Una lady per la morte

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una Lady per la morte

UNA LADY PER LA MORTE

Commedia in un atto unico

di GERMANO BELLUSSI

                                   

PERSONAGGI

LADY MACBETH

RE MAC­BETH

L'INTERLOCUTORE

LA DAMA DI CORTE

IL DOT­TORE

IL SACERDOTE

UNA VOCE

UNA SECONDA VOCE

CORTIGIANI

Commedia formattata da

Vari interni nel castello di Dunsinane, in Scozia, l’anno 1057. Re Macbeth è ivi assediato dall'esercito dei ribelli guidati da Lord Macduff. Voci si odono da fuori scena.

L’Interlocutore             - Vorrei parlarti della morte.

Lady Macbeth              - No; non ora.

L’Interlocutore             - Vorrei parlarti della morte.

Lady Macbeth              - No; non ora.

L’Interlocutore             - Vorrei parlarti della tua morte, ora.

Le voci si odono da fuori scena. Entra in scena all'ultima battuta l'interlocutore.

La Prima Voce              - Le ragazze hanno cosce di gazzella, ventre piatto ed i seni come caprioli sfuggenti la presa.

La Seconda Voce         - Che cosa è una Regina più di una ragazza di paese?

La Prima Voce              - Le ragazze hanno profumo di muschio, colore di sabbia assolata e vibra­zioni d'arpa sotto le carezze dell'amore.

La Seconda Voce         - Che cosa è una Regina più di una ragazza di paese?

La Prima Voce              - Le ragazze vivono l'amore o lo fingono e tra la vita e la finzione la differenza è soltanto una sfumatura.

La Seconda Voce         - Che cosa è una Regina più di una ragazza di strada?

La Prima Voce              - Le Regine si illudono di poter inventare il loro destino, di essere leggere e libere, di non avere bagagli nel loro cammino. Sono come turiste giunte con i soldi in tasca ed i sogni in testa alla stazione di una città sconosciuta. Credono di poter fare tutto ciò che vogliono. E forse lo possono fare effettivamente quello che vogliono, ma una volta soltanto. Poi una volta compiuta la prima scelta le condiziona L'essere andate a destra anziché a sinistra, l'essere scese all'Hotel Hilton invece che alla locanda dell'Aquila Nera, l'avere preso i tram anziché i taxi, ha segnato il loro destino. Compiuta la prima scelta tutto è definito, concluso; tutto non potrà che avvenire secondo una rigorosa causalità. Lady Macbeth, ad esempio, ha armata la mano di suo marito, ha fatto sgozzare il suo Re, ha lavate le mani dell'assassino. Avrebbe potuto non farlo, certo, ma, una volta fatto questo, tutto è divenuto previsto, segnato, a voler guardare bene, anche banale. A questo punto Lady Macbeth è come la solita ragazza di campagna che ha accettato un bacio dal giova­notto del fondo vicino e da ciò è derivato che un prete ha benedette le loro nozze, che ha messo al mondo cinque figli ed ha lavorato sui campi come una schiava per tutta la vita. La storia avrebbe potuto essere stata scritta in anticipo con assoluta precisione. In queste condizioni la vicenda diviene banale; a chi potrebbe interes­sare? A chi mai può interessare la storia di Lady Macbeth, Regina di Scozia?

L’Interlocutore             - Non è così. Innanzi tutto, se vogliamo essere precisi, anche la prima scelta era condizionata e questo è un fatto sufficiente a mettere in crisi la tua tesi. In secondo luogo, determinati o meno, certi fatti inquietanti pre­sentano per noi un grande interesse. Almeno per me essi hanno un alto grado di suggestione. voglio vedere come muore Lady Macbeth.

Dottore                         - Il Re si preoccupa da qualche tempo con una particolare insistenza delle sue condizioni di salute.

Lady Macbeth              - Lo so, e la prego di credere che la sua non è solo amorevole sollecitudine.

Il Dottore                      - Lo immagino. Credo di avere letto nel suo cuore le ragioni di una tale inquietudine.

Lady Macbeth              - Davvero?

Il Dottore                      - Sì. Penso che egli riterrebbe di cattivo augurio che ai vari rovesci della fortuna, in questi ultimi tempi per lui particolarmente oltraggiosa, si dovesse aggiungere anche la ma­lattia della Regina.

Lady Macbeth              - Oh no! Anzi! Come lo cono­scete male !

Il Dottore                      - E perché mai allora?

