Una lampada alla finestra

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Commedia romantica in tre atti

di Gino Capriolo

PERSONAGGI:

Dick

Miss Daisy Campbell

Sir Edward Campbell

Peter Gray

Miss Nancy Hodgery

Sir Godfrey Fielding

Margaret

In un piccolo paese d'Irlanda, nei dintorni di Dublino.

LIBRERIA DEL TEATRO

Borgo SS. Apostoli 35 r. - FIRENZE

PROPRIETÀ RISERVATA

Per la rappresentazione dev'essere chiesto il permesso alla Società Italiana

 degli Autori ed Editori  in  Roma  -   Via   Valadier, 37.

PREFAZIONE

Questa commedia la scrissi quand'ero paggio del Duca di Norfolk, e cioè a diciannove anni.

Tratta da una leggenda irlandese, già sfruttato l'argomento in un romanzo inglese poco noto, la com­media, che ristampo così com' era, risente di me d' al­lora: un po' gracile e un po' romantico, incline alle commozioni rosa dei cambi di stagione e molto ansioso di sogni, di strade e d'innamoramenti subitanei.

Ma ebbe la sua fortuna, anche troppa: e forse fu la mia fortuna.

Perché fu rappresentata dalla Compagnia di Annibale Betrone, e poi dalla Compagnia di Emma Gramatica, con Memo Benassi, in tutta Italia, e dovunque piacque al pubblico, e spesso piacque alla critica: fu questa, anzi, che diede il colpo di grazia al già vacil­lante edificio della mia carriera d'autore drammatico.

Perché la critica disse, e disse troppo, attraverso voci autorevoli, e ci fu chi annunciò addirittura il «gaudium magnum».

Avevo, ripeto, diciannove anni: ed ero alla mia terza commedia: in un anno, il 1924, tre commedie: troppe anche per un autore sul serio. La prima ebbe varia fortuna, sorretta della grazia sentimentale di Andreina Rossi: la seconda vita brevissima, condotta dalla malìa formosa di Marga Cella. La terza fu la «Lampada ».

Non m'aspettavo un successo così rapido, deciso e vigoroso. E mi sgomentai. Bisognava tornare dinanzi alla critica ed al pubblico, l’una e l'altro così affet­tuosi con me e beneauguranti, con qualche cosa di sempre più degno, per non far pentire chi aveva scritto per me parole più grandi di me, per non deludere chi m'aveva applaudito e chiamato più volte ad una ri­balta, in città diverse e difficili, adolescente sconvolto dalla emozione e dalla gratitudine.

Ecco perché sono passati, in un silenzio che rac­coglie sul mio piccolo nome l’oblio ogni giorno più denso, dodici lunghi anni.

Ora non so più se mi sarà concesso di ricominciare : la carta Manca mi scoraggia, le necessità quotidiane della vita m' inaridiscono. Ogni tanto qualcuno, fretto­loso ed amichevole, mi domanda: « E tu ? Dopo la « Lampada », più nulla? E lavori? »

Non so mai cosa rispondere: vorrei mentire, e dire: « Lavoro ». Non è vero: non lavoro più; o lavoro troppo, per altro.

L'ho detto: ho messo pancia: appena appena, si sa. E so che nel secolo nostro varrebbe più dare ai miei bimbi, se fosse possibile, un' Alfa Romeo, che un nome non oscuro. Il che non consente crocevia romantici ad una strada che è fredda e grigia.

Non mi si domandi più se lavoro: chi ha, una volta almeno nella vita, sfiorato con le dita commosse la veste amabile della fortuna, sa che a chiedermi « E tu?» non può che darmi un po' di amarezza.

E non ho tempo da perdere per esser triste.

GINO CAPRIOLO

ATTO   PRIMO

La camera da pranzo, a pianterreno, dei Campbell: mobilio modesto e ricco insieme, all'antica. In fondo, a sinistra, la madia; verso destra una finestra spalancata. Nel centro della scena, una tavola, con alcune sedie; a sinistra e a destra un divano e poltro­ne. Due porte a sinistra e due a destra dello spettatore.

È la sera.

(Edward è al tavolo e scrive. Daisy e Godfrey sono vi­cini, sul divano e parlano piano tra loro).

Edward. -    (è un vecchio settantenne, semi-inebitito da­gli anni e dai dolori: è chiaro che lo perseguita un'idea fissa, che dà al suo sguardo un'espressione allucinata ed alla sua voce un tremito strano; scri­vendo, legge ad alta voce) « Si avverte il signor Hilary Campbell, fuggito dalla casa paterna or sono dieci anni, che suo padre 1'aspetta ed è disposto a perdonarlo ». Credete, Daisy, che se il mio piccolo Hilary leggerà questo avviso, verrà spontaneamente?

Daisy. -        (con dolcezza) Ma certo, babbo!

Edward. -    E poi, qualcuno saprà darci sue nuove, se egli non leggerà!

Daisy. -        Naturalmente.

Godfrey. - Io, per dir vero, signor Edward, crederei inutile questo ripetere l'avviso: il mese passato esso non ebbe alcuno effetto.

Edward. -    (irritato) Voi dite delle sciocchezze, Godfrey!

Daisy. -        (piano a Godfrey) Non contrariatelo, vi prego: lasciamogli l'illusione.

Godfrey» - (piano a Daisy) A volte, è peggio.

Edward. -    (quasi a sé, ma ad ogni  tratto  alzando la voce e rivolgendosi rabbioso a Godfrey) Io domando come si può immaginare che questo avviso non abbia  alcun risultato! In una gazzetta così  importante co­me quella di Dublino, poi... Hilary ha letti  sempre i giornali:   anche   quando  non  glielo  permettevo, da bambino, egli li leggeva di nascosto, ed ora avrebbe dovuto dimenticare questa sua passione solo  per far piacere a voi, che volete sostenermi che non  noterà il mio avviso... Ma via! Se  ne   avessi voglia, mi fa­reste ridere, veramente!

Daisy. -        (cercando di calmarlo) Su, babbo; non v'irri­tate. Godfrey scherza.

Edward. -    Ma non è questo il caso di scherzare! Bene, poi del resto l'avviso sarà pubblicato lo stesso, e vedrete, uomo di poca fede.

Godfrey. - Nessuno più di me può augurarvelo, signor Edward. La vostra felicità è la mia, dacché vi ho chiesta in sposa Daisy.

Edward. -    (rabbonendosi) Lo so, lo so: ma mi esaspera il  vostro  spirito  di  contraddizione. Il mio piccolo Hilary tornerà per chiedermi perdono. Riprenderemo la nostra vita, allora... Del resto, il mondo non è poi tanto  grande  come   si  racconta, e gira e gira, una volta  egli  passerà  di qui, e vedrà  la mia lampada alla finestra.   Saprà  così  che   la sua casa è sempre pronta a riceverlo.

Godfrey. - Avete  forse  ancora la pessima  abitudine di lasciare tutta la notte  una lampada  accesa  sul davanzale?

Edward. -    Sempre! Perché?  

Godfrey. - Ma questo è un  pianterreno, e lo scherzo è pericoloso! È quasi una maniera elegante di invitare i ladri.

Daisy. -        (scuotendo il capo con sorriso) Oh! No, di certo. Il paese è sicuro. Chi volete che venga a rubare? Tutta gente alla buona, che vive delle sue faccende, e non s'impiccia d' altro.

Godfrey -   Ma qualcuno, passando...

Edward. - Malgrado le vostre storie, la lampada rimarrà al suo posto. Come farebbe, altrimenti, il mio piccolo Hilary, arrivando di notte?

Godfrey -   Via, è infantile!

Edward. -    (alzandosi furioso) Non crederete certo di venire a impormi qualcosa, vero? Noi non siamo nella libera Francia: è nella tradizione della nostra bella razza irlandese che il capo di casa rimanga sempre il capo di casa, e comandi a suo piacere. (ripreso dal pensiero del figlio, intenerendosi) E poi, quel che faccio è più che logico... (quasi piangendo) più che logico, ecco! Povera creatura mia! Andrebbe cercando la sua casa, disperatamente, nel buio! Sono passati dieci anni, da quando fuggì per desiderio di ve­dere il mondo. Ebbi solo una sua cartolina da Wexford, un mese e mezzo dopo: e poi più nulla... Avrà patito forse la fame... il freddo... povera creatura mia!

Godfrey -   (severo) Egli è stato con voi tanto cattivo che meriterebbe lo dimenticaste!

Edward. -    (con un balzo) Dimenticarlo? Ma che cosa dite mai? Ma è il mio sangue, è la mia vita, è tutto, il piccolo Hilary. Come si può dimenticarlo? Quando si diventa vecchi, si vorrebbe averli tutti d' attorno, i propri figliuoli, perché vi diano pace e serenità. (guar­da dinanzi a sé, illuminandosi nel volto) E poi, ora avrà ventisei anni: non sarà più il ragazzo ribelle che non mi ascoltava e anelava alla libertà più sfrenata. Ora sarà un giovanottone quadrato, d'una bellezza maschia. L' appoggio del suo vecchio padre... Tornerà: oh! se tornerà! Lo sento, ecco: ne sono sicuro. Purché torni, farà quello che crederà meglio. Anche nulla. Il pane non potrà mancargli, nella sua casa... Ventisei anni! Bello! (rattristandosi d'im­provviso, più piano) Bello...

Daisy. -        (tenera, andandogli vicino) Babbo...

Edward. -    (avviandosi verso il primo uscio a sinistra e asciugandosi gli occhi col dorso della mano, in un singhiozzo) Bello... (via lentamente).

Daisy. -        (guardando verso l'uscio da cui è uscito Edward) Tutto inutile...

Godfrey. - (rude) È molto stupido quello che fate. Molto stupido.

Daisy. -        Non c'è altro mezzo per non ucciderlo di do­lore. Anche i medici che 1'hanno visitato sostengono che una scossa troppo forte basterebbe a sconvolgere il suo cervello, oggi soltanto turbato da un'idea fissa.

Godfrey. - Io credo, invece, che sarebbe il modo di gua­rirlo quello di dirgli: « Non v'illudete! Vostro figlio è morto e per giunta in galera, come meritava!...

Daisy. -        Non siate crudele, Godfrey!

Godfrey. - Non sono crudele, ragiono.

Daisy. -        Ma ragionate brutalmente. Questo atroce ricordo non può non far male anche a me.

Godfrey. - Ma se io lo risveglio in voi è perché vi per­suadiate che la mente malata di vostro padre diverrà di nuovo sana solo quando avrà saputa la verità nuda. È questo dubbio, questa folle speranza che 1'uccidono lentamente. Ascoltatemi.

Daisy. -        No, no: nessuno mai mi potrà far comprendere una tale necessità. Essa è così profondamente dolo­rosa che tutto il mio spirito si ribella. Bisogna na­scondergli tutto, farlo attendere fino all'ultimo. Pri­ma anch'io mi esaltavo, gioivo nella speranza che Hilary tornasse, ma quando seppi, ora è un anno, che egli era finito nel gelo di una cella non so come ebbi la forza di soffocare la disperazione.  E da un  anno io  fingo,  io  secondo i suoi folli e dolorosi  capricci, perché, povero babbo, non sappia, non comprènda, e possa ancora sperare, come io non posso più.. (china il  volto tra le mani).

