VENEZIA CASANOVA
Atto unico
di
Andrea de Manincor
La scena, spoglia e quasi completamente squintata: la luce illumina appena una cassa , su cui è sdraiato un uomo. La luce, tenue e gelidamente piombante su quest’uomo, comincia ad espandersi, sempre lasciando delle penombre inquietanti per l’intera misura dello spazio scenico. Si cominciano allora ad intravedere sul fondo sedie e poltroncine accatastate, e sull’assito, sparse disordinatamente, le carte della confessione casanoviana, la biacca, una parrucca e quanto occorra ad incipriarsi, o ad agghindarsi in teatro, secondo tradizione.
L’uomo sciorina parole, sfarinate, deliranti, in una sorta di litania, e gesticola insensatamente con le mani.
CASANOVA: Io…ho… cento anni…Di più, di più…mille…mille… ne ho…Lui è giovane…Amato…Riama con forza di maschio…il suo oggetto…la donna…Nasce…il vigore dalle sue membra…giovani…mani possenti…sapienti…che cercano…il bene…maggiore…supremo bene…d’amore…Io ho…un vecchio dèmone…tra le cosce avvizzite…Lui…mi supera…ed ha un nome…famoso…Il mio serpente…Il suo serpente…è tanto più forte del mio…Oh…è vigore…è lotta impari…è cercatore…dell’onesto frutto…d’amore…
Lui ha…occhi vivi…La morte…adombra…i miei…occhi…vivi…i suoi…superbia…rancore…e tutto l’orgoglio…di un nome famoso…che io…non possiedo…non possiedo…Rancore…superbia…astuzia…Una volpe…(ride, alla pronuncia del nome in greco) Kedra…una volpe…Lui ha…una vita…intera…di vittorie…davanti…Io…solo la…memoria …di tante…illustri sciocchezze…di sconfitte…sulla via atroce…dell’esistenza (la voce compie una climax, sviluppandosi dal fiato ad un urlo pieno e lunghissimo) Casanovaaaaa!
L’uomo cade pesantemente sull’assito. Passano pochi istanti, durante i quali la luce sagoma e disegna meglio lo spazio circostante: di miseria, è fatto questo spazio, una miseria e una povertà però metafisiche, o comunque surreali, da teatro-cantina. L’uomo si arpiona, si avvinghia alla cassa, tenta un’improbabile risalita, alla fine, spossato, cede e s’appoggia con la schiena ad essa.
Casanova! E’ tutta…una disperazione, in quel nome…tutta una truffa, un latrocinio continuo. Cavaliere De Seingalt. Ah, ah ah! Cavaliere! Truffatore, giocatore d’azzardo…poeta, va! Più onesto, sarebbe stato più onesto…ma Cavaliere! Fregiarsi di un titolo che non gli sarebbe spettato mai…neanche l’avesse…pagato col sangue rappreso, grasso ed acido delle sue sconce prodezze. Avventuriero di quart’ordine, Casanova!
Pausa. Lentamente volge il capo ad osservare tutto lo spazio decaduto, in una sorta di anamnesi di ciò che lo circonda.
La mia stanza…a Dux…non so nemmeno dove sia finita…E’ la memoria, il cervello sfarinato che comincia a confondere e a vacillare…Vedo solo…vedo solo le rovine di un tempo che non mi appartiene più…ormai.
Là, su quella poltrona, ho veduto per la prima volta il seno generoso di…come si chiamava? Aveva quel nome…piccolo nome…Ma chi le vide il seno? Non io…certo… non io… E che faceva? … Cortigiana…Sì…era cortigiana…(in una pausa di riflessione e realizzazione) Vecchio e matto! Già! Spiego i miei pensieri al nulla…e questo nulla…(volgendo il capo direttamente alla platea buia) e questo nulla…sta tutto in queste facce…che non sono…oh no! Non sono quelle della mia vita…perché la mia vita…passata…ha conosciuto i volti che inebriava la giovinezza…che solleticava il piacere…ed il gioco sgovernava…trapassando il cuore di quei volti…facendo dispetti alla loro malinconia…Valeva la pena d’essere vissuta, quella vita…Ed io…non l’ho vissuta.
E d’accordo! Diamo al nulla questi quattro pensieri capovolti, scombinati dal tempo…Poco ci divide dalla morte…Diventeranno la menzogna sincera della memoria…che non è più.
