».

Lucia                             - Cosa sarà di noi fra dieci anni?

Giacomo                       - Quel che sarà di voi io lo so.

Lucia                             - Voi non sapete proprio niente...

Giacomo                       - Sì, lo so. Volete sentire? Fin da domani zia Adriana vi svelerà i terribili segreti della nostra famiglia: come si mette la bottiglia dell'acqua calda nel letto senza bruciare le len­zuola; vi insegnerà, quindi, come ogni sabato si debbano pulire gli ottoni delle maniglie...

Lucia                             - Che m'importa?

Giacomo                       - Dopo toccherà a Paolo parlarvi, con parole altisonanti, dei sacri doveri del matri­monio...

Lucia                             - Il matrimonio è comunque un avve­nimento importante!

Giacomo                       - Del resto Paolo vi avrà già tenuto delle lunghe conferenze sulla solidità e sicurezza che dà nella vita una famiglia bella ed unita come quella dei Miremont!

Lucia                             - No, non me ne ha mai parlato.

Giacomo                       - Oh, ve ne parlerà, statene certa; ve ne parlerà... E' una sua fissazione.

Lucia                             - Vostro fratello... vostro fratello... Io non posso dirvi... Voi non sapete niente...

Giacomo                       - Io mi domando soltanto come Paolo abbia potuto condurvi qui improvvisamente, sen­za organizzare un ricevimento alla stazione.

Lucia                             - Non sono venuta col treno... Sono venuta in macchina con lui... Mi aveva pregato di non dirlo...

Giacomo                       - Ma no? E' formidabile!

Lucia                             - Voi dite... parlate... non pensate che a voi... Ma se aveste lasciato parlare anche me... Se mi aveste almeno guardata... Voi non sapete neanche chi io sia...

Giacomo                       - No, non lo so. Chi siete?

Lucia                             - (breve pausa. Quindi) Chiamate Paolo, vi prego... su, siate buono, chiamate Paolo, su­bito...

Giacomo                       - Che fretta! Avete tempo di con­templarlo fino all'ultimo battito del vostro cuore. Voi morrete certo prima di lui. I Miremont sono longevi...

Lucia                             - Andate a chiamare Paolo... Io non vo­glio che ve ne andiate! Chiamate Paolo...

Giacomo                       - Si, me ne andrò, ma non dovrete prendervela tanto per questo... Io non sono af­fatto da compiangere, andandomene di qui. Siete voi, piuttosto, da compiangere perché restate. E poi, io non tengo a nulla. Voi mi avete chiesto quali fossero le mie occupazioni... Ecco. Guardate là. Cos'è quella? Una stella! E nemmeno visibile ad occhio nudo. Io ho vissuto mesi interi in questi mondi deserti, per rendere più tollerabile la mia solitudine. Era un modo come un altro per conso­larmi della mia triste vita e per convincermi che tutti noi, nell'universo, abbiamo un'importanza as­sai relativa. Ebbene, avevo torto. Sotto un certo aspetto, la vita è un'avventura curiosa, perché è fatta di cose inattese... Un bel giorno si capita sulla terra, senza nemmeno sapere che cosa si è venuti a fare; poi si finisce per consolarsi delle meschine felicità, facendo a gomiti nel pigia pigia degli av­venimenti quotidiani, che nessuno di noi ha scelto. Oppure ci mettono in un dato posto, e noi si resta lì; ma ci sono delle volte che, invece, venendo al mondo, possiamo scegliere il nostro luogo di na­scita e il nostro destino. Come voi, oggi. Oggi state nascendo una seconda volta, per una nuova esi­stenza. Un'esistenza che voi stessa vi siete scelta... Non dite di no. La vostra è talmente una nuova ve­nuta al mondo, che assumerete persino un altro nome. Signora Miremont! Ma la prima volta, alla vostra prima comparsa sulla terra, vi veniva offerto un pianeta tutto per voi; questa volta, per rina­scere, avete scelto questo spazio ridotto, questo cer­chio chiuso: la famiglia Miremont!

Lucia                             - (in lacrime) Chiamate Paolo, chiamate Paolo...

Giacomo                       - Ditemi: quando eravate bambina, chi sognavate? Non possedete una piccola foto­grafia ingiallita presa su una spiaggia mentre at­tendevate il vostro Principe Azzurro?

Lucia                             - Io non ho mai sognato il Principe Az­zurro.

Giacomo                       - No?! E chi sognavate da bambina?

Lucia                             - Nient'altro che quello che sarei diven­tata...

Giacomo                       - La signora Miremont!

Lucia                             - Dove sarei finita...

Giacomo                       - Nella tenuta dei Miremont!

Lucia                             - Al luogo pieno di vuoto dove avrei tra­scorso gran parte della mia vita...

Giacomo                       - La sala da pranzo dei Miremont!

Lucia                             - Non ho mai potuto incontrare un uomo senza sussultare e chiedermi: «sarà lui?».

Giacomo                       - Ora non avrete più ragione di sus-sultare, signora Miremont.

Lucia                             - Tacete, tacete! Pensate: quando si apriva una porta davanti a me, mi chiedevo sem­pre: « Mio Dio, chi entrerà? ». Io sono vissuta sem­pre in attesa di miracoli... E', anzi, un mio modo dì dire: «i miei miracoli», cioè quando mi capita una cosa che attendevo e che mi sorprende. E' dun­que impossibile che la mia presenza in questa casa sia prevista da qualcuno... Comunque, la mia pre­senza cambierà ogni cosa... e questo sarà appunto il mio miracolo, uno dei miei miracoli! Rimanete e vedrete! Sarò una signora Miremont diversa, come mai l'avreste immaginata, una signora Mire­mont che io stessa non conosco. Io agisco sempre così, d'istinto... come i gatti...

Giacomo                       - (pausa) Ma voi chi siete?

Lucia                             - Non chiedetemi nulla...

Giacomo                       - Sì, ancora una domanda; credete nelle chiromanti?

Lucia                             - Nelle chiromanti? Ma sì, certo che ci credo!

Giacomo                       - Non è vero come si esce agitati da casa loro, avendo sempre un nuovo destino in ta­sca? Ebbene, anche adesso, dietro quella porta, c'è una chiromante. Costei ha già sanzionato il vostro avvenire in questa casa. I vostri amori sono ormai codificati, il vostro cuore non avrà più palpiti di angosciosa attesa: la vostra esistenza futura è in­teramente svelata!

Lucia                             - No, no, no...

Giacomo                       - Sì, signora Miremont!

Lucia                             - Non voglio, non voglio... i miei mira­coli...

Giacomo                       - Niente più miracoli, ormai...

Lucia                             - Non è possibile... Non sarebbe più vita.

Giacomo                       - Ma ditemi, chi siete voi?

Lucia                             - Una donna come tante altre.

Giacomo                       - No, no, lo nego. Come le altre, no. (Pausa) Dove avete vissuto fino ad oggi.

Lucia                             - Nei miei vent'anni, ho vissuto fino ad oggi! Il mio paese, la mia famiglia, sono i miei vent'anni... L'aria che respiro, le cose che tocco sono i miei vent'anni...

Giacomo                       - Spero non sia nei vostri vent'anni il « sì » detto a Paolo, sapendo già che cosa vi aspettava. Molto meglio per voi attendere un de­stino ignoto, uno dei vostri miracoli... Capite: ormai non ci saranno più imprevisti per voi. Tutto sta­bilito, due più due quattro. (Indica la porta) Voi siete entrata di là, vero? Adesso guardate qua: questa è la poltrona del bisnonno. I vostri figli, re­duci dalla guerra, vi siederanno anch'essi...

Lucia                             - I miei figli soldati?

Giacomo                       - V'accorgerete assai presto, come nella nostra famiglia le generazioni si mescolino fra loro e come giochino con matrimoni, battesimi, funerali... Guardate qua i ritratti degli avi ed i quadri di famiglia... (Afferra l'album e lo sfoglia) Ecco qua zia Adriana in fasce; qui la mamma men­tre esce di chiesa, dopo il suo matrimonio; questa è zia Adriana alla vostra età. Ed ecco il posto per appendere il ritratto della vostra prima comunione. Ah, non pensavate che sarebbe ingiallita qui la fotografia dei vostri dieci anni, e qui, vedete, vi appenderanno, prima con le trecce scure e poi con i capelli bianchi. In quanto al cimitero, non è molto lontano. E' subito a destra, dopo la chiesa. I Mire­mont vi hanno una tomba di famiglia, s'intende: ampia, comoda, superba. Una meraviglia! Una dì queste domeniche, dopo la messa, zia Adriana vi indicherà quello che sarà il vostro posto.

Lucia                             - (scoppiando in singhiozzi) Basta... ba­sta!

Giacomo                       - Ma soltanto oggi l'angoscia vi fa singhiozzare davanti a queste povere cose mancate, mentre io vi svelo ciò che tanti altri alla mia età non sanno vedere. Sapete cosa significhi per me il fatidico focolare domestico?! La terra dei morti Un'esistenza vissuta in mezzo ai morti e ai falliti! (Si è fatto buio).

Lucia                             - Accendete la luce o urlo! Ho paura! (Giacomo accende. Lucia si guarda attorno piena dì terrore) Come è piccola questa stanza vista con la luce!

Giacomo                       - (abbassando il lampadario sulla tavola di mezzo) Abbassiamo un poco il lampadario. Questa è la vostra seggiola. Qui ce ne sono altre tre. Ma voi sedete su questa. (Siedono alla tavola da pranzo) Ora guardatevi attorno. Non vedete nessuno? Voi credete che non ci sia nessuno qua dentro... Invece ci siete tutti e quattro, seduti at­torno alla tavola, uno per lato: mia madre, Paolo, zia Adriana, voi! Zitta: Maria reca la minestra, la vostra nuova vita incomincia. Voi portate il primo cucchiaio alle labbra... E' tempo che io me ne vada. (Si alza) Ci sono troppe cose vive nel mondo perché io possa restare qui dentro, in mezzo ai morti. Addio. (Si avvia verso la porta).

Lucia                             - Giacomo... Giacomo... rimanete. (Si è alzata, gli è vicina) Sono io... io che me ne vado. Voi dovete rimanere per dire loro... a Paolo spe­cialmente... Paolo crederà chissà che cosa... Ma tanto peggio. Non ne posso più!

Giacomo                       - Non potete andarvene così!

Lucia                             - Sì, subito via di qui... Dove? E che mi importa dove? Purché via di qui. E quando me ne sarò andata via, voi direte loro...

Giacomo                       - Cosa?

Lucia                             - Direte a Paolo che non posso... che non posso... che anch'io non posso vivere così! Appena entrata, ho capito d'essere perduta. Ho cercato di vincermi, ma già sento di morire a poco a poco, ed io voglio ancora vivere.

Giacomo                       - Non potete andarvene così...

Lucia                             - Sì, subito via di qui, via, via... (.Esce di corsa).

Giacomo                       - (inseguendola) Lucia... Lucia... Ascol­tate, Lucia! (Esce dietro a lei).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Una specie di studio da pittore, a Moniprimasse

Le undici del mattino. Attraverso le persiane chiuse filtra qualche spiraglio di luce. Cinque mesi dopo.

Lucia                             - (sola in scena, volgendosi ad un paravento dietro cui è il letto dove è ancora coricato Gia­como) Giacomo, sono le undici. (Quindi, rivolta al pubblico) Se continueremo così, finiremo per co­ricarci all'alba, ci alzeremo al crepuscolo e non vedremo più il sole!

Voce di Giacomo          - Lucia...

Lucia                             - Alzati, poltrone!

Voce di Giacomo          - No.

Lucia                             - Dico la mia solita preghiera mattutina e poi ti butto dal letto… (Apre la persiana della finestra più vicina al pubblico. Quindi, guardandosi attorno) Dov'è la mia matita per gli occhi? Ah, eccola. Il sole, vedendo le mie croci, si chiederà stupito «cosa significano?». Ma io non lo dirò nemmeno al sole! (Parlando al sole, oltre alla fi­nestra) Perdonami, vecchio sole, d'avere perduto qualche ora di felicità, mentre tu già illuminavi il mondo, ma sono così felice. Lo sai che sono fe­lice anche quando dormo?

Voce di Giacomo          - Lucia...

Lucia                             - Un momento! (Sempre rivolta al sole) Hai già cominciato da molte ore la nostra nuova giornata, ed io, come tutti gli altri giorni, la se­gnerò con una piccola riga così! (Come se dovesse imprigionare un insetto, scherzosamente, imprigiona il sole nel pugno chiuso. Sul muro accanto alla fi­nestra, dove già sono disegnate molte croci, segna la prima sbarra di un'altra) Ecco fatto.

Giacomo                       - (esce in pigiama da dietro il paravento) Che cosa stai facendo?

Lucia                             - La mia ginnastica... (Infatti l'ha sor­presa in un largo gesto delle braccia).

Giacomo                       - Che ore sono?

Lucia                             - Le undici.

Giacomo                       - Se la memoria non m'inganna, non abbiamo un soldo ed a quest'ora io dovrei essere al giornale...

Lucia                             - Sì-

Giacomo                       - Allora torno a letto, dove ti consi­glio di seguirmi! (Torna dietro al paravento).

Lucia                             - (alludendo alla sbarra disegnata poco pri­ma, sempre rivolta al sole) Chissà se questa sera potrò completare anche questa croce! Qualunque cosa succeda, io ti sarò sempre grata, sole, di quei centosettantadue giorni di felicità... (Le croci sul muro dovrebbero appunto essere centosettantadue).

Voce di Giacomo          - Lucia...

Lucia                             - (rapida a Giacomo) Sì... (Al sole) Per fortuna che non sono obbligata di mostrare al prossimo tutti i miei pensieri, altrimenti chissà cosa si direbbe di me, per non essere ancora riu­scita ad abituarmi alla mia felicità... Fin da ra­gazza ho sempre atteso il giorno della fortuna, ho sempre creduto nella mia buona stella... Mi ac­corgo oggi di non aver sperato invano. (Lieve pausa) La ragazza più dotata di fantasia non sa­prà mai immaginare i brividi di una donna vera­mente innamorata... (Si bussa) Chi è? (Entra Max, un giovanotto, un bohémien) Avete una bella fac­cia tosta! (Fugge rapida).

Voce di Giacomo          - Chi è?

Max                               - Sono io, Max...

Voce di Giacomo          - Cosa vieni a rompere le sca­tole?

Max                               - Come?... cosa vengo a rompere le sca­tole?

Giacomo                       - (entra) Che novità ci sono? (Max sta per rispondere) Non lo sai nemmeno tu, eh?!... Allora... pensaci su, poi me lo racconti... (Esce).

Max                               - (improvviso) Che casa! (Toglie il giornate di tasca, legge) Giacomo...

Voce di Giacomo          - (annoiato) Che vuoi?...

Max                               - (come leggendo la frase sul giornale: in­vece è un suo aforisma) Le persone felici sono terribilmente insopportabili per gli altri.

Voce di Giacomo          - Lo so, ma per noi gli altri non esistono. Per me esiste lei. Esisto io. Esistiamo noi. Oltre noi due, non esiste più nessuno.

Lucia                             - (mette dentro soltanto la testa per rispon­dere) Oltre noi due non esiste più nessuno! (.Ri­trae la testa).

Max                               - Giacomo...

Voce di Giacomo          - Quanto sei noioso! Mi vuoi lasciar dormire?

Max                               - (leggendo vari titoli sul giornale) L'Ame­rica chiede la revisione... In Polonia, il problema ebraico... La Cina ha dichiarato... Sul Danubio, al­cuni rimorchiatori... Un incendio a Vaugirard. Gia­como, Giacomo... Un incendio nel quartiere dì Vau­girard!

Voce di Giacomo          - Ma che barba!

Max                               - Giacomo, s'è incendiata una casa nel quartiere dì Vaugirard...

Giacomo                       - (appare subito, scalzo. E’ sempre in pigiama) Perdìo, fa vedere! (Oli strappa il gior­nale).

Max                               - Una fabbrica di lampadine elettriche...

Giacomo                       - Io batto sempre quel quartiere e non so nemmeno che si è incendiato! Il mio secondo insuccesso in quindici giorni! Al giornale finiranno per mettermi alla porta. (Legge meglio) Ma idiota, l'incendio è scoppiato al numero 243 sopra il caffè Javel... Che sì sparino! Per me può bruciare il si­gnor Javel in persona... Io credevo si trattasse del teatro... (Deciso) Torno a letto!

Max                               - Ma via, Giacomo...

Giacomo                       - A meno che per farmi avere un suc­cesso personale in redazione, mentre dormo, tu non vada a incendiare il teatro del quartiere Vaugirard. Buona notte! (Esce).

Max                               - Sei disgustoso. (Una pausa. Entra Lucia, ancora più svestita di prima).

Lucia                             - Buon giorno, Max!

Max                               - Buon giorno, Lucia!

Lucia                             - Ah, no, non così: dovete dirmi « buon giorno, Lucia» con un bacio sugli occhi!

Max                               - No, niente occhi. Soltanto « buon giorno, Lucia! ».

Lucia                             - C'è al mondo qualche cosa di più stu­pido di un uomo che non sappia amare?

Max                               - C'è al mondo qualche cosa di più per­fido di una donna che ami un altro uomo?

Lucia                             - (scherzosa) Allora io sonò la donna più perfida dell'universo!

Max                               - Non gridate tanto forte di amare Gia­como; finirò per non crederlo più. La qual cosa mi riempirebbe il cuore di gioia!

Giacomo                       - (rientra. Sta insaponandosi la faccia per la barba) Perché il tuo cuore si riempirebbe di gioia, mio bell'Adone?

Max                               - Oh, per niente... E’ sempre Lucia che mi stuzzica!

Giacomo                       - Stuzzicalo, stuzzicalo, Lucia... (Se ne va).

Max                               - Vi ecciterebbe un po' di musica?

Lucia                             - Non c'è niente di vostro, credo, che mi possa eccitare!

Max                               - Allora, se giocassimo...

Lucia                             - A carte?

Max                               - All'amore!

Lucia                             - Cosa?

Max                               - E' un gioco di mia invenzione...

Lucia                             - Ah, sì? Mi piace tanto quello che si inventa davanti a me! Quando, all'ora dell'aperi­tivo, aspetto Giacomo in qualche caffè... e scorgo un tizio intento a scrivere seduto ad un tavolino­mi sento sconvolta dalla curiosità di leggere quanto scrive... « Forse - penso - costui sta scrivendo una lettera per l'onomastico della sua balia; ma può anche darsi che stia componendo dei versi di un poema che sarà tramandato ai posteri. E se invece su quel foglio di carta stesse segnando le formule di una scoperta meravigliosa che sconvol­gerà il mondo? ».

Max                               - Io non ho tanta fantasia!

Giacomo                       - (riappare. Si sta pettinando) Così, vi siete messi d'accordo?

Max                               - Ma certo... sì-

Giacomo                       - Si direbbe che stiate giocando al lupo... (A Lucia) Conosci il gioco del lupo?! «Lupo, Lupetto, dove sei? ». (Esce).

Lucia                             - (a Giacomo, mentre sta uscendo) « Lupo, Lupetto... dove vai? ».

Voce di Giacomo          - A mettermi le scarpe.

Max                               - Vi dispiace se vi confesso di amarvi?

Lucia                             - Un po'...

Max                               - E se io fossi capace di restare otto giorni interi senza dirvelo?

Lucia                             - Cosa? Voi sareste capace di starvene zitto otto giorni filati?

