Uno spettacolo chiamato suocera

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Commedia comicissima in 3 atti

di Franco ROBERTO

Personaggi:

CECILIO TULLIO PONZIANO

LUCIANO MARANI

SIMONA FIORDELLI, fidanzata di Luciano

CAROLINA, madre di Simona

ALBERTO ZARDI

MAURIZIO GIORDANI

SERAFINO

Oggi, in una casa di campagna

La scena (fissa per i tre atti).

Una camera di una casa di campagna con un'uscita senza porta al fondo, che dà in un corridoio; una porta a destra e un'al­tra a sinistra.

I pochi mobili — ossia un tavolo, alcune sedie e qualsiasi altro arredo — dimostrano i loro diversi decenni, in contrasto con un apparecchio telefonico posato sopra il tavolo.

PROMEMORIA PER IL REGISTA

A prescindere che mai, né prima né dopo, in tutta la storia del costume, l'uomo è riuscito a ottenere — con un semplice pez­zo di stoffa, non cucito né allacciato — un abbigliamento tanto ricco quanto solenne come la toga romana, il «costume» per il personaggio Cecilio è facilissimo da realizzare con un qualsiasi lenzuolo o panno bianco, come indicano i disegni.

Un paio di sandali «da mare», ed eventualmente una ma­glietta di lana o cotone, completano efficacemente l'economico abbigliamento scenico.

La «polvere dei secoli» è borotalco precedentemente cosparso sulle zone della toga che l'attore colpirà con le manate.


Storia di una geniale trovata teatrale

Anno 1890 — L'autore inglese Harry Paulton trae ispira­zione da una vicenda mitologica e scrive la commedia Nìobe, nella quale immagina che la protagonista pietrificata ritorna in vita ogni due o tre secoli.

Anni Trenta — L'Editrice Artigianelli pubblica Britannico, commedia in 3 atti per il teatro maschile di A.P. Berton, il qua­le dichiara di avere imitato la Nìobe di Paulton. La rivista «Il Dramma» pubblica L'antenato, commedia in 3 atti di Carlo Ve­neziani, in cui il protagonista - rimasto pietrificato «per in­cantamento» - rivive ogni tre secoli.

Anni Novanta — I 3 atti di Uno spettacolo chiamato suoce­ra sono la rielaborazione-rivisitazione-riscrittura-remake-citazione-ripetizione dei precedenti su questo spassoso tema di grande successo teatrale.

ATTO PRIMO

Un pomeriggio di fine primavera. In scena, all'aprirsi del sipario, non c'è alcuno.

serafino — (dall'esterno a sinistra) Prego... S'accomodi, dottore.

luciano — (entra da sinistra, sorridendo, seguito da Serafino) Lascia perdere il «dottore». (Luciano è un 25enne elegante, simpatico, spiritoso. Porta una valigia che posa per terra).

serafino — (modesto campagnolo dai 50 anni in su, tratta Luciano con un certo timore reverenziale) Ma lei «dottore» è, anche se non cura i malati.

luciano — (sorride) Certo, caro Serafino: io sono «dottore» in economia e commercio, non in medicina.

serafino — «Dottore» in una cosa o nell'altra, è sempre stato l'orgoglio dei suoi poveri genitori.

luciano — (affettuoso) E tu?... Ti ho chiamato «zio» da quando ho cominciato a parlare. Eppure non siamo parenti. Quin­di, almeno a quattrocchi, ti prego di darmi del «tu», come quando mi sostenevi e mi aiutavi a compiere i primi passi sull'aia, lì (indica verso sinistra) fuori.

serafino — (emozionato) Se proprio lo vuole-vuoi?...

luciano — (sorride) Si! Lo voglio.

serafino — Allora grazie, e... ciao!

luciano — Ora dimmi: tu, Cesira tua moglie, le tue figlie, i tuoi figli... tutti bene?

serafino — (annuisce) ...ma io e Cesira, ormai, siamo soli. I figli e le figlie si sono sposati e vivono in grandi città. Sono nonno sei volte.

luciano — Congratulazioni!... E la cascina?

serafino — Bella, come il giorno in cui ce l'hai regalata.

luciano — Vi spettava di diritto, quale riconoscimento per le affettuose attenzioni che tu e Cesira avete sempre avuto per mia madre e mio padre.

serafino — Adesso vieni ad abitare qui, nella tua villa?

luciano — Nooo... E sei generoso chiamare «villa» questa ca­sa di campagna quasi cadente. A proposito: vedo che hai fatto un'energica pulizia e ti sarò grato appena... (s'interrompe, perché voleva dire altro; poi dice) Forse riesco a sbolognarla presto.                                                                   

serafino — (sgradevolmente sorpreso) La vendi?

luciano — (annuisce) Però, in fondo, mi spiace. Ma... (s'in­terrompe, poi) Sì! Ti dico tutto. (Fa un paio di passi, quin­di) Primo: ho fatto un paio di brutti investimenti, e...

serafino — (interrompe, allarmato) Con la macchina hai inve­stito due persone?

luciano — (sorride) Volevo dire che ho sbagliato un paio d'af­fari nei quali ho messo del denaro, e... ed ora mi trovo in difficoltà. Ho un grosso debito, capisci? (Serafino annuisce) Secondo: sono fidanzato con una brava ragazza. Terzo: la mia fidanzata ha una madre.

serafino — (ironico) L'avrei giurato! E scommetto che ha pu­re un padre.

luciano — Vivo, no. La mia futura suocera è vedova, perché suo marito è morto sei anni fa, investito da un autocarro.

serafino — (c.s.) Allora almeno un «investimento» c'è.

luciano — Già. Quarto: un industriale, un commendatore, de­sidera sposare la mia futura suocera. Quinto: da un momento all'altro, come ti avevo telefonato, arriveranno tutti qui.

serafino — Con l'aiuto di Cesira ho preparato ogni cosa. Di qua (indica a sinistra), al primo piano, tre camere da letto, per le due donne e per l'uomo.

luciano — «Il commendatore», non scordarlo.

serafino — Va bè!… Di qui (indica a destra), al pianterreno la camera da pranzo, e sopra la tua camera e un'altra, nel caso che qualcuno s'aggiungesse alla compagnia. Adesso vado a mettermi l'abito da festa.

luciano — Non ha importanza. L'unica cosa veramente impor­tante è che ho convinto la mia futura suocera a farsi com­prare dal commendatore questa roba (indica intorno a sé) come dono di nozze, ovviamente senza badare al prezzo. Prezzo che sarà salato, salatissimo, giacché metterò sul con­to i miei ricordi d'infanzia, eccetera eccetera.

serafino — Se questo è l'unico modo per toglierti dai pastic­ci... (si stringe nelle spalle e allarga le braccia, rassegnato).

luciano — L'unico, sì. E credimi che non lo affronto a cuor leggero.

serafino — Ti credo.

luciano — Quindi aiutami a far apparire questo rudere una spe­cie di piccolo castello ricco di storia.

serafino — Quale storia?

luciano — (ironico) Quella che inventerò io. (Sorridono) Ma­gari racconterò qualcosa di misterioso. Per esempio... (va al fondo e indica lungo il corridoio a destra) ... quella porta che nessuno, almeno sino al mio trisnonno, è riuscito ad aprire, ha qualcosa di enigmatico, segreto, arcano, affascinante.

serafino — Ho sentito dire da diverse persone che nel paese qui vicino, da chissà quanti secoli, la gente parla sottovoce di quella (indica lungo il corridoio a destra) porta.

luciano — (divertito) E che si dice... «sottovoce»?

serafino — (sottovoce) Che quella (indica come prima) è una porta «magica», poiché nasconde un mistero.

luciano — Bene! (sottovoce) E tu ci credi?

serafino — Beh... sì.

luciano — (ride) Ma fammi il piacere!... Quella (indica come prima) porta nasconde al massimo uno sgabuzzino, un bu­gigattolo magari pieno di scope e di stracci che da chissà quan­do più nessuno ha aperto.

serafino — Tuo padre ha tentato diverse volte di aprirla. Un giorno l'ho aiutato anch'io, ma non ci siamo riusciti, né con martello e scalpello, né con due palanchini.

luciano — (ironico) Un ladro, invece, la aprirebbe in un attimo.

serafino — No no... Tanti anni fa, tu eri ancora bambino, in questa casa entrarono i ladri. Buttarono all'aria ogni cosa, e certamente provarono pure ad aprire quella (indica come prima) porta, ma... niente! Fu l'unica che rimase intatta.

luciano — (dopo un momento di riflessione) Ma sì!... Meglio così. Al commendatore farò anche pagare la porta «magi­ca» e misteriosa. (Ritorna, con Serafino, al centro della sce­na, e indica l'apparecchio telefonico) Questo funziona, vero?

serafino — Certo. E hai fatto bene a tenerlo dopo la scompar­sa dei tuoi genitori, perché adesso è molto difficile ottenere una nuova linea in questa zona.

