Venezia

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VENEZIA

Commedia in due atti

di GINO ROCCA

PERSONAGGI

NINA

GAROTTI

MARIANNA

TARQUINIO

BETTINA

TONINO

TERESINA

BOBOLO'

ZANZE

CELESTINO

MADONETA

SONZIN

UNA COMARE

PIERETTO

UNA RAGAZZA

ANZOLO

UN'ALTRA RAGAZZA

NANE

SANDOLINO

TONI

STEFANO

UN RAGAZZO

Commedia formattata da


ATTO PRIMO

Sera di luglio. La barca è lega­ta al palo, e la riva è la breccia di un muricciuolo sul rio. L'acqua del rio palpita, e la barca lieve­mente ondeggia. Si sente, lonta­nissimo, un frinir di mandolini e un sospirar dì canzoni.

L'acqua, oltre il muricciuolo arso, e il cielo oltre le negre ca­tapecchie di fronte, sono invisibi­li: ma s'indovinano egualmente le stelle nel tono semplice di chi parla, nelle pupille lucenti di chi guarda, nella serena ed estatica placidità di quel vecchio pescatore scamiciato che è seduto sul da­vanzale della finestra di fronte, come sul bordo del bragozzo sot­to la vela, ed accende la pipa sen­za badare alla fiammella che gli tremola fra le dita, perché ci son tante fiammelle dovunque che non si spengono mai, che non co­stano nulla, che son fresche, che son liquide e limpide, che non brucerebbero un velo.

Sul muricciuolo passa un gatto bianco: dall'alto pende la rama di un fico. Dentro la barca c'è una rossa luce diffusa, e un voga­tore e un ragazzo accendono i palloncini di carta; e si vede una tavola rozza, con dei piatti, delle bottiglie, dei bicchieri ed un enor­me cocomero nel mezzo. Dall'alto, dal buio, la voce stri­dula di una comare:— Baldoria tutte le sere dal Doge! Se manca la Bucintoro di casa Sghembi, il Redentore si of­fende e rimanda la festa a un . altro giorno! Nane... Hanno mes­so l'anguria come il mappamondo di palazzo Vendramin in mezzo alla tavola.

Nane                             - (il pescatore, borbottan­do fra una pipata e l'altro) Strenzè el mondo, e slarghè la Dominante.

La comare                     - Ma presto, con tutte queste feste, dovranno strin­gersi la cinta dei pantaloni. Per adesso si accontentano di cucir­ne il fondo, con il filo che doman­dano in prestito.

Anzolo                          - (il vogatore, seccato, le­vando la fronte) E se voi vi cu­ciste la bocca?

La comare                     - (dopo una risataccia) Non potrei più ridere. Per­che queste cose mi fanno proprio ridere! Ed è giusto che mi di­verta anch'io. In ogni modo, ca­ro accendimoccoli, me la cucirei senza bisogno di chiedere in pre­stito il filo ad alcuno.

Anzolo                          - Ed allora non lagna­tevi.

La comare                     - Non mi lagno. Guardo e me la godo! (Ride).

(Si sente un coretto e una mu­sica passare in barca lungo il rio vicino. Domina una voce fresca di donna).

La comare                     - (a Nane) Sentite quest'altra, Nane!

Nane                             - Chi sono?

La comare                     - Deve esser la figlia di Cate erbivendola: mi par di ri­conoscere la voce. Svergognata! Con tutto quello che è capitato a suo fratello!

(Il suono si allontana, s'inca­verna nel rio).

Dall' alto, un'altra voce festosa: Filomena! Filomena! Guardate gli ombrellini colorati.

(Nane, Anzolo e il Ragazzo guardano il cielo: si sentono gli scoppi lontani dei razzi: un riaverbero giallo e rosso, per un at­timo, illumina la scena).

La comare                     - Oh, Nane'! Se fos­se proprio oro che piove, andrei con la cesta in laguna a racco­glierne un poco!

Il ragazzo                      - Ma è flioco; e chi sa che non ve ne caschi un tanti­no sulla lingua.

