Una serata in famiglia

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UNA SERATA IN FAMIGLIA

Tragedia in un atto

di ARDENGO SOFFICI

Rappresentate al Teatro degli Indipendenti di Roma

 con la regìa di ANTON GIULIO BRAGAGLIA

PERSONAGGI

MENALDO

SOFIA, SUA MADRE

ADELE, SUA ZIA

FABIOLA

DOMESTICA

Sera d'inverno nel modesto salotto di una. agiata famiglia della campagna fio­rentina. Una tavola quadra nel mezzo, sopra la quale pende dal soffitto a travi un vecchio lume a petrolio con ventola di porcellana bianca. Nel centro della parete di fondo, una finestra chiusa, le imposte nascoste in alto da un pendone di stoffa verde scura a strisce verticali di color msso smorto. Di dietro il pendone, da una cornice oriz­zontale di legno ornata con foglia di ottone, dovrebbe catare una tenda, ma la tenda manca. A destra e a sini­stra della finestra, due cornici quadre con entro disegni stinti rappresentanti persone di famiglia defunte. Sotto l'un d'essi, un calendario, con qualche cartolina e imma­gine sacra infilate (fra il cartone e il muro.

Nella parete di destra, un uscio che dà nella stanza d'in­gresso della casa. Più in qua dell'uscio, ed appeso al muro, un orologio a pendolo: sotto all'orologio, un ca­napè stretto con spalliera e braccioli di legno, coperto da un cuscino smilzo e duro di color rossastro a righe giallognole. Nell'angolo formato dalle due pareti pende un sacchetto di tela in cui è riposto il cencio da spolverare.

Nella parete di sinistra, e di faccia al primo, altro uscio che mette in cucina. All'estremità opposta, terzo uscio per il quale si va nell'interno della casa ed al (piano di sopra. Fra i due usci un caminetto acceso, ma dove il fuoco langue ormai, quasi al tutto soffocato dalla cenere. Sul marmo del caminetto, una cicogna impa­gliata, una bottiglia di maiolica bianca, una lucernina i d'ottone a più becchi, dietro a cui si intravede, appeso dal  muro, un porta-fiammiferi somigliante ad una piluzza insieme e ad un termometro che fosse spalmato di colla le rena per fregarvi lo zolfanello. Più in alto, nel centro, è attaccato un altro (ritratto ttfuomo in zucca con grandi baffi neri. Un tavolino da lavoro con sopra una macchina da cucire, presso il canto; seggiole im­pagliate qua e là.

Menalio, tipo di artista moderno sulla trentina, bruno, isbarbato, di faccia magra pallida e di aspetto distinto, (nervoso; la madre Sofia e la zia Adele, vecchiette linde, curvate dagli anni, civilmente vestite di scuro: i ca­pelli brizzolati, la prima, e pettinati nel modo più sem­plice formandone una scarsa crocchia sopra la nuca;  capelli bianco-giallastri, la seconda, spartiti sulla fronte e tirati liscissimi sulle tempie; seggono riuniti intorno alla tavola. Il poeta Menalio ha i gomiti appoggiati alla tavola e la testa fra le palme, leggendo in un suo libro elegantemente rilegato; le buone donne, già un po' as» sonnacchiate, facendo la treccia - ma piuttosto per passatempo che per guadagnare qualcosa - e recitando nello stesso tempo un rosario, spesso interrotto da ca­scaggini. Fuori, la pioggia scroscia a raffiche, mentre l'oriolo cammina. Ogni tanto s'ode il rombo del vento nel caminetto.

Sofia                                - Avemmaria grazia piena Dominusteco benedeità tui moglieribus e benedett' il frutto ventri stuiesu.

Adele                               - Se seguita quest'acqua, bisognerà dire a Cencino di riguardare il tetto. Ho visto che in camera di Menalio la macchia dello stoiato s'allarga sempre più.

Sofia                                - E le docce; bisognerà far ritingere anche quelle. (La mamma e la zia sospirano una dopo l'altra, curve sulla treccia, nell'ombra della ventola che con­centra tutta la luce sulle loro mani in moto e sui fili di paglia che brillano. Nel silenzio del salotto il tic-tac del pendolo si ode distinto ed ha qualcosa di sinistro).