luciano — (allegro) Pagherà anche il telefono, il commendatore!

serafino — (indica la valigia) La metto in camera tua. (La pren­de ed esce a destra, dicendo) Alla cucina pensa Cesira.

luciano — Molto gentile. (Va alla porta di destra) Ci fermere­mo solo per il week-end.

simona — (entrando da sinistra, allegramente) Anche di più, per­ché questo posto è meraviglioso! (Simona è una bella, ele­gante e simpatica ragazza sui 20 anni. La seguono)

carolina e alberto — (sorridenti. Carolina, madre di Simo­na, è una bella, elegante, vivace e simpatica 45-50enne. Al­berto è il classico tipo dell'industriale-commendatore, e sia nei toni sia nei gesti di cortesia manifesta la sua aspirazione

di sposare Carolina, apparendo anche ridico/o, nel suo per­sonaggio di caratterista brillante).

alberto — È vero, Simona!... Il paesaggio, il panorama, il co­lore dei prati, dei fiori e delle piante... tutto incantevole! Ve­ro, cara Carolina?

carolina — Certo, caro Alberto.

luciano — (timoroso) E di questa... casa, commendatore?... Che ne dice di questa specie di «maniero»?

alberto — Modesto, ma senza dubbio appartenente alla sto­ria. Emozionante, commovente, appassionante.

luciano — Sono lieto che le piaccia, e se vuole seguirmi le fac­cio vedere...

carolina — (interrompe) No, Luciano!... Più tardi. Meglio do­mani. Adesso credo che desideriamo solamente rinfrescarci un po'. Dico bene?

simona e alberto — (contemporaneamente) Sì, mamma. — Sì, cara.

serafino — (entra da destra).

luciano — Ecco Serafino, il prestigioso e perfetto conservato­re di queste mura... «storiche». (I tre ospiti applaudono Se­rafino, il quale china lievemente il capo in segno di saluto e ringraziamento) Per favore, accompagna i signori nelle lo­ro camere.

serafino — (indica a sinistra) Prego. (E cede il passo a)

carolina, simona e alberto — (i quali escono a sinistra, di­cendo contemporaneamente a Luciano) A presto. — Ciao. —  Grazie. (Seguiti da Serafino).

luciano — (fa qualche passo, soprappensiero, sino a quando trascorso un momento — si sente dal fondo)

cecilio — (il quale starnutisce, quindi tossisce e borbotta un 'im­precazione) Accidenti!...

luciano — (molto sorpreso, sussulta e si volta a guardare ver­so il fondo, dove)

cecilio — (entra dalla parte destra, barcollando e dandosi del­le manate sulla toga, dalla quale si sollevano nuvolette di pol­vere che lo fanno di nuovo tossire, mentre borbotta) Polve­re... Polvere... Polvere... I secoli sono fatti di polvere.

luciano — (evidentemente molto sorpreso, sconcertato) Scusi, ma... Lei, chi è?

cecilio — (superbo) Cecilio Tullio Ponziano. E tu, chi sei?

luciano — Luciano Marani.

cecilio — E poi?

luciano — Poi... cosa?

cecilio — Hai solo due nomi?

luciano — (allarga le braccia) Eh sì. (Sorridendo, indica l'ab­bigliamento di Cecilio) Cos'è?... Un costume da carnevale?

cecilio — Cretino!

luciano — Come si permette?

cecilio — Tutto, mi permetto. Tut-to! E dinanzi a me china la fronte, la testa, in segno di riverenza, di sottomissione.

luciano — Macché riverenza e sottomissione!... Piuttosto, se ne vada! Questa è casa mia.

cecilio — (sprezzante) Allora, al mio confronto, sei un misera­bile. Perché la mia casa sono i secoli!

luciano — (controllandosi a fatica) Senta, signor...

cecilio — (continua, presentandosi superbo come prima) ...Ce­cilio Tullio Ponziano.

luciano — Sì, lei. (Indica a sinistra e in alto) Ho degli ospiti e non vorrei che, vedendo lei, dubitassero che qui vicino c'è un manicomio, dal quale...

cecilio — (interrompe) Strano... Non capisco il significato di ciò che dici.

luciano — (seccato) Beh, visto che dobbiamo proprio darci del «tu», dimmi da dove vieni.

cecilio — (va al fondo e indica lungo il corridoio a destra) Di là.

luciano — (va a vedere, si stupisce) La porta è aperta!... Ma ora... si richiude.

cecilio — E si riaprirà solamente per imprigionarmi di nuovo. (Ritorna al centro, seguito da)

luciano — Non vorrà... Cioè! Non vorrai mica farmi credere che stavi chiuso là dentro?

cecilio — Purtroppo sì.

luciano — Da quando?

cecilio — Lasciami fare il conto. (Conta sulle dita di una ma­no) Dal 1600, ovvero da ... (dice il numero degli anni tra­scorsi sino a quello in cui viene recitata la commedia) anni.

luciano — Impossibile!

cecilio — Lo direi anch'io. Eppure è la verità.

luciano— (lo fissa un momento, poi sbotta) Ma va là!... D'altronde nel '600 gli uomini non erano vestiti così (indica Cecilio).

cecilio — Hai ragione. (Ride) Avevano i capelli lunghi, e an­che le loro divise militari erano piene di trine e pizzi. E sulla testa... puah! Portavano un cappello di feltro, ornato di piu­me di struzzo e inclinato sull'orecchio destro. Sembravano tutti donne! (Ride).

luciano — (ironico) Tu, invece, con un paio di lenzuola e un paio di sandali da spiaggia...

cecilio — (interrompe, orgoglioso e superbo) To-ga! To-ga. Questa è la semplice ma nobile e pratica toga dei miei tempi.

luciano — Dei tuoi tempi?!?...

cecilio — (annuisce) Proprio!... E se taci, o Luciano Marani, ti racconto brevemente la mia fantastica e tragica storia.

luciano — In pochi minuti ne hai già dette tante che... una più, una meno... dài, ti ascolto.

cecilio — Sono nato a Roma nell'anno 40 dopo Cristo. A vent'anni diventai cristiano, e a ventiquattro tentai di ammaz­zare Nerone.

luciano — (ironico) Eri impazzito?

cecilio — No, pòstero ignorante di storia!... Era l'anno 64, e quell'imperatore criminale, nonché matto da legare, dopo aver incendiato Roma incolpava i cristiani della distruzione della città. Ebbene per impedirgli di continuare a dare in pa­sto alle belve del Circo tanti innocenti, decisi di pugnalarlo. Al petto, naturalmente, perché non sono un vigliacco. Pur­troppo Aureliano, un legionario sua guardia del corpo, mi fermò il braccio, e...

luciano — (continua tempestivamente) ...pugnalò te.

cecilio — Sarebbe stato meglio. Invece Nerone gli ordinò di risparmiarmi, e da un mago diavolo amico suo mi fece «in­cantare».

luciano — Come sarebbe a dire?

cecilio — Sarebbe a dire che con certe formule magiche sono stato condannato a... non morire per cento secoli.

luciano — (sorpreso) Tu, insomma, vivrai sino all'anno die­cimila?

cecilio — (annuisce tristemente) ...con casuali «risvegli» pro­vocati dalle... suocere.

luciano — (c.s.) Forse non ho capito bene. Hai detto «suocere»?

cecilio — (c.s.) ...giacché Nerone, chissà perché, odiava le suo­cere vedove. Allora, quando una «suocera-vedova» s'avvi­cina al luogo dove sono sepolto, mi risveglio. (Luciano, istintivamente e molto sorpreso, guarda verso sinistra e l'alto, mentre Cecilio si guarda intorno) Dove sta la «suocera-vedova»? (Luciano, sconcertato, indica verso sinistra e l'al­to) È tua?

luciano — Lo sarà. Ma che c'entra una «suocera-vedova» con te?

cecilio — Eccome che c'entra! Perché quando mi chiederà di sposarla io mi... diciamo «riaddormenterò» di là (indica verso il fondo), oppure in altro luogo.

luciano — Questa volta non corri alcun pericolo. La mia futu­ra suocera vuole già sposare il commendator Alberto Zardi, qui (indica come prima) con noi.

cecilio — Spero che sia come tu dici. Ma io ho paura, poiché le altre due volte che sono stato... diciamo «risvegliato»... che guaio! Nell'anno 530, per esempio, nella Roma del grande Giustiniano che salvò il decadente Impero... E poi nel 1600, allorché l'Italia era soggetta al predominio della Spagna, la vicinanza di due «suocere-vedove», prima mi «risvegliò», e poi mi «riaddormentò» sino ad oggi.

luciano — (sorride) Le suocere, insomma, ti... «ibernano».

cecilio — Che significa?

luciano — Ti fanno cadere in letargo, cioè piombare in un son­no lungo e profondo.

cecilio — Proprio, Luciano!

