Una fenice assai frequente

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Commedia in un atto

di Christopher FRY

Titolo originale dell'opera: A PHOENIX TOO FREQUENT

Versione italiana di Franca Cancogni ed Ettore Violani

da IL DRAMMA n. 189 del 15 Settembre 1953

LE PERSONE:

DYNAMENE

DOTO

TEGEO-CROMIS

* Tutti i diritti riservati. Per il permesso di rappresentazione

rivolgersi alla Società Italiana degli Autori ed Editori - Roma.

(Sotterraneo di una tomba. Completa oscurità, tran­ne la fioca luce di un lume ad olio. Fuori, sopra il sepolcro, le stelle illuminano una fila di alberi da cui vendono i corpi di alcuni impiccati. Un rag­gio sfiora il primo gradino della scala che conduce nell'interno della tomba, ove Doto parla da sola, in ombra).

Doto          Innocente giorno che si pone in lutto, ecco cos'è il buio. Ma allora il mio cruccio qual è? I diavoli?... Non è che vento. Non son che vento. Ne ho da gonfiarmene la testa. Io ti chiedo solo di non continuare a frullarmi uomini per il capo, o venerabile Afrodite. L'ultimo già l'ho avuto e ti ringrazio. Grazie tante. Odorava d'erba asprigna e poteva anche piacere. Quanto alle ossa ne aveva troppe. (Vicino, lo strido di un gufo) O Zeus, Zeus! o  un altro iddio, l'olio dov'è? Il fuoco ci venne da Prometeo. Oh, grazie al cielo. Se proprio ho da morire perlomeno si veda cosa combino.

(Riempie d'olio la lampada e la fiamma, riattivandosi, rivela Dynamene, giovane e bella, addormentata presso una bara)  

È meglio davvero andarsene a letto in compagnia di un apicoltore spelacchiato che ci vanga con gli stivali e tutto, piuttosto che sprecare altre giornate in fame e sete e lamenti in una tomba. Oh, non son cose da dirsi. Farò finta di non essermi sentita.  Però morte e vita,  cane  e gatto sono in questo letto a due piazze che è il mondo. Il mio padrone, il mio povero padrone aveva un naso dritto come lo sprone d'un muro. E adesso se l'è portato in Eliso, laggiù inosservato fra tante diritture.

(Di nuovo lo strido del gufo che sveglia Dynamene)  

Ah gufi, gufi... L'avete svegliata!

Dynamene  Ohi che affanno... Ero saltata in piedi sulla nave. Ma quella distende le ali e stri­dendo un suo verso: giù... giù... se ne vola, balena in su, nel sole...

Doto          Che stramberia, madame..

Dynamene   Via Doto, tira le tendine. Prenderò l’orzata.

Doto          Non siamo più in casa, madame. È la tomba del Signore.

Dynamene  È vero. Meschina! Ho sciupato la veglia. Le ciniche palpebre mi calarono subito in un sogno.

Doto          Ma allora, madame, lei potrebbe in un sogno ritrovarsi con lui a letto, madame. Sulla nave era?

Dynamene  La nave era.

Doto          Allora è differente.

Dynamene  Era la nave, ed aveva una plancia, Doto, così bianca e spazzolata, la prua diritta, e orgogliosa la poppa, e tanto snella da babordo a tribordo... Se un uomo di sì bella alberatura, Doto, tu lo incontrassi mai, dagli la vita, Doto. La bolena aveva il suo profilo, il ciglio placido appena d'alghe infiorato. O Virilius, sposo mio, m'hai lasciato nell'anima una scia! E l'acqua di vetro si taglia alla tua chiglia di diamante. Devo piangere ancora.

Doto          Ma come, ora che intende raggiungerlo? Sarà felice di vederla, non crede, madame? E grato, suppongo, fra tutte quelle forme ed ombre, madame, tutte le forme delle forme, e tutte le ombre delle ombre, a quanto ho inteso. In principio mi sentirò un po' sbalestrata con Cerbero, a parte la zuppa. Però indovino il pensiero di madame. Lei teme che lui trovi tentazioni in Ade. Non se la prenda. Lo aiuti ad ambientarsi.

(Dynamene piange)  

Nulla di serio, madame. Con un'ombra non andrebbe lon­tano...

Dynamene  Avrebbe fatto molta strada. Sarebbe diventato il sindaco migliore e meglio organizzato che la città abbia visto; sempre che lo avessero eletto, naturalmente. Era così puntuale che potevi regolarci il sole. E il mondo soccombeva alla sua quotidiana rivoluzione di abitudini. Ma a chi, nel mondo dove è andato, importerà? O povero Virilius, essere uomo d'avvenire e... già trapassato! Oh, distra­zione! Perché lasciarmi sola a camminare dietro le nostre ambizioni, come una gatta fra le rovine della casa? O sposo ricco di promesse, perché insultarmi morendo? Virilius, mio solo fiore nel vaso del sepolcro...

Doto          O mia signora! Mio povero signore! Ma tanto vale pungere un pochino su di me. So che a lei non disturba, madame. Da due giorni il di­giuno mi ricorda la bottega di mio zio, che in cam­pagna commerciava terraglia, pentole, padelle, broc­che ed uccelli d'alabastro. Un tipo allegro che fa morir dal ridere. O signora, non è triste?

(Piangono entrambe).

Dynamene  Ed io che ti ho permesso di venir­tene a morire del mio dolore. Mi sento, Doto, ter­ribilmente responsabile. Non lo hai un tuo dolore di cui poter morire?

Doto          Veramente no, madame.

Dynamene  Nulla?

Doto          Proprio no. Tutti eguali per me. Furono eguali tutti, tranne due; e quei due ritornavano, sempre; non è strano? Non ero mai sicura dell'ad­dio definitivo. E così madame, non m'annoiavo. Il primo m'abbandonava facendomi l'occhietto, l'altro con una pacca, diremo... con rispetto parlando, ma­dame. Poi stavano lontani qualche mese.

Dynamene  O Doto, che vira infelice la tua!

Doto          Sì, madame. Ma che importa? A quei tempi pareva persino allegra. Adesso, sono del suo parere. La vita è più grande di un letto e piena di miracoli e misteri, come quello dell'uomo creato per una donna sola, eccetera eccetera. Questo è bello, madame, quando viene cantato da un baritono in bella compagnia, fra l'allegria generale. E così, signora, ho dovuto seguirla fin qui per l'ultimo triste coro di me stessa. Per me tutto è nuovo. Anche la morte costituisce un nuovo interesse per la vita, sempre che, madame, non le dispiaccia avermi ac­canto in lacrime. È perché non abbiamo più fatto colazione... Anche per il signore, certo... s'è pianto, ma il mondo è così bello! Piange lei pure, madame... Oh, oh... (Piangono).

Dynamene  Non te lo posso vietare, ma scostati, altrimenti mi confondo. Questo è il mio personale dolore e il sacrificio mio, di me sola... Guarda, cara, vai laggiù.

Doto          Va bene qui?

Dynamene  Sì. E ora se vuoi, piangi pure.

