Una notte di Salomè

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UNA NOTTE DI SALOME'

UNA NOTTE DI SALOME’

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ATTO UNICO

di EMANUELE VACCHETTO

Dep. SIAE –

evacchetto@libero.it

                                                       ***

(La SCENA rappresenta un angolo di bar di periferia. Tavolini di fòrmica e sedie di plastica. Dalle veneziane semiabbassate proviene un ritmico lampeggiare di luci dai colori sfacciati. Fuori è notte.

A destra, una tenda di fili metallici divide la zona bar dal retro, dove si suppone ci sia la cucina. Dalla radio proviene un ininterrotto fluire di cool-jazz anni ‘60.

A uno dei tavolini, seduto, c’è un uomo. E’ probabilmente ubriaco, addormentato com’è sul tavolo. Ha difronte una bottiglia vuota. Porta in testa un cappello da cow-boy calato sugli occhi.

Fuori piove a dirotto. Ogni tanto un tuono...

Poi la porta del bar si apre con un DING DONG elettrico.

Entra una donna sui 25-30 anni. Ha un impermeabile e un ombrello

fradici.

DAISY -  (all’uomo addormentato) Oi, te! Sono le cinque del mattino e l’insegna è ancora accesa. Ho già pagato quattro multe ‘sto mese! Ehi, Bufalo Bill, dico a te!

L’uomo le risponde con un più sonoro russare.

DAISY - (con stanco tono di disprezzo) Guardalo lì... Bicchiere vuoto... bottiglia vuota... Ehi! Sono i clienti che devono bere, non tu!... Ma che clienti... I clienti si ubriacano, ma non vogliono vedere il barista ubriaco dal mattino alla sera... E tu bevi, bevi, bevi... fai schifo. Sei un fenomeno della natura. A sentire il medico dovresti avere il fegato come un’anguria! Come si chiamava più quel medico? Tre mesi di vita, ti ha dato. Sono passati tre anni e guarda dove sei, stravaccato su una sedia e ubriaco fradicio! Non che la tua sia una gran vita, comunque. Se morivi quando te lo diceva il medico nessuno ci perdeva niente. Fammi togliere un po’ di roba, va’. Questo bar è un cesso.

(Si è tolta l’impermeabile e ha indossato un grembiule lardellato di macchie d’unto. Dal retro ha preso un secchio e una scopa. Toglie i bicchieri sporchi dai tavoli. Fa scorrere l’acqua nel lavello. Gesti energici, arrabbiati...)

DAISY -To’, stavolta non vedo scarafaggi. Si vede che fai schifo anche a loro...

(Si è avvicinata alla radio. Schiaccia un tasto e la musica cambia)

DAISY - Basta con ‘sta musica.

(Improvviso cambio musica. Dal soffice cool-jazz americano... al Preludio di «CARMEN» di Bizet, ritmatissimo e quasi bandistico).

DAISY - Ecco! Almeno stare allegri, se proprio tocca lavorare...

(Un RUSSARE INFASTIDITO dell’uomo è la reazione all’improvviso cambio musica)

 

DAISY - Attento che caschi dalla sedia. Che poi io su non ti ci

tiro di certo... E neppure ti riporto a casa, stasera. Ti lascio lì a ronfare, chiudo il bar e ti recupero domani. Anzi, ci mando quella stronza della tua mamma, a riprenderti...

 

(DINDON, due tocchi di campanella. La porta del bar si apre.

Daisy emette una specie di ruggito, senza neppure alzare la testa)

DAISY - E’ chiuso!!

(Nello squallido bar è entrata una donna sui 30 anni, bellissima. Indossa uno stupendo abito da sera bianco carico di paillettes. Sulle spalle una pelliccia evidentemente di gran prezzo. In testa un largo cappello, molto originale. Invece della borsetta adatta, regge una sporta di paglia, di quelle da mare, con un gran polipo blu disegnato sopra.

E’ bagnata fradicia, ma ha comunque l’aria di un’apparizione magica.) .

VERONICA - Ma no, è aperto! Non si disturbi…

(La voce di Veronica è calda, roca. Contrasta con la voce di Daisy, dura, decisa, come provata dalla vita. )

DAISY - E invece è chiuso! Lo sa che ora è?

VERONICA - Oh, sarà tardissimo no? Dio che diluvio! Dove metto la pelliccia?... Qui va bene. La borsa si è tutta bagnata.

DAISY - E’ il minimo.

VERONICA - Prego?

DAISY - Dico, uscire la notte con una borsa di paglia sotto la pioggia... Chiaro che si bagna.

VERONICA - Mah… è la più grande che ho trovato. La metto qua, ma faccia attenzione che non cada. E mi porti un martini secco, anzi no, un wisky liscio.

DAISY - Le ho detto che stiamo chiudendo!

VERONICA - Ragione di più per sbrigarsi. Quell’uomo è ubriaco... Bene, mi siedo qui, con gli ubriachi non si sa mai... Questa sedia è rotta... Per cortesia, pulisca il tavolo, c’è del bagnaticcio... Non si metta a gridare subito.

DAISY - (quasi sul punto di gridare) E perchè dovrei gridare?

VERONICA - Ha uno scarafaggio sulla scarpa.

DAISY - (GRIDA)

VERONICA - Allora me lo porta questo wisky? E per favore cambi stazione. Questa musica mi dà sui nervi.

§§

(Daisy con aria seccata, quasi di sfida, pigia un altro bottone della radio. La musica di sottofondo torna a essere jazz freddo)

DAISY - (sibilando) Le va bene questa.