Sofia                                - (voltando la pagina della ;« Via del Paradiso » che tiene aperta sui ginocchi, legge) Nel secondo mi­stero doloroso si «ontempla come Gesù Cristo fu fla­gellato in casa di Pilato, crudelissimamente... Paterno­stro quiesi nceli... (La preghiera finisce in un borbot­tio indistinto).

Adele                               - ...Grolla Patri e Figlio e Spiritossanto, sicu-tera in principio e nonché sempre et in secola socoloru mammen...

Sofia                                - Ma senti, Adele, il vento nel camino! Fa persin paura.

Adele                               - A te fuliggine, domani, sul focolare. L'hai coperto il paiolo?

Sofia                                - L'ho messo sotto l'acquaio: ce n'era già cascata un bon po'... (Pause. Si ode una raffica di piog­gia sui vetri e il rotolio di un barroccio che passa per la strada accompagnato da qualche frustata e bestemmia dal carrettiere e dal suono lento dei bubboli. Menalio s'alza e si mette a passeggiare, preoccupato, in silenzio, avanti e indietro per la stanza).

Adele                               - O Bulicotto s'è visto?

Sofia                                - Sì! Giusto! Ora:che piove e non può la­vorare!...

Adele                               - Eh! fosse solamente il male di quando piove! ... gli è che gli è tutto un Verso! L'inverno non si può lavorare per via del cattivo tempo, l'estate non c'è da fare. Ma per ubriacarsi, i quattrini li trovano sempre! L'hai sentito stanotte come cantava? Non c'è che la pigione che resta indietro... Dugentocinquanta lire tra poco.

Sofia                                - Mah! E per maggior ristoro, dice che hanno anche il cavallo zoppo. E vogliono riappellarsi per il figliolo in galera!

Adele                               - Un bel ichiacchierino anche quello!

Sofia                                - Avemmaria... (borbottio).

Adele                               -  ...Santa Maria materdei, orapronobi peccatoribus inchetinora ammen...

Menalio                           - Zia, ha dimenticato: « mortis nostrae ». Lo dimentica sempre. Adele (sorpresa dell'osservazione inattesa) Cosa?

Menalio                           - Quando risponde all'Ave Maria, dimen­tica sempre due parole: «anortis nostrae».

Adele                               - Sì, eh? M'avanza il crederlo. Va' a sappi .tu che cosa si strambottola!... (Sorride bonariamente). Menalio (affettuosamente ironico) Non fa nulla, però. Basta la fede, vero?

Adele                               - Speriamo! Eppoi io dico così: Se c'è qual­cosa, ce n'è tanti che dovranno render più conti di noi, nel mondo di là!

Menalio                           - Certo, certo! Bulicotto, per esempio. Si ubriaca, bestemmia, non paga la pigione... (Ritorna a sedere e alla sua lettura).

Adele                               - Scherza, scherza! Vedrai!..

Sofia                                - Dunque, Adele: questo rosario? Nel primo mistero glorioso si contempla come il nostro Signor Gesù Cristo, il terzo giorno dopo la sua passione e morte, resuscitò trionfante e glorioso per non mai più mo­rire. Paternostro quiesinceli santi viceturre... (Borbottio sempre più confuso e che finisce in un pisolino delle due vecchiette).

Menalio                           - (all'improvviso silenzio, alza la faccia dal libro; considera un poco con tristezza e pietà le povere donne che sonnecchiano col mento sul petto, le mani abbandonate sul grembo: poi trae con precauzione, dal taschino della giubba, la penna stilografica, di tra le pa­gine del libro un foglio di carta da lettere sul quale si china scrivendo le parole che pronunzia, come se le dicesse alla persona cui si rivolge, con accento acco­rato, appoggiando su ciascuna quasi a caricarle della passione che devono esprimere) Isabella! Amore! Avrei voluto obbedirti, ma non posso farlo. Ti ho scritto ieri l'altro, ti ho scritto ieri, e stasera ti riscrivo per ripeterti la stessa cosa: per quanto io faccia, non so rassegnarmi all'idea di perderti. Capisco tutto quello che mi dici, capisco anche che ormai è forse finita davvero, ma io non so rassegnarmi; e ti grido dispera­tamente: abbi pietà di me! Vedi come mi umilio, dopo la tua ultima lettera! Ma la mia passione è troppo (forte, Isabella! Dacché tu mi hai abbandonato, mi sento come un fantasma in questa vecchia (casa, mia e pure stra­niera per me, dove son venuto a rifugiarmi, e dove non oso restar solo un minuto pel terrore di trovarmi a faccia a faccia con la mia sciagura... (La mamma e la zia si scuotono improvvisamente guardandosi intorno intontite. Menalio, prima che si accorgano di qualche cosa, fa destramente sparire il foglio tra le pagine, e la penna dietro al libro, che finge di non aver cessato di leggere). Sofia           - (come se credesse di continuare l'orazione dal punto dove è stata interrotta) Una requiemeterna per l'anima del povero babbo. (La mamma e la zia in­sieme) Requiemeterna donaei Domine, allo sperpetua lucetei requiescantimpace.