Mentre lui…lui è ancora giovane…la vita davanti..fatta di sfrontate certezze…Lui possiede…la massiccia corporatura degli dei…Lui non ha bisogno di confessarsi…giustificarsi, no! Non ha memoria, ancora…L’animo suo…è pulito, chiaro e libero da ogni malafede…carpita all’ipocrisia degli uomini…è tutto istinto, furore primigenio, potenza, ardore…
Pausa
Ma dove sono? Se questa non è la mia…bella stanza…dove sono…Queste carte…cosa…(raccoglie un foglio da terra e legge)
"Io sono…nato da questo matrimonio…il 2 Aprile…Millesette…centoven…ticin…
que".
Pausa. L’uomo sfiora le labbra con una mano, e con la stessa fa velo prima sugli occhi, poi sull’intero viso.
Ma perché? Che c’era bisogno di…Perché ha avuto bisogno di…di confessare la propria memoria…Lui è giovane…tanto più giovane (Riprende a leggere) "Gaetano Giuseppe Giacomo abbandonò la famiglia…conquistato dalle grazie di un’attrice…Decise di guadagnarsi la vita a partito le sue doti personali…Si unì a Venezia…Venezia…ad una compagnia di commedianti che recitavano al Teatro San…Di fronte alla casa…in cui aveva preso alloggio…abitava un calzolaio…con la moglie (in un piacevole sussurro) Marzia…e l’unica figlia, la sedicenne Zanetta…Il nome è Zanetta…senz’altro Zanetta…Il giovane commediante si innamorò di lei…La indusse a lasciarsi rapire…(ora, senza più leggere, dichiara scanditamente e con puntualità, senza più alcuna incertezza) Io nacqui da questo matrimonio..
Poi, nuovamente come colto da un malore, che è, più che fisico, psichico, generato dall’anima
Ahhhh! Io no!… Io no…Io non sono…io sono nato senza avventure…alle spalle…il mio avvenire…Il mio avvenire era segnato dalla professione di mia madre… Puttana!
La mia vita…non ha l’importanza degli dei…Io non sono nato in quell’anno…Io ho secoli…E’ tutta dispersa, in pochi rivoli di banalità, la mia esistenza…!
Questa è opera sua…Casanova…Dove sei? Dove sei tu…giovane portento della natura…Dove sei? Difendimi se vuoi che ti difenda, preserva la mia anima intatta…Fra di noi esiste…quel maleficio…lo zolfo del demonio e il fiato storto di una vecchia strega l’hanno creato, seppellendolo fra noi, per sempre…Casanova!
Chi è nato nel Mille sette…Venti…Cinque? Chi? Non io, non io! Chi ha scritto qui? Chi ha imbrattato le carte con questo inchiostro…falso inchiostro…?
(Pausa. Ora porta la stessa mano, con la quale prima aveva fatto velo al viso, ai capelli)
I miei capelli…sono diventati radi…e brutti…hanno il biancore irriverente della vecchiaia…ci fu un tempo, in cui…Ma i suoi! I suoi capelli…Il mio giovane portento si lascia sempre pettinare i bei capelli…i bei capelli giovani…giovani come la sua carne…giovani come la sua esperienza…ha conosciuto da poco l’amore…Bettina…Bettina…Il suo amore si chiama Bettina…Il suo…si chiama Bettina…L’hai scritto qui, amico? Hai rivelato il nome della tua dolce, sorprendente innamorata qui? Hai lasciato alle carte qualcosa di lei?…Come hai potuto lasciare qualcosa…di lei…?
Faticosamente si alza, si riaccomoda sulla cassa
Sei ancora…così giovane…e già pensi a raggelare così la vita…con la penna…
Inizia a leggere
Bettina prese a cuore…con tanto scrupolo i miei capelli…veniva a pettinarmi tutti i giorni…e spesso lo faceva prima che mi alzassi…
Abbandona il foglio; a quel punto, la voce nuovamente assume una sicurezza di toni e colori, rivelando una sorta di dicotomìa fra l’anziano Casanova e il giovane Casanova, di cui il vecchio rammemora le gesta. Questo gioco durerà, sempre più sviluppato in volute inquietanti, per buona parte dello spettacolo. Appare una donna, sempre la stessa d’ora innanzi, a rappresentare le femmine possedute in gioventù dall’avventuriero Casanova
Mi lavava il viso, il collo, il petto; mi faceva carezze infantili che giudicavo innocenti, e mi facevano andare in collera con me stesso, perché mi turbavano.