La comare                     - (furibonda) Sulla lingua di tua zia, bardassa! e su quella di tutti i furfanti come te!

(Il crepitare di altri razzi in alto, e il balenìo di qualche luce in scena).

Una ragazza                  - (dal buio) Che bellezza! Sei chiuso in casa Pieretto?

Pieretto                         - (dal buio) Io no... ma son solo!

La ragazza                     - Meglio! Se fossi­mo sole noi, se non ci fosse il nonno che è sempre in casa!

Pieretto                         - Diteglielo al nonno, che vi lasci venire fin sulle fonda­menta!

Un'altra ragazza            - (ride) Co­me facciamo a dirglielo? è sordo.

La ragazza                     - Lo chiudiamo in cucina con la chiave. Tanto si ri­torna subito: non è vero, Pieretto?

Pieretto                         - Dieci minuti..

L'altra ragazza               - (affannata) Aspettatemi, che prendo lo scialle!

(Una miriade di razzi, lontani, vicini, di tutti i colori. Giungono di sinistra, lente, guardinghe cur­ve, cariche dì pacchi, dì scialli, di scatole e di cuscini, Nina e Bettina. Nina è una ragazza di ventidue anni, bionda, esile e gen­tile: il suo sorriso è mite ma fra gli occhi una ruga] che s'è già scavata indelebile, precisa lo sfor­zo costante di una volontà tenace e la presenza del dolore al cospet­to di un'indole che lo sa affron­tare. Camiciolina bianca, sottana grigia, una certa cura nei capelli e nelle mani; labbra scolorite e occhi lucenti. Sorregge la sua non­netta, Bettina, che ha ormai più di settant'anni e trascina dolo­rando le gambe malate. La si­gnora Bettina ha un cappelluccio nero sul pochi riccioli bianchi, ed è bruna, tremula e rassegnata; la Nina per lei è tutto: la sua men­te, il suo bastone, il suo cuore, la sua speranza e la sua festa. -Giungono pian piano spiando in­torno. Poi Bettina si appoggia al muretto e Nina depone cauta­mente nella barca, aiutata da An­zolo, ogni cosa. Aggrappati alle gonnelle di Nina sono anche i suoi due fratellini: Teresina e Tonino. Teresina ha nove anni e Tonino ne ha sei. Tutti e due sono cupi, assonnati; mangiano e sbadiglia­no, e aspettano che Anzolo li prenda per andare a ruzzolare fra i cuscini nella barca).

La comare                     - (dall'alto, sarcasti­ca) Anche la nonna portano a spasso, Nane! (E ride).

(Nina e Bettina sollevano la fronte come se qualcuno le avesse sorprese a rubare).

Nina                              - (si riprende, tenta di sor­ridere, e risponde alla comare) Anche la nonna, sì, Filomena. E vogliamo divertirci tutti stanotte.

La comare                     - Con i piccoli della Marianna?

Nina                              - Con i miei fratellini, si: la famiglia intera.

Il Pescatore                   - (borbotta) L'e­migrazione dei popoli!

La. comare                    - Vuol dire che la va meglio, signora Bettina, con i vostri dolori alle gambe!

Bettina                          - (sorride a stento) Un pochette, sì. E mi farà bene una boccata d'aria.

La comare                     - Andate al Lido, come'i signori?

Bettina                          - No... (guarda Nina) Troppo strepito da quella parte! Non so. Vogheremo verso.... (Ad Anzolo e al ragazzo, cambiando discorso) Oh, bravi, bravi! I pal­loncini... i fiori...

Nina                              - (dalla barca, dove ha già messo a posto ì piccoli) Vedi?

Teresina                         - E ci sarà anche il gelato, nonna?

Nina                              - Sì, sì, anche il gelato, Teresina. Vedrai che il papà è an­dato a prenderlo per tutti!

Bettina                          - (desolata) È andato a prenderlo per tutti, (a Nina, con il pianto in gola): E tanto ghiaccio, mi hanno detto. Ma co­me fa? Come può?

