Una montagna di carta

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UNA MONTAGNA DI CARTA

Commedia in tre atti

di GUIDO ROCCA

PERSONAGGI

SERGIO ANTONI

BALDELLI

FERAUTO

SOLZI

ELSA MARINI

FARNELLI

giornalisti

GIGLIOLA

segretaria di redazione

MAZZE­RI

ENNIO

DELIA

STEFANO

CLOTILDE, figli di Ennio

LOREN­ZO

PIETRO

GRAZIELLA

PAOLA

amici di Stefano

Due fotografi.

Commedia formattata da

ATTOPRIMO

I Quadro

La stanza di redazione del « Sabato », un grande set­timanale a rotocalco. Scrivanie, un armadio di ferro che serva da archivio per le fotografie, su ogni scri­vania un telefono e una macchina da scrivere. A de­stra un tavolo più grande, più ingombro di fogli, quel­lo del redattore capo. A sinistra, in quinta, la segre­teria, di fronte, una porta a vetri che dà su un corri­doio. Ogni volta che la porta si apre si udrà abba­stanza distintamente il rumore sordo delle macchine che proviene dalla tipografia. Sulle pareti alcuni di quei collages fatti di ritagli, di fotografie di pin up, di caratteri di stampa accostati a formare frasi spinte, come se ne vedono in quasi tutte le redazioni dei gior­nali di questo mondo. A destra un'altra porta a vetri che dà sull'ufficio del direttore.

Le nove e mezzo del mattino.

All'aprirsi del sipario la scena è vuota. Si sente dalla segreteria il battere monotono di una macchi­na da scrivere che non si interrompe neppure dopo il terzo e il quarto squillo di uno dei telefoni posti sui tavoli dei redattori. Finalmente entrano in scena, quasi contemporaneamente, Gigliola, dalla sinistra, e Sergio Antoni, dalla destra, dove si intravede un altro ufficio.

Gigliola                         - (precedendo Sergio nella corsa verso l'ap­parecchio telefonico) Oh, mi scusi, non sentivo. Non sapevo che fosse già arrivato.

Sergio                            - (è un uomo sulla quarantina, piuttosto ele­gante. I suoi gesti, lo sguardo, l'ombra perenne di un sorriso, sono apparentemente quelli di un uomo di azione, piuttosto energico, ma talvolta si schiudono su un generale atteggiamento di stanchezza che ri­vela la presenza nascosta di chissà quali nostalgie e di un acuto senso di noia, proprio nei riguardi di un modo di fare più imposto che naturale) Ri­spondi su. (Si siede alla scrivania che, sulla destra, domina tutta la stanza)

Gigliola                         - Pronto... Sì. Chi? (Annoiata) Oh, Ma­donna! Aspetta... (A Sergio) E' il portiere; dice che c'è giù il solito seccatore. Sì, quel Mazzeri o come si chiama. Lei è partito per Roma, vero?

Sergio                            - No, che lo faccia salire, altrimenti do­mani è di nuovo alla carica.

Gigliola                         - ...e lei sarà ancora partito. Voglio ve­dere chi si stanca prima.

Sergio                            - Non lui. A questo modo. E invece vo­glio liquidarlo una volta per sempre. Oggi è la mat­tinata giusta. Con quel che c'è da fare non ha nes­suna probabilità di riuscire a commuovermi. Questa volta la faccio finita. Che salga.

Gigliola                         - (al telefono) Che salga pure.

Sergio                            - (a Gigliola che fa per avviarsi) Aspetti, prima che arrivi quello, vorrei dettarle una lettera. Ha con sé il blocco? (Gigliola prende il blocco dal tavolo dove lo aveva deposto entrando) Scriva: « Ca­ro Ugo. Siamo troppo vecchi amici perché io non debba considerare il tuo articolo sul personaggio che sai, come un simpatico scherzo; ma sono co­stretto a pregarti di riscriverlo. (Si alza, accende una sigaretta, continua a dettare distraendosi ogni tanto a dare un'occhiata ai titoli dei giornali che ha sul proprio tavolo, ma senza perdere il filo del discorso) Ti dirò, due punti, in confidenza va benissimo, ma non posso dimenticare di averlo letto... sottolineato... circa venti anni fa. Dimentichi che al Corriere di Lombardia eravamo vicini di tavolo? Che un arti­colo scritto venti anni fa per esaltare un personag­gio del Regime, col solo mutamento del soggetto possa ancora essere attuale, è un fatto che forse po­trebbe dar da pensare; al ristorante ne rideremmo in­sieme, ima da questa scrivania sono obbligato ad agi­re diversamente. Che colpa ne ho se ho buona me­moria e se facciamo questo mestiere da tanti anni? Forse mi pagano proprio per questo ed è uno sti­pendio meritato, perché, come vedi, scopro i peccati di pigrizia dei collaboratori. Tu però, questa pigrizia vincila, e non complicarmi il lavoro che è già tanto e così mortalmente noioso... (A questo punto appare su uno degli usci un uomo anziano, vestito dimessa­mente: Ha gli occhi accesi, come febbricitante, e nel suo fare c'è un che di diabolico e di tragico insieme. Sergio gli fa un cenno per indicargli di aspettare, e conclude la sua lettera) Aspetto dunque un articolo di quelli che sai fare. Ciao vecchio matto, ti ab­braccio ».

Gigliola                         - Per il dottor Messi?

Sergio                            - (consegnandole degli altri fogli scritti) Sì, e alleghi questo. (A Mazzeri) Prego. (Gigliola nell'uscire commenta la presenza di Mazzeri con una smorfia eloquente)

Sergio                            - (con durezza) Prego, si accomodi. (Maz­zeri si siede e Sergio non lo interpella subito, quasi a volergli dimostrare fin dall'inizio di tenerlo in poco conto. Poi esaminando alcune carte, con tono distrat­to) E' un po' che non la vediamo.

Mazzeri                         - Io sono venuto anche la settimana scorsa..

Sergio                            - (interrompendolo) Ero via.

Mazzeri                         - Mi hanno detto che era ammalato.

Sergio                            - Già, è vero.

Mazzeri                         - Ha letto?

Sergio                            - Sì.

Mazzeri                         - (dopo aver atteso invano qualcosa di più) E... cosa ne dice?

Sergio                            - Non ci interessano proprio, sa.

Mazzeri                         - (aprendo la borsa di pelle sdrucita che teneva sotto il braccio, ne toglie un enorme pacco di carte dattiloscritte) Adesso le ho portato i do­cumenti, tutte le prove, il lavoro finito. Qui c'è tutto. Si potrà rendere conto meglio...

Sergio                            - Mi sono reso conto. La scaletta che mi ha lasciata è chiarissima...

Mazzeri                         - La scaletta?...

Sergio                            - Sì, gli appunti. Anzi, glieli rendo. (Fru­ga in un cassetto)

Mazzeri                         - Eppure sono sicuro che se lei leggesse quello che c'è scritto qui...

Sergio                            - (dando un'occhiata ai fogli) Ma è un romanzo fiume.

Mazzeri                         - Potessi spiegarle un po'. Farle vedere insieme con me quello che c'è scritto, probabilmente cambierebbe idea.

Sergio                            - Non è proprio possibile. Si deve andare in macchina prima di sera. (Con durezza) E poi, è inutile. La storia che le sta a cuore non sarà mai pubblicata. E' un fatto troppo personale e limitato. Senza contare che le vicende in cui c'entrano reduci, ex prigionieri di guerra, sono passate di moda. La guerra è finita da più di dieci anni.

Mazzeri                         - Ma se questa persona è stata prigio­niera non si può non dirlo; se tutto ha origine da allora, non si può ignorarlo. E se in più, da dieci anni non è stato fatto nulla per lui, proprio questo mi sembra grave ed importante.

Sergio                            - Ci sono delle Autorità, per provvedere a questo. Un giornale non può far da paladino di tutte le ingiustizie che si consumano su questa terra.

Mazzeri                         - Le Autorità...

Sergio                            - Né è compito nostro smascherare dei re­sponsabili, ammesso che lo siano. Non siamo ancora diventati poliziotti.

Mazzeri                         - E aiutare un uomo disperato?

Sergio                            - Lei?

Mazzeri                         - (confuso) No... che cosa glielo fa pen­sare?

Sergio                            - ...Sostiene la sua causa con una insi­stenza commovente.

Mazzeri                         - Perché lo ritengo giusto. E' una per­sona che conosco bene. E se dovesse subire fino in fondo un torto così incredibile, ebbene, anch'io non capirei più che gusto ci sia a tirare avanti. Provi a leggere queste mie carte.

Sergio                            - Le ho già spiegato...

Mazzeri                         - Ma sono tutte verità sacrosante.. (Aprendo il suo incartamento) Ecco, guardi, (leg­gendo) è il tre agosto 1945, a Broni; una serata molto calda; (sfogliando, con una esaltazione crescente cui fa riscontro il disinteresse e la noia di Sergio) lui si era tolta la giacca che poi fu ritrovata e sembrò un indizio grave...

Sergio                            - Lo so, ho letto: la sparatoria nel buio, la fuga, la giacca ritrovata, e di qui le accuse contro di lui, gli anni di prigione...

Mazzeri                         - E se c'era uno che non avrebbe sparato a nessuno, che sognava solo di stare tranquillo, dopo sei anni di naia e tre di prigionia...

Sergio                            - Quello che vorrei sapere è perché si è fissato di voler pubblicare questa sua storia proprio con noi.

Mazzeri                         - Non è una fissazione. Voglio pubbli­carla con voi perché siete un grande giornale e po­tete farvi ascoltare.

Sergio                            - (aggressivo) Ma perché siamo un grande giornale, lo sa? Perché abbiamo molti lettori. E perché abbiamo molti lettori? Perché quello che pub­blichiamo interessa. Se pubblichiamo quello che non interessa, non ci leggono più.

Mazzeri                         - Come lo sa, quello che interessa?

Sergio                            - Fa parte del nostro mestiere saperlo. E poi, come le ho già detto, non possiamo occuparci dei fatti personali di ognuno. Perché non porta il suo memoriale ad un giornale di sinistra, forse a loro interesserebbe.

Mazzeri                         - Perché non sono di sinistra. La politica non c'entra. Non deve servire agli scopi di nessuno, questa storia.

Sergio                            - Faccia come crede. Ma ora la pregherei di lasciarmi lavorare.

Mazzeri                         - Io, queste carte gliele lascio. So che troverà un momento libero per leggerle.

Sergio                            - Ma...

Mazzeri                         - Gliele lascio. Le tenga nel cassetto. Un giorno che non saprà che cosa fare... ma non troppo tardi, perché nel frattempo possono accadere fatti gravi, e può essere troppo tardi davvero.

Sergio                            - Non mi sembra il caso di imporre dei ricatti morali.

Mazzeri                         - Oh, no. Nessun ricatto. (Entrano dalla porta del corridoio due altri redattori del giornale, Baldelli e Ferauto)

Baldelli                         - (deponendo il cappotto) Salve, scusa il ritardo... Oh, il signor Mazzeri. Se non sbaglio ha scelto la mattinata giusta.

Mazzeri                         - Voi credete che io sia pazzo, vero? Un maniaco, un esaltato,

Baldelli                         - Nooo, soltanto un po' insistente, un po' troppo.

Mazzeri                         - Io non tornerò più. In fondo c'è il mio indirizzo, se vorrà, potrà mandarmi a chiamare.

Sergio                            - D'accordo. (Dopo che Mazzeri è uscito, tira un sospiro di liberazione)

Ferauto                          - (che nel frattempo si è messo a sedere al proprio tavolo) Ci credi che non tornerà più?

Sergio                            - Lo spero.

Ferauto                          - Ma che storia vuol pubblicare?

Sergio                            - Vuol sollevare una campagna per riva­lutare un tale che si è fatto un po' di galera, inno­cente pare.

Baldelli                         - (che rientra in quel momento) L'Italia è piena d'inventori, di gente che vuol fare del cinema e di maniaci. E purtroppo hanno tutti bisogno di noi. Abbiamo una funzione importante; dovrebbero au­mentarci i minimi sindacali...

Sergio                            - (a Ferauto, continuando la spiegazione di prima) Un ex reduce, un delitto politico... Se ho ben capito si tratta di un ex fascista. Ma veniamo a noi. Qui c'è il giornale da chiudere e i delitti di dodici anni fa non ci aiutano certo a guadagnare tempo...

Baldelli                         - (avvicinandosi al tavolo di Sergio ha dato una rapida occhiata agli altri incartamenti di Maz­zeri) Però... un po' prolisso, ma in fondo con un temperamento da scrittore. (Cambiando tono e richiu­dendo i fogli) Che cosa c'è da fare? (Squilla il tele­fono, una, due volte. Poi Baldelli va a rispondere) Pronto? Sì, Baldelli. Ah, ciao. Che c'è, dimmi... Ah, aspetta che prendo nota. (Regge il ricevitore contro la spalla e la guancia, afferra a tentoni una matita) Dimmi.

Sergio                            - (a Ferauto porgendogli dei fogli) Tieni.

Ferauto                          - Cos'è?

Sergio                            - Per la serie: gli italiani importanti: ri­tratto di Angelo Tirelli.

Ferauto                          - Ah, da leggere?

Sergio                            - Non occorre. Arriva dall'alto. E' racco­mandato personalmente dall'Editore.

Ferauto                          - Un italiano importante per lui, dunque.

Sergio                            - Evidentemente.

Ferauto                          - Scambio di favori?

Sergio                            - Non ci deve riguardare. Dopo il suo re­cente accordo con gli stati arabi Tirelli si mette in primo piano anche in campo internazionale. Trovagli un bel titolo. Non so: « Il Cincinnato degli alti forni » o qualcosa del genere.

Baldelli                         - (al telefono) Sì, ho scritto tutto, grazie, Sergio? E' qui, vuoi parlargli? Adesso lo informo subito.

Sergio                            - Che c'è?

Baldelli                         - (abbassando il ricevitore) E' morto Claudio Armieri. Collasso cardiaco. Stamattina alle sei.

Sergio                            - Ah... bisognerà far qualcosa.

Baldelli                         - (a Sergio) Che cosa vuoi fare? Lo sai che non c'è più una pagina libera.

Sergio                            - Per questo, si farà saltare un'altro ser­vizio. Muore Armieri ed è un fatto che non si può ignorare.

Baldelli                         - Tu credi che alla gente gliene importi tanto?

Ferauto                          - Beh, siamo impazziti? Mica si può esagerare. Anche se non è un divo del cinema o il centrattacco della Nazionale e se non ha mai sgoz­zato la propria moglie, Armieri ha scritto otto romanzi, è stato a capo di un movimento culturale che ha influenzato un'intera generazione letteraria... Ma già, per te queste cose sono come l'arabo

Baldelli                         - Cosa vuoi, per me, sì.

Sergio                            - Comunque, dal momento che siamo un settimanale d'attualità e che la morte rappresenta il solo momento in cui uno scrittore diventa attua­le, bisogna parlarne. Piuttosto... Antoldi è fuori città: chi fa il pezzo? (A Ferauto) Tu lo conosci no, Ar­mieri?

Ferauto                          - Sì, ma così sui due piedi...

Sergio                            - Preso al momento dello choc sarai più convincente e patetico. Una colonna. Un'ora e mez­zo di tempo.

Ferauto                          - D'accordo, ma .non lo firmo. (Entra un quarto redattore, Solzi, un giovanotto esuberante con la battuta sempre pronta, disposto a non pren­dere mai nulla sul serio)

Solzi                              - Salve. (Si affaccia alla porta della segre­teria e chiede a Gigliola) Posta per me?

Baldelli                         - Da quando le hai pubblicato la foto­grafia a colori, la tua subrettina non sa nemmeno più se esisti.

Ferauto                          - Non si può fare un articolo serio in un'ora e mezzo.

Baldelli                         - Coraggio, lo farai benissimo.

Sergio                            - Ridammi l'articolo su Tirelli. Glielo tro­verò io il titolo.

Ferauto                          - (infilando un foglio bianco nella macchi­na da scrivere) Sono anni che Armieri ha un piede nella fossa e doveva proprio andare a morire un martedì.

Solzi                              - I personaggi pubblici dovrebbero' avere la delicatezza di morire lasciandoci almeno un gior­no di tempo per preparare il necrologio.

Sergio                            - (quasi per farlo tacere gli porge una busta bianca) Tieni, il fuorisacco da Roma, C'è la nota politica di Cardoni.

Solzi                              - (ritirando la busta) Come lettura di primo mattino è l'ideale. (Va a sedersi. A Sergio) Ho visto Mazzeri che usciva di qua. Parlava da solo. Sembra­va sconsolato e furibondo.

Sergio                            - Mazzeri ha finito di annoiarci. Era di­ventato un'ossessione.

Baldelli                         - Colpa tua che gli hai dato troppo ret­ta... Ti faceva pena il vecchietto spiritato in cerca di protezione, confessalo...

Sergio                            - Non si sa mai; sono i tipi che poi but­tano le bombe in un cinematografo.

Baldelli                         - Quando l'avrà fatto, incominceremo ad occuparci di lui...

Gigliola                         - (a Baldelli) C'è di là un tale, chiede di lei, dice di aver parlato con lei già ieri sera e che gli ha detto di ritornare.

Baldelli                         - Già.

Sergio                            - Chi è?

Baldelli                         - Un tale, gli è scappata la figlia. Cin­que giorni che non ne sa nulla... Mi ha fatto vedere la fotografia... Una bella ragazza. E poi è una faccia... Giusto. Tra l'altro, vista già da qualche parte. Gli parli tu, al vecchio?

Sergio                            - Cosa pensi?

Baldelli                         - Nulla... ma c'è di mezzo una bella ra­gazza. Val sempre la pena, no?

Sergio                            - Va bene, fallo passare. (Baldelli esce)

Solzi                              - (scorgendo un giovanotto sulla soglia con una borsa di pelle a tracolla e un enorme pacco di fotografie in mano) Toh, già i fotografi. Faccia pure vedere a me. (A Sergio) Abbiamo molti vuoti?

Sergio                            - Solo se sono foto eccezionali.

Solzi                              - Vediamo. (Fa passare le fotografie rapi­damente, con gesto pratico e sicuro colpo d'occhio; ogni tanto indugia a leggere una didascalia. Una vol­ta lo fa ad alta voce) Barbara O'Pages, stellina della televisione americana arrestata per ubriachezza... Non capisco: ha tutto e beve. (Ricomincia a far pas­sare fotografie sul ritmo iniziale senza dar troppo peso a quello che sta esaminando) ...Angelo Tirelli al varo di una nuova motonave...

Sergio                            - Ci sono fotografie di Tirelli?

 Solzi                             - Da scegliere. Lui, il figlio, la moglie del fi­glio... Accidenti, mica male... fotografati sui bordi del­la piscina nella loro villa sulla costa francese...

Sergio                            - Fai vedere... (Esamina le foto) Prendia­mole. Con una nuora così bionda anche un servizio dedicato a un miliardario diventa piacevole da ve­dersi.

Solzi                              - Scommetto che non è una donna interes­sata (Ha finito di esaminare le fotografie) Ecco (Rende il pacco al fotografo) Non c'è altro. Si faccia riempire il buono giallo dalla segreteria per queste cinque. (Il fotografo riprende le sue foto ed esce incrociandosi con Baldelli che scorta in redazione un uomo anziano ve­stito dimessamente)

Sergio                            - Con il servizio Tirelli dovremo allar­garci su più pagine. Ma così resta ancora una pagina vuota... Ci pensiamo.

Baldelli                         - (avanza verso Sergio) Ti presento il signore di cui ti ho parlato. Il signor Corsi, il nostro redattore capo.

Ennio                            - Molto piacere. (Solzi si alza)

Solzi                              - Porto in tipografia la nota politica... (Ad un cenno di assenso di Sergio, esce)

Sergio                            - Baldelli mi ha riferito in parte... sua fi­glia è scomparsa di casa da cinque giorni senza dar notizie.

Ennio                            - Sì, e non so proprio...

Sergio                            - E' uscita una mattina e non è più ri­tornata.