Mi diceva che avevo la pelle liscia…pensavo che non potesse amarmi con malizia…la pelle liscia…il solletico mi costringeva a ritirarmi, irritato con me stesso perché non osavo ricambiare le sue carezze…Mi dava baci dolcissimi, mi chiamava…il suo caro bambino.
La figura femminile si avvicina a questo punto a Casanova, rimanendone però scostata, alle spalle
Il suo caro bambino …Una mattina…dopo avermi pettinato…mi disse che doveva provarmi delle calze…bianche…fatte da lei…Mentre le infilava…disse che…avevo le cosce sporche…s’accinse a lavarmele!
Pausa. Il vecchio lascia cadere atterrito, impietrito, il foglio
Come ho conservata, fina, la sua memoria! Come conosco bene il suo recente passato! Parlo con la sua voce, sento con le sue orecchie…sento…con le sue gambe…Che dono è questo…Con chi mi sono compromesso? Il piacevole strisciare delle mani di donna su queste cosce…avvizzite…senza ritegno…io lo sento…queste cosce punite…dall’acida vecchiaia…
Io la lascio fare…senza prevedere che…succeda. Bettina…la sua curiosità..la sua curiosità…mi procura un piacere così vivo…così vivo…che cessa…cessa solo quando ha raggiunto…(Pausa) Ahhh! Il peccatore torna a camminare i sentieri del peccato! La mia carne…squallida…si inebria perversa alle gioie di un vigore che non è il mio…che non mi appartiene…un vigore che in lui…cresce…crescerà…perché in fiore…ed io invece…io! La mia professione…è quella della fede, la mia professione…Ho portato sempre la croce, io, su questo cuore…La mia vita fu quella dei grandi predicatori…Ammassai folle che bevevano le mie parole, perché parole…toccate dalla fede!
Ora che son vecchio, il peccato sale di nuovo alla lingua, la mia bocca evoca un nome censurabile, si riempie del fiele fetido del libertinaggio…Perché mi ricordo quel nome…Perché mi ricordo… il nome…?
Casanova! Casanova! Quante volte ci siamo incontrati? La tua strada ha incrociato la mia, ed io ho difeso il mio signore dalle tue funeste insidie…Ma se in questo nulla ha un senso rivolgerti una voce…se queste parole…nude parole d’amore…se queste parole furono toccate dalla tua sconcia stregoneria di demonio…lascia che io trascorra lontano dalle secche del peccato i miei ultimi giorni…le mie ultime ore…e quell’innocenza…quell’innocenza che vive…ha vissuto…no, vive ancora attraverso queste carte…e le rischiara…quell’innocenza lasciala intatta…lasciala…innocenza.
Lo senti? Lo senti fremere, innocente, per quel suo giovane amore? Non osò pretendere di più, più di quanto non pretendesse la sua innocenza…Bettina…Bettina, tu te ne vai nella memoria…dei giorni più belli…i più belli…i più belli…
La figura femminile continua a rimanere in scena, immobile
Oh no…non te ne andare…Bettina…Lucia…Lucia?…(convincendosene) Bettina, Bettina! Si chiama Bettina…me l’ha confidato, lui me l’ha confidato, il nome del suo unico amore me l’ha confidato lui…Perché di questa carne, indecente carne d’abate, ha fiducia lui! Ha fiducia! Si chiama Bettina, eh sì! L’ho deve avere scritto ancora, quel piccolo nome…così mi crederanno…mi crederanno le facce di questo tempo smarrito…Hanno tutti stentato, sempre, a credere alle mie parole…parole d’abate…L’ho deve avere scritto ancora, qui! (raccoglie ancora un foglio) Luci! Lucia! Dappertutto! Allora…il mio giovane amico ha già tradito il più giovane dei cuori? Ora…quel cuore secco…quel cuore secco…il libertino Casanova…ha già messo il carro del peccato sulla sua strada? (Pausa)
Abluzioni, amico!…Sacre abluzioni!…Ci vogliono sacre abluzioni…Tu es pulvis et in pulvem reverteris…. Questa Lucia è certo creatura sconcia…avida creatura…del peccato! Va dilavata la carta imbrattata dalla penna del sacrilegio, dalla blasfemìa corruttrice di quell' eretico…Lui, certo, lui…guida la tua mano…perché guida il tuo pensiero…ed io ho da difenderti…
Pausa. Un duplice riconoscimento avviene da parte di Casanova: innanzitutto, della purezza quasi virginale di Lucia, giovane e innocente creatura, ancora non posseduta dal seduttore, nei primi anni dell’apprendistato libertino – si può pensare che ne recuperi, tra i fogli, un ritratto -; in seconda battuta, del fatto che tutto ciò che viene ricordando sia capitato a lui stesso, o che comunque con lui abbia a che fare, simbioticamente
Questa creatura…questa creatura…oh, è lei! Ha innamorato il mio signore…così candidamente…e lei…così candidamente..la pelle di alabastro…l’ebano dei capelli…gli occhi neri…(rispuntando l’anima nera della rimozione) pieni di fuoco…fuoco d’inferno, fuoco…di candore, col grazioso disordine della capigliatura, e una camicetta…una gonna corta che lasciava scorgere una gamba ben fatta e un piedino delizioso.