Nina                              - (con fermezza quasi ru­de) Buona, buona nonna! (a An­zolo) Anzolo, aiutatela voi. Io, vedete, ho tanta roba...

(Bettina scende a stento nella barca e la seguono i due bam­bini) .

Anzolo                          - (a Nina) È tutta ro­ba da mangiare?

Nina                              - No, anche da dormire... perché può darsi che più tardi i piccoli abbiano sonno.

Tonino                           - (si accovaccia piagnu­colando) Tanto sonno, nonnet­ta... Tanto sonno.

Nina                              - (accomodando i cuscini) Sì, sì, Tonino! Vedrai che potrai dormire.

Bettina                          - (carezzando la testa del bimbo) Ma non piangere, gioia della tua nonna! (Si sforza per ridere) Guarda un po' se la nonna piange! Eh? Si va in bar­ca, ci si va a divertire... Vedremo tanti bei fuochi, faremo suonar la chitarra.... Bisognerebbe ridere, no? (A Nina, con gli occhi lucidi, giovanissimi) Pare che se la senta!

(Nina risale sulla riva).

Teresina                         - E la mamma, Nina?

Nina                              - Dovrebbe essere già qui. Adesso tu stai tranquilla e riposa un po' là accanto a Tonino.

(Bettina si alza e si appoggia al muricciuolo).

Nina                              - (a Bettina, dopo di essersi assicurata che tutto è a posto) Io faccio un salto da Garotti.

Bettina                          - (con la voce aspra) Ed è quel... bel figuro che ha vo­luto tutto questo!

Nina                              - Nonna, bisogna accon­tentarlo, lo sai. Ha fatto tanto per noi. E, poi, forse è meglio: cosi non lo sa nessuno.

(Il ragazzo è risalito anche lui sulla riva, ed è andato a fumare un mozzicone in un angolo).

Bettina                          - Domattina lo sapran­no tutti. E diranno: senza salu­tare.

Nina                              - Salutare? Per sentirli ciarlare? Per vederli sogghignare? No, no, nonna: è meglio così.

Bettina                          - (senza alzare il capo, alludendo alla comare) C'è an­cora quella strega alla finestra?

Nina                              - (sbircia) No, non c'è al­cuno. (Ad Anzolo) Voi, Anzolo, andate a prendere le due sedie.

Anzolo                          - (balza sulla riva; ha i baffi duri, la faccia cotta, la voce rauca e il petto muscoloso del vogatore) Sì, se lo comanda.

Nina                              - Son là: le ho lasciate io prima vicino al pozzo.

(Anzolo prende la sigaretta in­filata fra i capelli e il padiglione dell'orecchio, la rotola fra le dita nere e dondolando s'avvia).

Nina                              - (guardando nella barca) E tu non toccare niente, Teresi-na! Non toccar niente, se no il papà si arrabbia. Mettetevi là, dove sedeva la nonna. Là fermi e vicini. Ecco: bravi, (a Bettina): Vado da Garoffi perché voglio farmi dare la lettera.

Bettina                          - (ansiosa) Quale?

Nina                              - Quella per il suo cono­scente di Bari. Se non vado io, ho paura che. si dimentichi.

Bettina                          - (c. s.) Ah, ma però il resto lo ha tutto sistemato!

Nina                              - (suadente) Sì, nonna: sì. Tutto.

Bettina                          - Ma quel benedetto uomo, che testa! Ridurci tufi co­sì: come zingari... peggio: come ladri che scappano... Anche me, che son vecchia, che son nata qua, che non mi son mai mossa da Venezia neanche quando vo­stro nonno, poveretto... (con un singhiozzo) Vedrai, Nina, che non ci torneremo più!

Nina                              - (reagisce) Nonna, nonna! E allora perché hai detto a To­nino che bisogna ridere? Bisogna fingere, bisogna saper fingere an­cora per poche ore. Se tu sapessi che vita faccio da tre giorni!

Bettina                          - Eh, credi che non lo abbia indovinato, piccola? Tu sei la nostra salvezza. Se tu ci fossi mancata con quel tuo papà di stoppa, con quella tua mamma che perde subito la testa...