Godfrey. - (la guarda, seccato: scuote le spalle, accen­dendo la pipetta) Le lagrime non servono a nulla e voi le avete sempre pronte.

Daisy. -        (sollevando il viso, stupida) Già... (scrutandolo) Da qualche tempo, Godfrey, voi non siete più lo stesso. Eravate così tenero, così gentile, da principio: io credevo di poter vivere un giorno con voi in una grande felicità e dare un po' di sole alla mia vita monotona. Mi accorgo ora che qualche cosa che non conosco, e che vi chiedo, vi ha mutato.

Godfrey. - (alzandosi turbato) Ma che idee strane avete, a volte! A che cosa potete attribuire questo muta­mento immaginario? Sono sempre quello di prima. Non molto espansivo, è vero: ma... è questione di temperamento!

Daisy. -        No: deve esserci qualcosa di più. Quando siete qui da noi mi accorgo che fremete  dall'impazienza, come   se  desideraste   di andar via. E poi, mille pic-coli episodi, ai quali voi stesso non date  grande importanza, ma che mi  impressionano fortemente, per­ché non c'è spirito più accorto e penetrante di quello che ama. Ed io vi amo, lo sapete...

Godfrey. - Lo spero: e so di amarvi anche io. A mio modo, si intende...

Daisy. -        Molto a vostro modo!

Godfrey. -  (freddo e mordace) È un interrogatorio? Al­lora domandatemi pure, grazioso giudice: sono qui per rispondere.

Daisy. -        Non siate ironico: Non pretendo nulla. Solo sento confusamente che c'è qualcosa che vi allontana da me.

Godfrey. - La vicinanza di vostro padre ha indiscuti­bilmente turbato un poco anche il vostro cervello.

Daisy. -        (pallida e altera) È molto volgare quello che dite.

Godfrey. - (riprendendosi) Perdonatemi. A volte sono irriflessivo nel modo di esprimermi.

Daisy. -        (come s.) Spero che sia solamente questo.

Godfrey. - (è imbarazzato; giocherella con la penna che è sul tavolo; poi decidendosi) Io vado via.

Daisy. -        Buona sera.

Godfrey. - Saluterete per me vostro padre.

Daisy. -        Certamente.

Godfrey. - Buona sera. (le tende la mano, ma Daisy non la stringe) Siete ancora in collera con me? Via, siate buona: e stringete la mia mano.

Daisy. -        (la stringe leggermente con un sorriso forzato).

Godfrey. - (via da destra, seconda porta, con un in­chino; ripassando dinanzi la finestra spalancata saluta di nuovo) Buona sera.

Edward. -    (da sinistra, prima porta) È andato via?

Daisy. -        Sì.

Edward. -    Mi ha irritato con quella sua aria saccente. (ridendo nervosamente) La lampada! Spegnere la lampada! Cose straordinarie! E poi è convinto lui, che Hilary non tornerà! Invece... (misterioso, a voce bassa) Io posso dirvi, mia cara, che quest'inverno egli è venuto. Quella notte, appunto, che il vento spense la lampada, povero il mio ragazzo, io lo sentii camminare per la strada: cercava la sua casa... Al­lora m'affrettai ad affacciarmi e a chiamarlo: ma invano! Era già andato via, perché la lampada era spenta... (guardandola, sconsolatamente) Ma voi nem­meno mi credete!

Daisy. -        (impressionata e commossa) Sì, babbo, vi credo. Ma ora non vi stancate più oltre. È già tardi.

Edward. -    Sì, vado a coricarmi. Anche voi, vero? Sarete stanca: oggi avete camminato molto con Godfrey.

Daisy. -        Oh! no, sino dagli Hodgery: sono stata un po' con Nancy. Ma vado a dormire ugualmente.

Edward. -    (baciandola sulla fronte) Buona notte, allora. E mandatemi Margaret con la lampada.

Daisy. -        Sì, buona notte. (via da sinistra, seconda porta).

Edward. -    (accomoda delle carte sul tavolo; da sini­stra, seconda porta, Margaret con la lampada).

Margaret. - (è una vecchia governante) Eccomi, signore.

Edward. -    Qui, date qui! (va a deporre la lampada sul davanzale).

Margaret. - Volete altro, mio signore?...

Edward. -    No, buona notte... (fa per avviarsi verso si­nistra, prima porta, poi si ferma) Aspettate! Avete serbato qualche cosa in cucina, come al solito?

Margaret. - Sì, mio signore, della carne fredda... dell'insalata... tutto quello che ho potuto; ma io credo che...

Edward. -    Non vi chiedo pareri, vi comunico degli or­dini. Sarebbe bello che egli tornasse e dovesse an­dare a letto a stomaco vuoto!... (uscendo da sini­stra, prima porta) In questa casa bisogna sempre ripetere le stesse cose!... (via).

Margaret. - (scuotendo il capo con un sospiro) Mah!... (spegne la luce di centro; rimane accesa solo la lampada sul davanzale; Margaret via da sinistra, seconda porta).

Dick. -         (dalla strada a gola spiegata): Nel cielo di Rush ci sono le stelle: le stelle più belle nel cielo di Rush...

Peter. -        (sempre dalla strada, ridendo) Bravo il poeta!

Dick. -         (ripetendo):

Nel lungo cammino

mi sono sorelle

le limpide stelle

del cielo di Rush...

(appare dietro la finestra: caccia il capo dentro e guarda) Toh, vecchio mio! Una lampada e una stanza! Non c'è nessuno. A meno che non ci sia qualcuno dietro gli usci. Ohi di casa! (sta ad ascol­tare) Venite qui, Peter. Non c'è anima viva. E sem­bra una stanza da pranzo: non occorre dirvi altro. (inchinandosi) Buona sera alle ombre!

Peter. -        Che ombre?

Dick. -         Quelle del mobilio. Dite un po', vecchio mio: in generale nelle camere da pranzo ci sono dei resti di banchetto.

Peter. -        (grave) Credo. Io non ho mai posseduta una camera da pranzo.

Dick. -         Allora... perché non mangiare?

Peter. -        L'idea non sarebbe cattiva: ma se ci sorprende qualcuno?

Dick. -         Ebbene... potrà indicarci 1'uscio o la finestra!

Peter. -        O meglio chiamare la polizia.

Dick. -         (dandogli una manata sul capo) Non dite enor­mità! È chiaro che siete poco pratico: a quest'ora in un piccolo paese non c'è un cane di sgherro a pagarlo un miliardo di sterline.

Peter. -        (serissimo) Vi ho già detto che l'idea mi va, mio signore! Non mangiamo da ieri!

Dick. -         E allora, meno  chiacchiere.  Si entra. (scavalca il  davanzale;  prima  di entrare   definitivamente nella stanza si guarda intorno sospettoso) Non vor­rei una sorpresa. Bah!  (entra  portando con sé la lampada che pone sul tavolo)  A noi Peter!  (Peter entra anche lui scavalcando: è un tipo gracile e tisicuzzo di alcolizzato; invece Dick ha l'aria vigorosa del bel vagabondo e il suo portamento spa­valdo fa strano contrasto con gli abiti  laceri che ha indosso),

Peter. -        (guardandosi intorno) Ma sono matti in questa casa!

Dick. -         O sono gentili con i vagabondi: c'è da discu­tere! Ma... non parlate troppo ad alta voce, perché non vorrei sostenere insieme a voi una discussione filosofica con una famiglia in subbuglio.

Peter. -        (con una smorfia) Non m'abbasserei. Discutere di filosofia con dei provinciali, io, un antico profes­sore di belle lettere al liceo Dundalk!

Dick. -         Privato, ahimè! troppo presto dell'onorifico in­carico.

Peter. -        Per una ingiustizia!

Dick. -         Di che ingiustizia m'andate parlando! So bene le vostre faccende! Sfido, vi facevate pagare i di­plomi di licenza dieci sterline!...

Peter. -        (ridacchiando) A volte anche quindici! (guar­dando intorno) Ed ora che si fa?

Dick. -         Anzitutto, s'accende la luce. Ci sarà un commu­tatore, no? (alza la lampada per vedere sui muri) Ah! eccolo! (accende) Quindi ci si dà alla ricerca! (aprendo un cassetto della madia) Nulla: coltelli e forchette.

Peter. -        (guardando) Anche dei cucchiai!

Dick. -         (brusco) Non pretenderete che faccia come i giocolieri di Dublino, che mangiano il ferro!

Peter. -        (umile) Qui si tratterebbe di argento!

Dick. -         Sì, ma io voglio mangiare: a quest'ora l'argento non lo si baratta.

Peter. -        (cogli occhi accesi) Ma lo si potrebbe barattare domani, mio signore!

Dick. -         (imperioso) Tacete! Comando io! E con me non ci sono professori che tengano. Non cerco una licenza di liceo. (apre un altro cassetto) Biancheria da tavola e fina! Non ci sono nemmeno dei rattoppi!

Peter. -        (malignamente) Come quelli del vostro abito.

Dick. -         Il mio abito è mio... quindi acquista valore per questo solo fatto. A quanto sembra, quel che manca in questa casa è proprio la roba da trangugiare!

Peter. -        Bisogna cercare ancora.

Dick. -         (guardando) Sul tavolo, niente; sulle sedie, tanto meno. E allora?

Peter. -        Allora... nulla!

Dick. -         Ma io ho fame.

Peter. -        Anch'io: ma che farci?

Dick. -         (guardando sulla madia) Del wisky, se non sbaglio. (afferra la bottiglia, toglie il tappo e l'an­nusa) Hum!

Peter. -        (eccitato) Un sorso anche a me, mio signore!

Dick. -         Bevo prima io, per provare. Se è cattivo non ve ne do nemmeno una goccia. Potrebbe farvi del male... Del resto è appena un quarto di bottiglia! (lo beve tutto).

Peter. -        (lamentoso) Un sorso solo, ve ne prego!

Dick. -         (asciugandosi le labbra) Pessimo! Era pessimo!

Peter. -        (c. s.) Un sorso!

Dick. -         É finito!

Peter. -        (piagnucolando) Ma io ho sete...

Dick. -         In piazza c'è una fontanina: potrete dissetarvi.

Peter. -        Ma 1'acqua non disseta!

Dick.- -        Ma cosa dite, vizioso! L'acqua è igienica: il wisky fa male.

Peter. -        (cerca d'afferrare la bottiglia) Vediamo se ce n'è rimasto in fondo! (Dick lo respinge; nella col­luttazione la bottiglia cade e va in frantumi).

Dick. -         Patatrac! Ed ora accorrerà tutto il paese!

Peter. -        (cercando fra i cocci) Avete visto? Ne era ri­masto ancora un poco!

Dick. -         Venite via! Svignamocela prima che ci sorpren­dano! (sta per scavalcare di nuovo la finestra).

Edward. -    (da sinistra, prima porta, in veste da ca­mera; è sbattuto e tremante) Chi è? Cosa succede?

Dick. -         (togliendo il cappello, sfacciatamente) La buona notte, signore!