Lady Macbeth              - So già che le apparirà strano quello che sto per dirle, in quanto non corri­sponde certo alla immagine che di Macbeth il mondo si è fatta. Ma questa immagine è ingannevole. Chi più di me del resto lo può sapere? Vede; Macbeth è di fondo un uomo con ben radicati principi morali. Per conquistare un trono doveva uccidere un vecchio sovrano che aveva già un piede nella fossa; altri per molto meno ha riempito di stragi la terra; io invece ho dovuto forzarlo a questo, e le assicuro che non è stata una impresa facile. Quando per ragioni di stato doveva condannare a morte un amico, ed il cielo sa se ai Re questo non accada di frequente, viveva ore di ansia, trascorreva notti insonni, rimaneva ogni volta profonda­mente turbato nel suo spirito. Il delitto non è mai divenuto per lui un affare di ordinaria amministrazione. Questo, a lungo andare, ha finito per logorargli i nervi. E' un uomo di principi morali e religiosi. Basti considerare che ha sentito addirittura il bisogno di andare come penitente in pellegrinaggio a Roma da Papa Leone IX, distribuendo in quella occa­sione una fortuna ai poveri. Cose da non cre­dersi. Ora dice di vedere i fantasmi degli assas­sinati, e non dubito che li veda davvero. Fatti del genere però accadono soltanto ai fanciulli ed ai pazzi, e lui dovrebbe avere da tempo supe­rata l'età della ragione. Così ora, in nome di una più alta giustizia, esige dal cielo la mia morte. Una morte possibilmente tempestosa e drammatica, che faccia colpo sul grosso pub­blico. Esige la morte del suo cattivo demone. Questa sarebbe per lui la ennesima testimo­nianza della esistenza di un ordine divino con­tro cui sia pericoloso andare, della possibilità di una vendetta divina inflessibile custode di quell'ordine. Ha paura di Dio, ma non può farne a meno e invoca ogni giorno una nuova testimonianza della sua esistenza. Assomiglia a quei fanciulli che pur potendole nascondere, raccontano alla mamma le loro birichinate per essere puniti e ritrovare così la loro pace. Que­sto è l'uomo che regge le sorti della Scozia, poveri noi, non è davvero meraviglia che le cose vadano così male!

Il Dottore                      - Sì, è possibile, e questo spiega anche le sue improvvise vocazioni mistiche, quel suo sostare a lungo in preghiera, l'isolarsi dal mondo. Se comunque questo è quello che desidera il Re, temo che debba rimanere deluso. Lei gode di una invidiabile salute. Lei non vede certo i fantasmi.

Lady Macbeth              - Per grazia di Dio, no, io non vedo i fantasmi. Vedo però le cose come sono e sono messe davvero male. E inoltre io non credo ai miracoli, del resto non ho neppure dei meriti che mi consentano di pretenderne qual­cuno.

Il Dottore                      - Le cose sono messe davvero male, su ciò non v'è dubbio. Quanto potrà resistere questa ultima roccaforte del Re? Io non sono certo un esperto di cose militari ma non mi faccio troppe illusioni. Del resto tutti lo hanno già abbandonato. Quanto a lungo potrà com­battere ora che è praticamente solo. Tutta la Scozia è con Lord Macduff, la nobiltà, il popolo, il clero, persino la diplomazia straniera. Non v'è dubbio, è una situazione disperata.

Lady Macbeth              - Si è proprio così. Per questo dovrò regalare a Macbeth la mia morte, e lo farò con la stessa ripugnanza con cui gli davo il mio corpo quando aveva bisogno del mio amore. Oh tempi lontani! Ora passa le notti a pregare o a guardare la foresta di Birnam che per caso non si metta in movimento, secondo la profezia delle streghe.

Il Dottore                      - Perché morire? Lei non corre alcun pericolo. Le donne passano incolumi attraverso le battaglie.

Lady Macbeth              - Non è che morire mi faccia piacere, ma non vedo altra soluzione. Cadere nelle mani dei miei nemici, implorare salvezza, accettare l'esilio, no, non si addice al mio tem­peramento. Preferisco essere tra coloro che giu­dicano piuttosto che tra coloro che sono giudi­cati. Meglio morire, e bisogna farlo dignitosa­mente, da vera Regina, poiché ricopro questa dignità. E non manca più molto tempo. Dottore, conto su di lei in questo momento.

Il Dottore                      - Su di me? Oh no!

Lady Macbeth              - Sì, conto su di lei; e bisogna fare presto, non ho più molto tempo a dispo­sizione.