Nina                              - (le mette le dita sulla boc­ca) Stt!

Bettina                          - Sei una santa tu; e Dio ti ricompenserà.

Nina                              - Ma non in terra, nonna! Pazienza. (Solleva con cura un piccolo paniere che aveva deposto nell'ombra accanto al muro; guar­da nella barca): E questo biso­gnerebbe metterlo...

Bettina                          - Il gattino?

Nina                              - Non ho avuto il corag­gio di abbandonarlo nella casa vuota... (Fruga con cautela nei cenci): Colarin! ... Musetto! ... Dorme. (Depone il cestello sul muro).

Bettina                          - Ci sarà un po' di lat­te per lui.

Nina                              - (indica la tasca gonfia del­la gonnella) Ne ho una botti­glietta... me l'ha regalata Cen­no... povero diavolo: Cencio, stasera. È come una di quelle botti­glie dove si mettono le gazose, ma più piccola delle solite. (Cam­bia tono) Ah, ecco la mamma! Di­glielo anche tu, nonna, che non si faccia capire da alcuno!

(Giunge la signora Marianna: quarantasei anni devastati dal ne­vischio che pare tenga continua­mente sconvolti i suoi capelli; gli occhi stralunati, le movenze disor­dinate, la disperazione e la rabbia costantemente in gola. Sorregge a stento una borsa rigonfia e lascia che s'insudicino sulle pietre le frange dello scialle).

Marianna                       - (depone la borsa e si torce le dita) È andato a pren­dere ancora del vino!

Nina                              - (dolcemente) Ma biso­gna, mamma, se no...

Marianna                       - Ancora quattro bot­tiglie! In quanti saremo?

Nina                              - In sette o otto.

Marianna                       - Altre trenta lire, per lo meno!

Nina                              - Ma non è quésto che deve preoccuparti ora, mamma!

Marianna                       - (esaltandosi) Ah, no?! Ma per tante piccole cose tutte tutte eguali a questa siamo arrivati fin qua!

Nina                              - E bisogna «farsi coraggio.

Marianna                       - Eh, tu ne hai: lo so. Tanto che — guarda — in questi tre giorni mi sono doman­data se sia insensibilità la tua, se non assomigli più a lui, a quel... che a me.

Bettina                          - (severa, a Marianna) Lascia stare la Nina, Marianna! Lasciala stare. Che, se non c'era lei...

Marianna                       - Non te la tocco, mamma! Non te la tocco! Guar­da: questa è la borsa delle ultime cose nostre... (Leva il naso verso gli abbaìni delle catapecchie di fronte): C'è nessuno che spia las­sù? Perché bisogna pensare che dobbiamo fare molte ore di treno e che sui treni non lasciano por­tare troppa roba. Nascondi subi­to là in fondo. (Bettina eseguisce. Nina è rimasta pensierosa, con il gomito appoggiato al muricciuolo, accanto al paniere).

Marianna                       - Quanto aspettere­mo a Mestre?

Nina                              - Dipende da quando ar­riveremo a San Giuliano, e se il papà avrà voglia di vogare per aiutare Anzolo.

Marianna                       - Ma gli altri discen­dono prima, no?

Nina                              - Gli altri, si sa. Gli altri vengono a far baldoria in lagu­na; e poi, ad una certa ora, a mezzanotte, li sbarcheremo sulla riva degli Schiavoni.

Mariana                         - (smaniando) Belle trovate quelle del signor Garoffi! Eh, lui, adesso, può prendersi il lusso di essere crudele come un boia! Siamo nelle sue mani: si sa. (Porgendo un involtino a Bettina) Prendi la tua madonnetta, mamma. Quella te l'eri dimenticata, eh?...

Nina                              - (facendosi animo, spor­gendo il cestello a Marianna) E questo, nonna.

Marianna                       - (fiuta, sospettosa) Cos'è questo?

Nina                              - (si ritrae) Roba mia.

Marianna                       - (che ha capito, vibra) Il gatto? Collarin? Ma tu, figlia santa... Per fortuna che. la tua nonna dice che sei quella che ha la testa più a posto di tutti noi!

