Variazioni sulla quarta corda

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“VARIAZIONI SULLA QUARTA CORDA”

(Commedia in due tempi) di Samy FAYAD

PERSONAGGI:

FEDERICO

ANNALISA         (moglie di Federico)

L'AVVOCATO LO PESCE  (inquilino del piano di sopra)

ANASTASIA  (collega e amante di Federico, straniera del Montenegro)

    (nome Originale di Fayad: LOREDANA)

ROBERTO  (squattrinato avventuriero nobile, amante di Annalisa)

DONATELLA  (ex-amante di Federico)

inoltre: VOCE DI VENDITORE AMBULANTE

BARELLIERE

La scena: salotto arredato senza parsimonia. Sul fondo, un balcone al quale si accede da una porta-finestra. A sinistra, la porta che dà nel resto dell’appartamento e verso il proscenio, quella di un ripostiglio. A destra, una terza porta accanto alla quale c'è un tavolino con il telefono.

PRIMO TEMPO

Notte. Federico, sui quaranta anni, visibilmente agitato, tenta di aprire la porta di destra, imprimendo un frenetico movimento alla maniglia.

FEDERICO: Apri, Annalisa. Apri o sfondo la porta a calci! La tua è una ingiustificata manifestazione di panico. (Accanendosi sulla maniglia) Apri, perdio! (Desiste) E va bene, resta barricata. Sottraiti al civile confronto delle idee... (Va su e giù per la stanza) Sei una dura di cuore, Annalisa; ecco cosa sei. Duole dirlo, ma hai un cuore di pietra. (con espressione attonita) Dopo tutto, che cosa ti chiedo? Di ospitare la mia collega Anastasia Populovic, momentaneamente senza tetto, finché non avrà trovato una sistemazione. (Un tono più su) Tralascio ogni considerazione di ordine sociale, Annalisa, e ti ricordo che ospitare chi non ha un tetto sulla testa è un' opera di misericordia gradita a Santa Madre Chiesa: le conosci le opere di misericordia, hai studiato il catechismo, a messa ci vai ogni domenica... Coerenza. allora. co­-e-ren-za, signora mia! E se non ti sembro convincente io, chiedilo al tuo consigliere spirituale. (Breve pausa) Un'ospite in casa proprio adesso sarebbe d’impiccio, dici. Niente affatto: Anastasia è una giovane ammodo, tanto educatina, timida e discreta, che dove la metti sta. Quindi l’impiccio, se proprio impiccio può costituire un soprammobile animato, durerebbe sì e no tre giorni, tre: il primo luglio parti per il mare con i bambini e ritorni ai primi di settembre….beata te! (Gridando) L’impiccio tra i piedi, quindi, ce lo troverei solo io. E poi, vuoi che in due mesi quella non trovi un buco? Tu, il buco, ce l'hai... (indicando tutto intorno con un ampio movimento del braccio)... e direi che è piuttosto di lusso. Non negare allora a Anastasia Populovic il diritto di cercarne uno decoroso anche lei, senza che debba patire, sia pure per poco, l’umiliazione delle squallide camere ammobiliate. Magari l’aiuto io a cercarlo, in due si trova più presto. (Breve pausa) Dici: perché dobbiamo ospitarla noi e non uno dei miei colleghi dell’istituto? Semp1ice: solo noi abbiamo la casa con l’aria condizionata… e dal momento che si decide di usare una cortesia a qualcuno, con questo caldo torrido la si usa offrendo un minimo di conforto, perché non ci giudichi dei morti di fame che non possono permettersi un impianto refrigerante. Sono stato esauriente? (Pacato) Apri la porta, Annalisa. (Si accanisce con furia sulla maniglia, gridando) Apri la porta o faccio saltare la serratura! (Apre un cassetto e ne trae una rivoltella) Annalisa, un colpo di rivoltella a quest’ora di notte getterebbe lo scompi­glio nel vicinato... Non mi ci costringere... Pensa al tuo nobile casato coinvolto in un episodio di cronaca nera... (Digrigna i denti, morde la canna della rivoltella con un lamento, poi si impone la calma con un lungo sospiro di sopportazione) Anna­lisa, dammene atto, finora ho evitato di proposito l’argomento della tua ridicola gelosia perché lo ritengo irrilevante. Logica, Annalisa mia, lo-gi-ca! ...Anastasia è una ricercatrice scientifica, una mia collega. All’istituto lavoriamo a stretto contatto di gomiti dalla mattina alla sera. Ti pare che se la volessi sedurre sceglierei casa nostra per farlo? Me ne mancherebbe l’occasione altrove? Mancano i luoghi appartati in questa città? Mancano gli alberghi? E poi; lo conosci il detto: l'ospite è sacro... Non lo nego, Anastasia può passare per una donna attraente: da ragazza è stata eletta miss nonsoché e in seguito è stata candidata al titolo di miss Italia con le misure di 88-60-88, Embè? Ti rispondo subito: (sillabando lentamente) non è il mio tipo. (Con aria leggermente  disgustata) Pelle d'alabastro, capelli biondo cenere. occhi color acquamarina... insomma. una slava che più slava non si può! E ghiaccio secco. come tutte le slave. E tu lo sai per esperienza personale che il mio tipo è quello mediterraneo. di cui tu sei la sublimazione: pelle olivastra, capelli d’ebano e occhi febbricitanti di passione: il fuoco vivo, insomma! In aggiunta a tutto ciò, ti pare che un gentiluomo come me, nemico del disordine morale, possa piegarsi a profanare il focolare domestico; soprattutto in assenza della cara moglie e dei figli adorati che se ne stanno al mare? Rifletti, Annalisa mia. ma rifletti ricorrendo alla logica, cara, perché non merito, credimi, questa tua dimostrazione di scarsa fiducia. (Con dolcezza) Hai riflettuto e concluso che ho ragione. Annalisa? (Ripone la rivoltella nel cassetto) Allora apri la porta, amore. (Accattivante) La mia sospettosa e impulsiva Annalisa... Luce di quest’anima!... Teh! (Manda dei sonori baci all’indirizzo della porta) Ti giunge l’eco dei miei baci appassionati? (Bonariamente) Ma come, dico io, ti telefono per proporti di compiere un'opera di misericordia e tu subito, tac! mandi Cipriano Maria e Rossellina da tua madre e ti fai trovare barricata, minacciando chi sa quale quarantotto? ... La mia impulsiva Annalisa, luce di quest’anima... tesoro... amore santo... Panico ingiustificato il tuo. cara. Panico. Come quello che prese me quando decidesti di chiamare Cipriano Maria nostro figlio. Mi prese il panico. come ha preso te adesso; solo che io seppi dominarrni facendo ricorso alla logica e alla mia forza interiore, dammene atto. E un nome di famiglia di Annalisa mia, mi dissi: Cipriano Maria De Bollis Geminiani. Il suo trisavolo! Mi dissi: è stato un illustre giurista e patriota dell'Ot­tocento. Dell'Ottocento, mi segui? (incominciando ad accalo­rarsi) Ma ti pare nome, benedetto iddio, ti pare nome, Cipriano Maria, da dare a un bambino del ventesimo secolo? (Andando sempre più su di tono) Annalisa. checché ne pensi chi lo fa derivare dall'isola di Cipro, io resto del parere che Cipriano risulta composto da cipria e ano. Non si sfugge: Cipri-ano! E tu non puoi avere dimenticato i brividi che mi scuotevano quando gli cospargevi il sederino di borotalco cantando quella canzonci­na idiota. Sì. idiota! Oggi finalmente te lo dico ed è una liberazione. (Cantando) "Borotalco per Cipriano, sul culetto detto ano"... (Gridando) Cipriano Maria andava bene nell'Ottocento, sangue del diavolo! Quelli avevano in testa il Risorgimento: Custoza, gli austriaci, Mazzini, “Si ridesti il leon di Pastiglia”, viva Verdi e il Quadrilatero. Non vivevano in un secolo frivolo e corrotto come il nostro! Aspetta che nostro figlio vada a scuola, poi al servizio militare e poi entri nel mondo del lavoro... Altro che Cipriano! Culo incipriato diventerà per tutti. Tanto diranno e faranno, che alla fine mi diventerà una checca! (Coprendosi gli occhi con una mano) Mio figlio! Anima innocente... E tutto per colpa di quella reliquia risorgimentale del tuo trisavolo! (Pausa; trae un profondo sospiro) Facciamo una cosa. Annalisa, perché tu possa riflettere su tutto quel che ti ho detto - e anche, siamo sinceri, per gettare un po' d'acqua su questa materia che sta diventando incandescente - adesso esco: dapprima vado a sottrarre i bambini dalle grinfie di quella sbirressa di tua madre e poi comunicheremo a Anastasia Populovic la tua entusiastica offerta di ospitalità. Al mio ritorno voglio trovarti serena -come lo sono io adesso, mi senti?- serena, convinta e in ordine. (Breve pausa) Hai detto va bene? (Breve pausa) Dì va bene, Annalisa. (Incolla l’orecchio al battente) Sono tutto orecchi, Annalisa, ma non ho sentito ancora niente. Dillo più forte. (Tempestando la porta di calci) Perdio, di’ va bene! (Stringendo i pugni) Va bene, vuoi tacere? Taci, pure! (Furibondo) In casa c’è la pace, se canta il gallo e la gallina tace! Teh! Taci pure. E se non ti basta, bécchete quest'altra: quando canta la gallina, la casa va in rovina! (Andando verso la porta di sinistra) Taci gallina, taci!

Federico esce da sinistra, furibondo, con un fragoroso sbattere finale di porta. La porta di destra si apre lentamente ed entra Annalisa: piange a singhiozzi e si tampona le lacrime con un fazzoletto. Compone un numero al telefono.

ANNALISA (al telefono): Mamma! Mammina mia! (Scoppio di pianto) Il satiro mi ha chiamata gallina. (Pianto dirotto) E ha chiamato te sbirressa… (Pianto) Non ti ci posso far parlare: sta venendo da te per riprendersi i bambini. (Pausa) Brava,  mammina, sul tuo cadavere! (Pausa) Come? (Pausa) Passerai sul suo? Brava lo stesso, mammina. (Pianto) Insiste nel voler portarmi in casa la sua amante (Pausa) Certo che lo è, mammina è slava, quindi diventa l'amante di chiunque abbia che fare con lei. Succede con tutte le slave. Adesso è tutto chiaro Adesso è chiaro a che cosa era dovuta quella sua stanchezza serale, quando tornava dall’Istituto! E adesso mi tira in ballo la sua famosa forza interiore (Pianto) Né forza interiore né forza muscolare, mammina. Quelle le aveva il trisavolo Cipriano Maria che, quando i medici dell’epoca commisero il deplorevole errore di farlo seppellire vivo, fece saltare i chiodi della bara ed emerse da due metri sottoterra cantando “Si scopron le tombe, si destano i morti”… Ti ho raccontato ricordi? Che da un po' di tempo Federico la sera non stava più in piedi, alle nove già con la testa sul cuscino, a russare a bocca aperta. (Lamentosa) Scomparsi di colpo i tempi in cui ci addormentavamo non prima del canto del gallo… (Pausa) Come che facevamo, mamma? Et erunt duo in carne una eh! (Pausa) Si, tutte le notti e fino al canto del gallo. (Pausa) No, mammina, chi l’ha posto questo limite? Non ne ho mai sentito parlare. (Pianto) Oggi finalmente ho avuto la spiegazione della sua stanchezza… Allora, ingenua, mi dicevo sarà l’eccesso di lavoro all’Istituto, sarà il caldo… Pensavo, sempre da quella ingenua che sono, con il caldo si suda, con il gran sudare c’è una dispersione di potassio e senza potassio scemano le forze muscolari! (Pianto) Mammina, il satiro è arrivato al punto di cercare di surrogare con il romanticismo! È così bello l’amore spirituale - mi diceva - la comunione delle anime, l’ascolto di due cuori che battono all'unisono. Oh, librarsi oltre la materia caduca e, mano nella mano pupille nelle pupille, fluttuare nell’infinito firmamento dell’amore universale… Tu invece - mi diceva - tu pensi solo alle cose materiali. Oggi finalmente ci vedo chiaro: non erano la mancanza di potassio e l’eccesso di lavoro a estenuarlo, mammina, era la slava! Di giorno me lo estenuava bene bene e la sera me lo rimandava che non si reggeva in piedi. E adesso (Pianto) me la vuol portare in casa. Due lunghi, lunghi mesi, tutti per loro nell’aria condizionata, mentre i bambini e io stiamo ai bagni di mare. Adesso mi è chiaro. (Pausa) Sì, mammina, smetto di piangere e ti sto a sentire. (Pausa) Azione legale, si! Proprio sopra di noi abita un avvocato. (Pausa) Il talamo tradito, si! (Pausa) Il talamo insozzato, si! (Pausa) Articoli 258, 426 e 519! (Pausa) Anche lo Statuto Albertino? (Pausa) Per buona misura, si! (Apre il cassetto dove è riposta la rivoltella) Si, la rivoltella c’è e ha il colpo in canna. (Pausa) Insomma mammina, debbo considerarmi in una botte di ferro. (Pausa) Va bene, tiro fuori la grinta e parlo subito con l’avvocato. Ciao. (Depone il ricevitore, si porta sul balcone e chiama, guardando in alto) Avvocato Lo Pesce! (Pausa. Stizzita batte un piede per terra) Avvocato Lo Pesce! (Con tono duro e deciso) Scusi, so che il suo telefono è guasto e mi permetto di disturbarla dal balcone. (Pausa) Bèh, in bagno finisce dopo, se non le dispiace. (Pausa) Si, avvocato, sono nervosa, sono fuori di me. (Pausa) Allora: voglio iniziare un’azione legale contro mio marito: articoli 258,426 e 519 e ci metta pure lo Statuto Albertino! (Pausa) Che ne so io, che cosa sono, guardi tra i suoi libri! (Pausa) No, non posso aspettare domani. (Pausa) Non posso aspettare neanche che lei finisca di fare in bagno: gliene debbo parlare subito, perché il satiro può ritornare da un momento all'altro e non mi va di incontrarlo. Dunque, il bel signore mi vuol portare in casa la sua amante slava e tenercela finché io resterò al mare con i bambini. (Le mani sui fianchi) Che gliene pare? (Pausa) Che significa com'è? Fa differenza secondo l’aspetto fisico? (Pausa) Ah, lei ha detto “come, come” per esprimere stupore, sdegno e meraviglia? Bene, vedo che si è subito schierato dalla parte dell'innocenza oltraggiata! Quindi finisca di fare quel che ha da fare in bagno e poi scenda. No, non è con me che deve parlare. Con lui, con lui. Gli deve chiedere - con grinta, però - se insiste nel suo proponimento: gli deve contestare la sua condotta immorale e avvertirlo che il prossimo passo sarà la richiesta di divorzio. Lascio la porta di casa aperta. In quanto a me, mi vado a chiudere finché a questa squallida vicenda non sarà posta la parola fine. (Ha un ripensamento) Ah, avvocato. a scopo deterrente, porti sottobraccio un paio di codici. E lo Statuto Albertino. E indossi la toga.