L’Interlocutore             - E' infatti quasi l'alba ed il cielo si sbianca ad Oriente.

Lady Macbeth              - Parliamo allora, dal momento che ne hai desiderio. Cosa vuoi sapere?

L’Interlocutore             - Se valeva la pena.

Lady Macbeth              - No.

L’Interlocutore             - E' stato troppo alto il prezzo?

Lady Macbeth              - Anche questo, sì, ma non sopra tutto questo. E' durato poco ma forse avrei accettato il giuoco anche se avessi saputo che doveva durare solo dodici anni.

L’Interlocutore             - Cos'altro allora?

Lady Macbeth              - Non ho avuto in cambio ciò che volevo.

L’Interlocutore             - Ti ha delusa il regno?

Lady Macbeth              - Sì, proprio questo.

L’Interlocutore             - Ed il piacere del comando?

Lady Macbeth              - Su di chi comandavo? Su pochi servi senza dignità né intelligenza, senza idee. Che gioia può dare a comandare su gente simile? Che cosa comandavo poi? Oh la grande politica di uno stato relegato ai confini del mondo.

L’Interlocutore             - E la ricchezza?

Lady Macbeth              - Un Re non è più ricco dell'ul­timo dei suoi Pari, padroni di terre e castelli, veri Re nei propri domini. Che cosa avevo più delle grandi signore del mio regno? In che cosa potevo risplendere su di loro?

 

L’Interlocutore             - Ed il piacere di uccidere? 1

Lady Macbeth              - Per altri forse, non per me. I Io non ho un temperamento sadico o, almeno, I avrei bisogno di un sadismo più intelligente e I più raffinato, più mediterraneo. Il delitto do­veva essere all'occasione un buon mezzo, e co­me tale l'ho usato. Nulla di più.

L’Interlocutore             - Ed a qual fine l'hai usato?

Lady Macbeth              - Per prendermi e, poi, conser­varmi il potere. Quel potere che nei miei sogni di ragazza doveva assicurarmi l'appagamento della mia lussuria e del mio desiderio di lusso; ma ho dovuto constatare che l'una e l'altro si addicono più alle cortigiane che non alle Regine. Alle Regine si addice invece l'austerità, io non

10 sapevo, e se lo avessi immaginato avrei pre­sa un'altra strada. Ma è sempre così: le scelte fondamentali vengono fatte nel silenzio della ragione. Le Regine vengono rispettate come si conviene al loro rango, anche a letto. Sai che divertimento! Tutto questo naturalmente l'ho appreso quando era troppo tardi. Sono stata una cattiva Regina, avrei potuto essere una deliziosa cortigiana, e mi sarei divertita di più.

L’Interlocutore             - Ed ora?

Lady Macbeth              - Ora, la morte.

(La scena è divisa in tre settori, in ciascuno dei quali viene recitato un monologo. Solo il settore in cui si recita deve essere illuminato).

Primo Settore

Il Dottore                       - (ad un gruppo di cortigiani) La morte, miei cari, è la impossibilità di fondo i che accompagna le umane vicende. Vivere vuol dire scegliere, anzi avere la possibilità di sce­gliere, ma scegliere vuol dire uccidere, ed uc­cidersi. Due possibilità sono davanti a me, io faccio la mia scelta. L'una o l'altra troveranno verificazione, ma in ogni caso scegliendo avrò cancellato una delle due possibilità. E questo vuol dire dare inizio al processo della morte. Però anche la possibilità che ho prescelta mi può venire strappata, non viene mai a costi­tuire per me un possesso stabile e definitivo. Per questo se la possibilità non si apre perennemente ad una nuova possibilità, allora il giuoco si chiude. Resto a mani vuote. Si veri­ fica allora quella che io definisco la impossi­bilità totale. E questa è quella che gli uomini chiamano: la morte. Anche i più abili giuocatori, i filosofi ed i santi, non sanno rilanciare all'infinito la loro possibilità. E' infatti carat­teristica dello stesso meccanismo della scelta, che lo spazio riservato alle possibilità progres­sivamente si restringa, fino a sparire, ad un certo momento, ineluttabilmente.

Secondo Settore

La Dama                       - Preparare con ferma fede la for­mula della resurrezione. La fede muove le mon­tagne, trasforma il mondo, compie miracoli, segna gli eletti e li separa. La fede è vita, e la sua tecnica è il mistero. Tobia è uscito dal ven­tre della balena; Gesù di Nazareth da quello più profondo ed antico della terra. Iside invit­ta ha raccolto le sparse spoglie dello sposo di­vino. Dopo la morte è la vita, dopo la tenebra è la luce, questo è stato visto dagli illuminati di tutti i tempi. Impariamo anche noi a guar­dare al di là del consueto orizzonte, al di là di ogni umana saggezza, al di là degli insegna­menti della stessa fede codificata. Operiamo nel seno del mistero la nostra salvezza, in questa ora di morte.