Nina                              - (con un nodo in gola) Ma vuoi che lo lasci solo, nella ca­sa vuota, sperduto?... È così pic­colo, mamma!

Marianna                       - Piccolo e mangia come se fosse un lupo! (Alza la voce) Fino a Bari...

Bettina                          - (spaurita) Stt!

Marianna                       - (sottovoce) Fino a Bari! Chi sa quando arriveremo in quel paese che non riesco ad immaginare, che penso ficcato in fondo alla strada di tutte le ro­vine!... col gattino, quaranta ore di treno, forse più... e se te lo la­sciano portare, e per dargli da be­re, e per far ridere tutti, e per pagare magari la multa! Volete dunque che io diventi pazza del tutto? (con un singulto): Perché lo sto diventando, mamma, sul serio! E se ve ne accorgerete stra­da facendo, buttatemi giù... but­tatemi giù, prima che mi butti giù io dal finestrino! Starete più comodi tutti. (Si asciuga la boc­ca).

Bettina                          - (guarda Nina; poi) Marianna, andiamo!

Marianna                       - E bisognava che ci fosse anche questo commedia! per far dire a tutti che siamo scappati con il trucco, cantando e bal­lando!

Nina                              - Lo diranno quando non ci saremo più, mamma! Per lo meno non sentiremo, non vedre­mo!...

Marianna                       - E sei ben sicura che non sospettino già? Guarda: la Toti, erbivendola...

Nina                              - Oh, quella è un secolo che sparla di noi!

Marianna                       - No. Diceva: Cal­do! C'è quasi da augurarsi di an­dare in galera per stare un po' al fresco. Che ne dice suo marito, signora Marianna? E mi fissava con quel suo occhio solo che pare di pietra.

(Anzolo ritorna con due piccole scranne e con, un remo che depo­ne nella barca).

Bettina                          - Bravo, Anzolo.

Nina                              - Bravo.

Anzolo                          - (risalendo sulla riva) Mentre si aspettano gli altri, vor­rei andare un momento...

Nina                              - Eh, ma si parte subito, io credo.

Anzolo                          - Qua, dietro la chiesa, a farmi dare un pezzo di corda per legare la forcella, da mio com­pare Isepo... Due minuti (Indica il ragazzo): E rimane lui. Se dob­biamo tornare domattina...

Nina                              - (sottovoce) Sì, ma ci avete promesso dì non dirlo ad alcuno!

Anzolo                          - Non dico mica che parto con voi! Una vogata fino a domattina, per prendere e per ri­portare della roba. Quante volte l'ho fatto! (E si avvia).

Marianna                       - (siede su di una pie­tra, affranta, accanto alla breccia) Ha voluto proprio la serenata in barca! (Guarda un palloncino che dondola e fumiga).

Nina                              - Vedi, mamma: non po­tevamo proprio rimanere un'ora di più. Domani arriverà l'ispetto­re, e tutti sapranno tutto. Va be­ne che Garoffi garantisce con la sua cauzione e che non ci sarà la denunzia; ma il papà ha sempre fatto una cosa...

Marianna                       - (aspra) E credete , voi che sia la prima?

 Nina                             - (riprendendola, dolcemen­te) Mamma!

Marianna                       - E sperate che sia l'ultima? Vedete, se fossi sicura almeno di questo, partirei un po' più serena, anche con la barca e i palloncini! (Con uno scatto): Ma se Garoffi vuol proprio, adesso che è diventato ricco, farsi ren­dere omaggio dai Polpato, perché non fare l'invito in casa nostra?

Nina                              - Con tutta la nostra ro­ba venduta, portata via?... senza più niente?

Marianna                       - (persuasa) Hai ra­gione. (Poi, inferocita): I soldi! Adesso spera coi soldi di farsi a-mare! Ma lo odieranno, invece, di più. Come finiremo per odiarlo anche noi, anche se ci aiuta!