Ennio                            - Non so, sono rientrato dal lavoro come ogni sera, aspetta, aspetta... non un biglietto per av­vertirmi. Ho pensato che un giornale forse poteva aiutarmi.

Sergio                            - Ma è stato anche in questura, immagino, a denunciare il fatto.

Ennio                            - Oh, quelli lì...

Sergio                            - Che cosa dicono?

Ennio                            - Che non c'è da allarmarsi, che bisogna aspettare, che indagano...

Sergio                            - Beh, trovo anch'io che non sia ancora il caso di allarmarsi.

Ennio                            - Già, aspetta e spera... Cinque giorni. Eh no, io sono preoccupato.

Sergio                            - Cosa fa sua figlia?

Ennio                            - E' stata impiegata fino a due anni fa. Studiava anche da ballerina.

Sergio                            - E recentemente?

Ennio                            - E' un po' che non faceva niente, credo... (Estrae una minuscola immagine dal portafoglio) Ec­co, questa è Delia.

Sergio                            - (esamina rapidamente la piccola fotografia, poi la da' a Baldelli) Una bella ragazza.

Ennio                            - Molto bella. Bionda, alta, un bel personale.

Sergio                            - Un tipo nordico.

Ennio                            - Sì, mia moglie era di Monaco.

Sergio                            - Di Baviera?

Ennio                            - Sì, tedesca. E' morta nel '44.

Sergio                            - Figlia unica?

Ennio                            - Delia? No: ho un'altra figlia. Più giovane e sposata.

Sergio                            - Ma viveva con lei sola?

Ennio                            - C'è anche mio figlio. Adesso è militare, ma a pochi chilometri da qui e viene a casa spesso.

Sergio                            - E anche lui non ha un sospetto di quello che può essere accaduto a sua sorella?

Ennio                            - Oh, quello... Quello se ne frega (accen­nando una scrollata di spalle) di tutto.

Baldelli                         - Carina com'è, chissà quanti corteg­giatori.

Ennio                            - Sì. Adesso da un po' di tempo aveva un fidanzato, un dottore...

Baldelli                         - E lui cosa dice, il dottore?

Ennio                            - (imbarazzato) Non so, non lo conosco.

Sergio                            - Come... Non l'ha mai...?

Baldelli                         - Ah!

Ennio                            - Io lavoro, vado via al mattino e torno alla sera. Non posso fare il carabiniere... Non stava mai via più di due giorni... meno che d'estate. Quest'estate è andata al mare...

Baldelli                         - Con il fidanzato?

Ennio                            - Sì.

Baldelli                         - Saprà chi frequentava, che vita fa­ceva...

Ennio                            - Con la vita che faccio! Quando esco la mattina, lei dorme...

Baldelli                         - ...e la sera quando rientra, lei esce...

Ennio                            - Ma io mi fido. E' molto intelligente. Tutti quelli che la conoscono le vogliono bene. Anche in casa nostra, dove a vedere una più elegante di loro, che non dà troppa confidenza si fa in fretta a tirarsi addosso le invidie e la rabbia. Invece no. E' una ra­gazza che si fa voler bene.

Baldelli                         - (con lieve sarcasmo) Non ne dubito.

Sergio                            - Quello che non so, signor...

Ennio                            - ...Corsi.

Sergio                            - Quello che non so è come noi potremo aiutarla.

Ennio                            - Voi arrivate dappertutto e magari su un milione di persone che vi leggono c'è qualcuno che sa qualcosa, non le pare?

Sergio                            - Se fosse accaduta una disgrazia, ne sa­rebbe stato informato, stia sicuro. Si vien subito a sapere.

Ennio                            - Difatti mi sono informato; guardie medi­che, ospedali, tutto... Nessuna notizia.

Sergio                            - Vede?

Ennio                            - Non sono tranquillo. Mia figlia non va via senza scrivere un biglietto.

Baldelli                         - (sempre con la piccola fotografia in mano) Ma questa è mezza fotografia soltanto, un po' piccolina. Non ne ha altre?

Ennio                            - (con una sfumatura d'imbarazzo) Sì, la testa e il busto. L'ho ritagliata perché se no non ci stava nel piccolo portaritratti che ho sul comodino da notte...

Baldelli                         - (cambiando tono) Mi dica un po' si­gnor Corsi. Se ho 'ben capito, sua figlia, da un po' di tempo faceva un po' troppo la bella vita, non è vero? E questa sua paura... Lei sa qualcosa di più che non ci vuol dire...

Ennio                            - Io sono il padre, sa? (Baldelli rimane muto a rigirare fra le dita la piccola fotografia. Un lungo silenzio)

Ferauto                          - Perdonami Sergio, quel romanzo di Ar­mieri quello che faceva la satira del mondo politico, come si chiamava? I Doganieri?...

Sergio                            - Ladri e Doganieri. (A Ennio) Non so pro­prio cosa potremmo fare... (Entra dalla parte del corridoio Elsa Marini, trent’anni, profumo francese, lingua pungente, cappotto di cammello con martin­gala. Senza cappello. Giornalista anche lei, ma non soltanto cronista mondana e redattrice di moda. E non deve assomigliare all'idea che comunemente si ha della donna giornalista. Fa dello spirito, ma non è affatto una caricatura. Una donna che lavora, in­somma e che sa fare il suo mestiere. Sebbene più o meno tutti subiscano il suo fascino, è un fatto appena percepibile)

Elsa                               - Buongiorno a tutti. (Sergio fa cenno di sedere a Ennio che si era alzato all'ingresso di Elsa)

Ferauto                          - (a Elsa) Capiti a proposito. Tu non hai intervistato una volta Claudio Armieri? Hai pubbli­cato un lungo servizio, mi pare.

Elsa                               - Sì, ma se vuoi insinuare che è morto per la rabbia... Sarà stato cinque anni fa.

Sergio                            - Sei già informata?

Elsa                               - Evidentemente.

Sergio                            - Lo sai che aspettavamo soltanto il tuo articolo? Fortuna che doveva essere pronto ieri sera.

Elsa                               - (porgendogli dei fogli piegati) In compenso ti giuro che è ottimo.

Sergio                            - Te lo confermerò dopo averlo letto.

Elsa                               - Fidati. Una satira pungente in punta di penna. . Ma tu stavi parlando. Scusa, state tutti lavorando. E' quasi vergognoso.

Sergio                            - Non ci sono segreti.

Elsa                               - No, no. Passo in amministrazione. (Esce)

Sergio                            - (a Ennio) Deve perdonare, ma qui è sem­pre così.

 Baldelli                        - (reggendo ancora la piccola fotografia, a Ennio) E' recente?

Ennio                            - Di quattro anni fa, ma è rimasta uguale.

Baldelli                         - In costume da bagno, se non sbaglio,..

Ennio                            - (imbarazzato) Sì...

Baldelli                         -Fatta al mare?

Ennio                            - (c. s.) Credo...

Baldelli                         - Ma c'è un numero, se riesco a veder bene, qui sulla spallina.

Ennio                            - Ah, è stata presa al concorso.

Baldelli                         - Quale concorso?

Ennio                            - ...un'estate ha partecipato ad uno di quei concorsi.

Baldelli                         - Dove?

Ennio                            - Qui, in un locale.

Baldelli                         - Ha vinto?

Ennio                            - E' arrivata seconda, ma le hanno offerto di fare del cinematografo, poi, non ha voluto. (In tono di rivincita) Ha visto certe cose che non le sono piaciute...

(Baldelli, come seguendo un'ispirazione improvvisa va verso i grandi cassoni metallici dell'archivio e ne estrae delle buste gialle; sul tavolo esamina un pacco di fotografie. Contemporaneamente rientra Solzi che in silenzio va al suo tavolo, interessandosi al colloquio di Sergio ed Ennio)

Sergio                            - Io spero che ritorni a casa anche all'in fuori di quel po' di spazio che potremo dedicarle.

Ennio                            - Non so che cosa pensare.

Sergio                            - Non spetta a me dirglielo, ma dovrebbe sorvegliare un po' di più le amicizie di sua figlia. Vi­sto che ha la fortuna di continuare a vivere con lei...

Ennio                            - Oh sì; non mi lascia. Non mi darebbe questo dispiacere. Vede, questo è un buon segno, che non lasci suo padre.

Sergio                            - (si è alzato) Certo.

Ennio                            - Il suo giornale lo leggono in molti. Forse qualcuno saprà darci notizia.

Sergio                            - Si metta di buon animo.

Baldelli                         - (ritorna di corsa verso Sergio prima che congedi Ennio) Aspetta un attimo. Solzi vieni qui. Adesso lei si ritirerà di là con questo signore e gli dirà tutto quello che sa e che vuole dirci...

Ennio                            - Ma io ho detto tutto...

Baldelli                         - Noo... riguardo a lei, sua figlia... la sua età, qualche ricordo, dei particolari sulla vostra vita. Tutto può servire... (A Solzi) Fagli tu un po' di cura.

Solzi                              - Devo' prendere degli appunti?

Bardelli                         - Più notizie che puoi... (Dando la mano a Ennio) Ci vediamo dopo...

Sergio                            - Cosa ti salta in testa?

Baldelli                         - Mi lasci fare.

Solzi                              - (a Ennio) Vuol venire con me?

Ennio                            - (a Sergio) Ma... (Cambia idea) Vengo.

Solzi                              - (sull'uscio. Si rivolge a Baldelli che li ha se­guiti) E' importante?

Baldelli                         - Tiragli fuori quello che puoi.

(Solzi esce. Sergio che si era mosso per congedarsi da Ennio, ritorna al proprio tavolo, ma prima si fer­ma un attimo davanti a quello di Ferauto)

Sergio                            - Chissà dove è andata a finire?

Ferauto                          - La concezione del giornalismo moder­no di sostituirsi alla polizia non ha mai trovato la mia approvazione.

Baldelli                         - (ritornando verso Sergio dopo un'altra sosta all'archivio) Ho trovato quel che cercavo. (Avanza sventolando una fotografia)

Ferauto                          - (con intenzione) ...anche perché fa di­ventare giornalisti troppi individui nati per fare i detective.

Baldelli                         - (in una mano regge la fotografia piccolina di Delia, in un'altra una foto grande. A Sergio) Guarda... Una parte... e l'intero. Guarda.

Sergio                            - (osserva le due foto) Già, la stessa per­sona. (Volta la foto grande e legge) Luglio 1953 ele­zioni di Miss Lombardia... (Nel frattempo è rientrata Elsa che incuriosita si avvicina)

Baldelli                         - (a Sergio) Ti ricordi quel mezzo pu­tiferio, quella madre che si è messa a gridare e ha tirato fuori la bambagia dal decolleté di una ragaz­za? Eccola. La ragazza col seno imbottito...

Sergio                            - La figlia...

Baldelli                         - Proprio. Adesso... adesso mi ricordo tutto. In questa foto microscopica non riuscivo a ri­conoscerla. Lo sapevo di averla già vista. Un mo­mento, un momento, che se trovo una persona...

Sergio                            - (confronta anch'egli le due foto) Già.

Elsa                               - Mica una gran bellezza. E che cosa ha fatto?

Sergio                            - La figlia di quel vecchio che c'era qui prima. E' scomparsa, da cinque giorni, senza lasciare tracce.

Elsa                               - Tornerà con un figlio. O senza. (Baldelli sta consultando un libriccino di indirizzi)

Ferauto                          - Adesso che si è aggiunto il particolare di un costume da bagno, non c'è più motivo di rifiu­tare al vecchio il piacere di pubblicargli la fotografia della figlia. Non ho mai visto che una donna semi­nuda non sia determinante nei criteri di scelta del materiale da pubblicare.

Elsa                               - (ha preso dalla scrivania di Ferauto il primo foglio scritto del suo articolo per Claudio Armieri. Dopo qualche attimo) Ecco il vero giornalismo di vec­chia scuola. (Legge) « La monumentalità della prosa di Claudio Armieri si fonda sulla grandiosità della sua visione del mondo e non su quella delle sue cor­nici e delle sue costruzioni... » (A Ferauto) Come fai a essere così bravo? (Depone il foglio) Ma a propo­sito di Claudio Armieri, hai. parlato della sua mania di raccogliere cani randagi?

Ferauto                          - Lo ignoravo.

Elsa                               - Hai trascurato il solo particolare interes­sante della sua vita (Cambiando tono e rivolgendosi a Sergio) « Il destino delle Miss »: è un articolo che voglio scrivere da un anno. E' c'era una statistica pubblicata proprio l'altro giorno. «Lo sapete che in Italia scompaiono duecento ragazze al mese? Pren­dere a pretesto questo fatto d'attualità per affron­tare un problema più generale. Che cosa ne pensi? Partire chiedendoci che cosa è accaduto a Delia Corsi per tracciare un panorama della situazione di queste ragazze che dopo un breve momento di popolarità non si rassegnano ad una vita normale. E si potreb­bero sprecare venti righe per fare alcune considera­zioni.

Sergio                            - Ma di lei, di questa ragazza ne sappiamo poco.

Baldelli                         - (forma un numero) Sto chiamando qualcuno che può darci notizie di prima mano. (Al telefono) Pronto... Maria? Baldelli. Sì, il giornalista. Bene, grazie. Pronto? Dormivi? Scusa se ti disturbo... Vorrei un paio di informazioni. Ti ricordi quella ra­gazza bionda che ad un certo punto filava col Mantini? (Scandendo) Mantini... E smettila di sbadigliare. (Sbadiglia) Sì, due anni fa. Sì, lo so che il Mantini non ha più una lira. Volevo sapere della ragazza, invece... Ma sì, quella distintina, con un po' di puzza sotto il naso. A quell'epoca era abbastanza in auge, mi pare? Come si chiamava?... Ah, ecco... No, non lo so che cosa fa. Dimmi... Ah, non la vedi da un pezzo? Da quando? Da allora?... Capisco. Dopo il Mantini con chi si era messa?... Dicevano, ma non lo sai. Ho capito, non l'hai più frequentata. Bene. Ti ringrazio. E tu, come stai, son contento. Ciao e scu­sami... Nooo, niente di grave. Affari personali. Ciao Maria. (Abbassa il ricevitore. A Solzi) E' lei. Allora l'ho proprio conosciuta.

Ferauto                          - (con ironia) Come?

Baldelli                         - Ha avuto il suo momento. Piscina del tennis, fine settimana a Portofino. Sempre elegante alle prime di rivista. Era l'amica di un certo Mantini... che allora era ricchissimo.

Elsa                               - Ho capito il giro e il genere.

Baldelli                         - Per un breve periodo deve aver fatto anche l'indossatrice. Bisognerebbe trovare certe vec­chie riviste di moda.

Sergio                            - E ultimamente?

Baldelli                         - Un po' in ribasso. La donna con la quale ho parlato un attimo' fa mi diceva di averla vista su una « seicento ».

 Elsa                              - Ha perso l'autobus...

Baldelli                         - Il termine probabilmente è esatto. Si vede che non è stata abbastanza abile per approfit­tare degli anni buoni.

Elsa                               - Non è riuscita a farsi mettere su casa e una boutique, insomma.

Sergio                            - E suo padre, volete dire che ignora?... Eppure mi sembrava un 'buon uomo, sinceramente preoccupato. (Dopo un attimo ed un breve ragiona­mento fra di se) Appunto.

Elsa                               - Mi pare di poterle fare il ritratto, da come ragiona a come si veste, pagliaccetto compreso. E scarpe. Con un po' di cambiali nel cassetto del comò.

Baldelli                         - (a Sergio) Che cosa rischiamo? La ra­gazza è scomparsa sì o no? Era una donna dalla vita piuttosto movimentata, sì o no? Cinque giorni non sono uno scherzo, qualcosa di interessante, di pic­cante almeno, in fondo al mistero ci deve essere. E poi è una bella donna, abbiamo la sua fotografia in costume da bagno...

Ferauto                          - Come si voleva dimostrare...

Baldelli                         - Naturalmente. I tuoi principi non li discuto. Avrai anche ragione tu, ma è un fatto che i giornali non si vendono certo per i saggi critici su uno scrittore morto, né per un eventuale servizio illustrativo sulla pittura fiamminga... Senza contare che al modo mio la professione diventa anche più divertente.

Ferauto                          - Se ne fai una questione di divertimen­to, perché non riempi il giornale solo con le bar­zellette.

Baldelli                         - In tutti i casi ho premesso: si tratta di una sensazione. Ho detto la mia. Il capo è lui.

Sergio                            - - in poche parole bisogna sollevare uno scandalo. E non credo che il vecchio Corsi ci ringrazierà.

Baldelli                         - Vedi che sei in contraddizione? Perché ammetti che della cosa si parlerà, che avrà delle ri­percussioni. E allora ti dico: e se la ragazza fosse morta?

Elsa                               - Tu galoppi un po' troppo con la fantasia. Ti sei fatto un nome durante il periodo delle sapo-nificatrici e questi anni di relativa fama ti hanno un po' falsato le prospettive.

Baldelli                         - Forse la verità è che sono il solo tra voi ad avere le idee chiare su quello che occorre a giornali come il nostro. Anche se non scrivo poesie e le tengo inedite in un cassetto. (A Sergio) Quale genere di scrupoli vi fanno indugiare? Mi pare di averli capiti. E allora perché trascuriamo l'affare Mazzeri? C'è un fondo morale che ci giustificherebbe se sollevassimo la questione Mazzeri non ti pare? Di Mazzeri invece non si interessa nessuno. Chi lo dice?

Sergio                            - Mazzeri non ci interessa per alcuni mo­tivi precisi: siamo un giornale di attualità e non dei ricercatori di ingiustizia retrospettiva. Qualunque co­sa si faccia in senso sociale non può essere disgiunto da una collocazione politica. Mazzeri e non Mazzeri, in tutti i casi finirebbe per diventare un aspetto im­maginario della vicenda che lo riguarda...

Baldelli                         - Senso sociale... E chi ti dice che questo caso, occupandocene non tocchi proprio un problema sociale vivo che trascende la storia stessa della ra­gazza. E' un fatto di costume, come dice Elsa.

Ferauto                          - ...da bagno...

Baldelli                         - (a Ferauto) Ma è un particolare che proprio ti ha colpito la fantasia!

Ferauto                          - Per me, tu sapessi quanto poco me ne importa. Mi interessano solo le ventimila lire che prendo a fine settimana quando l'articolo è pubbli­cato. Ai miei tempi...

Baldelli                         - Oh, i tuoi tempi ci hanno lasciato delle belle eredità...

Sergio                            - La foto di Delia Corsi, in testa di pagina... e tu Elsa, d'accordo; ne fai una nota di costume. Il fenomeno, una mentalità... visto da una donna. (Squil­la il telefono, Baldelli risponde distratto)

Baldelli                         - Sì?... Sono Baldelli. Ah, ciao Maestro... se andava bene? Non so. Aspetta che chiedo... (A Sergio) E' il maestre. Ci chiede se andava bene l'ar­ticolo.

Sergio                            - E' al telefono? Capita giusto. (Rispon­dendo) Pronto? Sì, io. Ciao. Senti. Ma a te puzza lo stipendio? Perché??? Non lo sai che quella è tabù? No, non l'ho mai sentita cantare, ma che vuol dire... Cagna? Sì, ma... Ingoiata e rauca... Sì. Ti rileggo quello che hai scritto. (Legge da un foglio che prende dalla propria scrivania) « Non riusciamo a spiegarci le recenti fortune di questa cantante ancora grezza, incerta e limitata ». ...Confermi? Ma tu vivi nella luna! Sei l'unica persona in tutta la città a ignorare che va a letto con il figlio del nostro editore... Senti, sii ragionevole... Capiranno tutti che sei stato co­stretto. (Ascolta ancora a lungo) Va bene, come vuoi. Lo dirò al direttore. D'accordo, ciao. (Abbassa, quasi con rabbia, il ricevitore)

Baldelli                         - Che dice?

Sergio                            - L'articolo, se lo modifichiamo, deve uscire senza la sua firma, dopodiché ci suggerisce un titolo « La Malibran rediviva ».