Annalisa rientra, chiude la porta-finestra ed esce da sinistra per aprire la porta di casa. Rientra di corsa, guardandosi alle spalle ed esce da destra, chiudendo la porta. Da sinistra entra Federico, più esagitato che mai. Tenta la maniglia della porta che Annalisa ha appena chiuso e scarica una violenta manata contro il legno.

FEDERICO: La sbirressa tua madre si è rifiutata di far aprire il cancello del palazzotto. Non solo, ha anche minacciato di telefonare alla polizia e denunciarmi per schiamazzo notturno, tentativo di effrazione e violazione di domicilio. Annalisa, tua madre è viva grazie a due circostanze a lei favorevoli: primo, non ho portato la rivoltella con me; secondo, quand’anche l’avessi portata, non avrei potuto spararle a distanza di colloquio per essere sicuro di colpirla in un organo vitale. (Gridando) Si è rifiutata di darmi i bambini, i miei bambini. (Più forte) Ha detto che li sta aiutando a mandare a memoria “Idillio maremmano”. Carducci, ai miei figli, a quest'ora di notte?! No, perdio! Si è degnata di parlarmi, ma solo attraverso il citofono, concludendo con la sua famosa frase: “Non dimentichi, dottore egregio, che nelle mie vene scorre il sangue dei De Bollis Geminiani”, che rivela la sua intelligenza appena superiore alla subnormale. (Gridando) So io come farlo scorrere, a torrenti, il sangue dei De Bollis Geminiani! (Pausa) Bene, tu sei chiusa in camera; la sbirressa è chiusa nel palazzotto! Cerchiamo allora di scardinare queste porte con il grimaldello della legalità. (Apre la porta- finestra ed esce sul balcone. Guardando in alto) Avvocato Lo Pesce! (Pausa. Facendo imbuto con le mani davanti alla bocca) Avvocato Lo Pesce! (Pausa. Con insofferenza) Buonasera, buonasera! Ma perché tarda tanto a rispondere? (Pausa) In bagno? (Pausa) Si lo so che lei è cagionevole di salute: ma allora vada dal medico, Dio buono! Non vada in bagno! Ogniqualvolta si ha bisogno di lei, il suo telefono è guasto e lei è chiuso in bagno! Ma che ci fa? Chi spera di trovarci, il presidente del Tribunale, il ministro di Grazia e Giustizia? (Pausa) Si, questa sera sono nervoso, e allora? Avvocato, voglio iniziare un’azione legale contro mia moglie e contro sua madre, la sedicente baronessa De Bollis Geminiani. La prima ha mandato i miei figli dalla seconda sottraendoli alla patria potestà, e la seconda si rifiuta di consegnarmeli: sequestro di minori, ai quali sta imbottendo il cranio nottetempo con quella schifezza di "Idillio maremmano". (Pausa) Eh, avvocato Lo Pesce mio, lei mi chiede come siamo arrivati a questo punto… Avrei cose da raccontarle, se il tempo non fosse tiranno… (Pausa) No, che domani! Che bagno! Subito! Entro dieci minuti deve partire l’ingiunzione per la sbirressa. Prima di mezzanotte i bambini debbono, stare al riparo della sbirressa e di Carducci sotto il tetto paterno. (Pausa) Va bene, per sommi capi, poiché insiste…Una mia collega, causa il crollo di un solaio, ha dovuto abbandonare il suo alloggio. In attesa di trovarne uno nuovo, ha chiesto ospitalità per due o tre giorni ai ricercatori del­l’Istituto. Mi sono offerto io. Apriti cielo! Mia moglie è diventata una belva. E’ convinta che quella mia collega, solo perché slava, sia la mia amante (Pausa) Eh, no che non lo è; ma che domande mi fa, avvocato? E poi, se lo fosse, lo verrei a dire a lei, qui, sul balcone? Lei è cagionevole, e va bene, ma non supponevo, scusi, che lo fosse anche in testa. (Pausa) Eh, no, le parole me le tira lei, come me le tira mia moglie. (Verso la porta di destra) Non è una moglie, è una belva…Una belva… (Pausa) Tocca a me ammansirla? Avvocato, non faccio il domatore. Sono un onesto professionista e un marito inattaccabile. Lei mi vede in questo stato e pensa che io sia esagitato… No,  no: sono addolorato, umiliato, deluso… Le accuse infamanti di mia moglie sono colpi inferti al cuore… (Addolorato e incredulo) Colpi inferti da una donna che non ho mai cessato d’amare e alla quale, per il rispetto dovutole, non offrirei mai lo spettacolo della mia degradazione morale portandomi l’amante in casa. (Esulcerato) Mancano i luoghi appartati in questa città? Mancano gli alberghi? (Più  alla porta dietro la quale si cela Annalisa che all'avvocato) Io, quella donna alla quale mi lega un si indissolubile, continuo ad amarla come si ama una dea. Annalisa non può aver dimenticato le notti che ho trascorso consumando il marciapiedi davanti al palazzotto dei De Bollis Geminiani…Ogni notte per mesi e mesi, lei sentiva sbattere le porte e tintinnare i vetri di finestre e lampadari. (Guardando in alto)No, non si alzava il vento, avvocato, tutto quello sbattere e tintinnare era dovuto ai miei sospiri, che scuotevano il palazzotto dalle fondamenta… E a tanto amore, come risponde lei adesso? Con una insensata, infondata, ridicola gelosia. Quale ingratitudine! Quale degenera­zione ha subito il cuore di una De Bollis Geminiani…(Abbandonando le braccia lungo il corpo) Non ho più forze, avvocato. né interiore né muscolare…Mi sento sfuggire la vita…(Pausa)

Come a chi lo dico? A lei, lo dico a lei. (Pausa) Anche lei si sente sfuggire la vita? Ma il suo è un male fisico avvocato Lo Pesce mio…Ma chi ridarà a me il gusto del vivere, la serenità della mente e dello spirito? (Breve pausa. Con decisione ) Avvocato, in questa stanza c’è un ripostiglio oscuro, stretto e senza finestre; l’ossigeno è limitato. (Con gravità) Mi ci vado a chiudere. Se prima la mancanza di ossigeno non mi avrà UCCISO, riaprirò la porta solo quando sentirò la voce dei miei figli. Buonasera. O meglio, arrivederci o addio per sempre: dipende da lei e da mia moglie (Rientra con passo misurato ed espressione grave. Si avvicina alla porta di destra) Annalisa, hai sentito quanto ho detto all’avvocato Lo Pesce? (Breve pausa) Apri la porta, cara…(Si tormenta le mani) Ascolta Annalisa, finora non ho voluto affrontare un certo argomento perché mi costa farlo. È imbaraz­zante, Annalisa, e tu lo sai… Insomma, il potassio… Cara, tu e io sappiamo che il mio è uno stato transitorio: l'eccesso di lavoro, il caldo torrido, forse gli anni che incominciano a pesare. Qualunque ne sia la causa, sai che io -momentaneamente, bada- non posso, come dire? Insomma. non posso. E in queste condizioni -logica Annalisa, logica e buon senso- in queste condizioni mortificanti ti pare che io possa concedermi il lusso di un’amante? Esistono amanti platoniche che tu sappia, Anna­lisa? Anastasia, poi.. Be, bisogna che tu sappia tutto. Vengo meno alla promessa fatta di mantenere un segreto, ma ne va della mia felicità coniugale… Annalisa, neanche Anastasia Populovic può. Quel che sto per rivelarti, Annalisa, per carità!, resti fra noi, Anastasia si è confidata con una collega dell'Istituto, la quale­ -sai come vanno queste cose- l’ha confidata a un altra e questa ad un altra ancora. In breve, dopo tre giorni, la cosa è diventata di dominio pubblico all'Istituto. Sta a sentire: Anastasia Populovic, cavalcando non più di due anni fa nel suo Paese d'origine all’uso montenegrino -cioè il cavallo senza sella e lei senza indumenti intimi…lo slippino, voglio dire- ne ha riportato un irritazione molto… molto intima, che con il tempo si è cronicizzata e le impedisce di avere …diciamo commercio carnale. Insomma non può neanche lei. Annalisa non possiamo, né io né lei. E questa, cara è le prima cosa che avrei dovuto dirti perché è un argomento decisivo…Ma cerca di capire il mio imbarazzo e la mia mortificazione per la parte che mi riguarda. Sei finalmen­te convinta, Annalisa? (Breve pausa) Mi hai sentito? (Pausa. Con dolcezza) Annalisa, perché non muori? Muori! Ti faccio costruire una tomba bellissima. (E va a chiudersi nel ripostiglio)

Preceduto da un fragoroso starnuto, da sinistra entra l'avvocato Lo Pesce; corpulento o mingherlino non fa differenza, purché apparentemente molto cagionevole. Indossa una pesante giacca da casa di lana, parla con voce fievole, stentata e lamentosa tra colpetti di tosse, raschiamenti di gola e roteare del collo e degli occhi.  Stringe in una mano un fazzoletto, che usa per asciugarsi il sudore sulla fronte e sulla nuca, per tamponarsi gli occhi cisposi, morderne un lembo nei momenti di scoramento, ecc. Dalle tasche, che alla fine risulteranno essere più fornite di uno scaffale di farmacia, trae ora un inalatore, ora un instillatore di collirio, ora una compressa, capsula o pillola da masticare o deglutire. L'uso del fazzoletto e dei medicinali e il ricorso ai tic sono lasciati alla discrezione dell' attore.