Doto          Ma sono lacrime molto diverse. Per me il mondo è ormai tutto di Caronte, tutto, tutto, per­sino il metallo e la lanugine del roseto, e la foresta dove il mare evapora in vegetali maree. E soprat­tutto l'ingresso ai bagni caldi in Via Arcita, dove la prima volta ci incontrammo. Tutto! Il sole stesso trascina una mano seròtina nel fiume afoso laggiù, presso l'Acheronte. Sono sola, Virilius; dov'è l'oc­chio puntuale e la prudente voce por cui i fogli del bilancio parevano versi d'Omero, e i versi d'O­mero acquistavano la precisione dei fogli del bi­lancio? E dove sono le armoniose membra, il riso amabile, l'esatta festevolezza? Scomparsi dal mondo. Tu, o Virilius, eri un'invocazione della natura. Mi spiegavi ogni cosa, anche quei beni che sono estre­mamente complicati. Li scrivevi in settanta colonne. Mio calligrafo amato e riccioluto! Sei lontano dal mondo e una volta per tutte. Nei  tuoi momenti percettivi  t'insegnavo ad apprezzarmi.  Dicevi che era modellata e armonica, il tuo piccolo matronale girasole, il tuo fagottino. Allora me ne andavo in su e in giù maestosa, splendendo quasi un mio sole personale. Che folle fabbro del creato, colui che soffia al mantice, finché le stelle non spiccano il volo e il Tempo ferreo scotta. I politicanti fiam­meggiano; radici e bulbi si fondono in orchidee e giacinti; la sabbia genera il leone che ruggisce giallo; gli oceani sbocciano focene, persici, tonni, l'inesistente o quasi pesce cieco. Si recidono gole e il capolavoro sgorga dalla fatica. Nazioni e ribel­lioni schizzano su per appendersi al vento, e tutto se ne va in un unico Virilius, che indossa la tunica d'ufficio e verifica uscendo la colonna dei conti. Ed ora dov'è la vita? Che è rimasto in ballo? Ahimè, l'occhio dell'orbo mondo è spento... (Piange).

Doto          Anch'io mi proverò a piangere. Dovrò prendere lezioni, immagino, perché mi riesca pian­gere forte e a lungo. Se riuscissi almeno a ricordare uno qualsiasi di quei ragazzi, senza avere voglia subito di ridere... È inutile. Quel bel paio di scarpe, per esempio, che détti via senza pensarci, beh, quello è diverso. Ma per  « loro »,  ho già  pianto anche troppo. Oh mia signora! Mio povero signore...

Tegeo          Ehilà... Che succede?

Doto          Oh... oh, un uomo. Temevo chissà quale pericolo. C'è sempre un uomo nell'ombra, siate certi. Che hai? Non ti riesce di dormire?

Tegeo          Ma, senti un po'...

Doto          Sst! Tieni a mente che sei in una tomba. Ed ora vattene. La signora è occupata.

Tegeo          Come? Quaggiù?

Doto           Sì, a morire. Lo siamo tutte due.

Tegeo          Ma insomma, che succede?

Doto          Lutto, sei soddisfatto ora?

Tegeo           Sempre meno. Sai che ora è?

Doto          Che m'importa? Sono cose superate, per noi. Sii cavaliere. Vattene! Se non riusciamo a libe­rarci dell'uomo nella tomba, la morte è inutile.

Tegeo          Ma sono le due del mattino! Mi domando cosa fanno due donne quaggiù, alle due del mattino!

Doto          Non vedi? Piange. O di nuovo dorme? Comunque si dispone a raggiungere il marito.

Tegeo          Dove?

Doto          Buon Dio, ma all'altro mondo, caro. Ti han mai parlato di vita e di morte?

Tegeo          Sì, qualcosa m'hanno detto; i primi rudi­menti almeno. E la signora vorrebbe morire?

Doto          Per amore. La signora è ben strana.

Tegeo          Pensieri così li ho avuti anch'io. La morte è una sorta di amore. Non tutto è comprensibile.

Doto          Farai meglio a entrare e accomodarti.

Tegeo          Obbligatissimo.

Doto         Avanti. È la mia ultima occasione, un compagno in carne e ossa.

Tegeo          Vuoi dire che anche tu... morirai?

Doto          Ma certo, anch'io. Non tutto è compren­sibile. Madame cominciò col dire che ogni uomo è fatto in realtà di due uomini.  Io ne vedevo uno solo. Uno solo in ogni uomo. Però sembra che oltre agli altri malanni ci sia l'anima. Ma io mi domando: che rischio corro con un uomo? Mi dirai che sono troppo curiosa...

Tegeo          Certo ci vuol coraggio.

Doto          Sì e no. Mi piace cambiare.

Tegeo          Ti dispiace se mangio la mia cena?

Doto          Attento alle briciole. Evitiamo lo schia­mazzo dei topi proprio adesso che moriamo.

Tegeo          Che sospiro! Ma da quando dura questa storia?

Doto          Due giorni. E sarebbero tre, ma in prin­cipio il Comune si oppose. Le dissero: vietato il sepolcro quale privata abitazione. Ma la signora rispose che qui non avrebbe mangiato, ma soltanto sofferto. E così diedero il nulla osta.

Tegeo          E tutte due... Che meraviglia! Va' a pen­sare una simile vicenda. E anche tu devi piangere? Sì, beh, hai ragione.

Doto          I tuoi ginocchi e la tua cena mi fanno piangere. Non posso tollerare la compassione... E loro sono così compassionevoli...

Tegeo          Su. Mangia qualcosa. Io non ho fame.

Doto          Così lei mi precede... Metti via, rincarta, sesso di barbe malvagie! Non mi stupisce che dob­biate radervi rutti i giorni la vostra nera anima, appena vi buca il mento. Io volgerò le spalle in segno di disgusto. Mangiare! Oh, disgusto indici­bile! Quei bei panini freschi...

Tegeo          Dimentica, prego... Dimentica. Considera che manco di esperienza specifica. Mi sento già confuso a dovere. Davvero. Ssst... o le daremo noia. Ha sospirato di nuovo. Ma Zeus, e terribile... anche in sonno sospira. Il cordoglio ha scavato tane pro­fonde nel suo spirito: Ponos! il cuore, che diabolico intruglio!

Doto          Non intendo voltarmi.

Tegeo          Apprezzo la tua sensibilità. Ma se... Ti spiace se bevo del vino? Me ne sono portato un poco e tu mi capisci. Il dolore è nell'ordine delle cose ecosì pure la morte e le donne... di solito me la cavo anche con loro. Però, tutte tre in una volta... e di prima mattina. Devi scusarmi. Ne vuoi? Per mettermi a mio agio, accettane un sorso.

Doto          Come viatico?

Tegeo          Come viatico.

Doto          È la polvere che ho in gola. Questa tomba è polverosa. Sì, grazie. Non c'è gusto a morire a tutto, in una volta.

Tegeo          Per fortuna ne ho portati due boccali. Volevo tenerne un goccio per chi mi darà il cambio al mattino.

Doto          Sei di guardia?

Tegeo          Già.

Doto          Ne hai l'aria.

Tegeo          Allora... alla salute!

Doto          Che mi serve la salute? A una buona tra­versata piuttosto, e non ci sia da aspettare troppo sulla banchina. Di che tremi?

Tegeo          L'idea. Non riesco ad avvezzarmi.

Doto          Per un membro dell'esercito hai l'aria un po' tremebonda. All'inferno quei gufi! O meglio no. restino dove sono. Te ne intendi di cadaveri?

Tegeo          Là fuori ne ho sei.

Doto          Troppi, per Morfeo! E che fanno?

Tegeo          Pendono.

Doto          Pendono?

Tegeo          Agli alberi, sì. Cinque platani e un agri­foglio. Le bacche dell'agrifoglio stanno giusto arros­sando. Un altro sorso?

Doto          Perché no?

Tegeo          È di Samo. Tieni...