Adele                               - Ammenne. E la Silvia? Nulla neanche lei?

Sofia                                - Quella l'è bona! Stamani l'ho aspettata al pozzo. «Insomma - le ho detto - a che gioco si gioca? ». « Guà! - fa lei - abbiate pazienza. Ci s'ha quella figliola da maritare. Come volete che si faccia? », «Già - ho detto io - voialtri ce n'avete sempre qualcuna delle nuove. Ma io le tasse devo pagarle; e il [Becheroni non conosce maschere». «Abbiate pazienza!». Poi, figurati, ho visto che non faceva altro che sputacchiare. Dev'es­sere gravida un'altra volta!...

Adele                               - Gli è l'undicesimo! Altro che pazienza ci vuole!...

Sofia.                               - Ah, Signore!...

Adele                               - Una requiemeterna per l'anima del povero Alberto... Requiemeterna... (Una voce roca scoppia im­provvisa nella strada, vicinissima alla finestra, e ja sussultare le due vecchie).

La Voce                           - Lupinaio!... Mandorlati. Ballotte: le bol­lono le mi ribollono!... (E’ un rivendugliolo che finisce il suo giro. Batte le scarpe imbullettate sul marcia­piede mentre l'acqua tamburella sul suo ombrello d'in­cerata).

Adele                               - Lui, poi, non se ne parla nemmeno, no?

Sofia                                - Chi? Fello?... dice «he darà un acconto dopo la fiera di Santa Cristina, e il resto dopo la Befana.

Adele                               - Piacciaddio!... Requiemeterna...

Menalio                           - (alzando dal libro la faccia ridivenuta calma e cordiale) Quant'anni è, mamma, che è morto lo zio Alberto? (La mamma e la zia interrompono la pre­ghiera; ma ne l'una ne l'altra sa risponder subito).

Sofia                                - Quant'anni? Aspetta... La povera mamma morì l'anno che mi maritai; il povero Alberto era morto da due anni...

Menalio \                         - ...Io ho trentadue anni...

Sofia                                - Trenta due e uno trentatrè, e due trenta cin­que: son trentacinque anni... Perchè?

Menalio                           - Nulla... Così... Ma era già malato da un pezzo, quando si uccise...

Sofia                                - Sì, s'ammalò appena gli morì la fidanzata...

Menalio                           - Era maestra qui, la fidanzata... Era bella?...

Adele                               - Bellissima! E tanto buona: vero, Sofia?

Sofia                                - Uh!... Certi capelli neri, cert'occhi. Alta, slanciata. Eppoi fine! Era pisana e di buona famiglia. Noi ragazze le si voleva bene come a una sorella...

Menalio                           - E lo zio Alberto, com'era?

Sofia                                - Bello anche lui, e buono. Ma non aveva vo­luto studiare. Non aveva passione che per i cavalli.

Menalio                           - E le voleva bene?

Sofia                                - Maria Santissima! Quand'era a reggimento le scriveva tutti i giorni.

Menalio                           - E come andò?...  

Sofia                                - Eh! male, (bambino mio! Quando ricevè la lettera che era morta, si mise a piangere, e poi non aprì più bocca con nessuno. Stava in camera tutto il giorno. Fumava e passeggiava. A volte passava delle ore intere in giardino a guardare un filo d'erba...

Menalio                           - (sempre più insistente) Ma il primo segno?