La donna si avvicina e si offre con il piede a Casanova, che comincia a suggerle l’alluce del piede
Quando t’ha incontrata? Quando…(Pausa) Anni…e anni…e anni fa! Secoli…montagne di secoli…a Paisano…Spesso, trovandomi le sue guance a due dita dalla bocca, sentivo il desiderio di coprirla di baci…Non ne potevo più, ad ogni istante sentivo crescere l’ardore che mi divorava!
No, non si può fare, Lucia! No, non si può fare, Lucia! Non puoi corromperti…perderti così, no…non puoi! Giovane…sei giovane…Vedi, per te ho gli occhi umidi di lacrime…ah ah ah! Che falsità…però…Si scoprì ella, per asciugarmeli…e con quel gesto…sembrava volermi confessare…
In una sorta, ora, di palpitazione orgasmica
" Mio caro abate, se l’amore è un tormento per lei me ne dispiace, ma è mai possibile che lei sia nato per non amare?" Lucia, abbandona ai miei baci ardenti la tua bocca divina!…
Casanova bacia il nulla, mentre la figura femminile si allontana, verso le sedie accatastate sul fondo scena
Bocca divina…bocca di peccato…saliva e materia del suo cuore…Dì, è bello? E’ bello questo giovane che ti ha sgovernato i sensi? Lucia, è bello!…Ziogar…ziogar ancor…Parla, sì, dimmi…dimmi che è bello; bacia le sue labbra…bacia il suo petto…denuda il tuo…oh, ma solo per svelare l’animo, il cuore…un cuore a nudo è più bello…bello e innocente…innocente…che scena perfetta!…me la vedo…il mio signore è un giovane dai modi delicati, e dai tempi sincroni…
Raccoglie da terra un po’ di cipria da teatro e con essa si imbiacca il viso e le mani
Che dolci mascherate…che squisiti travestimenti…il mio signore, giovane attore…viaggia senza requie…ed è bello seguirlo per l’Europa: l’Italia, Roma, Napoli…Parigi, Costantinopoli…la Francia…E’ una cosa…una cosa…che l’anima ci si inebria, in questa cosa…Ha lo spirito dei conquistatori, dei Matamoros della scena…lui è…tutto ciò che io non sono stato mai…Niente sfiorisce tra le sue mani delicate…delicate…Tocca la pelle di seta di giovani corpi, come il suo…ne nasce una musica…una musica…di candore inviolato…
Pausa. Si rivolge alla figura seduta presso le sedie
Vero, Nanette, vero Marton? La sua carne vergine…Vero, Lucrezia…com’è la sua carne vergine?…Ripetetelo, ripetetelo! Ora, me l’avete sussurrato, ora! Ve ne siete già scordate? Come avete potuto…come avete…non potete, non potete!…Ah no, no! Io…son troppo violento, io! Io sono…un essere abbietto! Io non ho conoscenza delle tremule sensazioni femminili, io! Perdonatemi, perdonatemi! A letto…a letto!…Con la candela spenta…E voltatemi le spalle…
Inizierebbe ora una minuta descrizione delle prodezze del giovane Casanova, iniziato ai misteri d’amore dalle donne evocate, se non fosse che questa descrizione si perde in ambiguità sintattiche, in incertezze della voce, in fremiti di incredulità, che esplodono in un orgasmo di risa finale e sbertulante
E a caso…rivolsi le primi attenzioni…a colei che stava…destra, stava…non sapendo se…Nanette…Marton…Lucrezia…Bellino…Bettina…travestita da…castrato