luciano — Tu, però, malgrado i due «risvegli» negli anni 530 e 1600, sei ancora vestito da romano?

cecilio — (annuisce) ...infatti in un modo o nell'altro, comun­que per l'incanto di cui sono vittima, quando s'avvicina il «pericolo-suocera», sento imperioso il desiderio di riprendere la mia toga.

luciano — Quindi, se nessuna suocera ti chiederà di sposarla, tu vivrai sino all'anno diecimila?

cecilio — (allarga le braccia, rassegnato) Eh già.

luciano — (sorride, ironico) Da buon romano, ossia italiano... t'arrangerai. Ma come sei finito oltre quella porta al fondo del corridoio (indica al fondo), che nessuno riusciva ad aprire?

cecilio — (si stringe nelle spalle) Mah!... «Incantamento», al pari di quello che mi fa parlare come parla la gente che vive negli anni in cui mi «sveglio».

luciano — Pazzesco!...

cecilio — No no... Del resto è inutile, e sciocco, volersi spiegare questo o quello del mio passato o del mio futuro. Le «ma­gie» si accettano o si rifiutano così, in blocco. Mai a metà, o addirittura in parte.

luciano — (lo guarda un momento, poi sorride) Potessi alme­no esporti in un baraccone da fiera. (Come se leggesse l'insegna) «Colui che tentò di ammazzare Nerone». Guadagne-rei quanto basta per togliermi dai pasticci. Invece... Chi ci crederebbe? (Alza le spalle) Beh... Per non farmi perdere l'occasione di vendere questa (indica intorno a sé) bicocca al com­mendatore, vieni (indica a destra) con me. Ti metterai ad­dosso roba mia.

cecilio — Io preferisco...

luciano — (interrompe bruscamente) Niente!... Tu devi fare ciò che ti dico e stare zitto il più possibile. Altrimenti mi co­stringerai a farti ricoverare in qualche posto dove troverai altri personaggi storici, come dei Napoleoni, re, regine, e ma­gari anche dei Neroni.

cecilio — (sorpreso) È ancora vivo l'incendiario?

luciano — (sorride) In qualche clinica per la cura delle malat­tie nervose, forse, sì. (Cecilio fa l'atto di domandare qual­cosa) No!... Più tardi risponderò a qualsiasi tua domanda. Per ora... alé! (Spinge verso destra Cecilio, il quale fa l'atto di parlare) Ssst!... Senza fiatare. (Lo spinge fuori a destra, e lo segue).

serafino — (dall'esterno, a sinistra) Da questa parte, signorina.

simona — (entra da sinistra e si volta indietro) Ma qui non c'è nessuno.

serafino — (entra da sinistra) Curioso... Mi era sembrato di sentirlo parlare.

simona — Perché?... Oltre a lei, Luciano, e noi tre ospiti, c'è qualcun altro in questa casa?

serafino — Non direi. A meno che... (tace).      

simona — A meno che... cosa?                              

serafino — A meno che sia venuta Cesira.

simona — (sospettosa) Chi è?

serafino — Mia moglie.

alberto — (entra da sinistra) Anche dalle finestre del piano di sopra c'è una vista magnifica. (A Simona) La mamma non è ancora scesa?

simona — No, commendatore.

alberto — Senti, Simona... (e tace, perché imbarazzato dalle presenza di Serafino, al quale si rivolge) Se lei, qui, non ha altro da fare...

serafino — Vado via subito (s'avvia a sinistra).

simona — No. (Serafino si ferma) Piuttosto avverta il signor Luciano che io, noi, siamo qui.

serafino — Sì, signorina (esce a destra).

alberto — Volevo dirti, cara Simona, che mi farebbe un im­menso piacere sentirmi trattare col «tu», e chiamare — se non «papà», giacché sarebbe pretendere troppo — almeno «Alberto». Tu hai già affettuosamente approvato che io sposi al più presto tua madre. Quindi...

simona — (sorride affettuosa e lo abbraccia) Certo, carissimo Alberto!

alberto — Grazie. D'altronde tu, per me, sarai per sempre la più meravigliosa delle figlie.

simona — Lo spero.

alberto — E per cominciare ti dico che mi rallegra il cuore il tuo fidanzamento con Luciano. E sarò lieto di comprargli questa casa al prezzo che stabilirà, perché ho capito che il denaro gli sarà utile sia per mettere in sesto i suoi affari, sia per sposare te.

simona — (sorpresa) Allora non la compri per accontentare la mamma?

alberto — Anche, se è vero che le piace così tanto. Ma sospet­to che pure lei voglia aiutare Luciano e, di conseguenza, te.

simona — E bravi tutt'e due!

luciano — (entra da destra, in tempo per udire l'esclamazione di Simona) Chi sono i due bravi?

simona — La mamma e Alberto.

luciano — Bene bene... (imbarazzato) Io, al contrario...

simona — (pronta, scherza) Sei cattivo?

luciano — Spero di no. Ma... ho una novità.

alberto — (esageratamente preoccupato, quindi teatralmente ironico) Non mi dica che non vuole più vendere.

luciano — S'immagini, commendatore. Voglio solo dire che, con noi, c'è un altro ospite.

simona — Bene. Chi è?

luciano — Mio... Mio cugino.

simona — Non me ne hai mai parlato.

luciano — Viene... Vive... Era... all'estero!

alberto — Dove?

luciano — A Roma. (Sorpresa dei due) Cioè! Vive... Viene da Roma, dove è arrivato in aereo. Era emigrato in... in Ame­rica.

simona — Stati Uniti?

luciano — (sconcertato) Sì. No. Credo. Un po' lì, un po' là.

alberto — Quando ce lo presenta?

luciano — (disorientato, balbetta) An-an... An-anche subito. (Rivolto a destra) Serafino!... Accompagna qui l'ospite. (Tut­ti guardano a destra, in attesa).

serafino — (dopo un momento entra da destra e si rivolge al­l'esterno) S'accomodi, signore.

cecilio — (entra da destra, vestito con abiti attuali, normali. Evidentemente gli dà molto fastidio la cravatta, poiché si pas­sa sovente un dito nel colletto e storce il capo, facendo smorfie di disgusto).

luciano — Permettete che vi presenti... Pure a te, Serafino... Vi presento mio cugino Cecilio.

cecilio — (aggiunge con orgoglio) ...Tullio Ponziano. (E fa­cendo un nobile gesto semicircolare con la mano destra, s'in­china profondamente dinanzi a Simona) Servo suo.

simona — (piacevolmente sorpresa e lusingata, sorride e lo imi­ta) Serva sua.

alberto — (divertito) Ma è roba del '600!

cecilio — (annuisce) Appunto. L'ho imparato proprio allora, quando...

luciano — (interviene per interromperlo, e presenta) La signo­rina Simona Fiordelli, il commendator Alberto Zardi, e Se­rafino.

alberto — (tende cordialmente la mano verso Cecilio) Molto piacere.

cecilio — (gli guarda la mano tesa, poi sulla stessa gli dà un ceffone, dicendo) Se è un gesto di sfida, manca il guanto!

alberto — (confuso, massaggiandosi la mano colpita) Che ti­po originale!...

serafino — (ride) Originalissimo! (Ed esce a sinistra).

alberto — Ha detto che si chiama Cecilio Tullio Ponziano?

cecilio — Sì!... Appartengo ai Ponziano, gloriosa stirpe dai tem­pi dell'imperatore Ottaviano Augusto.

alberto — Congratulazioni. (Agli altri) Anch'io, un giorno o l'altro, farò effettuare profonde e ampie ricerche sulla ge­nealogia degli Zardi.

cecilio — (sprezzante) Mai sentiti nominare.

simona — Lo credo! Lei viene da lontano.

cecilio — Esatto, fanciulla. Vengo da circa duemila anni fa.

luciano — (ai due che lo guardano stupiti, con aria interrogativa) Non fateci caso. Lui (indica Cecilio) è fatto così. Sono certo che quando lo conoscerete meglio vi piacerà.

simona — A me piace già.

cecilio — Ahi, ahi... (diffidente, preoccupato, si rivolge a Luciano indicando Simona) È la «suocera-vedova»?

luciano — No. È la mia fidanzata.

cecilio — Quella che sposerai? (Luciano annuisce) Allora la suo­cera è sua madre.

luciano — (sorride, per alleggerire la situazione) «Sarà»... «sa­rà» mia suocera.

cecilio — Suocera si nasce! E io, le suocere, le sento arrivare da lontano. (Un attimo, poi sussulta e indica verso sinistra) Ecco la tua!

carolina — (entra da sinistra e avanza sorridente. Però, appe­na il suo sguardo si posa su Cecilio, si ferma e diventa seria, emozionata, incantata).

cecilio — (molto preoccupato, arretra di un passo).

simona — (nota l'espressione di Carolina) Mamma... Cos'hai?

carolina — (imbambolata) Nu-nu... Nu-nulla.

alberto — (premuroso, fa l'atto di avvicinare a sé Carolina, passandole un braccio sulle spalle) Non ti senti bene, cara?

carolina — (allontana Alberto con un gesto brusco e, sempre imbambolata, indica Cecilio) Chi è il signore?

simona — Il cugino di Luciano.

carolina — (sussulta, sempre più emozionata) Ah!... Bene be­ne... (Rivolta a Cecilio) Conoscerla mi fa tanto piacere.

cecilio — A me fa tanta paura. (Sulla sorpresa di tutti, a Luciano) Da quale parte si va fuori? (Luciano gli indica a sini­stra) Vado a respirare un po' d'aria pura. E vi assicuro che ne ho molto bisogno. (S'avvia a sinistra).

carolina — L'accompagno (fa l'atto di seguirlo).

cecilio — (si ferma, si volta di scatto e urla furibondo) No! (Agli altri, indicando Carolina) Gettatela nella fossa dei leoni! (Quindi esce in fretta a sinistra, mentre sul disorientamento di tutti si chiude il sipario).