Sofia                                - Fu una mattina che era andato a Prato in carrozza col povero babbo. A un tratto saltò dal legno, entrò in una bottega di macellaio, andò dietro il banco, e si mise a tagliar carne. Lì per lì si credette che fosse una esaltazione passeggera; ma qualche sera dopo si fu daccapo. Montò a cavallo per il paese, riunì tutti i ra­gazzi che trovò, e cominciò a far loro le istruzioni mi­litari. La gente rideva... Figurati noi!...

Menalio                           - Ma poi guarì.

Sofia                                - Sì, ma si vedeva che non era più quello. Era tetro: s'era messo in testa che il povero babbo - per­chè gli faceva far le docce fredde - volesse ammazzarlo... Diceva che lo avrebbe fatto arrestare... (La mamma so­spira e la zia continua a far la treccia a testa passa:. Menalio si fa sempre più insinuante per ottenere il resto del racconto).

Menalio i                         - E... negli ultimi giorni?

Sofia                                - (continuando, sebbene con pena, per il ricordo ravvivato) Pareva si fosse calmato. Stava sempre con noi, era buono con tutti; a volte persino scherzava.

Menalio                           - (sorridendo con mestizia) Come me... Ma la sera avanti... il fatto, che aria aveva?

Sofia                                - Tranquillo anche allora. S'era a lavorare in salotto, come ora, ricordo, il babbo era su nello studio, e lui, vicino al lume, un po' leggeva, come te stasera, un po' si divertiva a scrivucchiar sur un calendario che ci s'aveva. Mi par di .vederlo ora: riempiva la pagina, poi la piegava, la ripiegava, la strappava e scriveva sull'all'altra... Quando fu l'ora d'andare a letto, s'alzò, accese la lucernina, ci salutò come l'altre sere, e montò in ca­mera sua.

Menalio                           - (insistente) iSenza dir nulla che potesse?...

Sofia                                - Nulla... la mattina dopo era il giorno dei Santi e tutti erano alla 'Messa. Io riguardavo la bianche­ria dell'armadio. A un tratto sento un colpo di fucile al piano di sopra, che fece rintronar ogni cosa, e poi un gran silenzio. Corsi su, aprii l'uscio... (con grande commozione) la camera era piena di (fumo, e lui sul letto col fucile legato a un piede, e senza testa!... (Con orrore) Il guanciale era tutto rosso... il muro spruzzato... «Disgraziato! - dissi - Cosa hai |fatto! ». Cominciai a urlare, ma per un pezzo non venne nessuno... (Rimane schiacciata sotto l'atrocità della rimembranza).

Menalio                           - (con ansia quasi crudele) E nei fogli strap­pati, cosa c'era scritto?...

Sofia                                - (con la voce rotta e tremante) Erano stati sminuzzati in modo che non si poteva leggere. Soltanto, alla data dell'ultimo ottobre, ci diceva: «Domani io do­vrò miseramente morire... ». (Pausa. Sofia piange silen­ziosamente e Adele pure. La pioggia, che ha continuato a farsi sentire di tempo in tempo, batte ora di traverso la finestra, si ode qualche rumore come di stoviglie o posate mosse, che giunge dalla cucina. Il tic-tac del pendolo... Menalio fa qualche passo per la stanza, poi si siede al solito posto riprendendo la lettura). ;

Adele                               - Una requiemeterna per l'anima della povera mamma. Requiemeterna... (Borbottio).

Sofia                                - /Una requiemeterna per l'anima del povero Raffaello... Requiemeterna... (Borbottio. Il borbottio fi­nisce in un soffio indistinto. Le feste delle due vecchie s'inchinano, si rialzano, s'inchinano, finché il torpore vince, e la mamma e la zia si assopiscono col mento sul petto e le mani abbandonate in grembo).