AVVOCATO LO PESCE (entra sparando un secondo violento starnuto): Madre di Dio, qui è arrivato l’inverno! (Rialza il bavero del giaccone di lana e si asciuga il sudore sulla fronte e sulla nuca. Guardando alternativamente la porta di destra , quella di sinistra)  Eccomi signori, per sviscerare serenamente il loro problema. (Pausa. Va alla porta di sinistra) Dottore mio davvero vuoi rischiare di morire asfissiato? Suvvia, metta giudizio e venga fuori, che cerchiamo di placare questa piccola burrasca domestica.  In pochi minuti, però perché io ho già un piede nella tomba e questa aria condizionata finirebbe col farmici mettere anche l'altro.  (Si preme le reni, chiude gli occhi ed emette un lungo lamento) Maledetto groppo… Se me lo consentono, vorrei fare la telefonata di aggiornamento al mio medico…( Forma un numero all'apparecchio e in attesa offre un breve campionario dei suoi tic)  Buonasera, dottore, sono l’avvocato Lo Pesce. (Pausa)  Eeeeh, come vuole che stia! Più di là che di qua. La notte scorsa ho temuto il peggio. Il famoso groppo sempre lui, si era spostato dalle regioni del fegato alla gola. Ha presente una palla da tennis? Ecco, mi sembrava di avene una imprigionata nella trachea. (Pausa) Si, lo so che la sede naturale del groppi è la gola, ma il mio sembra ignorarlo. Non ha dimora fissa, capisce? Vaga, vaga, è erratico! (Breve pausa) Dunque, con la palla nella trachea, lo stomaco ha smesso di gorgogliare e l'intestino si è disintricato, ma in compenso ho avuto crisi di soffocamento per sei ore filate. Ho temuto il peggio, dottore mio. Poi, di carattere capriccioso com'è, il groppo si è spostato nella regione cardiaca o allora. non le dico, è cominciato il fuoco dell'artiglieria pesan­te: nei rari momenti di tregua duecentoventi pulsazioni! (Con scoramento, mordendo il fazzoletto) Veda, dottore, io seguo alla lettera le sue prescrizioni e grazie a esse da semimorto, sono diventato un uomo semivivo, il che è già qualche cosa. Ora, non è tanto il groppo in sé che mi angustia è chiaro? Ma questo suo capriccioso andirivieni lungo la mia persona.  Lei e io ci stiamo a domandare da mesi quale fine si prefigge il maledetto. Lei non si pronuncia e mi tiene sulle spine. Io però insisto nel sostenere che il suo unico e precipuo scopo sia quello di rompermi i coglioni!  (Piagnucolando) E questo non sta bene… (Si riprende) Oppure, latet anguis in herba, dottore mio: come dire gatta ci cova. E dico gatta per non dire… (Morde il fazzoletto ed emette un lamento) Se stesse fermo per un po' in un posto, il maledetto, si potrebbe intervenire con una sonda, con il bisturi, con il laser… Ma quello è inafferrabile. Meno di un ora fa l’ho sentito insediar­si nella parte bassa dell’intestino -nel retto va- e ho avuto la gioiosa certezza di potermene liberare, se capisce quel che voglio dire.  Ma per due volte sono stato interrotto da persone del palazzo e la liberazione purtroppo non ha avuto luogo. (Pausa) No, e che  riprovo? Quasi avesse preso uno spavento al pensiero di dovermi lasciare, il groppo si è andato a mettere al sicuro tra i reni.  (Si arcua e si preme i reni con una smorfia stampata sul viso) Eccolo qua, lo sento. Vuol farsi una risata dottore? Fa un rumore come se stesse ridacchiando… E sfotte pure! E poi dottore mi spieghi questo nuovo mistero che si è manifestato oggi. Salgo le scale, niente! Le scendo? Mi prende l’affanno. Resto letteralmente senza fiato (Desolato) Sono con un piede nella tomba, dottore mio, già impacchettato per l’aldilà, ma intanto alle prese con i misteri dell’aldiquà… Meglio non essere nati… Ma si, la vita ci rende mortali; bisognerebbe cercare di non nascere: saremmo tutti immortali! Ecco perché, altruisti­camente, ho votato per l’aborto. Senta, caro dottore, non è il caso che vada, che so, in Svizzera a consultare uno specialista? (Pausa) Che so, specialista in casi disperati… (Pausa) E il caso che vada dove, scusi? (Pausa) A Lourdes, dice... Dov’è, Spagna? (Pausa) Ah, Francia… (Riflette un istante) Lei quindi pensa che un cambiamento d’aria mi potrebbe giovare?... (Pausa) Va bene, la prendo in considerazione… Domani, e speriamo che mi abbia­no sbloccato il telefono, le riferirò le ultime sul groppo. (Pausa) Grazie, buonanotte. (Riaggancia e si asciuga il sudore. Come a sé stesso) Gli potevo domandare com’è che, con questo gelo, io continuo a sudare… (Mentre parla, guarda alternativamente le due porte) Ancora chiusi, signori? Andiamo non è il caso di farne un dramma. Dopotutto se ho ben capito, si tratta nient’altro che di un malinteso. E allora, signora, a che servono i codici? Noi non dobbiamo agire de iure o, se preferisce, legis, ma cercare più semplicemente di fare ricorso al buonsenso. Un malinteso, dicevo. La signora sospetta che la giovane slava cui suo marito ha offerto ospitalità possa essere a lui legata da vincoli che la morale definisce turpi. In poche parole, che sia la sua amante. E’ dimostrato ciò? Da quel che mi è sembrato di capire, no. Lo si può dimostrare? Allora lo si dimostri. Con delle prove, dico, e non con sospetti e illazioni che tali sono e restano. Fino al momento in cui non sarà dimostrato che è stato inferto un vulnus al matrimonio, nulla ci autorizza a incolpare il de quo. Nel caso contrario, signora, semmai cioè ne fosse dimostrata la colpevo­lezza, allora potremmo cantare con il Duca di Ferrara nella Lucrezia Borgia: “Chi v’offese irne impune non deve”. Prima, però, non si canta. Si ragiona. Dal malinteso di cui poc’anzi nasce l'azione poco prudente della signora di mandare i bambini a casa della nonna perché imparino a memoria nottetempo “Idillio maremmano”. Nulla di riprovevole dottore, che una nonna ospiti per una notte i suoi nipotini e si studi di arricchirli culturalmente con l’apprendimento del versi dei nostri poeti. A “Idillio maremmano” in verità, io preferisco “Il bove”. Ma in questo Paese c’è libertà di opinione e quella della baronessa De Bollis Geminiani va rispettata. Domattina, dunque, una telefona­ta della signora alla baronessa “Mamma, riportami i bambini”, e sfuma l'accusa fatta un po’ impulsivamente di sottrazione di minori alla patria potestà e di sequestro di persona e il tutto si conclude “tra plausi e liete grida”. Per quel che riguarda “Idillio maremmano”... dottore se lei insiste, ma proprio proprio proprio insiste, basta una semplice diffida alla baronessa in carta-bollo. Oh, questo per quanto riguarda la pace familiare. Resta in piedi la questione dell'ospitalità alla slava, senza tetto in seguito al crollo del solaio, immagino, perché questa è l'unica circostanza che possa spingere qualcuno, in Italia, a lasciare il proprio alloggio. (Minimizzando) Le soluzioni offrono solo la difficoltà della scelta. Signori. Ve ne sciorino qualcuna a mo’ di esempli­ficazione. Prima: una volta tornati a casa i bambini, si offre ospitalità alla slava nel palazzotto De Bollis Geminiani. Secon­da: la si manda ai bagni di mare con i bambini, lasciando la mamma nel palazzotto. Terza: si manda il dottore ai bagni di mare, la signora e i bambini nel palazzotto e si lascia questo appar­tamento alla slava, che vi resterà sola. Quarta: tutti ai bagni di mare, compresa la slava: ma costei sull’Adriatico e la famiglia del dottore nel Basso Tirreno. E se queste soluzioni tra le quali scegliere non bastano altre ne posso studiare, ma a casa mia, perché la sopportazione dell’aria condizionata è al limite del surgelamento, e comunicarvele domani per telefono. (Ci pensa) A proposito, se mi permettono di abusare della loro gentilezza, faccio ancora una telefonata per cercar di far sbloccare il mio apparecchio. (Forma un numero al telefono e resta in attesa. Dopo un po’ si spazientisce e ne forma un altro) Signorina il numero per la segnalazione dei guasti non mi risponde….(Pausa) Ah, è guasto… La segnalazione allora posso farla a lei? (Pausa) Capisco, capisco, capisco. Grazie. (Compone un terzo numero) Per piacere, posso parlare con il o la capoturno? (Pausa) Ah, i cobas dei capiturno oggi scioperano… Allora dico a lei. A chi posso segnalare che il numero per la segnalazione dei guasti è guasto? (Pausa) Solo Dio lo sa? Grazie. (Compone un nuovo numero) Eminenza reverendissima, bacio l'anello; sono l’avvocato Lo Pesce. Pax, salus et bonum (Pausa) Grazie, vostra eminenza è troppo buona No, eminenza reverendissima. Anche se vostra eminenza si compiace di sapermi ancora in vita, la salute non va affatto bene: sono più di là che di qua e di qua il mio telefono è guasto da otto giorni ed è guasto a sua volta il numero che riceve le segnalazioni dei guasti. (Pausa) Eh, si dice bene vostra eminenza: una valle di lacrime… (Pausa) Certo, Sodoma e Gomorra… Ora, vostra eminenza, con tutte le, come dire?, con tutte le… Eh? non potrebbe spendere una autorevole parola? (Pausa) Grazie, eminenza, grazie. Papa mi deve diventare. Bacio l’anello santo… (Aggancia) Come vedono, signori, non c’è guasto al quale non si possa porre rimedio. Ma il loro non è un guasto; è un piccolo malinteso ripeto. Di fronte a ben altre situazioni ho saputo trovare la strada giusta. Neanche un mese fa, ho ricomposto un matrimonio che sembrava distrutto per via di un’eredità. Il de cuius hereditate agitur, nel dettare il proprio testamento, aveva dimenticato che tra la propria figlia e il marito vigeva il regime della separazione dei beni e così aveva legato un cospicuo lascito a entrambi, senza specificare le relative percentuali. Di qui il furibondo disaccordo tra i coniugi. Si era arrivati a un punto tale di esasperazione che il marito, per far dispetto alla moglie, scendeva continuamente a pisciare nel serbatoio della benzina della macchina di lei. E prendeva diuretici, lo sciagurato, con grave nocumento della salute. A questo punto sono intervenuto io. Poiché gli eredi erano sette, ho calcolato la legittima che a ciascuno di essi competeva. Alla quota della mia cliente, un settimo della somma, ho aggiunto artificiosamente in percentuale quel che a ciascuno degli altri sei fratelli sarebbe toccato nel caso ipotetico che il de cuius avesse intestato a ciascuno di essi un lascito preferenziale. Stabilito in tal modo il totale, con un altra semplice operazione aritmetica ho calcolato l'incidenza di dette percentuali nel totale della somma legata ai coniugi di cui trattasi, ricavandone una cifra indicativa di quel che a lui, coniuge. sarebbe spettato se, invece che marito, fosse stato il settimo fratello della signora. In tal modo, la somma iniziale è stata divisa per otto - che teoricamente ho considerato la legittima - e che ho attribuito alla moglie nella misura di due ottavi, anziché al marito, da1 momento che questi era appunto marito e non il settimo fratello, e di conseguenza non avente diritto alla legittima. Ciò fatto, e applicati i relativi coefficienti a sca1are per il marito, a crescere per la moglie, abbiamo ottenuto le rispettive percentuali per la moglie e per il marito, il quale si dichiarò soddisfatto e smise di pisciare nel serbatoio della benzina. Un matrimonio ricomposto e una macchina rimessa in moto. Ha pagato un innocente, il meccanico, che non era riuscito a spiegarsi perché la macchina non andava, e che attualmente è sotto cure intensive alla neurodeliri. E lor signori permetterebbero che per un malinteso pagassero due innocenti, non dico due meccanici, ma due bambini, carne della loro carne? No, no, bisogna prendersi cura della loro salute mentale e fisica. Come me, signori, paladino della vecchia massima “Mens sana in corpore sano”. Ecco, signori, sono premunito e pronto a rintuzzare ogni attacco. (Dalle tasche rovescia sul tavolo decine di specialità medicinali e si produce in una tiritera di vago sapore donizettiano, sollevando in aria e poi rimettendo in tasca i medicinali via via che li nomina e li esalta)

Il cuore salta i battiti?    Lanicòr e chinidina.

Per l’intestino pigro molta crusca e Guttalax

A volte mi par d’essere rinchiuso in un pallone:

allora prendo capsule del caro Activarol.