ATTO SECONDO

L'indomani mattina dei fatti accaduti nel primo atto.

serafino — (è in scena all'apertura del sipario. Sta spolveran­do i mobili).

carolina — (dopo un momento, fa capolino dalla porta di si­nistra e in direzione di Serafino, il quale non la vede perché è girato dalla parte opposta, fa) Psst-psst. (Serafino non si volta) Psst-psst. (Serafino si ferma e guarda verso l'alto, senza voltarsi) Psst-psst.

serafino — (borbotta) Piove?

carolina — (sottovoce, avvicinandosi in punta di piedi a Sera­fino) Sono io.

serafino — (sussulta di terrore e si gira, ansante) Per carità, signora, non mi spaventi così, che mi fa venire il verme soli­tario.

carolina — Non dica sciocchezze.

serafino — Altro che sciocchezze!... A me, sin da bambino, gli spaventi fanno venire il verme solitario.

carolina — Abbia pazienza, e mi dica... (indica a destra) È già sceso?

serafino — Il signor Luciano...

carolina — (interrompe, ansiosa) No. L'altro! Il signor Cecilio.

serafino — Stavo appunto dicendole che il signor Luciano non l'ho ancora visto; e il cugino, signor Cecilio... neppure.

carolina — Allora faccia la cortesia di avvisarmi appena scen­derà il signor Cecilio. Però... a lui non dica che mi ha avvi­sata. Voglio fargli una sorpresa, capisce?

serafino — (ironico) Euh!

carolina — Grazie. Lei è molto gentile.

serafino — E lei è molto coraggiosa.

carolina — Perché?

serafino — Non teme che il signor Cecilio dia di nuovo l'ordi­ne di gettarla nella fossa dei leoni?

carolina — (sorride, convinta di quanto dice) Scherza... De­v'essere un tipo che gli piace molto scherzare... Simpaticis­simo!... E mi raccomando d'avvertirmi appena lui... (con un sorriso malizioso indica a destra. Poi) A presto (ed esce a sinistra).

serafino — (fa una smorfia ironica verso sinistra, e sospira) Mah!... Povera scema... (e riprende a spolverare i mobili).

luciano — (entra da destra) Buondì.

serafino — Anche a te. Di là (indica a destra), al piano terreno in camera da pranzo, è pronta la colazione.

luciano — Bravo. (Indica verso sinistra) Hai già visto qualcuno?

serafino — Sì... La matta.

luciano — Chi sarebbe?

serafino — «È»... «È», non «sarebbe». Purtroppo la tua fu­tura suocera.

luciano — Cosa ti fa sospettare che sia?... (si batte un indice sulla fronte).

serafino — (ironico) Già... Tu hai occhi e orecchie solo per la figlia. Quindi t'è sfuggito che da ieri pomeriggio la madre 's'è attaccata a quel tale (indica a destra) che hai presentato come «cugino». Ma io so che tu non hai cugini, né altri pa­renti.

luciano — (mogio) Hai ragione.

serafino — Dunque, considerato che in un certo senso devo pure servirlo, per favore dimmi... Oltre che pazzo, cos'è? O me­glio: chi è?

luciano — Anzitutto non è pazzo.

serafino — Come no?... Ieri sera, in camera sua, ha spaccato con una pietra tutte le lampadine del lampadario, urlando che non voleva avere «stelle» in casa. Le lampadine, per lui, sono stelle!... Poi pretendeva che gli portassi delle candele; e per giunta in un candelabro! (Luciano sorride e annuisce) Ah!... Tu ridi e approvi?

luciano — No, ma nel suo comportamento non c'è nulla di ec­cezionale, perché quello che tu credi pazzo, è uscito...

serafino — (continua tempestivamente, ironico) ...dal mani­comio!

luciano — (scrolla negativamente il capo, prende per un brac­cio Serafino, lo conduce al fondo e gli indica verso destra) È uscito da quella porta.

serafino — Impossibile!... Nessuno è mai stato capace di aprirla.

luciano — Per lui s'è aperta da sola.

serafino — (incredulo e ironico) Sì... E io sono il re del Paraguay.

luciano — Lo capisco che sembra una favola, ma per ora li prego di credere a quanto ho detto. Più tardi, a quattr'occhi, fuori di qui, ti spiegherò ogni cosa.

serafino — Dimmi solo se è veramente tuo cugino.

luciano — (sorride) Non può esserlo, perché lui è nato circa duemila anni fa. (Serafino, sconcertato, apre le braccia e ri­mane imbambolato) Proprio così, Serafino. Ma non dirlo a nessuno. Neanche a Cesira.

serafino — (ebete) No no... Sto zitto. (E stralunato s'avvia a sinistra, borbottando) Altrimenti diranno che anch'io sono matto!... (Esce a sinistra, scontrandosi sulla porta con)

alberto — (che entra e si volta indignato, poiché Serafino né gli chiede scusa, né lo saluta) Maleducato!...

luciano — Abbia pazienza, commendatore. Forse Serafino non l'ha vista.

alberto — Accidenti !... Per poco non mi scaraventava per ter­ra. Altro che non vedermi!

luciano — Le chiedo scusa per lui.

alberto — (nervoso e corrucciato) Non è il caso.

luciano — Ha riposato bene?

alberto — Non ho chiuso occhio.

luciano — Eppure di notte, qui, si sentono solo i grilli.

alberto — (amaro, indica il proprio petto) Il «rumore» che mi ha tenuto sveglio era qui dentro.

luciano — Non ha digerito?

alberto — Perfettamente, ma... (indica c.s.) Sono angosciato, turbato... Anzi, sarà bene che le dica subito che molto pro­babilmente abbandonerò l'idea di comprare questa casa.

luciano — (allarmato) Perché, commendatore? Cos'è accaduto?

alberto — Nulla... e tanto.

luciano — La prego di spiegarsi.

alberto — A prescindere che l'avrei acquistata solo per accon­tentare la signora Carolina che dovrebbe diventare mia mo­glie, ha notato come la sua futura suocera mi tratta da ieri pomeriggio?

luciano — (ipocrita, evasivo) Veramente... no. Non direi che il comportamento della signora nei suoi confronti sia mutato.

alberto — Sì, invece! È cambiato. E sa da quando?

luciano — (c.s.) No. Non lo so, giacché...

alberto — (interrompe) Glielo dico io. (Scandisce, arrabbiatissimo) Da quando ha visto quel suo cugino scemo. (Luciano fa l'atto di obiettare) Sì! Sì! È scemo, eccome! Pensi che ieri sera, a cena, mi ha domandato se Genova, che lui chia­ma Repubblica, batterà la Toscana, che lui chiama Grandu­cato. Come se fossimo nell'anno 1600, quando l'Italia era a pezzettini. Naturalmente gli ho risposto che, al massimo, si battono le squadre di calcio delle diverse città. Ma sono certo che non ha capito niente!

simona — (entra da sinistra, allegra) Buongiorno a tutti!

alberto — (secco) Buongiorno.

luciano — (bacia Simona sopra una guancia) Ciao, cara.

alberto — La mamma... già alzata?

simona — Non credo, perché non l'ho ancora sentita muoversi.

alberto — (maligno) Io, al contrario, l'ho già sentita muover­si... in punta di piedi. Direi che è già addirittura scesa qui.

luciano — Io non l'ho veduta.

alberto — (c.s.) L'avrà veduta qualcun altro, forse.

simona — (colpita dai toni di Alberto) Alberto...

alberto — Sì?...                                                    

simona — C'è qualcosa che non va?                             

alberto — (ironico) Per carità!... Tutto bene, va! Benone! (A Luciano) Dove si fa colazione?                             

luciano — (indica a destra) Di qua.

alberto — Mi fate compagnia?

simona — Con piacere. Vero, Luciano?

luciano — Certamente. (Indica a destra) Prego.

simona — (esce a destra, seguita da Alberto e da Luciano).