Terzo Settore

Il Sacerdote                  - (ad un gruppo di fedeli) La morte, o fedeli, sia per noi come il buon Pa­store che raccoglie le pecore disperse e le ri­conduce all'ovile. Ivi, riconosciute dal Padre, le pecore godono nella continuità dei tempi per i meriti di nostro Signor Gesù Cristo. La morte sia pertanto attesa ed accettata da noi in se­rena letizia. Ore gravi sono quelle che stiamo vivendo, di esse parleranno le cronache. Noi poveri ed umili, così come i grandi che paiono dominare queste vicende tragiche, attendiamo la voce del Padre che ci chiami. Nell'attesa della nostra ora ultima recitiamo le parole del­la preghiera: comunque non la nostra ma la tua volontà sia fatta.

L’Interlocutore             - Ora la morte. Sei preparata.

Lady Macbeth              - Sì. Quando si è compreso si

è preparati.

L’Interlocutore             - E la condanna?

Lady Macbeth              - Quando si è compreso si è

assolti.

Re Macbeth                  - Sarà condannata. L'ira che sale verso il castello, la vendetta in forma di fore­sta che quasi per magia muove verso il castello non è contro di me, anche se io ne sarò la vittima. Sono innocente. Si può essere innocenti anche con le mani sporche di sangue. Sì, sono innocente. Lei è la causa di tutto, sarà condan­nata dagli uomini e da Dio. Sono i suoi ultimi palpiti di vita. Sì, è definitivamente perduta. La condanna pesa sopra di lei e la schiaccia. La schianti! Muoia dannata! Neppure in cielo vi è ormai forza che possa salvarla. Cosa ha fatto di me, a che cosa mi ha ridotto. Quanti delitti ha commesso! Oh le sue mani sporche di sangue! Le sue piccole ingannevoli mani! Le sue carezze! Muoia! Sgualdrina! L'ultimo suo giorno, l'ultimo mio giorno. Uniti nella mor­te come nell'amplesso, che nausea! Non poter uscire dal suo orizzonte, non poter trovare scampo, non poter ritornare solo! La foresta di Birnam si muove verso il castello secondo la profezia. Ora so; uomo non nato di donna mi trafiggerà secondo la veridica profezia delle streghe. Uomo tratto anzi tempo dall'utero ma­terno segnerà la mia fine. Ed allora venga pre­sto e quanto prima sia tutto finito. Perché ho creduto? Non sapevo forse che le parole dell'in­ferno celano sempre un inganno? Non sapevo forse che i fantasmi della terra non pagano mai con buona moneta? Non sapevo forse che l'amore rende ciechi e l'ambizione prepara le vie della rovina? Perché ho voluto questo regno? perché? perché ho goduto su quel corpo, perché ho placata la mia voglia in quel ventre osceno, perché ho pagata con una corona la voluttà di poche notti? Non vi erano forse in Scozia altre donne ad aspettare Macbeth, il vincitore, il primo nel regno dopo il Re? Oh Gruah, maledetta la tua pelle di donna, la tua sporca pelle di donna, maledetto il giorno in cui ti ho chiamata Lady Macbeth ! Maledetta la morte che mi sale alla gola come un sin­ghiozzo! Maledetta sgualdrina! Maledetta!

(Le voci fuori scena; in scena all'ultima battuta l'interlocutore).

La Prima Voce              - La fertile terra di Scozia ha vasti prati, roride erbe e bianchi cieli per lun­ghi riposi.

La Seconda Voce         - Chi potrà trovare riposo nella morte se non coloro che hanno cammi­nato nelle vie della luce?

La Prima Voce              - La fertile terra di Scozia ha grandi mani ed un profondo grembo per la pace dei suoi figli.

La Seconda Voce         - Chi potrà trovare riposo nella morte se non coloro che hanno cammi­nato nelle vie della luce?

La Prima Voce              - La fertile terra di Scozia can­cella il mondo con un velo di polvere sopra gli occhi dei suoi figli troppo stanchi.

La Seconda Voce         - Chi potrà trovare riposo nella morte se non coloro che sono stati osser­vanti della legge di Dio?