VERONICA - E’ meglio, grazie. Dio come si è ridotto questo cappello. Bah, è un vecchio Balenciaga...Si fida a stare chiusa in questo posto di notte con un ubriaco?

DAISY - (sbotta) E’ mio marito.

VERONICA – Oh, scusi, mi spiace.

DAISY - Senti bella, fatti gli affaracci tuoi! E se non ti piace il posto alza le chiappe. Ma dimmi te se con tutti i guai che ho deve arrivarmi ‘sta stronza... (cambia tono) Ma... ma lei è... la Lopez! Veronica Lopez! Io l’ho vista. Domenica pomeriggio. A teatro. Salomè. Ero in loggione... le ho anche tirato un garofano... Lei lo ha preso e mi ha sorriso, si ricorda?

VERONICA - Veramente no, mi spiace. Se mi tirava un rapanello era lo stesso. Sa, sono miope come una talpa.

DAISY - Oh dio, mi scusi. Non l’avevo riconosciuta... Con quel cappellaccio in testa. Già che voi attori famosi vi travestite sempre! Oddìo, sono così emozionata!

VERONICA - Bene, ti ho emozionata. Adesso tu emoziona me: dammelo doppio quel wisky.

DAISY - Certo, certo. Mi scusi...

(Daisy va al banco, prende la bottiglia e un bicchiere e li porta al tavolo.)

 DAISY - Ecco qua. Mi dispiace, non c’è ghiaccio.

VERONICA - Io lo bevo senza. E tutto d’un fiato. Mi ha insegnato mio padre. Diceva che allungare il wisky non è da uomini, poco virile insomma.

DAISY - (ridendo) Ma lei non deve essere virile!

VERONICA - Lo dici tu... (beve) Pua’! Ma dove lo comperate il wisky, a Forcella? Fa schifo.

DAISY - Mi dispiace. Gli acquisti per il bar li fa lui.

VERONICA - Si deve essere bevuto la metà dei tuoi acquisti, a vederlo così. Com’è che ha un cappello da cow-boy in testa?

DAISY - Una volta è andato a caccia con gli amici e ha sparato a una mucca. Abbiamo dovuto ripagarla, però lui si è tenuto le corna. Sono quelle appese lassù... Allora i suoi amici hanno cominciato a chiamarlo Bufalo Bill, così per scherzo.  Al principio si arrabbiava, poi... è «entrato in parte», come dite voi attori. Si è comperato quel cappello da cow-boy e il cinturone con le pistole a salve. Sa, in un bar un po’ di colore ci sta bene, attira la gente.

(Un  sonoro RUSSARE proveniente dal tavolo  vicino  sembra commentare le parole di Daisy)

VERONICA - Peccato. Gli copre la testa. Deve avere una bella testa sotto quel cappello...

DAISY - Per essere bella è bella. Solo che è vuota.

VERONICA - Mmm, già. Povere donne, ci tocca avere due palle così per andare avanti. Anch’io sai? ... Dammi un altro po’ di wishy va’... Chi credi sia andata il mese passato a parlare coi Gargiulo per quella storia della coca di Max? Io, ci sono andata! E quella lì è gente che mica scherza. Prima spara poi discute. Max moriva di fifa, il grand’uomo!...

DAISY - Vuole dire Max Gruber, suo marito?

VERONICA - Già. il geniale regista. La sera della prima ha offerto un tiro di coca al sindaco. Ancora un po’ lo risbattono in Austria, lui e tutto il suo genio!

DAISY - Peccato, è così bello. Almeno sui giornali. Fate una bella coppia...

VERONICA - Mai sposare uomini belli. Credono che tutto gli sia dovuto. E in genere, prima di sposare te, hanno trovato gente di tutti i colori che gli ha regalato una barca di roba senza che muovessero un dito. Poi arrivi tu, lì per lì sembra che tutto funzioni, poi ti accorgi che lui ti ha sposata perchè era in crisi, la crisi gli è passata, e tu sei nella merda.

DAISY - Lui qui, era bello. Adesso, a forza di bere... Ma una volta era il più bello del quartiere.

VERONICA - Oh, vecchia storia. Tu che sbaragli tutte le concorrenti, compresa la figlia del sindaco, e ti sposi il bellone macho e strafigo. E magari trascuri il piccoletto con gli occhiali che ti sbava dietro e ti scrive poesie d’amore sul diario di scuola. E qualche anno dopo il macho strafigo è diventato un cesso di ubriacone fetente, e il tappo con gli occhiali è presidente di una multinazionale. Tutto un déjà-vu...

DAISY - (Con ammirazione) Madonna, è tutto vero!

VERONICA - Bah, non ci pensare. Prenditi un bicchiere anche tu, vai! A bere da soli si diventa pazzi.

               (Daisy si prende un bicchiere)

DAISY - Giusto un dito. Per farle compagnia... (Veronica versa) Ehi, piano... Io non ho molta tenuta all’alcol...

VERONICA - Bevi che fa bene. E dammi del tu.

DAISY - Okay...allora... (timidamente) Ciao, Veronica...

VERONICA - Ciao... Già, come ti chiami?

DAISY - Daisy.

VERONICA - (ridacchia) Com’è, «Daisy» ?

DAISY -Sta per «Desiderata». Sono nata dopo diciassette anni di matrimonio.