serafino — (fa capolino dalla porta di sinistra, poi entra di mez­zo passo e si rivolge verso l'esterno) Strano. Un momento fa, era qua. Comunque, s'accomodi. (Cede il passo a)

maurizio — (che entra. Tipo di qualsiasi età superiore ai vent'anni, piuttosto deciso, prepotente, antipatico) Vada a chia­marlo. Subito!

serafino — Tenga presente, signore, che ha tre... Anzi, quat­tro ospiti.

maurizio — Meglio!... Così tre... Anzi, quattro persone oltre lei, scopriranno con chi hanno a che fare.

serafino — Scusi, signore, ma non capisco che cosa Luciano Marani...

maurizio — (interrompe) Non ha importanza che lei non capi­sca. Faccia quanto le ho detto. Lo chiami. E subito!

serafino — Chi devo dire che lo vuole?

maurizio — Maurizio Giordani. (Ironico) Se lo vedrà tremare non si stupisca. E lo consigli di nemmeno tentare una fuga. Chiaro? (Serafino, rassegnato, annuisce. Maurizio indica l'apparecchio telefonico) Funziona?

serafino — Certo, signore.

maurizio — Bene. (Afferra il ricevitore e compone un numero, mentre dice a Serafino) Sveglia, amico! (e)

cecilio — (entra da destra, in tempo per sentire)

maurizio — (il quale continua a dire ironicamente a Serafino) Corra a pescarmi il signor Luciano Marani. «Signore» per modo di dire, quel farabutto. Ma appena le dirà il mio no­me, le ripeto che tremerà. Eccome tremerà! (Volta le spalle a destra e dice al telefono) Pronto, Gianni, sono io. (E con­tinua a parlare sottovoce, a soggetto, mentre)

cecilio — (con chiari gesti ordina a Serafino di non andare a destra, e di uscire a sinistra, perché a Maurizio penserà lui. Serafino esita, ma poi obbedisce a un gesto perentorio di Ce­cilio ed esce in punta di piedi a sinistra, non visto da Mauri­zio. Cecilio s'avvicina alle spalle di Maurizio, poi gli strap­pa il ricevitore di mano, urlando) Pazzo da legare!

maurizio — Ehi!... Cosa le prende?

cecilio — Sei pazzo, sì! Perché parli a questa roba (indica il ricevitore che tiene in mano).

maurizio — Macché «roba»!... È un telefono. Stavo parlando con un amico.

cecilio — (si guarda intorno) Dove sta, il tuo amico?

maurizio — (indica il ricevitore) Lì.

cecilio — (gira e rigira il ricevitore fra le mani) Io non lo vedo.

maurizio — Lo porti all'orecchio.

cecilio — (appoggia all'orecchio la parte opposta del ricevito­re, cioè il microfono).

maurizio — (indica il ricevitore) Lo capovolga, diamine!

cecilio — (allontana il ricevitore dall'orecchio e lo guarda) De­vo girare il tuo amico a testa in giù?

maurizio — (spazientito, afferra il ricevitore, lo capovolge e lo appoggia all'orecchio di Cecilio, lasciando che lo tenga lui, e dicendo) Ma lei viene dall'altro mondo?

cecilio — Quasi. (Quindi si stupisce di sentire qualcuno che par­la nel ricevitore, e urla) Chi parla? Dove sei? (Allontana il ricevitore, dicendogli) Esci fuori, se hai coraggio!

maurizio — Oh, insomma!... (gli prende il ricevitore e parla al telefono) Gianni... È un pazzo che dice che il pazzo... sono io!... Sì sì, da un momento all'altro parlo a Marani... Ti ri­chiamo io (posa il ricevitore sull'apparecchio).

cecilio — (si precipita a girare a rigirare fra le mani l'apparecchio, urlandogli) Nascosto ti sei, ma ti farò uscire! (Fa l'at­to di scaraventare per terra l'apparecchio, ma)

maurizio — (gli afferra il braccio) No! Lo spacca. (Gli toglie di mano l'apparecchio e lo posa sul tavolo) È solo un te-lefono.              

cecilio — Che significa?

maurizio — (sorride) Suvvia, non mi prenda in giro. Vorrà mi­ca dirmi che non ha mai visto un apparecchio telefonico? (Lo indica).

cecilio — Mai visto. (Distende il braccio, so/enne) Lo giuro.

maurizio — Scusi, ma... scherzi a parte... lei da dove arriva?

cecilio — (spontaneo) Dal palazzo di Nerone.

maurizio — «Nerone»... chi?

cecilio — L'imperatore, diamine! Quello che ha incendiato Ro­ma. Sei ignorante, eh?...

maurizio — Come si permette di insultarmi e di darmi del «tu»? Lei non sa chi sono io!

cecilio — È vero. Non lo so, ma non me ne importa niente.

maurizio — Beh... Mi dica almeno chi è lei, e in quali rapporti è con Luciano Marani, il padrone di casa.

cecilio — Suo cugino, sono! E me ne vanto!

maurizio — (ironico) Contento lei... Bene bene... (Pronto a co­gliere l'occasione) Lei cosa fa di bello?

cecilio — Nulla.

maurizio — Vive di rendita?

cecilio — (superbo) Sono mie tante terre intorno a Roma.

maurizio — Allora dispone di una certa ricchezza.

cecilio — Senza dubbio. Potrei comprare mezza Roma.

maurizio — (favorevolmente impressionato) Accidenti!... E... mi dica: come passa il tempo.

cecilio — Cavalcando.

maurizio — Dove?

cecilio — Attraverso i secoli.

maurizio — Non capisco, ma... Immagino che lei potrà aiutare il cugino a pagarmi il suo debito.

cecilio — (annuisce) ...con piacere.

maurizio — (soddisfatto) Evviva!

cecilio — Mio cugino Luciano Marani quanti sesterzi ti deve?

maurizio — Sesterzi?!?... (Cecilio annuisce) Lire! Li-re! Mi deve cento milioni di lire.

cecilio — (sorpreso) Vorresti affermare che mio cugino ti è de­bitore di cento milioni di «lire», ossia di cento milioni di «strumenti musicali a corde», come quelli che suonava Nerone?

maurizio — (infastidito) E dàgli con Nerone!... Comunque, se dobbiamo proprio darci del «tu», dico che tuo cugino mi deve restituire i cento milioni di denaro contante che gli ho imprestato per certi affari che gli sono andati male.

cecilio — Quale prova hai, per pretendere la restituzione?

maurizio — (estrae di tasca un foglio di carta che distende e fa vedere a Cecilio) Questa. Un contratto in piena regola.

cecilio — (gli prende il foglio e lo strappa in diverse parti) Ades­so non ce l'hai più!

maurizio — (indignato e arrabbiatissimo, gli toglie di mano i pezzetti di carta) Ehi!... In galera!... Te e tuo cugino... tutti in galera vi voglio vedere. Per fortuna questo... (indica i pez-zetti di carta) ...era solo una fotocopia.

cecilio — Cos'era «solo»?...

maurizio — Una fotocopia. Cioè un pezzo di carta senza valo­re, perché quello che vale, ossia l'originale, è depositato pres­so un notaio. Questo... (lo strappa ancora) Ecco!... È appe­na una manciata di... (scaraventa in aria i pezzettini di car­ta) ...coriandoli!

simona — (entra da destra in tempo per vedere i pezzettini di carta volare in aria. È seguita da Alberto e da Luciano) Al­legria!... È Carnevale!

luciano — (vede Maurizio: si sorprende e si preoccupa) Gior­dani!... Che fai, qui?

maurizio — (indica i pezzettini di carta, ironico) Carnevale. Co­me ha detto la signorina. Però ho tanta urgenza di parlarti a quattrocchi, se i signori permettono.

alberto — (a Simona) Andiamo a fare due passi?

luciano — No, commendatore. Usciamo noi. (A Maurizio, in­dicando a sinistra) Prego.

maurizio — (agli altri) Scusino il disturbo. (Ed esce a sinistra. Luciano lo segue, ma)

cecilio — (lo ferma, afferrandolo per un braccio, e gli sussur­ra) Vuoi che ti aiuti a ucciderlo?

luciano — Per carità!... (Agli altri) Con permesso (ed esce a sinistra).

cecilio — (impreca) Se quello lasciasse fare a me!...

alberto — (estrae di tasca un pacchetto di sigarette, e fa l'atto di offrire a Simona, poi rinuncia) Ah, no. Tu non fumi, vero?

simona — Per fortuna, no.

alberto — (offre a Cecilio) Vuole?

cecilio — (guarda un momento la mano tesa di Alberto, poi gli prende l'intero pacchetto di sigarette) Grazie. (Esamina il pacchetto) Cos'è?

alberto — (stupito) Un pacchetto di sigarette, diamine!

cecilio — (strappa tutta la parte superiore del pacchetto e versa alcune sigarette nel palmo della mano) Cos'è, questa ro­ba? Si mangia?