Bellino…e le sue sorelle…ah ah ah…le sue sorelle…Tutta rannicchia…te…tutte avvolte nella sola…camicia da notte…ah ah ah…La misi…le misi…in condizione…dizioni…di dichiararsi…confessarsi…vinte…vinta, una vinta…di convincersi che…la cosa migliore che…potesse fare era…continuasse cioè… a far finta… di dor…mi…re…Intesa…perf…imperfet…Raggiunsi la…Felice di aver…goduto il piacere….il dolore…goduto il dolore…lasciai la mia…vitti…Offrii alla sorel…gemella…gemelle…Offrii un tribu…un tribu….ah ah ah…to…trib…del mio ardo…re…dolore…piacere…I primi approcci…i primi…come se avessi paura di…sbaglia…sveglia…re…e sbagliar… I sensi! I sensi…cominciai ad ecci…eccit…ec…ci…verginel…verginelle…no, no! Tutte e due verginel…cedette…cedetti…alla…al pien…ah ah ah…del sentimento che sagitava…sagitava…abbracciai…ah ah ah…abbracciò me…con frenesia…mi abbracciò…ah ah ah…nel momento della…crisi…mi coprì di…ingiurie…ah ah ah…macché…baci…mi coprì…di baci…ah ah ah…e l’amore…confuse…le nostre…ah ah ah…anime…ah ah ah…le confuse eccome…in un’unica…ah ah ah…voluta…ah ah ah…voluttà…ah ah ah…
Giunto come ebbro alle ultime battute, Casanova sfoga quest’ubriacatura dei sensi e della propria stessa incredulità in un riso lungo ed epocale
E’…una piena…che trabocca…L’anima è colma di ogni suo piccolo sentimento…Io non credo a una sola parola di tutta questa…follia…Ma lui è…trasfuso completamente in me, completamente! La mia carne si muove comandata da un cuore non mio! A lui…qualcuno ha insegnato ad amare…non io certo! Come avrei potuto io? …Ho come un nodo qua, alla gola…un’angoscia antica…una tentazione alle lacrime…Non mi ricordo il suo nome…Non mi ricordo il suo nome…il nome del mio giovane padrone…non lo ricordo! (Raccoglie nuovamente una delle carte)
Qui…ho scritto io…la mia scrittura…si è contorta tutta, qui…Mi ha dettato lui…Sforzati, vecchio pazzo, sforzati! Quando l’hai scritto, quando? E’ tua questa mano, guarda, è malferma, insicura…Ecco perché…ecco perché…io rammento tutto…tutto…tutto di lui…Ma non ne conosco il nome! Non lo conosco! E’ di nuovo lontano lui! Il suo genio l’ha portato nei teatri d’Europa.
Principi, la nobiltà tutta si spezzano le mani, ad applaudirne l’abilità, la maestrìa infinita! Giocoliere…giocoliere…funambolo dell’anima…Oh giovane dio della farsa e del travestimento! Come vorrei essere ancora con te…con te…docile servo…non costretto, qui…non costretto da un luogo e da un tempo irriconoscibili…T’accompagni la fede, sempre!
Ma chi gli ha insegnato ad amare, vorrei saperlo! E così…? E in che anno siamo? Che anno è mai questo?
Pausa, poi
Certo, l’anno della mia suprema disgrazia…della vergogna ingiuriosa…l’anno della perdita dei sensi…dell’infiacchimento sovrano…l’anno…della morte…di un gelo e di un soffio appena, che chiude i battenti della porta…e lascia la vita…fuori del calore…domestico e selvatico…Ho così…grande desiderio…di piangere tutte le lacrime che non ho mai pianto…sono io, che ho scritto qui…della vita altrui…cancellando la mia…?
Sono vittima dell’incantesimo di un mago…(ridendosela, come imbonitore di piazza)
L’inventore dei giochi della nobile società parigina! Casanova! Sempre lui.
Io…mi ricordo…solo quel nome! Come se non ne conoscessi altri! E non ne ho altri, nella mia bocca…Io…come mi chiamo, io? Possibile che io…non abbia…non abbia avuto un nome…mai? O anche…una cifra…un segno per un passato che non fosse solamente la servitù…e l’ossequio impostore…ipocrita…l’ossequio al giovane attore…?