Edward. -    (c. s.) Chi siete, voi?

Dick. -         Dick, a servirvi; passavo col mio amico, qui presente... (indica Peter, che trema di paura, in un angolo) Peter Gray, professore al liceo di Dundalk; ho visto questa lampada sul davanzale, ed essendo collezionista di mobili, ho pensato di dare un'occhiata alla vostra camera da pranzo.

Peter. -        (avvilito) Già... siamo... collezionisti...

Edward. -    Un momento! (guardando fisso Dick, con voce tremante) Un... momento... Chi siete voi?...

Dick. -         Ma ve 1'ho detto! Dick.

Edward. -    E... perché... siete... entrato?

Dick. -         (con spudorata indifferenza) Se è lecito, signore, perché voi ponete quella strana lampada alla vostra finestra?

Edward. -    Aspettavo qualcuno...

Peter. -        (riprendendo coraggio a poco a poco, sereno) Qualcuno? Ma, signore, « qualcuno » potrei essere io, e potrebbe essere un altro; anche il mio amico. Tutti possono esserlo. « Qualcuno » è troppo poco ed è molto insieme: non è una persona, signore!

Edward. -    (smarrito) Non vi comprendo. (a Dick) Ma voi... voi... Io conosco la voce... ed anche il vostro viso... Un momento! Non andate via...

Dick. -         Mi dispiace, ma ho un appuntamento.

Edward. - Non andate via... (quasi singhiozzando) Il viso... e la voce... Sì, sì, la voce, specialmente!... Un po' cambiata di tono... più sonora... ma quella... (apren­do le braccia; piano, quasi con timidezza) Hilary!

Dick. -         (guardando indietro) Chi è?

Edward. -    Hilary, mio piccolo Hilary! Finalmente! Do­po dieci anni, così lunghi a passare! Perché mi avete abbandonato, figlio mio? Ogni sera ho posta qui la lampada... Non avete mai letto gli avvisi sulla « Gazzetta » di Dublino?

Dick. -         (a Peter) Ma è pazzo?

Peter. -        (grave) Chi sa! Egli aspettava qualcuno!

Edward. -    Non cercate di mentire, ora siete tornato! Vi perdono... non vedete che vi perdono? Anche Daisy... ed anche Margaret... Tutti... vi aspettavamo... tutti... (è scivolato lentamente fino alla finestra; ora la chiude d'un balzo e vi si appoggia per impedire l'uscita) Non cercate di fuggire di nuovo, ora...

Dick. -         Ma io non cerco affatto di fuggire: siete un'ot­tima persona, caro signore, e la vostra compagnia è piacevolissima...

Edward. -    (piangendo) Non così, Hilary! Non mi potete ingannare: vi riconosco, ora, benissimo: gli occhi, la bocca... tutto, vi dico. E perché allora non confes­sare? Siete voi! Siete voi!

Dick. -         Sono io, certamente: e mi vanto di non essere lui! (indicando Peter).

Edward. -    Non sviate il discorso e ditemi « padre »; oh! ne ho così bisogno, sapete! Ho sofferto tanto!

Dick. -         Già, la vita è fatta di sofferenza, ma non capisco perché dovrei chiamarvi padre!

Edward. -    Ma perché siete Hilary Campbell, il mio fi­gliuolo fuggito di casa or sono dieci anni!

Dick. -         Ah! (guardando Peter) Voi non sospettavate, vecchio mio, che io fossi il figlio del signor Campbell. Ma ora lo dice lui: non c'è dubbio, vero?

Peter. -        (sbalordito) Certamente... nessun dubbio...

Edward. -    Grazie, signore, grazie! (a Dick) E allora, Hilary, venite qua, sul mio petto!

Dick. -         (allegro) Ma  senza esitazione, signor Campbell! (lo abbraccia).

Edward. -    Caro! Caro! Ma non chiamatemi signore: chiamatemi padre. Anzi, babbo Edward.

Dick. -         Babbo Edward, va bene.

Edward. -    Anche voi avrete sofferto, vero?

Dice. -          Mah! Io non so mai quale sia il momento op­portuno per accorgermi di soffrire.

Edward. -    Tutto era preparato per ricevervi... La ca­mera... vedete?... la vostra camera!... (indicando il primo uscio a destra) Così come la lasciaste.

Dick. -         Ho anche una camera? Ma benone! (salutando burlescamente) Come state, signora camera?

Edward. -    (ridendo commosso) Burlone!... Ma ora chiamo Daisy... è divenuta una signorina, ora, sapete? È anche fidanzata. Chiamo Daisy e Margaret... Ri­cordate la vecchia Margaret, tanto buona? Vi faceva saltare sulle sue ginocchia, bambino. Vi ricordate? (chiamando a sinistra, seconda porta) Margaret! Daisy!

Dick. -         (grattandosi un orecchio) Ahi! l'affare si complica!

Peter. -        Io me la svigno.

Dick. -         Zitto; e qui fermo. Ci vuole spudoratezza a que­sto mondo. E poi, chi sa che codesta storiella non ci dia da mangiare, stasera!

Daisy. -        Babbo! (fermandosi stupita a guardare i nuo­vi venuti).

Edward. -    Daisy, piccola mia, avevo ben ragione a porre la lampada alla finestra! Sapevo, io, che sarebbe tornato!

Daisy. -        Ma...

Edward. -    Non vedete? È Hilary, il nostro Hilary!

Margaret. - Signore, qui c'è un equivoco!

Dick -          (interrompendola, gaio) Ossequio il sesso gen­tile e prego credere che non c'è equivoco di sorta!

Daisy. -        (piano a Edward) Babbo ma non vedete? È tutto lacero e non è lui...

Edward. -    (iroso) Come non è lui? Ma io non mi sba­glio nelle mie cose e vi proibisco di non aver fede nei miei occhi. (guardando Dick, con affettuoso rim­provero) Che sia lacero, meglio: imparerà così che la fortuna non la si cerca pel mondo e che bisogna accontentarsi della propria casa! Vero, Hilary?

Dick. -         Naturalmente, quando però si ha una casa!

Edward. -    Ma voi l'avevate, mio caro! Ma basta ora siete tornato e non ci si pensa più... Piuttosto, avre­te fame?

Dick. -         (guardando Peter) Ah, sì... Peter, amico mio, non ricordate se abbiamo o no pranzato?

Peter. -        Sono di memoria labile, come tutti i pensatori: ma mi pare di ricordare di essere digiuno...

Edward. -    E allora, presto, presto, Margaret! La carne fredda, l'insalata... il wisky?...

Dick. -         Ah, il wisky? (a Peter) Già, il wisky... È qui! (indica i frantumi della bottiglia).

Edward. -    E chi avrà fracassato la bottiglia?

Peter. -        (indeciso) Il gatto, forse... I gatti non conoscono la legge sulla proprietà!

Dick. -         (risoluto) Ma no, professore, perché non dirlo? Sia­mo stati noi, per la verità... Avevamo sete, ed allora...

Edward. -    Roba da nulla! Ce n'è dell'altro!

Peter. -        (raggiante) Davvero, signore?

Edward. -    Davvero! Margaret, affrettatevi! (guardando Margaret che non si muove) Ma che fate 1ì ferma come una mummia?... Capisco, 1'emozione! Vecchia, vecchia... Allora vado io... Un momento, mio caro... un momento solo... (via da Sinistra, seconda porta, in fretta).

Daisy. -        (risoluta a Dick) Mi spiegherete, spero...

Dick. -         (calmissimo) Un momento: non ho nulla da spiegarvi. Vostro padre ha detto tutto lui, fatto tutto lui... Io non c'entro. Sono entrato perché avevo fame; ora mangio e poi vado via. Non vi basta?

Daisy. -        (nervosa) Credo bene che ve ne andiate! Voi... e quest'altro... (indica Peter).

Peter. -        (dignitoso) Prego, signorina: io sono Peter Gray, professore di belle lettere al Liceo di Dundalk.

Daisy. -        E allora perché non rimanere a Dundalk, piut­tosto che venir qui ad ingannare la buona fede di un vecchio che, lo avrete compreso, non è a posto col cervello e che crede di vedere in quest'indivi­duo (indicando Dick) il figlio... (fermandosi e prose­guendo poi più piano, con sforzo) il figlio che è morto lontano di qui, senza che egli ne sappia nulla?

Dick. -         Voi insistete molto erratamente sul verbo « ingannare »; noi non abbiamo ingannato nessuno. Anzi, dapprima ho dichiarato di essere semplicemente Dick e di non conoscere nemmeno questo vostro fratello, Hilary Campbell. Ma il signor Edward ci teneva tanto ed è una persona così compita, che io non ho avuto il coraggio di deluderlo.

Daisy. -        E avete fatto malissimo. Del resto, nulla di stra­no, visto che siete...

Dick. -         (pronto) Un vagabondo, ditelo pure. E poi? Cre­dete di avermi offeso? Ma affatto! Avete semplice­mente enunciata la mia professione: una professione alle volte un po' pericolosa, ma non più di quella del medico che rischia sempre di uccidere l'ammalato, né di quella dell'ingegnere, che può veder crollare una casa dopo averla costruita.

Daisy. -        Ragionate molto, ma convincete poco.

Edward. -    (da sinistra, seconda porta) Ecco, ecco... Della carne fredda, dell'insalata e del buon wisky... (posa sulla tavola e toglie dalla madia tutto l'oc­corrente).

Dick. -          Siete veramente gentile.                                

Edward. -    Ma che dite mai, figliuolo mio!

Daisy. -        (aiutandolo) Sì, babbo: ora questi signori  mangeranno e poi andranno via... Egli non è Hilary, disilludetevi!...

Edward. -    Non è Hilary? (smarrito,  si volge a guardare Dick) Il viso... la voce... No, no!  È lui. È inutile fare discorsi schiocchi per ingannarmi. È lui!

Dick. -         (a Daisy) Vedete?

Daisy. -        No, babbo, posso giurarvi... ed anche il signore può giurarvi...

Edward. -    (battendo i piedi come un bambino  bizzoso) È lui, è lui! Non giurate; non vi credo!...

Daisy. -        (esasperata, piano a Dick) E  allora, vi prego, rimanete per questa notte; domani, più calmo, si persuaderà...

Dick. -         (gioioso)  Davvero? Posso  rimanere? Avrò  un letto, così...  (guardando  Peter, con  un po' di dolcezza con la voce aspra) E... il mio amico?

Daisy. -        (c. s.) Potrà acconciarsi alla meglio sulla poltrona che è nella camera del mio povero   fratello... Ma domattina, via!

Dick. -         Bene, signorina e grazie.

Daisy. -        (c. s.) Non è il caso di ringraziarmi: non lo faccio certo per voi, ma per il babbo... se fosse per me, stareste da un pezzo in guardina.

Dick. -         (ironico) Davvero! Siete feroce! (a Peter,  allegro) E allora, a pranzo! (versandosi del wisky) Alla salute degli ospiti.

Edward. -    (timido e felice) Dite pure della vostra famiglia ritrovata!

Dick. -         (guardandolo) Famiglia? (un po' commosso) Ebbene, sì:  della  mia famiglia ritrovata! Permettete, signorina Daisy?