VERONICA - (ride sguaiata, già un po’ sbronza) Chissà se hanno provato a scopare in tutti quegli anni... Oh, scusa, scusa, non volevo offenderti. E’ che certe volte le battute perfide mi vengono così, senza cattiveria.

DAISY - (placida) Beata te. A me le cattiverie vengono male. Oppure in ritardo. Quando non servono più. Questione di cultura, credo.

VERONICA - Non credo. Pere esempio io sono ignorante. Però sono anche cattiva.

DAISY - Non ci credo. Hai l’aria buona.

VERONICA - Sono solo ubriaca. Versami un altro poco... Ecco che sono sbronza. A dirtela tutta sono sempre sbronza, io. Prima, durante e dopo lo spettacolo. In genere nessuno se ne accorge. (ride) Ho raffinato la tecnica. Oppure è la coca, va a sapere...

DAISY - Credo che è perchè sei brava. Cosa c’entra la coca?

VERONICA – Te lo insegnano all’accademia. E’ una tecnica. Quando sai il testo bene a memoria, puoi anche staccare la spina con la mente. E in scena tutto va avanti da solo, tu non ci sei più. Puoi anche essere ubriaca fradicia e nessuno se ne accorge… il più delle volte. Tu sei qua sotto ubriaca (fa un gesto all’altezza del tavolo) e il personaggio è quassù (stesso gesto sopra la testa) che parla, parla… Poi lo spettacolo finisce, il rumore degli applausi ti riporta giù, dentro… sorridi, ringrazi, ma sai che sei di nuovo nella merda…

DAISY – (dopo un momento, assorta) Mi sarebbe tanto piaciuto fare l’accademia. Fare l’attrice. Per questo adesso vado a teatro appena posso. Mamma l’avevo quasi convinta. Alla recita del circolo di papà - papà era ferroviere - avevo avuto molto successo. Il dramma si chiamava “L’ultima notte”, non ricordo più l’autore. Lo conosci?

VERONICA – Mai sentito.

DAISY - Avevo un monologo bellissimo nel finale, me lo ricordo ancora. Ho anche avuto un minuto intero di applausi, alla fine. Tutti i ferrovieri e i capi ferrovieri e le loro mogli che mi applaudivano! E’ stata la gioia più grande della mia vita. Tutti dicevano che dovevo fare l’attrice… Ma papà non ha voluto – papà ragionava a suon di schiaffi – e poi c’erano pochi soldi, era meglio se mi sposavo presto…

VERONICA – Con Bufalo Bill qui?

DAISY – Un bar rende… insomma, ci si campa.

VERONICA – E dici che te lo ricordi ancora, il monologo?

DAISY – Tutto. A volte quando sono triste me lo recito da sola, e sento di nuovo gli applausi, come quella sera…

VERONICA – Dai, recitalo?

DAISY – Adesso?

VERONICA – Perché no?, tanto non è che abbiamo molto da fare.

DAISY – Davanti a te mi vergogno…

VERONICA – Ma se si vede lontano un miglio che non aspetti altro! Dài attacca! Ma non aspettarti un minuto di applausi, eh? Ho le mani delicate…

(Daisy fa qualche passo verso il proscenio con aria emozionata)

DAISY – Vado? Vado eh?…

“Il fatto è che noi, tutta l’Umanità, nei secoli passati e nei secoli che verranno, non siamo che una compagnia di guitti. Una compagnia di attori che recita volta a volta, nei secoli dei secoli, secondo le esigenze del Grande Committente. Chi oggi fa il Re, nella commedia di ieri faceva il Primo Amoroso, chi fa il Cattivo oggi, ieri era il Padre Nobile. La Fanciulla innocente del dramma di oggi, era la Perfida Sorella del dramma di ieri, e forse sarà la Malafemmina del dramma di domani. Il barista che ti fa il caffè al bar la mattina, in un altro dramma, in un’altra vita, forse è il chirurgo che ha operato tuo figlio.

             Finchè dura la commedia della vita l’attore deve restare in parte, non deve neppure per un momento pensare a chi è davvero, il suo vero nome e cognome, o se qualcuno lo aspetta a casa. E infatti non lo fa: qualcosa dentro di lui lo tiene, lo obbliga a rimanere nel ruolo, o comincerebbe a dimenticare le batture, a farsi prendere dal panico. Per tutta la recita l’attore deve essere il personaggio. Siamo attori, tutti, e il nostro abito di scena non è fatto solo di stoffa e parrucca di capelli finti, ma di carne e sangue, di nervi muscoli e ossa, di cellule che nascono, si riproducono e muoiono continuamente nel corso della recita. Un costume vivente, che come tutti i costumi si deteriora col passare del tempo e viene abbandonato in una cassa alla fine della tournée. Allora l’attore, nudo come un’anima, può finalmente tornare ad essere il vero se stesso, può tornare a casa sua e aspettare che gli propongano un nuovo contratto, un nuovo ruolo, ripetendo a se stesso che non esistono cattivi ruoli, ma solo cattivi attori.” 

(Pausa. Poi Veronica applaude elegantemente)

VERONICA – Quindi niente accademia… Peccato, hai talento.  Sai, all’accademia si imparano un sacco di cose divertenti. Giochi… (continua a guardare l’uomo) C’era un gioco che si chiamava ‘guarda e descrivi’. Per stimolare lo spirito di osservazione, dicevano. Una cosa che fanno i bambini americani all’asilo. 

DAISY – (interessata) Ah... ‘guarda e descrivi’...

VERONICA - Guarda e Descrivi. Guarda cosa faccio

DAISY – (divertita) Guardo.