Se voglio dilatare arterie e capillari,

ricorro senza indugi, a mezzo Carvasìn,

Ridurre la pressione, misura salutare!

Niente di più adatto, del mio Aldomét

Lasix dalla virtù ben rara: trasforma in un Niagara

minzioni pur modeste.

Tavor se vuoi dormire, Nardìl se vuoi vegliare,

se vivere vuoi in pace, tre perle di Ansiolìn

Per liberare i bronchi da ogni impurità

ricorro al Broncherolo e al vecchio Cardiazòl

Amplìtal per le infezioni, Bactrim per il colera,

per gli spasmi il Buscopàn.

Cromatòn per l’anemia, Daonìl per il diabete,

Emofòrm per le gengive, alternato al Fluocaril.

Se mi colpisce l’ulcera, le oppongo il Gefarnìl:

se s’impigrisce il colon, lo scuote il Malivòr.

Acido picoliliden, bis fenil solforico,

càscara sagrada e boldo, reserpina e igrotòn.

Indometacina, fenilbutazone, fursemide cromanòl.

Metil taxifolina, acido folico, biotina,

tartrato di metionina, tiamfenicolo e Glitisòl…

(Si interrompe di colpo, sgrana gli occhi e si porta le mani ai reni) Oddìo! Il groppo si é staccato e riprende a vagare. (Lo accompagna con la mano su su lungo il ventre, l’addome, l’esofago) No, di nuovo in gola, no! (Ma l’ultima frase è un gorgoglio soffocato. L’avvocato si porta le mani alla gola e, gorgogliando e barcollando, esce da sinistra)

Si apre la porta del ripostiglio. Federico si affaccia con cautela e respira delle profonde boccate d'aria. Poi, in punta di piedi, va a tentare la maniglia della porta di destra. Rassicurato e sempre in punta di piedi, esce dalla porta che immette nell’ingresso e nel resto dell’appartamento. Dopo pochi istanti, rientra addentando un gigantesco panino imbottito e sorreggendo una lattina di birra e si chiude di nuovo nel ripostiglio.

ANASTASIA (fuori di scena) Ditemi che non è vero! (Entra da sinistra, stravolta, sorreggendo una piccola valigia. Pelle d’a­labastro, capelli biondo-cenere, occhi colar acquamarina, tipo a non tipo di Federico, un vero “schianto”) Ditemi che non è vero! Signora Annalisa, Federico!... Dio mio, non può essere vero! (Guardando a destra) Chiusa in camera lei… (Guardando a sinistra) Lui senza ossigeno in un bugigattolo… Oh Dio, mi sento venir meno… (Facendosi forza) Uscendo dall'ascensore, ho incontrato l’avvocato del piano di sopra. Era talmente scon­volto, il poverino, che aveva gli occhi schizzati fuori e il colorito violetto, come se una palla da tennis gli ostruisse la gola. Meno male che, nel vedermi, ha inghiottito la palla e ha ripreso a respirare. Mi ha chiesto se ero la slava e mi ha fatto quel racconto incredibile. Tanto incredibile che continuava a guardarmi con gli occhi fuori dalle orbite. Come lo capisco… E’ orribile! Ditemi che non è vero… E mentre tra voi due si creava quest’assurda situazione, io me ne stavo nel tassì, giù in strada, in attesa di poter salire per godere della vostra fraterna ospitalità (Alla porta di destra) Annalisa... - mi permetta di chiamarla per nome, cara... - Annalisa cara, come può aver pensato e detto quelle cose orribili sul conto mio e del suo Federico? Lui e io lavoriamo gomito a gomito all’Istituto. Le pare che se tra lui e me ci fosse qualcosa d’inconfessabile all’infuori dei rapporti amichevoli e di lavoro, lui gentiluomo così compito mi proporrebbe e io donna di saldi principi morali accetterei di incontrarci proprio in questa casa, profanando il focolare della sua cara moglie e dei figli adorati? Mancano i luoghi appartati in questa città? Mancano gli alber­ghi? E poi, argomento principe: non sono il tipo di Federico. Lui ­predilige il tipo mediterraneo di cui lei è la sublimazione, Annalisa cara: pelle olivastra, capelli d’ebano e occhi febbricitanti di passione. Il fuoco vivo. Insomma… Giustificherei i suoi sospetti se l’offerta di ospitalità Federico l’avesse fatta alla dottoressa Munarò, di puro ceppo siculo-tunisino. Ma apra la porta e mi guardi: sono agli antipodi, Annalisa. Sono slava che più slava non si può. Suvvia, apra la porta e mi abbracci, cara. Sono come una sorella bionda per Federico e tale voglio diven­tare anche per lei. Dio mio, quale equivoco increscioso e umiliante! (Alla porta del ripostiglio) E tu, Federico, cos’é questa macabra minaccia di lasciarti morire per soffocamento? Bada che se entro trenta secondi non vieni fuori, telefono in farmacia per una bombola d’ossigeno e te ne faccio un’erogazione forzata attra­verso il buco della serratura. Non giocare a fare il subacqueo in apnea, Federico… Non sei allenato per affrontare questi sforzi… Conserva le tue forze per passatempi più piacevoli… (Breve pausa) Trenta secondi a partire da questo momento, Federico, bada! (Alla porta di destra) Annalisa cara, i suoi sospetti infon­dati mi fanno sentire sporca, meschina. Mi ascolti, cara: non posso essere l’amante di Federico e di nessun altro. E sa perché? Perché ho un grande, unico amore che é la mia gioia e il mio tormento. Coccovic si chiama. E’ un giovane, lontano mio paren­te, che fa il farmacista nel Montenegro. Aspetti che le mostro la sua foto. (Trae una foto dalla borsetta e la infila sotto la porta) Certo, con lo zucchettino in testa e il gonnellino non sembra un granché, ma dovrebbe vederlo senza… Provi a immaginarlo allo stato di natura e senza quei baffoni spioventi che l’ho costretto a radersi l'estate scorsa. Coccovic è la mia gioia perché possiede quelle virtù che fanno di un uomo un uomo vero: forza interiore, virilità, nobiltà d'animo e ordine morale. Ed è il mio tormento perché non riusciamo a unire i nostri destini, superando la distanza che ci separa. Innanzitutto, lui deve provvedere al sostentamento della sua famiglia: i vecchi genitori, tre nonni, undici tra fratelli e sorelle, per non parlare di due profughi bulgari che hanno trovato asilo nella sua casa… Ma ammesso che, obnubilato dalla passione amorosa, decidesse di raggiungermi, cosa verrebbe a fare in Italia il mio Coccovic? Con la disoccupazione che c’è da noi di medici e farmacisti, tutt’al più il commes­so in qualche erboristeria… E da parte mia, che potrei fare nel Montenegro, essendo cittadina Italiana? Come vede, non è solo il Mare Adriatico a separarci. Fosse vivo il mio nonno Vidalo­vic... Oh, alIora sì che il mio destino e quello di Coccovic sarebbero uniti da un pezzo! Mio nonno, in gioventù, faceva il capraio, sì, nel senso che portava le pecore al pascolo; ma, dotato di una viva intelligenza e animato da un non comune spirito imprenditoriale, seppe emergere dal gregge, è il caso di dirlo, e affermarsi con la produzione delle caciotte su scala industriale. Per fargliela breve, non aveva ancora quarant’anni quando inondò con le famose “Caciotte Vidalovic” il Montenegro e le altre repubbliche federali, accumulando una fortuna. Ma poi, ecco la seconda guerra mondiale e l’avvento di Tito, il quale nazionalizza perfino le caciotte, l’incosciente, e fa sfumare la fortuna di nonno Vidalovic… Ma provi a immaginare un’Europa senza la seconda guerra mondiale e una Iugoslavia senza Tito, Annalisa cara… Il mio caro Coccovic ed io avremmo coronato da un pezzo il nostro sogno d’amore. In attesa di tempi migliori, quindi, mi limito a trascorrere le vacanze estive nel Montenegro, in stretta comunione di spirito con il mio unico, grande amore, in compagnia del quale faccio lunghe, lunghe cavalcate liberatrici all’uso montenegrino. A lui va quotidianamente il mio pensiero, a lui ogni singolo battito del mio cuore. (Assai rattristata, con ambigue occhiate alla porta di sinistra) Coccovic mio, quanta crudeltà da parte del destino... Quante difficoltà sul nostro cammino… Non abbiamo tenuto conto dell’imponderabile: la seconda guerra mondiale, Tito e i suoi successori… Potremo mai mettere in atto il nostro piano? Pazienza, caro, pazienza. Verrà pure il giorno che non solo l’estate, ma anche la primavera, l’autunno e l’inverno saranno nostri… (Breve pausa) Annalisa cara, spero di essere stata convincente. Non per chiedere la sua ospitalità, che a questo punto difficilmente accetterei, ma per fugare i suoi sospetti e guadagnarmi la sua amicizia. Una sistemazione provvisoria in attesa di trovare un buco da qualche parte è impresa ardua ma non impossibile. Lei il buco ce l’ha e, a quanto vedo, è piuttosto di lusso: ne cercherò uno decoroso, senza patire l’umiliazione delle squallide camere ammobiliate. C’è una monaca montenegrina, mia buona amica, che potrà farmi ospitare in convento. Certo, non è l’ideale, ma dal momento che in città non c’è altro all'infuori degli alberghi… E in albergo, no, non ci vado. Sarei esposta a troppe insidie. Troppi bellimbusti ci bazzicano, attentando all’onorabilità delle clienti sole. Troppi occhi indiscreti ti scrutano mentre entri ed esci, troppa gente meschina e linguacciuta collega la tua presenza a quel1a di qualcuno che magari entra o esce prima o dopo di te e ci ricama dei romanzetti. No, no, meglio il convento. Anche se sarò obbli­gata a rientrare non oltre le nove di sera -con questo caldo soffocante! - e costretta a girare i pollici in attesa che arrivi il sonno. Anche se i servizi igienici in comune mi costringeranno a lunghe code, io che… (Abbassando la voce) Glielo dico in stretta confidenza, Annalisa: resti fra di noi come un piccolo, imbarazzante segreto tra donne. Nel Montenegro, cavalcando all’uso montenegrino, cioè con il cavallo senza sella e io senza indumenti intimi… lo slippino, voglio dire, ho riportato un’irrita­zione molto… come dire?... molto intima ecco, che col tempo si è cronicizzata e mi costringe a frequenti abluzioni seguite da medicazioni molto dolorose che mi pratico da me. E questo, a ben pensarci, è un argomento che dovrebbe rassicurarla sui miei rapporti con Federico, rapporti che non possono essere altro che amichevoli. E con Coccovic?, mi domanderà, Annalisa cara. Astinenza totale, amica mia. Finché perdura la dolorosa irritazio­ne, ci asteniamo giudiziosamente. Ma d’altra parte… (Con slancio lirico) Oh, è così bello l’amore spirituale, la comunione delle anime, l’ascolto di due cuori che palpitano all’unisono! Librarsi oltre la materia caduca e, mano nella mano, pupille nelle pupille, fluttuare nell’infinito firmamento dell’amore universale.. (Breve pausa) Ci ha provato, Annalisa cara? Ci provi, è meraviglio­so... Bene, Annalisa, non voglio tediarla più a lungo. Se dopo quanto le ho esposto col cuore in mano lei vorrà credere alla mia sincerità e… deciderà di farsi un amica offrendomi la sua ospita­lità… beh, credo che tornerei sulla mia decisione di non accettar­la. È così invitante la sua casa, così ben messa, intima e raccolta... Rispecchia la grazia e l’animo gentile della sua castellana. Lei, cara. Se vuole un po' di tempo per ridiscuterne con Federico, gliene do quanto crede. Aspetterò nel bar di fronte, scrivendo a Coccovic la terza lettera incendiaria della giornata. Arrivederci, Annalisa. Creda alla sincerità della mia amicizia, alla mia dedizione totale a Coccovic, alla mia irritazione intima e ai miei saldi principi morali. (Si avvicina alla porta di sinistra. A voce bassa) Non sprecare ossigeno, amore mio; apri uno spiraglio per lasciare passare l’aria. Scendo al bar. Ti adoro… (Via da sinistra con la valigetta)

Breve pausa. Da destra entra Annalisa e si porta sul balcone.