Menalio                           - (come già la prima volta, tira fuori con cir­cospezione dalle pagine) del libro la carta, prende hi penna stilografica e continua la lettera cominciata, ri­petendo, con voce ed accento ancor più appassionato, le parole che traccia ad una ad una sul foglio) Anche in questo momento sono fra queste mie povere vecchie, del cui sonno innocente approfitto per implorarti un'ul­tima volta. Tu sai tutto della mia vita: tu sai come tutto m'ha fallito, e che, all'infuori di te e dell'arte, null'altro c'è per me nel mondo. Ma già la poesia, la bellezza, la natura sono ^cose mute all'anima mia senza il tuo amore. Se ti perdo, perdo ogni ragione di vi­vere: dovrò morire; e morirò. Ho sempre nel taschino, sul cuore, il rimedio che sai: la boccettina che tu co­nosci, e che in questo istante stesso accarezzo come l'estrema mia salvezza (eseguisce), ti scrivo per sapere se debbo servirmene. Rispondimi semplicemente un sì, o un no. Ma, Isabella, Isabella!, prima di condannarmi, pensa al nostro meraviglioso passato, alla nostra gioia, prima degli ultimi dolori, pensa che potremmo ancora essere tanto felici! Pensa al tuo Menalio che t'ama sem­pre spaventosamente... (La mamma e la zia rialzano a questo punto la testa. Menalio fa sparire carta e penna. Tutto, su per giù, come la prima volta).

Sofia                                - Una requiemeterna per l'anima del povero Carlo...

Adele                               - Ce n'hai ancora molti, dei fili, Sofia?

Sofia                                - Uh!, Eccoli qui (mostra pochi fili di paglia). Per due o tre braccia di treccia...

Adele                               - Bisognerà finirli, se no si insecchiscono: ep-poi domani è domenica.

Sofia                                - Giusto! Chi se ne ricordava? Allora spiccia­moci per non far tanto tardi, se ci si deve levar per la prima Messa. Requiemeterna... (La preghiera è inter­rotta da tre forti colpi di martello alla porta di strada seguiti da una voce cadenzata: «Posta!... ». Tutti si riscuotono). Adele (rivolta verso la cucina) Fabiola... Fabiola... Fabiola (apre la porta ed entra nel salotto. E? una donna anziana, robusta, di tipo campagnuolo: ha il ven­tre coperto da un grembiale bianco col quale si asciuga le mani ,e le braccia ancora bagnate. Si capisce che stava rigovernando) Hanno picchiato? Adele   - Sì, apri: è il postino.

Menalio                           - Digli che aspetti un momento di là... ho da dargli una lettera da impostare. (Mentre la domestica va ad aprire, Menalio riprende apertamente il foglio, finisce in fretta la lettera; cava di tasca una busta, scrive l'indirizzo, sigilla la lettera).

Fabiola                             - (torna con in mano una lettera che dà a Menalio) C'è questo espresso per voi. (E resta ad aspet­tare che gli sia data la lettera per il postino).

Menalio                           - (straccia invece con dita tremanti la busta ricevuta e con occhio avido percorre il foglio) « Me­nalio! ti prego, ti scongiuro non insistere, soffro quanto te, ma non posso mentire: è l'irreparabile. Non t'amo più d'amore. Perdonami, perdona fraternamente la tua Isabella ». (Impallidisce, per il colpo ricevuto, ma si domina con terribile sforzo e volgendosi, in apparenza calmo, alla domestica) Va bene. Non importa più. Ringraziatelo e ditegli che può andare. (Fabiola va, li­cenzia il postino, richiude col contrafforte la porta di strada, richiude quella del salotto e rientra in cucina, chiudendosi dietro anche quell'uscio. Menalio fa qual­che passo meditando, si ferma a guardare nel caminetto, straccia le due lettere con meticolosità, ne getta i mi­nuzzoli sul fuoco che si rianima brevemente, poi ripren­de il suo posto alla tavola. La mamma e la zia dopo una breve pausa fanno l'atto di rimettersi al lavoro e alta preghiera: ma egli le interrompe; col volto mar­moreo, affettando la più grande tranquillità) Mamma, e lo zio darlo? Era malato anche lui, quando morì, vero?

Sofia                                - Sì... di petto.

Menalio                           - Tisico.

Sofia                                - Sì, ma lui morì per disgrazia.

Menalio                           - Però la gente diceva...

Sofia                                - Lo dicevano ma non è vero. Morì per una imprudenza.

Menalio                           - E come andò, anche lui?