VERONICA - Descrivi...

DAISY - Ti alzi dalla sedia... Ti avvicini a mio marito... Gli togli il cappello...Gli apri la camicia... Gli prendi  un capezzolo fra le unghie. Glielo strizzi...

(Veronica ha in effetti fatto ciò che Daisy ha descritto. Un GEMITO dell’uomo ubriaco...)

DAISY - (ride) Si lamenta.

VERONICA - (ride anche lei) Fanno sempre così. Se poi c’è un po’ di coca…

DAISY - Cosa c’entra la coca?

VERONICA - Stimola l’aggressività.

DAISY - Ecco perchè sua madre, mia suocera sai, è sempre così arrabbiata. Ne beve a litri.

VERONICA - Sciocca. Non la Cocacola. La cocaina.

DAISY - (spaventata) Oddìo! La cocaina? Tu...ti...droghi?

VERONICA - (sbrigativa) Ma che droghi e droghi!...Così, qualche volta. Per tirarmi su...

DAISY - Ma è una cosa pericolosa!

VERONICA - Ma va là... Prendi i Maya del Perù: erano strafatti dalla mattina alla sera eppure hanno tirato su delle piramidi da paura... Tò...

(Nel frattempo Veronica ha estratto un astuccio . Lo ha aperto e ha fatto cadere un po’ di polvere bianca sul tavolo. L’ha destramente divisa in due strisce. Quindi con una cannuccia dorata ne aspira una con un colpo secco).

DAISY - ( inquieta) Che... che cos’è?... E’...?

(Veronica ha chiuso gli occhi con aria beata).

DAISY - (inquieta) Co... come stai, Veronica?

VERONICA - (con un gran sospiro) Aaahhh... Mai stata meglio... (porge la cannuccia a Daisy) Tieni...Questa pista qua è tua...

DAISY – Pista?… Ma io non... No no, guarda…

VERONICA - Dài, su... Non farmi stare qui tre ore con ‘sta cosa in mano.

DAISY - (prende la cannuccia ) Ehi, ma è d’oro!... Sicura che non mi fa male?

VERONICA - Senti, fa’ quel che ti pare.

DAISY - Va be’ va...

  

(Daisy aspira la polvere, come ha visto fare a Veronica. Resta un po’ sospesa, col naso in aria, come in attesa. Passa qualche istante...)

VERONICA - (come scimmiottando, in contemporanea con...)

DAISY - (INSIEME) Io non sento niente...

VERONICA - (scoppia a ridere) Ah, ah! Lo sapevo. E’ un classico

della prima volta. Succede anche con l’amore.

DAISY - (dopo una pausa, d’improvviso ridacchia) Ah ah ah ah... pizzica il naso…

VERONICA - (come un ‘a parte») Eccola là.

(Veronica si alza...)

DAISY - Ih Ih... Dove vai?

VERONICA - Niente, faccio due passi, dove vuoi che vada con ‘sta pioggia. Giusto un giro del bar.

(L’uomo addormentato RUSSA FORTE)

VERONICA - Ma fa così tutte le notti?

DAISY - (sconsolata) Eh sì...

VERONICA - Il mio almeno non russa. Però delle volte vomita...

Sai, ha una bella testa tuo marito! Con questi capelli lunghi lunghi...Ti spiace se glieli tocco?

DAISY - Fa’ pure…

(Veronica è dietro l’uomo. Gli toglie il cappello da cow-boy. Gli accarezza i capelli)

DAISY - Sai, ha provato a fare l’attore del cinema, ma è stato un fallimento. Credo che puntasse sul fatto che il regista era finocchio, ma quello non lo ha neppure guardato in faccia. E’ da lì che ha cominciato a bere, anche se alla fine tutte le scuse sono buone.

VERONICA - Chi era il regista?

DAISY - Bah, non ricordo. E’ passato tanto tempo. Un certo Bertoni, Bertocci, una cosa così...

VERONICA - Mariolino! Lo conosco benissimo! Certo che è finocchio, ma gli piacciono solo di periferia, sporchi e possibilmente ladri.

DAISY - No. Lui lavarsi si lava… i capelli è la cosa che si lava di più. E vuole lo shampo giusto, e il balsamo effetto seta, è una fissazione. Ho un marito depresso e alcolizzato, ma coi capelli effetto seta, dimmi te…

VERONICA – Sì, ha i capelli morbidi morbidi...

DAISY - (strascicando appena la voce) Mi reciti qualcosa?

VERONICA - Ma sì, perché no. Tanto qui continua a piovere… Dunque... (guarda il bicchiere che ha in mano controluce) «Com’è bello guardare la luna! Sembra una piccola moneta. Si direbbe un piccolissimo fiore d’argento. E’ fredda ed è casta, la luna...». (Esce di parte) Qui Max voleva che io avessi un piccolo mancamento, come sopraffatta da tanta bellezza, così il paggio poteva venire in proscenio a sorreggermi. Lui glielo aveva promesso, al paggio. Credo quel giorno che li ho scoperti in camerino. Comunque io niente, nessun mancamento, diritta come una quercia a guardare la luna!... (rientra in parte) E’ fredda e casta, la luna. Sono sicura che è vergine. E’ bella come una vergine... Sì è vergine. Non si è mai contaminata. Non si è mai data agli uomini come le altre dee...»… va be’, basta…

DAISY - (applaude) Brava!

VERONICA - Macchè brava. E’ una guittata... (guarda Daisy, assorta) Tu, tu sì che sei vergine.