Doto          Benissimo, beviamo... E come mai si ritro­vano in quella posizione?

Tegeo          Quello di pelo giallo sosteneva l'universale collaborazione. Il piccoletto invece non collaborava con nessuno; il vecchio insisteva che le Pleiadi non erano sorelle ma cugine, e comunque fab­bricate dal Monopalio Lacedemone. Il quarto insinuò che impiccavano gli uomini per un nonnulla. Gli ultimi due restarono zitti. Tutti ora pendono alla svolta della notte, presentì eppure assenti, orribil­mente ossequiosi ad ogni sospiro. Per loro eccomi in piedi cinque ora di fila.

Doto          Il vino mi è disceso alle ginocchia...

Tegeo          ...e salito alle guance. Sei più fresca. Se ne offrissimo...

Doto           A madame? Non vorrai che le chieda...

Tegeo          No, no... Non osare, non respirare. Lo sa che è un privilegio avvicinarsi tanto al sincero, all'incorrotto, all'integro. Questa dovrebbe essere la vera moda da imporre alle anime: un fiocchetto per annodare i riccioli ribelli alla vita. Una èfede, una è speranza. Zeus, che bellezza. Se io sono uomo e questa è l'umana fedeltà, possiamo andarne orgogliosi. Davvero, senza ombra di retorica.

Doto          Vorrei ballare, ma le gambe non mi reggono.

Tegeo          Non ballare. Oppure balla solo nel cuore. Non ballare. Piangi ancora. Circondiamo di un fossato di lacrime i bastioni del suo amore. Salve­remo il mondo. È rinascere guardare una guancia impallidire come l'acqua dello stagno.

Doto          Bel giovane, mi ami?

Tegeo          Dopotutto, è scoprire che la vita non è ambigua.

Doto          Hai detto: sì?

Tegeo          Certo. Amo tutti, ora.

Doto          Anch'io.

Tegeo          E il mondo è ritornato buono. Comin­ciavo a vederlo come una gran muffa, o verderame o ruggine o schiuma, o infine come se il cielo avesse pronunciato una ovale roteante bestemmia con occa­sionali panorami su agresti regioni. Fui a un pelo d'arruolarmi per oltremare. All'estero la disperazione spesso culla piacevoli pensieri di patria. Carattere, ci vuole, per Dio!

Doto          Io amo tutto il mondo; anche il su e giù del tuo pomo d'Adamo. Dammi un bacio. Sarà me­glio andare agli Inferi, bagnandosi le labbra.

Tegeo          La tua strada è illuminata dal dolore.

Doto          Allora ne berrò un altro sorso.  Io amo tutti gli uomini, tutti, anche te. Andrei a coglierti un poco di sdolcinato caprifoglio, a vergogna del tuo elmo solo che ce ne fosse. Scusa.

Dynamene  Doto, chi è?

Doto          Caprifoglio, signora. Per le api.

Dynamene  Ma chi è?

Doto          Ho capito, madame. È una specie di capo­rale che parla alla sua anima di un turno di cinque ore con sei corpi. Ha cenato qui.

Tegeo          Me ne vado. È terribile. L'abbiamo disturbata...

Doto          Era in brodo da giuggiole a vederla così triste. Ha rimandato perfino un viaggio all'estero, madame.

Dynamene  Ha sei corpi?... È un messaggero, una guida ai luoghi dove andiamo. Certo è giunto a mostrarci la strada oltre gli squallidi sobborghi della vita. È un'ombra, un gorgone risalito a nuoto contro le cascate del mio pianto - e gli occorsero certo molte membra - per guidarmi a Virilius. Me ne andrò in silenzio.

Tegeo          Vi assicuro... Una sì goffa, vile e imper­donabile intrusione. Sparirò immediatamente...

Doto          Sparire... che peccato! Sparire... Scusi, non glielo permetta. È un ragazzo simpatico.

Dynamene      Signore, e gli altri cinque corpi? Dove sono?

Tegeo          Fuori... Li ho fuori... agli alberi, signora.

Dynamene  Imbroglione!

Tegeo          Che dovevo rispondere?

Dynamene  Imbroglione, ciarlatano! Gli Dei non li hai nemmeno veduti. Sei venuto a canzonarmi. Non è un gorgone, costui, Doto. No, e neppure un gentiluomo! È un impostorel Ammettilo, animale. O puoi vantare sia pure una sola penna ultraterrena alla tua coda? Ce l'hai?

Tegeo          Certi parenti...

Dynamene  Ebbene?

Tegeo          Sono morti, credo. Avrei quindi rapporti...

Dynamene  Coi tagliaborse. È vergognoso! Non vi procura l'esercito sufficienti distrazioni? Se fossi ancora nel mondo e non reclusa in un pallido pae­saggio di pensieri invernali cui sino l'accostarsi di primavera è voglia di oblio, scriverei una lettera severa al tuo ufficiale. Lo farei. Sì, lo farei. Se non avessi le dita così fredde, lo farei adesso, subito. Ma sono così fredde. E che importa l'insolenza quando il colore della vita è ormai irreale, un ros­sore sulla morte, un'ancora parziale ma già pura diafanità. Che dovrebbe importare? O invertebrato, graduato di truppa, ti morderanno in eterno gli stivali della coscienza, se ancora la vita ha un poco di pudore. Ma ohimè, devo sedermi; la tomba gira. gira...

Doto          Non si arrenda, madame. Non ricordavo che si era ancora tanto vivi. Lui ha l'aria così stu­pendamente... stupendamente desolata. Non può. madame? Non si sente in forma? Visto? Hai veduto, fantoccio mangia-ghiande? L'hai fatti piangere, bar­baro grossolano,

Tegeo          O Storia, o mia cartella personale, perché fui trasferito sin qui? Quale astigmatismo ha colpito le mie stelle? Perché non è toccata a mio fratello? Con l'universo ha rapporti di tacita incomprensione e ci sguazza. O non mia madre che fa raccolta di lacrime altrui e tutte le prosciuga. Dimentichi che fui qui. Ritorni a giacere nel dolente nero cristallo che la racchiudeva prima del mio arrivo. Tegeo, fuori!

Doto          No, non sono d'accordo. Così no. Ritorna giù, uniforme. Ti par bello avere mezzo accoppato urna signora senza protezione e poi filare? Lasciarla in questo stato?...

Tegeo          Sì, ce la lascio. E per l'Alto Commissario degli Dei, che altro posso? Un pezzetto di bellezza m'è rimasto tra i denti, il che mi aggiunge tormento nuovo. O fondo dell'Ade profondo!

Doto          Madame, madame, il caporale ha del vino. La rimetterà al mondo. Tornerà a lui dopo, madame.

Tegeo          Tutto in contrario, invece, lo giuro. Ve lo giuro sull'Orco, per lo Stige, sui nove acri di Tizio. Ve lo giuro con lo scongiuro Ipnotico, e per tutti i Titani, Ceo.  Crio, e sui  Capoto,  Crono e così via... per le tre Gorgoni e l'insonnia di Tisifone, e su Giove, per Giove, e per la guazza che ebbi sui piedi della fanciullezza... Sono innocente. Non vo­glio burlarvi... Non sono un Salmoneo, che vedendo una simile fiamma di dolore...

Dynamene  Non occorre si affatichi tanto a di­mostrarmi la sua istruzione di scuola secondaria. Forse giunsi d'un salto a conclusioni errate. Fui troppo frettolosa...