Baldelli                         - Vedi gli uomini tutti d'un pezzo?

Sergio                            - (a Ferauto) Tieni, quando avrai finito il necrologio di Armieri, aggiusta anche questo. Cer­ca un po' di aggettivi e mettili uno dopo l'altro. Non esagerare. Quattro aggettivi, e parla di successo. Basta. (Accorgendosi di Elsa) Già. Ci sarebbe anche da leggere il tuo articolo. Hai in mente un titolo?

Elsa                               - « Il whisky nel biberon ». Ti va?

Sergio                            - Non c'è male. In tutti i casi è chiaro. (Consegna a Ferauto anche l'articolo di Elsa) Man­dalo in composizione.

Baldelli                         - Intanto ho trovato qualcosa. Ascol­tate. (Si avvicinano Sergio ed Elsa. Leggendo dal giornale) ... « seconda si è classificata la signorina Delia Corsi, una biondina di ventitré anni. Buona parte del pubblico avrebbe voluto vederla con la fascia azzurra del primato, conquistato dalla sua grazia, dalla signorilità che ne contraddistingueva i gesti e il sorriso... » (A metà di questa lettura è rien­trato Ferauto)

Elsa                               - ...la prosa ineccepibile di certi nostri col­leghi. (Baldelli legge a bassa voce)

Ferauto                          - (prima di mettersi a sedere) Saranno scoperte interessantissime, ma vi giuro che qui non è proprio possibile lavorare. (Strappa il foglio dalla macchina). Non si può scrivere una riga.

Sergio                            - Vai nell'ufficio di là; starai più tranquillo.

Ferauto                          - Sarà meglio. (Esce)

Elsa                               - Questi vecchi giornali mi danno un'idea. Vado in archivio e sfoglio un poco le collezioni per vedere se in passato è accaduto qualche caso ana­logo. Potrebbe servire per dei confronti... (Esce. Bal­delli e Sergio rimangono soli. Baldelli sta ricopiando dal giornale alcuni appunti)

Sergio                            - (dopo qualche istante) Ma tu, questa De­lia, quando l'hai conosciuta?

Baldelli                         - Non ricordo, ma adesso l'ho in mente bene... sai com'è, si gira...

Sergio                            - E suo padre?

Baldelli                         - Forse sa... d'altronde cosa potrebbe fare? I padri poveri con delle figlie belle, smettono un giorno inevitabilmente di essere padri. Può essere uno di quei tipici casi di pigrizia nei riguardi di pro­blemi che a sessantamila di stipendio al mese sono insolubili. Vedono la figlia che viene a casa con l'abito nuovo, con la pelliccia e sperano che se la siano pro­curata nel modo più lecito possibile. Un fidanzato... Se poi ne cambiano uno ogni giorno, non lo vogliono sapere... generalmente questi fidanzati non hanno mai nome e cognome. E' il fidanzato, e basta...

Sergio                            - Per te insomma, per quanto riguarda questa Delia è tutto chiaro?

Baldelli                         - Le premesse ci sono. E poi cosa ti devo dire? Montando un caso del genere si spera negli svi­luppi più imprevedibili e che si complichi il più pos­sibile. Tu non giri mai per la città dopo le tre di notte? Fai male. Si fanno delle conoscenze che per il nostro mestiere rappresentano altrettanti piccoli capitali in banca. Un giorno o l'altro vien comodo averle conosciute.

Sergio                            - Tu a queste cose ci credi. Io so che andrei in giro e non conoscerei nessuno.

Baldelli                         - Ci credo... non è la parola esatta. An­che tu quando litighi col proto per un titolo con la virgola, o senza, sai perfettamente che nessuno dei lettori se ne accorgerà, e se un articolo non è riuscito proprio come avresti voluto, sai che non casca il mondo, eppure ci sformi... Bè, è la stessa cosa. Poi ci sono le cose alle quali crediamo davvero... (Sorridendo) Ma non è il caso di scomodarle. Un conto è il lavoro un conto quello che siamo. Ho l'impressione che quando siamo sul lavoro è come se avessimo la divisa...

Gigliola                         - C'è di là un signore. Un giovanotto. (Porge a Sergio un biglietto)

Sergio                            - (leggendo) Stefano Corsi... Oh, di'... sarà il fratello. (A Gigliola) Lo faccia passare, lofaccia passare.

Baldelli                         - Vedi?... s'incaricano le cose a venirci incontro.

Sergio                            - (a Stefano Corsi, apparso sull'uscio) Si accomodi.

Stefano                         - (è un giovane bruno, ventenne, veste la divisa militare, sembra abbastanza soddisfatto del proprio aspetto: è imbarazzato dal luogo, ma non perde una certa disinvoltura) Buongiorno... Sono Stefano Corsi...

Sergio                            - (presentandolo) Il Dottor Baldelli. Prego. Lei sarebbe il fratello di Delia Corsi?

Stefano                         - Sì. So che mio padre è stato qui. Non so cosa le abbia detto, io l'avevo sconsigliato, gli avevo detto di aspettare...

Sergio                            - Lei non ritiene che a sua sorella possa essere accaduto qualcosa di grave?

Stefano                         - Non so ancora che cosa posso pensare... Ma vede, mio padre ignora un po' tutto di mia sorella. Anche cose che non vorrei magari saltassero fuori...

Sergio                            - Lei sa che alcuni anni fa anche noi ab­biamo pubblicato una fotografia...

Stefano                         - Sì, per quel concorso della miss... quat­tro anni fa, su molti giornali.

Sergio                            - C'è qualcosa che, ultimamente, nella vita di sua sorella le è parso insolito, strano?

Stefano                         - Mia sorella ha fatto sempre quello che ha voluto. Mio padre esce alle sette del mattino e lei si sveglia a mezzogiorno. Chi la vedeva?

Baldelli                         - E suo padre tollerava? Non c'è stata per caso qualche scenata, magari il giorno prima.

Stefano                         - Scenate? Mio padre non diceva niente. Solo ora si lamenta. Piange, e dice che glie l'hanno uccisa.

Baldelli                         - (di scatto) Glie... chi?

Stefano                         - Noo, ma cosa pensa? Dice per dire, co­sì... in generale. Ne sa meno di me.

Baldelli                         - Lei... che cosa sa?

Stefano                         - Niente. Voglio dire... Di quello che può esserle successo... e poi non so nemmeno se mia so­rella è così importante. L'ho detto, a mio padre: « Ma cosa vai a seccare un giornale? »...

Baldelli                         - Suo padre ha fatto benissimo. Che cosa può essere accaduto. Una bella ragazza che pri­ma d'ora non si era mai mossa senza avvertire. Che cosa? E come me lo chiedo io, se lo chiedono in molti. Lei stesso, immagino.

Stefano                         - (serrandosi un po' nelle spalle) Mah.

Sergio                            - Con lei non si è mai confidata in questi ultimi tempi?

Stefano                         - No, è un tipo che parla poco. Io la ve­devo che faceva la bella vita, e basta. C'è uno, ades­so, che telefona per chiedere se è ritornata, ma non vuol dire ohi è. Forse è quello che la vuol sposare, ma non so come si chiama. Dev'essere uno in bolletta. (Gigliola si affaccia sull'uscio, mentre vediamo accen­dersi una luce sulla scrivania dell'ufficio di destra, rimasto finora in ombra. Si scorge un uomo che in silenzio, depone il proprio cappotto su una poltrona e si avvicina al tavolo delle carte)

Gigliola                         - (a Sergio) E' arrivato il direttore.

Sergio                            - Giusto a proposito... adesso vado a par­largli, (a Stefano) ed è tutto quello che può dirci?

Stefano                         - Un'ultima cosa. Non so se può servire. Forse è importante, forse no. Comunque... Un mese fa ho chiesto a Delia del denaro. Mi ha dato un as­segno. Sull'assegno c'era un nome molto conosciuto.

Sergio                            - Vuol dire di una persona nota?

Stefano                         - Sì, perché l'avevo sentito; anche letto sui giornali.

Baldelli                         - Dove ad esempio.

Stefano                         - Un nome importante, ma non vorrei...

Sergio                            - Dica.

Stefano                         - Scusi sa? Non si offenda, ma dal mo­mento che c'è il direttore, preferirei dirlo a lui. Vor­rei qualche garanzia di non finire nei pasticci. Non si sa mai. (Occhiata fra Sergio e Baldelli)

Baldelli                         - Lei pensa che questa persona sia evi­dentemente uno fra gli ultimi corteggiatori di Delia.

Sergio                            - (annoiato) Se vuole comunque, possiamo andare insieme dal direttore. Vuol seguirmi? (A Bal­delli) Vieni anche tu. (Escono)

Solzi                              - (rientra con Ennio. A Gigliola) Avverti il capo che io ho finito e vorrei sapere quello che devo fare.

Gigliola                         - (che sta rientrando) Anzi, la vogliono proprio di la.

Solzi                              - (a Ennio) Mi scusi. (Esce. Ennio rimane solo. Ha l'aria affaticata, sconcertata, depressa. Di là si continua ad indovinare un gran movimento e una atmosfera di decisioni)

Gigliola                         - (si incontra con un uomo vestito con un grembiule nero evidentemente chiamato per telefono dalla tipografia. Gigliola regge una fotografia. Al ri­toccatore) Senta Turati, bisogna ritoccare questa. (/il discorso si svolge quasi davanti a Ennio, ma igno­randone l'esistenza) Ingrandita tre volte e rimanga soltanto questa ragazza. Intera, verticale.

Turati                            - (esaminando la foto) Chi è?

Gigliola                         - Una. Occorre subito, per la prima pa­gina che va sostituita.

Turati                            - Farò del mio meglio. (Prima che Turati sia uscito rientra Solzi)

Solzi                              - (fermando Gigliola) Ho bisogno di lei. Dobbiamo ricopiare questi appunti. Si mette alla macchina. (Gigliola si siede)

Gigliola                         - E' molta roba?

Solzi                              - Tre paginette. Dunque... La mattina del quattordici febbraio, un uomo anziano, dal viso gla­bro, dallo sguardo sperduto, si presentava alla re­dazione del nostro giornale. Sono un vostro lettore, disse, e ho bisogno di aiuto. Il suo nome è Ennio Corsi, impiegato, sessantenne, padre di tre figli... (Durante questa prima frase della dettatura Ennio che sente tutto, è sempre più imbarazzato)

Baldelli                         - (rientrando, a Gigliola) Bisogna avver­tire subito il proto che fermi tutto. Gli dica che aspetti a comporre tutto quello che dovrebbe andare da pa­gina dieci a pagina sedici...

Solzi                              - (mentre Gigliola si alza) Vada pure, faccio io. (A Baldelli) Un po' di rivoluzione, tanto per cam­biare. (Rientra Elsa, ha in mano una rivista illustrata)

Elsa                               - Ho trovato un caso molto analogo nel di­cembre del '54. La nipote di quel custode dello sta­dio, come abbiamo fatto a non ricordarcene, che aveva tentato di fare la ballerina poi è stata trovata a Napoli in casa di quello sfruttatore... (Si accorge di Ennio, rimane confusa. Cambia subito discorso) E' arrivato il direttore?

Baldelli                         - Ha deciso proprio adesso che vuole dare spazio a tutta la faccenda.

Stefano                         - (rientrando dall'ufficio del direttore. Al padre) Toh, sei ancora qui?

Ennio                            - Hanno voluto sapere... Mi sembra che si stiano facendo le cose più grandi di quelle che sono.

Stefano                         - T'avevo avvertito.

Baldelli                         - (senza dar retta a nessuno dei due. A Solzi) Dammi due fogli d'impaginazione. (Prende fo­gli, riga e matita e sul tavolo d'impaginazione si mette a tirare linee)

Ennio                            - E tu che cosa sei venuto a fare?

 Stefano                        - A portare un paio d'informazioni utili se vogliamo ritrovare Delia...

Ennio                            - Ma che cosa sono?

Stefano                         - Papà, certe volte tu vivi un po' nella luna. E invece bisogna badare ad altro. Vieni via?

Ennio                            - No. Ma resta anche tu... Vorrei parlare con il direttore. Chiedergli un po'?...

Stefano                         - Devo rientrare in caserma papà. Ci ve­diamo stasera. Vengo a casa a mangiare.

Ennio                            - Voglio un po' sentire che cosa hanno in­tenzione di fare...

Stefano                         - Eh... poi me le dici. Ciao. (A Baldelli) Buongiorno.

Ennio                            - (a Solzi) Mi scusi, posso sapere che cosa sta scrivendo?

Solzi                              - Un articolo.

Ennio                            - Su di me?

Solzi                              - Su quello che sa. Quello che è accaduto stamattina e il resto che mi ha detto lei.

Ennio                            - Ah...

Sergio                            - (rientrando) Signor Corsi. (Gli dà la ma­no) Faremo tutto il necessario per ritrovare sua figlia. Sa? Il suo caso, indipendentemente da una relazione qualsiasi con gli interessi del giornale, mi ha veramente commosso. Capisco il suo stato d'animo. E inoltre riporta d'attualità un tema che volevo trattare, che bisogna trattare... (A Baldelli) Vediamo un po' come riordiniamo il numero.

Baldelli                         - (arriva con il foglio d'impaginazione) Pensavo a due pagine impostate press'a poco così.

Sergio                            - (dà un'occhiata al foglio) Due pagine, sì. La fotografia grande, enorme, d'accordo. L'imposta­zione dell'articolo è chiara: no? La struttura va cen­trata su un determinato ambiente di vita galante. Un accenno, ma vago, all'ipotesi che in fondo al mi­stero ci sia la presenza di una persona con la P maiuscola. (A Ennio) Vede? Muoveremo tutti per sua figlia... Adesso vada a casa e aspetti con fiducia. Stia tranquillo. Avrà notizie più presto di quanto non immagini. (Congedandolo) Coraggio. (Rientra Gigliola). Gigliola accompagni il signore.

Ennio                            - Buongiorno.

Gigliola                         - (prima di uscire a Solzi) Volevo av­vertirla che anche con gli ultimi espressi non è ar­rivato l'oroscopo.

Solzi                              - Ma benone!

Baldelli                         - (a Sergio) Scusa, tre pagine e va bene, ma abbiamo l'articolo su Tirelli, che sai a chi sta a cuore.

Sergio                            - (che sta avviandosi) Una pagina invece di due. I favori non si misurano a spazio.

Baldelli                         - E il necrologio di Armieri?

Sergio                            - (sbrigativo) Una fotografia con dieci ri­ghe sotto. Basterà. (C'è una lunga occhiata degli altri verso l'ufficio dove era scomparso Ferauto; nel silen­zio improvviso si sente il battito monotono di una macchina da scrivere)

Baldelli                         - Bisogna avvertirlo.

Elsa                               - A quello gli viene un colpo.

Sergio                            - Vado a dirglielo.

Solzi                              - (a Sergio) Volevo dirti piuttosto che non è arrivato l'oroscopo. E giù in tipografia lo reclamano.

Sergio                            - Bell'affare. (Dopo un attimo) Sai pur­troppo come dobbiamo rimediare.

Solzi                              - Come l'ultima volta?

Sergio                            - Sì. Te ne occupi tu, per favore? L'arti­colo me lo porti alle due, come loro. (Dopo un istante) Ottimista e sereno, mi raccomando. (In piedi davanti a dei fogli traccia delle righe)

Solzi                              - Ma possibile che ogni tanto quello stupido di mago e chiromante non riesca a prevedere i ritardi postali? (A Gigliola) Si metta a sedere lì e scriva. Ha il blocco?

Elsa                               - Che divertente! Ti aiuto io. Ci mettiamo insieme e dettiamo a Gigliola delle previsioni e dei suggerimenti pieni di buon senso.

Ferauto                          - (rientra, seguito da Sergio; si ferma, guar­da gli altri biecamente, poi accartoccia tre fogli, uno per uno; in silenzio, mentre gli altri scrivono prende di mira da lontano il cestino della carta straccia e ve li butta, come ipotetiche bocce. Poi afferra il so­prabito) Vado a prendere un po' d'aria. (Risata degli altri)

Solzi                              - (a Gigliola che si è procurata il blocco) Scriva. Ariete: Per i nati sotto questo segno... setti­mana di lieti auspici per chi inizia relazioni senti­mentali.

Gigliola                         - Io sono dell'Ariete.

Solzi                              - Benone. Allora sa che cosa le resta da fare?

Gigliola                         - Ma io sono fidanzata.

Solzi                              - E allora cambi: settimana lieta per i fi­danzati di vecchia data. Punto. Non badate ai pette­golezzi e se dovete effettuare un cambiamento, fatelo di preferenza in mattinata.

Elsa                               - Che cosa vuol dire?

Solzi                              - Che ne so. L'ho letto da qualche parte. Dopo l'Ariete che cosa viene?

Elsa                               - Il toro.

Solzi                              - Toro... I nati sotto questo segno devono evitare i viaggi per mare.

Elsa                               - Ti ha detto ottimista.

Solzi                              - Almeno quelli del mare del nord. Per il resto avrete soddisfazioni nel campo degli affari, del cuore...

Sergio                            - (a Baldelli) Apriamo il servizio con l'ar­ticolo qui. Titolo a quattro colonne. Piuttosto credi che la ritroveremo viva?

Baldelli                         - Oh, ma speriamo, poveretta...

Solzi                              - Non vi lasciate illudere da conoscenze non sperimentate. Sulla ruota di Napoli consigliamo 33, 83, 27. (Mentre Gigliola scrive si fa buio)

II Quadro

Tre giorni dopo. Le sette e mezzo di sera, circa. Sergio è alla sua scrivania, Ferauto sta battendo alla solita macchina da scrivere, Solzi, al telefono, sta prendendo degli appunti. Molto silenzio, accese sol­tanto le luci ai rispettivi tavoli.

Solzi                              - (rispondendo) Sì... ho capito. Radiologo. Da sei mesi non la vede più. D'accordo. Ha detto Sergio di seguire quella traccia dell'automobile. Az­zurra, sprint, di serie. Bada che le danno la caccia tutti... Sì... a domani. Ciao. (Riattacca. A Sergio) Era Obrizzi. Ha rintracciato il presunto fidanzato. Di vero c'è soltanto che è dottore; un radiologo. Ma gli ha dimostrato che non vede più Delia Corsi dall'agosto... Sa solo che dopo di lui, Delia se la faceva con un giovane agente di cambio.

Sergio                            - C'era da aspettarselo. Comunque vedia­mo di rintracciare questo agente di cambio.

Solzi                              - Da allora di fidanzati ne avrà cambiati... C'è da perdere il conto.

Baldelli                         - (entra da fuori. Ha un pacco di giornali in mano) Salve! Si sono scatenati tutti. Titoli a quattro colonne. (Stendendo i giornali sul tavolo di Sergio) Leggi: « Sempre più fitto il mistero della ra­gazza scomparsa... Vittima di un delitto la ex miss scomparsa di casa? Vendetta personale? L'ultima per­sona che la vide è un distributore di benzina. Il di­stributore di benzina si contraddice... ». Toh, divertenti!

Solzi                              - E non si tratta di un uomo, altrimenti avremmo già sentito parlare di Legione Straniera.

Sergio                            - E' quasi incredibile...

Baldelli                         - E noi siamo esauriti in tutte le edicole.

Sergio                            - Avere qualcosa in più degli altri nel prossimo numero: ecco il problema. O abbiamo la chiave del mistero, oppure sull'argomento si sarà detto tutto.

Solzi                              - Di Delia Corsi si sa tutto.

Baldelli                         - (avvicinandosi a Sergio) Sono stato fino a poco fa dal nostro personaggio.

Sergio                            - E allora?

Baldelli                         - Gran paura di compromettersi, e da parte nostra, molti motivi seri per riflettere a lungo prima d'arrischiarsi a fare il suo nome... Ma nessuna relazione col fatto, garantito. Un'amica di ogni tanto...

Solzi                              - Per me è una storia di stupefacenti!

Ferauto                          - Ha, ha! Me l'aspettavo! Mi pareva stra­no che non si arrivasse a questo.