DAISY - (scoppia a ridere un po’ eccessivamente) Io?  Oh madonna... Ma se non lo ero neanche quando mi sono sposata!... (improvvisamente seria) Lui lo sapeva. Credo che in fondo mi disprezzava un po’...

VERONICA - Qualunque imbecille può disprezzare gli altri. E in genere gli imbecilli lo fanno... Ci vuole più coraggio a disprezzare se stessi. Abbiamo un successo, ci crediamo per un istante sulla cresta dell’onda... quello è il momento in cui, se abbiamo fegato, dobbiamo cominciare a disprezzarci.

Posso toccargli le tette?

DAISY - Se vuoi... A me la voglia è passata da un pezzo. Anzi (ride) facciamo uno scambio. Io te lo faccio toccare e tu mi reciti un altro po’ di Salomè.

VERONICA  -  Mia cara Daisy, tu mi  piaci.  Poche  donne scambierebbero il marito per un po’ di arte. Allora, ti faccio la scena e facciamo finta che lui è Iokanaan. Aspetta che metto via ‘sto cappello da cow-boy che non c’entra niente (gli fa volare via il cappello)... E anche la camicia, va’ (gli toglie la camicia)... Ecco, così è più profeta. Magari lo accarezzo anche un po’, eh che dici?, così per la scena.

DAISY - Fai, fai...

VERONICA - Dunque, com’è che comincia più?... Ah!

(recita, accarezzando il corpo dell’uomo addormentato).

«Iokanaan! Io sono innamorata del tuo corpo. Il tuo corpo è bianco come i gigli di un prato che il falciatore non ha mai falciato. Il tuo corpo è bianco come le nevi che dormono sulle montagne di Giudea e scendono nella vallata. Le rose del giardino della regina d’Arabia non sono bianche come il tuo corpo. Nè le rose del giardino della regina d’Arabia, nè i piedi dell’aurora che premono sulle fogl...

               (Un RUTTO sonorissimo e profondo dell’uomo  addormentato, proprio da ubriaco, interrompe  la declamazione di Veronica)

DAISY - (scoppia a ridere) Voglio vedere la faccia che fa domani a sapere che ha ruttato in faccia a Veronica Lopez. A parte che se glielo racconto non ci crede.

VERONICA - ( divertita) Comunque non era un segno di disprezzo. Si è anche eccitato. L’ho sentito mentre lo chiamavo Iokanaan qui Iokanaan là...

DAISY - Oh, se è per questo gli succede in continuazione. Credo che sia un maniaco.

VERONICA - E brava! Eri tu quella che non sa dire le cattiverie!

DAISY - Non volevo mica dire che tu non sei sensuale!

VERONICA - Va bene, va bene. La mia è tutta invidia. A Max non succede da anni.

DAISY - Vuoi dire che non fate l’amore?

VERONICA - Mai. Almeno con me... Una volta sì. Una volta ci amavamo. Ma è tutto così lontano nel tempo che mi sembra sia capitato a un’altra persona. Eravamo ambiziosi, volevamo il successo, e lui mi amava... Poi, poco per volta, non so neppure io perchè, l’amore si è trasformato in odio. Lui me lo ha detto quando  ha  cominciato a odiarmi, sissì. Ha  molti  vizi, praticamente tutti, però non si può dire che non sia sincero, fino alla cattiveria… Il giorno che è morta mia madre. Un altro bel tipo, quella. Sul letto di morte mi dice che vuole restare sola con me. Pensavo dovesse dirmi chissaché. Non so, un consiglio, una raccomandazione, una frase profonda e definitiva, una preghiera, che so... Invece mi chiede: a te come ti piaccioni gli uomini? Già dava i numeri. Io le stringevo la mano, e anche lei, sempre più debolmente. Rispondo : mah, grandi, forti, protettivi, anche un po’ mascalzoni fa lo stesso... E pensavo: sta a vedere che finalmente mi vuole un po’ bene, finalmente diventa un poco mia complice, lei che per tutta la vita è sempre stata distaccata, moralista, criticona, sempre complice degli altri. E invece sai che mi dice? «Povera scema», mi dice. E muore. Capito? “Povera scema”, e muore lì, mentre le tengo la mano… Il primario era entrato in quel momento. Io, con tutto il magone che avevo, e la voglia di piangere e tutto il resto, non so neanche perchè le ho detto forte :»Stronza! Ma sarai stronza?»... Una vergogna...

DAISY - (la voce un po’ vacillante per l’alcol e la droga) Eri rimasta a quando lui ha cominciato a odiarti.

VERONICA - Ah, già. Scusa, ho tendenza a divagare... Bene, la sera che è morta mia madre lui per consolarmi in qualche modo, mi porta a cena nel miglior ristorante. E lì sembra che ho fatto l’errore fatale.

DAISY - Cosa hai fatto?

VERONICA - Ho fatto «zzzt-zzzt» (risucchia l’aria fra un dente e l’altro).

DAISY - Cosa hai fatto?!

VERONICA - Avevo un semino fra i denti e ho fatto «zzzt-zzzt».

DAISY - E allora?

VERONICA - Dice che è stata la classica goccia. La cena la passò a bere un wisky via l’altro, poi anche a casa. E anche io. Verso le due di notte eravamo cotti e incazzati neri. Lui mi dice qualcosa che neanche ricordo. Io gli tiro un bicchiere. Lui mi molla un calcio nella pancia... Così ho perso il bambino.

DAISY - Il bambino?