Doto          Come si giura bene, quando si è  bene educati. Madame, non la diverte? Pardon...

Dynamene  Se ho giudicato male, mi dispiace; chiedo scuse. Lei vuole lasciarci? Fece male a ve­nire.  Dove è un  lutto, la luce stessa calpesta il diritto di proprietà. Possono entrare solo i naturali simboli di morte: il loquace funebre corvo, denso di presagi,  lo scarafaggio che vigila  la morte  ad ironia del tempo, e soprattutto, temo, il ragno che intesse la sua casa con rapidi, autarchici fili di as­sassino. E il verme, naturalmente. Vorrei fosse al­trimenti. Non è facile, cielo, viverci assieme!

Doto          Nemmeno un po' di vino, madame?

Dynamene  Qui, Doto?

Doto          Sui gradini, magari; sebbene ci tiri vento.

Dynamene  Doto, qui?

Doto          No, madame. Capisco.

Dynamene  Sebbene, sarebbe saggio riprendere forza in previsione  del digiuno.  Potrei  contenere più dolore. Berrò un sorso, Doto.

Doto          Grazie a Dio. La brocca dov'è?

Dynamene  Che boccale squisito!

Tegeo          Adesso, in pace, snidiamo da vasaio.

Dynamene  E li fa lei?

Tegeo          Sì. Il disegno figura il dio in ceppi; anche i raggi del sole lo avviluppano, e l'attonita nave si fa largo tra vigne, e pampini, capovolte piramidi di grappoli, le mani levate degli uomini, i predoni; in fondo il mare aperto che s'avven­tura tra foglie e vilucchi, Proteo che al vento, va intrecciando la barba; e quest'altro in altre mani è un marinaio morto.

Dynamene  Sempre morte, sempre...

Doto          Ferma la brocca. Scusi, madame...

Dynamene  Doto, hai bevuto?

Doto          Qui, madame? Ne ho appena adescata la bocca. Però non si può dire che sia sceso giù, se non perché costretta. Il singhiozzo, madame, mi viene dal digiuno, e non ha allegri intendimenti.

Dynamene  Bevi ancora, suvvia... Oh, come il corpo ha profonde radici! Sebbene diviso dal cuore, insiste la chioma sconsideratamente a spuntar fronde che intercettino il sole spietato. E vi riesce, E come! E confonde la natura della mente...

Tegeo          Confusione, già, confusione.  È la ma­teria che meglio conosco.

Dynamene  E quando il pensiero vuole morire, l'istinto fa vela per la vita. Il pensiero è pronto a vivere, infuriano gli istinti al naufragio siigli scogli. Ma per Virilius no. Per ogni indecisione spiegaz­zata il suo cervello era una tavola da stiro. Per me che lo seguivo, era l'ancora del mio universo. È un estraneo lei qui; un estraneo, vede?

Tegeo          Davvero lo fossi!... Se soltanto sapesse quanto mi costa risalire gli scalini di un'infida, impresàga e illune notte, e volgere le spalle a qualcosa che dirò una visione, una speranza, una promessa... E intendo ancora lealtà, passione eterna, spavalda audacia e bellezza, tutte insieme.

Doto          L'ha con lei, madame; o con lei e me, o con me sola.

Dynamene  D'accordo. Una fredda campana che qualunque cosa  mi  accada,  e  per  quanto tempo debba  aspettare  per  essere l'umile  strumento di questo povero musico che è la vita, qualsiasi tempo od aria mi saloni, la sua persona, il suo olocausto avranno lasciata in me impronta più chiara delle colline del luogo dove nacqui. Ed ora addio:  la lascio al suo sposo.

Doto          Era per lei, madame...

Dynamene  Allora berrò con lei alla memori; del mio sposo, poiché lei fu cortese ed io villana e perché ho molta sete. E dopo diremo addio separandoci,  avviati  alle nostre opposte corruzioni;  i mondo e la tomba.

Tegeo          Culmine della visione.

Dynamene  (bevendo)    Bevo al mio sposo e a quello che rappresentava.

Tegeo          Rappresenta.

Dynamene  Rappresenta.

Tegeo          Al suo sposo.

Doto          Al padrone.

Dynamene  Com'è buono; canta in gola, gorgoglia con l'estate.

Tegeo          Ha natura gemellare: caldo e freddo assieme; luna e prato. Le sembra?

Dynamene  D'accordo. Una fredda campana che suoni nel mese dell'oro.

Tegeo          Cristallo nella mèsse.

Dynamene  O un usignuolo che singhiozzi tra i peri.

Tegeo          In un'antica mezzanotte d'autunno.

Doto          Uva... (Ha il singhiozzo)   Scusino. Ce n'è ancora?

Tegeo          In abbondanza. Bevo alla memoria del suo sposo.

Dynamene  Del mio sposo.

Doto          Il padrone...

Dynamene  Lui non curava la scelta dei vini.

Tegeo          Però, se alla vita si rende il giusto peso, non è particolare trascurabile.

Dynamene  Un mistero è nel mondo.  Un po' di liquido che appena si distingue per fragranza, qualità, vapore, fa miracoli, disfiora, flauta i nostri sensi, quasi musica in valli estive, e una movenza di falce vaga pei solchi dei ricordi. Perché il pro­fumo, la fragranza ci giunge su quest'ala? Perché non dal prezzemolo?

Tegeo          O alga?

Dynamene  Tiglio.

Doto          Cavalli.

Tegeo          Frutto in fiamma.

Dynamene  Il suo nome?

Tegeo          Tegeo.

Dynamene  Un po' esile, non trova? Le copre appena l'ossa. Immaginavo qualcosa di diverso, un altro nome addirittura. Ci voglio pensare.

Tegeo          A vocali più cupe?

Dynamene  Sì, più dense.  Le consonanti  un poco inclinate e di un certo calore. Mi capisce, vero? Vedrà che glielo trovo.

Tegeo          E il suo?

Dynamene  Non mette conto. Mi chiami... ecco: «quella della tomba ». Ha l'aria, lei, di un profes­sore di storia naturale, avvezzo alle uova di uccello, girini, etichette di farfalle. Capisce? Il genio delle cose mute, senza nome... Già! ho trovato la sede della tarma che rode il capo agli uomini: i nostri nomi. Ci fanno pensierosi. Covati e ricovati nell'in­tento di generarli famosi e dignitosi, ci restano poi addosso e diventano disperazione, colpa, inquietu­dine. Si va dove ci portano. Balliamo per qualcosa che ci impose la signora del dottore di mammà. Ma gli insetti si incontrano e si lasciano mettendo tra loro i boschi, riempiono il crepuscolo, punteg­giano la luce, vanno, vengono, senza un nome, senza neppure, dico, il desiderio di un nome, sia pure piacevolissimo. L'ho interrotta?

Tegeo          Non ricordo. Allora, niente nome.

Dynamene  No, vorrei che lo avesse. Un nome piccolo da riempirne la conversazione.

Tegeo          Vorrei lo avesse anche lei. Non foss'altro, per ricordo. C'è vino in quella brocca?

Dynamene  Finito.

Tegeo          Io ne ho ancora. Tenga. L'ho spruzzata?

Dynamene  Non importa. Bene, al mio sposo.

Tegeo          Al suo nome.

Doto          Al padrone.

Dynamene  Fu gentile a venire.

Tegeo          Fu di più che venire. Ho seguito il mio futuro, come tutti, se stiamo abbastanza disattenti e non ci torturiamo troppo di domande. Ma forse volevo dire attenti. E attenti a che? Le sembra non ci sia coerenza?