Baldelli                         - Secondo me, invece, sarà compiuto un primo passo solo quando avremo rintracciato il pro­prietario dell'automobile azzurra che, da qualche tem­po, ogni giorno aspettava Delia sotto casa sua...

Ferauto                          - Ed eccoci trasformati in una succur­sale di polizia... Domani il direttore mi ordinerà di muovermi coi cani lupo ai quali avremo fatto annu­sare un oggetto di vestiario della giovane scomparsa.

Baldelli                         - E' un'idea... Ma io continuo a credere che padre e fratello, più il giovane del vecchio, sap­piano qualcosa di più.

Solzi                              - E la misteriosa telefonata di quel tale che promette di dirci tutto in cambio di mezzo milione?

Sergio                            - Se non è un mitomane lo vedremo do­mattina; gli ho detto di venire qua.

Baldelli                         - E se per il momento andassimo al ci­nematografo e poi a farci sopra un bel sonno?

Ferauto                          - (guarda l'ora. Scatta in piedi) Le otto meno un quarto! Non ci metteremo a far degli stra­ordinari per accumulare ipotesi.

Solzi                              - Ti do un passaggio fino a casa? (Va ad infilarsi il cappotto)

Ferauto                          - (a Sergio) Tu ti fermi?

Sergio                            - Ancora una mezz'ora... Ne approfitto per impostare il numero nuovo. La miss scomparsa non basta a riempirlo, purtroppo.

Solzi                              - A domani.

Ferauto                          - Io verrò con un po' di ritardo. C'è una celebrazione in memoria di Armieri.

Sergio                            - D'accordo. (Solzi e Ferauto escono. A Baldelli) Dobbiamo prevedere che l'argomento ri­manga caldo per tutta la settimana, anzi...

Baldelli                         - Ho un'arma segreta. Una certa Maria" Calò, di professione... incontrista, partita improvvisamente per Sanremo, probabilmente per non correre il rischio di essere interrogata. Se la trovo al tavolo della roulette mentre perde un po' di soldi, è fatta...

Sergio                            - Purché non ci precedano. Per noi il mi­stero deve durare altri quattro giorni. Se invece cir­cola la voce che i giornali pur di sapere sono disposti a pagare molto, è finita...

Baldelli                         - Ma Delia probabilmente è morta.

Sergio                            - Dici? Già, i giorni sono diventati otto.

Baldelli                         - O dramma passionale o vendetta... rna non credo ci sia più da sperare molto. Ma poi, prima di sapere chi e come. Ho tutta l'impressione che do­vremo occuparci del caso per molto tempo ancora.

Sergio                            - Bisognerebbe sapere chi frequentava que­sta donna. E' la prima cosa da appurare, dovrebbe essere l'argomento del nostro articolo del prossimo numero.

Baldelli                         - Non sarà un problema di questo nu­mero, ma forse di quello che dovremo escogitare ancora fra un mese.

Sergio                            - Che cosa?

Baldelli                         - Non temere. Ci penseranno gli avve­nimenti.

Sergio                            - Nuove ipotesi. Sconvolgimenti, sospetti, indizi, piste da seguire, rivelazioni... che allegria.

Baldelli                         - La storia non ti piace? Troppo presto... Il pubblico incomincia ad appassionarsi adesso.

Sergio                            - Quante volte dovremo sorprenderci an­cora di fronte al mistero di quello che interessa al pubblico.

Baldelli                         - Questa storia è composta di quei tre o quattro ingredienti sicuri... Aumentare la tiratura di un giornale è spesso il frutto di una reazione chi­mica.

Sergio                            - E del modo di come se ne offrono i ri­sultati!

Baldelli                         - (accomiatandosi) Reazione chimica, e confezione del prodotto... Buonanotte. Io vado a casa. Vedremo la giornata di domani che novità ci porta.

Sergio                            - Ciao. (Baldelli esce. Lunga pausa)

Portiere                         - (apparso nel vano della porta) Dottore, c'è di là una persona. Dice che è urgente. Vuol par­lare col dottor Baldelli.

Sergio                            - Che persona?

Portiere                         - Una signorina. Dice che è urgente.

Sergio                            - Ha detto il nome?

 Portiere                        - No.

Sergio                            - Fai passare. (Dopo qualche attimo sul vano della porta appare una giovane donna. Indossa un soprabito sportivo aperto su un tailleur grigio. In mano regge una di quelle « Beauty Case » scozzesi che adoperano le indossatrici. E' bionda, alta slan­ciata, un po' sofisticata. Ha un aspetto affaticato e distante. Ma si farà via via più aggressiva per poi ritrovare toni più rassegnati e spenti. Sergio la fissa, la riconosce subito)

DELI'                            - (è arrivata davanti alla sua scrivania) So­no Delia Corsi... Cercavo il dottor Baldelli!

Sergio                            - Ma no... (Rimane ad osservarla per un attimo. Dopo il primo momento di stupore sembra colpe o soprattutto dal lato grottesco della situazione e la sua prima reazione è una specie di ilarità repressa e nervosa) Baldelli? Non c'è. Non c'è nessuno. Ma dica... Lei... Ma che cosa le è accaduto?

Delia                             - Nulla. La chiedo a voi, piuttosto.

Sergio                            - (c. s.) Nulla?... Ma allora... Delia Corsi...

Delia                             - La ex miss scomparsa da casa...

Sergio                            - Migliaia di persone preoccupate per lei, tutti i giornali in caccia per scoprire il mistero, e lei... Si accomodi signorina. Mi scusi, ma davvero questa sua apparizione... così, come devo dire... nor­male, ha veramente qualcosa di incredibile.

Delia                             - Baldelli non viene più? Volevo parlargli. Mi conosce.

Sergio                            - Sono il redattore capo del giornale, mi chiamo Antoni. Può parlare con me, può dire a me. Anzi, deve dire... proprio con Baldelli, fino a un at­timo fa stavamo a parlare a discutere e far suppo­sizioni sulla sua sorte. E davvero abbiamo pensato a tutto fuorché all'ipotesi che lei potesse ritornare così, come di ritorno da una gita. Ma che cosa le è acca­duto?

Delia                             - Gliel'ho dette: nulla di particolarmente interessante.

Sergio                            - Ah no! Tutto è interessante. Lei è scom­parsa da casa, è rimasta otto giorni senza dar notizie, se siamo stati pazzi a immaginarci... a preoccuparci, bisogna che ce lo dimostri. Non mi basta il colpo di scena della sua apparizione inattesa. Sono molto cu­rioso, anzi.

Delia                             - Ma anch'io le ho fatto una domanda.

Sergio                            - E' stato suo padre: è venuto da noi di­sperato, e a ragione. Ammetterà che era giustificato pensare al peggio.

Delia                             - E quanto è stato scritto serviva a ritro­varmi?

Sergio                            - Come mai tutti questi giorni di silenzio?

Delia                             - E' proprio necessaria una spiegazione? Non può essere una storia che riguarda me sola?

Sergio                            - La sua scomparsa non è più un fatto che riguarda lei sola! Se ne rende conto, vero?

Delia                             - Di questa pubblicità ne facevo anche a meno.

Sergio                            - E' già stata da suo padre?

Delia                             - No, non sono stata a casa. Arrivo ora, vo­levo parlare con Baldelli e chiedergli che cosa debbo fare... Adesso lo chiedo a lei.

Sergio                            - A me... già. Glielo dirò, ma ora deve rac­contarmi tutto. Da principio. Lei esce di casa giovedì sera, e non rientra né quella notte né il giorno dopo... Continui lei.

Delia                             - Se glielo racconto rimarrà deluso. E' una storia banale. Un contrattempo. Davvero non mi aspettavo che per questo contrattempo avrei visto la mia faccia su tutti i giornali.

Sergio                            - (riprende per un attimo il tono divertito, di ironia rivolta contro se stesso. Quasi fra sé) E do­mani i giornali pubblicheranno: signori, ci siamo sbagliati niente delitti o drammi, solo un contrattempo.

Delia                             - Sembra quasi che le dispiaccia che io sia ritornata. Forse era meglio se mi trovavate stecchita, imbavagliata e con un ferro da calza nella gola? E vero? Mi dispiace di avervi delusi.

Sergio                            - Signorina: che non le sia accaduto nulla di grave non può che rallegrarci.

Delia                             - E allora? Le ripeto che si tratta di una storia banale, che non interesserà a nessuno. Me n'ero andata con un uomo, per un periodo lungo, per sempre, diciamo.

Sergio                            - E quando sono usciti i giornali lei ha lasciato trascorrere altri due giorni. Con quello che i giornali avevano scritto.

Delia                             - Ho visto il primo giornale ieri, per caso. Senza saperlo ero diventata famosa: si è scritto più per me che per Marylin Monroe. (Pausa) Non mi crede?

Sergio                            - No, mi dispiace, ma non credo, come stanno le cose, che lei non avrebbe almeno avvisato suo padre.

Delia                             - Era stata una decisione improvvisa.

Sergio                            - Comunque poteva scrivere due righe.

Delia                             - (alzando la voce) Ma l'ho fatto! Ho con­segnato la lettera ad un ragazzo. L'avevo scritta in fretta al tavolo di un bar. Gli avevo dato anche la mancia.

Sergio                            - E lui si è tenuta la mancia...

Delia                             - Si vede. La lettera non l'ha portata.

Sergio                            - Certo... In che via era questo bar?

Delia                             - Dalle parti... Dietro la stazione.

Sergio                            - Un po' fuori mano, no? E lei ha pensato che il ragazzo avrebbe attraversato la città per por­tare una lettera? La posta non era più semplice e più sicura? Ci sono buche delle lettere dappertutto, sa?

Delia                             - Se non vuol credermi non so che farci. Le sembra una spiegazione troppo misera, vero? E allora, se proprio insiste: le dirò che sono stata rapita, da un campione di calcio che mi ha portato ad una fe­sta. Lì un attore del cinema mi ha dato la cocaina e mi ha obbligata a ballare nuda. Una samba. Siccome gli ho detto che non ero capace, mi ha venduta ad un principe arabo, mercante di schiavi, che mi ha portata in Africa, e in Africa sono stata riscattata da un missionario che mi ha nascosta in un carico di cocomeri e mi ha portata fin qui. Va bene? C'è da fare un articolo magnifico, vero?

Sergio                            - (sorridendo) Magnifico. Farebbe la gioia di tanti miei colleghi. Ma io preferirei che mi di­cesse la verità.

Delia                             - La verità. Ma è forse vero tutto quello che avete scritto su di me?

Sergio                            - Non è vero quello che si è detto sulla sua vita... galante? Su un certo genere di amicizie, di relazioni.

Delia                             - (imbarazzata) Sì... Ma non si può dire sol­tanto quello che appare... è facile. Non si può far credere che provassi gusto ad una certa vita solo perché mi si è vista ridere forte o essere un po' ubriaca la sera nei locali.

Sergio                            - Mi dispiace per lei... se non si divertiva nemmeno.

Delia                             - No! Certo che non mi divertivo.

Sergio                            - Lo faceva allora per mantenere in col­legio il suo bambino?

Delia                             - Che stupidaggini; non ho bambini.

Sergio                            - E allora perché non se ne stava a casa sua? Ma le piacevano le automobili, i begli alberghi, i bei vestiti, vero?

Delia                             - Sì, ma... li avrei dati tutti per qualcosa...

Sergio                            - Capisco. La considerava una condizione provvisoria, in attesa di un'occasione di riscatto dell'uomo cui restare fedele per tutta la vita... Dopo di che, c'è da giurarlo, sarebbe stata la miglior donna di questo mondo... perché in fondo è tutto quello che lei chiedeva no? (Pausa) In effetti, di questi retrosce­na di coscienza nessuno ha parlato. L'avrebbero di­minuita come personaggio... L'avrebbero reso più squallido.

Delia                             - Personaggio? Ma io non sono un personag­gio! Non ero interessante... se anche avevo sbagliato tutto, avevo il diritto di sbagliare da sola. Siete voi che avete adoperato solo quello che vi serviva per impressionare la gente... A quel personaggio io non assomiglio affatto.

Sergio                            - Ma le sue ambizioni erano vaste, se non sbaglio. Che cosa mi sa dire per esempio di un regalo ricevuto da una persona molto importante... di un assegno.

Delia                             - Ah, sapete anche questo?

Sergio                            - Si tentava il colpo grosso?

Delia                             - No. (Sorride con amarezza) E' stato un caso, si figuri che sono stata con lui al posto di un'al­tra. E' uno che telefona ogni tanto, d'improvviso... e quella sera la mia amica che di solito... beh, era via di città. L'ho visto solo due volte. Noo, non m'inte­ressava il colpo grosso. In fondo sono una ragazza come ce ne sono tante altre, fuori di posto dovunque.

Sergio                            - (dopo un silenzio. Quasi cupo) Già, e co­me tale, davvero, tutto può apparire sproporzionato. E poi è ritornata, non le è accaduto nulla, nemmeno un'avventura clamorosa di cui si possa parlare...

Delia                             - Ecco... Ma ora bisogna scrivere che non è vero, che ero diversa dalla vita che facevo. Questo, i giornali devono pubblicarlo, adesso che sono qui io a provare che tutte le supposizioni erano sbagliate... E poi, vi assicuro che di me non sentirete parlare più...

Sergio                            - E lei lo crede possibile? Lasciamo andare il personaggio, questo sì, ma negare quello che è vero, nemmeno.

Delia                             - Ma se le ho detto...

Sergio                            - (interrompendola molto bruscamente) Oh, sì, l'anima! Ma di quella non si è mai fatta questione. Ci vuol altro che un articolo di giornale per poter fare delle distinzioni. E' vero quello che non si può smentire. Che lei si chiama Delia, che lei aveva par­tecipato a un concorso di miss, che lei aveva frequenti avventure, che era scomparsa di casa, che è ritornata. E quindi bisogna dire perché è scomparsa. Nemmeno mettere tutto a tacere, è possibile, dunque. Le ga­rantisco che lo farei. Come uomo e come giornalista. Ma bisogna concludere. Se un incidente anche il più sciocco si mette in pubblico è un guaio. Bisogna rac­contare la storia fino in fondo... per quanto squallida.

Delia                             - Inutile.

Sergio                            - (quasi con dolcezza) Lo sa che persino la sua fotografia in costume da bagno non le assomiglia.

Delia                             - E' di quattro anni fa, ero più giovane.

Sergio                            - No, non volevo dire solo questo. Voglio dire che anche quella fotografia dà un'idea di lei di­versa da quella che è. Che stupido pasticcio. Tutto vero, eppure l'abbiamo inventata noi. E come l'ab­biamo inventata, ora che è qui, non possiamo conti­nuare a mantenerla in vita com'è... davvero, perché parlarne.

Delia                             - Non capisco.

Sergio                            - (guardandola) Che facciamo signorina Delia? Eh, che cosa facciamo?

Delia                             - Si preoccupa del suo giornale?

Sergio                            - Pensi... Anche di lei.

Delia                             - Si sente colpevole?

Sergio                            - No... come dire: un po' compromesso.

Delia                             - E perché non potete scrivere che la ra­gazza scomparsa è ritornata, e che era scomparsa per inseguire un suo sogno d'amore, che non si preoccu­pava d'altro che di questo e che era tanto dispiaciuta per la preoccupazione data a suo padre. (Sergio ride) Cosa ha da ridere?

Sergio                            - Non se n'abbia a male, rido anche di me stesso. (Dopo una pausa senza troppo interesse) Vuo­le raccontarmi meglio quello che le è accaduto inse­guendo questo suo sogno d'amore...

Delia                             - Sono corsa dietro ad un uomo. Avevo perduto la testa. E non è servito a niente. Anzi. Sono rimasta sola...

Sergio                            - Chi è quest'uomo? Dov'è?

Delia                             - Con la testa affondata in un cuscino, che prega: (sorride) che io, proprio in questo momento non faccia il suo nome.

Sergio                            - Dieci righe di stampa... Titolo: gli iste­rismi di una donnina romantica... no, mi scusi; pen­savo a quello che ne concluderà la gente.

Delia                             - Che cosa me ne importa della gente?

Sergio                            - Non dica così.

Delia                             - (dopo un lunghissimo silenzio) E allora? Dal momento che non mi è accaduto nulla, non in­teresso più a nessuno, insomma.

Sergio                            - La verità no.

Delia                             - Una specie di romanzo, sì?

Sergio                            - (senza crederci troppo) Chi sa? Vediamo. Innanzitutto occorre tacere per il momento il suo ritorno. Non è molto regolare, ma non è nemmeno un gran crimine. Lei intanto se ne sta nascosta. Ma­gari a casa sua. Occorre che lei arrivi a casa senza che nessuno la veda. E suo padre e suo fratello non parleranno?

Delia                             - No. Stia tranquillo; non mi riconoscerà nessuno e i miei non parleranno.

Sergio                            - Prenda un taxi, si fermi magari a qual­che isolato di distanza.

Delia                             - La portinaia a quest'ora mangia.

Sergio                            - Ecco. Più tardi verrò a trovarla, e inco­minceremo a parlare di tutto. L'importante per ora è di guadagnare tempo.

Delia                             - D'accordo. La mia scomparsa continua. Fino a quando lo vuole lei.

Sergio                            - (accompagnandola alla porta) Mi racco­mando C'è una stazione di taxi qui all'angolo. Verrò da lei fra poco. (Delia esce. Sergio rimane un attimo in mezzo alla stanza indeciso sul da farsi. Intanto squilla il telefono. Una, due, tre volte. Sergio si scuo­te all'improvviso. Risponde) Pronto? Sì, sono io. Ah, Obrizzi, dimmi. Una donna annegata nel fiume? No­vantanove probabilità che si tratti di lei? Capito. Ma certo, corri subito a indagare. Subito.

(Riabbassa. Scosso improvvisamente da un lungo sussulto di riso, scuotendo il capo si avvicina al suo tavolo)

ATTO SECONDO

Contemporaneamente, in casa di Ennio Corsi. Il tinello con mobili del tempo in cui Ennio si sposò; brutte copie quindi di un ideale d'eleganza d'allora riservato a tutt'altra classe sociale. Inoltre, col pas­sare degli anni, col cambio di una tappezzeria sui muri e delle tendine alle finestre, con l'intrusione di uno stipo, di un divano-letto più recenti, di un apparec­chio televisivo, di una lampada moderna sul tavolo, è diventato l'ambiente in cui vive tanta piccola bor­ghesia stentata e impiegatizia. Attraverso una porta si scorge il piccolo disimpegno dal quale si entra. Tre altre porte: una, di fronte, che si apre sulla camera di Delia, una a destra che è quella della camera di Ennio, una terza che si apre su un piccolo ripostiglio e sulla cucina.

E' in scena Clotilde, la figlia minore di Ennio. Sta mettendo un po' d'ordine, ma senza troppa convin­zione. Più che lavorare presta un orecchio alle voci del padre che sta facendo fare ad un giornalista il giro della casa.

Voce di Ennio               - ...Cosa vuole, ne mancano tante... in questi giorni me ne hanno portate via un'infinità. E poi sa com'è. Quando i bambini sono cresciuti si dimentica di mettere le fotografie nell'album... (Clo­tilde esce di scena ed entra, in camera di Delia. Dalla porta si scorge il disordine che vi regna; cassetti aper­ti, abiti e soprabiti stesi sul letto. Il letto disfatto, col materasso rialzato)

Voce di Farnelli            - Lei è vedovo da quanti anni?

Voce di Ennio               - Da tredici anni... Sì, proprio quan­do occorreva una madre... Non si sa mai come far be­ne. Risposarsi... ma come si fa? I miei figli erano già grandi e dargli una matrigna... Allora sacrificarsi, ma un padre non può seguire, non può... (Le voci si av­vicinano e Clotilde chiude la porta)

Ennio                            - (entrando in scena precedendo Farnelli) Mi perdonerà il disordine che c'era.