simona — (divertita e sorridente, come sarà sino alla fine della scena) Nooo... Sono sigarette.

alberto — (ironico) Non ne ha mai viste?

cecilio — Proprio!... Non ne ho mai viste.       

simona — Spiritoso e simpatico!...

cecilio — A che cosa servono, se non si mangiano?

alberto — (sarcastico) A fumare! (Gli prende il pacchetto e le sigarette sciolte: ne mette una fra le labbra e le rimanenti in tasca).

cecilio — Tu, però, ne mangi una.

alberto — (sbotta) La fumo! (Estrae di tasca un accendisigari e lo accende).

cecilio — (glielo strappa di mano, urlando) Fuoco del diavo­lo! (Lo guarda, e l'accendino — ovviamente — si è spento) Dove s'è nascosta la fiamma?

simona — Dentro, s'è «nascosta» (Gli prende l'accendino e lo accende di nuovo).

cecilio — (stupitissimo, s'avvicina con cautela a guardare la fiamma) Se questa diavoleria l'avesse avuta Nerone, avreb­be incendiato tutto l'Impero, altro che Roma!

alberto — Io, invece... (accende la sigaretta con l'accendino tenuto acceso da Simona) Grazie. (Riceve l'accendino e lo intasca, espellendo una boccata di fumo).

cecilio — (indica la bocca di Alberto) Ti sei incendiato!... In­cosciente!

simona — Sempre più simpatico e spiritoso!...

alberto — (guarda l'ora, poi si rivolge a Simona, nervoso) Tua madre non si fa viva, eh?...

simona — Vado a chiamarla.

alberto — No. Non è il caso. Del resto, in campagna si dorme come ghiri... (amaro) ...chi può. Usciamo?

simona — Perché no? (A Cecilio) Viene con noi?

cecilio — No.

alberto — Allora, per favore, se dovesse vedere la signora Ca­rolina...

cecilio — (continua tempestivamente) ...io scappo!

simona — (sorride) Teme che mia madre le porti rancore per quella «fossa dei leoni» in cui ha «ordinato» di gettarla ieri pomeriggio?...

cecilio — (con la massima semplicità) Temo che mi portino ran­core i leoni, per non averla gettata.

simona — (ride) Buona, questa!

alberto — Ma di cattivo gusto.

simona — (a Cecilio) Dica la verità... Mia madre le è antipatica?

cecilio — (evasivo) No... No no... Ma... Così (volta le spalle ai due).

alberto — (batte un indice sulla fronte, come per dire: «Quel­lo è matto»! Andiamo, Simona.

simona — Sì. (A Cecilio) A presto. (Esce a sinistra, seguita da Alberto, il quale s'incrocia sulla porta con)

serafino — (che entra; con un'occhiata si accerta che Cecilio sia solo, poi sottovoce) Lei rimane qui un momento?

cecilio — (allarga le braccia e annuisce).

serafino — Quindi avverto subito una persona che vuole par­larle.

cecilio — Chi è?

serafino — Mi ha detto di non dirglielo, perché vuole farle una sorpresa.

cecilio — Ti ordino di dirlo!

serafino — E io disobbedisco, e non glielo dico.

cecilio — (lo afferra per il bavero e lo scuote, minaccioso) Ai miei tempi, se uno schiavo avesse osato comportarsi come te, l'avrebbero venduto per un tozzo di pane. Purtroppo, in questi vostri tempi... puah! (Lo spinge lontano e volge le spal­le a sinistra, dove)

carolina — (entra, con ridicolo atteggiamento infantile, bam-boleggiante) Cucù!

cecilio — (sussulta e si volta).

serafino — (a Cecilio) La persona è... (indica Carolina) ...la signora (ed esce a sinistra).

cecilio — Ahimè.

carolina — Forse lei, signore, dubita che io, donna sposata, mi comporti in un modo a dir poco riprovevole.

cecilio — Non dubito niente, io!

carolina — Comunque la informo che mio marito è mancato diversi anni fa. Quindi... Ha capito?

cecilio — Naturalmente. Però io non c'entro con la tua vedo­vanza.

carolina — (emozionata) Oh!... Mi dà del «tu». Grazie.

cecilio — E che dovrei darti?

carolina — Beh... Siccome ci conosciamo da così poco...

cecilio — (interrompe) Non ha importanza!... Si dà del «tu» anche agli imperatori.

carolina — Ha ragione. Fa tanto democrazia. Siamo tutti uguali.

cecilio — (ironico) ...anche se qualcuno vuole essere più ugua­le di altri.

carolina — (sorride) Ha ragione. E lei mi permette di usare anch'io il «tu»?

cecilio — Usa ciò che vuoi!... Ma lasciami in pace.

carolina — (esita un attimo, poi assume toni e gesti da donna eroica) Non posso.

cecilio — Chi te lo impedisce?

carolina — Me stessa.                             

cecilio — Prenditi a schiaffi!

carolina — (fa l'atto d'afferrare Cecilio per un braccio) Par­liamoci chiaro!

cecilio — (fa un balzo indietro) Sì, ma a due passi di distanza.

carolina — Credimi che è la prima volta in vita mia che ho il coraggio, l'audacia... Insomma, che oso dichiarare...

cecilio — (interrompe) Basta, che capisco a volo! Tant'è vero che ti domando: E quell'altro?... Quello che sento chiamare commendatore, dove lo metti?

carolina — Via!... Con la mia abituale correttezza e sincerità gli dico che... che ho cambiato idea.

cecilio — E poi?

carolina — Mi pare logico e naturale... (appassionata) ...Ce­cilio.

cecilio — A me no.

carolina — Continua.

cecilio — Cosa?

carolina — Il discorso. Devi dire: «A me no... Carolina». Chia­mami per nome, ti prego.

cecilio — (freddamente e in fretta) Carolina.

carolina — (implora) Più dolcemente.

cecilio — (comicamente dolce e balbettante) Ca-cà... Ca-cà... Ca-Carolina.

carolina — Così fai ridere. Con passione, per favore.

cecilio — (comicamente appassionato, cioè burbero-arrabbiato) Carolina!

carolina — In questo modo mi spaventi. Devi dire...

cecilio — (interrompe) No, eh?... Non facciamo i cretini!

carolina — (appassionata) Cecilio, sino dal primo istante in cui ti ho visto ho capito che io, con te, farei la cretina tutta la vita.

cecilio — Non è necessario. Come stai facendo la cretina ades­so ce n'è abbastanza, e d'avanzo, per secoli.

carolina — Eppure, Cecilio... Ecco! Ora ti faccio una doman­da precisa.

cecilio — (allarmato e all'erta, come sarà sino alla fine dell'at­to) No. Altrimenti finisce male.

carolina — Ma se non sai ancora cosa voglio chiederti.

cecilio — Lo immagino, e mi spaventa. Sì, perché tu sei una «suocera-vedova».

carolina — Certo.

cecilio — Ebbene, come quando sei arrivata qui mi hai «ride­stato», allorché mi farai la fatale domanda... patatrac!... Mi «riaddormento» per chissà quanti secoli.

carolina — Non ti capisco.

cecilio — Meglio.

carolina — Però non rinuncio a farti la domanda che mi arri­va alle labbra dal cuore.

cecilio — Me ne vado! (fa l'atto di lanciarsi a sinistra, ma)

carolina — (grida) Non basta, perché la urlerò tanto forte da farmi sentire anche lontano.

cecilio — (si ferma, sbuffa) Vuoi proprio rovinarmi.

carolina — Al contrario!... Voglio farti felice. Perciò ti chie­do di spos...

cecilio — (tempestivamente, le tappa la bocca con il palmo della mano destra, premendo con l'altra mano sulla nuca e dicen­dole) Taci, suocera!

(Contemporaneamente al gesto e alle parole di Cecilio, ossia in tempo per vedere e sentire, entrano da sinistra, nell'ordine:)

simona (che si spaventa) — alberto (che s'infuria) — luciano (che si preoccupa) — maurizio (che si diverte).

(Quindi s'avvicinano tutt'e quattro a Cecilio e Carolina, gri­dando insieme:)

simona — Mamma!

alberto — Delinquente!

luciano — Cecilio!

maurizio — Pazzo!

                       

(Mentre il sipario si chiude).