Daisy. -        (a Margaret) È esasperante!

Peter. -        (mangiando) Ah! questa carne fredda!

Dick. -         Vi raccomando anche l'insalata.

Peter. -        E il wisky! (a Edward) Il miglior wisky che io abbia bevuto! (a Dick) E voi dicevate poc'anzi...

Dick. -         (piano) Zitto, imbecille!

Peter. -        Tanto, avete già confessato tutto! Affermava, dunque, che era cattivo!

Edward. -    (premuroso) Ne volete di qualità diversa?

Dick. -         No, no: scherzavo! Non ascoltate questo professoraccio! Non sa mai quel che si dica: era il giudizio unanime di tutti i suoi alunni!

Peter. -        (irritato) Ero rispettatissimo!

Dick. -         (ridendo sgangheratamente) Ah! ah! ah! rispet­tatissimo! Se mi raccontaste finanche, una sera che eravate ubriaco, che vi gettavano sul viso delle pallottoline imbrattate d'inchiostro!

Edward. -    Piuttosto che dire cose spiacevoli al vostro amico, narratemi, Hilary! Che cosa avete fatto in tutto questo tempo?

Dick. -         Io? Mah! Ho girato!

Edward. -    Siete stato anche a Dublino qualche volta?

Dick. -         Certo, più volte!

Edward. -    E non avete mai pensato di venire da me, cattivo!

Peter. -        Se avessimo saputo che c'era del wisky di que­sto genere, saremmo venuti di certo!

Edward. -    (piano a Dick, misteriosamente) Cercate an­cora di mentirmi: credete forse che non m'accorsi della vostra venuta, quella notte, lo scorso inverno? Ah! ah! Cattivo ragazzo! Un babbo che aspetta il figlio è sempre sveglio!

Dick. -         (stupito) Già!

Edward. -    E perché non tornare prima?

Dick. -         Che volete! Ho girato mezzo mondo: l'Inghilterra, la Francia, la Spagna...  Anche in America sono stato. Ma poi mi sorpresero che vendevo liquori clandestinamente e dovetti fuggire.                       

Edward. -    (con doloroso stupore) Anche questo, Hilary?

Peter. -        (ridendo) Anche peggio, anche peggio!

Dick. -         (tirandogli un calcio di sotto la tavola) E zitto!

Edward. -    Oh! non dovevate tardare tanto!

Dick. -         Cosa potevo fare? Più camminavo pel mondo e più avevo voglia di camminare. Quando ci si sente liberi e soli è così bello girare senza mèta, vivere alla giornata! (una pausa; poi con un'ombra di tristezza) Ora, per verità, sono un po' stanco...

Edward. -    E vi riposerete, mio piccolo Hilary! Vi ripo­serete per tutta la vita; la vostra casa è qui, qui il vostro babbo e la vostra sorellina. Farete quel che crederete di fare... (disperatamente ansioso, scrutan­dolo) purché non ve ne andiate di nuovo!

Peter. -        Ma no! Ci siamo... (guardando la bottiglia del wisky) e non ce ne andremo più! (solenne) Quando nel deserto trovi un'oasi ed un pozzo, o pellegrino, fermati e pianta la tua tenda, né ti curare se dinanzi a te c'è una strada lunga!

Dick. -         (alzandosi) Ah... sono a posto!

Peter. -        Io non ancora (continuando a mangiare).

Edward. -    Margaret! andate ad accomodare un po' la stanza del mio Hilary.

Margaret. - (andando verso destra, prima porta, inde­cisa) Ma... volete proprio, mio signore?

Edward. -    (irritandosi) Certo! Deve forse rinunciare a dormire, stanotte? (Margaret via, scuotendo il capo).

Edward. -    (a Dick, con tenerezza) Se fosse per me ri­marreste in piedi tutta la notte a discorrere col vo­stro vecchio padre; ma non lo chiedo nemmeno: avrete sonno...

Dick. -         Certo, un po' di sonno...                              

Peter. -        Un po' molto! La notte passata abbiamo dor­mito malissimo, in un fienile.

Edward. -    (preoccupato) Avrete preso del freddo...

Dick. -         (ridendo) Ma no! Ci sono abituato, e poi è primavera.

Edward. -    (a Peter) Avete finito, signore?

Peter. -        Quasi; 1'occasione di mangiare sul serio capita di rado e, quando capita, mangio per tre giorni.

Dick. -         E smettetela, ora! Non vedete che non c'è più nulla?

Peter. -        Più nulla? E questo pane, non lo considerate? (sarcastico) Già, ora siete divenuto il signor Campbell, possidente, ma io sono sempre un povero professore...

Dick. -         Meno spirito; a letto!

Peter -         E va bene! (s'alza con la bottiglia del wisky sotto il braccio).

Dick. -         Giù quella bottiglia! Volete ubriacarvi, forse?

Peter -         Ma, signore...

Dick. -         Giù, dico! (gliela strappa e la posa sul tavolo; a Daisy) Dovete scusarlo, ma quando vede del wisky dimentica ogni più elementare correttezza!

Peter. -        Eh! Hilary invece ha tale un'abitudine, a star nelle case delle persone perbene! (via da destra, prima porta).

Edward. -    Ed allora, caro ragazzo, stringete la mano alla vostra sorellina!

Daisy. -        Ma... babbo... (stende la mano a malincuore).

Dick. -         La stringo, ma piano, per non farvi male...

Edward. -    Buona notte, figliuolo mio!

Dick. -         Sì... (guardando fisso dinanzi a sé, con un leg­gero tremito nella voce) Buona notte, babbo!

FINE   DELL'ATTO   PRIMO


ATTO   SECONDO

La stessa scena del primo atto. È il mattino.

Margaret. - (spolvera i mobili accuratamente).

Daisy. -        (da sinistra seconda porta) E uscito il babbo?

Margaret. - Sì; la solita passeggiata.

Daisy. -        E... (indicando il primo uscio a destra) Sua Eccellenza?

Margaret. - Dorme, come al solito, fino a tardi. Sfido! La notte va gavazzando con i suoi amici!

Daisy. -        Io mi domando fin quando durerà questo insopportabile stato di cose!

Margaret. - Fin quando vostro padre non capirà il suo errore.

Daisy. -        Ne dispero: è così sicuro, lui, e così gioioso di riavere il figlio!

Margaret. - È una tegola inattesa; e poi quel tipo co­manda a bacchetta, come se davvero fosse il padro­ne, qui!

(Godfrey e Nancy da destra seconda porta.)

Godfrey. - Buon mattino!

Nancy. -      Buon mattino, mia cara! (abbraccia Daisy). Non siete gelosa, eh? Ho incontrato il signor Godfrey che veniva qui da voi  e  mi son lasciata accompagnare.

Daisy. -        Ma via! Gelosa di voi? Non ci mancherebbe altro!

Godfrey. - Quell'individuo è ancora in casa, naturalmente?

Daisy. -        Ahimè!, sì.

Godfrey. - Ma è ormai una settimana che va innanzi questo stupido scherzo e mi sembra ora di finirla.

Daisy. -        Cosa volete, Godfrey! Ragionare col babbo è inutile; non ha potuto far nulla nemmeno il colon­nello Dadson, malgrado gli abbia rivelata la vera morte di Hilary.

Godfrey. - Ed io devo, intanto, sopportare tutto questo! Un uomo di quel genere, un mascalzone, un vaga­bondo, far qui da padrone, vivere con voi, nella stessa casa, come un vero fratello.

Daisy. -        Oh! Con me è educatissimo, anzi. Sono l'unica che gli incuta un po' di timore.

Godfrey. - Ma c'è anche pericolo che vi derubi.

Daisy. -        No, è chiuso tutto a chiave.

Nancy. -      So che è con lui anche un amico.

Daisy. -        Quello poi non ce 1'ho voluto affatto. Dick s'è persuaso e lo fa dormire alla locanda; viene a pren­dere qui da mangiare ogni giorno.

Margaret. - E a volte ci conduce certe sue conoscenze, delle facce da galera che fan paura.

Godfrey. - Ma voi lo dite col tono di chi si diverta, quasi!

Daisy. -        Che idea!

Godfrey. - Bene: gli parlerò ancora una volta, da solo a solo, a questo farabutto che s'è installato quassù. Voglio sentire che cosa potrà dirmi.

Daisy. -        State attento, Godfrey: è un uomo pericoloso.

Nancy. -      Davvero? Io ardo dal desiderio di conoscerlo.

Daisy. -        Oh! ve ne disgusterete presto, mia cara: è volgare, brutale...

Godfrey. - Sciocco.

Daisy. -        (vivamente) Sciocco no: tutt'altro.

Nancy. -      Eh! che ribellione! Ne sareste forse un po' presa?

Daisy. -        Io? Per carità!

Nancy. -      E allora... perché non farlo sloggiare a mezzo della polizia?

Daisy. -        Ma sarebbe un colpo terribile, per mio padre: non è possibile. È un vecchio: la sua mente non è sana: s'è annebbiata nella inutile e angosciosa attesa. Ed egli è ora così convinto, nella sua cieca passione, che Dick sia veramente il figlio, che strapparglielo così d'un tratto, violentemente, sarebbe ucciderlo.

Nancy. -      E allora?

Daisy. -        Allora bisogna sperare che quell'altro si decida ad andar via spontaneamente,  facendogli  credere in un lontano ritorno...! Ma, zitti! eccolo...

Dick. -         (esce da destra,  prima  porta, con viso asson­nato: indossa abiti non suoi, ma che gli vanno di­scretamente) Buon mattino, signori.

Margaret. -  (aspra)  Potreste   anche   dire   buona  sera, visto che non è poi così presto.

Dick. -         La vecchia  Margaret  fa una cosa nuova: bron­tola! (scorgendo Nancy) Oh, una signorina!  La mia devozione... (inchinandosi).

Nancy. -      Buongiorno, signore.

Dick. -         (sorridendo) Siete molto graziosa.

Godfrey. - (pallido e irato) Ma... signore...

Dick. -         Oh!  il signor Godfrey.  Quale  inatteso  onore! Sono due giorni che non vi si vede qui in casa: eravamo un po' preoccupati.  Ma  iersera  vi  scorsi per via con... (guardando Nancy) Ma sì, non sbaglio, con la signorina.

Godfrey. - (turbato) Ah! sì... forse... Andavamo dai Karendking: c'era anche la signora Hodgery...

Dick. -         (fissandolo negli occhi) Può darsi: ma io non ho visto altri...

Nancy. -      (per cambiare discorso) E... avete dormito bene? .

Dick. -         Sì, grazie. (a Margaret) Un po' duro, il letto. Vi sarei grato se, rifacendolo, batteste un po' i materassi.

Margaret. - (a sé) Che sfacciato!

Dick. -         Il signor Edward è fuori, non è vero,  come al solito? (nessuno risponde) Ah sì? Grazie. (a Margaret)Un'altra preghiera:  al mattino,  inzuccheratelo di più, il cioccolato. Quello di oggi era amaro come il fiele. (stirando le braccia) Ho  ancora sonno.  (a Daisy) E poi,  questo  vestito  di vostro padre mi va malissimo.  Il  sarto  non  si  decide a portare quello mio... Non c'è ordine, in questo paese.