Nina                              - Non parlare così, mam­ma! Adesso vado da lui per ve­dere se ha scritto una lettera. (In­dica, commossa, il cestello): E questo lo lascerò qua a qualcuno. Sei contenta? (Indica i bimbi): Pensa a loro. Vedi? Tonino già dorme e sogna sul serio che per la prima volta lo abbiamo por­tato in laguna a vedere i fuochi. Povera anima! Sii forte, mamma! Vado e torno. (Si avvia, dopo un attimo di esitazione, decisa).

Marianna                       - (tormentando le fran­ge dello scialle) Però lui, Garof­fi, sa... sa tutto. Va bene: ci salva. Ma sa con che animo si allontana da Venezia questa po­vera famiglia disgraziata, per non si sa dove... e forse per non tor­nare mai più. Però, vuole avere la sua soddisfazione, anche, se ci co­sta un'angoscia infinita. I Polpato sono amici nostri e lui non li può conoscere che in questo modo. Li vuol conoscere, e li vuol umiliare. Loro sono stati villani con lui, e lui, adesso che è ricco, li vuol umiliare. Cena in barca, gita sul­la laguna, brindisi... E, poi, spen­ti i lumi, sbarcati tutti gli altri, rimasti noi soli, via nel buio, verso terraferma... verso un tre­no che ci porterà con le nostre poche robe... (Strappa una fran­gia dello scialle, e, poi, la na­sconde in tasca pentita). Ma come si può imporre una commedia di questo genere soltanto per un puntiglio, per un brindisi, per un po' di vanità?... Guarda, mam­ma: io dico che è stato Stefano a mettergli in testa un'idea di questo genere!

Bettina                          - Ma via!...

Marianna                       - Sai, lui... pur di mangiare, pur di scialare... Ca­pacissimo di dimenticare, per tre o quattro ore, fin che dura la fe­sta, che cosa è successo e di di­vertirsi veramente. Lo vedrai mangiare a quattro ganascie, con­tento come una pasqua... Eh, lo conosco meglio di te, mamma! E pensare che la colpa è tutta sua!

(Preceduti da un vociare festo­so e confuso giungono Stefano, Celestino e Sonzin. Celestino è un ometto pallido, stecchito, sen­za labbra e senza ciglia: ha il na­so adunco ed ha la chitarra sotto il braccio. Sonzin è briaco: un briaco coscente, ciarlone ed ame­no: la giacca sulle spalle, il cap­pello sdruscito sugli occhi stan­chi, i baffi in bocca, la bocca ba­vosa. Stefano regge a stento un grosso paniere colmo di frutta, di tegami e di barattoli e di botti­glie. Comincia ad essere flaccido: ha cinquant'anni ed è vestito be­ne, da bottegaio in fronzoli, con la cravatta unta ma nuova. È uno scioperato goloso e pieno di albagìa: e sarebbe rissoso se non fosse pigro. Le scarpe lucide gli fanno male).

Sonzin                           - (ha voglia di discutere. A Celestino) La serenata che si usa adesso è un'altra. Abat-jour è roba di due anni fa: era il mio cavallo di battaglia; ma anch'io adesso mi vergognerei di suonar­la, caro il mio Paganini.

Celestino                       - (secco, stridulo,, pic­cato) Abat-jour intanto non è una serenata.

Sonzin                           - Ah, no? E non lo ca­pisci dalla parola anche se è fran­cese? Abat-jour? Guarda: io non ti voglio offendere come si è offe­so quel mio amico che tutti cono­scono, ma te la traduco: paralu­me... che vuol dire...

Celestino                       - Eh, lo sappiamo!

Sonzin                           - Con la luce blu: luce di sera, luce velata, luce in ca­micia da notte... (Ride sganghe­rato, e poi vede Bettina e Ma­rianna e si ricompone): Buona se­ra, comare Marianna! (A Bettina, sorpreso): Oh, anche lei qui! Non le dò la mano, se no arrischio di cadere in barca: ed io non sono invitato.

Stefano                         - (ha deposto le provvi­ste sul muricciuolo) Mi dispiace, te l'ho detto! Ma non ci sarebbe posto...