ATTO TERZO

  

Il pomeriggio del medesimo giorno in cui sono accaduti i fatti del secondo atto. In scena, all'aprirsi del sipario, non c'è alcuno.

luciano — (entra da sinistra con Alberto) Ecco, commendato­re... Ora che dell'individuo presentato come «mio cugino» le ho detto ogni cosa... Cioè in quale modo me lo sono trovato in casa, e tutto quanto mi ha raccontato lui, capirà il mio estremo imbarazzo nei confronti suoi, di Simona e del­la signora Carolina.

alberto — Sembra una favola.

luciano — Sì, perché delle favole ha pure «l'incantamento»; ma invece è la pura e paradossale realtà.

alberto — Quindi, se ho capito bene, quel tale ritornerà... di­ciamo «ibernato» nella sua specie di tomba (indica al fon­do), appena la «suocera-vedova» gli chiederà di sposarlo.

luciano — (annuisce) ...purtroppo. Il guaio è che lui, come ab­biamo visto stamane, impedisce con qualsiasi mezzo, maga­ri anche violento, che la signora faccia quella domanda.

alberto — Infatti per poco non l'ha soffocata. Eppure Caroli­na ha avuto il coraggio di dirmi, chiaro e tondo, che preferi­sce sposare quel pazzo e che mi devo rassegnare.

luciano — (preoccupato) No, commendatore! Non si rassegni. Piuttosto... mi aiuti a eliminare Cecilio.

alberto — (indignato) Signor Marani!... Mi propone di essere suo complice in un omicidio?

luciano — Per carità!... Però potremmo «collaborare» affin­ché avvenga il più presto possibile ciò che Cecilio teme.

alberto — (c.s.) E io dovrei «collaborare» perché la donna che desidero sposare chieda di sposare... un altro!... Mai!

luciano — Perché?... Non le propongo di compiere un'azione né abominevole, né degradante. Solo astuta. Per giunta fa­rebbe del bene anche alla signora Carolina, ridonandole la serenità dei sentimenti; e a Cecilio, rimandandolo nella pace dei secoli.

alberto — (soprappensiero) Astuzia, eh?... (Luciano annuisce. Alberto sorride) Il mio professore di filosofia diceva: «Voi non sapete quant'astuzia s'impara guardando come un'ape entra in un fiore, e come un ragno acchiappa una mosca». (Un momento di riflessione, poi deciso) Sì, d'accordo.

luciano — Bene.

alberto — (accenna un sorriso ironico) Ho capito, sa?

luciano — Che cosa, commendatore?

alberto — Che lei si agita per rimettere a posto la situazione, giacché fa molto affidamento sul mio acquisto di questa ca­sa che non mi piace affatto, ma... (allarga le braccia, rasse­gnato) ...per accontentare Carolina...

luciano — (annuisce) ...ha capito perfettamente. Comunque non ho mai avuto la minima intenzione di imbrogliarla. Al massimo mi farebbe comodo venderla a lei, poiché accette­rebbe... ovviamente solo per compiacere la signora... di pa­gare un prezzo che altri non pagherebbero.

alberto — (cordiale, batte una mano sulle spalle di Luciano) Grazie della sincerità. Ora la stimo di più, mio caro futuro genero. Dunque... procediamo insieme!

luciano — Okay!... E affinché non disturbi il nostro piano vor­rei tranquillizzare subito quel mio creditore che non mi mol­la più.

alberto — (annuisce, sorridente) ...avevo capito anche questo. Intanto io, per soddisfare alcune curiosità, parlerò volentie­ri con il «cugino» Cecilio.

luciano e alberto — (cordiali, si stringono la mano) D'accor­do! (mentre dall'esterno a destra si sente)

simona — (che dice) Ma Luciano e Alberto sono spariti?... (E entra da destra, seguita da Maurizio. Un attimo, poi entra­no anche Carolina e Cecilio: la prima non s'allontana mai dal secondo, il quale vorrebbe invece stare lontano dalla don­na. Il comportamento dei due mette in evidente imbarazzo Simona) Mamma!...

carolina — (trasognata) Sì?...

simona — Vieni con me fuori a prendere un po' di sole.

carolina — No.  Io...

simona — (la interrompe, prendendola per un braccio e trasci­nandola a sinistra) Sì, invece! (Agli altri) Con permesso. (Ca­rolina esce a sinistra, trascinata fuori da Simona, continuando a guardare e a sorridere a Cecilio, il quale le volta le spalle).

luciano — (a Maurizio) Devo parlarti!

maurizio — (sarcastico) Solamente?

luciano — Per ora, sì. Ma capirai che con l'aiuto del commen­datore (indica Alberto), al corrente di tutto, sistemerò la fac­cenda.

maurizio — Mi fa piacere. Andiamo pure. (Esce da sinistra, se­guito da Luciano).

alberto — (dopo un momento d'impaccio, si rivolge a Cecilio, il quale si è quasi rifugiato nella parte opposta della camera, voltandogli le spalle) Scusi, signore...

cecilio — (interrompe, voltandosi di scatto) So tutto! (Alberto lo guarda stupito) Sì!... So già che cosa vuoi dirmi. Cioè di lasciar perdere la tua donna che io, in verità, non vorrei ve­dere neppure da lontano.

alberto — (sorride) Le credo, signor Cecilio Tullio.

cecilio — Dammi del «tu», sennò m'arrabbio!

alberto — Ti credo, ripeto, perché Luciano mi ha spiegato chi sei, da dove vieni, per quale motivo ti trovi qui e che cosa temi.

cecilio — Quindi non ti stupirai se ti dico che, secondo me, una suocera può farti piangere o ridere, tremare o esultare, fug­gire o restare, perché la suocera è uno spettacolo... uno spet­tacolo chiamato suocera!

alberto — Dici bene, e capisco il tuo dramma. L'unica cosa che mi disorienta è sentirti parlare come se tu fossi un con­temporaneo.

cecilio — Fa parte dell'incantamento che ogni tanto mi «risve­glia». Però non ho dimenticato che... (da questo momento assume toni e gesti adatti alla solennità del suo discorso) ... di Seneca e Plauto fui discepolo ed il bel parlar da loro ap­presi. E così parlaron sempre di Roma i grandi: Cicerone, Licinio Crasso, Petronio il giovane. E lor voce corse pel mon­do di civiltà maestra, e ad essa si chinò riverente ogni popo­lo. Chi se' tu?... Se' tu persona viva?

alberto — (divertito) Sta a vedere che il morto sono io.

cecilio — Qual foggia di vestir è la tua?... Se' tu libero, schia­vo o mostro? Favella! Meschina forma umana, in cenci av­volta, del labbro non sei priva. Perché taci? Con queste maii, allora... (fa l'atto di prendere Alberto per il bavero).

alberto — (c.s., si ritrae) Ehi!... Andiamo piano.

cecilio — Alfin un suono uscì da quella bocca, e suon d'uma­na voce. Sei tu dunque un uomo?

alberto — (sorride) Così, almeno, ho sempre creduto.

cecilio — Infatti, sebben tue forme sìen sgraziate e rozze, e di vili cenci avvolte, rivelan pur forma umana. Ma di qual razza?

alberto — (c.s) La tua.

cecilio — Ma imbelle assai!

alberto — Eh no!... Ho fatto il militare.

cecilio — Tu guerrier?!?... (Ride) Oh, nooo... Anco il favellar ti è incolto. Niuna beltade infiora il tuo sembiante, né parmi che di saggezza molta sii fornito. L'iride smorta come di storiòn fradicio in te rivela anima stolta.

alberto — (sorride, ironico) Grazie del complimento!

cecilio — Nooo... Tu guerrier non fosti. Di me burla forse ti prendi. Bada!... Non uso io son di tollerar lo scherno! (La sua espressione minacciosa si trasforma in un sorriso) ...e così di seguito. Ti basta?

alberto — Sì, grazie.

cecilio — Ora che ti so tranquillo e sicuro che quella «suocera-vedova» non solo m'è indifferente, ma mi fa addirittura pau­ra, vai a cercarla e mandala qui. Le ordinerò di lasciarmi in pace.

alberto — Beh... Devi sapere che le donne d'oggigiorno non accettano mica d'essere comandate. Hanno i medesimi no­stri diritti. Quindi...

cecilio — (prosegue, arguto) ...bisogna trattarle con pruden­za, pazienza e... astuzia. (Alberto annuisce) Credi che sia una novità?... (Alberto allarga le braccia) No no... Anche ai miei tempi, duemila anni fa, le donne romane si facevano rispet­tare. Anzi, sono certo che la prima che non accettò un ordi­ne, ma pretese un sorriso, fu... Eva. Più che giusto!... L'im­portante, comunque, è che la suocera ripensi solamente a te.

serafino — (entra da sinistra, tenendo in mano una torcia elet­trica, ossia una lampada portatile alimentata a pila, spenta) Oh, mi scusino.

alberto — Venga, signor Serafino. (A Cecilio) Sono onorato d'averti conosciuto.

cecilio — Anch'io, veramente. Ora... vai vai.

alberto — (a Serafino) Ha visto dove sono andate la signora e la signorina?

serafino — Sì. Verso il mulino.

alberto — Le raggiungo (fa un cenno di saluto a Cecilio ed esce a sinistra).

serafino — (indica a destra, con la mano che tiene la pila) Va­do in cantina a vedere se...

cecilio — (interrompe, indicando la pila) Cos'è quella roba?

serafino — (gliela fa vedere) Una torcia.