Godfrey. - (ironico) Si aspettava voi.

Dick. -         Me? Già: ma ora sono venuto... a vostro dispetto!

Godfrey. - Mi sembra che scherziate troppo, giovinotto: attento alle vostre cose!

Dick. -         (irritato) Alle mie cose penso io: e non ammetto... (frenandosi, alle donne)  Scusatemi, signore: vi dimenticavo.

Nancy. -      (ridendo) Che originale!

Dick. -         Vero? Originalissimo: come volete! Fu colpa di mia madre, che mi lasciò su un canto di strada, appena nato. Dovetti così pensare  subito a me stesso: e, naturalmente, alla tenera  età  di   quindici  giorni, vidi il mondo a modo mio! Così divenni un originale.

Nancy. -      È amara, la vostra filosofia.

Dick. -         È sincera: non  piace  a  tutti...  a  Godfrey, per esempio, non...

Godfrey.  -  Vi  proibisco  di  chiamarmi, così, confidenzialmente.

Dick. -         (sarcastico) Perché? Non siete il mio futuro cognato?

Godfrey.  -  La vostra impudenza  è  esasperante. Del resto, con noi è inutile giocare  la commedia.  Anzi, desideravo parlarvi un po' da solo a solo.

Dick. -         A vostra disposizione.

Godfrey. - (alle donne) Vi  prego  di  lasciarci per  un momento, se non vi dispiace.

Daisy. -        Sì!... (piano) Attento. (a Nancy) Venite,  cara. Anche voi, Margaret!

Nancy. -      Eccomi. Permesso, signor Dick..

Dick. -         Vi prego.

(Nancy via, con le altre due, da sinistra, seconda porta).

Godfrey. - (a Dick) Dunque...

Dick. -         Dunque... Avete una graziosissima cravatta.

Godfrey. - Non è il momento di fare considerazioni este­tiche sul mio abbigliamento.

Dick. -         Ma, sapete, questa vostra cravatta deve ispirarmi per forza dell'ammirazione.

Godfrey. - Vi... prego di finirla. Volevo dirvi dunque che così non può più durare.

Dick. -         (calmo) Davvero? E perché?

Godfrey. -  Perché... perché si è oramai raggiunto il li­mite massimo di questo ridicolo inganno Voi avete approfittato della mania di un vecchio...

Dick. -         È un'ostinazione, questa, di tutto il paese. Io non ho approfittato di nulla. Ho reso semplicemente un servigio al signor Edward.

Godfrey. - Il signor Edward, voi l'avrete capito, è da dieci anni ammalato di mente: da dieci anni non pensa che al figlio, non sogna che il figlio: appena vi ha visto, e ha notato in voi una vaga rassomiglianza con il signor Hilary, ch'egli ricorda ancora giovanetto, non ha saputo comprendere di essere vit­tima di una illusione di maniaco.

Dick. -         Parlate con poco rispetto del vostro futuro suocero.

Godfrey. -  Parlo come mi pare: non accetto osserva­zioni da nessuno e tanto meno da voi. Ritornando a quel che vi dicevo, voi avete abusato vilmente di questa situazione assurda, imbarazzante, esasperante. Il vostro modo d'agire è del resto degno di quel che siete.

Dick. -         (freddissimo) Anche il vostro.

Godfrey. -  Naturalmente: io agisco secondo il diritto concessomi dalla mia posizione di fidanzato della si­gnorina Daisy...

Dick. -         Non parlate, vi prego, di posizione di fidanzato, ma piuttosto di posizione finanziaria.

Godfrey. - Cosa intendete dire?

Dick. -         Intendo dire che, indiscutibilmente, data la poco florida sostanza lasciatavi da vostro padre e la vostra naturale inclinazione al dolce far niente, a voi non dispiace la dote della signorina Daisy. Eh! in una settimana si possono sapere e capire molte cose... Ed ella intanto vi ama... (con rabbiosa amarezza) Sa­pete? Vi ama!

Godfrey. -  (fremendo) A chiunque altro avrei ricacciato in gola queste volgari insinuazioni. Ma non le rac­colgo, perché so da chi vengono: e voi non cercate che di sviare abilmente il discorso; vi affermo quindi che non sono disposto a sopportare più oltre tutto ciò, e che vi impongo, capite? v'impongo di lasciare questa casa.

Dick. -         (ironico) Siete delizioso, quando vi irritate! Ri­schiate per verità di guastare la linea perfetta della vostra eleganza provinciale, ma indiscutibilmente as­sumete un'aria guerriera che stordirebbe la più ele­gante delle parigine. Vi consiglio di usare questo metodo, quando vorrete conquistare una donna.

Godfrey. - (esasperato) Basta! Vi dico basta! Non di­scuto con voi per udire delle barzellette che puzzano di taverna, ma per obbligarvi...

Dick. -         (freddo e audace) Obbligarmi? Obbligarmi a che cosa, e in nome di che cosa? Ma non v'accorgete di essere un ridicolo personaggio da farsa che non metterebbe paura a un moscerino? E vorreste spa­ventarmi? Ma via! Ho battuto tutte le strade e sfi­dati tutti i pericoli, ho avuto dinanzi a me uomini che sapevano giocare di coltello come pochi, e non ho temuto mai nulla e nessuno, perché il peggior male che ci si possa fare, nel mondo, è quello di farci morire. E quando si è morti, non ci si pensa più. Ed ora dovrei preoccuparmi del vostro chiac­chiericcio da imbecille? Vi avverto che voi non mi impressionate affatto, e che discutere con me è per­dere tempo e fiato. Io me ne andrò di qui, solamente quando il signor Edward mi avrà detto « Andatevene! ». Discutete con lui, ora se vi pare.

Godfrey. - (acceso e furibondo) O con gli agenti di polizia!

Dick. -         Anche con loro: con me, è inutile.

Godfrey. - La vedremo.

Dick. -         Vediamola, dunque. Vi avverto, a proposito, di inviarmi gli agenti di polizia dopo le undici del mat­tino. Fino a quell'ora dormo.

Nancy. -      (da sinistra, seconda porta) Posso?

Dick. -         Ma avanti, avanti, vi prego.

Nancy. -      (a Godfrey) Avete finito?

Dick. -         Ma... certamente: desideravo anch'io questo pic­colo colloquio: sapete, amo le situazioni nette.

Nancy. -      Daisy era preoccupatissima.

Dick. -         Per il suo fidanzato? Ma no! Si discorreva da buoni amici.

Godfrey. - (fremendo) Ma...

Dick. -         Sì, sì: da buoni amici: vado a rassicurarla.

Godfrey. - Vi proibisco di andare da lei: andrò io.

Nancy. -      (piano a Godfrey) No: voglio parlarvi...

Dick. -         (ironico) Andiamo?...

Godfrey. - (non risponde).

Dick. -         (c. s.) Allora vado io?... (s'avvia verso sinistra).

(i due si accostano l'uno all'altro con movimento istintivo).

Nancy. -      Dunque?

Dick. -         (volgendosi) Ah! no! Eh! no! Prudenza, anzitutto, prudenza. Perché comincereste col parlare di me, e finireste col parlare di voi.  E  finché  ci sono io, in casa, niente colloqui teneri... (a un gesto di Godfrey) Niente colloqui teneri! Ho detto! (ridendo con asprezza) E non fate quel volto irritato! Non metto in dubbio la vostra... come devo dire?... one­stà... Che è nel fondo, si capisce! Fuori c'è 1'attra­zione reciproca... disperata... Che bella frase, eh?... L'attrazione disperata... Se qualcuno vi sorprendesse in flagrante delitto di tenerezza, vi consiglierei d'usarla. Fa un certo effetto!

Godfrey. - Ma non comprendo dove vogliate giungere...

Dick. -         (ironico, fingendo di non comprendere) Io? Ma sto benissimo dove mi trovo, e non voglio giungere a nulla. Solo desidero dichiararvi che sono meno idiota di quel che sembro... E che ho buoni occhi... Tanto da vedere che iersera... (a Nancy) Via! per­ché vi turbate? Credevate forse che fossi anch'io una povera ragazza di provincia, che non vede nulla e non vuol vedere nulla?... Una povera ragazza di provincia, chiusa in una casa troppo grande, sola con la sua inutile giovinezza, che si è aggrappata disperatamente al primo uomo che le è passato ac­canto e le ha detto, anche mentendo: « Vi voglio bene ». Disperatamente, come un prigioniero che vede dischiusa la porta della prigione e gridi: « So­no libero », non pensando di dover attraversare molti altri usci e ingannare molti altri guardiani prima di uscire al sole. No, no: ho buoni occhi, io, ve lo ripeto, ed ho veduto! Non ci voleva molto! Ma non temete, saprò anche tacere... Le vostre faccende, dopo tutto, non mi riguardano: e poi perché non lasciar illudere il prigioniero?... Perché non dargli la gioia di credere e di sperare?... Solo, finché io sono qui, niente colloqui teneri. Per  la pace  della  casa, ch'io non voglio turbata; e ciò per sentimento egoistico... Per la pace della casa, ecco...  (li guarda e ride con disprezzo) Poveri tutti  è  due!...  Ma pa­zienza!... Quando s'incontrano certi prepotenti.

Daisy. -        (da sinistra) Nancy, come mai...

Dick. -         Venite, venite pure, mia cara: eravate dunque in pena, eh? Già, con la vostra sollecitudine tenera...

Daisy. -        Ma, signore, il vostro modo di parlarmi è in­sultante...

Dick. -         ...Come al solito!... e poi?... Chiamate in aiuto Godfrey: vedete?... non si muove... Ciò mi persuade ch'egli non trova in me nulla d'insultante!...

Daisy. -        (non dandogli più ascolto, s'avvicina a Godfrey) Usciamo insieme, Godfrey; accompagneremo Nancy. (piano) Mi racconterete...

Godfrey. - Se lo desiderate...

Daisy. -        Andiamo, Nancy?... Vi accompagno con Godfrey...

Nancy. -      Grazie, cara... (a Dick, timidamente) Signore...

Dick. -         (inchinandosi) Signorina!

(i tre via a destra).

Dick. -         (va alla finestra e s'appoggia allo stipite, guar­dando i tre che si allontanano; chiude gli occhi, come per nascondere un'intima sofferenza; poi scrolla le spalle, con un gesto risoluto: verso sini­stra, aspro) Margaret! (più forte, impaziente) Margaret, dico!

Margaret. - (da sinistra, seconda porta, impermalita) Eh! che fretta! Come se foste davvero il padrone, santa pazienza!

Dick. -         Risparmiatevi dei commenti inutili. Vado nella mia camera! (altezzoso) Se viene qualcuno, avvisa­temi. (via da destra, prima porta).

Margaret. - Roba dell'altro mondo! (guardandolo con aria stupefatta).

Peter. -        (da destra, seconda porta; leggermente brillo) Salute alla nostra signora Margaret!

Margaret. - Non ci mancava che quest'altro, ora!

Peter. -        Salute, dunque!

Margaret. - Che volete, brutto coso?