La Prima Voce              - Verranno i figli dei figli a cer­care la tomba leggendaria di Re Macbeth e troveranno soltanto le mura diroccate del ca­stello. Berranno alle fonti pure guardando la foresta di Birnam e non crederanno troppo alla leggenda che porta questo nome. Gli inna­morati si siederanno sui torrioni, nidi di uc­celli, e parleranno di sogni e di concreti pro­grammi per una vita insieme. Conteranno i soldi e si sporcheranno di baci la bocca. Ver­ranno di lontano a cercare le tombe della triste coppia senza preoccuparsi troppo di conoscere la vera storia, così assillati dagli impegni della vita di ogni giorno, dall'ingranaggio dei rap­porti umani. Per loro Re Macbeth non sarà più di una tappa in un giro turistico organizzato da una compagnia di viaggi, come una mostra di quadri od un ristorante a buon mercato. Al­lora Re e Lady Macbeth non saranno più.

L’Interlocutore             - Sarebbe più esatto dire che vorrebbero, forse, non esserci più.

Il Sacerdote                  - Allora, quali nuove?

Il Dottore                      - Usciranno appena si sia levato il sole; il Re vuole morire in battaglia. Oramai tutti lo sanno.

Il Sacerdote                  - Nasce un triste giorno. Dovre­mo dunque piangere la morte del nostro Re?

L’Interlocutore             - Non sarà solo il Re che noi dovremo piangere, oggi.

(Prima la dama sola, poi gli altri).

La Dama                       - Ha voluto rimanere sola. Sta bru­ciando e non vuole essere vista, spiacevole an­ticipo dell'inferno che la attende. Ha voglia ed è sola. Per il cielo, questa è giustizia. Ha voglia di un uomo ed è sola. Era tempo. Si ri­volti nel suo letto, la sgualdrina. E' sola ed ancora più lo sarà domani, e lei lo sa. Si tor­menti, si frughi nel cuore, cerchi pace, non la troverà. Paghi! Tutto sta finalmente crollando attorno a lei. E' Regina, ma del suo regno non le è rimasto che un castello assediato. E' ricca come lo sono poche sulla terra, ma non sa più cosa farsene dei suoi forzieri ripieni. E' don­na, ma non ha neppure suo marito per fare all'amore. Muoia! Siamo state spente vicino a lei, noi, le prime del regno. Nessuna era potente come lei, nessuna ricca, nessuna seducen­te come lei. Ha avuto ciò che ha voluto, ma ora è finalmente giunta la nostra volta. Tutto sta ora cambiando. I Re crollano, le Regine tre­mano nelle loro stanze, si affilano nel clamore di guerra le armi della vendetta. I castelli inidono alla sicurezza degli uomini, il tempo alla stolta vanità delle donne. Le potenze dell'infer­no non possono più fermare la santa mano di Dio. Muoia. Io ho un uomo per le mie notti, e lei no. Io ho un avvenire e lei trema come una foglia perché non sa quello che le faranno. Tre­mi ! E' la mia vendetta. E' la nostra vendetta. La vendetta degli umili che devono piegare il capo e le ginocchia, che devono ascoltare e ta­cere, che devono sorridere ed approvare anche quando non ne hanno voglia. La vendetta de­gli umili, di coloro che sopravvivono. Muoia!

Il Dottore                      - Dov'è la Regina?

Il Sacerdote                  - Dov'è la Regina?

La Dama                       - E' a letto, sola.

L’Interlocutore             - Sola!

Lady Macbeth              - Aspettano?

L’Interlocutore             - Sì.

Lady Macbeth              - Che io muoia?

L’Interlocutore             - Sì.

Lady Macbeth              - Tutti?

L’Interlocutore             - Sì.

Lady Macbeth              - Sono proprio sola.

L’Interlocutore             - Sola.

Lady Macbeth              - Non importa, del resto forse lo sono stata sempre.

L’Interlocutore             - Infatti non ha molta impor­tanza.

Lady Macbeth              - E allora?

L’Interlocutore             - Cosa?

Lady Macbeth              - Suvvia, insegnami, come deve morire una donna che ha sbagliato tutto, ma che giunta all'ultimo atto della sua commedia ha finalmente visto chiaro. Non sei forse qui per questo?

L’Interlocutore             - Hai qualche cosa da im­parare?

Lady Macbeth              - No, è vero ! So perfettamente quello che mi aspetta e quello che mi resta da fare. Non sono di quelle che strillano perché non vogliono morire, né di quelle che piangono perché vi è qualche cosa che le tiene legate al passato con i vincoli del rimpianto.