E queste carte…sono forse sicuro…che siano d’altri l’animo, la mente che l’hanno pensate…o non è mio…mio il frutto spropositato di questo ricordo…?
Una vita…che non è la mia…o è stata…mia…per un attimo!
Mi…digo…che vorìa…tornar…a ciarlar una lengua…che la sia quela…del mi’ paese…dela zente mia…dela mia çità…
Un luogo oscuro…impressionato… nella mente…un ziogo de periculo…insinuato per sempre nel cuore…E topi, vedo…grandi come cattedrali…come la Santa cattedrale di San Marco…e l’odore fetido delle prigioni…e di quell’odore ho ribrezzo, e di quel fetore ho paura…e poi l’abbandono…un tremolìo infinito di luci e ombre…un baluginare d’oro zecchino sullo sciabordare dell’acque…acque…e vedo una donna…che mi sconforta per sempre il destino…una donna con una nome piccolo…un nome piccolo…Bettina…Henriette…straniera…un ragionare e un amarsi attraverso corpi che ragionano…a quel punto la mente non è separata… dal cuore…e i corpi si fanno una parola sola, si fondono…e parlano…dialogano, i corpi…la carne dialoga loquace nella sola lingua che conosce, nella sola, grassa parola consentita…dell’amore…E che gran tentazione di piangere…Che lacrime impertinenti…Rigano il suo volto…Henriette…Creatura mia…non piangere…Slacerato il cuore, non ti resterebbe granché…Anima mia…Vita mia…
Direttamente al pubblico
Voglio tornare in Europa! Signore, giovane portento, riprendimi con te! Voglio tornare in Europa, voglio apprendere la divina arte dell’amore e dell’inganno…che resto a fare qui? E’ tutto…ombra, qui…Voglio travestire il mio volto avvizzito…voglio sonare le campane sul palcoscenico, voglio un teatro e una maschera…voglio la biacca degli antichi attori…voglio la musica e il canto dei castrati…Voglio scrivere per le scene…E trionfare…e vivere ricco…e morire immortale…! Morire immortale!
E’…che…non voglio morire…E mi fa paura , la morte! E mi fan paura, le carni dei vecchi! E mi fan tremare i capelli bianchi!
Voglio il nome del diavolo! Voglio il nome di Casanova!
Lo scrosciare degli applausi…o i silenzi delle stanze dove si consumano giochi di coppie…la lussuria! La lussuria! Voglio abbandonarmi al peccato…io…che avevo deciso…di votare alla castità…la mia vita…Henriette!
La figura femminile si riavvicina, ora con una grazia tutta materna e particolare, commossa, alla ricerca di un vero contatto con l’uomo
Henriette! Perché sento…che non sono l’unico a morire? E’ come se morisse…morissero…con me…le passioni di mille vite…di nobili città…in un fuoco che è grande…e non lascia scampo…Henriette! Sai?…Non è vero…A te lo posso dire…A te…Non fu eroica la mia fuga dallo stento delle prigioni…Approfittai…come sempre…approfittai…e mi vantai…dell’inettitudine degli uomini…della loro innata corruttibilità…Il cuore degli uomini…è uno sforzo continuo a compiere il male…Quanto male, quanto male!…Fossi marcito, laggiù!
Non avrei lasciato traccia alcuna di quest’esistenza…misera…senz’avventure…colma di imprese flaccide e irriverenti…peccatrici…spesa a rincorrere la mia stessa solitudine…come una mèta!
La donna gli si accosta in qualche modo donandoglisi, e Casanova ne cerca il tenerissimo abbraccio
Henriette! Io non ho mai saputo che fosse…la lascivia! Ma ho ingannato la mia stessa ingenuità…Il male peggiore…l’ho commesso abbandonando il mio cuore puro all’ipocrisia altrui…perché ne facessero pasto, un sorbetto per un pranzo ingordo, insaziabile…Mi son preso gioco di me stesso, Henriette!…Henriette…E perché conosco il tuo nome?…Sono sparite già le altre, dalla memoria…le donne che si chiamavano…si chiamavano…Non so come…Il mio giovane signore ha avuto sul suo cuore l’animo delle donne…son scritti qui, i loro nomi…Basterà che io li legga, vero Henriette?…E la memoria tornerà a galoppare giorni di gloria…della sua gloria…della mia gloria…
Si riappropria dei fogli, e come in un’ossessione, vi legge solamente
Io sono nato…Millesettecentoventicinque…
Ripete questo, sempre più concitatamente, 5 o 6 volte; infine, non trovando scritto altro sulle carte, urla, disfatto
Vattene! Vattene Ma che anno è questo? Ed io…io ho peccato al punto d’aver smarrito la testa nelle confessioni altrui?