Dynamene  Lei sbaglia. Non c'è futuro qui. Per lei non c'è.

Tegeo          Il suo nome è Dynamene!

Dynamene  Come? Allora sono stata senza ri­medio irriverente? Tu sei... Come hai saputo? Per­dona la domanda...   Sei ombra o luce? Intendo ombra del soprannaturale... E se non sei né l'una né l'altra, chi ti suggerì?

Tegeo          Dynamene...

Dynamene  Però sono sicura che della natura sei amico. Certo. Non scorgo piccoli Febi nascere e tramontare nei tuoi occhi?

Doto          Macché piccoli Febi! Tutto un trucco. C'è, il nome inciso sulla spilla. Stanotte non c'è neppure un piccalo Febo.

Dynamene  Così è la seconda volta che mi giochi. Oh, so che scherzi e giochi sono facili in Olimpo; ma non siamo per nulla progrediti dall'alba degli Dei. Uomini e Dei dovranno in eterno rimanere adolescenti? Alla lunga può stancare.

Tegeo          Sei tu che ogni volta mi credi sopran­naturale. Io non l'ho detto! Te ne vai creando in ogni cosa le tue immagini, e dopo mi fai colpa di non esserne all'altezza.

Dynamene  Ti chiamerò Cromis. Ha un suono come di pane. Ti penso come un panino croccante.

Tegeo          Così, m'insulterai perché non sono da tagliarsi a fette.

Dynamene  Temo che il bere ci peggiori il ca­rattere.

Tegeo          Se aggrotto le ciglia è solo perché guardo diritto nella tua luce. O aver l'aria rabbiosa o chiu­dere gli occhi.

Dynamene  Chiudili. Che ciglia! Ti vedo da un nuovo punto di vista. Sei così quando dormi? Tegeo Mi si apre un po' la bocca.

Dynamene  Fa' vedere.

Tegeo          Così.

Dynamene  Ti rende uno sciocco irresistibile. Vuoi svegliarti adesso? È mattina e intravedo una leggera polvere di luce soffiare sui gradini.

Tegeo          Di già? Dynamene, di nuovo ti sei fatta ingannare, e stavolta dalla luna...

Dynamene  Oh, la luna... E Doto dorme.

Tegeo          S'è addormentata.

Dynamene  Cromis, chi ti spinse a camminare nella notte? Cosa, mi  domando,  ti indusse a non dormire dove dormivi? Fu l'attrito del mondo sulla tua mente? Due meccaniche difficili da accordare. Cromis, imparerai a rispondere al tuo nome.  Non dirò più Tegeo.

Tegeo          Né io Dynamene.

Dynamene  No?

Tegeo          Ti fa reale. Perdonami. È accaduta una cosa terribile. Devo dirlo, o forse distruggermi ai tuoi occhi? Prima perdonami, o meglio perdona la natura che attraverso la nostra ragione, dipana la sua furtiva corrente. Mi perdoni?

Dynamene  Perdono tutto dal momento che è il solo modo di sapere quanto vuoi dirmi.

Tegeo          Mi sento solo, qui, in una tomba tagliata da ogni vita, con la sola bellezza, l'unica chiave che tutti i sensi mi persuada, malgrado abbia giaciuto giorni e giorni a speculare su sèpali, corolle, stami e bratte del giallo iris palustre. Poi il mio corpo si avventurò di un passo ad interrompere il tuo perfetto proposito e la mia rinnovata fede nella natura degli uomini. Lo credevi possibile?

Dynamene  Non mi ha mai commosso con l'iris di palude. Ohimè, ripeto, questo è posto per ragni, e corvi, e vermi, non uomini vivi.

Tegeo          È un luogo benedetto.  E  qui  dentro, mi rimarrà sempre a scherzare una fresca fontana di fede per la siccità del mondo. Ma lo so, dovrò andarmene, e per quanto l'idea m'inaridisca l'anima, dovrò lasciarti al tuo viaggio.

Dynamene  No!

Tegeo          Davvero no?

Dynamene  Possiamo cambiare argomento?

Tegeo          Sì, possiamo. Lo faremo senz'altro. Tu credi alla fede senza il dubbio? Oppure, se noi ci convincessimo a una qualche precisa convinzione e diventassimo o Sofisti, o Stoici, o Platonici, o altro, diresti che esistono anime improduttive, disonorate, cieche?

Dynamene  Non lo so.

Tegeo          No, non si può dire. Ma basterebbero, Dynamene, due focacce d'orzo e idromele, e ti ac­compagnerei agli Inferi, ti lascerei al tuo sposo e tornerei nel mondo.

Dynamene  L'ambizione, credo, è un  appetito tipico dell'uomo. Tu come lo definiresti?

Tegeo          Il desiderio di trovare una ragione di vita.

Dynamene  Ma lo supponi almeno che possa portarti, come accade sovente, a morire?

Tegeo          Laragione allora della vita. Ma come... tornerei, Dynamene? La luce diurna della terra di­verrebbe la mia tomba se dovessi lasciarti in quella notte infernale.

Dynamene  O Cromis!...

Tegeo          E dimmi, che ne pensi del progresso? Esi­ste? E vi fu mai progresso senza regresso? Possiamo oggi dire che è in progresso l'umanità? Migliora il materiale e scade la fattura. Onore e merito riman­gono invariati. Dynamene, ti amo.

Dynamene  Ma non consideri che si gira in tondo?

Tegeo          Suoniamo l'armonica, pare. E ogni volta si prende un più largo respiro, e più ci spingiamo      all'esterno, più si deve rientrare.                                

Dynamene  Verrà il momento che sarà intollerabile continuare.                                                       

Tegeo          Intollerabile.                                             

Dynamene  Ma forse era meglio mangiare. Questo vino ti ha reso gli occhi acuti da togliermi il fiato. Sono i tuoi occhi, credo, o la tua intelligenza che sta in alto, reggendo tra le mani la mia com­prensione. Oppure è il taglio della tua uniforme.

Tegeo          Ecco, a te un fresco pane al miele. Nel nome degli Dei, torniamo sobri.

Dynamene  Al più presto possibile.

Tegeo          Conosci l'algebra?

Dynamene  Ma sei tu che ti metti in discussione; ti discuteremo, Cromis, finché non sarai altro che parole.

Tegeo          Io?

Dynamene  Ma il tuo paese, Cromis, con le colline che in te si sono impresse come hai detto, per sem­pre, dov'era?

Tegeo          La fattoria di mio padre presso Pixa.

Dynamene  Proprio là? Possibile?

Tegeo          Nacqui sulle colline. Pioveva a dirotto, un quarto d'ora  prima che mungessero. Sai dov'è Pixa? Distesa all'incrocio di due strade sassose, sep­pellisce il dorso nel faggeto, da cui vengono i gufi bianchi delle nostre notti e un dondolarsi dolce di colombe, durante, il giorno. Attribuisco il mio ca­rattere a quelle ombre ed anche alle grevi radici, e il mio interesse per la musica all'improvvisa melo­dica fuga del giovane fiume, là dove irrompe ed annusa il crescione e i ranuncoli. Pura verità.

Dynamene  T'arrampicavi spesso al torrione ven­toso di Frassidemo, e cercavi arnie?

Tegeo          Come? Quando l'ho detto?

Dynamene  Me lo chiedi? I ragazzi lo fanno.

Tegeo          Ma in nome della luce, tu come lo sai?

Dynamene  Vi ho giocato una volta, in tempo di vacanze.