VERONICA - Ha proprio una bella testa, tuo marito. E anche una bella bocca... Posso dargli un bacio mentre dorme?

DAISY - Se te la senti... In genere a questo stadio la bocca gli puzza come una cantina sociale scavata in una fogna.

VERONICA - «Io bacerò la tua bocca, Iokanaan»... (Bacia l’uomo sulla bocca, poi si stacca) Fogna è la parola giusta.

DAISY - Allora quale bambino?

VERONICA - (che ormai sembra seguire una logica tutta sua) Perfino sul letto di morte è riuscita a affibbiarmi un senso di colpa in più. Sono piena come un uovo di sensi di colpa. Ormai mi aspetto un fulmine sulla testa da un momento all’altro. Signore, vorrei un fulmine sulla testa! E prendi bene la mira, non nel wisky!

DAISY - Dicevi che hai perso il bambino. 

VERONICA - Io non ho bambini. Cioè uno l’avevo, dentro. Si muoveva anche... Comunque per me era una bambina, Caterina. Come Katherine Mansfield... Gli unici racconti che sono riuscita mai a leggere. Solo che il bastardo mi ha dato un calcio nella pancia, e Katherine Mansfield mi è scivolata fuori insieme a tutto quel sangue... La clinica non era male. Le monache gentili, anche se me ne accorgevo appena. Ero più di là che di qua. I primi giorni venivano tanti amici, poi più nessuno... Ti dò un consiglio: se vuoi amicizie lunghe cerca di avere disgrazie brevi...

DAISY - E’ terribile.

VERONICA - Per questo odio Max. Mica per uno «zzzt-zzzt» qualunque. Però lo amo anche. Ogni tanto sogno di ucciderlo. Lo amo, ma se mi tocca mi vengono i brividi. Ogni tanto ci prova, in genere quando è ubriaco. Dice che potremmo averne un altro, di figlio. Ma con lui non posso mica più. Tutto il suo corpo mi fa orrore... Tutto proprio tutto no, a dire la verità. Mi piace la testa, ecco. La testa.

(Il RUSSARE dell’uomo ha un’impennata decisa, poi si trasforma in un rantolo, poi una specie di borbottìo come di suoni smozzicati e rumori con la bocca.)

VERONICA - Ehi principessa, il tuo cow-boy si sta svegliando. Guarda, mi guarda. Buongiorno! Un po’ di congiuntivite, eh?

DAISY - Secondo me ti guarda ma non ti vede. Sveglia, balordo!

VERONICA - Ha l’aria di non sapere neanche chi sei. Ti guarda strano.

DAISY - Su bestia, svegliati che andiamo a casa!

VERONICA - Mi sa di no. Ecco, ha richiuso gli occhi…

DAISY - Giuro che se casca dalla sedia lo lascio per terra.

VERONICA - No, scivola avanti... Se non si ferma sbatte la testa sul tavolo.

(L’uomo ha fatto tutto ciò che le due donne hanno descritto. Ora sbatte la testa sul tavolo.)

 VERONICA - ... L’ha sbattuta.

DAISY - Se la fosse spaccata!

(Il RUSSARE PROFONDO dell’uomo al tavolino riprende)

VERONICA - L’ha presa tosta eh?

Una tragedia!

DAISY - Una commedia! E stasera più del solito. Certo che fra il mio e il tuo siamo messe bene!

VERONICA - Almeno il tuo funziona anche quando dorme. Ehi, ho un’idea. Perchè non me lo presti uno di questi giorni? Potrei farlo con lui il bambino, visto che con Max non se ne parla. Poi te lo restituisco, giuro! E così io me ne vado via col mio bambino nuovo. Io e lui, da soli. Non ho più voglia di fare Salomè. E neanche Desdemona e Maria Stuarda. Voglio andare via, lontano. In Russia. Posso fare la creatrice di moda, che dici. Alta moda per la nuova mafia russa. Di vestiti ne ho avuti tanti, qualcosa mi sarà pure rimasto in mente! Se no posso sempre rifilargli qualche vecchio Chanel. Oppure invento l’Optical, tanto in Russia cosa ne sanno. Se ha avuto successo da noi quarant’anni fa, da loro adesso farà furore di certo. Te le immagini tutte quelle contadine russe coi gamboni vestite a scacchi bianchi e neri? Allora me lo presti il tuo cow-boy? Ti metto madrina del bambino, eh?

DAISY - Io per me te lo regalo pure, il cow-boy. Per quel che serve...

VERONICA - Che vuol dire «per quel che serve»?

DAISY - (dopo un lungo sospiro) Siamo stati dal medico, qualche settimana fa. Sai, siamo sposati da cinque anni ormai, e figli niente. Un bambino è importante per una donna. Ti fa compagnia. Lui diceva che era colpa mia, e che per questo beveva. Tutte le scuse sono buone, ma io stavo proprio male. Mi sentivo in colpa.