L’Interlocutore             - No, per fortuna non sei di quelle.

Lady Macbeth              - Mi spiace, solo un poco, che gli altri si possano immaginare questa scena in un modo molto più romantico.

L’Interlocutore             - Gli altri hanno mai contato molto nelle ore-limite?

Lady Macbeth              - No, non hanno mai contato molto. Lo debbano sapere o meno me ne andrò come una donna che non rimpiange ciò che lascia e non teme troppo ciò che la attende. E devo riconoscere che è più facile di quanto non avessi immaginato.

L’Interlocutore             - Naturalmente.

Lady Macbeth              - Mi sento come se fossi restata solo ragione. Vuota e limpida. In un certo sen­so mi pare di essere diventata soltanto ora la padrona del giuoco che sto vivendo. Padrona perché estranea. I fatti bisogna proprio abban­donarli per poterli intendere. Bisogna vederli dall'alto.

L’Interlocutore             - Senza concedere loro il no­stro cuore, senza, quasi, parteciparvi. Il mondo deve essere per noi come un paziente sul ta­volo operatorio, su cui il nostro pensiero opera a freddo, professionalmente.

Lady Macbeth              - Sì, è proprio così. Non so se questa che mi accingo a recitare sia la mia par­te, ovvero soltanto una parte come l'altra occa­sionalmente recitata da me in questi anni. Vor­rei però che fosse la mia parte, per sempre.

L’Interlocutore             - E se non fosse la tua parte, falla tua con violenza. Impregnati di lei. Non lasciare che la maschera passi ad altri. E' la parte che è stata assegnata ai predestinati alla salvezza.

Lady Macbeth              - Lo so. E mi viene da ridere. Dio ha certo più fantasia dei suoi ministri sul­la terra, ed un apprezzabile gusto per lo scan­dalo. Per quali strade si può giungere alla sal­vezza !

L’Interlocutore             - Per molte ed inaspettate, infatti. Però non è ancora detto.

Lady Macbeth              - Invece sì, è proprio detto. Comincio a sentire le membra sciogliersi in un dolce torpore. Il veleno sta facendo il suo ef­fetto, e la sua azione è rapida e certa. Io non sbaglio il colpo, di delitti ho una certa esperienza. Non vi è per me più tempo per ripen­samenti ed errori. Meglio così.

L’Interlocutore             - Allora buona fortuna, Re­gina, ci rivedremo molto presto.

Lady Macbeth              - Sì, molto presto.

Il Dottore                      - (ad un gruppo di cortigiani) Non, non è certamente una cosa facile capire il senso di queste vicende. La morale che se ne potreb­be trarre ad un esame troppo superficiale non appare per nulla convincente. Vi è qualche co­sa che sembra quasi volerci sfuggire come se dopo un rigoroso discorso, giunti al momento di trarre la conclusione cui volevamo appunto pervenire, ci venisse a mancare, d'improvviso, l'interesse a farlo. Come se negassimo senza ragione fiducia a quella conclusione pur man­tenendola invece piena ai singoli passaggi che a quella conclusione ci hanno ineluttabilmente condotto. Perché ciò avvenga io non so. Non bisogna chiedere troppo ad un povero medico anche se un poco letterato ed un poco filosofo. Se avessi una figlia, non le augurerei certo il regno di Lady Macbeth, ma piuttosto la tomba di una delle tante infelici vittime di quella donna. Eppure non vorrei essere il suo giudice. Re Macbeth è stato chiaramente lo strumento di forze estranee. Non è stato mai il respon­sabile; ma proprio per questo la sua vita ci appare dispersiva, non autentica, condannabile in sommo grado. Lady Macbeth ha invece scrit­ta la sua storia, trovata la sua strada, operata la sua scelta; è stata la responsabile. Può es­sere forse questo il primo, timido passo, sulla via del conseguimento di un valore umano, di una salvezza umana? Forse. Io non lo so. Ma poi, mi chiedo, è stata davvero libera Lady Macbeth, e noi che cerchiamo rozzamente di interpretare e di dare un senso a queste cose, a tutte le cose, siamo davvero liberi? I nostri giudizi sono davvero soltanto nostri? E le no­stre azioni non sono piuttosto delle « actiones liberae » in causa? Signori, ripeto, io sono sol­tanto un medico e giunto ad un certo punto mi fermo. Se alcuno, tra voi, sa andare oltre, sia lode alla sua pericolosa intelligenza.

FINE