Tegeo          O Kloto, Lachesis e Atropo!

Dynamene  Bizzarrissima sorte! Per un attimo, dunque, avrei guardato la tua infanzia?

Tegeo          Ed io qualcosa come un fiore primo, quasi una fanciulla. Se almeno riuscissi a ricordare Ti  avrò certo veduta.  Non cercavi le brevi viole bianche? Ho incespicato davanti a  te, raccolto un tuo sguardo, senza  accorgermi  che una stella mi trafiggeva  per  vivermi   in  eterno nei  ruscelli  del sangue? O ti vidi giocare a rimpiattino nella grotta dove sono le felci e l'acqua gocciola?

Dynamene  Ero grassa, sciocca e.piuttosto manesca.  Vorrei ricordarti. Sono invidiosa dei giorni e dei fanciulli che allora ti videro. È strano e un poco penoso non dividere il tuo passato.

Tegeo          Come avvenne che le nostre stelle entras­sero in congiunzione un pomeriggio - tanto tempo è  trascorso  -  per  poi  dimenticarci,   o  beffarci,  o guardare sgomente sugli alti oscuri mari della nostra lontananza, mentre il  tempo si beveva ore d'oro? Quale tortuoso Fato è questo?

Dynamene  Tempo?... Tempo?... Perché, quanti anni abbiamo?

Tegeo          Pochi, grazie a mammà. Però siamo più vecchi di stanotte; più vecchi di quanto dovremmo esserlo. Sono nato solo ora all'amore di colei che crescevo ad incontrare. E ti dirò: sono nato solo a questo. Nacqui a colmare una lacuna nell'esperienza del mondo che ignorava Cromis amante di Dyna­mene.

Dynamene  Povero Cromis. Sei così eccitato. Che ti accade? Sei qui con una donna che spense nelle lacrime ogni diritto all'apparenza, indecorosa nei suoi abiti vecchi, e opaca, smorta, una tonaca di melanconia; ombra tutta senza una macchia di sole. Perdona se dico che tu facilmente scivoli nel super­lativo.

Tegeo          Benissimo. Non dirò più nulla. Esalerò sentimento.

Dynamene  Cadi nell'altro estremo. Devi par­lare invece. Avrai da dire altre cose. E potrebbe il silenzio correre via con te, senza che tu abbia detto il necessario. E che potrei risponderti, allora? Cro­mis, ragazzo mio, non so distogliere lo sguardo da te. Ti servi della luna e del lume di lucerna con tale abilità, con tale arte dentro e attorno a quei solchi del tuo volto... Lo scherzoso aratore va fischiando a una coppia di tristezze, su e giù sulla tua fronte, per la tua guancia incolta. Tu ridi per me? E non hai mai pianto per le donne?

Tegeo          Sì, cercandoti. Ma dopo, sempre le rico­noscevo per quelle che erano.

Dynamene  Ed erano?

Tegeo          Mai te. Mai, sebbene capaci di passeg­giare con brillante distinzione nei più lunghi ricordi di un uomo. Non eri tu, neanche di un accenno ti lieve indizio; o almeno non più di un riflesso. Stelle perdute, incerte in mare, al paragone del sale scin­tillante, di tutte le galassie, i gruppi astrali e quel grano che brilla, mulina sul nero crivello dello spazio. Farai fatica a credermi?

Dynamene  Nessuna. Mi sollevi e rapisci. Sarà magari un po' selvaggio ma non manca di « char­me », ed. insieme alla fiducia, mi fa presa nel cuore. Cromis carissimo, assurdo e sconcertante Cromis! Mi fai desiderare di far apparire il mio meglio ai tuoi sguardi. Vorrei convincermi almeno che mostro una certa bellezza da deporre fra noi sulla bilancia. Ma il piatto inclina dalla tua, sprofonda di masco­lina vittoria.

Tegeo          No, Eros, no! Se questo sta al di sotto del tuo meglio, mai allora, mai in mia presenza, non varcare il tuo meno. Mai! Che se aggiungessi alla tua bocca, ai tuoi occhi un umidore o un bioccolo di luce, una qualsiasi fatale aggiunta, ecco, la per­fezione, la sua verga spietata dall'aceto mi sforze­rebbe e quanto sarebbe stato amore, diverrebbe la mia fine.  Dynamene, lascia che io liberi un  po' del desiderio delle mie labbra sulle tue pronte a riceverlo. Così, attraverso la ferita di quel piccolo spazio fra noi, io sto viaggiando da un ghiaccio lan­cinante a un cammino solare. Così sento.

Dynamene  Oh, Cromis! dove vado? Non dir nulla... La morte desidero, non te.

Tegeo          È lo stesso. Invece di Cromis chiamami Morte. Rispondo a qualsiasi nome, E sia desiderio della morte in me o di me nella morte, sempre in Cromis, comunque. Va bene? Non ami, Dynamene?

Dynamene  Come potrebbe essere vero? Io vado dal mio sposo. Troppo in là sono su quella strada, per riammettermi alla vita. Amore è agli Inferi.

Tegeo          Si trova anche qui, dove siamo, e non là. Il tuo sposo ti aspetta?

Dynamene  Certo, certo.

Tegeo          Non è detto. Se fossi tuo marito nem­meno mi sognerei di aspettarti. Ricorderei il tuo corpo che discende le scale in un flusso di luce, e non nell'atto di affondare in Ade. E direi: Ho lasciato il mio caldo tesoro sulla terra e la terra ne ha bisogno, che diamine! Quanto le appresi in amore fu sì scarso, che lei lascia la sua carne per tramutarsi in ombra? E non fu il nostro, reciproco amore, direi ancora, infuso di vita? Non racchiuse vita? Molto bene! Rinnovami in amore, rinnovami alla vita e consenti che per sempre io canti nel tuo sangue.

Dynamene  Basta, basta! Dovranno trascinarmi via con la forza! Perché il fato tanto si agita ad impedirmi di morire con onore? Mio Dio, e come tornerò tra gli amici? Sarò fonte di riso...

Tegeo          Domani. Stanotte ho bisogno di badarti. Dynamene. Amore, vieni tra le mie braccia.

Dynamene  Prima di raggiungerti vi sono già. Il corpo segue soltanto il mio desiderio che già ti ha. Adesso di nuovo sono tutt'uno.

Tegeo          Sento come sentono gli Dei. Un sentire divino non umano: sospendere l'immortalità per arricchirsi col tempo. O vita, o morte, o corpo, o Dynamene!

Dynamene  O tutto in me. E così desidera tutto in te, mio diletto, mio Cromis!... Sarò dunque creazione.

Tegeo          I cieli già li hai. Di lassù mi percuota con raffiche di bellezza. Siamo fatti di polvere... davvero? Ma come? polvere su polvere libera luce tale ed un simile apparire del mondo in un sol corpo? Mi ha punto un filo, un tuo capello. Mi respingi?

Dynamene  Hai tanto metallo addosso. Devo es­sere prigioniera di un usbergo?

Tegeo          Conceda la tua mano alle fibbie e .poi a me.

Dynamene  Non mi aiutare, farò tutto da sola.

Tegeo           O tempo! Q mia pazienza! ti rivoglio!

Dynamene  Abbiamo tutta una vita dinanzi, o Cromis. Pensa, pensa... Anche slacciare una fibbia è amore. E nemmeno facile. Benissimo, aiutami. Cro­mis, in quale zona di miracolo hai messo il piede per muovere nel buio dove aspettavo ignara di aspettare?