Max                               - Si... intendo zitto anche con me stesso!

Lucia                             - E per quale miracolo diventereste ra­gionevole per otto giorni consecutivi?

Max                               - Ecco appunto il gioco di mia invenzione. Un gioco di carte di cui ho il brevetto.

Lucia                             - Non vi capisco...

 Max                              - (togliendo di tasca un mazzo di carte e offrendolo a Lucia) Prendete una carta. Rosso o nero? basta il colore. Se viene nero perdo io e taccio per otto giorni...

Lucia                             - (subito interessata) Oh, sì, bello, inte­ressante... datemi subito una carta... Ma se viene rosso e vincete voi?

Max                               - Se viene rosso e vinco io, vi dò un ba­cio... un lungo bacio, ma non sugli occhi... Capi­rete: se anche voi non avete il vostro rischio, il gioco non è più interessante...

Lucia                             - No, no, rinuncio...

Max                               - (scandalizzato) Voi non siete che una piccola borghesuccia timorosa... Esattamente il tipo di donna che Giacomo detesta!

Lucia                             - Che ne sapete voi?

Max                               - Io ho conosciuto Giacomo molto prima di voi.

Lucia                             - (triste) Lo so.

Max                               - Giacomo ha vissuto a Parigi anche prima di conoscervi e già fin da allora eravamo amici... Non siete stata mica voi ad inventare Giacomo!

Lucia                             - (gelosa) Se vi avesse voluto tanto bene... a voi, « Cher Ami», ed agli altri del nostro grup­po... perché un giorno vi avrebbe poi piantati?

Max                               - E chi lo sa?! Io lo vidi proprio la sera della sua partenza, quasi due anni fa. Giacomo ha un fratello, un signore serio... (Ingiurioso) Uno di quei tipi che sanno perché sono al mondo! Una volta faceva l'avvocato. Con lui Giacomo non è mai andato d'accordo... perché Giacomo è veramente uno dei nostri. Una sera, dunque, quella sera, Gia­como è venuto al caffè molto eccitato. Tornava da un colloquio avuto col fratello, che l'aveva acer­bamente rimproverato di frequentare gente della nostra risma. Giacomo l'aveva mandato al diavolo. « Le tue azioni di uomo d'affari, pensi siano pro­prio importanti quanto tu credi? » gli aveva chie­sto. Ed il fratello a rispondergli: «La prova che le mie azioni sono fattive, è che mi fanno guadagnare molto denaro! ».

Lucia                             - E Giacomo?

Max                               - E Giacomo se ne venne via dall'ufficio del fratello dimenticandosi persino di riprendersi il cappello. Arrivò al caffè a testa scoperta e si mise a gridare, eccitato: « Non comprerò mai più un cappello, né voglio più saperne di quello schifoso denaro, tanto che anche qui fra breve farò nascere una scandalo quando rifiuterò di pagare la mia consumazione ».

Lucia                             - E non la pagò?

Max                               - Si arrese soltanto perché il cameriere gli disse: « Se non la pagate voi, toccherà pagarla a me». L'indomani si seppe che Giacomo era tor­nato ai suoi boschi, laggiù, da sua madre. Sei mesi fa, infine, è tornato a Parigi con voi, per nulla cambiato. Un uomo come lui, infatti, non può cam­biar pelle. E' un tipo tutto d'un pezzo, Giacomo!

Lucia                             - (che stava manovrando le carte) Nero! Avreste perduto!

Max                               - Avrei, ma io non intendo giocare per scherzo! Mentre voi siete anche capace di giocare per scherzo.,.

Lucia                             - (porgendo il mazzo) Mischiate le carte. Vi prevengo che gioco con la sola speranza di vin­cere, per non sentire per otto giorni le vostre stu­pidaggini.

Max                               - Vedremo! Su, tirate!

Lucia                             - (tira una carta) Rosso... Ho perso! Sì, ma il vostro è un gioco disonesto... Voi non avete rischiato niente... Anche se avessi tirato nero, voi avreste chiacchierato ugualmente... Gli uomini sono cosi vigliacchi che con la scusa dei loro amori, giu­rerebbero il falso davanti al Crocifisso.

Max                               - Siete così esperta del mondo e degli uo­mini?

Lucia                             - Non ancora del tutto.

Max                               - Come, non ancora?

Lucia                             - Su, pagatevi.

Max                               - No.

Lucia                             - Su, pagatevi. La cosa mi può anche di­sgustare, ma io sono abituata a saldare i debiti dì gioco.

Max                               - No, Lucia...

Lucia                             - (facendo ora ostentatamente la comme­dia) Mio piccolo Max... Prendi le mie labbra... Sono tue... Hai vinto! (Lo bacia, tuttavia, quasi disgustata).

Max                               - (rimasto male) Se sapevate in precedenza che la cosa sarebbe stata tanto sgradevole, perché mi avete baciato?

Lucia                             - Perché sono onesta al gioco... e poi per rendermene conto...

Max                               - E trovate che bacio tanto male?

Lucia                             - Volevo sapere che cosa avrei pensato dì me stessa in un momento di disgusto.

Max                               - Voi non avete il diritto di essere così crudele con me!

Lucia                             - Ma non capite, povero sciocco che non siete altro, che io amo Giacomo, unicamente Gia­como?

Max                               - E voi avreste l'intenzione di passare la vostra intera vita con Giacomo, per il solo fatto che una sera, sei mesi fa, per caso, siete andati a letto insieme?

Lucia                             - Credete di sconcertarmi con le vostre massime da quattro soldi? Non dimenticate che quella sera in cui io sono andata con Giacomo -per caso, voglio ammetterlo con voi, per caso -mi sono pazzamente innamorata di lui, ed oggi lo amo come quella prima sera!

Max                               - Non è che io non capisca e non mi spie­ghi il vostro amore per Giacomo. Io stesso, ve lo ri­peto, lo considero un ragazzo di prim'ordine. Sol­tanto, ed è questo che vi domando ancora, non lo amerete certo tutta la vita?

Lucia                             - Se io morissi in questo momento, Gia­como sarebbe stato l'unico amore della mia vita. Certo che se morirò a settant'anni... Ma a che mi­rano le vostre domande idiote?

Max                               - Voi non capite cosa intendo dire...

Lucia                             - Ma sì, molto bene.

 Max                              - Invece, no. Io volevo sapere, se non avete l'intenzione, statemi bene a sentire, l'intenzione di non spogliarvi più davanti ad un uomo che non sia Giacomo.

Lucia                             - Come mi dispiace di aver tirato una carta rossa e d'aver perduto l'occasione di farvi star zitto per otto giorni!

Max                               - (continuando imperterrito)  Io dico na­turalmente « spogliarsi » per un ultimo cretinissimo verbale scrupolo borghese. Ma voi avete capito lo stesso. Le donne, magari, ci pensano su sei mesi prima dì spogliarsi davanti ad un uomo... ma una volta spogliate... chi s'è visto, s'è visto.

Lucia                             - Non vi dirò più una parola.

Max                               - Non volete rispondere a me, perché avete paura ad interrogare voi stessa, poi credete nell'eterna fedeltà di Giacomo...

Lucia                             - So molto bene che dovrò giocare una partita assai dura per conservarmelo!

Max                               - E se, nonostante tutto, la perdeste?

Lucia                             - Una partita dove non si rischi nulla, non è più emozionante! Bisogna vivere con la paura di perdere!

Voce di Giacomo          - Lupo, lupetto, dove sei? Mi metto la giacca e vengo.

Lucia                             - (a Max) Ora basta; Giacomo sa che voi mi fate la corte, tuttavia...

Giacomo                       - (entrando, a Max) Allora, hai ri­flettuto?

Max                               - A cosa?

Giacomo                       - Alle profonde ragioni della tua pre­senza qui?

Max                               - Sono venuto a colazione.

Giacomo                       - Ah, sei venuto a colazione? Allora, mio caro, sei cascato male!

Max                               - Cascato male?

Giacomo                       - Sì, perché anche « Cher Ami » verrà a colazione... e buona notte...

Max                               - Come, buona notte?

Giacomo                       - Se resti anche tu, anziché in tre, sa­remo in quattro, soli col nostro appetito, davanti a dei piatti vuoti.

Max                               - Ma voi non avete fame?

Giacomo                       - Si, mio caro, altro che fame, vero, Lucia? Una fame da lupo... Lupo, lupetto, dove sei? (Facendo il gioco) Sei nella credenza? No. (Met­tendo la mano in tasca a Max e togliendogli il por-tafogli) Io sono nella tasca di Max!

Max                               - (furioso) Rendimi il portafogli!

Giacomo                       - Lo vedi questo capitalista? Ha del denaro e non lo tira fuori!

Max                               - Non ho denaro. Ma rendimi il mio por­tafogli. (Fa per strapparlo a Giacomo, ma quello con un agile gesto gli sfugge).

Giacomo                       - (frugandovi dentro) No, è vero, po­veretto; non ha un soldo. (Toglie una piccola foto­grafia, calmissimo) Sei riuscita bene, Lucia... (Spiega sorridendo) E' una tua fotografia.

Lucia                             - (confusa, a Max) Dove l'avete rubata?

Giacomo                       - (a bella posta, per scoprire la verità) Ma sei tu che gliel'hai data!

Lucia                             - Io? Nient'affatto.

Giacomo                       - Che male c'è? Ha bene il diritto di tenere in tasca una tua fotografia!

Lucia                             - Ah, sì? Ne ha il diritto? E allora, mi dispiace di non avergliela regalata veramente!

Giacomo                       - Lo vedi come sono innocenti le don­ne? Lucia non sa ammettere che tu abbia una sua fotografia nel portafogli, ma trova del tutto nor­male mostrarsi a te ogni giorno in carne ed ossa, ad un metro di distanza. (A Lucia) Per esempio, in questo istante egli ti fissa estasiato, e tu, così, sei molto più somigliante che in fotografia! (En­tra un altro bohémien: «Cher Ami»).

Cher Ami                      - E allora?

Lucia                             - (furente) E allora... un corno! Possibile che si debba sempre entrare in casa nostra senza bussare?

Cher Ami                      - Cara Lucia, voi siete vittima di una educazione primordiale e di abitudini troglodite, alle quali ubbidite come ad altrettanti leggi filoso­fiche... Sappiate che noi non siamo mai a casa nostra...

Giacomo                       - (abituato a quel genere di discorsi) Cher Ami, hai soldi?

Cher Ami                      - Per che farne?

Max                               - Per mangiare.

Cher Ami                      - Io disprezzo il denaro, lo sapete!

Giacomo                       - Io posso disporre di due franchi e quindici.

Max                               - (frugando nella tasca dei calzoni) Io di tre franchi e sette soldi...

Giacomo                       - In casa credo ci sia ancora del burro e della marmellata. Vuol dire che faremo dei pa­nini imbottiti e del tè. Corro a telefonare al gior­nale, compero del pane e torno. Un bacio? (Fa per baciarla).

Lucia                             - (sta per baciarlo, poi improvvisamente ri­corda il bacio di Max e ritira la bocca) No

Giacomo                       - No? Non importa! Chissà poi perché no?! (Esce).

Cher Ami                      - (gli grida dietro) Già che telefoni al giornale, di' a quei negrieri che a Parigi i gior­nalisti hanno delle paghe da fame!

Max                               - (a Lucia che si toglie la vestaglia ed indossa un abito) Mi permettete di dirvi, Lucia, che il vostro abito è veramente originale? (Cher Ami sog­ghigna) Lui non s'interessa mai a niente!

Cher Ami -                    - Perché forse il tuo interessamento alle cose conduce a dei risultati positivi?

Max                               - Può darsi... (Altro tono) Quel vestito è lo stesso che Lucia portava ieri sera... ma in altra foggia... lo trasforma a piacere!

Lucia                             - Posso trasformarlo in mille modi: così. (Con ciò che trova sottomano, scherzosamente, com­pone il suo abito in vari modi, sottolineando ogni trasformazione) Così, per esempio; oppure così... Guardate ora con questa cintura, come cambia tutto!

Max                               - Conoscete Arbeau?

Cher Ami                      - Chi è questo Arbeau?

Max                               - Un celebre sarto dei Champs Elisées...

Lucia                             - Sì, lo conosco... Lo conosco di nome.

 Cher Ami                     - Avreste intenzione di trasformare la nostra amica in una donna alla moda?

Max                               - ...alla moda?

Cher Ami                      - Sì, una donna del tempo nostro, cioè un manichino.

Max                               - (senza rispondere all'amico) Sapete di­segnare?

Lucia                             - Sì, un poco... perché?

Max                               - Io ho un amico che lavora da Arbeau... alla contabilità...

Lucia                             - E allora?

Max                               - Questo mio amico mi ha detto che ci sono donne che disegnano modelli di vestiti, man­telli, arrivano a guadagnare fino a centomila fran­chi Tanno... (Cher Ami ride con scherno).

Lucia                             - (ci pensa su, sorride) Allora, poiché io so disegnare, è come se avessi in tasca un biglietto della lotteria. Non si sa mai...

Cher Ami                      - Sì, magari guadagnereste un sacco di soldi, e poi? Io, da quando vi conosco, ho con­statato che a voi basta così poco...

Lucia                             - (che tiene alla considerazione di Cher Ami) Ma sì, pochissimo, ma non è questo,.. Non è che mi seduca quel grande guadagno, bensì l'i­dea che la mia vita possa prendere un'altra svolta...

Max                               - Questo vuol dire che oggi siete infelice?

Lucia                             - Nient'affatto!

Cher Ami                      - Comunque, qualcosa sta maturando per voi... ne sono certo!

Lucia                             - Come siete caro!

Cher Ami                      - Né caro, né gentile... però so vedere le cose dal lato giusto... Perciò vi dico: se proprio ci tenete ad entrare nella famiglia di Giacomo, avete sbagliato fratello. Dovete buttarvi sull'altro...

Lucia                             - (sbalordita) Siete pazzo?

Cher Ami                      - (continuando imperterrito) Un certo Paolo. Un uomo su misura per un genere di donna come voi, che cerca di sistemarsi nella felicita­lo l'ho incontrato una sola volta, ma mi è bastato per giudicarlo. Allora Giacomo non era già più a Parigi... Era ritornato in grembo alla famiglia.

Lucia                             - (stupitissima) Voi avete conosciuto Paolo?

Cher Ami                      - Sì, avevo una... contesa con un li­braio che diceva d'avermi visto prelevare qualche libro dalle sue scansie... e poi andarmene... senza prima di passare dalla cassa! Volendo appianare il mio diverbio con quel libraio pignolo, andai dunque da questo signor Paolo, il quale, maligno come una volpe, mi lasciò esporre la mia storia, fece anzi le fìnte d'interessarsene, felice di fare la conoscenza di un amico di suo fratello, inceppato in una situa­zione che egli riteneva incompatibile con la nor­male rettitudine commerciale. Io sapevo che egli non era più iscritto all'Albo, tuttavia ero andato da lui piuttosto che da un altro legale, terribilmen­te curioso di vedere il fratello di Giacomo nelle sue funzioni di moralista codino... Mi domandò quale fosse la mia professione. Gli risposi che provviso­riamente era quella di attendere ore ed ore nelle anticamere degli editori coi miei manoscritti sotto il braccio... Gli dissi tuttavia che sarei potuto diventar ricchissimo qualora un editore avesse co­minciato a nutrire per il mio romanzo la stessa considerazione che ne avevo io...

Max                               - Questo giovanotto è un invertito men­tale... Ieri diceva invece...

Cher Ami                      - Ah, tu fai parte dì quelli che rim­proverano le mie contraddizioni? Ma, mio caro, il mio pensiero non è mica un monumento equestre eretto in mezzo ad una piazza!

Lucia                             - Io non vedo che rapporto ci possa es­sere fra tutto questo e il mio destino, che secondo voi, sarebbe quello di sposare il fratello di Gia­como...

Cher Ami                      - Anche il signor Paolo Miremont, come voi, non capì un'acca dei miei ragionamenti, soprattutto quando gli esposi le mie teorie sui pe­ricoli delle conquiste umane e la vanità dei diversi possessi...

Lucia                             - (che s'è sdraiata sul divano e fuma) E io, cosa possiedo, secondo voi, Cher Ami?

Cher Ami                      - Anzitutto Giacomo, che tenete per i polsi come farebbe un gendarme con un borsaiolo colto in flagrante!

Lucia                             - (disgustata dal paragone) Non è vero affatto!

Max                               - Ieri affermò che esisteva soltanto una donna veramente libera fra tutte quelle che cono­sciamo... e questa eravate voi!

Cher Ami                      - Io ho parlato di temperamento, non di condizione... Ho affermato infatti che nessuna altra donna quanto Lucia è libera allo stato potenziale... Vedremo se l'avvenire mi darà ragione!

Lucia                             - (a Cher Ami) Voi parlate sempre come foste ad un tavolo di caffè, verso mezzanotte, quan­do sì chiacchiera tanto per chiacchierare, per far venire l'ora di andare a letto...

Cher Ami                      - Io chiacchiero sempre, tanto per chiacchierare... per aver cioè fra tanto chiacchie­rare la possibilità d'indovinare la verità... e poi, perché io non voglio che nulla sia imprigionato: neanche il mio pensiero. Anche a lui lascio sem­pre assoluta libertà...

Max                               - Sarei proprio curioso di leggere il tuo romanzo, perché, lasciamelo dire, per essere uno psicologo sei proprio malandato!

Cher Ami                      - Come spieghi allora che io abbia perfettamente capito che tu sei innamorato cotto della donna del tuo migliore amico?

Max                               - (inquieto) Cosa?

Cher Ami                      - (a Lucia indicando Max) Ma non è, come si potrebbe supporre, un superficiale, che per sterile perfidia non domanda altro al mondo che quello di andare a letto con la moglie del suo migliore amico, chiunque sia questa donna, chiun­que sia quest'amico... No, no...

Lucia                             - E finitela...

Cher Ami                      - (continua sempre imperterrito) Non è per perfidia, ma per appassionata amicizia... Egli vuol talmente bene al suo amico, gli è tal­mente affezionato che, come ha preso i suoi tic, i suoi gusti, le sue cravatte... gli vuol prendere an­che la donna! (A Max, comicamente paterno) Tu credi di essere un seduttore, Max? Macché, tu sei un sedotto! (A Lucia) Credete a me, i suoi sentimen­ti prendono spesso una strada sbagliata! (A Max) Lascia in pace le donne, Max; il tuo destino è quello di diventare un pederasta! (Lucia scoppia a ridere).

Max                               - (a Lucia maligno) Non ridereste tanto delle sue imbecillità, Lucia, se sapeste fino a qual punto Cher Ami conosce i vostri atti, tutte le vo­stre azioni, anche le più intime!

Cher Ami                      - Vorrebbe dire, ma non osa, che io ascolto alle porte! Ah, non lo sapete, mia bella amica, che ho questa abitudine? Me la rimprove­rano tutti quelli che non possiedono una curiosità morbosa come la mia... Questo idiota allude al fatto che io di voi so tutto, nei minimi dettagli... che però non vi svelo! Ad esempio: io so che Giacomo è il vostro primo amante! via non sussultate cosi! Ah, le donne sono davvero sconcertanti! Si spo­sano con ghirlande di fiori di arancio: tutti i loro parenti stanno dietro la porta della loro camera nuziale, la prima volta che fanno all'amore col proprio marito... E non sono per nulla intimidite da tutto quel pubblico in ascolto. Poi, invece, sus­sultano come avete sussultato voi, quando uno, sei mesi dopo, svela loro d'essere matematicamente certo che il loro primo uomo è stato il tale... E' fantastico! (Si diverte molto).