Peter. -        Oggi non si mangia?

Margaret. - (investendolo) Ma avete tutta 1'aria di re­clamare un diritto!

Peter. -        Naturalmente! Quello di mangiare è uno dei diritti umani più sacri, riconosciuti finanche dal Van­gelo! E poi... sono o non sono l'intimo amico del vostro padroncino? Logicamente...

Margaret. - Logicamente, smettetela. Beh! Oggi si man­gia tardi perché non e'è nessuno in casa.

Peter. -        Male! Malissimo! Non e'è nemmeno il mio amico?

Margaret. - Quello sì, purtroppo!

Peter. -        E allora, perché dite che non c'è nessuno?

Margaret. - Perché Dick non conta!

Peter. -        Hilary, volete dire.

Margaret. - (imperiosa) Dick!

Peter. -        Hilary: domandatelo al signor Edward.

Margaret. - Andate al diavolo!

Peter. -        Ci vado... Ma con voi, adorabile signora... (cerca di afferrarla alla vita).

Margaret. - Giù le mani, orrido mascalzone! (gli affib­bia uno schiaffo).

Peter. -        (toccandosi la guancia indolenzita) Ecco quel che avviene ad un professore di liceo per voler dare troppa confidenza ad una serva! Bah! Mea culpa! mea maxima culpa! dicevano i latini. Chiamatemi il mio amico.

Margaret. - Chiamatelo voi, se vi aggrada. È nella sua stanza... cioè sua... Basta: io non m'incomodo certo; e poi, vado via, per non finire d'innervosirmi.

Peter. -        Ecco, sì: curatevi,  cara,  curatevi: il vostro è isterismo senile.

Margaret. - Auff! (via da sinistra, seconda porta).

Peter. -       (bussando alla porta di Dick) Ohé! Dick! Sono io, il vostro prediletto compagno di avventura! Ai posteri Peter Gray! Ohé, Dick! siete morto?

Dick. -         (aprendo d'impeto la porta) Ma che volete, seccatore?

Peter. -        Volevo salutarvi: vi dispiace? Allora ci rinuncio!

Dick. -         (guardandolo) Dite un po': avete bevuto? a quest'ora?

Peter. -        Bevuto? Mai e poi mai! Non bevo più! Sono divenuto astemio.

Dick. -         Si vede!

Peter. -        Vi giuro; sapete, se mi vedete un po' turbato è stato per una scenata con Margaret.

Dick. -         Ma voi avete deliberato di esasperare tutti!

Peter. -        Già! (ridendo sgangheratamente) Già! Voi invece...

Dick. -         Io so comportarmi benissimo.

Peter. -        Sicuro, ne ho avuto le prove or ora: il signor Godfrey urlava per la strada come un matto e le due donne che erano con lui non sembravano nem­meno loro troppo liete. Certo parlavano di voi...

Dick. -         Che ne sapete?

Peter. -        Sfido! Siete la loro preoccupazione; non credete certo di essere gradito e divertente.

Dick. -         (scuotendolo pel braccio) E con ciò? Debbo dar conto a voi, grosso idiota?

Peter. -        (piagnucolando) Ahi, Ahi! Mi fate male!

Dick. -         (lasciandolo; in uno slancio di aspra premurosità) Vi ho fatto male? Dove?

Peter. -        Dove? Ma al braccio...

Dick. -         Molto?

Peter. -        Sì... (esitante) Ma se mi date del wisky passa.

Dick. -         Andate via!

Edward. -    (da destra, seconda porta, appoggiandosi ad un bastone) Oh! Caro figliuolo!

Dick. -         Buongiorno, signor Edward!

Edward. -    Ve ne scongiuro, non chiamatemi così!

Dick. -         M'abituerò, a poco a poco.

Edward. -    (scorgendo Peter) E voi?

Peter. -        Io? Io ho fame.

Edward. -    (ridendo) È una cosa che vi accade spesso.

Peter. -        Già! il dominio della carne sullo spirito.

Edward. -    Del resto credo che si potrebbe anche mangiare. Dov'è Daisy?

Dick. -         È uscita con Godfrey.

Edward. -    E allora bisogna attendere. Voi, intanto professore, potete dire a mio nome a Margaret di darvi quel che desiderate.

Peter. -        Grazie. Vado a mangiare e poi schiaccio un sonnellino sulla ottomana. Meravigliosa, quella otto­mana! Non ne ho mai visto una simile! Potreste in­dicarmi il negoziante che ve l'ha venduta?

Dick. -         Per far cosa?

Peter. -        Ma... nel numero esiguo delle probabilità avvenire esiste anche quella di poter avere, un giorno, qualche sterlina. Ed allora... (con un sospiro) Ah! « Beati possidentes », diceva Orazio... (via da sinistra, seconda porta).

Edward. -    (a Dick) Avevo qualcosa da dire a voi, figliuolo.

Dick. -         A me?

Edward. -    Sì.

Dick. -         Parlate, allora.

Edward. -    Sedete qui, accanto a me... (guardandolo in viso) Stanotte voi piangevate.

Dick. -         (con un balzo) Io?

Edward. -    Sì, sì, piccolo mio, voi. Sono venuto ad ascol­tare dietro il vostro uscio, perché... temo sempre che fuggiate di nuovo. (Dick abbassa il capo) Ho vista la luce accesa nella vostra camera: ho guardato pel buco della serratura e vi ho visto... piangere...

Dick. -         (turbato) No, no... È un errore...

Edward. -    Non è un errore... (con dolcezza) Perché pian­gevate, Hilary?

Dick. -         (debolmente) No...

Edward. -    Non negate: è inutile. Piangevate col viso appoggiatoci guanciale. Perché?

Dick. -         (iroso) Perché così: non ho forse il diritto di piangere?

Edward. -    Non v'alterate, figliuolo mio: non posso certo negarvi questo diritto, ma sono rimasto molto turbato,­mio caro; dite dunque al vostro vecchio babbo perché piangevate?

Dick. -         (deciso) Per nulla, piangevo per nulla. Avviene tante volte nella vita di piangere per nulla.

Edward. -    (sempre più dolcemente) Se avete qualche do­lore che vi tormenta, confidatelo a me, come se fo­ste, non so, ancora bambino...

Dick. -         (sordamente) Quando soffrivo, da bimbo, non avevo nessuno a cui confidarmi.

Edward. -    Oh! perché dite questo? Avete dimenticato quando vi prendevo sulle ginocchia e mi narravate le vostre piccole pene?

Dick. -         (guardandolo con un po' di tenerezza) Sì, ho dimenticato.

Edward. -    E allora cercherò di ricondurvelo al pensiero. Sapete, sono cose lontane ancora per me, ancora più lontane, poi che mi avete lasciato per dieci anni e ho di voi fanciullo la confusa immagine d'un sogno. Vediamo... (come radunando le idee) Avete dimenticato quella sera d'autunno nella quale vi sorpresi a piangere fuori il terrazzo? No, vero? Non potete averlo dimenticato. Eravate ancora bambino, ma ama­vate già qualcuno, credo la piccola Jerry: la ram­mentate? Allora io vi presi tra le mie braccia: il vostro era un peso caro e leggero ed io vi ravviavo i capelli come ad un piccolo angelo doloroso: mi confidaste tutto, singhiozzando. Oh! il vostro pianto infantile! L'ho ancora qui, nel pensiero, e mi fa tanto male. Lo rievocavo sempre, in questi lunghi dieci anni; dicevo tra me: « Chi sa che non pianga anche ora e mi cerchi intorno e non mi trovi ». Ricordate?

Dick. -         (come sognando) Forse...

Edward. -    E allora, dite ancora a me quello che vi dà pena.

Dick. -         Nulla, vi ho già detto. Fantasie. Tante volte io piango senza ragione, perché avrei quasi vergogna di piangere per qualche cosa. (come a se stesso) Pian­gevo spesso, quando ero in giro pel mondo: la sera di Natale, per esempio, dello scorso anno, ero con Peter a Belfast: dormivamo sotto i porticati della Chiesa Grande; Peter si addormentò subito perché aveva bevuto. Io no, non potevo; c'erano tutte le finestre illuminate di fronte a me e passavano ogni tanto delle comitive molto allegre: io ero solo, vici­no a quel povero ubriaco che dormiva; solo, capite? la sera di Natale. E piangevo. Come vorreste che sa­pessi il perché... (si copre il viso con le mani).

Edward. -    (commosso, carezzandogli il capo) Povero il mio ragazzo! Ma ora è finita: ora siete vicino a chi vi vuol bene...

Dick. -         (piangendo sommessamente) Sì...

Edward. -    E non dovete più piangere: perché dar do­lore a questo vecchio ch'io sono?

Dick. -         (c. s.) Sì...

Edward. -    (s'alza, lo guarda ancora, scuotendo il capo; poi fa un gesto come per richiamarlo, pianissimo) Hilary!

Dick. -         (si volge).

Edward. -    (frenandosi) Nulla... no... no... nulla... (esce da sinistra, prima porta, lento e curvo).

Dick. -         (quando la porta di Edward si è richiusa, s'alza di scatto: il suo viso ha l'espressione pro­fonda della sofferenza; piano, a voce soffocata) Che male ho fatto? Che male? (si passa una mano sulla fronte, quindi va al tavolo ch'è a sinistra: v'è la piccola cesta da lavoro di Daisy, la guarda con tenerezza; vi fruga dentro, poi si guarda in­torno, ne toglie un nastro).

Daisy. -        (da destra, seconda porta) Che fate, voi?...

Dick. -         (volgendosi di scatto, nascondendo il nastro dietro la schiena Niente...

Daisy. -        Chi vi permette di frugare nelle mie cose? Non c'è nulla da rubare, sapete!

Dick. -         (amaro) Questo vostro sospetto è naturale.

Daisy. -        Mostratemi quello che nascondete.

Dick. -         (risoluto) No.

Daisy. -        (nervosissima) Già con voi è inutile fare la voce grossa: siete abbastanza forte per permettervi il lusso di non preoccuparvi degli altri. Lo dimostrate con la vostra permanenza qui.

Dick. -         La mia permanenza, già. (d'improvviso, in un impeto) Ma perché credete che io rimanga? Per dormire, è vero, e per mangiar bene? Oh! non potete capire. Non potete...

Daisy. -        (sardonica) Già, rimanete...  per farci piacere...

Dick. -         Non sapete nemmeno essere ironica: vi dirò io, allora, perché... (sconsolatamente) Perché ero solo al mondo, perché non avevo nessuno, perché nessuno mai mi aveva detto una parola buona, mi aveva chiamato « figliuolo mio ». Ora, questa commedia, inscenata mio malgrado, mi tiene qui: ho provata l'immensa gioia di avere una casa, di avere un pa­dre che mi dica: « Caro »... E se pure è una com­media, che importa? Non siamo noi forse dei burat­tini che girano  abbagliati nel cerchio  di una illusione? (Una pausa) E poi... e poi, in questa casa ci siete... voi...

Daisy. -        Ma...