ANNALlSA: Avvocato Lo Pesce! (Più forte) Avvocato Lo Pesce! Bravo, lei se ne viene con le pisciate nel serbatoio della benzina! L’ha vista, la slava? Qui è stata, qui. Avevano dato per scontato che avrei accettato di ospitarla e per tutto questo tempo ha aspettato nel tassì. Avevano mandato a memoria la lezione: mi ha ripetuto, paro paro, intere frasi del satiro: (rifacendo il verso ad Anastasia) “Mancano gli alberghi in questa città? Lei è la sublimazione del tipo mediterraneo… Gli occhi febbricitanti di passione… Io sono slava che più slava non si può… Lei il buco ce l’ha ed è di lusso... L’amore spirituale... mano nella mano... pupille nelle pupille!" Sgualdrina! Ogni estate, lo sapeva?, si fa sbattere da un farmacista montenegrino in gonnellino e zucchetto in testa... (Con sarcasmo e ironia) Il satiro, poi, ha assunto un nome d’arte: Coccovic… Avvocato, non si stanchi, lei così cagionevole, a cercare altre soluzioni. Non ce n’è che una: il divorzio. Inizi le pratiche questa sera stessa, anche stando in bagno in compagnia del groppo, ma le inizi. (Rientra e si avvicina alla porta del ripostiglio) Altra soluzione radicale, mio caro Cocco­vic, sarebbe la vedovanza. Quindi, se hai deciso di soccombere per mancanza di ossigeno, ti do subito una mano. (Strappa un giornale, appallottola la carta e la introduce nel buco della serratura) Teh! (Poi tira a sé un tappeto e l’arrotola a ridosso della porta) Teh! Stai boccheggiando? Coccovic, ho gli occhi febbricitanti, ma non di passione... Di fu-ri-a o-mi-ci-da! (Da un calcio alla porta e va a chiudersi a destra).

AVVOCATO LO PESCE (Fuori di scena): Illuminazione! Illuminazione! (Entra sempre intabarrato e sempre con la voce da moribondo) Illuminazione! Ho visto la slava, prima sul pianerottolo e adesso, dal balcone, mentre entrava nel bar di fronte. Certo, signori miei, è un bel vedere. Vederla e mettere in fuga il groppo è stato tutt’uno. Un bel vedere… un bel vedere, parola mia. Ho sentito dire da un tale che le donne di trent’anni sono più attraenti oggi che non venticinque anni fa. Secondo me, ciò è dovuto non tanto al miglioramento della razza, quanto al fatto che allora avevano cinque anni… Comunque sia, non sono sceso a parlare di donne, ma a esporre un’idea illuminante che mi è sbocciata in testa alla vista della slava. Signori, ho la soluzione, ed è l’uovo di Colombo: in attesa che trovi un nuovo alloggio, la slava la ospito io. La vostra pace familiare non è più minacciata... (Si porta una mano alla regione del fegato) Buono, groppo, non ti muovere. Lasciami fare gli onori di casa. (Ed esce da sinistra)

La porta del ripostiglio si apre e Federico schizza fuori come una furia.

FEDERICO: Annalisa, questa la porterai sulla coscienza finché avrai vita! Sei contenta di quel che hai ottenuto con la tua condotta, sciagurata? Belva! Una creatura di saldi principi morali, tutta istituto e lettere incendiarie a Coccovic, amica di una monaca santa, sta per cadere tra gli artigli dell’avvocato Lo Pesce! Lo sai a che deve la salute cagionevole il tuo avvocato Lo Pesce? Alla vita dissoluta. Tre mogli ha messo sottoterra... L’elenco delle sue amanti, tra cui una vecchia danarosa di settantacinque anni, è lungo quanto quello telefonico di una città media, metti Vercelli. Ha saltato muri di conventi, ha violentato in un supermercato una commessa del reparto latticini… Il famoso groppo - non l’avevi capito? - è una metafora, come s’usa oggi. Non contento dei due che aveva, se n’è fatto assegna­re un terzo! Tre volte è stato radiato dall’ordine degli avvocati e vi è stato riammesso solo grazie all’intervento di un alto prelato, suo compagno di dissolutezze… Corrotto e corruttore. E tutto ricade sulla tua coscienza, Annalisa! Gli debbo impedire di dannare un’innocente. (Prende dal cassetto la rivoltella) Resisti Anastasia, resisti ché arrivo io! (Ed esce di corsa da sinistra)

Annalisa entra da destra e va al balcone. È calma e rilassata. Si appoggia alla ringhiera, grattandosi un palpaccio con la punta dell'altro piede.

ANNALISA (Senza particolare apprensione): Non fare gesti avventati, Federico; non gettare scompiglio… Bravo, avvocato, difenda le sue ragioni. (Continuando a grattarsi il polpaccio) Bada Federico, bada a quel che fai: vi potrebbero essere delle incresciose conseguenze… (Si ode una detonazione di arma da fuoco. Come a sé stessa, scuotendo la testa) L’ha fatto, l’irresponsabile…(Più forte) Federico, ti avevo detto di non gettare scompiglio: guarda quanta gente si sta riversando in strada… Gli tolga la pistola, agente, gli impedisca di fare altri danni… e qualcuno telefoni per un’ambulanza: niente niente gli ha spappolato il femore. Povero avvocato Lo Pesce! (Rientra e va a comporre un numero al telefono. Piangendo) Mammina, mammina mia, è accaduta una cosa orribile: il satiro ha sostenuto un duello rusticano con l’avvocato del piano di sopra e lo ha ferito a una gamba sparando a distanza di colloquio. (Pausa) Gelosia, no? Si sono contesi la slava... Senti, mammina, questa sera stessa parti per il mare con i bambini. Così ti risparmierai le seccature di interrogatori, testimonianze, eccetera, e i bambini il dramma di un padre accusato di tentato omicidio. Restate fuori fino a settem­bre, come stabilito. (Pausa. Con tono triste e rassegnato) Io? Io resto, mammina, per forza… Vi raggiungerò appena possibile oppure mi farò viva per telefono… (Piangendo) Vedi quale svolta ha preso la mia vita? (Pausa) Sì, mammina, tirerò fuori la grinta. Partite, partite, ciao. (Solleva il telefono dotato di prolunga e si lascia cadere sul divano, assumendo una posa di voluttuoso abbandono. Compone un numero. In attesa della risposta, si arriccia con l’indice una ciocca di capelli) Roberto, amore, è tutto sistemato. (Pausa) Sì, è stato faticoso e un po’ cruento, tesoro, ma il risultato è di piena soddisfazione: mammina e i piccoli al mare, Federico in carcere e l’unico inquilino rimasto in città all’ospedale. (Stiracchiandosi voluttuosamente) Abbiamo due lunghi, lunghi, lunghi mesi tutti per noi. Ti aspetto subito, amore: vieni, corri, vola.

SECONDO TEMPO

Un mese dopo, sul fare del mezzogiorno. La porta-finestra e la porta di destra sono aperte. Dalla Strada si leva, amplificata dall’altoparlante, la voce di un venditore ambulante motorizzato.

VOCE VENDITORE AMBULANTE: Tutto per la casa e per la spiaggia, siori. Ombrelloni diezimila lire. Due sedie a sdraio, diecimila. Brendine prendisole pieghevoli in tinta unita e fanta­sia hawaiana, quindizimila. In offerta speziale servizio picnic per sei più borsa termica, più paperino salvagente, il tutto lire ventimila, siori.

Tace la voce dell’imbonitore e si leva una musica assordante e distorta. Da sinistra entra rapidamente Annalisa. Indossa una corta ed evanescente camicia da notte e, sopra, un grembiulino da cucina. Si porta sul balcone.

ANNALISA (Verso la strada): Passa via! (Chiude la porta-finestra. Non si sente più la musica. Verso la porta di destra) Roberto, amore, questa porta deve restare chiusa, altrimenti oltre a far entrare il frastuono della strada perdiamo il beneficio dell’aria condizionata. (La porta-finestra si apre di poco lasciando filtrare di nuovo la musica. Annalisa la richiude e, nel girare la maniglia, controlla in alto e in basso) I1 saliscendi non s’inca­stra… Roberto, sapresti riparare un saliscendi? (Breve pausa) No, già, che te lo domando a fare? (Trascina un vaso e lo addossa alla porta-finestra in modo da impedirle di aprirsi) La prima colazione è quasi pronta, caro. (Incomincia a mettere ardine in giro: sprimaccia i cuscini del divano, rettifica la posizione di una sedia e di un soprammobile, ecc…) Per quanto tu possa essere felice, amore mio, non lo sarai mai quanto me. Da un mese soli, liberi, padroni di dedicare tutto il nostro tempo all’amore… (Si stiracchia con un muggito di piacere) Vedi che avevo ragione io a non volere più quei tristi incontri in albergo? Mai più alberghi, tesoro mio, mai più. Troppi occhi indiscreti ti scrutano mentre entri ed esci, troppa gente meschina e linguacciuta collega la tua presenza a quella di qualcuno che entra o esce prima o dopo di te e ci ricama dei romanzetti. Come faremo da Settembre in poi, chiederai, dal momento che ho deciso di chiudere con gli alberghi? Per il nostro primo mese di solitudine ho pronta per te una sorpresa. Appena mammina e i piccoli tornano dal mare, li mando per due mesi a San Martino di Castrozza. Mammina soffre d’asma e ne avrà beneficio e i bambini non sono ancora in età scolastica. A San Martino - ora ti spiego come ho congegnato il mio piano - oltre la villa, c’è anche la tomba monumentale di famiglia; sicché convinco mammina a restarci fino al 2 di Novembre per portare i fiori alle ossa dei De Bollis Geminiani. Ma non è finita, senti che piano! Siccome ad un’estate eccezional­mente calda segue di regola un inverno altrettanto eccezional­mente freddo, non appena rientrano gli faccio trovare pronti i biglietti aerei per il clima temperato delle Canarie. Mammina vi ha trovato sempre un sollievo per la sua asma e quindi scalpita per tornarci spesso. Ci pensi, gioia mia? Non uno, ma sei mesi ancora da dedicare all’amore! (Breve pausa) Uhm, che buon odorino che viene dalla cucina… Dopo la fiorentina al sangue, ti preparo il solito zabaione di sei uova… Che te ne pare del mio piano? Mammina e i piccoli sono sistemati. In quanto al carce­rato non lo metto in conto. Con la lentezza della Giustizia Italiana, prima che lo processino avremo tutto il tempo di farci il callo… (Si porta una mano alla bocca) Oh! (Con un sorriso pudico) Scusa, amore, è un modo di dire, come sai… non ho pensato al doppio senso… Sebbene (Dilatando le narici) Uuuhm! Maschiaccio insaziabile… (Breve pausa) Pochi minuti e la locandie­ra sarà pronta a ristorare - in tutti i sensi - il suo Robertino santo. (Manda sonori baci oltre la porta di destra ed esce da sinistra emettendo un sospiro da donna appagata e felice)

Da destra entra Roberto. Indossa calzoni attillati e una camiciola fantasia sbottonata fino all’ombelico,  mettendo in mostra il petto villoso sul quale piove una catenella d’oro alla quale è appesa una croce. Roberto incede e gesticola con la sufficienza dei rampolli della nobiltà meridionale e parla strascicando sussiegosamente le parole. Si accascia - ma elegantemente - sul divano e prende una sigaretta dal pacchetto che si trova nella tasca della camiciola. Scorge un accendino sul tavolinetto, allunga un braccio per prenderlo, ma non riesce a raggiungerlo. Tenta allora di trascinare a se il tavolinetto agganciandolo con un piede, con il medesimo risultato. Riflette un attimo, toglie la sigaretta di bocca e la lancia alle proprie spalle senza voltarsi.