Tegeo          Vidi il lume.

Dynamene  Ma qui? Così lontano dalla vita? Che ti condusse così vicino da vedere il lume?

Tegeo          Zeus! M'hai fatto ricordare...

Dynamene  Cosa, Cromis?

Tegeo          Che sono di guardia.

Dynamene  Fa caldo abbastanza da restare senza schinieri?

Tegeo          O mio caro arcolaio di magia, dovrò tornare a gettare un'occhiata a quei ragazzi. L'in­tera faccenda della guardia m'era uscita di mente.

Dynamene  Che ragazzi, cuore mio?

Tegeo          I miei sei corpi.

Dynamene  O Cromis, di nuovo quello scherzo...

Tegeo          Io non scherzo, dolcezza. Oggi la nostra città offrì sei impiccagioni. Sono di guardia ai corpi fino alle ore cinque. Già assente da mezz'ora.

Dynamene  Ma che possono ormai, poveri corpi, sia in mezz'ora o in mezzo secolo? Intendi proprio andare?

Tegeo          Per mettere in pace la coscienza. Poi, Dynamene,  più  nessuna  nube sorgerà  sul nostro amore, più nessun pensiero in sospeso... E la notte sarà tutta per noi.

Dynamene  Ma se ogni mezz'ora...

Tegeo          Silenzio.  Zitta, sorriso dell'anima  mia, mia gemma, mia sovrana. Per avere i tuoi occhi, io firmo con le labbra su entrambi. E questo è per avere la ma fronte. Lo senti il diritto del mio bacio che precipita nel tuo pensiero? E adesso la tua gola è un ramo bianco e le mie labbra due uccelli canori, venuti a riposare. Ricordami, gola, fino al mio ritorno, tra cinque minuti. Ma su tutto, ecco la mia parola. Alla tua bocca la consegno perché me la renda prima che si asciughi. Lo prometto, prima che si asciughi, non dopo.

Dynamene  Corri, corri senza fermarti. Non aver paura di cadere: c'è la luna, i campi sono azzurri. Oh aspetta... aspetta, mio diletto... No. Non ora. Saprà durare fino al tuo ritorno. L'ho qui sulle labbra... Corri.

Tegeo          A presto, porto mio.

Dynamene  Presto, presto...

(Tegeo se ne va, e Doto si sveglia).

Doto          Oh sì, madame, presto. Naturale. Già siamo arrivate? Che bellezza! La morte non è mica faticosa. Gli Inferi ci hanno inghiottite come una ostrica.

Dynamene  Doto!

Doto          Sì, madame. Presto, presto... Però mi hanno portato via le ossa. Non una me ne rimasta. Adesso io sono uno spettro; meravigliosamente spettrale nelle gambe. Mettiamoci a sedere sulla soglia dell'eternità, madame, se è accaduto lo stesso anche a lei.

Dynamene  Sarà meglio che ti svegli. Dal mo­mento che non puoi ritornare a dormire, sarà me­glio che ti risvegli davvero. Mi senti? Siamo ancora vive. Mi senti?

Doto          Parla  per sé,  madame.  Io sono morta. Ecco come lo so:  mi sento invisibile. Ecco tutto. Sono uno spettro in procinto di fluttuare...

Dynamene  Così fosse... Ma non vedi dove sei? Guarda, non lo vedi?

Doto          Sì, signora, ha ragione. Siamo vive. Ci sarebbe da sacramentare. Eccoci moribonde in sul morire, e quale sugo ne abbiamo cavato?

Dynamene  Forse dovresti provare a morire altrove. Sì. Forse qui l'aria ti si confà troppo. Dor­mivi sodo.

Doto           E lei qui intanto... sola e moribonda. Ah, non dovevo! È molto che è andato il caporale, madame?

Dynamene  Veniva e andava... Veniva e andava... Tu sai come.

Doto          Altro che lo so.  E andare doveva, mai venire. Oh Dio, l'avrà disturbata.

Dynamene  Sì dirà magari, che mi ha disturbato, ma...  Ascolta  ho qualcosa  da  dirti...

Doto          E io,  madame,  me lo aspettavo.  Forse dovevo tenerlo lontano, ma gli uomini son dentro prima che tu pensi a impedirlo.  Penso abbastanza in fretta io, ma mi attardo in quello che ho da dire. Una specie di balbuzie del vivere, madame.

Dynamene  Sono stata cattiva, Doto, Ho pec­cato. Ti ho fatto torto, cara.

Doto          Oh no, signora.

Dynamene  Oh sì. Ti lasciavo morire, Doto, con me, senza ragione. Ti annegavo in un lutto non tuo. Era peccato.

Doto          Ma io non ho niente in contrario a mo­rire, madame. E la situazione potrebbe anche gar­barmi, dal momento che mi garba qualunque situa­zione. Se madame avesse detto bòtte, un fracco di legnate, oh allora ci avrei pensato due volte. Tutti abbiamo le nostre antipatie, madame.

Dynamene  Adesso però ti chiedo di lasciarmi, Doto... Subito, il più presto possibile. Sì, ora... prima che... Subito, Doto... Che io dimentichi la cattiva idea di aspettare in buona fede che tu mi segua in Ade. E adesso, addio, addio...

Doto          No, niente addio. Chi più conoscerebbe una notte di sonno? Le passerei tutte a domandarmi come lei se la passi, e cosa ho perso. Ed oltre tutto starei sempre in pena per lei. Quando si appartiene ad una certa classe, l'altro mondo può apparire diverso. Io invece sono di bassa nascita, per quanto meno di altri. No... Niente addii, madame.

Dynamene  Oh Doto, va'... È il tuo dovere, capisci? E se ti sembro ingrata perdonami perché non è così. Tutt'altro, tutt'altro. Ma potrò rigua­dagnare la pace dello spirito solo sapendo che tu sei partita.

Doto          Madame, guardate l'ora. Dove andrei alle tre di mattina, se pensassi di andarmene? E mai ci penserò.

Dynamene  Pensa, Doto, all'imparagonabile mondo.

Doto          Ci penso, madame, ma quando ci ho pen­sato, che ho concluso? Beh, dipende, madame...

Dynamene  Allora insisto. Obbediscimi... Subito!

Doto          Mi metto qui a sedere.

Dynamene  Che ne farò, Doto, di te?

Doto          Mi ignori, signora. So restare al mio posto. Morirò senza dar noie. Oh guarda, il caporale ha scordato gli accessori.

Dynamene  Poteva essere più sventato?

Doto          Chi l'avrebbe  detto.   Poveraccio.   Glieli tratterranno sulla paga. Credo... non penserà a tor­nare... vero, madame?

Dynamene  Penserà a questi, naturale, appena si accorgerà di non averli addosso. E vena, verrà di certo. Oh sì. So che tornerà.

Doto          Oh, oh...  madame...  e  tutto stanotte?... Posso andarmene?

Dynamene  O Doto... vuoi davvero?

Doto          Provi a trattenermi. Certe volte per » svignarmela è una specie di istinto. Lascio la morte a migliore occasione.

Dynamene  Sì, Doto, a qualsiasi altro momento ... Adesso affréttati. Non ti rubo alla vita neppure un altro istante. Doto, addio!

Doto          Addio. La vita è insolita, vero, madame? E un salutino a Cerbero.

(Ritorna Tegeo. Doto, che se ne stava andando, lo incontra  sulla porta della tomba)  

Avete scordato qualcosa... Mio Dio, che luna!