cecilio — Anche noi usavamo le torce, ma erano fiaccole di funi ritorte e stoppa, impregnate di resina, sego o cera.

serafino — (sorride) Ma questa è una torcia... elettrica.

cecilio — Che vuol dire?

serafino — Vuoi dire che... che è elettrica.             

cecilio — Accendila!

serafino — (la punta contro il viso di Cecilio e l'accende) Ecco.

cecilio — (fa un balzo indietro) Vuoi scottarmi?

serafino — Ma no, signore. (Mette la pila accesa vicino alla

sua faccia) Non brucia.

cecilio — (s'avvicina, diffidente) Sul serio?

serafino — Eccome!

cecilio — (con prudenza allunga una mano per prendere la pi­la, poi Impaurito la ritrae, quindi riprova un paio di volte e finalmente la prende. Quindi la gira e la rigira, esaminan­dola con vivo interesse e rallegrandosi che non scotta) Bel­la... Magnifica... Stupenda... (La scuote per spegnerla e si sorprende che non si spenga) Come si spegne?

serafino — Facendo scattare questo (esegue).

cecilio — Perciò, per accenderla di nuovo... (fa scattare il pul­sante e la pila s'accende. Divertito, la spegne e l'accende di­verse volte. Infine la spegne e la nasconde dietro la schiena) Me la tengo!

serafino — (sorpreso) Ma signore, io...

cecilio — (interrompe) Lo dirò al tuo padrone!

serafino — Mi lasci almeno andare in cantina a vedere se...

cecilio — (c.s.) No! (Ed esce a destra, impettito, con la pila).

serafino — (indignato, sprezzante, borbotta) Pieno di boria... Chi crede d'essere, solo perché ha visto Nerone?

luciano — (entra da sinistra, con Maurizio, in tempo per sen­tire alcune parole di Serafino) Parli da solo?

serafino — No, ma... Quel «suo cugino» è un bell'originale, eh?...

luciano — Già... Ora dov'è?

serafino — (indica a destra) In camera sua.

luciano — Hai visto il commendatore?

serafino — Sì. È andato al mulino, a raggiungere le donne.

luciano — Sai che prima abbia parlato con mio... «cugino»?

serafino — Sì.

luciano — Ti pare che si siano dette parole... «forti»?

serafino — «Forti» in che senso?

luciano — Che abbiano litigato.

serafino — Al contrario!... Si sono lasciati facendosi i salame­lecchi. (Imita scherzosamente i toni usati da Alberto e Ceci­lio) Il commendatore: «Sono onorato di averti conosciuto»; l'altro: «Anch'io, veramente».

luciano — Bene. Vai pure.

serafino — (annuisce ed esce a sinistra).

Maurizio — Allora siamo d'accordo. È sufficiente che il com­mendatore garantisca che ti comprerà questa... catapecchia. Poi, considerata la sua prestigiosa posizione e la vostra pros­sima parentela, ti farò anche altri prestiti.

luciano — Grazie, ma non ne avrò bisogno.

simona — (entra da sinistra, tenendo in mano una radiolina) Oh, finalmente ti rivedo!

luciano — Scusami, Simona, ma... (indica Maurizio) ...si tratta di affari.

simona — Affari... «segreti»?

luciano — Non per te, alla quale ho sempre detto la verità, ov­vero che devo superare un momento difficile. Il commenda­tore era con te e la mamma?

simona — Sì. Li ho lasciati che passeggiavano sulla riva del fiume.

luciano — Lui (indica Maurizio) deve scambiare due parole con il commendatore. Vieni anche tu?

simona — Certo. (S'avvia verso sinistra, poi si ferma) Questa (indica la radiolina) la lascio qui (la posa sul tavolo, poi esce a sinistra, seguita da Maurizio e Luciano).

cecilio — (entra da destra vestito come lo era alla sua appari­zione nel primo atto, ovvero con la toga, eccetera, tenendo la pila in mano. Rassetta il proprio abbigliamento, borbot­tando) Questo sì che è un abito. Quei «tubi» sulle gambe, invece... Quella roba che ti strangola... Quell'altra che ti im­prigiona le braccia... Se è un frutto del progresso... abbasso il progresso! (Nota la radiolina sul tavolo. La prende e la ma­neggia, sino a quando fa inavvertitamente scattare l'inter­ruttore, e da essa esce la voce di un uomo. Allora Cecilio sus­sulta, spaventato, posa la radiolina sul tavolo, arretra e ur­la) Esci!... Esci, uomo... E se stai lì dentro sei così piccolo che ti schiaccerò con due dita!

carolina — (entra da sinistra in tempo per sentire Cecilio urla­re contro la radiolina. Sorride) Fantastico !... Solamente tu hai la forza di vincere... (Spegne la radiolina) ...il nulla.

Trucco teatrale: in quinta si tiene pronto un mangianastri o un apparecchio radioregistratore, nel quale c'è una nastro-cassetta su cui è stato precedentemente registrato un pezzo di «Giornale radio», o di qualsiasi altra voce maschile che racconta qualcosa. Al momento giusto si fa funzionare e si ferma, allorché in scena Cecilio e Carolina fingeranno di ac­cendere o spegnere la radiolina. Ora Carolina guarda Ceci­lio con viva ammirazione)

Meraviglioso... Superbo...

cecilio — Ascoltami, donna che fai tacere un uomo (indica la radiolina) quando ti pare...

carolina — (interrompe) No! Non dire altro e lasciati ammi­rare vestito così. (Gli gira intorno, con grave disagio di Ce­cilio, che teme d'essere toccato) Ho capito! Hai voluto tra­vestirti da cittadino della Roma imperiale, per apparirmi in tutta la tua maestosità, imponenza, grandiosità. (Gli si avvi­cina di fronte, di slancio) Cecilio!...

cecilio — (fa un balzo indietro) Ferma o sparisco!

carolina — (si ferma) Lasciati almeno guardare... Sei così bello...

cecilio — Guardami, ma non chiedere nulla.

carolina — Una sola cosa ti chiedo. Spo...

cecilio — (interrompe, urlando) Taci!... Proprio quello non devi chiedermi.

carolina — Perché?

simona — (entra da sinistra, seguita da Alberto, Luciano, Mau­rizio e Serafino) Abbiamo sentito urlare, e...

cecilio — (interrompe) Bravi!... Siete arrivati appena in tempo.

simona — Mamma... Luciano ci ha spiegato perché il signore (indica Cecilio) si trova qui. Ti prego di ascolt...

carolina — (interrompe) Tu, voi, dovete ascoltare me. (Since­ra, ad Alberto) M'addolora, Alberto, credimi, darti questo dolore, ma... È il destino, capisci?

alberto — (sereno, anche perché deve accadere ciò che gli fa piacere) Sì, cara. Lo so che è il destino che ti fa rivolgere una certa domanda a Cecilio.

carolina — (esaltata) Allora uditela tutti !            

cecilio — Fatela tacere!                                              

carolina — Cecilio, sposami!

cecilio — (come colpito da una mazzata sulla testa, barcolla, si passa una mano sulla fronte).

carolina — (smarrita, a Simona) Cosa ho detto di male?

simona — (stringendo a sé, di fianco, Carolina) Nulla, mam­ma. Quando saprai... comprenderai ogni cosa.

cecilio — (con toni e gesti solenni) Venti secoli son passati dai miei dì... Con essi passò Nerone, passaron i barbari, cadde­ro imperi, mutaron forma le nazioni, ma le «suocere-vedove» no! (Sospira) Pazienza. A voi la somma scienza svelò impenetrabili arcani. Per voi l'Olimpo intero d'ogni podestà spogliossi per rivestirvi, o ingrati. E io chino riverente al saper vostro il capo. (Breve pausa) Addio!... (s'avvia verso il fondo).

serafino — (sussurra) La mia pila...

cecilio — (si ferma, si gira, sorride, fa vedere la pila) La ten­go, per rischiarare i futuri secoli del mio sonno.

serafino — (ironico) Beh... La pubblicità dice che quelle batte­rie durano di più, ma addirittura dei secoli... (scrolla negati­vamente il capo).

cecilio — (s'avvia, e sulla soglia della porta di fondo si ferma, si volta e dice sorridendo, indicando chi nomina) Carolina sposerà Alberto, Luciano sposerà Simona, Maurizio avrà il denaro che gli spetta... State allegri, dunque, e... arrivederci.

tutti gli altri — A quando?

cecilio — Forse fra... (sorride, arguto) ...mille anni! (e scom­pare al fondo).

gli altri — (rimangono immobili a guardare verso il fondo).

luciano — (dopo un momento, quasi in punta di piedi, va al fondo e guarda verso destra. Poi si rivolge agli altri) La por­ta s'è richiusa. Addio, Cecilio Tullio Ponziano!...

serafino — E mi ha fregato la pila! (sul sorriso di tutti si chiu­de il sipario).

FINE DELLA COMMEDIA