Lucia                             - Tacete, insomma, tacete... Impicciatevi di quello che vi riguarda! Ma già: quando uno è tanto stolto da farsi chiamare con un nome pre­tenzioso come il vostro...

Cher Ami                      - Cosa?

Lucia                             - « Cher Ami!  ». Pensate che la gente da­vanti alla scelta di un tale pseudonimo vi consi­deri un modesto?

Cher Ami                      - Modesto o meno « Cher Ami » è ormai la mia etichetta. E' un nome che suona be­ne, originale, più che sufficiente per Parigi... « Cher Ami»... a Cher Ami »... Ho fatto un colossale affare assumendo definitivamente questa sigla! Più co­gnome di famiglia, più stato civile... più vie d'usci­ta... Ho distrutto tutto dietro di me, prendendomi questo soprannome...

Max                               - Anche la tua famiglia?

Cher Ami                      - Ho distrutto dentro di me lo spi­rito della mia famiglia, ed è quello che conta! (Estasiato) Pensate come è bello! Nella mia splen­dente miseria, io cammino per le strade con nessun altro peso che quel nome sulle spalle: « Cher Ami! »... Cammino, ed io stesso m'illudo che esso nasconda chissà chi sotto la sua maschera ano­nima... Un duca, un principe, un re, il più grande poeta d'Oriente...

Lucia                             - Quanti anni avete, Cher Ami?

Cher Ami                      -  Venticinque.

Lucia                             - (ironica) Coinè mai nascondete il vo­stro nome e svelate la vostra età?

Cher Ami                      - Voi state adoperando con me lo stesso tono di suo fratello. (Rifacendolo) « Signore, io non esercito più, ma trovandomi davanti ad un essere come voi siete, vi dichiaro apertamente che non mi dispiace affatto d'aver abbandonato la professione. Quello che mi dispiace è di non essere Giudice d'istruzione e Procuratore della Repubbli­ca per far spiccare un mandato di arresto contro di voi...

Max                               - S'era messo nel commercio?

Cher Ami                      - (a Lucia) Ma io so che Giacomo si sbaglia di grosso quando s'illude che voi siate monda da tutti quei piccoli meschini pregiudizi, che fanno la fortuna della società e l'infelicità degli uomini!

Lucia                             - Gli uomini sono dunque così infelici, Cher Ami?

Cher Ami                      - I più infelici sono coloro che pen­sano che la loro estrema felicità consiste nel con­quistare e nel possedere un bene esclusivo... Ricor­date, Lucia, che i beni di questo mondo sono an­cora più fragili della vita stessa. L'unico modo de­cente di vivere è di starsene come faccio io, le mani protese, per cercare di afferrare tutto, ma anche tutto poter perdere in un istante... Ecco: vivere così, senza né dare, né avere: a metà della scala... «Voi siete un vagabondo!», mi disse il signor Miremont. No! io sono un ricco signore, troppo orgoglioso e pretenzioso per sapermi accon­tentare della ricchezza, e che vive felice in un mondo incantevole... dove nulla è mio... persino ì volumi di certi librai imbecilli... (Giacomo rientra con un grosso pane sotto il braccio. Cambiando di­scorso) Lucia stava chiedendoci se gli uomini sono infelici...

Giacomo                       - (baciandola) Tesoro mio! (Mentre Giacomo è chino su Lucia, Cher Ami prende un pezzo di pane e si mette a mangiarlo tranquilla­mente).

Lucia                             - Guarda quel sudicio egoista!

Cher Ami                      - Io ho il coraggio delle mie azioni e dei miei desideri.

Giacomo                       - (a Cher Ami) Piantala!

Lucia                             - Giacomo, direttamente o indirettamente, tutti mi rimproverano la mia fedeltà... (A Giacomo) Io sono capitata con te, per caso, d'accordo, ma visto che ti amo, non vedo nessuna ragione perché io me ne debba andare... (Agli altri) Fino a che ci amiamo, perché dovremmo lasciarci?

Giacomo                       - Lasciali chiacchierare; ascoltami piut­tosto: c'è una grande novità... Però devi promet­termi di non piangere.

Lucia                             - Stai per lasciarmi?

Giacomo                       - Si.

Lucia                             - Ma io non voglio...

Giacomo                       - Mi lasci finire?... Me ne vado, ma per quindici giorni soltanto.

Lucia                             - Parti per quindici giorni? Dove vai... perché?

Giacomo                       - Telefono al giornale e mi danno la strabiliante notizia: in Polonia. Mi mandano in Po­lonia in prima classe e con un'ottima trasferta. Debbo fare una serie di articoli sulla questione ebraica... Giacomo Miremont, capisci? Fra tanti hanno scelto Giacomo Miremont!

Cher Ami                      - (scherzoso) Sensazionale!

Lucia                             - Mi porti con te?

 Giacomo                      - Mai più l'amministratore ti paghe­rebbe il biglietto; al giornale la pensano ancora all'antica: donne a casa!

Max                               - Nei tuoi articoli, trattandosi della Po­lonia, sotto sotto, fra le righe, puoi metterci un poco di spirito rivoluzionario, il che, per un gior­nale conservatore come il tuo, sarà uno scherzo di prim'ordine...

Giacomo                       - (a Cher Ami) Tu potresti venire con me. Cercano uno che possa fare un servizio sull'Armata Polacca... Al giornale nessuno capisce come tu ti ostini a restare correttore di bozze...

Cher Ami                      - Cher Ami potrebbe magari firmare un'opera sconcertante sulle origini umane, ma tu lo vedi il mio nome sotto degli articoli che discorrono di strategia e di casermaggio? Mi squalifi­cherei per sempre... Eh, purtroppo, ci sono dei nomi difficili da portare!

Max                               - Sei un bello sfacciato... Se proprio ieri hai detto...

Cher Ami                      - Ieri ti ho detto tutto l'opposto? Mio caro, la verità eterna, di cui sono l'umile servo, è fatta appunto di continue idee contrastanti...

Lucia                             - Io non voglio che tu te ne vada!

Giacomo                       - Bisogna, tesoro... E poi si tratta di soli quindici giorni.

Lucia                             - Ah, tu trovi che quindici giorni siano niente?

Cher Ami                      - Parti, Giacomo, così Lucia - durante la tua assenza - ne approfitterà per trovarsi un amante!

Lucia                             - Oh! smettetela...

Cher Ami                      - La vostra fedeltà vi dà un tal re­ciproco senso della proprietà, che certamente vi condurrà a qualche disastro.

Lucia                             - (a Giacomo) Lo pensi anche tu, Gia­como?.

Giacomo                       - Sì. In teoria, si.

Lucia                             - Come, in teoria?

Giacomo                       - I modi con cui si perde la nostra fe­licità sono infiniti e così inattesi!

Lucia                             - Allora... perché tu sia completamente felice, io dovrei avere un amante?

Cher Ami                      - Credete a me, ragazzi, sbarazzatevi dal vostro bagaglio di teorie tradizionali, guarda­tevi attorno! Non vedete tutti i giorni, per causa loro, quante bancarotte sentimentali avvengono, e suicidi, divorzi, delitti passionali? Non mettete an­che i vostri desideri ed i vostri sentimenti alla stregua di quelli di tutti...

Lucia                             - (diversa) Ma Giacomo è libero di sé, completamente libero e parte per la Polonia! A che ora parti?

Giacomo                       - Alle tre e cinque.

Lucia                             - (quella di prima) No...

Giacomo                       - Ma sì, cara, debbo; ormai mi sono impegnato.

Lucia                             - (breve pausa, quindi a Max) Venite, andiamo a prendere il tè... (Esce con Max).

Cher Ami                      - Che ragazza fantastica!

Giacomo                       - Lei? e perché?

Cher Ami                      - Perché - ma tu lo saprai certa­mente - da tre settimane ha un amante.

Giacomo                       - Che dici?

Cher Ami                      - Non lo sapevi? Oh, ti chiedo scusa­ti chiedo scusa... ho fatto una gaffe senza volerlo...

Giacomo                       - Un amante? Lucia un amante? Non è vero! (Forte) Lucia...

Lucia                             - (rientrando con Max) Dimmi, caro...

Giacomo                       - Tu hai un amante?

Lucia                             - Io?!

Giacomo                       - Da tre settimane?

Cher Ami                      - Ho scherzato, scemo, per vedere la faccia che avresti fatto... e poi per constatare fino a che punto lei possa considerarsi libera.

Lucia                             - Voi siete un cinico, un mostro!

Cher Ami                      - (soddisfatto) Ho fatto un espe­rimento...

Lucia                             - E tu, per un istante, Giacomo, hai po­tuto credere una cosa simile?

Giacomo                       - (abbracciandola) Cara... piccola cara!

Cher Ami                      - (a Max) Tieni conto, Max, che lui si dice libero, che lei si dice libera... che si di­cono liberi... Parole... parole... Discorrere di libertà a due innamorati è come parlare greco ad un cinese!

Lucia                             - Tu non dovrai mai dubitare di me...

Giacomo                       - E se, un giorno...

Lucia                             - No. Se dovesse capitarmi la disgrazia di innamorarmi di qualcuno, te lo direi subito...

Cher Ami                      - Che squisito pensiero! (A Lucia) Ma se già ammettete questo, è segno che fin da oggi avete l'intenzione di prendervelo, questo folle amante! Previdente, però; la vostra premessa vi servirà per potergli dire un giorno, senza ch'egli possa obiettare una sillaba: « Questa sera, tesoro, anziché con te, andrò a letto con un signore così e così... Sono una donna onesta e te lo avverto... E tu, amore, stanotte cerca dì dormire e di non rivoltarti nel letto! »... Immagino che faresti tutt'un sonno, povero Giacomo!

Lucia                             - Costui è addirittura odioso. Digli di smetterla!

Cher Ami                      - Invece continuo. Io voglio mettervi in guardia dato che, per esseri come voi, l'amore è la porta d'ingresso al talamo nuziale

Giacomo                       - Smettila, idiota; smettila per favore...

Cher Ami                      - State attenti! Voi vi siete tuffati nella felicità fino al collo!... Ma non sentite già nell'aria l'odore di lavanda delle lenzuola di bu­cato e dell'amore messo a bollire assieme alla mar­mellata di ribes?

Lucia                             - Non è vero, Giacomo. Guarda come egli mente e quanto tu sia veramente libero. Guarda! (Indica il muro dove sono le croci).

Giacomo                       - Cosa?

Max                               - Che cosa sono tutte quelle croci?

Giacomo                       - Le hai segnate tu?

Max                               - Cosa significano tutte quelle croci, una accanto all'altra, tutte uguali?

Lucia                             - Tutte uguali? Già. Ognuna dì queste croci rappresenta una giornata vissuta con te, Giacomo. La mattina, appena alzata, io segno la prima sbarra della croce e la sera, lieta d'un giorno d'intensa felicità, segno l'altra sbarra... Ecco, guar­da qui, Giacomo, la croce di oggi ancora incom­pleta... Eccoli qui, Giacomo, in fila, uno dopo l'al­tro, tutti i nostri giorni felici. Eccoli qui, come in un piccolo cimitero gaio... Ma io ho sempre saputo, che una volta o l'altra, una croce sarebbe rimasta incompiuta... che una mattina avrei disegnato la prima sbarra, ma che la sera non avrei disegnato l'altra, perché, durante quel giorno - fra una sbarra e l'altra - tutto sarebbe finito fra noi!  Ogni mattina ho incominciato la mia croce tre­mante, ed ogni sera l'ho terminata trionfante! Ecco, Giacomo, da lì vedi quanto sia immenso il mio amore e puoi d'altronde constatare come io non sia una piccola borghesuccia che ha messo il suo cuore alla cassa di risparmio! Io ho sempre pensato che un giorno o l'altro, qualcuno sì sa­rebbe affacciato a quella porta per dirmi: « Non lo vedrete più »!  Ecco Giacomo, carne ho sempre vissuto accanto a te. Ora per ora, giorno per gior­no, sempre con la speranza che duri ancora un po'! Ancora un po'... (Si getta nelle braccia di Giacomo).

Cher Ami                      - (a Max) Rassegnamoci, amico! Quei due finiranno assieme la loro gran giornata! (Si bussa) Chi è? (Pausa. Bussano ancora).

Lucia                             -  Giacomo, ho paura!

Giacomo                       - Avanti! (Entra un ragazzo con una lettera).

Il Ragazzo                     - Chi è il signor Miremont? 'Mi hanno detto: « da consegnare nelle sue mani».

Giacomo                       - Dà qui. (Prende la lettera. La scorre) Devo la risposta?

Il Ragazzo                     - Non so...

Giacomo                       - Aspetta. Gli dirai... (Agli astanti) Amici miei, vi prego di lasciarmi un attimo solo. Vi dispiace? Devo ricevere qualcuno...

Lucia                             - Chi?

Giacomo                       - (al ragazzo) Prega quella persona di salire... (Il ragazzo esce. A Max) Max, va di là con Lucia. (A Lucia e Max) Io conto su di voi per essere lasciato in pace fino a quando vi chia­merò... e soprattutto di impedire a Cher Ami di ascoltare alla porta. (A Lucia) Ti spiegherò.

Cher Ami                      - (indicando la porta comune) Pos­siamo anche andarcene dì là, se credi...

Giacomo                       - No, la casa ha una scala sola. Pre­ferisco restiate con Lucia. (Li spinge fuori) A fra poco,                               - (I tre escono. Giacomo rilegge la lettera. Guarda fuori dalla finestra. Passeggia, indi spa­lanca la porta).

Paolo                             - (entrando) Ciao, Giacomo.

Giacomo                       - Ciao, Paolo.

Paolo                             - Ti ringrazio di avermi ricevuto anche se prima non ti ho avvisato della mia visita...

Giacomo                       - Siedi.

Paolo                             - Sai, temevo che, ad una mia lettera con cui ti avessi chiesto un appuntamento, non avresti risposto... come pure dubitavo che tu non mi facessi entrare, pur sapendomi dietro quella porta...

Giacomo                       - E perché? Io t'avrei ricevuto in ogni modo, poiché immagino che non sarai venuto senza un motivo...

Paolo                             - E, se fossi venuto senza un motivo?

Giacomo                       - (violento) Cosa sei venuto a fare?

Paolo                             - (pacato) Per rivederti.

Giacomo                       - E poi?

Paolo                             - Per sapere cosa fai, come vivi...

Giacomo                       - Non c'è altro?

Paolo                             - No

Giacomo                       - La mamma sta male?

Paolo                             - Non è né troppo felice, né troppo alle­gra. Ma di salute non sta male.

Giacomo                       - E' molto che non la vedi?

Paolo                             - Adesso abito laggiù con la mamma e zia Adriana. Forse tu non sai che ho definitiva­mente rinunciato a Parigi.

Giacomo                       - Ah, sì? Nelle sue due lettere che mi ha scritto, la mamma non mi ha parlato mai di te.

Paolo                             - E' appunto per chiarire le cose... (Si in-terrompe).

Giacomo                       - Su, avanti, ti ascolto...

Paolo                             - Ecco, così va bene, tu mi ascolti. Io parlo e tu mi ascolti. Noi siamo perfettamente calmi... Io sono qui da te... Non è già un bel pro­gresso?

Giacomo                       - Un progresso verso cosa?

Paolo                             - Verso una riconciliazione fra noi... ri­conciliazione che stimo utile, se non altro per dare una gioia a nostra madre. (Pausa) Non so trovare le parole... né, d'altra parte, era il caso che pre­parassi un discorso... (Pausa. China lo sguardo) Da quella famosa sera io non ho smesso mai di parlare con te...

Giacomo                       - Con me?

Paolo                             - ... nella mia solitudine.

Giacomo                       - E' stata la mamma a mandarti qui?

Paolo                             - No. Oh, senza dubbio nostra madre sarebbe molto lieta se ci riconciliassimo; né la cosa mi sembra impossibile... In fondo, siamo fra­telli.

Giacomo                       - E zia Adriana?

Paolo                             - Zia Adriana... vive in uno strano stato di euforia. La tua fuga con la signorina Blondel l'ha talmente disgustata, che non osa nemmeno giudicarti. Considera il tuo gesto oltre il confine naturale delle cose... (Pausa) Ieri sera, quando a tavola ho accennato alla mia decisione di venire da te... avresti dovuto vederla! E' balzata in piedi e mi ha chiesto se per caso non fossi improvvisa­mente impazzito. Ed ha aggiunto che sarebbe stata lieta di morire pur di non vedermi compiere questo passo. (Pausa) Ma non credo che morrà...

Giacomo                       - Ebbene?

Paolo                             - Sei solo in casa? Voglio dire in questo momento?

Giacomo                       - Sì, sono solo; erano qui con me al­cuni amici, ma se ne sono andati.

Paolo                             - Giacomo, mi permetti di farti una do­manda? Sei felice?

Giacomo                       - Sì

Paolo                             - E lei?

 Giacomo                      - Anche lei... Almeno credo.

Paolo                             - Tu vedi quanto sono calmo... (Pausa. Quasi sorride) E sono anche molto lieto della tua felicità. (Altra pausa) Certo, il giorno della vostra fuga... lì per lì, ho creduto ad uno scherzo... sai, ad una delle tue geniali trovate, come, ricordi? quelle tali sfere di legno del tuo sistema planetario che attaccavi in ogni angolo della casa... Ora vor­rei chiederti un'altra cosa: tu... non avevi mai in­contrato la signorina Blondel prima di quel giorno?

Giacomo                       - No, mai.

Paolo                             - Me lo giuri?

Giacomo                       - Ma sì, te lo giuro.

Paolo                             - Eppure ve ne siete andati, così, subito...

Giacomo                       - Sì.

Paolo                             - E' inconcepibile!... (Pausa) Mi devi per­donare se ti faccio tutte queste domande... ma mi devi anche capire... Tu te ne stai qui, a Parigi, mentre io sto laggiù, solo, con la mia fantasia che corre a duecento all'ora; infinite domande che restano senza risposta, e si accavallano le une so­pra le altre... Ormai, io, laggiù, vivo in mezzo alle domande senza risposta, come una barca sulle onde. (Pausa) Ho saputo che conducete a Parigi un'esistenza da perfetti bohémiens... Come ha fatto lei ad assuefarsi ad una simile vita?

Giacomo                       - Non viveva a Parigi anche prima?

Paolo                             - Sì, ma prima... come certo lei ti avrà raccontato, conduceva una vita seria, ritirata...

Giacomo                       - Abbiamo deciso di parlare del passato il meno possibile... (Una pausa. Poi, tanto per dire Qualche cosa) Sei venuto in macchina?

Paolo                             - Non ho più macchina. Dando le dimis­sioni, ho dovuto restituirla. Erano una macchina ed un autista concessi dalla ditta al capo-servizio. Non c'è che dire: gli americani - perché si trat­tava di una ditta americana - hanno un buffo sistema di concepire gli affari. Adesso mi sono dato all'agricoltura... (Pausa) Non vi capita mai di parlare di noi, della casa, di laggiù?

Giacomo                       - Qualche volta, ma assai di rado.