ROBERTO: Annalisa, quando mi hai domandato se so riparare un saliscendi ho percepito nella tua voce una sfumatura di ironico rimprovero. Non negare, anima mia, perché ho un orecchio finissimo. Annali, tu lo sai che non ho nessuna inclinazione per la manualità, come dire riparare saliscendi, sturare lavandini o avvitare lampadine. Ti dirò di più: l’inclinazione non ce l’ho per nessun tipo di lavoro. Il lavoro è una scocciatura, anima mia. La gente comune obietta: ma come, il lavoro nobilita l’uomo… Non discuto; ma io, nascendo marchesino Pagliarulo d’Ayala, sono nato già nobile. Di conseguenza, che fatico a fare? Dico meglio: sono stato programmato già nel grembo materno per non lavorare, come papà mio, nonno mio, bisnonno mio, eccetera eccetera, e con questi eccetera potrei continuare fino a notte perché i Pagliarulo d’Ayala affondano le radici nel Sacro Romano Impero. Quindi, è pensabile che si possano dequalificare abbassandosi a dipendere da un capindustria qualsiasi? Noi, semmai, potrem­mo dipendere solo ed esclusivamente da un Sacro Romano Imperatore, ma dal momento che la sede è vacante ci sentiamo affrancati da quella tragicommedia che è il lavoro. Tu dici: i mezzi di sussistenza… Quelli non mancano, Annali, grazie all’amministrazione oculata dei nostri beni da parte di mammà. (Breve pausa) La quale, così come tu hai domandato a me se so riparare un saliscendi, si è stabilmente insediata nelle orecchie di papà: ”Gerlando, non stare in ozio; dammi almeno una mano ad amministrare la nostra cospicua fortuna. Io amministro e tu spendi e spandi.” E quando papà vendette sessanta ettari di carciofaia per onorare un debito di gioco: “Gerlando, io ti faccio interdire”. Lo disse e lo fece, danneggiando indirettamente anche me che attingevo ai medesimi fondi di babbo. Per fortuna l’interdizione durò solo sei mesi grazie ai buoni uffici dell’ordine di Malta, durante i quali - correva l’anno 1980/8l - approfittando della favorevole occasione di quell’iradiddio di sisma, me ne andai in Irpinia e vissi a carico dello Stato facendo il falso terremotato in un’albergo di prima categoria della Costiera Amalfitana. (Pausa, dedicata ad una breve riflessione) Beh, se vogliamo definirlo lavoro, da giovanotto presi in considerazione la possibilità di darmi al canto lirico. Ma non fu cosa. A parte la scocciatura dei continui spostamenti da una città all’altra che comporta l’attività di carattere lirico, c’era il gravissimo ostacolo che la mia è voce di baritono e quindi assolutamente incompati­bile con la mia nascita nobile. Facci caso, Annalisa: nella quasi totalità delle opere i baritoni sono fior di cornutoni. Ne parlammo con papà e convenimmo che per un marchesino Pagliarulo d'Ayala non era cosa dedicarsi a un’attività nella quale, sia pure come finzione scenica, si doveva esporre al ludibrio delle mas­se… Fossi stato un baritono chiaro, nelle mani di un buon maestro di canto avrei potuto cambiare registro, diventando tenore corto, cioè con gli acuti un po' limitati o, come si dice, alla cappone sgozzato. Ma non se ne è potuto fare niente, perché la mia voce è baritonale scura. Perché allora non ho studiato per basso, mi domanderai. Perché la voce è scura, si, ma non tanto da raggiun­gere il Fa grave. E senza il Fa grave, che schifezza di basso mi mettevo a fare?... Allora il basso buffo… (Ironico) E già, o cornuto o buffone. Come vedi, Annali, se una volta, dico una, decido di conformarmi ai pregiudizi della gente comune sul lavoro, in fondo alla strada mi aspetta il ludibrio. (Sillabando) Il la-vo-ro è u-na scoc-cia-tu-ra… E a proposito di scocciature, un mese fa ti ho detto che papà mio è stato interdetto per la seconda volta… - niente, una fesseria: si è venduto il castello avito di Porto San Felice! - ... e perciò, in mancanza di terremoti, ho accettato di essere alloggiato e nutrito da te. Fra due o tre mesi, però, l’interdizione sarà revocata grazie alle buone parole del ministro per gli interventi nel Mezzogiorno e il mio primo atto sarà quello di restituirti quei Venti milioni che graziosamente hai insistito a volermi prestare per far fronte alle mie spese minute. Siccome le ultime lire le ho spese poco fa per comperare due stecche di sigarette, se con tuo comodo me ne fai avere altri trenta, alla fine facciamo cifra tonda e te ne restituisco cinquanta a babbo disinterdetto. Scusami, anima mia, ma l’interdizione di babbo mi costringe a ricorrere di nuovo a te, procurandoti questa scoccia­tura… Lo so che sei o sette volte al giorno mi dici che quel che è tuo è mio, ma lo dici nel clou dell’incandescenza erotica, e il marchesino Pagliarulo d'Ayala, non è uomo che tenga conto delle parole dette dalla donna che lo ama - ardentemente riamata, come dicono le cifre - nei momenti in cui perde il controllo dei suoi centri inibitori. Una scocciatura è e tale rimane, e io insisto per restituirti la somma. (Suono di campanello) Ecco qua… si parlava di scocciature… E chi è, mo? (Verso sinistra) Non ci siamo! Siamo tutti in villeggiatura… (Si alza e procede sussiegosamente verso destra) Gesù, Gesù, ma perché la gente va bussando al campanelli quando sa che la Città è deserta? Non hanno niente da fare e vanno scocciando il prossimo. Gesù, Gesù... (Ed esce da destra)

Da sinistra entra Annalisa.

ANNALISA: Zitto, amore; dallo spioncino ho visto che è l’avvocato Lo Pesce, quello del piano di sopra… Solo un mese è passato e già cammina… Non fare rumore, gioia. Deve credere che sono partita per il mare. Aspetta che ti porto la colazione. (Esce in punta di piedi da sinistra: poi rientra con un vassoio colmo di piatti, tazze e bottiglie. Esce da destra e chiude la porta)

Sul balcone cade dall’alto una robusta fune. Qualche istante dopo, compaiono le gambe (una delle quali ingessata fino all’inguine) dell’avvocato Lo Pesce. Il quale, calatosi faticosamente sul balcone tenendo sottobraccio una stampella, si appoggia alla ringhiera preso dall’affanno. Inala un qualche medicinale e poi batte leggermente con le nocche sul vetro. Non ricevendo risposta, spinge la porta-finestra, che si apre facendo spostare il vaso.

VOCE VENDITORE AMBULANTE: …e zi aggiungo un servizio completo per olio, azeto e pepe vera Faenza, lire ventimila, siori. Prezzi da chiusura fallimentare, siori…

L’avvocato richiude la porta-finestra, rimette il vaso a far da fermo e, appoggiandosi alla stampella, si porta al centro della stanza.

AVVOCATO LO PESCE: Con permesso… È permesso? (Va sinistra e guarda verso l’interno) Si può?... E permesso?... (Va alla porta di destra, bussa, tenta la maniglia) Non tema, signora, sono l’avvocato Lo Pesce. Mi sono permesso di introdurmi in casa sua ricorrendo a un sistema eterodosso che ha messo a dura prova il mio organismo perché ho il fondato sospetto che qui dentro vi sia o vi sia stato un ladro. Non più di mezz'ora fa ho visto un giovanotto dal petto villoso infilare il portone con due stecche di sigarette sotto il braccio, e finora non l’ho visto uscire. Niente niente le stecche non contengono sigarette, bensì candelotti di dinamite per far saltare porte e casseforti? E’ stata disturbata da qualche deflagrazione? Mi apra, il cuore mi dice che su entrambi incombe una minaccia. Se il ladro è li dentro con lei, lanci un grido che telefono al 113! (Tende l’orecchio) Non ho sentito gridare, quindi il cuore si rasserena. Non vuole o non può aprire, signora? (Breve pausa) Credo di intuire la sua riluttanza a farlo, ma la mia presenza non deve causarle alcun imbarazzo, gliela assicuro. Veda, signora, non serbo alcun rancore a suo marito per il danno che mi ha procurato. Il cosiddetto danno, incredibile dictu, si è trasformato in un inatteso beneficio. Stando in ospedale, mentre i medici tentavano di completare l’opera iniziata da suo marito, sono stato amorevolmente accudito da una opulenta caposala, alla quale debbo la mia salvezza. Essa è dotata, oltre che di un’appetitosa carnosità, di un animo altamente sensibile e di straordinarie virtù terapeutiche, anche se limitate alla cura dei groppi. Inghiottito alla sua vista quello che mi ostruiva le vie respiratorie, il maledetto si è andato a insediare stabilmente nella sua sede, che non nomino per decenza, e di lì non si è più mosso da trenta giorni, anche perché si è trovato in buona compagnia. Ora, tra la caposala e me è sbocciato l’idillio. Dimesso ieri sera, questa mattina ho ricevuto una sua missiva con annesso test di gravidanza. Fra otto mesi, la mia carnosissima caposala diventerà mamma. Mi passi l’immodestia, signora: benché ingessato, benché sempre con un piede nella tomba, in corsia sono stato in grado di compiere fino in fondo il mio dovere di uomo… e ora mi appresto a completare l’opera: sposo la caposala! Come vede, non ho motivo di serbare rancore a suo marito, dal momento che al suo gesto, pur sconsiderato, debbo la fortuna di aver incontrato il ventottesimo unico grande amore della mia vita. (Tendendo l’orecchio verso il balcone) Ho sentito fermarsi una macchina. Chi sa che non sia lei… (Si trascina al balcone,  apre e si affaccia sulla strada).

VOCE VENDiTORE AMBULANTE: …uno zerbino con su scritto “Salve” a sole duemila e zinquecento lire. Prezzi manicomiali, siori.

L'avvocato rientra e chiude la porta-finestra.

AVVOCATO LO PESCE: Che lei sappia, signora, suo marito è evaso dal carcere? L’ho visto scendere da un tassì. (Da destra proviene un fragore di vetri in frantumi) Serve aiuto, signora? E’ crollato il lampadario? (Breve pausa) Dicevo, ho visto suo marito scendere da un tassì ma, anziché imboccare la palazzina, si è diretto al bar di fronte. Io non ho più motivi di rancore nei suoi riguardi, ma non posso sapere quali sentimenti lui nutra ancora nei miei. Nell’incertezza, ritorno a casa mia, seguendo la stessa via. Con permesso. (Si trascina verso il balcone, mette la stampella sotto un braccio e, afferrata la fune, inizia la scalata e sparisce).

Da sinistra entra Federico, tenendo in alto una bottiglia di spumante.

FEDERICO (facendo saltare il tappo della bottiglia): Sorpresa, sorpresa!... Chi è ritornato a casa in libertà provvisoria? (Esce da sinistra. Da destra, un cupo rumore di legno sfondato. Fuori di scena) Sorpresa, sorpresa, chi è ritornato a casa? (Rientra. Va a

­destra. Bussa alla porta) Chi è ritornato a casa dalla sua adorata Annalisa? (Breve pausa) Annalisa, amore mio di sempre, ho ot­tenuto la libertà provvisoria... non è magnifico? Amore santo, la gioia ti ha resa muta o ti ha fatto perdere i sensi? Scusami, conoscendo la tua ipersensibilità, avrei dovuto annunciarmi gradualmente... ma l’impazienza di rivederti è stata tale… mi capisci? (Breve pausa) E rispondi, Annalisa. Non dire che... che mi porti rancore. No, Annalisa mia, non ne hai più motivo: sono tornato a casa indossando il saio del penitente e con il capo cosparso di cenere. In questi orribili trenta giorni, cara, ho meditato fino a procurarmi gli spasmi al cervello e ho promesso a me stesso di renderti ampia ed esauriente confessione. Ho con me una lettera del cappellano del carcere, don Pocchia, con firma autografa autenticata dal notaio, che attesta la mia sincerità e la robusta consistenza del mio ravvedimento. Voglio gettarmi ai tuoi piedi, cara: alla vista di come mi hanno ridotto rimorso e pentimento, e alla lettura della lettera di don Pocchia, non potrai negarmi il tuo perdono. Lo agogno più della mia vita, che vengo a deporre ai tuoi piedi. (Breve pausa. Accigliato) Annalisa, ma perché non apri? (Grida, dopo aver tirato di tasca una busta che agita in aria) Ho una lettera di don Pocchia, perdio; porta rispetto a una tonaca! Apri o sfondo la porta a calci! La tua è una ingiustificata manifestazione di testardaggine. (Accanendosi sulla maniglia) Apri, perdio! (Desiste) E va bene, resta barricata. Sottraiti a una civile conciliazione... (Va su e giù per la stanza) Sei una dura di cuore, Annalisa; ecco cosa sei. Duole dirlo, ma hai un cuore di pietra. (Con espressione attonita) Dopotutto, che cosa ti chiedo? Di crollare in ginocchio per invocare il tuo perdono... (Pausa. Sbarrando gli occhi all'idea che lo assale) Oppure... No, non è possibile... Mi rifiuto solo di pensarlo... Oppure, c’è qualcuno con te? (Pausa) Ti sei consolata presto, Annalisa!... E dov’è, dov’è il drudo, l’hai nascosto nell’armadio? Se è così, Annalisa, bada! mi butto a capofitto giù dal balcone e passo dalla libertà provvisoria a quella eterna! (Corre al balcone e si arresta. attonito. alla vista della fume. Ne prova lo stato di tensione e rientra come una furia) L’avvocato Lo Pesce?! (Incredulo) Ti sei consolata con l’avvocato Lo Pesce? Sei caduta così in basso?! (Battendo manate contro la porta) Aprite, adul­teri! Tutto tollero tranne l’avvocato Lo Pesce nel talamo. (Urlan­do) Avvocato Lo Pesce, lei mi fa schifo! (Si immobilizza, come se avesse ascoltato qualcosa. Corre al balcone e guarda in su) Ah, ma lei è lì… E questa fune? (Pausa) Dinamite? (Pausa) Quale dinamite e quale ladro? Le ho domandato che significa questa fune... (Pausa) Ah, se ne è servito per scendere... Bene! E adesso me ne servo io per salire! A noi due, Lo Pesce marcio! (Si afferra alla fune e sparisce in alto)

Da destra schizza fuori Annalisa, sommariamente vestita. Va a chiudere la porta-finestra, vi accosta il vaso e corre a formare un numero al telefono.