Farnelli                          - (è un uomo di circa cinquant’anni, dall'aspetto importante, dalla parola facile, con la Tipica impronta dell'inviato speciale, e il tono bonariamente presuntuoso) Per carità... sono qui per vedere la realtà, non una messa in scena. (Si è avvicinato alla finestra e guarda fuori) Case, case... Hanno un loro fascino anche queste vecchie case... tutti questi bal­latoi... Così vissute, cariche di umanità, alla buona. Questo caos, pittoresco... non organizzato, eppure così coordinato dall'uso, dalle vicende, dalle abitudini... Non le pare? Gli architetti moderni hanno delle qualità. Li ammiro per la pulizia, il rigore... Hanno inventato qualcosa... ma non quando la razionalità va a sca­pito di tutto il resto... quando appiattisce e livella tutto.

Ennio                            - Quella è Delia a dodici anni. (Farnelli continua ad osservare mostrando di badargli poco) Quella invece è la mia povera moglie. Non trova che assomiglia a Delia? Qui, negli occhi, nella bocca, lo stesso sorriso.

Farnelli                          - (si volta reggendo l'ultima fotografia della famiglia) L'imbarcadero a Menaggio o sbaglio?

Ennio                            - Sì, con Delia e Stefano, sei o sette anni fa. Conosce quei posti?

Farnelli                          - Molto bene, purtroppo. Si figuri che la mia carriera giornalistica cambiò da così a così pro­prio lì, durante la guerra. Mi trovavo a Menaggio per puro caso quando fu mitragliato quel battello pieno di civili. E' orribile ma da quegli episodi che ad un altro individuo avrebbero strappato solo grida di pietà riuscii a cavare la mia prosa migliore. Im­pressionante le assicuro. (Curiosando intorno alla credenza gli capita fra le mani una vecchia bottiglia di liquore) Grappa di Bassano...

Ennio                            - Sapesse gli anni che è lì. Vuole che la apriamo?

Farnelli                          - Dopo, dopo magari. Continui a parlare intanto. Stava dicendo del carattere di sua figlia.

Ennio                            - No dicevo degli occhi...

Farnelli                          - (fa un gesto di indifferenza) Dica, dica.

Ennio                            - Delia non era una cattiva ragazza. Non bisogna credere a tutto quello che è stato pubblicato. Si fa in fretta a esagerare...

Farnelli                          - Andavate d'accordo?

Ennio                            - Certo andavamo d'accordo. (Farnelli si è avvicinato alla porta della camera di Delia) La sua camera.

Farnelli                          - Posso? (E senza aspettare risposta apre la porta. Si scorge Clotilde davanti allo specchio con una pelliccia di Delia addosso. Come sente la porta si leva di scatto la pelliccia. Farnelli richiude dolcemente)

Ennio                            - Andavamo d'accordo, certo. Anche se fra un padre e una figlia non c'è quel... quella li­bertà di dirsi le cose... Ma si capisce no? Si capisce da tante cose se una non fa più giudizio.

Farnelli                          - Certo. Lei la conoscerà bene.

Ennio                            - In casa purtroppo ci stavo poco... E' la prima volta in vent'anni, che passo a casa la mat­tina. Mai capitato.

Farnelli                          - (regge una fotografia chiusa in una cor-nicetta) Potrei prendere questa? Mi sembra bella con quella luce che è entrata in macchina... (La guar­da attentamente) Cos'è, un bosco, il mare, ma... così bianca, livida. Cosa vuol dire tante volte, una fo­tografia...

Ennio                            - L'ho fatta io... Bisognerà toglierla dalla cornice... Le do le forbici. (Cerca le forbici senza tro­varle) Ecco, vede, non trovo le forbici... di questa casa non so niente... mi viene in mente adesso che non so nemmeno se c'erano delle forbici... so solo che qui mangio e di là dormo. (Trova un tagliacarte) Prenda questo. Dia a me.

Clotilde                         - (uscendo dalla camera di Delia e andando verso la cucina) Ho messo un po' d'ordine nella camera di Delia... dopo quell'invasione dell'altro ieri... il caffè deve essere pronto. (Va in cucina)

Ennio                            - Poveretta. Anche lei ha un marito e non può essere sempre qui. (Un lungo silenzio che Far­nelli consuma passando in rassegna altri oggetti)

Farnelli                          - Mi dica, mi dica.

Ennio                            - Ma vedo che lei non scrive. Ho visto che gli altri scrivono mille cose sui loro notes.

Farnelli                          - Ed è stato contento dell'uso che poi ne hanno fatto?

 Ennio                           - Per essere giusti, non troppo.

Farnelli                          - (incoraggiante) E allora... Vede, il gior­nalismo di oggi è diventato troppo anonimo. Si met­tono in fila delle notizie e si crede di aver assolto il proprio compito, e che per di più il pubblico ne tiri le giuste considerazioni. Io appartengo a una ge­nerazione... Per esempio. Cos'è questa? Una scatola di legno, verde, con degli intarsi. Valore, diciamo mil­le lire. Basterebbe dire questo. Invece a me interessa dire che dentro la scatola c'è un mozzicone di Turmac fumata a metà... C'è tutto un mondo in questo mozzicone di sigaretta... Turmac...

Ennio                            - (che non ha capito) Eh... già.

Farnelli                          - (paternalistico) E allora abbia fiducia nel metodo... Lei mi diceva che ha anche un figlio maschio.

Ennio                            - Sì. E' soldato da dieci mesi, ma lo fa qui in città. E' stata una fortuna. Viene a casa spesso. Quel mobile, vede, quel monumento... diventa un letto.

Farnelli                          - Ingegnosissimo... La casa in fondo è riuscita a tenerli tutti riuniti, i suoi figli. Anche Delia. Ha sempre abitato con lei, no?

Ennio                            - Certo, sempre.

Farnelli                          - Dunque, c'è un controsenso fra la vita brillante che faceva, o che le attribuiscono, e questo che lei mi dice.

Ennio                            - Ma certo! Gliel'ho detto. Non è solo perché mi voleva bene, ma perché se anche ha fatto degli sbagli... si è sempre figli di brava gente e que­sto ha la sua importanza.

(Dalla cucina entra Clotilde con il caffè)

Farnelli                          - Oh, grazie, ma non dovevate distur­barvi.

Ennio                            - Ci mancherebbe, per un caffè.

Clotilde                         - (alludendo allo zucchero) Due?

Farnelli                          - Grazie. Così com'è. Il caffè mi piace amaro, (sorseggia) tanto più se è buono. Complimenti.

Ennio                            - Due caratteri così diversi, lei e Delia. Da non sembrare nemmeno sorelle. Ma Delia forse era più sincera, più...

Farnelli                          - Era? Ma lei pensa sul serio che possa essere...

Ennio                            - Cosa devo pensare a questo punto?

Farnelli                          - Di che cosa parlate?

Ennio                            - Io e i miei figli?

Farnelli                          - Sì, quando siete insieme, a tavola per esempio. Quali sono gli argomenti preferiti. In ge­nerale, voglio dire.

Ennio                            - (dopo un'esitazione) I soldi.

Farnelli                          - Ah.

Ennio                            - Come dappertutto, no?

Farnelli                          - (ripiega il giornale e si alza) Bene, credo di saperne abbastanza e non voglio disturbarla più a lungo.

Ennio                            - Ma lei, mi diceva prima che farà un arti­colo su Delia...

Farnelli                          - Sì, certo. Un ritratto.

Ennio                            - Ma io le ho detto solo una piccola parte di tutte le cose che ci sarebbero da scrivere.

Farnelli                          - Il resto me lo lascia intuire? (Sorri­dendo) L'articolo però non lo farò io. L'ha fatto lei...

Ennio                            - Io?

Farnelli                          - Io lo scrivo, ma l'ha fatto lei. E se lei è d'accordo avrà la sua firma e sarà pagato a lei. Ho proposto io l'idea. Non è nuova, si usa anzi. E mi piace immedesimarmi in qualcuno. E' un gioco psicologico che mi appassiona. E' un esercizio salu­tare, talvolta. Naturalmente l'articolo glielo farò ve­dere, prima...

Ennio                            - Ma ci siamo parlati soltanto un quarto d'ora. Non ho avuto nemmeno il tempo di raccontarle tutti i fatti...

Farnelli                          - E' il senso dei fatti che conta... vede, mi serve di più aver visto quella credenza che non conoscere tutti i particolari della vita sua e di sua figlia.

Ennio                            - Perché? Cos'ha quella credenza?

Farnelli                          - Ma no, dicevo per dire... (Cerca di ac­comiatarsi)

 

Ennio                            - Avrà vent'anni. Non c'è niente che sia nuovo qui dentro... senta, ma lasci almeno che le dica... so che lei ha parlato con la portinaia... ma a me Delia ha detto che aveva un fidanzato, un dot­tore... un uomo a posto...

Farnelli                          - Sì, lo so...

Ennio                            - Mi dica lei se proprio bisogna vedere il male dappertutto?

Farnelli                          - (impaziente) Ma no...

Ennio                            - Ci sarebbe anche da dire quando Delia si è licenziata...

Farnelli                          - Vedrà, sarà contento. Ci accorderemo anche sul resto.

Ennio                            - (accompagnandolo all'uscio) Oh, sì... piut­tosto non è mica scorretto accettare?

Farnelli                          - No, le ho già detto. La sua firma dà allo scritto un valore di documento, di testimonianza diretta, di sofferenza autentica...

Ennio                            - Se riuscirà a scrivere come se fosse me... Certo. Le dirò, in fondo credo di essere io la vera vittima in tutta questa storia.

Farnelli                          - (sbrigativo) Ecco: Io sono la vera vit­tima. Sì, è il titolo giusto. (Si sente il campanello della porta d'ingresso)

Ennio                            - (a Farnelli) L'accompagno io. (Escono. Sulla porta si sentono le loro voci)

Voce di Ennio               - Ah, ciao, sei tu... Mio figlio Ste­fano.

Voce di Farnelli            - Molto piacere. Il più giovane?

Voce di Ennio               - Sì.

Voce di Farnelli            - Bene a domani allora. (Ste­fano entra nel salotto mentre Clotilde si è affacciata all'uscio della cucina)

Clotilde                         - Se ne è andato?

Stefano                         - Pare.

Ennio                            - (rientra con un sorriso soddisfatto. Poi su­bito riassume il solito atteggiamento) Che cosa ti hanno detto in Questura?

Stefano                         - (si muove per la stanza cercando qual­cosa che poi troverà: l'elenco del telefono) Al so­lito: numero sei: la sesta pazza che dice di aver in­contrata una che le pareva somigliasse a Delia. Que­sta, l'aveva incontrata lungo la ferrovia, alle cinque del mattino.

Ennio                            - Niente di nuovo, insomma.

Stefano                         - E quel tipo che è uscito, chi era?

Ennio                            - Farnelli!

Stefano                         - E chi è?

Ennio                            - Un giornalista famoso.

Stefano                         - Mai sentito.

Ennio                            - E' una persona. (Fa un gesto che indica tutta l'importanza che attribuisce a Farnelli)

Stefano                         - Già, è vero che adesso tu e i giornalisti siete... (affiancando i due indici in un gesto signifi­cativo) così. E cosa voleva ancora?

Ennio                            - Fa un articolo su Delia.

Stefano                         - Ci mancava.

Ennio                            - Ma non un articolo di quelli soliti... Un ritratto. (Dopo una pausa) Dovrà sembrare che l'ho scritto io... (Clotilde nel frattempo è ritornata in cucina)

Stefano                         - (ridendo) Tu? E chi ci crederà? Oppure lo scriverà male?

Ennio                            - (sgarbato) Non lo so! Domani me lo farà leggere.

Stefano                         - (ha preso in mano l'elenco del telefono e comincia a sfogliarlo) Quanto ti danno?

Ennio                            - Come, quanto mi danno?

Stefano                         - Per fare un articolo; ti pagheranno be­ne almeno.

Ennio                            - Ma sei matto. Speculare su cose simili?

Stefano                         - Già... (rientra Clotilde)

Clotilde                         - (a Ennio) In cucina vi ho preparato qualcosa... se volete anche la pasta non c'è che da buttarla giù.

Ennio                            - (accarezzando la mano della figlia) Gra­zie... te ne devi andare.

Clotilde                         - Mario lo conosci, no? (Si muove verso la credenza, prende un libro di quelli che si usano per annotare le spese) Un po' di conti li ho pagati….­li vediamo adesso?

Ennio                            - Se vuoi... (inforca gli occhiali) Sono ba­stati i soldi che erano nel cassetto?

Clotilde                         - Magari... qui c'è tutto.

Ennio                            - Questo è il totale?

Clotilde                         - C'è compreso anche quello che ho speso in taxi l'altro giorno quando mi hai fatto fare quelle corse...

Ennio                            - (a Stefano)   Abbiamo speso un capitale in taxi...

Stefano                         - Appunto...

Ennio                            - Duemila lire di giornali?

Clotilde                         - (indicando i giornali sparsi un po' dap­pertutto) Saranno un chilo...

Ennio                            - (con un attimo di esitazione) ...E' che non ho chiesto l'anticipo... pensavo che quei soldi bastas­sero.

Clotilde                         - Li hai visti gli extra, no?

Ennio                            - Erano anni che non prendevo un taxi.

Stefano                         - Quando si diventa celebri...

Clotilde                         - Sai, anch'io è un momento che non posso...

Stefano                         - Quanto le dobbiamo? (Consulta il li­bretto poi estrae una banconota dal portafoglio, A Clotilde) Tieni...

Ennio                            - Ci arrangiamo appena torno al lavoro...

Stefano                         - Lascia perdere, va là...

Ennio                            - Sì, sì, lasciamo perdere.

Stefano                         - Cosa vuoi dire?

Ennio                            - Lo sai. Lasciamo perdere (Si alza)

Stefano                         - (a Clotilde) Lo senti? (Con un gesto di noia ritorna all'elenco telefonico che stava consultando)

Ennio                            - Sono un po' di giorni che fai il furbo... beh, meglio star zitti. (Si ferma sulla soglia di ca­mera sua. Vorrebbe dire ancora qualcosa poi dà un'occhiata che è un misto di rabbia e di commisera­zione verso se stesso) I figli... Prima dovevate scom­parire. Tutti e tre! (Esce chiudendosi l'uscio alle spalle)

Clotilde                         - (dopo un attimo si pianta davanti a Ste­fano con un atteggiamento che contrasta nettamente con l'immagine dimessa e talvolta timida che avevamo di lei) E allora?

Stefano                         - (senza smettere il suo lavoro) Allora cosa?

Clotilde                         - Quanto hai preso?

Stefano                         - Te l'ho detto: due lire.

Clotilde                         - Che faccia tosta! Ti dimentichi che ho risposto io al telefono.

Stefano                         - Cosa vuol dire?

Clotilde                         - « Gli dica che le foto ci occorrono as­solutamente per le quattro. E che in amministrazione c'è il compenso pronto per lui ».

Stefano                         - E con questo?

Clotilde                         - (prende un giornale e indica una foto pubblicata) Questa dove l'hai presa? Dall'album mio.

Stefano                         - No, era in casa fra le fotografie di papà.

Clotilde                         - E queste due? Sono quelle della gita a Rimini del '53. Ma se le ha fatte mio marito, vuoi che non lo sappia? Le ha fatte Mario personalmente.

Stefano                         - Non strillare!

Clotilde                         - Tu con questa storia stai facendo un mucchio di soldi.

Stefano                         - Non farmi ridere.

Clotilde                         - Quanto ti hanno dato? Almeno centomila lire.

Stefano                         - Perché non telefoni al giornale e glielo chiedi?

Clotilde                         - E adesso per esempio cosa stai facendo?

Stefano                         - Lo vedi. Studio.

Clotilde                         - L’elenco del telefono?

Stefano                         - Proprio.

Clotilde                         - Un bel libro.

Stefano                         - Bellissimo.

Clotilde                         - Che sporco affare stai combinando?

Stefano                         - Oh, insomma! Mi dici cosa vuoi? Perché non te ne vai a casa tua?

Clotilde                         - Son qui per aiutare papà, non certo per te. E se vuoi saperlo ho dovuto litigare con Ma­rio per poter venire.

Stefano                         - Immagino: ho letto che rinnegate la famiglia. (Prende un giornale. Leggendo) I rapporti con mia cognata - è tuo marito che lo dice - non la vedevamo da anni...

Clotilde                         - Mario non vuole pasticci. Cosa c'entra lui, con i guai della mia famiglia. Senza contare i suoi genitori, la conosci la testa che hanno. Le foto­grafie non te le ho date per venderle. Ma se hai preso dei soldi era tuo dovere almeno dirmelo. Non mi vo­glio sporcare per così poco.

Stefano                         - (con un mezzo ghigno) E chi ti dice che è poco? (Squilla il telefono: Clotilde e Stefano si pre­cipitano per rispondere)

Clotilde                         - (rispondendo) Pronto? Si. (Sgarbata) Ah, ciao. Certo che sono qui, dove volevi che fossi? Sì. Ma cosa credevi? Ti vengono in mente anche certe cose adesso? Sì, bella scusa! Fra mezz'ora va bene... No, niente di nuovo. Ciao... chi? E' con la nonna. Stai tranquillo. Ciao. (Riabbassa il ricevitore)

Ennio                            - (apparendo semi svestito) C'è qualche novità?

Clotilde                         - No, era Mario. Senza di me muore.

Stefano                         - Sarebbe meglio staccarlo quel telefono.

Ennio                            - (a Clotilde) Ha ragione anche lui... Soli si sta male, anche quando si ha l'abitudine come me. (A Stefano) Vi sentivo litigare... Cosa c'è?

Clotilde                         - Niente, papà. Lo sai che io e lui, ogni tanto... Lo conosci, no?

Ennio                            - (uscendo) Quel telefono è un colpo ogni volta.

Clotilde                         - Hai sentito... Mario. Gli è venuta la paura che io possa assomigliare a Delia.

Stefano                         - Magari vorrebbe che tu le assomigliassi un po'.

Clotilde                         - Già vorrei proprio cambiarmi... Essere come si deve non serve a evitare che certa gente che conosco mi guardi in uno strano modo. Come se c'entrassi io con le pazzie di Delia. Devo scriverlo sui muri che non sono mia sorella? (Stefano mentre Clotilde parla si alza, non le risponde. Va a prendere un temperalapis da un cassetto: fa la punta ad una matita. Clotilde mentre telefonava è riuscita a dare un'occhiata al lavoro che stava facendo Stefano. Que­sti riesce ad allontanarla; ma con un attimo di ri­tardo) Ahhh, ho capito!... sai, quello che stai facendo. (Con una mezza risata) Che porco! L'hai trovato il nuovo modo per fare i soldi!

Stefano                         - Già perché tu i soldi...

Clotilde                         - Fai schifo!

Stefano                         - E intanto io sono il solo che fa qual­cosa per Delia.

Clotilde                         - Già, vendendo le sue fotografie ai giornali e studiando qualche piccolo ricatto.

Stefano                         - I poveri diavoli come noi non possono fare ricatti. Solo dei piaceri...

Clotilde                         - Ricompensati, naturalmente.

Stefano                         - Mi affido alla riconoscenza del pros­simo.

Clotilde                         - E intanto Delia...

Stefano                         - (interrompendola) Stai tranquilla che se quella fosse morta a quest'ora si saprebbe... E poi, ti pare giusto che in questa storia sì debba solo pagare?

Clotilde                         - Pagare tu? Mi fai ridere.

Stefano                         - (togliendo un foglio da diecimila dal por­tafoglio) Toh, non voglio tu abbia niente da ri­dire: la tua parte delle fotografie, come parente stretta.

Clotilde                         - (afferra la banconota) Ah, se siamo in due ti senti più tranquillo. E i nomi che stai cercando sull'elenco, cosa sono? Indagini o altre possibilità di...

Stefano                         - Può darsi.

Clotilde                         - Li hai presi da quel libretto che avevi in mano poco fa? Era nel comodino di Delia, vero?

Stefano                         - Visto che hai frugato prima di me, perché me lo chiedi?

 Clotilde                        - Teneva anche un diario. Dove l'hai messo?

Stefano                         - Da parte. Per quel che vale... L'avrai letto, no?: amore, baci, luna, solitudine, entrate e uscite. Arricchisce il vocabolario fare la bella vita...