Paolo                             - E tu non ti sei mai chiesto: « quali saranno i sentimenti di Paolo nei miei riguardi... e nei riguardi di lei? ». Se tu avessi trovato una risposta a queste domande, qualunque fosse stata, avresti indovinato perché io, laggiù, nella mia so­litudine, ho passato al setaccio tutti i sentimenti possibili. I più sconvolgenti ed i più impensati... (Pausa) Ma finalmente, ora, sono qui, davanti a te... Da sei mesi non riuscivo a respirare libera­mente come ora! (Pausa) Cosa vuoi, Giacomo, bi­sogna rassegnarsi... E' come alle carte; perché, io ora, laggiù in campagna, gioco a carte... Spesso non si sa cosa fare! E' come quando tu hai un bel gioco in mano, l'altro sbaglia nello scoprire la carta, e si deve mandare tutto a monte... Capisci, Giacomo? Ho finito per persuadermi che tu hai tutti i diritti di amarla... Questa convinzione è la maggior vittoria conquistata con me stesso... Hai il diritto di amarla!... (Esaltato, ha alzato la voce. Ora si scusa) Ma io grido, mi esalto, ti domando scusa... Sono sei mesi che non parlo così a lungo!

 Giacomo                      - Non so cosa risponderti, Paolo... Io...

Paolo                             - Voglio farti un'altra domanda che forse ti stupirà: dimmi, Giacomo, avevo ragione o no dì sposare la signorina Blondel? Non è una ra­gazza che si possa tranquillamente presentare in famiglia? E - se togli il can-can provocato dalla vostra fuga - una ragazza di cui si possa essere il marito?

Giacomo                       - Non ti capisco!

Paolo                             - Tu puoi figurarti cosa abbia detto zia Adriana sul conto di lei!

Giacomo                       - Me lo figuro!

Paolo                             - E... zia Adriana si sbaglia

Giacomo                       - Certo che si sbaglia!

Paolo                             - Tu capisci cosa voglio dire? Capisci quale significato abbiano queste parole? (S'inter­rompe) Non ti prendi gioco di me, vero?

Giacomo                       - No, Paolo... no, credimi...

Paolo                             - E così, voi, vi siete subito amati?

Giacomo                       - Perché farti soffrire Paolo?

Paolo                             - Oh, io, laggiù, mi son detto ben altro... La sofferenza non conosce mezze misure... (Pausa) Per sei mesi, di laggiù, ho partecipato alle vostre intimità... però, ora, è passata. Sono guarito... (Al­tra pausa) Ho finito per abituarmi a quelle visioni, che sulle prime mi hanno fatto urlare... (Mezzo sorriso) Ormai, non ho più paura dell'inferno... l'ho già provato... ci sono vissuto sei mesi... Anche alle fiamme dell'inferno si fa l'abitudine... (Pausa) Non torna?...

Giacomo                       - No... abbiamo appuntamento in un ristorante.

Paolo                             - Se permetti, ti accompagno... Natural­mente fino alla porta.

Giacomo                       - E'... che devo finire un articolo... perché forse non sai che sono giornalista...

Paolo                             - Sì, lo so. E allora finisci il tuo articolo... (Si bussa) E' lei? Eh, no, non può essere lei... lei non busserebbe. (Giacomo va ad aprire. Entra l'e­sattore del gas).

L'Esattore                     - Salve signori, ho qui la bolletta del gas...

Giacomo                       - La bolletta del gas...

L'Esattore                     - Settantadue e quindici. Sono due mesi, ormai... Voi capirete!

Giacomo                       - Sì, capisco... ma dovete essere tanto gentile da ripassare.

L'Esattore                     - Ah, no, basta! E' già la terza volta che ripasso...

Giacomo                       - E' che non ho soldi e sono qui solo...

L'Esattore                     - Solo? Allora la portinaia non sa più quello che sì dice! Mi ha detto: «Salite pure i cinque piani che la signora è in casa... ».

Giacomo                       - Vi dico di no...

L'Esattore                     - La portinaia mi ha detto che c'era e quella non ha ragione di dire una cosa per un'al­tra... e io credo più a lei che a voi, scusatemi... La signora è certamente di là...

Paolo                             - Scusa Giacomo... vuol dire che me li renderai questa sera... ecco il denaro... paga quella bolletta...

Giacomo                       - (rifiutando) Ma no, ti ringrazio. An­date pure. Passeremo oggi stesso a pagare...

L'Esattore                     - E' nel vostro interesse; altrimenti, domattina, vi toglieranno il gas. Passate alla cassa dalle quattro in poi... Arrivederci. (Esce).

Paolo                             - E' in casa, vero?

Giacomo                       - Ti dico di no...

Paolo                             - Quella porta dà sulla vostra cucina?...

Giacomo                       - Sì. (Pausa).

Paolo                             - Perché non vuoi che ti presti un po' di soldi... non far complimenti...

Giacomo                       - No. (Pausa) E' andata al mercato portando con sé tutto quanto avevo nel porta­foglio.

Paolo                             - Ah, va lei a fare la spesa?... Ed è lei che ti fa da mangiare? Giacomo, io so che lei è di là, dietro quella porta... Non dire nulla... Lo so. Ti chiedo una cosa soltanto: non hai una sua fotografia da mostrarmi? Sai... è buffo... nel primo momento di rabbia le ho strappate tutte; poi ho bruciato i pezzetti, ed ora.. Oh, sì... se ora entrasse improvvisamente la riconoscerei di certo... però non la ricordo perfettamente... La sua immagine nella mia testa ha assunto tali e tanti aspetti, du­rante questi sei mesi... E' così confusa... che vorrei ritrovarla in una sua fotografia...

Giacomo                       - Non ho nessuna fotografia sua.

Paolo                             - Allora non importa. (Pausa) Senti: io abito all'albergo che è sopra il Caffè della Reg­genza, il mio antico caffè... Vuoi che domani ci sì veda, io e te?

Giacomo                       - Ma certamente... (Ad un tratto, ri­cordandosi del viaggio) Ah, no, domani no. Domani sono in viaggio per la Polonia...

Paolo                             - Per la Polonia? Con lei?

Giacomo                       - No, solo. Ma soltanto per quindici giorni... un servizio per il giornale.

Paolo                             - E tu la lascerai quindici giorni, sola, a Parigi?

Giacomo                       - Dimmi tu come posso fare altri­menti!  E poi, anche prima, non viveva sola a Parigi?

Paolo                             - Sì... ma allora c'ero io, sempre attento; lei lavorava, era una ragazza. Dimmi, Giacomo, io lo debbo assolutamente sapere: non mi ingannava mica allora, era veramente una brava ragazza, se­ria, da potersi amare tutta la vita?

Giacomo                       - Ma sì, Paolo...

Paolo                             - Allora... ecco perché sono venuto da te... Riesco a dirtelo prima ancora di pensarlo... Sono venuto da te Giacomo, per...

Giacomo                       - Dimmi!

Paolo                             - Perché non la sposi?

Giacomo                       - Sposare Lucia?

Paolo                             - L'avrei ben sposata io, no? Questo ma­trimonio non metterebbe tutte le cose a posto? Una volta marito e moglie, potreste venire laggiù... dalla mamma. Io stesso, come cognato, potrei tranquil­lamente rivederla, parlarle... Ti autorizzo a dirle che la rivedrei ormai senza nessun rancore... Spo­sala, Giacomo! In fondo non è la stessa cosa? An­che ora non la lasci mica passare di avventura in avventura... (Pausa) Tu ne sei innamorato, Gia­como?

Giacomo                       - (nervoso) Ma sì... ti ho detto di sì-

Paolo                             - E allora sposala! Oh, non credere sai, non è mica un ordine il mio... E' perché ormai mi sono assuefatto al vostro amore, e sono certo che saprei voler bene a tutti e due come un fratello... Giacomo, pensa: riprenderemo un'esistenza nor­male, felice... Dunque: io stasera cenerò da Vautel, conosci? Se hai qualche cosa da dirmi ti aspetterò fino a tardi. Se però tu stasera non potessi venire... Domani tornerò a casa, dove attenderò una tua lettera con la data del tuo arrivo... Intesi?

Giacomo                       - (fra sbalordito e nervoso) Intesi.

Paolo                             - Questi quindici giorni mi sembreranno più lunghi dei sei mesi passati... Ora che siamo entrambi decisi... Sono impaziente di veder rien­trare tutto nella normalità!

Giacomo                       - Sei molto cambiato, Paolo...

Paolo                             - Te lo confesso, temevo un po' questo primo nostro incontro, però sapevo anche che tutto sarebbe finito per il meglio... Ma sì, sulle prime, temevo... Con quello che c'era stato tra noi...

Giacomo                       - Io non avrei mai pensato che un giorno tu per primo saresti venuto ad offrimi la mano... Proprio tutto mi sarei immaginato, meno questo...

Paolo                             - (per non rispondere direttamente) Da Vautel, Giacomo, questa sera, oppure la lettera entro quindici giorni. Ormai sai che non serbo più rancore ne a te né a lei. Mi sono inchinato alla fa­talità. Ma sta attento! Pensa, se lei non si sentisse abbastanza legata a te e se dovesse commettere qualche pazzia... Non pensi che un giorno potresti anche non vederla più, perché se n'è andata chissà dove? Tu mi guardi: sono invecchiato, eh? Ebbene, sappi essere tu più forte di me... Sappi custodirla... fa l'impossibile per custodirla... Hai capito, Gia­como? (Tocca il mento del fratello per una ca­rezza scherzosa. Poi si abbracciano entrambi com­mossi) Allora a stasera... (Paolo esce).

Giacomo                       - (resta un momento assorto, quindi apre la porta della cucina) Venite pure.

Cher Ami                      - Puoi partire tranquillo per la Po­lonia. Ho persuaso Lucia a tradirti durante la tua assenza. Al tuo ritorno ritroverai una Lucia com­pletamente diversa.

Giacomo                       - (nervoso) Smettila e vattene fuori dai piedi, per favore!

Cher Ami                      - Brutte notizie? Non esistono brut­te notizie. Le notizie sono come noi ce le fabbri­chiamo. Però, dato che tu sei più irascibile di un metropolitano in servizio, Cher Ami ti saluta. (A Lucia e Max) Salve! (Esce).

Lucia                             - Chi era?

Giacomo                       - Ti dirò...

Max                               - Hai degli amici che noi non possiamo conoscere?

Giacomo                       - No, Max, però vorrei restar solo con Lucia... se ne ho ancora il diritto.

Max                               - Vi lascio. Ci vediamo stasera all'ora dell'aperitivo?

 Giacomo                      - Sì, stasera, al caffè...

Max                               - (che si sovviene del viaggio in Polonia) Ma no, al treno.

Giacomo                       - Ah, già, è vero...

Max                               - Allora, ciao; arrivederci Giacomo.

Giacomo                       - Salve.

Lucia                             - (accompagnandolo alla porta) Arrive­derci, Max. (Max esce. Lucia si volta rapida) Chi era?

Giacomo                       - Adesso te lo dico...

Lucia                             - Perché tanti misteri?

Giacomo                       - (esita) Come sei nervosa...

Lucia                             - E tu no? Sei pallido... Non ti ho mai visto così...

Giacomo                       - Sì...

Lucia                             - Poco fa non mi avevi detto la verità!

Giacomo                       - A qual proposito?

Lucia                             - Il tuo viaggio in Polonia, è un pretesto, vero?

Giacomo                       - Un pretesto, perché?

Lucia                             - Tu stai per lasciarmi.

Giacomo                       - Oh, no!

Lucia                             - Allora tu hai avuto una stupida avven­tura e quella donna è stata qui!

Giacomo                       - Tu pensi che io possa tollerare che un'altra donna metta piede qua dentro?

Lucia                             - Perché?

Giacomo                       - In casa nostra un'altra donna?

Lucia                             - Sei libero!

Giacomo                       - Perché, tu riceveresti qui un tuo amante?

Lucia                             - Certo!

Giacomo                       - Ma Lucia! Via... Perché vogliamo recitare questa assurda commedia dell'uomo forte e della donna senza pregiudizi?! Dei pregiudizi bisogna liberarci, d'accordo, ma attenti: essi sono i rottami delle grandi cose che gli uomini hanno demolito, ma ancora non hanno saputo sostituire... Sono come dei relitti che, dopo un naufragio, gal­leggiano sul mare, quando però ancora nessuna nave è in vista. (Pausa) Noi abbiamo avuto il co­raggio di voler essere liberi, ma... dimmi tu: oggi, in mezzo a questo disordinato sfacelo delle cose, dimmi: siamo noi liberi... di essere liberi?

Lucia                             - Se io recito la commedia è per te, Gia­como. Oh, se tose per me...

Giacomo                       - Cosa intendi dire?

Lucia                             - Non mi chiedere sempre: « Cosa inten­di dire »!  Se io recito la parte della donna supe­riore tu non devi recitare quella del cieco... Non hai ancora compreso che questa famosa libertà di cui sempre parli... io te la concedo soltanto perché tu non te la prenda, e che questo mio gioco è quanto di più eroico io abbia mai saputo fare... perché t'amo più di qualunque cosa al mondo?

Giacomo                       - (commosso) Cara... Ma allora senti: quando noi siamo scappati come due pazzi... trovai l'avventura eccezionale, perché, alfine, mi liberavo dalla famiglia... (Pausa) Anche se ci davamo tante arie, restammo tremendamente sorpresi della no­stra fuga, che non avevamo né prevista né preme­ditata...

Lucia                             - Come hai paura delle parole! Io ho spesso pensato che tu stessi con me, più che altro, per una sfida a tuo fratello...

Giacomo                       - Non è vero affatto! Tu mi hai scon­volta l'anima fin dal primo istante... C'era serbato di vivere una storia unica al mondo. Ma pensa: la tua presentazione in casa dei miei, subito dopo: la nostra fuga... E che commozione mi prese per il dono che tu subito mi facesti di te... Ad un certo punto, ma lo devi ricordare, ci siamo stretti uno all'altro con disperazione; una disperazione che io chiamai vittoriosa! Ma allora eravamo giovani...

Lucia                             - Abbiamo soltanto sei mesi di più...

Giacomo                       - Tu allora eri ancora una ragazza... Ma dopo quella strana notte di nozze...

Lucia                             - Non avrei potuto sognarne una più bella!

Giacomo                       - (pausa)  E così tu hai creduto che io ti abbia amata per far dispetto a mio fra­tello ? E questo non,: ti ha addolorata?

Lucia                             - Tu mi hai amato come hai potuto e saputo, Giacomo!... E io ho cercato sempre e comunque di essere felice con te...

Giacomo                       - E allora tu mi devi perdonare di dirti alcune cose soltanto oggi, dopo sei mesi, ma vedi, è che ora sono assolutamente certo di amar­ti... Non è vero che io ti ami in odio a mio fra­tello; ti amo per te, ti amo per me, ti amo, ecco.

Lucia                             - Prima di sentirti dire queste parole avevo tanta paura che tu mi volessi abbandonare.,.

Giacomo                       - Il nostro amore, a poco a poco, s'è insinuato nella nostra esistenza, nei nostri senti­menti, nei nostri pensieri... E ci amiamo senza sa­pere il perché.

Lucia                             - Ma io lo so, il perché...

Giacomo                       - Tu?

Lucia                             - Lo so da quella prima notte che pas­sammo sul greto del fiume; fin da allora, con gli occhi serrati, così sconvolta di amare per la prima volta, di amare un uomo che non conoscevo...

Giacomo                       - Credi sia abbastanza grande il tuo amore per durare tutta la vita?

Lucia                             - Tutta la vita? Ti prego, lascia in pace il futuro.

Giacomo                       - Rispondimi.

Lucia                             - Giacomo, accontentiamoci della nostra felicità di oggi.

Giacomo                       - "Voglio che tu mi risponda. Fino a che punto mi ami?

Lucia                             - Più di quanto una donna possa amare un uomo... Ti basta?

Giacomo                       - Allora, Lucia debbo dirti una cosa molto importante: io comincio ad avere paura delle chiacchiere di quegli idioti intellettualoidi che ti ho messo fra i piedi... Lucia, anch'io ti amo, ma non voglio che nessun altro uomo possa stringerti fra le braccia. (Pausa) Vuoi diventare mia moglie?

Lucia                             - Sposarmi? Tu vuoi sposarmi? Mi ami al punto da non desiderare più altre donne? Mi ami al punto da pensare di non abbandonarmi mai più, che io sarò sempre la tua donna, e che d'ora innanzi i nostri occhi saranno sempre fissi gli uni negli altri, che mi starai sempre accanto, che io non saprò più cosa sia una casa vuota in cui entrare la sera, sola, con sulle spalle più che il peso della fatica l'angoscia di attendere l'indo­mani? (Lo abbraccia) Oh, Giacomo, Giacomo! Sai che ho avuto sempre paura che una sera tu non tornassi più a casa? E tu vuoi sposarmi? Perché hai pensato di sposarmi? E' certo che noi non ci sposeremo mai... comunque ti sono così grata di avermi fatto credere, anche per un istante solo, che le altre donne non avrebbero più contato per te!

Giacomo                       - (ripete le parole di lei) « E' certo che noi non ci sposeremo mai...». Invece noi ci spo­seremo!

Lucia                             - Fra otto giorni, in Polonia, non ci pen­serai più. (Pausa).

Giacomo                       - Tu allora non hai capito quanto ti ami e quanta paura io abbia!

Lucia                             - Paura?

Giacomo                       - Paura di perderti, Lucia, paura di tutte le sciocchezze che continuamente ti sussur­rano all'orecchio... Sono geloso, Lucia, orribilmen­te geloso.

Lucia                             - Tu?!

Giacomo                       - Lucia, ti voglio per tutta la vita.

Lucia                             - Giacomo, sono tua, lo sai...

Giacomo                       - Quando due si amano come noi ci amiamo, il matrimonio, non è un legame, bensì un dono che si offre in omaggio alla propria feli­cità! E' soltanto una maniera come un'altra per dire a Max, a Cher Ami: « Noi ci ameremo per sempre, e voi, che vi dite nostri amici, non siete per noi che dei passanti ignoti...».

Lucia                             - Sono così felice, Giacomo; anch'io, ormai, non ho più paura di perderti... e mi pare di aver sempre vissuto così, conoscendoti, come finalmente ti conosco e di avere alfine scoperto il tuo cuore e il tuo segreto...

Giacomo                       - Il mio segreto?

Lucia                             - Il segreto della tua vita: il tuo amore per me.

Giacomo                       - Perché mi guardi a quel modo?

Lucia                             - (fissandolo infatti stranamente) Eri dunque tu l'uomo che aspettavo... Eccolo, è qui! Ho in questo istante come la rivelazione del mi­racolo. Ti rassomiglia.

Giacomo                       - Sì...

Lucia                             - Giacomo: per sei mesi abbiamo vissuto felici, senza saperlo. Bisogna che tutto il resto della nostra vita assomigli a questi sei mesi di felicità sconosciuta.

Giacomo                       - ...e ormai conquistata! Tu ora sai di essere per sempre la sola per me. Io so che per te gli altri uomini non esisteranno più. Tu sei ve­nuta al mondo per non voler bene che a me.

Lucia                             - Ma perché, Giacomo, proprio oggi, al nostro amore, abbiamo voluto mischiare il terrore che un giorno fra noi sarebbe finita?

Giacomo                       - Appunto, per scacciare definitiva­mente questo terrore da noi, io, Lucia, intendo chiudere tutte le porte.

Lucia                             - Avremmo potuto attendere da vecchi, per constatare d'esserci amati tutta la vita.

Giacomo                       - E se tu te ne fossi andata via prima? Io, invece, voglio garantire la mia felicità.

Lucia                             - Giacomo; tu stai chiedendo una ragaz­za in sposa.

Giacomo                       - Non una ragazza: te!