Dick. -         Voi, sì: perché non dirvelo? Voi. Non avevo mai avvicinato una donna così bella, così fine. Donne ne ho avute, e molte, ma nelle forre, sui cigli di strada, nelle buie casupole dei quartieri bassi. Donne im­monde e volgari, che mi si davano con indifferenza e che io prendevo con schifo. Nessuna delle donne come voi mi aveva mai parlato e nessuna ho mai visto che avesse la vostra bocca e i vostri occhi. E allora sono incatenato qui da mille sofferenze, chiuso in questa casa non mia da mille legami invisibili. Vo­lete che ve ne dia una prova? Ecco quel che ho ru­bato: un nastro. Un vostro nastro scolorito... (riden­do nervosamente) Che cosa ridicola e sciocca per un uomo come me, vero? Sarebbe stato più giusto ru­bare dei gioielli. Invece no! Dick ha preferito questo piccolo furto stupidamente sentimentale! Un nastro...

Daisy. -        (turbata) Non vi comprendo...

Dick. -         Non lo potete, v'ho già detto. Non avete mai corse tutte le strade, non avete mai battuto a tutte le porte. Non sapete cosa sia questa febbre di cam­mino che tortura gli uomini fuori legge, tutta la im­mensa schiera dei diseredati. Non sapete quale sia questo tormento che ci macera, che ci cinizza, che fa alle volte impazzire. E come volete che io vi spie­ghi? Non so dirvi delle parole fiorite, come quelle dei vostri romanzi. Non so essere galante come un damerino... Sono tutto e nessuno, io...

Daisy. -        (pallidissima) Non so... mi fate quasi paura...

Dick. -         Paura? E perché? Sì, forse. Potrei farvi del male, io, con una parola. Ma non voglio...

Daisy. -        Ma io...

Dick. -         Non mi chiedete nulla:  non voglio dirvi... Solo voglio guardarvi, guardarvi, sino nel fondo degli oc­chi, per racchiuderne i riflessi nell'anima... Bella, siete bella, e tanto lontana da me. Bella! (l'afferra d'improvviso e la bacia a lungo sulla bocca).

Daisy. -       No, no... (si svincola; è sconvolta, accesa) Ora dovete andar via: dovete! (quasi piangendo) Ve lo chiedo per pietà: andate via da questa casa, non vo­glio più vedervi, non voglio più udirvi parlare...

Dick. -         (è livido, febbricitante; una pausa) Sì, è giusto. Nella vita si può sfidare tutto: gli uomini e le cose. Ma il bacio di una bocca bella lo si paga, e terribil­mente. Me ne andrò... Stasera stessa, se volete; vo­stro padre... (guardando con dolore verso sinistra) Vostro padre potrà persuadersi. Me ne andrò... E... perdonatemi...

Daisy. -        (china il capo in un'intima angoscia).

Dick. -         (s'avvia, lento, verso l'uscita a destra; poi fermandosi, con voce strana) Ho detto poco fa a qualcuno che il peggior male che si possa fare ad un uomo è quello di farlo morire!... (scuotendo il capo con profonda tristezza) E non è vero...

FINE   DELL'ATTO   SECONDO

ATTO   TERZO

La stessa scena del primo atto. È la sera.

Godfrey. - È stata una vera fortuna: ma s'è deciso così, tutto ad un tratto? (con soddisfazione orgogliosa). Forse le mie minacce di stamani...                          

Daisy. -        (con un pallido sorriso) No, non credo... ma sapete è un cervello così strano! Le sue decisioni hanno la rapidità della folgore.

Godfrey -   Ringraziamo Iddio, allora, che sia scoppiata questa folgore definitiva.

Daisy. -        (con un po' di mestizia) Ringraziamo Iddio.

Nancy. -      (da destra, seconda porta) Ho incontrato Margaret oggi: mi ha detto che Dick va via. È vero?

Daisy. -        Sì, è vero.

Nancy. -      Ah! meno male! Una preoccupazione tolta di mezzo!

Godfrey -   Lo dicevo io che in fondo, malgrado le sue spacconate, avrebbe avuto paura.

Daisy. -        (vivamente) No; paura no. Non è il tipo d'aver paura di qualcosa.

Nancy. -      Chi sa! Forse gli sarà venuta di nuovo la pas­sione per la libertà vagabonda.

Daisy. -        Ecco, forse...

Godfrey. - Ma no, che passione e che libertà. Le donne fantasticano sempre per creare dei romanzi intorno a degli uomini mediocrissimi. Vi ripeto, il mio discorso di stamani lo ha impressionato.

Nancy. -      Del resto, sia quel che sia, l'interessante è che parta. Vero, Daisy?

Daisy. -           Sì.

Godfrey. - (piccato) Lo dite con un'aria! Quasi quasi non vi dispiaceva quel giovane mascalzone.

Nancy. -      Anche Margaret, malgrado tutto, era un po' dolente. Dicevate molte cose contro di lui, ma lo ave­vate tutti in simpatia.

Daisy -         Non simpatia. Ma... fa un po' pena, ecco.

Godfrey. - É il colmo! Pena perché ha  smesso di viver bene alle vostre spalle!

Daisy. -        Via! Non mi capite...

Godfrey. - Vi capisco fin troppo. Vorrei intanto preparare un po' vostro padre.

Daisy. -        Sì, è meglio.

Nancy. -      Allora vado via.

Daisy. -        Non ce n'è bisogno: potete rimanere.

Nancy. -      No, no: è bene che gli parliate voi due soli; a casa m'aspettano. Buona sera.

Daisy. -        A domani, cara.

Godfrey. - Buona sera, signorina Nancy. (entra a sini­stra, prima porta, con Daisy)

(Nancy rimane un po' ferma a guardare, poi si avvia verso destra, ma s'arresta; le viene il desiderio di parlare a Dick; bussa alla sua porta).

Dick. -         (di dentro) Chi è?

Nancy. -      Sono io, Nancy.

Dick. -         Ah! Aspettate un momento. (Nancy va a sedere sul divano e incrocia le gambette sottili).

Dick. -         (aprendo l'uscio; è vestito degli abiti del pri­mo atto) Cosa desiderate?

Nancy. -      (ridendo) Oh! Come siete buffo così! Non vi avevo mai visto col vostro abito.

Dick. -         (brusco) Abito... professionale. Ebbene?

Nancy. -      Ebbene, so che ve ne andate e voglio salutarvi. (guardandosi la punta del piedino guizzante) Ed anche ringraziarvi.

Dick. -         Di che, se è lecito?

Nancy. -      Ma... di... voi mi comprendete.

Dick. -         Ah! di non aver detto? E cosa poteva importarmi? Già ve lo dichiarai...

Nancy. -      Non so: un altro... al vostro posto... per spirito di vendetta verso Godfrey...

Dick. -         (con una smorfia) Vendetta? Oh! Come siete lontana dal mio modo di pensare! Vendicarmi in una maniera così sciocca d'un uomo così sciocco! Non è nelle mie abitudini!

Nancy. -      Avete poca stima di Godfrey.

Dick. -         Come posso avere stima degli uomini, se comincio col non averne di me stesso?

Nancy. -      È differente.

Dick. -         Per nulla... Ah! già! Godfrey è un galantuomo, mentre io... dimenticavo che egli era un galantuomo, almeno di fronte ai tribunali.

Nancy. -      Non dicevo questo.

Dick. -         Sì, sì, lo dicevate: ma mi permetterete d'infischiarmene.

Nancy. -      (ridendo) Vi ringrazio, allora!

Dick. -         Sincerità: semplice sincerità!  Non volete altro?

Nancy. -      (stupita) No, ma...

Dick. -         (tenendole la mano) Allora, buona sera.

Nancy. -      Modo poco cortese di licenziarmi! (alzandosi) Buon viaggio.

Dick. -         Non ho bisogno del vostro augurio... viaggio a piedi, io, e perciò non temo gli infortuni ferroviari.

Nancy. -      (ridendo) Che bel tipo! Peccato che...

Dick. -         Che...

Nancy. -      Oh, niente! Considerazioni intime...

Dick. -         Allora non m'interessano.

Nancy. -      (lo guarda un momento: poi scuote le spalle, e va via da destra, seconda porta).

Dick. -         Ah! finalmente!                                

Peter. -        (da destra, seconda porta, affannoso) Mi avete fatto chiamare, Dick?

Dick. -         Sì: volevo dirvi qualcosa.

Peter. -        Aspettate un momento, che mi segga: ho fatto la strada di corsa. (s'abbandona sul divano, pallido, e chiude gli occhi).

Dick. -         Che avete?

Peter. -        Un capogiro.

Dick. -         Desiderate del wisky?

Peter. -        No.

Dick. -         Nientemeno! Dovete star proprio male!

Peter. -        Sì, sto veramente male. Poco fa ho  avuto uno sbocco di sangue improvviso.  Erano  due  mesi  che non ne avevo più.

Dick. -         (ponendogli la mano sul cuore) Eh! come batte.

Peter. -        Il guaio è che mi si ripercuote nel cervello, e mi fa soffrire.

Dick. -         Su, su! Animo!  E  bevete  del  wisky.  (va alla madia, e versa del wisky in un bicchiere).

Peter. -        (beve: poi, riaprendo gli occhi) Sì; sto un po' meglio ora. (con  tristezza)  Eh! il wisky  è  sempre il mio buon amico. Non ho al mondo  che  voi ed il wisky. Cosa volevate  dirmi, dunque? (guardandolo, stupito) Oh! Non mi ero accorto del vostro abito...

Dick. -         (sorridendo con un po' di mestizia) Già: sempre gli stessi strappi, le stesse macchie. Ma è buono an­cora.

Peter. -        Che significa ciò?                                                                             

Dick. -         Significa che si parte.

Peter. -        (con dolore) Non mi aspettavo una cosa simile tutt'insieme. Sapevo bene che non saremmo rimasti qui per sempre, ma questa mattina...

Dick. -         Questa mattina era questa mattina. Sono passate nove ore dal mezzodì. E in nove ore possono accadere tante cose...

Peter. -        Come mi dispiace d'andar via! Si stava così bene, così quieti, quaggiù.

Dick. -         (battendogli una mano sul ginocchio) E si mangiava anche bene, vero, briccone?

Peter. . -      Poi... non so: ho paura di non poter reggere più al cammino. (guardandolo fisso) Si muore, è vero, col mal di petto?

Dick. -         Sì: spesso.

Peter. -        Dite pure sempre. Chissà quant'altro durerà!

Dick. -         Speriamo parecchio. E poi, meglio morire cam­minando, quando si è vissuto camminando.

Peter. -        Sono così stanco... e invecchio...

Dick. -         Quanti anni avete?

Peter. -        Chissà! Quando fui scacciato dal liceo, smisi di contarli. Tanto, a che serviva? Ma devono essere molti: e poi, mi hanno fatto invecchiare più presto, quei maledetti ragazzi! Erano così malvagi! Vi rac­contai quella delle pallottoline imbrattate di inchio­stro; ma me ne facevano delle peggiori... qualcuno era buono, però: c'era, tra gli altri un mocciosetto biondo; si chiamava... Eh! Chi ricorda più! Bene, mi portava ogni tanto dei confetti. (con un sorriso) Quando andai via, mi disse con la sua vocina: « Vi voglio bene, professore... » e lasciò scivolare nella mia mano gli ultimi confetti... non volli mangiarli: me li rubarono più tardi, a Londra, con la bisaccia... (china il viso tra le mani).