Sofia                                - Ma se te l'ho raccontato tante volte, figliolo! S'era incaponito di ritoccare un vaso di fiori che aveva dipinto sopra alla finestra di' camera sua: montò sur un'asse, e cadde. Il povero babbo gliel'aveva detto che era pericoloso; ma sì! Anche lui era azzardoso come te; e non ebb« bene finché non ebbe fatto a modo suo.

Menalio                           - E morì sul colpo...

Sofia                                - Dopo poco. L'asse precipitò con lui. Rimase fitta in terra.

Menalio                           - La sera avanti, però, aveva fatto un certo discorso...

Sofia                                - Ma perchè insisti tanto su queste cose dolo­rose? Fu un caso. Il povero babbo aveva invitato tutti i parenti per la domenica dopo, e quella sera, facendo il conto di quanti si sarebbe stati ,a tavola, ci si accorse che mancava una posata. « Bisognerà mandare qualcuno a Prato domattina » disse la povera mamma. Ma il po­vero (Carlo, ch'era lì con noi, disse che non importava. «Inutile, inutile - disse - qualcuno manca sempre»...

Menalio                           - E la mattina dopo...

Sofia                                - Già, ma fu una combinazione. (Pausa, dopo di che, la mamma tenta di riattaccar la preghiera) Una requiemeterna per l'anima della povera Olimpia... (Ma ormai il sonno comincia a vincere del tutto le due po­vere vecchie. La frase latina, cominciata col solito tono, s'abbassa, s'allunga a poco a poco e finisce, come avanti, più che sempre, in un soffio confuso, mentre anche le mani si fermano sempre più spesso). Requiemeterna dona ei dom... (Un pisolino di un minuto, poi un pic­colo balzo smarrito e) Allo sperpetua lucetei... (Così per un po', con qualche sbadiglio, mentre il sonno cre­sce. Ogni tanto un ritorno d'energia, subito spenta, un sonnellino più lungo, fino allo sforzo supremo). Una preghiera per tutte le anime sante del Purgatorio. (E, in coro, in fretta):

Dio vi salvi, anime sante,

Dio vi salvi tutte quante;

Siete state come noi,

Noi saremo come voi;

Pregate Gesù per noi,

Noi lo pregherem per voi

E che Dio vi dia pace e riposo nella gloria dal santo Paradiso. Ammenne.

(Pausa. La mamma e la zia, definitivamente vinte appoggiano le due braccia intrecciate alla tavola, vi posan sopra la testa, mentre cadono loro dal grembo le trecce e la « Via del Paradiso », e s'addormentano. Menalio, il quale dopo il racconto della mamma ha sempre finto di leggere, quando sente le due donne sommerse nel sonno, leva gli occhi su di loro, le contempla un poco con tenerezza e con grande pietà, sospirando. Nello stesso tempo si tasta il taschino del panciotto dalla parte ,del cuore: come senza volere ne estrae una boccettina minuscola che mira a lungo e poi ripone. Finalmente, come decidendosi, a un tratto si alza, ma senza far rumore, va presso il caminetto, prende nella piletta un fiammifero che accosta al fuoco quasi estinto, prende la lucernina di cui accende un becco; si mette piano piano il libro sotto il braccio; dà un ultimo sguardo compassionevole alle vecchie addor­mentate, ed esce in punta di piedi dalla stanza chiuden­dosi dolcemente la porta dietro. Passano così alcuni istanti di silenzio profondo, mentre non si sente che il tic-tac dell'orologio, il respiro delle dormenti e qualche frustata di pioggia sui vetri della finestra. Improvvisa­mente si ode al piano di sopra, come in cima alle scale, il rumore:sordo e sinistro come di un corpo che cade e si rotola urtando in qualche sedia, e una specie di ge­mito soffocato. Il tonfo, ancorché sordo, sveglia di so­prassalto la madre e la zia).

Sofia                                - Adele! Maria Santissima! (E tutt'e due, come se, in un lampo, si rendessero conto della tragedia inat­tesa, balzano esterrefatte, ancora un poco tra il sonno, e incespicando goffamente, compassionevoli e ridicole a un tempo, si precipitano insieme verso la porta, che spaLangano cacciandosi poi nell'oscurità).

Sofia                                - (urlando, con voce strozzata) Menalio! Me­nalio! Disgraziato!

(Cala precipitosamente la tela).

FINE