Lucia                             - (pausa. Strana intonazione) Giacomo, chi è venuto a trovarti?

Giacomo                       - (imbarazzato) Ecco... vedi...

Lucia                             - E’ chiaro. E' venuta tua madre, non è vero?

Giacomo                       - Mia madre, perché mia madre? Ma no, affatto...

Lucia                             - Credevo che tua madre fosse venuta Qui per chiederti di regolarizzare la tua posizione...

Giacomo                       - No: non è affatto venuta mia ma­dre... e non si tratta di regolarizzare nessuna po­sizione... E' venuto mio fratello...

Lucia                             - Paolo?

Giacomo                       - Sì!

Lucia                             - E' venuto certo a farti uno dei suoi stupidi discorsi?

Giacomo                       - No...

Lucia                             - Cosa voleva?!

Giacomo                       - Nulla. E' venuto qui, triste, calmis­simo, per vedermi.

Lucia                             - Non sarà stato certamente lui a consi­gliarti di sposarmi! Dunque, che cosa è venuto a fare? A portarti il suo verdetto, la sua sentenza definitiva sulla nostra condotta?

Giacomo                       - No. E' venuto qui molto umile... Mol­to più umile di quanto spesso non sia quell'imbe­cille di Cher Ami.

Lucia                             - E allora cosa significa questa doman­da di matrimonio subito dopo la visita di tuo fratello?

Giacomo                       - (non risponde direttamente) C'era molta più autentica sofferenza nelle parole pacate di mio fratello, che in tutte le tirate filosofiche di Cher Ami...

Lucia                             - E' cambiato a tal punto? (Improvvi­sa) Non sarà mica perché adesso vi rassomigliate che vuoi sposarmi?

Giacomo                       - Io sono sempre lo stesso; non cam-bierò mai.. Ho però scoperto improvvisamente quanto ti amo!

Lucia                             - Come un padrone.

Giacomo                       - Sì, come un padrone. Come bisogna amare la propria donna per sempre, o almeno volendo possedere l'illusoria garanzia che sia per

sempre.

Lucia                             - Io, invece, ti avrei amato per sempre... se avessi temuto di perderti da un istante all'al­tro...

Giacomo                       - Storie... Dammi la mano!

Lucia                             - Per rientrare nell'ordine?

Giacomo                       - Sì, uniti, stretti, la mano nella mano.

Lucia                             - Ma tu mi hai sempre affermato che tutto è disordine, che il mondo è ormai sottosopra, che noi viviamo alla fine di un periodo di civiltà e che la nuova non apparirà che fra due o tre secoli... perché l'umanità respira lentamente al ritmo delle generazioni che muoiono... Soprattutto, mi hai detto che oggi bisogna vivere non pren­dendo nulla sul serio.

Giacomo                       - Sì, è vero: non esistono più né ordi­ne né gerarchia delle cose e dei sentimenti; non esistono più, oggi come un tempo, spiriti di eroi o di santi a cui aggrapparsi nei momenti di dispe­razione. Gli uomini hanno demolite le barricate prima di costruirne delle nuove.. Tuttavia, una cosa soltanto hanno saputo salvare gli uomini: il cuore. Infatti oggi, non esiste altro all'infuori del­la nostra felicità e dell'altrui infelicità. (Pausa) Ti ricordi Finot, quel cagnolino che abbiamo tenuto per un paio di mesi?

Lucia                             - Sì, povero Pinot.

Giacomo                       - Fin da alloca avrei dovuto accorger­mi che c'era più verità negli occhi di quella be­stiola che non in tutte le capriole verbali di Cher Ami. (Pausa) Lucia: bisogna essere d'un egoismo superiore, possedere delle convinzioni ben solide ed esclusive, per rimanere insensibili davanti alle lacrime di un uomo... E che lezione!

Lucia                             - Tuo fratello? Sì, capisco... ma quale lezione?

Giacomo                       - Lucia, ho potuto vedere con questi occhi il dolore di un uomo che ti ha perduta, mi comprendi? Guardando mio fratello, vedevo me, solo, straziato, abbandonato da te!  E' per aver visto in faccia quel dolore che io ti voglio legare a me!

Lucia                             - (assente) Sì...

Giacomo                       - Io ti prendo fra le braccia e via, par­tenza! Io e te, verro un deserto senza né uomini, nè donne... soprattutto al posto del sole, brucerà soltanto la nostra fiamma.

Lucia                             - E tu credi che quando in mezzo a con­tinui pericoli ci amavamo senza saperlo, non ci si amasse abbastanza?,..

Giacomo                       - Appunto: non voglio che ci siano più pericoli per noi.

Lucia                             - Tu non credi invece che il pericolo sia oggi, quello che un tempo era il diavolo... Cioè un motivo per non peccare?

Giacomo                       - No, noi cambieremo tutta la nostra esistenza. Anzitutto metteremo alla porta quella specie di amici. V:a, basta con le loro chiacchiere! Infine, se il giornale mi occuperà troppo tempo, darò le dimissioni.

Lucia                             - Le dimissioni?

-Giacomo                      - Cercherò un altro posto, meno im­pegnativo, e nel frattempo chiederò dei soldi a casa.

Lucia                             - Chiederesti del denaro ai tuoi?

Giacomo                       - Denaro mio, intendiamoci, che ho ereditato da mio padre?

Lucia                             - Hai sempre detto che non avresti chie­sto loro un centesimo.

Giacomo                       - Prima, perché ero in collera con loro. Adesso è diverso. Paolo mi ha anche garan­tito che se noi ci sposiamo saremo accolti in casa molto bene.

 Lucia                            - (con infinita tristezza)  Ah, sì tornereb­be laggiù?

Giacomo                       - Di passaggio, soltanto di passaggio. La nostra vita è qui.

Lucia                             - (dopo una pausa) Che cosa ti ha detto esattamente tuo fratello?

Giacomo                       - Quello che ti ho ripetuto.

Lucia                             - (con malinconia profonda) Attento, Giacomo! Se vuoi essere l'uomo che ho atteso devi restare quello che ho sempre sognato.

Giacomo                       - E' forse un diminuirsi condurre la moglie dalla propria madre?

Lucia                             - Se tu non riesci a capire il senso delle mie parole è segno che non sei più lo stesso, Gia­como.

Giacomo                       - Sei pazza! Corro a telefonare al giornale che rinuncio al viaggio in Polonia. Molti colleghi saranno felici di prendere il mio posto.

Lucia                             - No. Devi andare.

Giacomo                       - Ma come? Se sei rimasta così addo­lorata quando te l'ho detto?

Lucia                             - Perché allora temevo sempre che fosse l'ultimo giorno; ma ora noi abbiamo tutta la stra­da davanti a noi... E poi, voglio che tu parta, perché sono certa che tu, magari fra un anno, ti pen­tiresti di non aver fatto quel viaggio.

Giacomo                       - No, Lucia...

Lucia                             - Va, voglio che tu vada... adesso non avrò più paura. Quindici giorni! Che cosa sono ormai quindici giorni?

Giacomo                       - Ma, Lucia, pensa che io, oltre tutto debbo restare qui per le pratiche. Non pensi che tra sei settimane puoi essere la signora di Mire­mont?

Lucia                             - (come un'eco dolorosa) La signora Mi­remont! Giacomo, devi partire. Voglio che tu parta.

Giacomo                       - Ormai è troppo tardi. Il treno va via tra un'ora...

Lucia                             - (che aveva perso la cognizione del tem­po) Ma no...

Giacomo                       - Sicuro...

Lucia                             - Devi partire, Giacomo... Vedi, sono co­raggiosa... Tu non vorresti, del resto, che la tua donna mancasse di coraggio, vero? (Prende una valigia).

Giacomo                       - Vuoi veramente che parta?

Lucia                             - (con forza) Sì, Giacomo.

Giacomo                       - Ma... perché?

Lucia                             - In due minuti ti preparo la valigia: ecco, tre camicie... Quante cravatte vuoi?

Giacomo                       - Ma, non so... Ne comprerò qualcuna in viaggio...

Lucia                             - No, voglio prepararti la valigia com­pleta... voglio toccare con le mie mani tutte le cose che porterai con te e che userai...

Giacomo                       - Se l'avessi saputo avrei chiesto il passaporto anche per te.

Lucia                             - E' meglio così.

Giacomo                       - Soltanto, mentre telefonavo al gior­nale... (S'interrompe) Come tutto è lontano!

Lucia                             - Sì, tutto è lontano.

Giacomo                       - Allora avevo ancora bisogno di loro. Sì, del direttore, dell'amministratore, non ho osato parlare di te... Perché questo portacenere fra le camicie?

Lucia                             - E' il portacenere della nostra prima felicità! Il primo regaluccio che t'ho fatto!

Giacomo                       - (cercando di scherzare) Ma non parto mica per dei secoli, signora Miremont! Fra quindici giorni sarò di ritorno.

Lucia                             - Se il tuo servizio lo richiederà, ti prego, Giacomo, resta anche di più, un mese magari... Mai fiducia in me? Giuro che ti resterò fedele fino al tuo ritorno!

Giacomo                       - (sempre scherzoso) Soltanto fino al mio ritorno, signora Miremont?

Lucia                             - (cercando di nascondere la propria emo­zione) Abbiamo un solo pettine... Te lo metto lo stesso nella valigia... (Rimane un istante esta­tica) Quindici giorni durante i quali ti amerò, se possibile, ancora più di quanto ti ho amato fino ad ora! Sono lunghi a passare quindici giorni-Specie se si contano prima... Uno, due, tre, quat­tro...

Giacomo                       - I vostri ultimi giorni di libertà, si­gnora Miremont!

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - E al mio ritorno le mie braccia si chiuderanno attorno a te, per non riaprirsi mai più.

Lucia                             - Finirai per perdere il treno, Giacomo... Corri, fa presto... (La valigia è ormai chiusa).

Giacomo                       - (stringendola) Vuoi che me ne vada... e piangi! Tu ormai non hai più che me al mondo, vero?

Lucia                             - Presto... il treno, Giacomo...

Giacomo                       - (andandosene, dopo un'ultima carez­ze) Come sei coraggiosa...

Lucia                             - (singhiozzando) Più di quanto tu non creda... (Ma egli è già uscito. Allora lei, sempre singhiozzando, afferra il lapis degli occhi e dise­gna la sbarra anche su quel giorno di felicità. Poi si getta sul divano, dove finalmente dà intero sfogo alla sua disperazione).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena del primo atto.

(Zia Adriana è seduta in una poltrona. Celestina le reca una tazza di brodo).

Celestina                       - Su, Adriana, manda giù almeno un sorso di questo brodo...

Zia Adriana                   - (immobile. E’ semifolle) Mi ba­sta l'odore: ottimo! Puoi portarlo via.

Celestina                       - Prima bevine un po'...

Zia Adriana                   - (sempre immobile) Già fatto. (Entra Paolo).

Celestina                       - Tua zia rifiuta qualsiasi cibo!

Zia Adriana                   - Io sono morta perché voi non vi occupate più di me! (Sarcastica) Continuate pure le vostre pazzie; ma lasciatemi in pace. (Si alza).

Paolo                             - Zia... ho bisogno della vostra firma per la vendita dell'altra metà del Bosco d'Amore...

 Zia Adriana                  - Ma come, il notaio non ha an­cora aperto il mio testamento? L'ho scritto alla vigilia della mia morte! Che lo apra, perbacco, che lo metta in esecuzione...

Celestina                       - Perché ti ostini in questo gioco, Adriana?

Zia Adriana                   - Gioco? Ah, tu credi sia un gioco? Forse avrei dovuto tranquillamente permettere che quello scimunito (indica Paolo) andasse a pregare suo fratello di venir qui con la sua bella? Dovrei perdonargli, secondo te? Non posso. Ho preferito morire. (Altro tono) A scappellotti doveva prende­re suo fratello; altro che pregarlo.

Paolo                             - (alludendo al contratto di vendita) Perdiamo un magnifico affare, zia...

Zia Adriana                   - (a Celestina) E tu, pasta frolla, non pensi abbia durato abbastanza la farsa del Bosco d'Amore ? Sono rimasta vitella perché, a metà con mio fratello, possedevo quella maledetta proprietà... Quando penso che nella parte che è stata venduta, laggiù, fra quelli che erano i nostri alberi, quei degenerati hanno costruito alberghetti di lusso dove vanno a ballare le marchese in ve­stiti ornati di perle! Io, che nel Bosco d'Amore, non sono mai nemmeno andata a passeggiare, per paura di sciuparlo! Nostro nonno aveva stabilito che la proprietà fra me e mio fratello restasse in­divisa. E così sono morta zitella. In quanto alle nobildonne, l'unica che ho conosciuta, è quella sgualdrinella della tua fidanzata che ha saputo prendersi così bene gioco di te!

Paolo                             - Voi affermate di essere morta... I morti non camminano...

Zia Adriana                   - Cosa vuoi saperne, tu, ragazzo mio? Ci sono morti che non intendono andarsene del tutto; altri che ritornano sotto spoglie di fan­tasmi. Io sono un fantasma. Perciò, ho ben diritto di camminare quanto mi pare. E non dimenticare che io sono morta per causa tua! (Pausa) Ma poi tu conosci la vita dei morti, per poterne giudicare le azioni? (Con disprezzo) Tu sei vivo, mio caro!

Paolo                             - Zia, firmate il contratto di vendita...

Zia Adriana                   - Non occuparti della terra. (Iro­nica) Prima ti sei messo a fare l'avvocato; poi non rammento più quale altro sciocco mestiere. Ora vorresti tornare alla terra! Non farlo! Pensa, ni­pote caro, che anche la terra finirebbe per pren­dersi beffe di te!

Celestina                       - Via, bevi questo brodo...

Zia Adriana                   - Non capisco perché vi sia così difficile rendervi conto che io non faccio più parte del vostro mondo; ormai vivo in un altro, del tutto diverso.

Paolo                             - Permettetemi di dirvi, zia Adriana, che avendo trascorso tutta la vostra vita fra una pol­trona e l'altra di questa casa, non potete avere sufficiente esperienza per giudicare le cose dal loro giusto punto di vista.

Zia Adriana                   - Imbecille! Che forse tu conosci la mia vita? Aspetta di essere morto per poterti permettere di usare questo tono con me.

Celestina                       - (ad Adriana) Sii ragionevole, Adriana...

 Zia Adriana                  - Voi, dovreste essere ragionevoli e considerarmi morta, come io mi considero...

Giacomo                       - (entra. E' vestito da campagnolo) Pao­lo, scusa, vorrei sapere...

Zia Adriana                   - Angeli del paradiso!... «Scusa, vorrei sapere...». Ah! Ah! (Un risolino acre. I tre si fissano. Zia Adriana si alza e va a sederci in un angolo della stanza dove resterà immobile) Vi la­scio... Però non dite troppo male dei morti! I morti hanno l'udito finissimo,.. E scoprite pure i vostri cuori. (Ci ripensa. Ride ancora) « Vuole sapere... ». Oh, angeli del paradiso!

Giacomo                       - (alludendo alla zia) Sempre quelle sue malinconie... (S'interrompe. Vuole cambiare argomento, ma sente egli stesso l'artificiosità della sua manovra) Avete visto che tempaccio? Una set­timana d'inferno. Già cadono le foglie... ma non è l'autunno a farle cadere... è la pioggia e il vento che le strappa dagli alberi... (Pausa).

Celestina                       - (indicando la vecchia pazza) E' te­starda come vostro padre, ma almeno quello, se si incaponiva in qualche cosa, era sempre per una idea sana, ragionevole...

Paolo                             - Cosa volevi sapere, Giacomo?

Giacomo                       - Non so... non ricordo più.

Celestina                       - (sempre alludendo alla zia) Parla continuamente di... Ogni tanto tira fuori quell'ar­gomento... Sembra lo faccia apposta per sondarvi, per confondere le vostre idee, i vostri sentimenti... (Pausa. I figli la seguono poco) E poi non mangia! Non durerà a lungo così!

Giacomo                       - Non temere, mamma... mangia quanto noi... di nascosto! (Ironico) I morti pran­zano in ore diverse da quelle dei vivi! Mamma, se tu contassi i tuoi vasi di marmellata, constateresti che ne mancano parecchi...

Paolo                             - E intanto l'affare del Bosco d'Amore va a monte! E' un vero peccato. Avremmo potuto far concorrenza a quelli che nella parte già ven­duta hanno impiantato alberghi, bars e ristoranti. Avremmo potuto organizzare una spiaggia unica in Francia... la gente comincia già a venire da queste parti, e ci verrà sempre più perché la voce si spargerà in un baleno... Si poteva creare una stazione balneare più graziosa di La Baule e meno volgare di Biarritz.

Celestina                       - Vostro nonno aveva comprato quel terreno a tre centesimi al metro quadrato... Come cambiano i tempi... (Cercando di consolare Paolo) Via, ragazzi, bisogna saper attendere; voi siete comunque i suoi eredi e un giorno o l'altro vi tro­verete padroni di quel terreno e ne potrete fare quello che vorrete.

Paolo                             - Già, ma è un affare se fatto ora; non chissà quando.

Giacomo                       - Lascia stare, Paolo!

Paolo                             - Tu sei del parere di aspettare?

Giacomo -------------- - Io sono del parere di non prender­sela mai per nulla... (Zia Adriana si alza dal suo angolo dove era rimasta immobile come una mum­mia, ed esce a passettini rapidi).

Celestina                       - (parla a frasi spezzate. Cerca di entrare nella confidenza dei figli, ma ci riesce poco) Chissà, forse è un bene che oggi rifiuti di fir­mare quel contratto di vendita. Possiamo noi sa­ pere come vanno a finire le cose? Bisogna atten­dersi sempre il peggio. Dunque, così, tutto è an­cora al posto di prima... (Pausa) Adesso sono pro­prio felice, ragazzi miei... a parte questa indispo­nente pazzia dì vostra zia... (Con leggero astio) Si direbbe che faccia la pazza per provocarci, no? (Poiché i suoi figli non le danno retta) Mah!... vado ad occuparmi della cena... Paolo, vieni con me?

Paolo                             - No, resto qui a leggere il giornale...

Celestina                       - Tu, Giacomo?

Giacomo                       - Ad aiutare Maria a sbucciare le pa­tate? Non è roba per me... Va tu, mamma, va tu, nella tua cucina...

Celestina                       - (la povera arida donna cerca comun­que di dire una cosa gradita, ma i figli quasi non l'ascoltano, a capofitto come sono nelle loro osses­sioni) Adesso sì che si vive tranquilli., ragazzi miei... Da sei mesi non litigate più, vi capite così bene... Sarebbe davvero un peccato che le cose cambiassero... (Pausa) Voglio così bene a tutti e due... Vi lascio! (Esce, pausa).

Giacomo                       - Che tempaccio, eh?

Paolo                             - (che è seduto con un giornale in mano)

     -                                Sì!... Hai visto il giornale?

Giacomo                       - No. Cosa?

Paolo                             - (leggendo senza dar peso alle parole) « Ospiti di riguardo al Bosco d'Amore... All'Hotel Mercedes è scesa la signorina Lucia Blondel...». (Pausa).

Giacomo                       - Eh?

Paolo                             - ... « la famosa disegnatrice, creatrice di stupendi modelli per i maggiori sarti di Parigi...».

Giacomo                       - Ma guarda! (Pausa).

Paolo                             - « E' giunta con l'apparecchio privato del presidente della filiale europea dei lanifìci del Michigan... ».

Giacomo                       - Ma no?!