Dick. -         Su! Su! Si parte.

Peter. -        Per dove?

Dick. -         Che domande! Come se si sapesse mai dove an­dare! Così: si parte. Forse ripasseremo il Canale San Giorgio, domandandolo in favore ad un capitano di nave mercantile. Potrò chiedergli, nel caso, di arruolarci nella ciurma...

Peter. -        Oh! i marinai! Che brutta razza!

Dick. -         Cosa volete fare? Bisogna adattarsi. Bene, ora andate pure. Eccovi un po' di danaro vinto al gioco ieri sera; servirà per pagare la locanda. E poi m'aspetterete di qui a mezz'ora al crocevia: quello che è in fondo al paese, sapete?

Peter. -        Sì. (va verso destra; poi torna con un po' di pianto nella voce) Volevo chiedervi... un favore...

Dick. -         Quale?

Peter. -        Quando... quando morirò... vi sarei grato se mi seppelliste voi stesso, in cima a qualche colle solita­rio... non vorrei esser preso e gettato nella fossa di tutti... (sforzandosi di ridere) Potrei incontrarvi de­gli antichi allievi, e non avrei pace neppure sotto terra... invece voi, che siete stato sempre un po' il padrone, potrete scavare la fossa col... col vostro col­tello, anche se il lavoro sarà più lungo e faticoso... (con ammirazione) Siete così forte!... Vi... dispiace?

Dick. -         (ponendogli una mano sulla spalla) No, Peter; ma non pensate a queste brutte cose.

Peter. -        Debbo pensarci: promettetemi...

Dick. -         (con un lieve tremito nella voce) Sì: quando voi morirete, Peter, scaverò io la fossa... col mio coltello. Vi prometto.

Peter. -        Grazie! (lo abbraccia) Caro mio signore!

Dick. -         Andate, ora; a più tardi.

Peter. -        A più tardi. E... grazie... (via da destra, seconda porta, lentamente).

Daisy. -        (da sinistra, prima porta) Siete qui?

Dick. -         Per poco ancora.

Daisy. -        Perché non avete preso con voi 1'altro abito?

Dick. -         Perché... perché così mi piace. Anzi, volevo pre­gar voi e... quell'altro di frugarmi indosso. Non porto via nemmeno uno spillo. Pure, credo che avrei po­tuto portare con me mezza casa, malgrado le vostre chiavi.                                                           

Daisy. -        Non c'è bisogno di frugarvi: vi credo. Anzi... (con reticenza) Volevo darvi anche un po' di danaro...

Dick. -         Oh!... (quasi offeso) No: non voglio nulla. Asso­lutamente il vostro denaro mi brucerebbe le dita... e poi, a che servirebbe? Da mangiare troverò sempre, e dormire è la cosa più facile che sia concessa all'uomo.

Daisy. -        Non volevo offendervi.

Dick. -         Offendermi? No. Non avrei il diritto d'offendermi, io. Ma... sono dolente che abbiate potuto pensare...

Daisy. -        Scusatemi. (una pausa) Dove andrete, ora?

Dick. -         Chi sa!  Ma  non preoccupatevi per me: andrò dove mi condurrà la strada.   Lontano?  Vicino? Chi sa! È il nostro destino di viandanti. Si   cammina, si cammina,  fino a che  non  s'incontri  l'azzurra  barriera   del  mare. E, oltrepassato il mare, si cammina ancora,   all'infinito: o meglio   fino a che   un  essere più forte di noi, più scaltro   di  noi, che ci sorveglia dappresso   tutta  la  vita,  non  ci   agguanti colle sue mani avide e non ci getti al suolo, con una scrollata.

Daisy. -        (con un po' di tenerezza) Dick...

Dick. -         (radioso e commosso) Dick, sì, Dick! Pronunciatelo  ancora, questo mio nome impostomi da un ignoto. Dick! sulla vostra bocca acquista un altro sapore, e quasi  s'addolcisce,  malgrado la sua  arida brevità! Dick! Voi lo dite  come  un nome, io lo porto come una condanna. (le è vicino; quasi la sfiora; poi si scuote) No, no...  Non  voglio ripetervi le stupide parole di stamane, poiché spero me le abbiate già perdonate.

Daisy. -        (tendendogli la mano) Certamente, Dick!

Dick. -         (prendendola) Ricordate? Sembra già tanto lontano, e solo sette  giorni  sono  passati. Venivo dalla notte e voi m'appariste come luminosa. Anche allora ebbi nella mia la vostra piccola  mano, ed anche allora vi dissi quello che oggi  vi  dico,  con  tanta te­nerezza: « La stringo; ma piano  per  non farvi del male »...

Edward. -    (da sinistra, seguito da Godfrey) Hilary! Hilary! (è smarrito, tremante, disperato: va presso Dick, gli afferra le mani, lo abbraccia, lo stringe) Non andate via di nuovo! Non andate via! Perché mi avete concessa una così breve felicità, poiché vo­levate andare ancora per il mondo?

Dick. -         (turbato) Sì... ma... io debbo...

Edward. -    No, no; vi scongiuro: in ginocchio, se volete: guardate? in ginocchio...

Dick. -         (trattenendolo) Ma cosa fate mai!

Edward. -    Non andate via! Diteglielo anche voi, Daisy, ed anche voi Godfrey! Ditegli che non mi faccia morire! Daisy... perché non parlate? Perché non cer­cate di trattenerlo anche voi? (guarda i due che tacciono: poi disperato, a Dick) Ditemi quel che volete, per rimanere qui: ditemi. Vi concederò tutto... anche se dovessi perdere fino all'ultimo penny. Tutto... (singhiozzando) Ma non andate via! (s'accascia sul divano).

Daisy. -        Babbo... Babbo mio caro... vi prego... (lo accarezza, cerca di calmarlo).

Dick. -         (pallido) Ascoltatemi un po': debbo andar via... non so fermarmi in un posto: credevo di poter rimanere, fino a stamani, fino a poche ore fa... ora non posso più... non so più... mi ha afferrato di nuo­vo... il desiderio di vagabondare, di girare... perdonatemi, ma non m'è possibile rimanere.

Edward. -    (sempre singhiozzando) È finita, è finita! sono già così vècchio... e non  potrò vivere più a lungo... Morire senza di voi, Hilary;  Ah,  siete ben cattivo! Ero tutto lieto, tutto commosso per la ricostruzione di questa mia famiglia dispersa... Ed ora voi venite a pugnalarmi in pieno... Hilary! No! Hilary! vi scongiuro...

Dick. -         Non piangete così... non dite queste cose amare... non è colpa mia... è colpa degli altri, è colpa di tutto... È colpa di questo destino spaventoso che mi attanaglia... Vedete? Anche io soffro: toccate le mie mani: sono fredde e tremano. Toccate la mia fronte: brucia, come per febbre... E non è colpa mia! Io non ho altra colpa che quella di soffrire troppo...

Edward. -    E allora? Allora perché?

Dick. -         Per nulla: parto per la stessa ragione di cui piangevo: per nulla. La mia vita non la vivo che per nulla. Ad ognuno di noi Colui che è in alto com­pose una maschera, e gliela pose sul viso. Io venni tra gli altri: ma non s'accorse di me... lasciò il mio viso nudo...

Edward. -    Le vostre sono parole: non giustificano, non mi fanno capire...

Dick. -         È meglio!

Edward. -    E a che vale avervi ritrovato, per perdervi subito dopo? A che vale avervi atteso tanto, avervi accolto nelle mie braccia, colmato delle mie carezze? Voi partite, ed io rimango ancora più solo...

Dick. -         (inginocchiandosi accanto) Non piangete, non piangete...

Edward. -    (accarezzandogli  il  capo) Figliuolo mio, fi­gliuolo   mio   cattivo,   quanta   pietà ho per voi e per me stesso... (cercando di calmarsi) Girando pel mondo, non dimenticatemi. E se soffrirete, pensate a me, pensate a questa casa vostra che v'attenderà sempre, che è qui, vecchia guardia fedele,  pronta a rassere­nare il figliuolo che torna di lontano.

Dick.  -         (con  voce  sorda)  Ancora   una   volta   Edward Campbell, io non sono vostro figlio!

Edward. -   (guarda gli altri due che sono discosti; poi, pianissimo a Dick) E se anche voi non foste mio figlio che importa? Non basta forse che io sappia vedere nel vostro il suo viso?

Dick. -         (colpito) Ma allora...

Edward. -    (gli pone una mano sulla bocca per farlo tacere) Sst...

Dick. -         (china il capo, piangendo silenziosamente).

Edward. -    (carezzandolo, con voce dolcissima) Il vostro è un povero cuore malato che non sa trovare pace e la cerca nelle strade del mondo... povero ragazzo mio!

Godfrey. - (duro) Ora basta: vi farebbe male, signor Edward!...

Dick. -         Sì. (alzandosi) La lampada... (la prende dalla madia e la posa sui davanzale) Ecco: è bene che essa sia lì, sul davanzale: chi sa che una sera, passando di qui, io non la veda brillare di lontano. Mi parrà di rievocare questi brevi giorni di sole. Ed è bello per un uomo come me, avere almeno un ricordo.

Godfrey. - Addio, signore (gli tende la mano).

Dick. -         (la guarda, senza prenderla; freddo) Addio, giovinotto... (poi va verso Daisy) Addio, Daisy... (piano) Dimenticatemi: sono uno di quelli che passano: voi avrete la vostra casa, i vostri bimbi: io sarò molto lontano, allora. E non preoccupatevi della mia sorte: so bastare a me stesso...

Daisy. -        Vi ho fatto molto male.

Dick. -         No. Mi avete dato il brivido della gioia, la dol­cezza d'una sosta: non posso che esservi grato, per tutta la vita. (volgendosi ancora verso Edward) Addio...

(Edward ha gli occhi chiusi e non risponde).

Dick. -      (lo guarda un momento: poi scuote il capo, alzando le spalle: piano a se stesso) Si ricomincia, Dick... (si avvia alla finestra).

Godfrey. - Non uscite per la porta?

Dick. -         No: per la finestra, come sono entrato.

(scosta la lampada: scavalca: fuori, guarda ancora il vecchio e poi Daisy, che è in piedi, muta e palli­dissima, accanto a Godfrey: ha un gesto, come per chiamare: poi si fa forza, e si perde nella notte).

Dick. -         (di fuori, come in un singhiozzo, allontanandosi).

Nel cielo di Rush

ci sono le stelle:

le stelle più belle

nel cielo di Rush...

Godfrey. - È un pazzo.

Daisy. -        (in un soffio) No: soffre...

(appena la voce di Dick muore nella lontananza, il vecchio si alza: è alto e spettrale; va trascinandosi penosamente, alla finestra: si china lento, a spegnere la lampada).

Daisy. -        (con un breve gesto) Ma...

Edward. -    Sst... (con voce strozzata da pianto) Nulla... è nulla... (guardando nel vuoto) Io so che egli non ritornerà...

FINE DELLA COMMEDIA