Clotilde                         - E' sempre stata una sentimentale.

Stefano                         - Sono sicuro che finiva per scocciarli... alla lunga.

Clotilde                         - Fammi vedere i nomi...

Stefano                         - Vai a fare la minestra a tuo marito e a mettere a letto la ragazzina.

Clotilde                         - Cerca almeno di farle pulite.

Stefano                         - Coi guanti. Hanno tutti una paura...

Clotilde                         - Vale molto, eh?... Quanto?

Stefano                         - E chi lo sa?

Clotilde                         - Magari un milione.

Stefano                         - Non lo so, ti ho detto.

Clotilde                         - E pensare che Mario lavora come un cane per avere dei debiti. Passa il gusto di essere gente per bene. Ciao. (Esce. Stefano rimasto solo va al telefono e forma il numero)

Stefano                         - Pronto? Il commendatore, per favore... Dica: Stefano... attendo... (Entra Ennio, Stefano ab­bassa di colpo il ricevitore) Cosa vuoi?

Ennio                            - Perché litigavi con tua sorella? Vi sen­tivo sai?

Stefano                         - Questioni di interesse.

Ennio                            - Cosa c'è fra te e Clotilde?

Stefano                         - Niente.

Ennio                            - E adesso a chi stavi telefonando?

Stefano                         - Affari privati.

Ennio                            - (scatta urlando) Non fare stupidaggini sai! Ricordati che noi siamo gente per bene: deve essere chiaro a tutti questo.

Stefano                         - E chi fa niente?

Ennio                            - Su di noi non si deve poter dire niente, ricordati!

Stefano                         - Ho mai rubato io? Ho mai battuto la galleria io? Tu lavori da trent'anni come un cane e non abbiamo né un palazzo ne i terreni in collina. E allora?

Ennio                            - Tutti devono dire che noi siamo gente per bene.

Stefano                         - Ma sì, ma sì!!! Non ti preoccupare!

Ennio                            - (ricaricandosi) E intanto tu vai vendendo a tutti i giornali le fotografie di tua sorella, lo so, non credere!

Stefano                         - Piuttosto che stiano a marcire in un cassetto... può servire: più si vede il viso di Delia, più gente può ricordarsi di averla incontrata! Sono i giornali che mi chiamano e con la bolletta che c'è in giro sarebbe troppo idiota... e poi non venirmi a fare la predica. Tu non vai in giro a fare la vittima? E' la prima volta che qualcuno ti dà retta. Ti par d'essere diventato grande e vai a piangere sulle spalle dei giornalisti. Giochi a fare il povero padre umiliato. E ci metti tutti in piazza. Almeno io ho un po' di discrezione e di spirito pratico. (A questo punto i due nella concitazione della discussione, non sentono aprirsi l'uscio di casa. E' Delia che appare nel vano della porta. Rimarrà immobile ad ascol­tarli)

Ennio                            - Non ti vergogni di questi soldi?

Stefano                         - E tu a prenderli? Siamo in una baracca sola papà, mettitelo in testa. Io li procuro e pago i conti... finché dura. Perché fra un po' finisce. Quando verrà fuori tutto, i giornali se ne infischieranno di noi, delle fotografie, del tuo dolore... (Si interrompe di scatto perché con la coda dell'occhio ha scorto Delia che sta avanzando. Anche Ennio si volta di scatto) Delia!

Delia                             - Ciao.

Ennio                            - (fa un timido tentativo di avanzare verso dì lei, ma si ferma subito) Delia...

Delia                             - Non dire niente, non chiedere niente... Non è il modo di tornare, lo so... ma dal momento che tornavo non c'era altro modo. Sto bene.

Stefano                         - Benone... Ma si può sapere almeno che cosa ti è successo?

Ennio                            - C'era Clotilde fino a un momento fa...

Delia                             - L'ho vista. Ho appena fatto in tempo a evitarla. E' passata senza vedermi.

Ennio                            - Ma come... E' tua sorella!

Delia                             - (si avvia verso camera sua) Non ci sono per nessuno... (Apre la porta di camera sua e si fer­ma un attimo sulla soglia dopo aver acceso la luce) Sembra la camera di un morto... (E chiude la porta)

Stefano                         - (rispondendo all'imbarazzo emozionato, interrogativo del padre) E' tornata. Possiamo an­che berci sopra, no?... Avevo ragione io...

Ennio                            - (inaspettatamente, improvvisamente, di scat­to, urlando) Mi viene una voglia di...

Stefano                         - (fermandolo per le braccia) Calmati!

Ennio                            - Niente devo dire... non sapere niente. Non ho il diritto!

Stefano                         - Adesso con calma ci faremo dire... (De­lia riapre la porta. Ha ancora addosso il cappotto)

Delia                             - Volete cominciare subito?

Ennio                            - Non fare così... Togliti quel cappotto, sei in casa tua... (scoppia a piangere) sei ritornata.

Delia                             - (rivolgendosi a Stefano) Cosa dicono di nuovo i giornali?

Stefano                         - Le solite cose.

Delia                             - (togliendo di tasca un rotolo di fotografie) Volete anche queste? Sono le più recenti. Fatte dieci giorni fa.

Stefano                         - Non prendertela con me...

Ennio                            - (sempre piangendo) Sono stato io, io. Ma prova a metterti, al mio posto. Avevo perso la testa. Ero sicuro che ti era successo qualcosa... Non sapevo più niente...

Delia                             - Bè, adesso sto bene. Sono un po' stanca. Sono arrivata da poco. (A Stefano) Dammi una mano che rifaccio il letto.

Ennio                            - Da dove sei arrivata? Con chi?

Delia                             - Non adesso, papà.

Ennio                            - Ma io devo sapere. Devi dirmi qualcosa.

Stefano                         - T'è capitato un guaio?

Delia                             - Prima di venir qui sono già stata al gior­nale. Cercavo Baldelli, un giornalista che conosco. Non c'era e ho parlato con il capo.

Ennio                            - Il dottor Antoni?

Delia                             - Credo...

Ennio                            - Che cosa ti ha detto?

Delia                             - Di venire a casa... che ci saremmo ripar­lati. Mi ha chiesto solo di mantenere ancora segreto il mio ritorno.

Stefano                         - E tu che cosa gli avevi raccontato?

Delia                             - Che tutti si erano sbagliati e non valeva la pena di scaldarsi tanto.

Stefano                         - E gli è bastato?

Delia                             - Non lo so.

Ennio                            - Sbagliati? Ma allora perché... Perché il mistero, questa volta? Sei sempre andata e venuta come ti pareva. Bastava dirlo.

Delia                             - Questa volta non ho potuto avvertirti.

Ennio                            - Cos'è che non vuoi dirci?

Delia                             - Papà, è una brutta faccenda. Adesso è finita, sto bene e davvero vorrei non parlarne più.

Stefano                         - Così pensi di raccontare una bella sto­riella ai giornalisti e di mettere tutto a posto...

Delia                             - (con amarezza) A posto... Vorrai dire, non aggiungere dell'altro a quello che c'è già stato.

Ennio                            - Non è vero, allora, quello che hanno scritto i giornali? Allora si va dagli avvocati, costi quel che costi...

Stefano                         - Lascia perdere gli avvocati... Certo che un caso così che d'improvviso... ffift, si sgonfia come una bolla di sapone... una bella delusione per i no­stri amici giornalisti. Signori, eccomi qua. Scusate, ma vi siete proprio sbagliati di grosso... Non so come la prenderanno. A parte il fatto che noi eravamo qui, mentre eri via, dentro fino al collo... C'è una situa­zione che ti sfugge. La gente sta facendo il tifo per te, capisci?

Delia                             - Ma io... sono ritornata a casa. Che me ne importa di quello che s'immagina la gente?

Stefano                         - La gente?...

Ennio                            - Ma Stefano forse ha ragione... ha le idee chiare purtroppo.

Delia                             - (dopo una lunga pausa d'imbarazzo, a mezza voce) Mi è successo un fatto terribile. Ma davvero non bisognerà mai dirlo a nessuno.

Stefano                         - Che cosa non bisogna dire?

Delia                             - L'ho già detto al giornale quello che si può dire. Sono corsa dietro un uomo.

Stefano                         - E quello che non si può dire?

Delia                             - Che poi sono venuti degli altri. Gente che non conoscevo, amici suoi con altre ragazze. Ti giuro papà che questa vita stava per finire.

Stefano                         - Il tempo di farti il corredo.

Delia                             - Puoi dire quello che vuoi, lo so... so cosa valgono le buone intenzioni. Ma non credevo che in casa di Tullio, potesse finire così. Proprio la sera che dovevamo ritornare... Mi sono sentita male, sono stata per morire e hanno perso la testa tutti. Quando ho potuto dire di avvertirti, i giornali...

Stefano                         - Chi è questo Tullio?

Delia                             - Tullio?

Stefano                         - L'hai detto tu: in casa di Tullio.

Delia                             - Ma il nome non importa. Non importa con chi ero.

Stefano                         - Non vogliono che tu parli, è logico...

Ennio                            - Ti hanno minacciata se dicevi qualcosa, è vero?

Stefano                         - O ti hanno promesso un bel regalo in cambio del silenzio?

Delia                             - No, ti assicuro, niente di quello che pensi.

Stefano                         - Vuoi scherzare! Stai male, quasi per morire... abbiamo tutti questi guai e vuoi anche sal­vare la faccia di certa gente? Gratis? E per quale misteriosa ragione?

Delia                             - Perché basta! (Prendendo un giornale) Perché questa è la mia faccia.

Stefano                         - Ti fanno compassione i tuoi cari amici, amici simpatici che per trascorrere un'allegra serata rischiano di mandare al creatore una ragazza?

Delia                             - No, non è nemmeno per loro. E' solo per me. Cerca di capire. Una volta tanto non preoccu­parti di sapere se una cosa porta un vantaggio pratico, dei soldi. E' il solo modo che ho per smentire quello che hanno scritto i giornali. Di fronte a quattro per­sone sole magari, ma anche a me stessa. E anche di fronte a te, papà...

Ennio                            - Già, tu. E io? Cosa dovrei fare io? Con che faccia ti devo guardare? Non per quello che ho saputo, ma per le bugie che mi hai raccontato per anni...

Delia                             - Ho tentato di parlartene, papà. Tante volte. Ed era difficile. Bisognava voler capire. E in­vece avevi paura di capire. Quella volta che mi hai vista piangere per un giorno intero...

Ennio                            - Ma ti ho chiesto e non hai voluto dirmi nulla.

Delia                             - Dovevi,farti dire perché. Lo so, era un problema di più. Ma non voglio rimproverarti nulla. Me ne andrò, se vuoi, solo ti prego di aiutarmi, con i giornali, con tutti, a farmi dimenticare. (Squilla il campanello della porta d'ingresso)

Ennio                            - Chi è?

Delia                             - (spaventata) Vado in camera mia. Non ci sono per nessuno, l'ho promesso.

Stefano                         - (avvicinandosi alla porta) Chi è? (Una voce che al pubblico arriva indistinta risponde da fuori) C'è il Dottor Antoni (Fa per aprire)

Delia                             - (correndogli incontro) Prometti anche tu, giurami, che non ti lascerai sfuggire nulla!

Stefano                         - Certo, sono affari tuoi. (Apre l'uscio ed entra Sergio insieme a Baldelli. Sono seguiti da due fotografi che si sistemano nell'anticamera)

Sergio                            - Buonasera. Buonasera signor Corsi. Con­tento? Buonasera Delia...

Baldelli                         - Buonasera. Si ricorda di me, Delia?

Delia                             - Avevo chiesto proprio di lei, al giornale. Ho visto il suo nome sotto l'articolo.

^aldelli                          - Immagino che avrà molte cose da rac­contarci.

Delia                             - Non molte.

Balzelli                          - Ma interessanti.

Delia                             - Non so, se per voi sono interessanti. (A Sergio) Le ho già raccontato in parte di che cosa si tratta.

Baldelli                         - Allude alla sua avventura sentimen­tale?

Delia                             - Sì.

Baldelli                         - (a Sergio) Se è quella che mi hai rac­contato...

Delia                             - Che cosa avete deciso di fare?

Sergio                            - Questa vicenda va conclusa... La gente l'aspetta.

Delia                             - E se ci rimarrà male?

Baldelli                         - In ogni caso... (Come a significare che la gente ci rimarrà male sempre)

Delia                             - Come: in ogni caso? Avrei dovuto morire insomma? Viva... niente?

Baldelli                         - Viva... benissimo. Ma con qualcosa da raccontarci, per esempio... che non riguardi lei sola.

Delia                             - Spiacente.

Baldelli                         - Ma lei vuole anche il bell'articolo che la riabiliti vero?

Delia                             - Di più... dovete dire che tutto quello che è stato scritto su di me non è vero. Che erano tutte bugie. Una smentita... si dice così?

Baldelli                         - Ma è assurdo. Una smentita si fa per cose inesatte. Era la verità.

Delia                             - Ho capito. Per quanto mi riguarda, avete intenzione di liquidarmi.

Sergio                            - Non mi rivolga la parola come se la colpa fosse mia, Delia. Non è colpa mia né sua.

Delia                             - E di chi? E se io vi dicessi: sì, d'accordo, tutto vero, ma solo una parte della verità, quella che mi fa più danno. Se si vuole scrivere che uno è que­sto o quello, bisogna anche dire il perché. Voi non sapete ad esempio, non l'ha detto nessuno, che cos'era la mia vita da ragazza. Cosa avevo davanti? Di si­curo, dico; da poter pensare che un giorno sarebbe capitato anche a me. Una macchina da scrivere... odore di cucine, cattivi film, un bel pudore da di­fendere per un uomo che non mi avrebbe potuto dare di meglio...

Sergio                            - Delia, gliel'ho già detto. La capisco, ma queste non sono giustificazioni.

Baldelli                         - E poi a chi interessano?

Sergio                            - Una giustificazione per lei, intima, ma non basta.

Baldelli                         - E a noi occorre invece un motivo per occuparci ancora di lei... non ne abbiamo colpa noi.

Delia                             - E di chi è la colpa allora?

Sergio                            - Mia, dei giornali, della gente che li legge, sua,di suo padre, della vita, del caso, del mondo come va... Vede, quando incominciavo a fare questo mestiere, il mio direttore di allora mi insegnò che cosa significava fare il giornalista. Mi disse: il gior­nalismo è questo: « se un cane morde un uomo non è notizia, ma se un uomo morde un carte, occupa­tene subito, dedica all'avvenimento la tua più bella prosa... beh non è facile spiegare...

Delia                             - Oh, no, è molto chiaro invece. (Si riprende per un attimo) Allora non ho più niente da sperare.

Sergio                            - No invece... Lei ci racconterà la sua sto­ria, e se sarà possibile trovarle un lato romanzesco, la racconteremo. Servirà se non altro a far sapere che è stata messa su uno sfondo al quale non ap­parteneva più, a giustificarla, e a... giustificare nello stesso tempo anche noi, in un modo o nell'altro.

Baldelli                         - Lui, per esempio... sappiamo che fra i suoi amici c'è anche qualche persona molto nota.

Delia                             - (scattando) Lui non c'entra. E’ la mia storia che dovete raccontare, o quella dei miei amici?

Sergio                            - (a Baldelli) Lo scandalo non c'è... mi pare che ne abbiamo parlato abbastanza.

Baldelli                         - Non è comunque un mondo di educan­de e di lillà bianchi. Pensavo si potesse tentare di arrivare più lontano.

Sergio                            - Per fermarci poi... (A Delia, quasi affet­tuoso) Mi racconti, Delia...

Delia                             - C'è un ragazzo, di buona famiglia, che era innamorato di me. Un ragazzo che aveva anche una posizione. Ed era affettuoso, riuscivamo a capirci. I suoi, naturalmente erano contrari. (Scorgendo una smorfia significativa di Baldelli) Si, lo so. la solita storia.

Baldelli                         - (a Sergio) Scusa... allora faccio entrare i fotografi?

Sergio                            - Sì. Le fotografie come abbiamo detto... (Baldelli si muove e chiama i fotografi. Mentre Delia prosegue il suo racconto, uno di essi piazza il caval­letto con la macchina di fronte a Delia, l'altro col flash pronto aspetta appoggiato al tavolo)

Delia                             - ...sì, la solita storia... Mettersi con la fi­glia di un morto di fame, dicevano, che non sai da dove venga... Lui era un debole. Quand'era con me diceva d'aver diritto di fare quello che voleva, che la famiglia non aveva nessun potere di discutere le sue decisioni... (Alludendo ai fotografi, a Sergio) Oc­corre ancora tutto questo?

Sergio                            - Le fotografie ci vogliono.

Delia                             - ...poi, quando lo lasciavo solo, a contatto con sua madre, la sicurezza svaniva. La settimana scorsa mi viene a dire che non se la sente di dare un dispiacere ai suoi, di rompere con quello che in fondo era sempre stato il suo mondo. E mi propone una prova: separarci per un poco, cercare di dimen­ticarci a vicenda, e se dopo qualche tempo non ci fosse riuscito, bene, allora avrebbe saputo davvero quello che voleva e ci saremmo sposati.

Sergio                            - Doveè avvenuto questo colloquio. Ri­corda?

Delia                             - Come? Non so, in strada forse e non un giorno preciso. Tante volte.

Sergio                            - Bene. Potremmo fare in un bar, di notte. E li poi è scappata piangendo. Capisce?

Delia                             - Capisco... (Riprendendo) Dunque, dopo essere scappata dal bar... piangendo... sotto la piog­gia io sapevo che l'unico modo per vincere la bat­taglia era quello di non lasciarlo, di stargli vicino. Finché potevo vederlo, non avrebbe cambiato idea. Pensavo di vederlo l'indomani, ma al mattino, chissà come... non ero tranquilla. Sa quelle intuizioni, quelle cose che si sentono. Telefono al suo ufficio e riesco con un trucco a farmi dire la verità. Se n'era andato, ma il suo treno partiva di lì a mezz'ora. Ero sola in casa. Ho deciso in un attimo, il tempo di prendere una valigetta, d'infilare il cappotto, di chiamare un taxi. E sono riuscita a partire con lui. Ecco tutto. Vicino alla stazione ho scritto quel biglietto che non è stato recapitato.

Sergio                            - Già.

Baldelli                         - Di romanzesco...

Sergio                            - (secco) Si troverà.

Baldelli                         - E non si può sapere il suo nome...

Delia                             - (scatta) Insomma! Non voglio dirlo il suo nome. (Su questo scatto, l'altro fotografo esplode il primo lampo)

Baldelli                         - Perché? Non mi sembra gli debba tanta riconoscenza.

Delia                             - In fondo ero stata io a non dir niente della mia vita.

Baldelli                         - Certo... (A Sergio, con un sorriso iro­nico, scuotendo la testa) Ma guarda un po'... siamo proprio stati sfortunati.

Delia                             - (rompe il silenzio, quasi preoccupata) La mia storia non va, vero? E allora niente... non dite niente. (Altro flash) Non c'è altro da dire... non c'è niente d'interessante. (Gridando) Non l'ho chiesto io del resto...

Sergio                            - Faremo quello che abbiamo detto, Delia. Si calmi, adesso. Andrà avanti dopo. Intanto, lei per­mette signor Corsi... cominciamo dal ritorno...

Baldelli                         - (a Delia) Le spiace rimettersi il cap­potto? (Delia va in camera sua. A Ennio) Lei vuole sedersi qui? Sta leggendo... Delia le appare alle spalle.

Stefano                         - (ironico) C'ero anch'io, sa...

Baldelli                         - Bè, non importa. (A Delia che rientra) Lei si metta qui dietro a suo padre. (Ai fotografi) At­tenti... (Delia prende la medesima posizione dell'ar­rivo) No, non così, non così dura. Con una specie di sorriso. Ecco, pronti. (Scatta il lampo) ...Adesso ab­bracciatevi, più stretti. (Lampo) Ne facciamo una sulla poltrona.