(Esce in punta di piedi, per non disturbare).

Dynamene  È vero, Cromis, le mie labbra sono appena asciutte e di nuovo il tempo scorre e il vuoto di nuovo si fa spazio, lo spazio vita! Dynamene ha Cromis.

Tegeo          È finita.

Dynamene  Oh Cromis. Stai male? Sei bianco come lino. Vieni. Hai corso troppo in fretta. Ripo­sati fra le mie braccia. Riprendi respiro.

Tegeo          Ho respirato una notte di troppo. Perché ti vidi? Perché, nel nome della vita, ti ho veduta?

Dynamene  Perché? Non fu un dono scambie­vole? O cuore, che intendi?

Tegeo          Intendo che la gioia è solamente madre di condanne. Perché trovare nella tua costanza un tale balsamo al mondo, ed insieme, nella stessa visione la sua distruzione necessaria? Ci assalta Amore per renderci incapaci di andare da soli, ci riduce mansueti al Fato. Dovevo saperlo. Proroghe, non compimenti consente il mondo.

Dynamene  Riuscirò a capire, Cromis? Aiutami a starti dietro. Cosa hai incontrato nei campi per venirmi a parlare così? Mi ami ancora?

Tegeo          E quale bene ne abbiamo? Ho perso un corpo.

Dynamene  Un corpo? Uno dei sei? Bene. Non è con quelli che ti .proponevi di amarmi, e non potevi d'altra parte conservarli per sempre. Permet­teremo a un corpo assente, di frapporsi fra me e te?

Tegeo          Ma ne sono responsabile!... Dovrò ren­derne conto al mattino. Certo tu comprendi, Dyna­mene, l'orrore che ci aspetta. I parenti hanno avuto il tempo di spiccarlo dalla corda e seppellirlo. Vuol dire Corte Marziale. E questa è la sentenza: prenderò il posto dell'uomo che manca. Essere impiccato, Dynamene... Impiccato, Dynamene.

Dynamene  No. È mostruoso. La tua vita è tua, Cromis.

Tegeo          Tutto tranne la vita. Ecco perché devo subirla. Nel migliore dei casi si vive di vite prese a prestito  e nel peggiore in galera. Ed io nacqui per non avere la vita. E perché allora? Per esserne affer­rato. E cosi tutti. Ma io la rifarò quella che è, riducendola a niente.

Dynamene  Mi spaventi, Cromis. Che vuoi fare?

Tegeo          Morire. Sì, o danza del mio cuore, mo­rire morire. Staccarci, andare alla mia spada e met­terla fra noi. Avrò il mio libero arbitrio, anche se costretto. Mi ucciderò.

Dynamene  Oh, no, Cromis, no. È senza nesso. Un simile errore non nasce da un puro incidente. Vederti appiccato? E come impiccarti solo perche non c'eri. Come possono impiccarti per avere per­duto un uomo morto? Ma è evidente che volevano perderlo o altrimenti non lo avrebbero impiccato. No. Tu mi stai spaventando per nulla, e mi riduci frenetica.

Tegeo          È il capo sei, paragrafo tre del regola­mento. È la condanna, l'ho già letta. E in mia con­danna, poiché debbo morire, lasciami morire qui d'amore, promosso dal tuo amore a torreggiare mo­rendo alto sulla mia nascita. Per amore di Dio fammi morire su un'onda di vita, Dynamene, con un gesto di cui avere orgoglio! Come potrei pre­pararmi alla morte sapendo che per l'ultima volta mi hai veduto nudo e strangolato a un agrifoglio? Degradato prima e poi impiccato...

Dynamene  Ma si pensa che io ami il caporale o te? È te che amo dalla testa ai piedi, fino agli estremi del mio spirito. Che farò se muori? Come potrei seguirti? Ti ritroverei laggiù a discutere di me con mio marito, paragonando i vostri sentimenti, scambiando reazioni... E dove andrei a nascondermi? Oppure dovrò vivere sola, ritrovando nella vira un'altra fonte di vita, in memoria di Virilius e tua?

Tegeo          Dynamene, no, questo no. Poiché ogni cosa nella vita degli uomini è breve agli occhi dell'indifferenza, consentiamo che almeno il nostro amore echeggi e si perpetui unicamente quanto il tempo permette.

Dynamene  Ma Cromis, tu dicevi...

Tegeo          Certo abbiamo sentito che la nostra pas­sione era più che mortale. Debbo morire credendo che morirà con me?

Dynamene  Cromis, non devi morire. Sarebbe un'offesa alla verità.

Tegeo          Non posso vivere per essere impiccato. Sarebbe un'offesa alla vita. Dammi la spada, Dy­namene. O mia Ade, quando pallida appari, mi dissangui. Potrei morire senza spada, silo veden­doti soffrire. Presto rèndimi il cuore sulle labbra ed io vivrò quanto mi resta delle mie ambizioni in un ultimo bacio.                                               

Dynamene  Oh no, no, no. Benedire il tuo abbandono? Mai, Cromis, mai.  Baciarti  e lasciarti andare? Amartri, perché ti abbia la morte? Lo specchietto  delle corti marziali, dovrei essere? Chi immagina  la  disciplina delle anime spedendole via dalla terra? E quale disciplina? Cromis, l'amore è la sola disciplina, e noi siamo discepoli d'amare A questo io ti tengo, ti tengo, ti tengo...

Tegeo          Tutto è deciso dalla sezione sei, para­grafo tre del regolamento il quale ha più potenza che  amore.  Può  soffiare sulle  grandi  candele del creato. E mi rende capace dell'impossibile, di la­sciarti, di fuggire dalla luce che ti tiene.

Dynamene  No!

Tegeo          O mio buio, è così. Addio, mia cara memoria della terra, carissima più di quanto mi aspettassi. Avevo torto a pretendere che i nostri attuali voti tu serbassi al vuoto imminente. Ti fa­rebbero un peso al mondo, mentre devi essere, come sei, una forma di luce. Dynamene, distogli il capo. Sto per consentire alla mia spada di risolvere gli enigmi.

Dynamene  Cromis, ho capito. So. Virilius ci aiuterà.

Tegeo          Virilius?

Dynamene    Mio marito può essere l'altro corpo.

Tegeo          Tuo marito lo può?

Dynamene  Non ha altro uso che starsene a giacere qui con noi, nella sua bara. V'è motivo per cui non debba pendere al tuo agrifoglio? Meglio, meglio assai lui che non te ancora vivo. In ogni caso è preferibile a quell'oziare in corruzione.

Tegeo          Ma impiccare tuo marito, Dynamene... È terribile, terribile...

Dynamene  Come capisci poco. Io ne amavo la vita, non la morte. Ed ecco ora possiamo donare alla sua morte il potere della vita. Meraviglioso, non terribile. Capisci? Che di nuovo sia in grado di sentirlo muoversi nel mondo operando il nostro bene? È più di quanto potesse il mio dolore...

Tegeo          Che dirò?

Dynamene  Che mi ami, così come io amo lui e te. Celebriamo la salvezza. Dov'è la brocca? An­cora un po' di vino. Dividiamolo. Dimentica ora il nostro  terrore,  Cromis,  guardami.  Allontànati dal precipizio in cui per poco non sprofondavamo ambedue. Mio diletto, ti do Virilius.

Tegeo          Virilius, e tutto quel che segue.

(Doto riappare, con la brocca del vino, sulla soglia della tomba. Alza la brocca, e anche lei brinda).

Doto             Al padrone! Ai due padroni.

F I N E