Paolo                             - ...« aeroplano che pilotava la stessa si­gnorina Lucia Blondel, sempre più sportivo che mai!... ».

Giacomo                       - (che ha voluto dare un'importanza di­sinteressata alla notizia) Magnifico! (Lunga pausa) Tu non hai mai volato?

Paolo                             - No. (Pausa, quindi improvviso, con vio­lenza) E tu?

Giacomo                       - Neanch'io. (Pausa).

Paolo                             - Eppure bisogna che un giorno o l'altro ci si decida anche noi a prendere il battesimo dell'aria.

Giacomo                       - Ma sì, tanto più che un battesimo non impegna a niente. Sicuro: bisogna seguire la moda, l'esempio degli altri...

Paolo                             - L'esempio degli altri... appunto...

Giacomo                       - Ah, non c'è che dire: la signorina Blondel è una donnina molto...

Paolo                             - Ah, no, ti prego: fra noi chiamiamola soltanto Lucia... (Pausa) Lucia. Eh sì che tu devi aver l'abitudine a pronunciare questo nome, e nei più svariati toni... Lu-cia... Lucietta... Sono come due note musicali: «Lu-cia... La... sol! ». Oh, ecco qui la sua fotografia... (Coti le forbici ritaglia dal giornale) Non avrei mai immaginato, dopo appena un anno, di ritrovarla in una prima pagina di giornale... Non è molto chiara però...

Giacomo                       - Non ricordo più cosa stavo per chie­derti...

Paolo                             - Cosa?

Giacomo                       - Ah, sì: se domattina si va a caccia. Il signor Lebourg ci ha invitati a partecipare all'apertura che è appunto domani.

Paolo                             - Se credi... Ti piace andare a caccia?

Giacomo                       - Non so ancora, però voglio provare. (Pausa) Dicono che tu sia un tiratore.

Paolo                             - Lo ero… ma ci si stanca di tutto...

Giacomo                       - A chi lo dici!

Paolo                             - Sì, ci si stanca di tutto... se ci si vuol stancare! Ma, vedi, l'inverno scorso forse sono andato a caccia troppe volte... dopo che tutti e due mi avevate piantato a quel modo... Per mesi ogni mattina non ho fatto altro che andare a caccia... Dio sa quante volte sono uscito all'alba, non po­tendo più restarmene sveglio nel letto, il pensiero fisso in... Che buffo... Delle volte riuscivo ad ab­battere degli uccelli a cento metri, mentre non riu­scivo a liberarmi dell'incubo che mi gravava sul cuore... Non sai? L'ultimo giorno che ci sono an­dato, ho ucciso il mio cane... già: volevo sbaraz­zarmi di lui...

Giacomo                       - Perché?

Paolo                             - Per associazione d'idee!... Perché para­gonavo la fedeltà di quel cane alla fedeltà di... (Ride acre) Il cane è amico dei disgraziati, e non ti abbandona mai, come certi ricordi che non riu­scivo a togliermi di dosso... Speravo sempre che si smarrisse, che non tornasse più a casa... Macché... Mi dicevo: « Se non lo vedessi più, non penserei più a lei... se si perdesse nella brughiera:... ». Nien­te, l'avevo sempre fra i piedi. Allora lo presi di mira e... Che idiota!

Giacomo                       - Ignoravo le tue disavventure di cac­cia... Ti chiedo scusa...

Paolo                             - No, Giacomo; io debbo chiederti scusa d'aver introdotto in casa una donna simile, capa­ce di...

Giacomo                       - Non esageriamo. E vogliamo parlare d'altro, per favore?

Paolo                             - Perché? Possiamo anche benissimo di­scorrere di lei. Queste conversazioni mi riposano.

Giacomo                       - A me invece seccano.

Paolo                             - Questo significa che non sei un buon giocatore. Mi ha turlupinato mica male, no?! Ho accusato il colpo, d'accordo, ma ora sono rasse­gnato. Tu, invece... E poi vorrei sapere perché tu non voglia convenire che sia una sgualdrina?! Giuro, non ti capisco: conoscendola a fondo, non dovevi certo esserti illuso che la tua avventura prendesse una piega diversa.

Giacomo                       - Non so...

Paolo                             - Tornando dalla Polonia, immaginavi di trovarla ancora a casa?

Giacomo                       - Sì.

Paolo                             - Tu te ne vai per quindici giorni in Po­lonia e nel frattempo la tortorella abbandona il nido!...

Giacomo                       - Sì, se n'è andata: e pei?

Paolo                             - «Se n'è andata! ». Non sai dire altro?

Giacomo                       - Che altro posso dire se ancora non so perché è andata via?

Paolo                             - Ancora non lo sai? Non sai inghiottire il boccone amaro: ecco cos'è! Male! Una volta per uno, mio caro! (Pausa) Ti vedo sempre pensare alla tua casa vuota, il giorno del tuo ritorno, alla porta aperta, alla tua felicità perduta... E’ il suo metodo! Tuttavia noi due siamo in una situazione del tutto diversa. Almeno tu hai avuto il tempo, se così posso esprimermi, di saziarti di lei, dopo averla rubata a me. Però, Giacomo, te l'avrò ormai detto cento volte, io non te ne voglio affatto. La vita è una battaglia. Sul campo di battaglia, in mezzo a tutti gli altri ordigni distruttivi, ci sono anche le donne: anzi, due specie di donne: le spie e le crocerossine. Non si sposano certo le spie, spe­cie quando si camuffano da crocerossine. (Pausa. Lieve sorriso) Se tu non mi avessi aperto gli occhi, oggi sarei proprio condito per le feste, perché io, prima, l'avrei sposata! Con me è stata veramente eccezionale. Io non so quali atteggiamenti assu­messe con te, ma immagino fossero atteggiamenti alla buona, in... vestaglia... Sicuro, in vestaglia, come un'attrice quando ripassa una parte fra le quinte. Tu eri per lei il compagnone, quello che si mette al corrente delle proprie scappatelle, o mi sbaglio? Invece con me, era ancora più sostenuta che con se stessa. Con te, vista e presa, la prima sera. Con me per dei mesi interi ha recitato la farsa della verginità. Insomma, tu l'hai conosciuta donnina di facile assaggio, io ragazzina, più inviolabile di una roccia di sesto grado...

Giacomo                       - Ti prego, Paolo, smettila...

Paolo                             - Con te è stata sincera?

Giacomo                       - E' assai difficile stabilire se il no­stro prossimo è sincero o meno! La vita gira vorti­cosamente attorno a milioni di parole inutili. Quando si perde una partita si accusano gli altri di aver barato o di aver mentito... Ma sono poi menzogne gli sbalzi d'umore?

Paolo                             - Ah, sbalzi d'umore li chiami? Gentile eufemismo con una che si spaccia per verginella, e poi scappa col fratello del fidanzato la sera del fidanzamento ufficiale. Lo chiami uno sbalzo di umore? Ma fammi il piacere... La stessa colomba, che per preparare con comodo lo sgombero da casa tua, ti ha spedito per quindici giorni in Polonia...

Giacomo                       - Nessun sgombero... E' rimasta in casa mia fino all'ultimo. Conosceva l'ora del mio arrivo, perché le avevo telegrafato. Mi aveva appa­recchiato la tavola. In un piatto c'erano dei dolci; sulla tovaglia dei fiori. Soltanto che aveva appa­recchiato per uno. (Pausa. Abbassa la voce, roco) Dopo aver atteso per delle ore, seduto a tavola, mi sono convinto che quell'unico piatto era il mio.

Paolo                             - (non sa che cosa dire) Già.

Giacomo                       - Ma non è una bugiarda... Se comun­que dovessi definirla con un aggettivo e nel voca­bolario non ci fosse che quello, non potrei usarlo, non potrei chiamarla « bugiarda ».

Paolo                             - Come la chiameresti?

Giacomo                       - Non lo so.

Paolo                             - Comunque, non t'aveva mai detto di essere disegnatrice di modelli.

Giacomo                       - Non me l'aveva detto perché infatti non lo era.

Paolo                             - Ah, perché tu pensi che i suoi nuovi amici, oltre alle pellicce, i gioielli i vestiti, le ab­biano regalato anche la facoltà di saper disegnare?

Giacomo                       - Proprio così: il ritmo della sua vita ha continuato, mentre il nostro s'è fermato ad una stazioncina di campagna... (Pausa) Conosceva già il disegno, ma non vi si era mai applicata. E poi disegnare dei modelli di abiti è un estro, non una arte. La piccola pratica necessaria a tenere in mano la matita la si prende facilmente.

Paolo                             - Tu la giustifichi, la difendi quasi. Ma lascia andare! Si è presa gioco di tutti e due! Non è una bugiarda? Ah, no? Non mentiva forse con me, quando mancava poco la sposassi con lo stra­scico bianco e i fiori d'arancio in testa? Ah, non è bugiarda? Sacrilega è...

Giacomo                       - Tu la giudichi assai male...

Paolo                             - Sì, non so avere nessuna indulgenza per lei.

Giacomo                       - Non è questo che volevo dire. Tu la giudichi... di profilo.

Paolo                             - Di profilo? Oh, sai, in fondo me ne infischio! Ma via, Giacomo, noi siamo delle gran bestie! Non dobbiamo pensarci più... più... ca­pisci? Tu, come tanti altri, sei stato a letto con questa gentile signorina, che immagino faccia la prostituta dal giorno della sua prima comunione. Hai saputo approfittare dell'occasione; tanto me­glio per te. (Pausa) Ottima idea: domani andremo a caccia. (Ma deve tornare all'argomento scot­tante) Sai cosa mi era passato per la testa dopo aver letto questa faccenda nel giornale? Di an­dare al bar dell'Hotel Mercedes, dove forse l'avrei incontrata. E sai come avrei guardato la celebre disegnatrice? Con la medesima indifferenza con cui si guarda un quadro in una esposizione. Certe ossessioni magari ti perseguitano, ti levano il re­spiro per dei mesi; poi, si sgonfiano di colpo, come un palloncino punto con uno spillo... Tac! (Fa il gesto di un palloncino sgonfiato) Non resta più nulla. Via: dobbiamo farci cattivo sangue tutta l'esistenza per quella donnetta da quattro soldi? Nemmeno per sogno: domani all'alba ci incam­mineremo verso la palude, fumando allegramente la pipa!

Giacomo                       - Sì.

Paolo                             - Ci stabiliremo qui definitivamente... Io proporrei di costruire una grande casa con due ali distinte e una gran terrazza nel mezzo. Ognuno di noi abiterà la sua ala e gli ospiti riceveranno sulla terrazza... Dalla terrazza si vedrà l'oceano e la gente dirà: « Che bella vista sì può ammi­rare dal castello dei fratelli Miremont»... «I fra­telli Miremont »!  Faremo anche costruire una cu­pola dove tu piazzerai un grosso telescopio! (Pausa) Sai che ho ripensato spesso ai tuoi pia­neti? Avevi ragione quando affermavi che guar­dando alla loro immensa solitudine ci sì può con­solare della nostra, che in fondo è relativa.

Giacomo                       - Sì.

Paolo                             - Fissando i pianeti, ci si consola al pen­siero che avremmo potuto vivere felici in un altro emisfero. (Pausa) E poi, qui, ci daremo alla po­litica! Tu farai il reazionario; io l'uomo di sini­stra, o viceversa. Tanto la politica è fatta soltanto di chiacchiere per passare il tempo. (Altra pausa) Vedi che siamo riusciti a metterci d'accordo sui punti essenziali e le questioni eterne, senza im­piegarci dei secoli, come tu pensavi qualche tem­po fa? Infine, sposando due brave stupide ra­gazze di queste parti, potremo dire d'averla scam­pata bella.

Giacomo                       - (che è ormai certo di non poter più conoscere felicità e che nella vita tutto gli è in­differente) Sì. (Pausa).

Paolo                             - (che soffre lo stesso male del fratello, ma tuttavia cerca nasconderlo sotto una patina di cinismo) Ma perché m'hai detto d'averla giu­dicata di profilo?

Giacomo                       - Può darsi che il suo vizio maggiore sia l'ambizione.

Paolo                             - L'ambizione?

Giacomo                       - Può darsi, ho detto... Io non lo so esattamente. Ho detto così per dire... Forse non lo credo nemmeno.

pAOLo                             - No, caro: altro che ambizione, è una bugiarda! (Pausa) Io capisco abbia magari fatto un guadagno a piantarti, ma non vedo cosa ci abbia potuto guadagnare scappandosene con te.

Giacomo                       - Certo; non ci ha guadagnato nulla.

Paolo                             - Forse tu vorresti darmi ad intendere che si tratta dì una donna ambiziosa, ma che per una volta è rimasta accecata dall'amore? E, naturalmente, tu saresti quell'eletto, quel baciato in fronte dalla fortuna, colui davanti al quale non ha saputo resistere e proprio la sera del mio fi­danzamento? Ma vattene!

Giacomo                       - No, affatto, non intendevo questo. (Pausa. Straziato) Ti prego, non parliamo più di lei.

Paolo                             - Non è una bugiarda? Eppure tu pos­siedi la prova della sua menzogna.

Giacomo                       - Quale prova?

Paolo                             - La sera che è scappata con te, non hai avuto la prova che non era più la candida ragaz­zina che mi aveva fatto credere... Era forse una ragazzina? (Pausa. Giacomo guarda altrove) Ri­spondi...

Giacomo                       - No... (Ma quel « no » ha un altro significato).

 Paolo                            - (che interpreta diversamente il « no » dì Giacomo) Naturalmente! E una menzogna di quel genere, anche se la vittima era tuo fra­tello., non ti ha aperto gli occhi?

Giacomo                       - Ho detto no... Volevo dire: non ti risponderò. (Ma ancora il « no » non ha il signi­ficato che lo stesso Giacomo gli vuol dare).

Paolo                             - Perché tu vorresti farmi credere?... (Si getta su Giacomo) Giacomo, vorresti farmi credere che era ancora... che il primo saresti stato tu?

Giacomo                       - Non mi annoiare, Paolo. Non ti ri­sponderò né sì, né no.

Paolo                             - Né sì, né no!? Va là, capisco bene: è no! Ma lei V ha detto « sì ». (Ride) Sciocco! (Pausa) Oh, però, sarebbe stata capace di giocare con me allo stesso modo.

Giacomo                       - (fissando il fratello) E se invece fosse sì?

Paolo                             - (minaccioso) Sta attento, Giacomo!

Giacomo                       - (pausa. Cambia tono) Perché? Tu sei troppo ingiusto con lei; se ne è andata, d'ac­cordo, ma tu non sai come...

Paolo                             - Come?

Giacomo                       - Lasciandomi una lettera...

Paolo                             - Ma io me ne infischio di « quella » fuga con te... Io voglio sapere « come » è scappa­ta con te, di qui, quella sera. Come è scappata da me!

Giacomo                       - (continuando come non avesse inteso) ... una lettera che ho trovato sul mio tavolo da lavoro. Oh, non molto lunga ; diceva soltanto: «Perdonami Giacomo; ti amo e me ne vado»!

Paolo                             - Rispondimi! Io voglio sapere della vo­stra prima notte, quando ve ne siete scappati come due ladri. Giacomo: se sapessi che sei stato tu il suo primo amante, se sapessi che sei stato tu il primo... durante quella notte in cui, qui dentro, mi aggiravo come una belva in gabbia, mordendo­mi le labbra a sangue, rischiando di dare la testa nei muri... Se sapessi che sei stato tu...

Giacomo                       - Non abbiamo deciso di dimenticare quella donna?

Paolo                             - (continua esasperato) ... Se sapessi che sei stato tu a prendere per primo quella ragazza che desideravo da mesi, che per mesi mi s'era ri­fiutata... se sapessi veramente che, senza di te sarei stato il primo ad averla... (Cade a sedere, la testa fra le mani, singhiozzando),

Giacomo                       - Paolo!

Paolo                             - Non hai ancora capito perché un uomo come me potesse giungere a sposare la propria dattilografa? Sì, Lucia Blondel « la disegnatrice pari­gina più in voga a e che oggi pilota un aeroplano privato... era la mia dattilografa. Sicuro: la mia graziosa, sorridente, spirituale, onestissima datti­lografa.

Giacomo                       - Ma allora, quando sei venuto a Pa­rigi e mi consigliasti dì sposare Lucia?

Paolo                             - Allora ero convinto che fosse follemente innamorata di te. E davanti a questo, bisognava bene che mi rassegnassi, (Cupo).

Giacomo                       - Ma dopo, quando sono tornato qui, solo?

Paolo                             - Quando sei tornato qui, vedendo che t'aveva piantato a quel modo, conclusi fosse una volgare prostituta. Che m'importava allora che tu fossi o non fossi andato a letto con lei? Tu o un altro, uno di più, uno di meno. (Pausa) Ma se veramente era onesta, come continuava a ripe­termi, e per un caso scandaloso tu me l'avessi rubata quella notte... Oh, Giacomo, tu non imma­gini neppure quello che ho dovuto soffrire. Che mesi mi ha fatto passare. Mi chiudeva sempre sulla faccia la porta della sua camera... mandavo giù l'amaro, giustificandola: «Lo fa perché è una ra­gazza per bene!». Spesso pronunciava le parole «Diventar donna». (Pausa) In un piccolo albergo alpino, dove la convinsi a seguirmi, per tre giorni ho creduto di diventar pazzo. Si faceva colazione, si andava a fare una passeggiata nel silenzio delle nevi... poi si tornava in albergo. Ogni volta ero certo che finalmente mi si sarebbe data... invece niente. La sera, nei corridoi dell'albergo, le baciavo le mani, supplicandola, disperandomi. Mi chiudeva sempre sulla faccia la porta della sua camera. Ero diventato la favola di tutti. La notte, con una spe­ranza fatta di violenza e di rassegnazione, pensavo che l'indomani finalmente... Invece, niente, nien­te... (Pausa) Ecco perché, Giacomo, sono giunto a offrirle di sposarla: per essere io il primo ad averla. Era diventata un'ossessione: non so che cosa avrei fatto. Ecco perché decisi di condurla qui, dove tu, poco dopo, me la portasti via...

Giacomo                       - Taci, ti prego.

Paolo                             - Tutto il mio avvenire ronza attorno a quella notte che non ho potuto vivere con lei, come avevo sperato...

Giacomo                       - Anch'io soffro, Paolo, ma ti supplico di tentare, come faccio io, di uscire da questo labi­rinto di pensieri ossessivi; smettila con questo tormento.

Paolo                             - Ti sbagli; la mia non è affatto una sof­ferenza sentimentale; è un tormento fisico. (Si copre gli occhi alle visioni lancinanti) Vedo pae­saggi di carne, sono perseguitato da odori animali, immagino un certo colore di sangue...

Giacomo                       - (con veemenza) Ma smettila, taci, basta perdio! (Quindi, più pacato) Sono pazzie queste... Tu soffri come me, semplicemente perché se n'è andata.

Paolo                             - No, no, no, non per questo! Io, ora, me ne infischierei se lei se ne fosse andata il mattino dopo; ma il mattino dopo, capisci? Tu me l'hai rubata una notte troppo presto.

Giacomo                       - Oggi parli così... ma io sono certo che se lei fosse fuggita anche qualche giorno dopo quella prima sera qui, oggi forse, soffriresti di più.

Paolo                             - No, così soffriresti tu, non io. Io, con lei, volevo... sì, forse è volgare... Io volevo soltanto essere il primo. Poi, dopo, se ne fosse pure andata all'inferno. (Dice così ma non è sincero, è la rabbia che parla in lui. Improvvisamente supplice) Ma dimmi, Giacomo, anche se quella notte non fosse scappata con te, io sarei arrivato lo stesso troppo tardi?