 Baldelli                        - Prego signor Corsi, vuole abbracciare sua figlia? (Delia non si muove. Allora a Ennio) L'abbracci lei allora. (Ennio eseguisce goffamente) Non così, le copre il viso. (Anche il primo fotografo ha preso il flash e i due scattano quasi contempora­neamente. Cambiano posizione. Esasperata Delia scop­pia a piangere. Ennio le asciuga le lagrime con un fazzoletto)

Baldelli                         - Un momento ancora. (Delia si copre il viso. Un lampo)

Delia                             - (fugge verso camera sua) Basta, basta! (Sulla porta si volta e grida) Non sono nessuno! (Due lampi. Delia esce)

ATTOTERZO

Venti giorni dopo. Le sette di sera. Domenica. La camera da letto di Delia, che si intravedeva nel se­condo atto, è ora in primo piano. La stanza di sog­giorno, quindi, è sullo sfondo, al di là di una porta a vetri. La stanza è arredata sobriamente: due letti di metallo chiaro, residui d'infanzia, uno di essi, però, è chiaramente in disuso, una specchiera ottocentesca, un cassettone di sapore spagnolo, un armadio e qual­che seggiola. Unica nota frivola: una toilette rica­vata da un basso tavolino. A sinistra si apre una finestra con balconcino, dalla quale filtra la luce chiara e radente del sole al tramonto. All'aprirsi del sipario, la stanza è vuota. Ammucchiati sul letto e sulle seggiole alcuni cappotti. Sul cassettone è stato improvvisato un piccolo buffet. La porta di comuni­cazione è chiusa, ma si sentono i rumori e i suoni di una piccola festicciola familiare che si svolge nel soggiorno. E' Stefano che, dopo essere stato alla par­tita di calcio, ha invitato a casa la propria ragazza ed altri amici. Dopo qualche istante si apre la porta.

Stefano                         - (gridando) Lo so, abbiamo sete! Vado in cantina! (Apre la finestra e ritira dal balconcino due bottiglie di vino. Nel frattempo sopraggiunge Graziella) Volete anche il gelato o aspettiamo dopo?

Voce di Paola               - Certo, se no si scioglie.

Graziella                        - Ti do una mano.

Stefano                         - Aspetta. (Depone le bottiglie e l'afferra alla vita. Graziella si abbandona al bacio, ma dopo un istante si ritira)

Graziella                        - No, qui no.

Stefano                         - E perché? L'hai sempre fatto!

Graziella                        - Adesso no.

Stefano                         - Non ricominciare. (Le butta in mano il pacchetto dei gelati e corre via brandendo le botti­glie) E adesso brindiamo allo scudetto. Questa volta non ci scappa.

Voce di Pietro               - Calma, calma. Verranno i terreni secchi e ne riparliamo.

Voce di Stefano            - Bagnali con questo i tuoi terreni secchi. (Il rumore di un tappo che salta, ac­colto da applausi e risate)

Voce di Paola               - E basta con questo calcio! Dalle due non si parla che di calcio!

Voce di Lorenzo           - Giusto! Perché non facciamo quattro salti? (Dopo una breve rassegna di voci ra­diofoniche un programma musicale)

Voce di Pietro               - Col fango basta saper stare in piedi. Prova a fare dell'accademia.

Voce di Stefano            - Eppure ti dico che l'accademia si può fare anche col fango. (La discussione si smor­za, perché nel frattempo Delia è entrata in camera sua e ha richiuso la porta. Va a sedersi al tavolino della toilette con il bicchiere in mano. Ne beve un sorso guardandosi a lungo nello specchio. E' molto cambiata. Da nera si è fatta bionda. Il trucco è quello normale di tutte le ragazze. Il suo aspetto borghese la fa assomigliare alla media delle ragazze della sua età. Pochi attimi dopo appare sulla soglia anche Lorenzo. E' un uomo sui trentacinque anni. Veste di blu. E' accaldato ma non si è tolta la giacca)

Voce di Pietro               - Signor Corsi, lei permette? Spo­stiamo il tavolo.

 Voce di Ennio              - Ma certo, certo, a patto che non mi mandiate via. (Spostano il tavolo)

Voce di Paola               - Come via? La prenoto io! Vero che questo lo balla con me?

Lorenzo                         - (chiude la porta; le voci si fanno indistinte. Si sentirà solo qualche risata e ogni tanto la musica) Che cosa c'è... Delia. Posso chiamarla così?

Delia                             - (alza appena le spalle) Ma certo... Un po' di mal di testa.

Lorenzo                         - Non me lo vuol proprio dire? Nemmeno a me? (Le si avvicina) Si pensa sempre al perduto amore?

Delia                             - (con un mezzo sorriso) No, no...

Lorenzo                         - Allora non le piace la nostra compagnia?

Delia                             - Ma no...

Lorenzo                         - (galante) Allora se le chiedo di ballare con me non mi dice di no?

Delia                             - (senza espressione) Certo. Ma qui?

Lorenzo                         - C'è meno confusione. (Le prende la ma­no e va a socchiudere la porta perché la musica arrivi più chiaramente. Si mettono a ballare) Perché non la smette? Acqua passata, non bisogna pensarci più. Via i brutti pensieri. Adesso è finita. Anche lei ha i suoi diritti. Tutti li abbiamo... le ho pestato un piede? E' che non ballo mai, vede. Quasi mai... Lo sa che sono venuto qui soltanto per lei?... Perché non uscia­mo insieme qualche sera?

Delia                             - Ma lei non è fidanzato?

Lorenzo                         - (ridendo) Fidanzato proprio no. Lo di­cono di una ragazza che sta nel negozio di fronte al mio. Ho trentacinque anni e pare che alla mia età bi­sogna pensare di sposarsi per forza. Ma io non ci penso.

Delia                             - E perché vuole uscire con me? Perché con me parlare di matrimonio è escluso?

Lorenzo                         - Perché fa così?... Io l'ho detto a Ste­fano: tua sorella è una donna che non so... ogni vol­ta che la vedo divento rosso. Alla mia età.

Delia                             - Ma lei non è vecchio.

Lorenzo                         - Lo dice lei. Guardi qui questi capelli... (Si slaccia un istante da Delia e si fruga fra i capelli abbassando la testa per mostrarla a Delia) Vede? (Ri­prende a ballare) Gli anni passano e per provare certe cose bisogna proprio che sia diverso. Sa che lei è di­versa? (Cerca di sfiorarla con le labbra) Per davvero... (Delia si ritrae) Ma bisogna che lo dimentichiamo quell'altro. Non si è più fatto vivo? C'era da imma­ginarlo. Più sono ricchi e meno hanno il coraggio di fare quello che desiderano... (Entrano ballando Ste­fano e Graziella)

Stefano                         - Ah, siete nel separé, voi due? (La mu­sica cessa)

Delia                             - (sciogliendosi) Finito.

Lorenzo                         - (a Stefano) Sto cercando di tirar su di morale tua sorella.

Stefano                         - Proprio tu... scommetto che le hai rac­contato la storiella di Pierino e dei dischi volanti.

Delia                             - (con tutta la buona volontà di essere gentile) No, com'è?

Graziella                        - Stupida.

Pietro                            - (sopraggiungendo) Ci sono i gelati che aspettano. (Intanto la musica ha ripreso)

Lorenzo                         - (a Delia) Andiamo?

Delia                             - Vi raggiungo fra poco.

Stefano                         - Si può sapere cos'hai?

Lorenzo                         - Niente, un po' di mal di testa.

Graziella                        - Non ti diverti?

Lorenzo                         - (prendendola per un braccio) Lasciala stare. Balli con me?

Pietro                            - (mettendosi fra i due di forza) No, questo l'aveva promesso a me. Tu stai qui no? (E se ne va ballando con Graziella mentre Lorenzo raggiunge il soggiorno dopo che Stefano gli ha fatto un cenno con la testa)

Stefano                         - Allora, cosa c'è di nuovo? Ha ragione Graziella. Troppe arie ti dai. E non mi pare sia il caso... Non ti piacciono i miei amici?

Delia                             - Ma no, no, no... Possibile che anche tu non riesca a capire...

Stefano                         - Se li porto in casa è anche per te, per vedere di farti passare quel muso. Certo, non sono le feste alle quali eri abituata tu, ma devi anche de­ciderti visto il successo che hai avuto... Prima cosa, intanto, calare le arie. Prendi Lorenzo, (Delia ha un piccolo scatto) sì, Lorenzo, proprio... perché ti fa schi­fo? Non è da lasciar perdere, Lorenzo. E' uno che sta bene. E' un tirchio, ma la macchina quando gli fa comodo la tira fuori...

Delia                             - (dura) Tu invece non lo sei. Appena hai quattro soldi... (Alludendo al festino) Si vede!

Stefano                         - Ti ho già detto di non ficcare il naso. Chiaro? A meno che, tu lo sai...

Delia                             - Mi è bastata vedere la faccia di Clotilde davanti al televisore nuovo.

Stefano                         - Beh, che faccia? Verde, di invidia.

Delia                             - In casa c'è un telefono. So adoperarlo anch'io.

Stefano                         - Cosa vuoi dire? (Graziella appare sulla porta con Ennio)

Graziella                        - (a Stefano) Allora, ci lasci soli?

Stefano                         - Ha la luna.

Graziella                        - Vieni di là. C'è in piedi una scom­messa. Ti vogliono come arbitro. (Lo trascina via. Stefano vorrebbe dire qualcosa a Delia, ma poi vede Ennio e rinunzia)

Voce di Pietro               - Stefano vieni qui... Chi perde paga il cinema per tutti...

Voce di Lorenzo           - E anche il pranzo in pizzeria.

Voce di Stefano            - Allora sei sicuro di vincere.

Voce di Paola               - Lasciatemi sentire le radio.

Voce di Pietro               - La senti dopo. Dunque, si tratta di giornali. Io, dove li fanno non ci sono mai stato, ma so... (La voce diventa un mormorio indistinto perché su preghiera di Delia Ennio ha chiuso la porta)

Ennio                            - (rimane un attimo in silenzio poi le si siede accanto) Bisogna sforzarsi Delia.

Delia                             - Papà, Stefano ha trovato dei soldi! Dove?

Ennio                            - Ma non so... saranno ancora quelli dei giornali.

Delia                             - No, quelli lo sai anche tu che sono finiti. Da un pezzo. E stamattina vi ho sentiti: dicevate di dover andare a vedere un camioncino...

Ennio                            - Beh, pare che a trasportare certi apparec­chi elettrici ci sia da guadagnare ottomila lire al giorno. Adesso che Stefano sta per congedarsi biso­gna pure che troviamo qualcosa da fare. Io da solo non ce la faccio più.

Delia                             - Un camioncino da comperare?

Ennio                            - Senti, queste cose chiedile a tuo fratello.

Delia                             - Ma è vero?

Ennio                            - Credo... non so. Non lo so... era un'idea.

Delia                             - Ma è un'idea che costa cara. Molto cara. E c'è un solo modo per realizzarla. Se ti dicessi che ho capito dove Stefano li ha trovati i soldi?

Ennio                            - Senti, ne parlerai con lui dopo. Non è il caso di discuterne adesso, davanti agli altri. Vieni di là, sii buona. Io vado in camera mia e vi lascio bal­lare. In fondo, questa festa è per te...

Delia                             - Tutto per me, sì. Per farmi passare la lu­na, per tirarmi su di morale...

Ennio                            - (che non capisce) Hai visto come sono tutti gentili con te. E allora tu non devi essere così. Se no come fai? Cosa fai?

Delia                             - Sapessi veramente quel che sono. Sono fuori squadra da una parte e dall'altra. Sono gentili, dici? Certo. E' vero. Ma io sono di qui e loro sono di là a ballare. E loro ballano e fra me e loro c'è un muro. Ed è giusto che sia così. Gentili, premurosi, ma...

Ennio                            - Perché, cosa credi? Che sian tutte sante?

Delia                             - Loro potrebbero anche esserlo. Io no. Per me non ci sono dubbi. E' ufficiale, scritto, tradotto in quattro lingue. Anche fare la corte a me o ad una di loro non è la stessa cosa. Con me non si finge nep­pure...

Ennio                            - Devi pensare a guarire da certe idee, ecco quello che devi fare. E lascia stare Stefano'. Ma tu devi darci una mano. Vai a ballare anche tu. Questa cos'è? Una samba o un mambo? Pensa che Paola prima voleva che ballassi con lei... saranno vent'anni che non ballo.

Delia                             - Puoi imparare adesso, coi dischi e il ra­diogrammofono. Il grammofono, i dischi, il camion­cino... Abbiamo vinto un terno. Mi hanno pagata bene.

Ennio                            - Non dire sciocchezze!

Delia                             - Ne parlerò con Stefano.

Lorenzo                         - (entrando dopo aver bussato) Il tuo ge­lato, Delia... (La musica finisce, si sentono dei batti­mani) Paola che si è esibita. Balla bene davvero.

Stefano                         - (mentre la musica riprende) Forza Paola! Balla anche questo!

Paola                             - (arrivando di corsa nella stanza) No, ba­sta, per carità. (Si lascia andare sul letto) Non ho più fiato.

Stefano                         - (sopraggiungendo con un bicchiere colmo) Tieni, rinfrescati.

Pietro                            - (che lo ha seguito) E tu Delia non balli?

Delia                             - C'era su tutti i giornali che ho studiato danza per tre anni.

Pietro                            - Sì, ma classica... sulle punte... roba per la Scala, la morte del cigno, non le nostre miserie.

Delia                             - Ah sì? Allora ti voglio far vedere. Vieni e cerca di non farti venire il fiato grosso. (Esce tra­scinando Pietro, mentre Lorenzo e gli altri la seguono facendo cerchio intorno a lei)

Lorenzo                         - Vediamo un po'. Forse le è passata la luna.

Voce di Paola               - Io guardo l'orologio...

Voce di Graziella          - (che intravediamo dalla porta seguire la coppia) Io sto attenta ai piedi...

Voce di Lorenzo           - (amplificata da un cartone che usa come un megafono) E' scesa ora in pista la coppia più attesa: Delia Corsi e Pietro Belloni...

Voce di Paola               - I proiettori... (Si spengono le luci, ne rimane accesa una sola che inquadra la coppia)

Voce di Graziella          - Prendili 'bene se no non vedo...

Stefano                         - (che era rimasto a guardare si avvicina a Ennio) Sai che cosa le ha preso?

Ennio                            - Guarda che sa tutto.

Stefano                         - Che cosa sa?

Ennio                            - Sa o ha capito. Ti vuol parlare, sta attento.

Stefano                         - Meglio così, se ha capito. Vedrai che alla fine sarà contenta anche lei.

Ennio                            - Ho paura che ti sbagli... Non vuole altri guai.

Stefano                         - Ma se ha tutto da guadagnarci!

Ennio                            - Speriamo. (Dalla stanza di soggiorno grida di evviva e applausi)

Voce di Paola               - Brava.

Voce di Lorenzo           - Se avessero pubblicato anche questo a quest'ora avresti una scrittura.

Voce di Graziella          - Il vino è finito! Stefano non c'è più vino!

Stefano                         - Dopo scendo a comperarne

Lorenzo                         - No, offro io stavolta.

Stefano                         - Vuol far colpo. (Squilla il telefono. L'ap­parecchio si trova nella stanza di soggiorno. Il ballo s'interrompe. Ennio esce dalla stanza per andare al telefono, ma è preceduto da Graziella che fa segno agli altri di far meno rumore)

Graziella                        - Pronto? Corsi... Sì. No, non sono Delia. Gliela passo subito. Delia è per te.

Delia                             - Pronto... sì... (Parlando, Delia entra nella camera da letto con l'apparecchio in mano e si appog­gia alla parete) Buonasera dottore. Sì, non mi muovo di casa... Ma come mai? Così importante? Meno male... Sì, ci sono degli amici di mio fratello. Ma no, venga pure. L'aspettiamo, certo. Buonasera... (A Ennio e Stefano che le si erano fatti attorno) Era il dottor Antoni.

Stefano                         - E che cosa vuole?

Delia                             - Farmi una visita.

Paola                             - Sei ammalata?

Stefano                         - Ma no, è un giornalista. Il redattore capo di un giornale.

Graziella                        - E viene qui?

Delia                             - Sì, fra poco.

Paola                             - E' la volta che mi faccio intervistare anch'io. Ho deciso che faccio la mannequin.

Pietro                            - Ma se non hai niente (Le indica il seno)

Paola                             - Oggi ci -vuole la linea piatta. (Un breve attimo di imbarazzo)

Stefano                         - (portando Delia verso la camera da letto) Cosa vuole Antoni?

Delia                             - Forse farmi una visita.

Graziella                        - Gli faremo scrivere un articolo su di noi. Le ragazze di piazza Wagner...

Lorenzo                         - E se invece andassimo tutti al cinema?

Graziella                        - Offre Pietro, che ha perso la scommes­sa. (Stefano chiude la porta alle proprie spalle)

Stefano                         - Papà mi ha detto che hai ricominciato un certo discorso.

Delia                             - Sì.

Stefano                         - (si mette a sedere sul letto e la fissa) E allora dì quello che hai da dire e falla finita.

Delia                             - Zitto zitto ci sei riuscito, vero? E' stata la tua prima ispirazione: ricordo perfettamente; un segreto da camparci un bel pezzo.

Stefano                         - Visto che hai scelto il silenzio, perché non insisti? A me, vedi, puoi dire tutto, ma non che parlo troppo. E se hai altro da rimproverarmi, stai tranquilla. So in che mondo viviamo e quanto contano le apparenze. E poi la faccia ce la metto io...

Delia                             - Già, un ricatto sulla mia pelle e io non c'entro...

Stefano                         - E allora muoviti tu, fai qualche cosa. Costa caro il silenzio, te ne accorgi...

Delia                             - Sono affari miei. Toccava a me decidere e mi pare di aver detto chiaramente quello che volevo; né vendicarmi, né far la vittima, né avere la commi­serazione del prossimo.

Stefano                         - Ti dirò che i tuoi amici hanno trovato più che giusto aiutarti. Probabilmente se l'aspettavano e ringraziano il cielo di cavarsela a questo modo. Da parte mia gli ho esposto la situazione con molta deli­catezza. Ho detto semplicemente la verità: che vuoi rifarti una vita e che è molto difficile... mentre sarebbe stato tanto più facile, per te e per noi che sapevamo la verità, e con la fame che avevano i giornali, spiffe­rare tutto. Ma che tu non hai voluto. Ora noi non pos­siamo aiutarti e tu sei troppo orgogliosa per chiedere un favore che può sembrare, come dici tu, un ricatto così ho pensato di intervenire io...

Delia                             - Eccetera, eccetera...

Stefano                         - Scambio di favori. Sono gente d'affari, gente pratica, se ne intendono.

Delia                             - Un favore a me che però pagano a te.

Stefano                         - A tutti e tre. visto che sei tu a decidere anche per noi. Tu vuoi tranquillità, bene, la vogliamo anche noi e magari cambiar casa, quartiere, facce nuove... E forse con maggior diritto di te, perché per esser messi in piazza io e tuo padre non avevamo fatto proprio niente...; colpa tua, danni tuoi. Noi, niente colpa, e solo danni; quindi vediamo di fare un poco i nostri interessi. Del resto, va tutto nella stessa pen­tola. E non è detto che da un male non nasca un bene; non è la prima volta. Quella che manca di solito è la spinta iniziale... Se ti sei decisa a far la ragazza di famiglia vedrai che ti facciamo anche la dote...

Delia                             - C'era un solo modo invece...

Stefano                         - Quale? Ragionarci sopra? Tirare la mo­rale? Ma più di quello che sto facendo...

Delia                             - Anche di fronte a loro, a Tullio, agli altri... Adesso è proprio come dici tu; siamo pari. Tutti nella stessa pentola. E sperare che cuocia il più a lungo pos­sibile, non è vero?

Stefano                         - Ma tu cosa volevi da loro? Eh?... Sii logica. Che ti dessero un impiego... O magari rien­trare nel giro?... Con quel po' po' di can-can che c'è in piedi. E con questa tua aria da madre nobile. Con un figlio per la testa, magari...