Cinque anni di calvario. Mi picchiava, anche. «Che moglie sei? Neppure capace di fare figli!», urlava di continuo, e beveva. E più beveva più urlava... Per non parlare di sua madre. Quella mi ha sempre odiata. Una volta mi ha detto che da qualche parte, non so più dove, le mogli sterili le lapidavano. L’avrà letto sulla Bibbia, va a sapere. Ah, perchè era sempre in chiesa, no? Sempre Gesù e la Madonna e Nostro Signore in bocca. E naturalmente anche lui in chiesa con mamma, la domenica mattina. Il sabato sera a sbronzarsi con gli amici fino alle tre di notte, e la mattina dopo in chiesa. Delle volte non tornava neanche a casa a dormire. Tirava mattina e andava diretto in chiesa e faceva la comunione insieme a mamma, con un alito che se è vero che c’era Cristo in quell’ostia rimpiangeva la Passione. Insomma un inferno. E io non potevo mica dire una parola! Io ero la sterile, la segnata da Dio, la peccatrice. Poi finalmente la liberazione, esattamente tre settimane fa. Siamo andati dal medico. Abbiamo fatto le analisi, le controanalisi e tutto. Bè, sai cosa ha detto il medico? Ha detto che è lui, è lui che non può avere figli. Dovevi vedere la faccia di sua madre! Perchè naturalmente ci è venuta anche lei dal medico! Ho cominciato a ridere, ma a ridere come una pazza. Ridevo che non potevo più smettere. Ridevo tanto che me la sono fatta addosso lì, sulla poltrona del medico. Lei lo ha preso per un braccio e lo ha tirato via, e sono usciti tutti e due sbattendo la porta, il medico che non sapeva più cosa fare e io che continuavo a ridere come una cretina. Da allora la madre non l’ho più vista, e lui è arrivato a una bottiglia di wisky al giorno.

VERONICA - Sicché, con quel coso sempre ritto, neanche uno straccio di bambino! Poi si dice la natura...

DAISY - Neanche uno straccio di bambino. Non uno spermatozoo a cercarlo col lanternino.

VERONICA - Perchè non lo pianti, allora? Per quel che serve...

DAISY – (Sbottando) Scherzi? Per cinque anni mi hanno messo in croce, lui e quella stronza di sua madre con la sua Bibbia e le sue comunioni. «Il Signore sa come punire i peccatori!». Ah, non ti ho detto: perchè la prima cosa che ha ha fatto lui, è stato di dire a mamma che non ero vergine! Beh, io sarò pure una peccatrice, ma il Signore, nella sua saggezza, ha punito lui. Di figli non ne avrò, ma almeno mi sono tolta una bella soddisfazione. Vuoi mica che me ne vada proprio adesso, che mi posso godere le loro facce di merda, con tutto il loro mondo di merda che gli è crollato addosso! Adesso litigano tutti i giorni. Ieri le ha mollato un ceffone. A sua madre. E vuoi che me ne vada proprio adesso che comincio a divertirmi?

VERONICA - Aspetta, voglio vedere come sta col mio cappello Balenciaga... (recupera il cappello con cui è entrata e lo mette in testa all’uomo) Su con la testa, bello... Mmm, no, sembra un travestito. Peccato testolone mio. Tu niente spermatozoi, io niente bambino, niente prêt-à-porter per la mafia russa, pazienza... (Veronica fa altre due strisce di cocaina sul tavolo ) Vuoi ancora?

DAISY - Perchè no...

              

(Eseguono)

DAISY - Oddio, non ho mai parlato tanto in vita mia. Sarà il wisky. Io non bevo mai.

VERONICA - Certo che come mariti ci è andata mica bene.

«Come mi irritano questi uomini! Sono stupidi. Sono completamente stupidi!».

DAISY - Tu dici?

VARONICA - Mah, è una battuta di Oscar Wilde. La dice Erodiade in Salomè. E’ proprio scritta così... (pausa) Poi io faccio la danza dei sette veli e danzo così bene ma così bene che il Tetrarca mi chiede cosa voglio. E mi vuole dare un mucchio di roba, oro, argento, una quintalata di pietre preziose.

DAISY - (ridacchia) Io le avrei prese.

VERONICA - Perchè sei materiale! Io invece gli ho chiesto la testa di Iokanaan. Che ha una bella testa, con i capelli lunghi e morbidi morbidi. Un po’ come quelli del tuo cow-boy qui. Una mania che mi ha messo su quella stronza di mia madre. Figurati che prima di morire mi ha detto... Ah, te l’ho già raccontato.

Comunque, madre o non madre, prima ho danzato la danza dei sette veli poi gli ho chiesto la testa di Iokanaan in un bacile d’argento... Accidenti!

DAISY - Cosa c’è?

VERONICA - Hai mica un bacile d’argento?

DAISY - Un bacile d’argento? No che non ce l’ho...

VERONICA - (agitata) Dio mio dove ho la testa. Ecco perchè sono uscita stasera! E’ un’ora che sto qui a chiacchierare  e dimenticavo la cosa più importante... Cioè, non che sia proprio la  più importante, ma le indicazioni dell’autore  bisogna rispettarle. Se in scena ognuno fa quello che vuole,  lo spettacolo va a farsi fottere. E pensare che avevo studiato tutto così per bene...

DAISY - Calmati, che ti succede? Se vuoi un vassoio, di là in cucina c’è pieno. Prenditene uno...

VERONICA - Figurati! Qui si parla di smeraldi, diamanti e pavoni bianchi! Siamo alla corte di Erode, mica in un bar di periferia!

DAISY - Questo è un bar di periferia... Sei completamente pazza. (ride) Hai guardato troppo la luna, come Salomè.