ANNALISA (al telefono): Donatella! Grazie a Dio sei in casa. Salvami, tesoro. Due parole: ero con Roberto in camera mia... (Pausa) Che t’importa quale Roberto? Pagliarulo d'Ayala... Ero con Roberto... (Pausa) Ma perché m’interrompi? (Pausa) Sì, da oltre un mese, ma che te ne importa? Poi ti racconto. Dunque, ero con Roberto quando abbiamo sentito che arrivava Federico in libertà provvisoria. Roberto si è infilato nel guardaroba, ma dimenticando di aprire l’anta con lo specchio. Poi, una volta arrivato Federico, è corso a nascondersi in bagno, ma dimenti­cando di aprire la porta. Insomma, è passato attraverso lo specchio e la porta e adesso è mezzo rimbambito che non riesce a stare in piedi. Corri, Donatella, attraversa la strada e sali. Lascio la porta aperta. Vado in farmacia e ritardo il mio ritorno. Così Federico trova voi due e gli raccontate la storiella: tu te l’intendi con Roberto, dopo tutto sei separata, e io vi ho ospitati per una notte. Abbiamo bevuto parecchio, lui non ha retto l’alcool e si trova in stato confusionale. Tutto chiaro? Sei ancora in casa? Corri, tesoro, salvami! (Riaggancia) Roberto, respira profondo e rilassa i muscoli. Sta per arrivare Donatella. Ricordati la storiella da raccontare a Federico. E fatti una doccia fredda per rianimarti. (Esce di corsa da sinistra)

Da destra entra Roberto con la testa fasciata sommariamente e un braccio avvolto in un asciugamani. Ha i capelli in disordine, un lembo della camiciola fuori dei calzoni e la faccia piena di graffi.

ROBERTO (barcollando, come privo del senso dell’orientamento, e la mano valida sulla testa): Gesù Gesù, ditemi voi se con questo caldo torrido è il momento di concedere la libertà provvisoria alla gente... Potevano aspettare almeno le prime brezze settembri­ne… Gesù Gesù... Dov’è andata a finire la tanto strombazzata lentezza della giustizia italiana? E dove è andata a finire la doccia? (Apre la porta del ripostiglio) Qui non c’è. (Esce da sinistra e rientra dopo un istante) E neanche lì. Ma dove si trova sta cacchia di doccia? (Si lascia cadere sul divano) Non mi fido di camminare... non riesco a trovare la doccia per rianimarmi… Non mi ricordo chi è Donatella e che storiella dobbiamo raccontare... (Concentrandosi) Donatella... Donatella... Che sia la moglie separata di Lucio Manfredini? (Sgrana gli occhi e incassa la testa tra le spalle) Donatella, se mi trovi in casa della tua amica Annalisa in posizione ambigua, non pensare subito alle brutture. Il perché te lo racconta lei. Ci sta di mezzo un certo Lo Pesce che è venuto a minacciarla col lancio di candelotti di dinamite. Giovedì... o venerdì? Insomma, uno di questi giorni sposa la caposala di un ospedale... Madonna, ma che sto dicendo? Dove si è cacciata la doccia? (Ci pensa. poi punta un dito verso destra) Lì, la doccia sta vicino alla camera da letto. (Si alza faticosamente, tenendo sempre il dito puntato) Seguiamo la direzione indi­cata dalla freccia. (Si muove con il dito puntato davanti a sé, ma procede a ritroso ed esce da sinistra. Rientra) Ma com’è che guardo davanti e vado in retromarcia? (Allibito) Commozione cerebrale... (Cerca ripetutamente di muoversi, ogni volta sussul­tando, e alla fine riesce a procedere dritto, imboccando la porta di destra. Dopo qualche istante, si sente lo scroscio della doccia).

Da sinistra entra di corsa Anastasia, una mano premuta sul petto.

ANASTASIA: Cuore mio, non mi tradire proprio adesso... Federico! Allora debbo credere ai miracoli... (Commossa) Il cielo ha ascoltato le nostre preghiere, mie e della mia amica monaca montenegrina. Oh, amore, amore mio... Se sapessi di quali orribili incubi sono stati popolati i miei giorni e le mie notti. (Sopraffatta dall’emozione, siede in bilico sul divano, la mano sempre premuta sul petto). Ti immaginavo in carcere. sottoposto a chi sa quali efferate torture... La mia ambascia era tale che mi ha impedito di capire è di apprezzare quanto lo meritava la notizia della fortuna che mi è piovuta addosso. Tienti forte alla doccia, tesoro: circa un miliardo e mezzo di lire. Sì, hai sentito bene, (cessa lo scroscio della doccia) un miliardo e mezzo. Lo Stato Iugoslavo, dopo quarantacinque anni, pensa, ha deciso di pagare l’indennizzo per la nazionalizzazione delle “Caciotte Vidalovic”. E in qualità di unica erede della famiglia sono la sola beneficiaria. Non è meraviglioso? Non è un miracolo, anche questo? Caro, caro, un mese vissuto nell’ambascia... Per riuscire a dormire - dopo reiterate quanto inutili dosi massicce di sonnifero, col rischio di provocarmi un collasso - ho dovuto far ricorso a un ipnotizzatore. (Riprende lo scroscio della doccia) E’ un cugino della mia amica monaca, sai?, una cara, cara persona. Un vero gentiluomo, di saldi principi morali e timorato di Dio. Si chiama Figovic; montenegrino anche lui, per molti aspetti mi ricordava te, amore. (Piangendo dolcemente) Ti somiglia tanto che per giorni e giorni mi sono cullata nella dolce illusione che tu non mi fossi stato sottratto... Per rendere più accentuata la somiglianza, gli ho fatto togliere zucchetto e gonnellino e radere i baffoni spioventi; ma con tutto ciò non era e non poteva essere che un surrogato molto, molto tenue del mio tesoro caro. (Breve pausa) Sì, Federico, lavati, togliti di dosso il sentore della cella d’isolamento…. Ma non farmi aspettare troppo, caro. Io fremo, capisci? Fremo d'impazienza. (Pausa) Ora stammi a sentire, tesoro. Scrupoloso com’è, siccome voleva avere la certezza che fossi piombata in un sonno tranquillo e ristoratore, Figovic si tratteneva da me, ma non sempre, eh?, un po' più di quanto generalmente occorra a un ipnotizzatore per indurre il sonno in una paziente: diciamo due, tre ore… a volte qualcosina in più. Adesso, Federico mio - e vengo al punto - non mancheranno di certo persone meschine e linguacciute pronte a tessere romanzetti su chi sa quali turpitudini sul conto mio e di Figovic. Ma sono certa che non darai ascolto alle malelingue, caro, perché sai di essere il solo uomo della mia vita. Il ricorso all’ipnotizzatore è stato necessario, Federico. Ne andava della mia salute e dell’in­columità mia e altrui. Dopo sei giorni che non dormivo, all’Istituto non mi reggevo in piedi e non connettevo. Pensa che una volta ho usato sbadatamente il fulminato di mercurio al posto dell’innocuo citrato. L'esplosione è stata inevitabile. per fortuna con danni contenuti: solo due feriti e la vetrata del primario in frantumi. Inevitabile, quindi, anche il ricorso all'ipnotizzatore, su pressioni, tra l'altro, dello stesso primario. Non darai ascolto alle malelingue, vero, Federico? Alla sola idea che tu lo possa fare, guarda, sono pronta ad aspettare che tua moglie ritorni dai bagni di mare a settembre, confessarle la mia colpa e buttarmi a capofitto dal balcone... Perché quella sera ti sei comportato in quel modo, caro? Hai davvero potuto pensare che avrei ceduto alle lusinghe dell’avvocato Lo Pesce? Puoi pensare che io sia capace di cedere alle lusinghe di chicchessia? Il mio impulsivo e geloso Federico… L’avvocato Lo Pesce… Oh, signore Iddio. Capirei se a insidiarmi fosse stato Figovic, che mi ricorda tanto te... (Con espressione estatica) Una virile e apollinea bellezza, un fluido che ti attrae e ti soggioga, una forza interiore e… muscolare che neutralizza ogni tua resistenza... (Riprendendosi) Ma non parliamo di lui, tesoro; adesso al mondo non ci siamo che tu ed io. Amore, amore, amore... (Alzandosi, con voce isterica) Non posso aspettare di più: ti raggiungo sotto la doccia, all’uso montenegrino... (Incominciando a sfilarsi il vestito, esce da destra e chiude la porta).

Da sinistra entra Donatella in atteggiamento minaccioso, con la mascella e i pugni contratti. Avanza rapidamente verso destra e batte violentemente contro la porta.

DONATELLA: Roberto, apri! (Beffarda) Sono Donatella e a Federico dobbiamo raccontare una storiella… (Truce) Mascalzone, villano rifatto, figlio di puttana e smidollato! Chiuso qui dentro da un mese, è vero? (Dolce) Ma non dovevi essere a Porto San Felice per sovrintendere alla ristrutturazione del tuo castello avito? ...E io non ho potuto accompagnarti a causa dei calcinacci che provocano la congiuntivite, della mancanza di mobili e lenzuola e dell’odore acre dell’olio di lino che dà il mal di testa? (Rauca) Qui eri. Qui e a letto con la mia migliore amica! (Breve pausa) Roberto, vieni fuori o vengo dentro io catapultandomi dal lampadario. Bada, Roberto, che sono cintura nera e nella mani ho il callo giapponese. Ne ho spaccati di mattoni! Quindi, o vieni fuori con le buone, mascalzone!, o trasformo questa porta in un ammasso di stuzzicadenti e ti spacco la testa in due. (Breve pausa. Andando su e giù davanti alla porta) Posso capire che l’essere entrato in un guardaroba senza aprire l’anta con lo specchio e in un bagno passando attraverso la porta chiusa ti abbia tramortito... tu sei già un mezzo smidollato e non c'è da meravigliarsene... Ma voglio che tu mi renda conto - guardan­domi negli occhi però - del tuo vile e immorale tradimento, Voglio che tu mi renda conto - anzi, che tu mi re-sti-tui-sca, e subito, sull’unghia! i cinquanta milioni che mi hai chiesto in prestito per (imitando il modo di parlare di Roberto) “rifare il maquillage al mio castello, che sorge sull'estremo lembo della cerula baia, ove i fastosi avi oziar nei placidi manieri”… Mantenuto! (Va su e giù per la stanza, parlando a un personaggio imaginario) Ma come, ero sua, interamente, senza limiti nell’uso e consumo, e un mese fa il signor marchese Pagliarulo d’Ayala prende la strada del Sud. Per ristrutturare il suo castello sulla cerula baia, mi dice. E io: “Povero Roberto mio sotto il solleone dell’Italia equatoriale, col cappello di paglia e i calzoncini corti a grondare sudore tra i calcinacci e l’olio di lino. Sai che perdita di potassio!". Corro in farmacia, ne compro quanto occorre a far muovere una locomotiva e glielo spedisco. Otto giorni dopo, il pacco mi torna indietro: destinatario sconosciuto. Allora, col cuore in tumulto, telefono ai carabinieri di Porto San Felice e vengo a sapere che il castello avito non era più dei Pagliarulo d’Ayala, essendo stato acquistato dal proprietario del ristorante “L’abboffata”. Ma perché mi ha mentito? Nella mia mente si accavalla una ridda di supposizioni. Quel che ho potuto immagi­nare, da quell’ingenua che sono: i cinquanta milioni gli sono serviti per inviare aiuti al Terzo Mondo, per organizzare una marcia della pace, finanziare un attentato a Fidel Castro da parte di fuorusciti cubani. Il tutto a mia insaputa, perché la mano sinistra non deve sapere quel che fa la destra. Sono arrivata a pensare, commossa fino alle lacrime, che si fosse sottoposto a un intervento chirurgico per ridurre le emorroidi e che me l’avesse taciuto per un naturale senso di pudore. Pudore, lui! Il castello doveva essere ristrutturato per diventare il nostro nido d’amore, mi aveva giurato. Eccolo il nido d'amore, la casa della mia migliore amica... (Trattenendo il pianto) Ti pare giusto, Roberto? Andiamo, passati una mano sulla coscienza, se ancora ne hai una: ti pare un agire da discendente di Corradino di Svevia? Che cosa hai trovato qui che non trovavi da me? Amore, dedizione, sovvenzioni, alimentazione ricca di proteine... A quale tuo capriccio non mi sono piegata dopo aver letto tutti quei libri cinesi e indiani sulle acrobazie dell’amore carnale? Non mi sono esposta alle critiche della gente meschina e linguacciuta, col rischio che la nostra relazione venisse a conoscenza di mio marito e mi facesse mancare quella miseria di cento milioni di alimenti? Cosa credi che abbia provato cinque minuti fa quando ho ricevuto la telefonata rivelatrice di Annalisa? Altro che attraversare lo specchio di un guardaroba! ...(Piangendo) Rober­to, tu non ti sei limitato a schiantare lo specchio... Hai schiantato anche il mio cuore… (Con furia improvvisa, battendo i pugni contro la porta) E se adesso non apri, schianto questa porta! (Si tira su le maniche. Terribile) Roberto, incomincio a riscaldare i calli giapponesi!... (E prende a battere rapidamente le callosità delle mani contro il tavolinetto. Viene distratta dal rumore che fanno contro il vetro della porta-finestra le gambe di Federico, il quale scende appeso alla fune. Donatella si guarda intorno come alla ricerca di un nascondiglio, opta per il ripostiglio  e vi si va a chiudere).