Io non sono nato nel 1725!
Io…non lo so, io…io non so…gli anni…gli anni, quanti siano…su queste spalle...non lo so…Vattene demonio! Vattene! O fatti riconoscere, se la mia anima è quella che cerchi, per scaraventarla all’Inferno! Io sono un gran credente…E certo tu fosti inviata perché la perdessi, l’anima…ed il fuoco eterno mi raggelasse in un impeto di furia estrema! Perché il calore diverrebbe ghiaccio… e rancore… insopportabile per l’Inferno stesso!
Dov’è…Nonna!…Cara nonnina…Dove sei…sono così vecchio, che t’ho persa nei secoli…Marzia…nonna…vita dolce, mi educasti al bene…dove sei…Dov’è la mia stanza…i miei giochi…Bei zioghi…L’Europa è niente…niente di fronte a Venezia…Utero Venezia…Baluginare di luci…Ombre…Sciabordare d’acque…tremolìo d’ombre…scivolare di luci…oro zecchino…azzurro intenso…sacri misteri di San Marco…ed ambrosia…vino e nettare degli dei…com’è infelice la vita degli uomini, al crepuscolo…E quando l’alba non sorge più…Venezia…sogno lungamente sognato…la culla…la culla…
La donna si fa dolce e piangente, e culla il vecchio Casanova, ma con un desiderio nei movimenti, come se stesse fremendo sotto carezze dolcissime
Son stato buon cristiano, io…credente…sempre…anche nell’assassinio…Ho inventato solo qualche sollazzo per gli sciocchi…Io mi chiamo Giacomo…Ecco, il mio nome…nel punto della morte, quando tutto, tutto…la coscienza degli uomini del tempo che vissi…tutto è alla fine…Ma non mi fa paura la morte…Mi chiamo Giacomo, Venezia…Partito che ero bambino…avevo il sussurro fresco dellla vita…mi chiamo Giacomo…Volevo amare il mondo…non gli volevo fare male alcuno, al mondo…mi chiamo Giacomo…abbandonai la mia città, Venezia….per seguire un giovane portento…il suo nome…ora ricordo il suo nome…Sogno, il suo nome…il giovane lo portava con disinvoltura, questo nome…Sogno…Io mi chiamo Giacomo…E di cognome faccio…Ho ingannato la fede…professai la truffa…mi congiunsi con la lussuria…direttamente…mi chiamo Giacomo…mi deliziai agli inganni…Giovani italiane, vecchie parigine….Io mi chiamo Giacomo…ho professato
la maschera e il travestimento…avventuriero…filosofo…e cavaliere…De Seing…la cabala…continuo a chiamare Giacomo la mia persona…Ma di cognome faccio…La mia vecchia serva…mi bruciò le carte…vi scorse il peccato…Venezia, tienimi stretto fra i brividi…di un gelo…Le sentono, là, le parole di un pazzo? Sono vecchio e mi chiamo Giacomo…Di cognome faccio…Il gelo, Dio mio, il gelo…Fai all’amore, Venezia, con me…ché non l’ho mai fatto…tra gli sfilacci delle cupole…le colonne ridenti…le travi solitarie delle case…le calli sconce e festanti…splendide…arrossite dal sole…come il volto di sale ed argilla delle donne…e i loro cuori di marmo...I cuori…I cuori…Mi chiamo Giacomo e di cognome faccio…Di cognome faccio… Guarda,Venezia….Henriette guarda…Lucia…Bettina…Guarda…Faccio…Faccio…
Di cognome…Faccio…
I
Sale una musica, una sonatina del Galuppi, prima distinta, poi in combinazione con un vociare confuso, cannoneggiamenti, note dalla Marsigliese: è la fine di un’epoca
Sparano…e cantano…è finito il mondo degli inganni e dei travestimenti…sparano per lui… e per me…Ma il cuore…degli…uomini…sempre…corrotto…rimarrà…Di cognome faccio…Casan…Aiutami…chiama…la mia…serva…Aiutami…e bruciami tutto…tutto…ma non il cognome…Casano…non il cognome…Casano…Il cognome…
La musica si fa inesorabile, scrosciante, con i rumori, e gli spari. La donna abbandona il corpo, prende la parrucca, la pone sul capo dell’uomo, ne imbiacca il viso, ad invecchiarne i lineamenti, si abbassano le luci e cala la tela.