Giacomo                       - Non so.

Paolo                             - (fra veemente e supplice) Dimmi, Gia­como, se quella notte l'avessi passata con lei, sarei riuscito, finalmente, a togliermi dal sangue l'osses­sione bestiale che era nata in me?

Giacomo                       - Non so, Paolo.

Paolo                             - E invece io voglio saperlo! Tutto è straordinariamente precisa: potresti salvarmi, di­cendomi...

Giacomo                       - Che cosa?

Paolo                             - (a mezza voce guardando altrove) Rac­contandomi, istante per istante, la tua prima notte passata con lei!

Giacomo                       - Stai diventando pazzo?

Paolo                             - Io voglio conoscerla, quella vostra prima notte, capisci? Voglio! (Una pausa. Quindi improv­viso) Vado subito all'Hotel Mercedes.

Giacomo                       - Paolo!

Paolo                             - L'aspetterò al varco, la seguirò, le par­lerò. (Si ferma, cambia tono) Ci sono dei momenti in cui non ricordo più esattamente il suo volto... s'è smarrito nel mio cervello... (Pensa, torna im­petuoso) La farò parlare... e se non parlerà...

Giacomo                       - Che cosa aspetti da lei?

Paolo                             - Non lo so... ma riuscirò a sapere quel­lo che penso... perché io non so più che cosa penso... Voglio rivederla; sì, ecco, voglio rivederla.

Giacomo                       - Tu non sei abbastanza padrone di te stesso.

Paolo                             - (sulla soglia) Tanto meglio... almeno mi sfogherò, mi libererò l'animo, finalmente!

Giacomo                       - (a Paolo che è già uscito) Paolo, Paolo! (Ma è già lontano).

Zia Adriana                   - (entrando) Avete vuotati i vostri cuori, miei poveri essere umani?

Giacomo                       - (che è fuori di sé) Sentite, zia: se non la smettete, dimentico che siete la sorella di mio padre, e vi dò un tal sacco dì legnate che, anche se morta, le sentirete lo stesso.

Celestina                       - (entrando) Che c'è?

Zia Adriana                   - Paolo è tornato da quella gra­ziosa signorina Blondel!

Giacomo                       - (alla zia) Non potavate tenervela per voi?

Celestina                       - Paolo è andato da lei... ma lei dov'è?

Giacomo                       - Non temere, mamma, prima di cena sarà di ritorno. Vado a pescarlo e lo riporto qui. (Via in fretta).

Celestina                       - (protesta verso la porta) Giacomo, figlio caro...

Zia Adriana                   - (che pare si diverta molto) Gran­di novità in casa Miremont! Quello scimunito del tuo Paolo è nuovamente disposto a sposare la gen­tile signorina Blondel.

Celestina                       - Morta o viva che tu sia, perché adoperi quel tono?

Zia Adriana                   - Sono morta, ma al pensiero di quel matrimonio, me ne dispiace... perché alle nozze Miremont-Blondel avrei cantato una romanza, e ballato una quadriglia. (Accenna al ballo ed al canto) Trallalera, trallalà...

Celestina                       - Ah, c'è da ridere, vero?

Zia Adriana                   - (cascata a sedere in una poltrona) Stsss! Parla piano! I morti sono eterni, ma si stancano facilmente.

Celestina                       - Perché ripeti sempre d'esser morta?

Zia Adriana                   - Dimmi tu perché dovrei esser viva? Però, confessa, Celestina, che so essere una morta eccezionale: sempre allegra, sempre sorri­dente. Adesso che sono estranea alle vostre continue sciocchezze, la notte, mentre voi dormite, sapessi quanto mi diverto alle vostre spalle e rido da sola fino a schiantarmi...

Celestina                       - (guardando fuori, disperata) Po­veri ragazzi miei...

Zia Adriana                   - Sta calma, non tarderanno molto a ritornare, pescheranno la signorina Blondel e la condurranno qui.

Celestina                       -  Cosa?

Zia Adriana                   - A meno che non la trovino già qui... perché ho invitato quella gentil signorina a venire a casa nostra il più presto possibile.

Celestina                       - Hai osato far questo?

Zia Adriana                   - Ho potuto conoscerla così poco... Ora che la mia vita terrena è compiuta, mi piacereb­be tanto discorrere con lei, sapere alcune cose...

Celestina                       - Sei un mostro.

Zia Adriana                   - (con voce pacata) Non sono parole che ti confanno, Celestina! (Scimmiottando la voce dì Celestina) a E chissà che quella ragazza, non sappia riconciliare i miei figli una seconda volta, le vie della provvidenza sono infinite!...».

Celestina                       - Fra l'altro non verrà...

Zia Adriana                   - Tutto può darsi... però dopo quanto le ho scritto, ne sarei molto stupita...

Celestina                       - Che cosa le hai scritto, in nome di Dio?

Zia Adriana                   - Lascia in pace Iddio; lui non c'entra.

Celestina                       - (annientata)  Ho passato la mia vita in attesa di qualche ora felice, e non mi sono toccati che dolori e continue angosce. Adesso che sono vecchia debbo combattere con te, così perfida, e quei due poveri figlioli che...

Zia Adriana                   - I tuoi poveri figlioli sono dei buoni a niente... (Pausa) Vorrei sapere perché il notaio non ha aperto il testamento! (Come dices­se una cosa da niente) Volevo sapessi che ho dise­redato Paolo...

Celestina                       - Hai diseredato Paolo?

Zia Adriana                   - Sì. E anche Giacomo.

Celestina                       - Hai diseredato i miei figli?

Zia Adriana                   - Sì. Sai a chi ho lasciato tutta la mia sostanza? Non indovini?

Celestina                       - (si agita, smania) Perfida... per­fida...

Zia Adriana                   -  Aspetta a dire «perfida»... Sai a chi l'ho lasciata?

Celestina                       - (che ha un'ultima speranza) A chi?

Zia Adriana                   - (allegra) Alla signorina Lucia Blondel.

 Celestina                      - (senza voce) Eh?!

Zia Adriana                   - Poiché tanto, l'uno e l'altro di quei idioti dei tuoi figli avrebbero finito per farle mangiare i miei soldi, ho preferito regalarglieli io stessa.

Celestina                       - Che Dio ti perdoni.

Zia Adriana                   - Questo, vedi, mi stupirebbe. Dio, fino ad oggi, non mi ha procurato che fastidi. Tutta la mia vita ho avuto a che dire con lui e non abbiamo ancora finito di chiudere i nostri conti.

Celestina                       - Tu non sei mai stata infelice!

Zia Adriana                   - (ironica) Già, perché tu hai co­nosciuto le mie amarezze, i miei dolori, forse?

Celestina                       - Tu non hai mai saputo pregare...

Zia Adriana                   - Un tempo ho pregato con più fervore di te... ma poi... (S'interrompe cupa) Tu ignori che io a vent'anni sono stata ingannata, di­sillusa da un uomo che amavo come un Dio... e che è stata la sola causa perché son morta zitella? Si tratta di mio fratello, di tuo marito. Sicuro, di tuo marito... che io ho amato di vero amore, dall'età di quindici anni, inconsciamente... e mio fra­tello l'aveva indovinato... e subito ne approfittò... e mi trasformò per trent'anni nella sua serva de­vota... (S'interrompe) Bada, sarei anche riuscita a scusarlo, se almeno avesse sposato una donna che avessi stimato... invece, chi ha sposato? Te!

Celestina                       - Se Dio punisce ì malvagi...

Zia Adriana                   - Dio, Dio... sempre quel tuo Dio! Sei tu che mi vorresti punire, ma poiché tu sei una pusillanime, vorresti che Dio lo facesse in vece tua... Le vecchie bigotte della tua razza non han­no nemmeno il coraggio delle proprie azioni!

Celestina                       - (disperata) Ecco... come è finita... Nessuno ha mai... Ho sempre avuto...

Zia Adriana                   - E termina le tue frasi!

Celestina -                     - Terminare le mie frasi? Ne ho per­so l'abitudine, dovendomi continuamente rasse­gnare a tutto.

Zia Adriana                   - Voglio sperare che alla tua età non comincerai a disperarti!

Celestina                       - Persino il nome col quale mi hanno battezzata è stato un inganno. (Pausa) Ecco i miei figli che avrebbero avuto tutto per essere felici...

Zia Adriana                   - Si possiede sempre tutto per es­sere felici... all'infuori della felicità.

Celestina                       - Comunque, se tu affermi di essere stata tanto infelice, dovresti ora avere un po' di pietà di me...

Zia Adriana                   - Io sono una morta recente e an­cora non ti so dire se i morti possono avere pietà per i vivi... Però non credo! I morti, vedi, sono oppressi dai loro ricordi, più che dalla loro bara... Sì crede che i morti non possono muoversi perché sono stecchiti; non è vero: essi non possono muo­versi, non possono respirare, perché sono soffocati dai loro ricordi, ormai definitivi! Tu ancora puoi sperare in qualche cosa: hai due figli grandi che ancora non ti hanno rinnegata. I morti, invece, non possono né muovere il loro scheletro, né mu­tare i loro ricordi. Sai cos'è l'inferno? E' il passato a cui i morti sono legati per l'eternità.

Celestina                       - (torcendosi le mani, parlando a se stessa) I miei figli sono sempre in agitazione fra loro... Mio marito è morto... Tu sei pazza! Dio, Dio... Perché non hai guardato con un po' d'indul­genza sulla nostra famiglia?

Zia Adriana                   - Credi di concludere qualche cosa con i tuoi continui lamenti? Come se, comunque, nel mondo, ci fosse qualcosa e qualcuno in cui sperare. Dov'è ormai la nostra famiglia? Distrutta, annientata, nel nulla. Tutto è perduto, alla deriva. Non c'è più speranza per questa casa vuota! Quin­di, una donna orgogliosa come me, tuttavia senza forza sufficiente per impedire da sola che tutto crollasse e si sfascinasse come un castello di carte, è giusto che ormai se ne stia in una poltrona a ridere... a ridere... soltanto a ridere... degli altri...

Celestina                       - (prega) Padre nostro che sei nei cieli... sia santificato il tuo nome, sia fatta la tua volontà...

Zia Adriana                   - (rumore d'automobile, corre alla fi­nestra allegra) Ma sì, cara... sarà fatta la sua volontà; ma non la tua! (Indicando fuori) Eccola!

Celestina                       - Non permetter che quella donna entri qui.

Zia Adriana                   - (tagliente) Povera Celestina! Non ti sono mai riuscite né le tue salse piccanti, né le tue preghiere... (Alla porta) E' qui.

Celestina                       - Come osa venire?

Zia Adriana                   - Aveva anche osato andarsene, il che è peggio. Entrate, mia giovane amica, en­trate! (Entra Lucia Blondel, molto elegante).

Celestina                       - Voi osate venire qui?

Lucia                             - (che non capisce il tono della domanda) Sì... (A zia Adriana) Avete fatto bene a scri­vermi...

Celestina                       - (indicando Adriana) Ma lei è pazza...

Zia Adriana                   - Non datele retta Sedete, mio bell'agnellino... Lasciaci, Celestina. Piuttosto, avverti Giacomo. Non vuoi? Bene, andrò io... (Esce in fretta).

Celestina                       - (sempre sullo stesso tono) Come osate tornare in questa casa?

Lucia                             - Per questa lettera che ho ricevuto.

Celestina                       - Non sono stata certamente io a scriverla!

Lucia                             - (dolce) Voi mi odiate vero? Sì, è giusto che voi mi odiate. Tuttavia, in una circostanza simile, vi pregherei di capirmi.

Celestina                       - Andatevene.

Lucia                             - Già, non posso sperare compassione da voi. La vostra vita è stata così semplice, diritta... facile.

Celestina                       - Facile? Credete?

Lucia                             - Anch'io mi ero prefissa d'incamminar­mi su di una strada diritta come la vostra... Ma è così difficile non uscire dai binari. Vi prego, la­sciatemi vedere Giacomo.

Celestina                       - Ard^tev°ne! Tutto il male che ci potevate fare, l'avete fatto. Ed è un male a cui ormai nessuna forza può porre rimedio. Dio stesso se permetterà che i miei figli un giorno vadano in cielo, dopo averli fatti entrare, dovrà chiudervi la porta in faccia... (straziata, quasi lacrimando) e, soprattutto, Iddio deve cancellarvi dal loro ricordo... Voi... voi... che avrei voluto amare come una figlia!

Lucia                             - Dunque, per Giacomo... è persa ogni speranza ?

Celestina                       - (quasi per darle un dolore) Non vi ama più.

Lucia                             - Ma il dottore? Che cosa dice il dottore?

Celestina                       - (stupita) Quale dottore?

Zia Adriana                   - (ha inteso, entrando) I dottori sono dei somari. Venite, Giacomo vi vuole.

Lucia                             - Prima desidero che sua madre mi au­torizzi a vederlo.

Celestina                       - (a Lucia) Ma, in nome di Dio, cosa vi ha scritto?

Lucia                             - Che Giacomo è moribondo e mi vuol vedere.

Celestina                       - (ad Adriana) Che Dio ti maledica; che Dio ti maledica.

Zia Adriana                   - Dio non ha affatto bisogno dei tuoi consigli interessati per sapere che cosa devo fare.

Celestina                       - (esce disperata. Sulla porta) Non voglio che i miei figli vi incontrino. Vi prego di andarvene mentre non sono ancora qui. (Vorrebbe dire ancora chissà cosa, ma se ne va con le mani sul viso).

Lucia                             - Allora non è vero che?...

Zia Adriana                   - Avevo bisogno di sapere da voi alcune cose... (Quasi tra sé) Sono diventata così cu­riosa da quando sono morta!

Lucia                             - Morta?

Zia Adriana                   - Vi stupisce perché vi parlo? I morti discorrono coi vivi più di quanto si creda! (Le si avvicina, le prende una mano).

Lucia                             - Non toccatemi con quelle mani che han­no potuto scrivere una cosa così mostruosa...

Zia Adriana                   - E se Giacomo fosse veramente perduto e non vi avesse dimenticata?

Lucia                             - Giacomo « deve » avermi dimenticata!

Zia Adriana                   - (improvvisamente, quasi ilare) Raccontatemi degli uomini che non ho conosciuto... Non mi giudicate male. Ho imparato goccia a goccia a soffrire e mi sono assuefatta alla sofferenza... per decidermi a morire bisognava che avessi molto male. Se sapeste com'è doloroso rinunciare fin dai primi anni a tutte le gioie, e da vecchi doverle tutte rimpiangere... Ecco il male che mi ha uccisa.

Lucia                             - Voi siete un mostro a scrivermi che Gia­como giaceva in un letto senza speranza. (Fa per andarsene).

Zia Adriana                   - Non andatevene... Giacomo è in­fatti senza speranza...

Lucia                             - (apre la porta da dove era uscita Celestina. Dice smarrita) Signora, non dite a vostro figlio che sono stata qui... ma se questa pazza glielo di­cesse lei, spiegategli perché sono venuta... e ditegli anche, che avrei dato la mia vita perché guarisse... (Entra Giacomo) Tu? alzato?

Giacomo                       - Non avevo visto male. In quell'auto­mobile bianca e rossa c'eravate voi, e venivate qui.

Lucia                             - (tentando di andarsene)  Vostra zia vi spiegherà...

Giacomo                       - (afferrandola alle braccia) Cosa siete venuta a fare qui?

Lucia                             - (disarmata) Non lo so più...

Giacomo                       - Voglio sapere la verità di quest'altra storia!

Zia Adriana                   - (a mezza voce, andandosene con la pelliccia ed il cappello che lei stessa aveva tolto a Lucia) Sì, raccontateci tutta la verità... io vi ascolterò qui. (Indica fuori. Esce).

Lucia                             - Quale verità? Ogni nostra giornata ha una sua verità esclusiva, e le ore delle nostre gior­nate girano su sé stesse come stelle solitarie. Qual­che volta saltano settimane e mesi, ma poi si scon­trano fra di loro improvvisamente nel vuoto e si infrangono come fossero di vetro. (Pausa) Perché sono qui? sì, perché sono qui?

Giacomo                       - Voglio saperlo da voi...

Lucia                             - Vostra zia mi ha scritto che stavate morendo...

Giacomo                       - Ma è pazza!

Lucia                             - Ecco. (Porge la lettera).

Giacomo                       - (prende la lettera e senza leggerla la getta in un canto) E perché io stavo morendo e v'avevo invocato... siete venuta? Allora perché ve ne siete andata, allora? E' forse il rimorso che v'ha fatto tornare?

Lucia                             - No, Giacomo, dal giorno che me ne sono andata da voi ho troppo sofferto per poter avere rimorsi!

Giacomo                       - Troppo sofferto?

Lucia                             - Me ne sono andata da voi... aggrappan­domi ai muri... non riuscivo a scorgere la strada, perché i miei occhi erano accecati dalle lacrime.

Giacomo                       - Ti avevano raccontato qualche storia sul mio conto?

Lucia                             - No.

Giacomo                       - E chi ti aveva fatto andar via, allora?!

Lucia                             - Tu.

Giacomo                       - Io?

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - Ma, come, io?

Lucia                             - Non lo indovini, Giacomo?

Giacomo                       - No.

Lucia                             - Ecco... ora che ti sono di nuovo vicina, non trovo le parole che mi allontanarono da te... e poi, anche se le trovassi, queste parole, ora, qui, non spiegherebbero nulla... Tu non capiresti.

Giacomo                       - Non le capirei?

Lucia                             - Io stessa, dicendole qui, davanti a te, non le capirei più. Non avrei nemmeno dovuto incomin­ciare a parlare. Ma, Giacomo, come potevo tacere? Ci rivediamo per la prima volta dal 23 maggio.

Giacomo                       - Già.

Lucia                             - Il tuo stesso sguardo è cambiato.

Giacomo                       - Anche tu sei molto cambiata.

Lucia                             - Eppure, né io, né te... né questa stanza, né la nostra esistenza sono mutate al punto che io non sappia ancora ricordare una cosa.

Giacomo                       - Cioè?

Lucia                             - Una cosa ridicola...

Giacomo                       - Quale?

Lucia                             - Mi trovo così spaesata davanti a te, tanto da non saperti riconoscere che in quell'unica cosa... oh, ridicola, t'ho detto... Tu riderai. (Sin-ghiozza) E' da stupidi piangere... Sono tutta scon­volta, pensa... perché ho riconosciuto in te una cosa, che è tale e quale come allora... (tra un singhiozzo e un sorriso) la tua maniera orribile di annodare la cravatta... Eh, sì, lo vedi bene: è da stupidi pian­gere per questo.

Giacomo                       - (dà un nervoso colpo alla cravatta) Perché te ne sei andata?

Lucia                             - (non sa che dire. Lo fissa soltanto) Gia­como...

Giacomo                       - H giorno che tornai a Parigi, mi amavi ancora?

Lucia                             - Non ti ho mai amato come quel giorno ì

Giacomo                       - Menti!

Lucia                             - (dolce) Giacomo, non hai il diritto di accusarmi di una sola menzogna!

Giacomo                       - E allora perché te ne sei andata?

Lucia                             - Perché sentivo che presto sarebbe arri­vato il giorno in cui non ci saremmo amati più... Ecco perché mi sono fatta forza, e me ne sono an­data: per non sciupare il grande amore della mia vita!