Federico si ricompone l’abito e i capelli, ed entra richiudendo la porta-finestra.

FEDERICO: Sangue del diavolo, me lo poteva dire prima che lo aggredissi che sospettava la presenza di un ladro in casa nostra... Prima si dicono le cose, non dopo essere stato ridotto a una poltiglia! Che debbo pensare io nel vedere una fune calata sul mio balcone? Penso a Romeo e Giulietta, penso a Tarzan... (Va al telefono e compone un numero) Pronto Soccorso? Per piacere, con diritto di precedenza, un’ambulanza a via Papinio Stazio 118 bis. (Pausa) No, che colpo di calore... Ematomi, escoriazioni multiple, da tre a cinque costole fratturate e stato confusionale. (Pausa) Grazie, faccia presto. (Riattacca. Alla porta di destra) Ho agito impulsivamente, Annalisa mia, ma ciò ti dimostra quanto io tenga a te, amore mio. (Breve pausa) Ho promesso a don Pocchia di dirti tutto e mi appresto a farlo. Non aprire la porta, se non vuoi. Facciamo conto che sia la parete di un confessionale, anche se priva di grata... (Si inginocchia e si segna devotamente) Sono in ginocchio, Annalisa. Vuoi constatare o ti basta la parola? (Resta in ascolto) Ebbene, ascolta. (Compunto) Coccovic sono io; o meglio, sono stato io. Se apri la porta e mi guardi, mi vedrai tutto avvampato di rossore. Che vergogna, Coccovic… Anastasia è stata la mia amante, è vero: lo dico e mi manca il fiato. Faresti un’opera di misericordia, Annalisa, a praticarmi la respirazione artificiale. Ma come è stata la qualità di quest’amore? La stessa domanda postami da don Pocchia. E io ho risposto: infima, come confermo adesso a te. Una fiammata, un lampo di magnesio, come accadde anni fa con quell’altra stronzetta della tua amica Donatella. Con Donatella fu la mia inesperienza giovanile a farmi cedere, attratto come ero dall’involucro e noncurante del vuoto totale che tale involucro nascondeva. Ti ricordi quanto ne ridemmo dopo la nostra riconciliazione, Annalisetta mia? E neanche l’involucro, se vogliamo, era poi un granché... Tutti quei calli, quei muscoli da lanciatrice del peso tedesca orientale... (Ridendo forzatamente) Ah, ah, ah, quanto ne ridemmo! (Serio e drammatico) Con Anastasia, no, cara, con Anastasia c’era e c’è da piangere... Con lei sono rimasto vittima delle potenze inferna­li perché quella slava, una vera diavolessa, per fiaccare la mia volontà, è ricorsa alle arti magiche. Proprio come senti. All’Istituto, come sai, lavoravamo a stretto contatto di gomiti; inoltre si pranzava insieme alla mensa e ci si rifocillava insieme nelle pause con una tazza di caffè... Ebbene, con il caffè è incominciata la mia allucinante vicenda. La diavolessa versava nella mia tazza delle gocce di un intruglio afrodisiaco che si faceva preparare e inviare da una megera delle sue montagne e che aveva il potere di neutralizzare la funzione dei miei centri inibitori. Non conten­ta, e per portare fino in fondo la sua opera infernale, un giorno a mensa mi presenta un tale che dice di essere suo cugino, importatore di caciotte. Né cugino, né importatore, Annalisa. Pepelovic, questo il nome del figuro, era un ipnotizzatore. Ecco, grazie alle gocce della megera e al fluido di Pepeiovic, sono caduto tra le braccia di Anastasia e dalle braccia nelle sue mani. Il tuo Federico è diventato una marionetta priva delle facoltà di volere e intendere e mossa dal fili della diavolessa, il cui cuore di pietra non scalfivano le mie reiterate suppliche di restituirmi alla cara moglie e ai figli adorati. Tuttavia, Annalisa, anche nell'abisso della mia degradazione baluginava un lumino, tenue, impercettibile quasi, il quale faceva sì che non perdessi comple­tamente la speranza di risalire la china. Quel lumino - e don Pocchia ne ha convenuto - era il mio amore per te, che le arti diaboliche della slava non erano riuscite a spegnere del tutto. E alla luce tremolante che diffondeva quel lumino, dietro l’imma­gine satanica della diavolessa scorgevo la tua di angelo salvifico e consolatore. Niente aveva quella stronzetta di Donatella che potesse reggere al confronto delle tue virtù, mia adorata, e meno che meno quei satanasso in gonnella di Anastasia. Ti faccio alcuni esempi e perdonami se ti rivelo qualche particolare turpe. Anastasia, a forza di cavalcare all’uso montenegrino, altro che irritazione!, nel posto che puoi facilmente immaginare - e penso a te, levigata come un marmo! - le si sono formate delle mostruose callosità simili a quelle che i giapponesi dediti al karate e Donatella si procurano spaccando mattoni con la mano. Pensa, amore, a quali torture sono stato sottoposto finché è durato quel sedicente amore pecoreccio. E stato a questo punto della confessione che don Pocchia, arresosi alla forza dell’argo­mento, mi ha impartito l’assoluzione. Callosità a parte, e per scivolare nel sociale, dovresti vedere e sentire quando in pubbli­co o in privato mastica del sedano crudo... Tu, gioia, lo fai da quella De Bollis Geminiani che sei… In bocca a te, il sedano si scioglie, direi, con grazia incomparabile. Lei invece... crac!crac!crac!, mentre mastica mette in rilievo le ossa mascellari, da quella rozza contadina montenegrina che è. (Breve pausa) Lo stesso difetto di Donatella, in fondo. Ricordi quanto ne abbiamo riso? (Categorico) Niente da fare: o si nasce nobili o si va a lezioni di portamento e comportamento, se si vuol figurare! (Breve pausa) Russa. Sissignore, russa, così come lo senti. Dov’è, mi domandavo, il calmo respiro notturno di Annalisa mia, che sembra un’introduzione all’ascolto di Mozart? Russare, e va bene! Ma c’è modo e modo, santo Dio! Anche Donatella russava, ma non al punto da costringere il portiere dell’albergo a telefo­nare per chiedere con severità se ci eravamo portati qualche animale in camera... Donatella russa semplicemente da maschio, che non è poi la fine del mondo. Anastasia, invece... I grugniti di un cinghiale, al confronto, sono delle variazioni di Paganini sulla quarta corda. E con quest’immagine musicale - vivamente apprezzata da don Pocchia - ho concluso la mia confessione a lui e ora la concludo a te. (Si alza) Annalisa, considera questo mese di carcere come un mese di purificazione: fa conto che io sia stato in una stazione termale e lì abbia depurato il mio organismo dalle scorie impure che lo avvelenavano. Sono tornato a te limpido come un cristallo, pronto a ricominciare come ai tempi in cui facevo sbattere le porte e tintinnare finestre e lampadari del tuo palazzotto avito. Sono tutto tuo, Annalisa, e lo debbo restare: in attesa che nei miei riguardi venga pronunciata una sentenza definitiva - campa cavallo! - l’Istituto, è la regola, mi ha sospeso dall’incarico e dallo stipendio. (Rabbuiandosi) Annali­sa, non ho una lira in tasca... Se mi respingi, da chi vado? Quella morta di fame di Anastasia, tutt’al più, mi può offrire pane e caciotta... (Una seconda fune viene calata sul balcone. Alla sua estremità è legato un fucile. Federico sgrana gli occhi e cerca disperatamente di aprire la porta di destra) Oddìo! Apri, Anna­lisa! L’avvocato Lo Pesce sta scendendo in assetto di guerra! (Si guarda intorno preso da un tremito e va a chiudersi nel riposti­glio).

Servendosi dell’altra fune, intanto, l’avvocato Lo Pesce si è portato sul balcone. Imbraccia il fucile e si trascina verso il centro, sconquassato dai suoi tic.

AVVOCATO LO PESCE: Adesso mi renderà conto degli oltraggi e delle percosse, signore mio! Offeso e malmenato alla vigilia delle nozze... Ma le sembro tipo da mettermi a tare Romeo al balcone? Le sembro una controfigura di Tartan? Venga fuori, perdìo, e affronti virilmente la sua giusta punizione! (Silenzio. L’avvocato si mette a sedere sul divano, puntando il fucile davanti a sé) Prima o poi dovrà venire fuori e io qui l’aspetto! (E dà sfogo ai suoi tic, ingollando manciate di pillole)

VOCE VENDITORE AMBULANTE: ... prezzi da letto di conten­zione, siori. Tagliatutto con lama inox lunga ventidue zentimetri a doppio taglio lire undizimila. Si affrettino, siori, che tra qualche minuto scatta la chiusura estiva dell'esercizio... (Esplode la musica).

Col sottofondo dapprima della voce dell’imbonitore e poi della musica, da sinistra entrano Federico e Donatella. Lui è piegato in avanti, con una mano si massaggia un ginocchio, con l’altra preme un fazzoletto su un occhio e si volta ripetutamente a guardare Donatella con un’espressione di dolore misto a sorpresa. Lei, furibonda, ha le narici dilatate, gli occhi fiammeggianti e i pugni nei fianchi.

          L’avvocato Lo Pesce li osserva allibito.

Quasi contemporaneamente, da destra entrano Anastasia e Roberto, sui quali si puntano gli sguardi della prima coppia: furibondo quello di Donatella a Roberto; incredulo quello di Federico ad Anastasia. Questa e Roberto indossano gli accappatoi da bagno: lei è languidamente abbandonata nelle braccia di lui, che le cinge le spalle.

Adesso l’avvocato Lo Pesce, con la medesima espressione, osserva alternativamente le due coppie.

Sulla soglia di sinistra appare Annalisa, sorreggendo un sacchetto in dotazione alle farmacie.

L’avvocato resta impressionato dalla sua espressione (lo sguardo di Annalisa salta da una coppia all’altra, come rifiutandosi di credere a ciò che vede), abbandona il fucile sul divano e, rimpicciolendosi, raggiunge il balcone e inizia la scalata al piano superiore.

Annalisa si impossessa del fucile e - incurante di Federico che sventola freneticamente in aria la lettera di don Pocchia - fa scattare l’otturatore.

BARELLIERE (entrando da sinistra con relativa barella): È qui che serve un’ambulanza?

                                                          SIPARIO