CASANOVA, una nota.
Il secolo dei lumi fece, probabilmente, una scoperta epocale: quella della morte.
La lascivia, a cui molti intellettuali, spiriti illuminati del proprio tempo, si abbandonarono, uomini colti, trascinati spesso in un turbinio libertino e sfrontato senza regole e senza precedenti, questa lascivia, ebbene, sembrò essere un antidoto naturale ad un senso di finitudine, che per la prima volta nella storia dell’uomo si sentiva incommensurabile, pur nella meraviglia e nello stupore generali per le straordinarie scoperte scientifiche, per la compilazione dell’Enciclopedie di Diderot ed accoliti: un senso di finitudine che si contrapponeva in maniera filosoficamente contraddittoria ad un’epoca sfacciatamente ottimistica.
Casanova, dalle "Memoires" - più precisamente, "Histoire de ma Vie" - alle riuscite ricerche biografiche, anche recenti, risulta vivere profondamente il proprio secolo, anche in questa unicissima e sostanziale contraddizione.
Lo spirito libertino, che gli consente di passare felicemente, e facilmente, da una carriera all’altra, e da un letto all’altro,è senz’altro cifra di una determinazione, di una volontà all’inseguimento del tempo che fugge e sfugge pericolosamente di mano.
La rivoluzione francese e il tempo dei grandi stravolgimenti sono giunti: le stanze dei nobili, quelle stesse dove si consumarono i più giocosi tradimenti, dove si compirono le efferatezze peggiori con in bocca il sorriso, si son tinte di un sangue, le cui macchie rimarranno incancellabili, indelebili - come la mano di Lady Macbeth dopo il delitto.
Il profumo della morte, e di quel sangue che è segno inesorabile della fine di un mondo in cui tutto era permesso, solo che si possedessero i mezzi, quel profumo che obbliga l’uomo alla risoluzione estrema, al redde rationem con se stesso e il proprio passato, si propone come spunto iniziale di quest’atto unico, dove i piani di lettura si triplicano:
1- da un lato, Casanova rantola le proprie ultime ore, snocciolando pezzi della memoria che si sta slacerando, confondendo i nomi, o eguagliandoli tutti, nonostante l’imponente opera di (ri)scrittura del passato;
2- da un altro lato, egli stesso si frantuma in tre persone (il Casanova che è, anziano, quello che fu, giovane, e quello "dannato", vero e proprio tramite fra i primi due), in una impossibilità a ricomporsi, essendo la coscienza colma delle bugie, che un tempo furono giocose ma ora son divenute insopportabile peso per l’anima.
3- infine, l’aspetto onirico, di sogno prefunebre, prende forza e concretezza di immagine, attraverso un attore (Renato Perina), che si mostra assai più giovane del Casanova maturo, giunto a un passo dalla fine, ma proprio questo aumenta la distanza e la frattura dalla verità - verità frutto della penna di Casanova, si badi -
delle carte e delle memorie.
Il monologo diventa l’occasione di un’assolutamente immaginaria, e immaginata, confessione di Casanova, che nell’incubo si vede come fu, forse nel momento del massimo splendore e vigore fisici, ma anche nel momento di massimo compimento del peccato, avvertendo d’essere ad un niente dalle tenebre.
Venezia è estranea al testo sino alla fine, Quando invece Casanova se ne riappropria, chiamandola "utero", volendone usare il corpo in un supremo atto d’amore, in un’impossibile, e incestuoso, amplesso, che è una sorta di regressum alla nicchia materna, in una volontà di sparizione ed annullamento e, allo stesso tempo, di rinascita e rinnovamento.
Al di fuori dell’incubo, finisce un’epoca, si ode il bombire dei cannoni, un vociare confuso e fastidioso per chi, come Casanova, lontano da Venezia, lontano dalla natalità, si travestì e giocò, come altri, forse un po’ troppo con la vita, e fu spettatore e attore del gran teatro ilare degli inganni, su cui doveva miseramente e tragicamente calare un sipario lungo decine d’anni, colorato col sangue.