Giacomo                       - E andandotene, spinta da quell'idea assurda, non pensavi che avresti gettato dietro le spalle anche la tua felicità?

Lucia                             - Sì, ma non volevo che la mia fosse una felicità sottoscritta in un contratto come un'assicu­razione sulla vita.

Giacomo                       - (violento) E l'amore di un uomo, non è forse più angoscioso di tutte le tue malinconie di donna alla continua ricerca di una assurda libertà?

Lucia                             - Sì, Giacomo. Sono sei mesi che mi parli così, senza interromperti. Di notte, sai, quando ci si sveglia perché troppo stanchi, troppo abbat­tuti, tu sei sempre lì, davanti a me, a parlarmi, a dirmi le cose più atroci!

Giacomo                       - Anch'io, ti ho sempre davanti, sempre davanti. Senza che ti possa stringere a me! (Pausai Forse qualcuno pensa che io, qui, viva in un mondo balordo, assurdo, noioso. Si sbaglia! Io, da sei mesi, qui, vivo come in un paradiso; un paradiso a poco prezzo, d'accordo, un paradiso per poveri infelici, ma dove, comunque, tu sei sempre presente e nello stesso tempo lontana.

Lucia                             - Non è passato un giorno che io non pen­sassi a te, e tutte le notti ti sognassi. E quando mi svegliavo, mi assaliva una tremenda nostalgia di te, Giacomo! (Stanno per baciarsi, ma Giacomo si ritrae a tempo).

Giacomo                       - Su, continua.

Lucia                             - (spaventata) Continuare?

Giacomo                       - C’è una cosa che voglio sapere...

Lucia                             - Attento, Giacomo: quando suona l'ora delle grandi confessioni, è spesso più difficile ascol­tare che parlare.

Giacomo                       - Voglio sapere dove ti sei cacciata dopo essertene andata da me... Ti ho attesa per ore ed ore, per giorni e giorni, continuamente. Poi mi sono messo a girare Parigi in lungo ed in largo... Lucia: mi devi dire se non sei mai passata dall'angolo tra via della Senna e il Boulevard Saint Germain. Sono rimasto lì, immobile, due giorni e una notte, senza perdere d'occhio un solo passante, ripetendomi continuamente: «Non ti muovere... se è tuo destino d'incontrarla ancora, la vedrai passare di qui, come da qualsiasi altra strada! ». Sei passata di là fra il secondo ed il quarto giorno dopo il mio ritorno?

Lucia                             - No.

Giacomo                       - Non rispondere così subito, pensaci bene, ho detto fra il secondo e il quarto giorno...

Lucia                             - Non ero più a Parigi.

Giacomo                       - Più a Parigi? Ebbene, non è giusto, no, non è giusto! La mia angoscia era mescolata a tanta speranza! Se il mondo fosse giusto, avrem­mo dovuto incontrarci. Non eri più a Parigi! Spe­ravo tanto che il mio folle bisogno di rivederti pro­vocasse il nostro incontro, faccia a faccia, a quell'angolo di strada... e tu non eri più a Parigi.

Lucia                             - Se fossi stata a Parigi, non avrei fatto che camminare su e giù davanti alla nostra casa.

Giacomo                       - (ripete) Perché te ne sei andata?

Lucia                             - Portami via con te, Giacomo... Durerà il tempo che durerà, ma portami via con te.

Giacomo                       - Vuoi che ce ne andiamo insieme?

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - Oggi?

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - Questa sera? ora?

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - Dove?

Lucia                             - Dove vuoi.

Giacomo                       - (altro tono, quasi ironico) So che or­mai sei una donna celebre fra gli artefici della mo­da parigina. Non desideri più continuare la tua vita brillante?

Lucia                             - Farò quello che vorrai tu!

Giacomo                       - Io non posso offrirti che un'esistenza assai modesta.

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - Riabiteremo insieme ed aspetteremo gli eventi...

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - E ricominceremo la nostra vita?

Lucia                             - Sì, perché ti amo.

Giacomo                       - E quel giorno, laggiù a Montparnasse, hai avuto il coraggio di discendere quelle scale, pur sapendo che non le avresti più risalite?

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - Ricordi quei dolci? Non li ho mica mangiati, sai!

Lucia                             - Sapevo che non li avresti mangiati, ma li comperai lo stesso perché piacevano tanto a tutti e due. Ricordi che andavamo a comprare proprio quel tipo di paste da quel pasticcere grosso così? (Scoppia a piangere nelle braccia di Giacomo).

Giacomo                       - Ed eravamo così felici!

Lucia                             - Ora tutto può ricominciare, e, forse, per sempre.

Giacomo                       - Ora? (Si scosta da lei) Già, ora! (Pausa) Dove sei stata questi sei mesi? No, prima rispondi a questo: quando mi hai piantato, te ne sei andata via con il sarto Arbeau?

Lucia                             - Giacomo, non bisogna chiedere niente!

Giacomo                       - Perché?

Lucia                             - Perché non voglio né mentirti, né farti del male!

Giacomo                       - Mi vuoi dunque nascondere qualche cosa che mi potrebbe ferire?

Lucia                             - Non ho niente da nasconderti. Cosa mi chiedesti, un anno fa, quando ce ne andammo in­sieme da questa casa? Niente! Allora, perché vor­resti farmi subire proprio oggi un interrogatorio?

Giacomo                       - Un anno fa, non ti amavo. Oggi è diverso.

Lucia                             - E allora, perché tu mi hai amata qui, nella tua serena solitudine, mentre io stavo com­battendo con me stessa, in mezzo agli uomini, ora, Giacomo, dovrei renderti conto...

Giacomo                       - Sii meno complicata. Ma ho capito! Lucia, mi addolora tanto...

Lucia                             - Anche a me. Però adesso devi sapere tutto...

Giacomo                       - No, non voglio, Lucia.

Lucia                             - Lo devi! Perché ormai col nome di quell'uomo sulle labbra ritrovo tutta la mia infeli­cità, della quale ti ritengo responsabile!

Giacomo                       - Io?

Lucia                             - Tu, che in questa stanza, per primo, mi hai insegnato il vero volto della libertà! Sei stato tu a spalancarmi quella finestra verso il cielo, tu ad aprirmi quella porta! Chissà che senza di te, io non sarei oggi che una piccola provinciale, forse abbrutita di malinconia, circondata da marmocchi, ma non più infelice di molte altre simili. Tu mi hai ossessionata, mostrandomi quel lampadario, mi hai terrorizzata, indicandomi quei ritratti appesi alle pareti, e mi hai portata via di qui senza diritto, perché tu non eri un uomo libero! Oh certo, meno asfissiante degli altri, ma anche tu discorrevi del mio avvenire e del mio corpo come un contadino discorre del suo campo. (Pausa) Del resto, tutti gli uomini agiscono con la donna con la mentalità dei contadini. S'impossessano di noi, discorrono di noi. Noi dobbiamo essere loro proprietà, per l'eter­nità. Io non volevo che tu fossi come gli altri, perché io ti amavo, e ti amo ancora sopra ogni cosa!

Giacomo                       - (aspro) E' stato dunque il tuo amore per me, che ti ha spinta fra le braccia di un altro uomo?

Lucia                             - No, ma perché quel giorno io ho voluto liberarmi di te. Mi sono imposta un amante, senza gioia, ma con ferma volontà. E con un'indicibile tristezza, anzitutto, perché non amavo affatto quell'uomo, poi perché sapevo che sarebbe stato lui a dividerci per sempre!

Giacomo                       - Perché questa assoluta necessità di liberarti di me?

Lucia                             - Perché tu mi amavi come tutti gli altri uomini, con un insopportabile egoismo. Io, con te, non ero più, ormai, una donna in mezzo ad altre donne, una donna in mezzo ad altri uomini: ero una tua cosa, un tuo mobile, una tua proprietà as­soluta.

Giacomo                       - (al quale le parole di Lucia rammentano le parole di « Cher Ami ») Vedi spesso Cher Ami?

Lucia                             - Che c'entra Cher Ami nella nostra storia?

Giacomo                       - Ora che è diventato celebre, le sue sciocchezze saranno forse tenute in maggior conto.

Lucia                             - Oggi è celebre, perché il suo romanzo che noi conosciamo è in vendita da tutti i librai; ma egli non entra per nulla nella nostra storia. Se cer­co la sua amicizia, è per parlare di te. La gente che c'incontra insieme, ci domanda: « Chissà cosa ci sarà tra Cher Ami e Lucia Blondel?». Ci sei tu fra noi, Giacomo; tu che nessuno conosce fra la gente che noi frequentiamo, ma in mezzo alla qua­le parliamo così spesso di te.

Giacomo                       - E pensi a me anche quando sei col si­gnor Arbeau?

Lucia                             - E' molto facile essere crudeli, Giacomo.

Giacomo                       - (autoritario) Dimmi almeno se il signor Arbeau ti ha saputo offrire un amore meno opprimente che il mio. E se lo ritieni meno con­tadino di me.

Lucia                             - L'ho lasciato quasi subito, perché era quello che mi aveva separata da te. Sono rimasta con lui sette giorni!

Giacomo                       - Sette giorni?! Ed oggi il signor Ar­beau è annientato come me? (Pausa) Oggi che cosa penserà di te il povero signor Arbeau?

Lucia                             - Che cosa volevi che facessi? che mi trascinassi per terra, domandando perdono dei miei peccati? Porse perché non mi lamento mi credi un'arida, una stupida? Giacomo, la vita è una lotta atroce con noi stessi... (Pausa) Avrai incon­trato uomini che in guerra hanno ucciso; ebbene, tra loro, avrai conosciuto dei timidi e dei sen­sitivi.

Giacomo                       - Che c'entra? La guerra era stata loro imposta!

Lucia                             - E la vita, non ci è stata forse imposta?

Giacomo                       - E dopo?

Lucia                             - Dopo?

Giacomo                       - Dopo... quell'uomo?

Lucia                             - Che importanza ha?

Giacomo                       - Oggi vivi sola?

Lucia                             - ... No.

Giacomo                       - (per nascondere la sua disperazione cerca di scherzare, scandendo lentamente) Vi­vete con l'uomo delle lanerie del Michigan, quello di cui parlano i giornali?

Lucia                             - Sì.

Giacomo                       - Perché?

Lucia                             - Perché... con lui mi sento libera!

Giacomo                       - (torna al tu) Ed eri pronta a ripartire con me?

Lucia                             - Sì, Giacomo.

Giacomo                       - Sei disgustante.

Lucia                             - Conosci la storia di Barbablù? La sua ultima moglie, un giorno, apre un cassettone pieno di ricordi, di ritratti di donne uccise dal marito nel passato, di donne amate, dimenticate... e la chiave le casca di mano e resta per sempre macchiata di sangue... Oggi, tu, uomo, tremi come la moglie di Barbablù; ti credi un uomo libero soltanto perché hai distrutto in te lo spirito della famiglia? In­vece sei impastoiato sino al collo nei più vecchi pre­giudizi...

Giacomo                       - E' possibile, anzi, è certo. Ma è diffi­cile, alla mia età, far tacere pregiudizi di quel genere.

Lucia                             - Se è davvero così, non c'è più speranza né per te, né per me.

Giacomo                       - Non è quello che avevate cercato?

Lucia                             - Sì. Soltanto nulla di quanto ho fatto ha potuto staccarmi da te, Giacomo. Tenta di ca­pirmi. (Pausa) Dopo tutto, sei stato tu a dirmi qui dentro: a Signora Mìremont, così; signora Miremont colà... ». Assegnandomi un destino previsto sin nelle virgole e che avrei dovuto trascorrere tra i falliti ed i morti. Invece io ho voluto vivere la mia vita come si legge un romanzo poliziesco... senza sapere come va a finire... Ho voluto ignorare il mio avve­nire... Mi ha ossessionata l'idea che tutta la mia vita fosse imprigionata da giuramenti, benché io intendessi rispettare quei giuramenti. Giacomo, perché hai voluto imprigionarmi chiedendomi di sposarti?

Giacomo                       - Eppure, quel giorno, tremavi al pen­siero che me ne andassi...

Lucia                             - E quella mia paura era meravigliosa! Dovevi imprigionarmi a tradimento, afferrarmi alle spalle, senza dirmelo, se non quando fossi stata vec­chia e non avessi scoperto, stupita, commossa, di non aver amato che te, di non essere stata che tua. Per te, avrei rinunciato a tutti gli uomini; ma gior­no per giorno, uno per uno. Non tutti in una volta, a vent'anni, sapendolo prima. Bisognava dirmi: «Vedi? tutti quegli uomini là sono tuoi! ». Permet­termi di sognare che tutto il mondo mi apparte­nesse... e invece, tu hai chiuso le tue braccia gelose su tutto il mio avvenire, ed io non ho voluto, non ho potuto sopportarlo... Tu eri il primo uomo che amavo; avrei voluto tu fossi l'unico. Ma soltanto con gli altri pronti ad insidiare la nostra felicità. Ricordi le mie piccole croci quotidiane? Era un gioco. Perché non ti sei sentito la forza di pre­starti a quel gioco sino alla fine?

Giacomo                       - Un gioco, eh? Ecco cosa sei: una gio­catrice!

Lucia                             - Non è vero, non si può definire una creatura solo perché le sfugge una frase.

Giacomo                       - Una giocatrice, sei.

Lucia                             - No. Io so gustare anche l'ebbrezza di ciò che va alla deriva, di ciò che è perduto.

Giacomo                       - Infatti, ai giocatori piace lo spasimo della perdita.

Lucia                             - Io non sono una giocatrice. Non ho niente da guadagnare e niente da perdere. Io vivo con «le mani protese», come il tuo Cher Ami; io vivo povera, senza nulla possedere, per possedere tutto: la libertà!

Giacomo                       - Via, tu possedevi qualcosa di cui eri più gelosa di quanto io non lo fossi di te.

Lucia                             - Che cos'era?

Giacomo                       - Se bisogna vivere con l'anima nuda per meritare la felicità, anche tu non la meriti, perché hai qualche cosa che ti possiede e ti annienta.

Lucia                             - Che cosa?

Giacomo                       - Il tuo avvenire! E nonostante tutti i tuoi discorsi sulle mani protese e le porte aperte, tu non vivi: tu fuggi continuamente, spaventata come un bambino, davanti ad un cagnaccio rin­ghioso. Tu scappi alla vista del « tuo » avvenire, al quale hai sacrificato il nostro amore.

Lucia                             - Avevo paura, avevo paura, sei stato tu a spaventarmi, prospettandomi la mia intera esi­stenza vissuta accanto a te, indicandomi fin da oggi il posto dove mi sarei accucciata da vecchia, laggiù all'estremo limite della mia vita. Perché hai preteso che sapessi a priori che saresti stato tu il vecchio dai denti gialli che avrebbe tossito ac­canto alla vecchietta che diventerò un giorno?

Giacomo                       - Povera Lucia!

Lucia                             - Povero Giacomo! Anche tu sei incapace di sacrificarmi ai tuoi pregiudizi. (Anelante) Giaco­mo, sono i nostri ultimi istanti per decidere: pos­siamo ancora andarcene io e te. Pensa: io e te.

Giacomo                       - Quello che non riuscì sei mesi fa, credi che possa riuscire proprio oggi?

Lucia                             - Sì, perché vivremo faticosamente, perché ce ne andremo tremando, io e te, con te final­mente liberato dalla tua gelosia... Perché tu oggi, Giacomo, sei perduto, ed io sono abbastanza alla deriva per cercare dì essere felice.

Giacomo                       - Ma se tu la disprezzi la felicità!

Lucia                             - Io sarò veramente felice un giorno, Giacomo, ma tra moltissimi anni, se allora saremo ancora insieme. Perché, allora, la felicità l'avremo pagata, giorno per giorno, ora per ora, con la pau­ra continua di perderci. Io non volevo, Giacomo quella specie di felicità garantita da secoli di abitu­dini, la felicità che ci avrebbe sanzionato il signor sindaco. Sai? Oggi non ho più paura di quei ritratti; vorrei, anzi, guadagnarmi un posto onorato in mez­zo a loro, ma sapendo di essermelo meritato sol­tanto l'ultimo; giorno della mia vita. Oh, quel giorno, Giacomo, quel giorno sì che amerei la fe­licità. Ti giuro, Giacomo, che quel giorno sarei la donna più felice del mondo per essere sempre stata tua. (Sono vicini alla parete; la porta si apre).

Giacomo                       - Stsss! (Entra Paolo che tuttavia non scorge Lucia e va a sedere presso la tavola).

Paolo                             - Ciao Giacomo. Una faticata inutile. Sono arrivato all'albergo, non ho chiesto a nes­suno... non ho osato... Tornando, ho fatto la strada del faro e mi sono seduto sulla roccia e da lì potevo scorgere le luci dell'albergo dove lei... (Pausa) Ho riflettuto molto, sai, lì sulla scogliera. A che scopo rivederla? Sono rimasto là un bel po' ed al pensiero di non averla rivista, ho tirato un sospirone. Credo di essermi finalmente liberato l'anima da quella sgualdrina. Poi mi sono incamminato di nuovo, e, passo passo, sono ritornato a casa. Rivedendola, che cosa le avrei saputo dire? Parlando con lei, quando sono solo, con lei soltanto dentro di me, la con­versazione è facile... ma se davvero improvvisamente mi fosse apparsa davanti... Non so che cosa le avrei saputo dire... Forse non l'avrei nemmeno ricono­sciuta. (Giacomo si è avvicinato a Paolo e, da so­pra il fratello seduto può scorgere Lucia che è ri­masta appiccicata alla parete, l accanto alla porta, immobile, atterrita. Mentre parla a Paolo, Giacomo si rivolge a Lucia).

Giacomo                       - Hai ragione, Paolo. Rivedi qualcuno che hai amato al di sopra di te stesso, che ancora ami perdutamente nel ricordo... ma ritrovandola faccia a faccia, non la riconosci più. Magari ritrovi un dettaglio, la maniera di annodarsi la cravatta, la mania di far schioccare le dita...

Paolo                             - Lei faceva schioccare le dita?

Giacomo                       - Basta, Paolo, pensare a lei. (Pausa) Credo di possedere ormai la certezza che né tu, né io, né lei si sappia amare.

Paolo                             - Che cosa?

Giacomo                       - Sì, Paolo, perché noi tre non siamo che degli egoisti. Parleresti ancora di lei se quella famosa notte fosse venuta a letto con te? Ed io? Io non pensavo che a serbarla per me. E lei non pensava che alla sua libertà.

Paolo                             - Te lo ha scritto?

Giacomo                       - Macché. Hai fatto benissimo a non cercarla laggiù all'albergo, a non volerla più rive­dere. Non bisogna vederla più; non abbiamo più nulla a che fare con lei.

Paolo                             - Hai ragione.

Giacomo                       - Se per una strana ipotesi ella fosse venuta qui, bisognerebbe dire... (E si rivolge a Lu­cia) « Voi non potete restare, né noi vi possiamo se­guire ». E se ella non se ne volesse comunque an­dare, bisognerebbe aggiungere: « In questo triste mondo, noi non siamo che dei poveri diavoli, e altro non possiamo fare, gli uni per gli altri, se non guardarci reciprocamente soffrire! E non ne vale la pena! ». E se ancora ella insistesse a restare, biso­gnerebbe concludere, con un gesto verso la porta (alza la mano, indicando la porta): « Avete voluto essere libera, Lucia, ebbene pagate la vostra liber­tà». (Lucia esce piangendo in silenzio).

FINE