Delia                             - Pensa quello che vuoi, ma tu denaro a loro non ne chiedi più.

Stefano                         - Toh.

Delia                             - Dico tutto a Tullio: che sono stata zitta per me sola, che non deve essermi grato, che il resto è un'idea tua. Ti giuro che lo faccio.

Graziella                        - (avvicinandosi) Stefano! (Apre la porta) Stefano. Scusate, ma se vogliamo andare al cinema è ora di decidersi?

Stefano                         - Ma non deve venire Antoni?

Lorenzo                         - (intervenendo) Appunto. Magari vuol parlare con lei. Non è il caso di fargli trovare tanta gente

Stefano                         - E perché? Se noi vogliamo andare al cinema è un altro conto, ma se vogliamo fare dei com­plimenti... In fin dei conti il giornalista chi l'ha invi­tato? il tempo dei giornalisti in casa nostra è finito... ne abbiamo avuti abbastanza. Io personalmente non ho nulla da dirgli. (A Graziella) Tu, Graziella che cosa vuoi fare? (Si sente ancora il disco suonato già almeno tre volte) Ma è una mania con quel disco...

Graziella                        - C'è Paola che tira giù le parole... io verrei al cinema. Sono un po' ubriaca. Viene anche Delia? Ah, già, almeno lei deve aspettare...

Lorenzo                         - (a Delia) La porto al cinema io domani sera? D'accordo? (A Stefano) Ho deciso di fare un po' di corte a tua sorella.

Graziella                        - E' la volta che ti deciderai a muovere l'automobile.

Delia                             - Perché? Credi che sia proprio indispen­sabile?

Lorenzo                         - Brava Delia! diglielo a queste smorfiose che misurano gli uomini dalle loro automobili. La macchina non fa il monaco... (Compiaciuto) Eh? La macchina non fa il monaco.

Stefano                         - (sgarbato) Ma la fuoriserie, sì.

Ennio                            - (riuscendo a tirare Stefano un po' in disparte) Sei riuscito a sapere cosa viene a fare?

Stefano                         - No. E perché fai quella faccia. Basta star zitti, non mettersi a frignare sulle ginocchia del primo che passa... E cambia quel disco, Paola, vuoi farci diventare tutti stupidi?

Pietro                            - Passo a casa di Paola per mettere tran­quilli i suoi. Fra mezz'ora ci troviamo davanti al ci­nema.

Paola                             - (a Ennio) Buonasera, signor Corsi, grazie mille...

Ennio                            - Tornate presto. Un po' di allegria ci vuole.

Paola                             - Ciao, Delia.

Delia                             - Vi accompagno. (Escono)

Graziella                        - (a Stefano) Se andassi anch'io?

Stefano                         - Un minuto! Il tempo di sentire a che cosa dobbiamo il piacere della sua visita. Non ci tieni a conoscere un pezzo grosso dei giornali?

Lorenzo                         - (secco, risentito) Buonasera.

Delia                             - E' offeso?

Lorenzo                         - Colpa mia.

Delia                             - Sono stata un po' sgarbata, mi scusi.

Lorenzo                         - In certe condizioni non ci si può per­mettere d'essere sgarbati... no, è sbagliato anche que­sto... Non ci pensi più. E per il cinema di domani se­ra? Ci tengo, sa, ci tengo tanto... (Delia non risponde e Lorenzo esce seccato) Va bene, colpa mia, mi spiace...

Stefano                         - (rientrando) Che cosa gli hai fatto? Ti pare di essere nella condizione di poter buttar via dei corteggiatori?

Delia                             - (gridando) Ma in che condizioni sono? Una deve morire, star tutto il giorno a ringraziare perché ti concedono di stare al mondo?

Stefano                         - Dico soltanto che con Lorenzo hai il dovere di comportarti in un altro modo. E adesso ti­rati su da quel letto. Viene Antoni e non ti farai ve­dere con quella faccia...

Delia                             - Aiutarmi poteva voler dire: cercare di capirmi un poco-

Stefano                         - E anche farti ragionare. Con idee un po' più pratiche sulla vita. Io so soltanto che non mi vergogno di quello che ho fatto. E anche papà. Te lo chiamo. E' giusto, una volta tanto che te lo dica anche lui.

Delia                             - Lascialo stare papà. Lascia che continui a pensare quello che può pensare da solo. E smettia­mola anche noi. Tanto che serve? Dici che siamo una famiglia, che dobbiamo aiutarci e allora non parlarmi più di cose che sai che mi fanno male. Stai tranquillo, non telefono né a Tullio, né a nessuno. Tanto nessuno riuscirà mai a fargli credere che non ero d'accordo. Al punto in cui siamo crederà che voglia vendicarmi perché non ci siamo messi d'accordo sulle cento lire... che tristezza... (Si sente trillare il campanello della porta d'ingresso. Stefano si alza, prende il cap­potto e si avvia per uscire)

Stefano                         - (gridando) Vai tu, papà?

Delia                             - Adesso non hai più bisogno di vederlo?

Stefano                         - Andiamo al cinema. Vieni Graziella? (Graziella entra. Stefano l'aiuta a infilarsi il so­prabito)

Graziella                        - Io a far ordine rinuncio.

Ennio                            - (entrando) Delia, c'è il dottor Antoni... Venga dottore. Scusi il disordine. Le porto una pol­trona...

Delia                             - Buonasera. Mi rincresce di riceverla così...

Sergio                            - Come va, Delia? Come ci si sente a ri­trovarsi una persona qualunque? (Delia non trova la risposta)

Stefano                         - (intervenendo) Non tanto qualunque, se lei è qui. E' impossibile che un giornalista faccia vi­sita ad una persona che proprio non lo interessa af­fatto.

Sergio                            - Esistono anche giornalisti che la dome­nica, per esempio, non sanno cosa fare.

Stefano                         - (ridendo) E come i maestri in pensione vanno a trovare gli ex allievi...

Sergio                            - Bè, i motivi di una mia visita possono essere molti: effettivo interessamento mio personale alla sorte di sua sorella: vogliamo chiamarli piccoli rimorsi di coscienza? Oppure ricerca di materiale per un'inchiesta ricorrente nei settimanali, lei è un po' pratico, no? «Dove sono e che cosa fanno i per­sonaggi della cronaca? »

Stefano                         - E lei da quale dei due motivi è stato spinto? O forse c'è un terzo motivo?

Sergio                            - No, dal primo. Il più semplice.

Stefano                         - Capisco, (a Graziella) Andiamo pupa? (A Sergio) Arrivederci. (Esce)

Sergio                            - (a Ennio) E' un ragazzo sveglio, suo figlio.

Ennio                            - Sì, è molto attivo.

Sergio                            - Lo scandalo gli ha fatto da tonico? (Si sente chiudere l'uscio della porta d'ingresso)

Ennio                            - Bisogna dirlo.

Sergio                            - E lei sta bene signor Corsi?

Ennio                            - Al solito, da povero diavolo.

Sergio                            - (togliendo di tasca delle sigarette) Sono arrivate alcune lettere per lei, Delia, al giornale. C'è anche un'offerta di lavoro.

Delia                             - Dove?

Sergio                            - Lontano, dopo Napoli. Mi avevano scrit­to per chiedere informazioni.

Delia                             - E lei?

Sergio                            - Glie le ho date buone, naturalmente.

Delia                             - Mi conosce così poco.

Ennio                            - Un po' d'aperitivo?

Sergio                            - Grazie.

Ennio                            - (prevenendo la figlia) No Delia, vado io. (Esce)

Sergio                            - (dopo un attimo) Cosa sta accadendo, Delia?

Delia                             - Nulla...

Sergio                            - Fatica a riprendere?

Delia                             - Un poco.

Sergio                            - Non è stato così per suo fratello e suo padre. Pare che il detto: parlare anche male purché si parli di te, per loro abbia trovato una conferma. Mi dica sinceramente Delia: lei vuole ancora il si­lenzio?

Delia                             - Che cosa significa ancora? Perché ha bi­sogno di una conferma?

Sergio                            - Già, sulla nostra discrezione la sua espe­rienza...

Delia                             - E' l'unica cosa che ho desiderato da al­lora. Ho fatto tutto quello che potevo per difenderlo.

Sergio                            - (dopo una breve pausa) Perché a suo tempo avete tenuta nascosta la verità? (Delia trasalisce) La avete tenuta nascosta, ma non pare che le sue ragioni fossero le stesse di suo fratello, ad esempio.

 Delia                            - Che cosa sa di mio fratello?

Sergio                            - Nulla di preciso, ma ho messo in re­lazione alcuni fatti che suo padre ripete ogni giorno a tavola, all'osteria dove mangia con i suoi compagni di lavoro, con altri fatti...

Delia                             - Cosa dice mio padre?

Sergio                            - Tiene cattedra. Specie di piccoli comizi con allusioni che ormai non sono più nemmeno mi­steriose: « Se parlo io... se mi decido ad aprir boc­ca... faccio tremare mezza Italia... ». Una trasforma­zione abbastanza singolare in un uomo che fino a ieri, anzi...

Delia                             - Si vanta. Per nulla...

Sergio                            - Sì, ma i maneggi di suo fratello?

Delia                             - Non ne ero al corrente.

Sergio                            - Adesso però sa.

Delia                             - Sì, da poco.

Sergio                            - E sa anche cosa significa che io sia qui?

Delia                             - Più o meno.

Sergio                            - Vede, Delia, a me sarebbe bastato dare un po' di corda a due o tre tipi come Baldelli, e avremmo fatto saltar fuori tutto... o quasi. Non l'ho fatto perché... Beh, per tante ragioni.

Delia                             - E in primo luogo - me lo ha detto lei, ricorda - perché io non interessavo più a nessuno.

Sergio                            - Lei no, ma gli altri, quelli rimasti nell'ombra, pare di sì. E se ne vuol parlare su questo tono, posso dirle che è vero, poiché i diversi interessati, lei e anche i suoi, serbavano il silenzio, quale giusti­ficazione avremmo avuto noi di sollevare un vespaio? Ora il comportamento dei suoi non mi riguarda, ma è certo che sì rischia dì riportare l'argomento alla ribalta. Volevo avvertirla: se torneremo ad occupar­cene avrà tutto da perdere.

Ennio                            - (rientrando) Ecco. (A Sergio) Vermouth?

Sergio                            - Grazie.

Ennio                            - Ci vuole anche un po' d'amaro?

Sergio                            - No, grazie, liscio.

Ennio                            - (a Delia) Anche tu? (Delia non risponde) Che cosa c'è?

Delia                             - Papà, il dottore è al corrente di molte cose.

Ennio                            - (sobbalzando) Eh?

Delia                             - Tu parli molto in giro.

Ennio                            - Dove? Ma se non l'ho mai visto, se non esco di casa, non vedo mai nessuno, se faccio una vita...

Delia                             - Ti piace aver qualcosa da dire ai tuoi col­leghi di lavoro. Un argomento sul quale ne sai più di loro. Che questo sia io, poi...

Ennio                            - Ma io ti giuro...

Delia                             - «Se voglio posso far tremare mezza Italia... »

Ennio                            - Cosa c'entra?... per una volta che mi sono scaldato. Lo sai che mi sta ancora qui...

Delia                             - Ma dal momento che dici di volermi bene e che io ti avevo pregato di smetterla...

Ennio                            - Insomma, è umano che un padre...

Delia                             - No, semmai proprio un padre...

Ennio                            - No! Non mi è ancora passata. Gente che viene con l'automobile a tirare in tentazione...

Delia                             - Bastava dire di no.

Ennio                            - So bene quello che dico! Che tu non eri così perché nessuno di noi lo era; e allora la colpa di chi è? Eh? E chi ha la colpa non deve pagare? Chi lo dice. A star zitta che cosa ci hai guadagnato?

Delia                             - E Stefano?

Ennio                            - Stefano può fare quello che gli pare. Io non lo faccio. Quello che voglio è raccontare tutto, perché anche loro sappiano cosa vuol dire...

Delia                             - Allora speravi che i tuoi sfoghi un giorno arrivassero di nuovo alle orecchie dei giornali. Ecco, ora sarai contento.

Ennio                            - Delia, dottore, in questi giorni ho capito una cosa. Che non si può tacere, perché la gente deve sapere la verità fino in fondo...

Delia                             - Ho capito perché parli. Non lo fai per me, ma solo per un interesse tuo: non ti piaceva troppo fare la figura del padre un po' stupido, e pensavi che in fondo era arrivato il momento di vendicarti a tuo modo di quelli che hanno avuto più di te. Chissà, del tuo direttore magari...

Ennio                            - Cosa c'entra?

Delia                             - C'entra, invece. Del tuo direttore che ap­partiene a un altro mondo, della gente che conta; perché suo figlio potrebbe benissimo essere uno di quelli che erano con me.

Ennio                            - Io non faccio della politica!

Delia                             - Ma certo, le tue idee politiche sono quelle di uno che si fa compagnia con i suoi guai e per paura di trovarne degli altri non si è mai guardato intorno per capire se nella vita dei suoi figli c'era qualcosa che non andava.

Ennio                            - Noi abbiamo il dovere di denunciare certi delitti, quando li conosciamo.

Delia                             - Anche se fanno di tua figlia una...

Ennio                            - Io non le voglio queste parole! Delia, guarda, io non ho mai alzato le mani e adesso è col­pa mia se non l'ho fatto. Ma questa volta... perché c'è il dottore... Ha capito, eh? La colpa è mia. Io che pensavo a mia figlia come a... E quando gliela stanno per ammazzare, un padre deve tacere! Ma sicuro! Se lei è contenta così. E allora tornaci fra i tuoi amici, vai da loro, vattene... mi scusi dottore... (Ha un at­timo di esitazione, vorrebbe aggiungere dell'altro, ma poi se ne va)

Delia                             - (dopo un lungo silenzio) Ecco, adesso sa tutto. Conosce anche una famiglia. Per il resto, se vuole, non ha che da interrogarmi. Le posso dire an­che i particolari...

Sergio                            - Non le ho chiesto nulla.

Delia                             - E perché? il suo dovere di giornalista...

Sergio                            - (quasi fra sé) Qual è il dovere di un gior­nalista?

Delia                             - Potrei raccontarle una storia che forse non farà tremare mezza Italia, ma che potrebbe ser­vire da lezione a qualcuno. Ce n'è abbastanza per riaprire un caso...

Sergio                            - Sì, ma è chiuso. Se un momento fa po­tevo ancora dubitare adesso lo so.

Delia                             - Vuol dire che lei non farà nessun articolo?

Sergio                            - Già, ma non per lei, o almeno non solo per lei. Penso anche a noi, una volta tanto. Una bella storia da andarci sino in fondo. Sarebbe anche no­bile. Ma non si può, non ci lascerebbero essere nobili. E allora faccio un breve calcolo: per quanto tempo si possono tener desti l'interesse e l'attenzione anche sui fatti più gravi? E quanto invece durano le conse­guenze per chi si è trovato preso in mezzo al rumore? C'è sproporzione e il mondo è distratto... 11 dovere di un giornalista? diceva. Già, informare e scegliere. Qui sta la parte più difficile. Stamattina un uomo si è ucciso col gas insieme alla moglie e al suo ragazzo. Si chiamava Mazzeri. Quell'uomo da anni cercava di cancellare una condanna ingiusta e nessuno lo ascol­tava. Neanch'io. Il suo caso non poteva piacere alla gente. Non piaceva a me. Perciò l'ho trascurato e ho scelto il suo. E ho sbagliato due volte... Se si può chiamare sbaglio. Al posto mio chiunque avrebbe do­vuto fare lo stesso. Ci sono cento giustificazioni... che non valgono nulla, ma così stanno le cose.

Delia                             - Così stanno, appunto. Non parliamone più. Desidero soltanto star sola, sa?

Sergio                            - E' una cattiva illusione anche la solitu­dine. Come lei, come me, quanti non si riconoscono nei fatti, nei gesti di una realtà che li umilia! Ama­reggiata come si sente adesso sarebbe un guaio che si lasciasse andare, se credesse davvero che così stan­do le cose non possono essere diverse. (Si alza) Finché lei sa che potrebbero essere diverse ha ragione lei e torto loro, lei esiste e loro no. Sono soltanto cronaca, accidente, una montagna di carta come quella che mi ha impedito di aiutare Mazzeri; come quella che ha soffocato lei e mi ha condotto a farle un male che non volevo farle.

Delia                             - Ma lei ha visto, mi conosce, sa di che cosa è fatta la mia vita. Come riuscirei...

Sergio                            - Già, è difficile. Ma vede, tra il suo si­lenzio e i comizi di suo padre e il nostro silenzio con­dizionato, c'è forse un altro tipo di silenzio. Una specie di spazio vuoto per avvicinarci alla realtà umana di una storia e tentare di darle voce, final­mente; meglio di quanto non si faccia noi, ogni gior­no, in omaggio alla curiosità o anche solo alla oppor­tunità e al nostro comodo. Vada via Delia, vada via fin che può. Metta tanti chilometri fra lei e queste vecchie storie. Trovi dentro di sé questo silenzio. E mi perdoni se può. In un giorno amaro com'è questo anche per me, sono venuto a mostrarle la mia tri­stezza solo perché potesse credermi, e capire.

Delia                             - Grazie.

Sergio                            - Del resto, c'è da dire forse che come gior­nalista sono un po' arrugginito. Forse incomincio a diventare un cattivo giornalista; non ho scambi di idee rapidi con la mia coscienza... Ma ad un certo punto si invecchia e si ha bisogno che certi conti tor­nino. (Preparandosi ad andar via) Mi accompagna? (Delia si alza) Grazie. Mi saluti suo padre. Probabil­mente io e lei non avremo più occasione di vederci. (Escono. Dopo un attimo si sente la porta d'ingresso che sbatte. Delia ritorna in camera, ha un attimo di indecisione, poi chiude la porta a chiave, leva una valigetta da un armadio, incomincia a raccogliere rapidamente le sue cose dai cassetti e dall'armadio. Nel frattempo, nella stanza di soggiorno, si sentono i passi di Ennio che è uscito dalla sua camera. Tenta di aprire la porta, ma inutilmente)

Voce di Ennio               - Delia... apri, Delia... è andato via?

Delia                             - (continuando a fare la valigia) Sì, ti sa­luta.

Voce di Ennio               - Che cosa ha deciso di fare?

Delia                             - Nulla, papà.

Voce di Ennio               - Siamo ancora nei guai? (Delia non risponde) Vedi, Delia, non devi pensare che io... Certo i nervi... ma forse non mi sono spiegato bene.

Delia                             - (stancamente) Sì, papà.

Voce di Ennio               - Sono ragionamenti che una don­na non può capire... Sai, bisognerebbe usare una pa­rola grossa: coscienza sociale. Ecco. Noi ce ne dimen­tichiamo spesso, di solito si lascia correre, sì tira a campare, ma... non mi apri, Delia?

Delia                             - Non posso, papà.

Voce di Ennio               - Devi capirlo: quando si resta scottati non è giusto tenersi la scottatura e acqua in bocca. Magari dire grazie e perdere l'occasione di dare pan per focaccia. Non credere che pensi a me, sai? Sei convinta?

Delia                             - Sì, papà. (Intanto ha finito di preparare la valigia)

Voce di Ennio               - Non dobbiamo litigare, almeno fra noi... Farò quello che vorrai.

Delia                             - (afferra la valigia, apre la porta) Sì papà... Ti voglio bene lo stesso. (Apre)

Ennio                            - Dove vai con quella valigia?

Delia                             - Via.

Ennio                            - Dove?

Delia                             - Devo tentare anch'io, papà.

Ennio                            - Ma qui? Che cosa ti manca, qui?

Delia                             - No... ciao papà. (Si muove, poi sosta, un attimo) E questa volta anche se per molto tempo non avrai mie notizie, non avvertire i giornali... (Esce, mentre Ennio sconcertato ha un attimo d'esitazione che finisce solo quando sente l'uscio richiudersi alle spalle della figlia. Cala la tela)

FINE