VERONICA - Hai ragione, ora che ci penso. Ho guardato molto la luna stasera. Dopo lo spettacolo sono tornata a casa. Stavo in giardino e guardavo la luna. Pensavo alla recita, che era stata un disastro. Forse avevo un po’ esagerato col wisky. Nella danza dei sette veli sembravo una mentecatta col morbo di Parkinson. E’ terribile sentire che stai recitando male. Lo dice anche Nina nel Gabbiano... Mamma si sarebbe arrabbiata molto, e il tetrarca mi avrebbe dato un calcio nella pancia, altro che la testa di Iokanaan. Persino mia figlia si sarebbe vergognata di me... Poi invece tutto è filato liscio. Mia madre non ha fatto commenti e il tetrarca mi ha dato la testa del profeta. Bè, stavo in giardino lì che guardavo la luna e pensavo a questo e ad altro, quando è arrivato Max. Ubriaco come un alpino. Pensavo fosse arrabbiato con me, per come avevo recitato male, e forse mi avrebbe dato un calcio nella pancia. Invece era gentile. Ubriaco ma gentile. Ci siamo, mi sono detta. Adesso ricomincia con la storia del figlio. Infatti si siede vicino a me, mi guarda. Parla. Io non lo sento neanche. Guardo la sua testa con tutti quei riccioli neri, il suo viso così bello, gli occhi cupi, profondi. «Io bacerò la tua bocca, Iokanaan», ho detto, e l’ho baciato. Allora lui, lui ha cominciato, ha cominciato a fare delle cose, delle cose del tutto fuori copione. Mi dice che mi ama, che il paggio era un ricattatore e l’ha cacciato, mi abbraccia, cerca di spogliarmi e di fare l’amore con me, lì, sotto la luna, che è vergine e non si è mai contaminata come le altre dee. Mi tocca con quelle mani, mi stringe. Non mi piace quando mi tocca, non mi piace, non mi piace. (pausa) Allora gli ho dato una spinta. E’ caduto. Ha battuto la testa sulle pietre della fontana e non si è più mosso... Tutta roba che sul copione non c’è, giuro, non c’è sul copione. Oscar Wilde non l’ha scritta mai quella roba lì. Insomma, una di quelle recite dove tutto comincia a andare storto fin dall’inizio. Mi aspettavo i fischi del pubblico da un momento all’altro. Allora ho cercato di continuare la recita, di rimediare come potevo...

La voce di Daisy è stanca, impastata di sonno e di alcol. Da’ l’impressione di aver seguito Veronica piuttosto distrattamente.)

DAISY - Eri rimasta al bacile d’argento...

(Il RUMORE DI PIOGGIA che ha accompagnato fin qui il dialogo dissolve lentamente. Resta solo, di sottofondo, il ‘cool-jazz’ che proviene dalla radio. )

DAISY - Ehi, guarda là fuori. Ha smesso di piovere. E abbiamo fatto mattina.

VERONICA - Già. Il bacile d’argento, certo. Sono uscita per comprarlo ma era tutto chiuso. Adesso però staranno aprendo...

(si alza ) Dove ho messo la borsa? E’ qui sotto. E’ ancora bagnata. Questa l’ho comprata a Minorca, bella eh?

DAISY - (stancamente) Bella, sì.

VERONICA - (mette la borsa sul tavolo) Tienimela qui. Io faccio un salto in centro e torno. Ho la macchina qui fuori. Attenta che non cada per terra.

DAISY - Io veramente sarei un po’ stanca. Mi ci vuole proprio un letto, adesso. Non possiamo fare oggi pomeriggio?

VERONICA - Su, per favore, venti minuti vado e torno. Poi diamo sipario e magari ce ne andiamo in Russia io e te... Aspettami, eh...

DAISY - D’accordo, venti minuti, ma fai veloce.

VERONICA - Corro. Ciao...

(DING DONG il campanello della porta. Veronica esce. La musica jazz continua in sottofondo. )

DAISY - (tra sè) Bah... vediamo di fare un po’ di ordine qua dentro...  Ehi, Bufalo Bill, mi hai rotto le scatole. Vedi di svegliarti e dammi una mano... Su, svegliati! E svegliati, accidenti!            

(Scuote l’uomo, che ripiomba in avanti, addormentato sul tavolo.

Nel frattempo, alla radio, il jazz è finito ed è partita la sigla del Giornale Radio. Lo speaker sta parlando. La regìa potrà inserire la VOCE SPEAKER all’interno di un recente e autentico Giornale Radio registrato. I tempi saranno calcolati in modo da ottenere nel finale il maggior effetto drammatico. 

Daisy lascia perdere l’uomo con un sospiro di rassegnazione. Guarda la vistosa borsa di paglia rimasta sul tavolo. La apre e ne osserva l’interno.)

DAISY - Ma cos’è ‘sta roba?... (sgomenta) Oh Dio mio...

SPEAKER RADIO– “...Ultime notizie. Il cadavere del famoso regista Max Gruber è stato trovato questa mattina nel patio della sua villa, vittima di un agghiacciante delitto. La cameriera lo ha trovato riverso sul bordo della piscina. L’uomo era decapitato. La testa di Max Gruber è stata portata via dall’assassino. La moglie del regista, la celebre attrice Veronica Lopez,  è scomparsa, forse rapita dagli stessi killer del marito. Si pensa a un’atroce vendetta mafiosa collegata al traffico di cocaina… ”.

(Daisy ha infilato la mano nella borsa. Ne ha estratto un sacchetto di cellofan, attraverso il quale si vede chiaramente, pesta e insanguinata, la testa di un uomo. Lascia ricadere il sacchetto con gesto di orrore, coprendosi la bocca a soffocare un urlo.)

LA TESTA CADE A TERRA CON UN TONFO.

Sul gemito di orrore di Daisy…

BUIO.

                                      UNA NOTTE DI SALOME’ - FINE