Sonzin                           - (annusa il paniere, pal­pa le bottiglie) E quando c'è di questa roba fina, è meglio essere in pochi! No, no: io vado a piedi e vedo le girandole anche senza andare in laguna! Però, parola di galantuomo, Stefano: alla prossi­ma gita lo dici anche a me. Io pago la mia parte se occorre.

Stefano                         - (che svuota con affet­tuosa cautela il paniere) Ma che storie!

Sonzin                           - Siete andati in barca anche l'altra sera e vi siete di­vertiti come matti: lo so. Avete invitata Luganega che è meno a-mico vostro di me. Per ciò, la prossima volta...

Stefano                         - (seccato) Sì sì, la prossima volta!

Sonzin                           - E il vino lo porto io! (Ride): Io lo porto bene il vino, eh, comare Marianna?! (Traballa).

Bettina                          - Però, stasera andate a casa, Sonzin!

Sonzin                           - (ride) In queste con­dizioni? Mi vergogno. Che cosa direbbe la mia signora? Buon di­vertimento. (A Celestino): E lei si ricordi che la serenata che si usa adesso è un'altra!

Celestino                       - Io conosco quelle vecchie che son sempre le più belle.

Sonzin                           - (allontanandosi) Sarà. Ma bisogna andare coi tempi. Coi tempi, giovinotto! Anche se son brutti. È legge. Guarda i pittori. Loro dicono: Avanti sempre. Brutti quadri, ma avanti sempre. È legge di Dio. E Bertoldo che la sapeva, lunga diceva: Dopo il brutto viene il bello. (Sparisce canticchiando).

Stefano                         - (depone le bottiglie sulla tavola) Sentirete come suo­na Celestino!

Celestino                       - Oh, Dio! mi arrangio. Loro lo sanno... A mezzanot­te però vorrei essere a letto!

Marianna                       - (guarda torva Stefano) A mezzanotte torneremo tutti!

(Stefano pulisce gravemente i pochi bicchieri con l'alito e con il tovagliolo).

Celestino                       - (comincia a pizzica­re la chitarra perché altre musi­che sospirano lontano e il suo estro si eccita) Ho saputo che ci saranno anche i signori Polpato. Li conosco. Gente chic.

Stefano                         - (seccato) Si va a re­spirare una boccata d'aria, a ve­dere i fuochi... Con la musica si voga senza fatica e si respira meglio... (.4 Celestino) Si metta là.

Bettina                          - (si sposta) Venga qua, Celestino.

Stefano                         - Ecco: mettete que­ste due o tre cose sotto il sedile di poppa, là... (A Marianna, aci­do): Aiutalo, tu! Attenti a non rovesciare quel vaso: c'è il gela­to. Ecco: così. (Si asciuga la fron­te) Ah, che fatica, signori miei! E che caldo! (A Marianna): La Nina?

Marianna                       - È andata da Ga­roffi a farsi dare una lettera.

Stefano                         - (sottovoce.) I biglietti li ha lei?

Marianna                       - È l'unica che abbia la testa a posto. Li ho dati a lei. Se no, arrischiamo di perdere an­che quelli.

Stefano                         - (ha svuotato finalmen­te il paniere, e siede sul muric­ciuolo) Fatto anche questo! (Do­po un attimo) Bari!... Laggiù la­vorano meno che da noi.

Marianna                       - (scatta) Lo dici tu!

Stefano                         - L'ho sentito dire.

Marianna                       - Perché hai inten­zione di fare ancora meno di quello che facevi qui?

Stefano                         - (si domina a stento) Senti... Abbiamo deciso di parti­re cantando. La Nina ha fatto tutto lei. Io ho detto: « Ci sto ». Ma se tu avessi cambiato idea, ti avverto che cambio idea anch'io; resto a Venezia, mando in malora Garoffi e tutti i suoi soldi, e va­do domani mattina diritto diritto a presentarmi in questura...

Marianna                       - (con la rabbia e il pianto in gola) Oh, se non fosse per questi piccoli innocenti, ti giuro...

Stefano                         - (scivola pigramente a terra) E allora se è per gli in­nocenti, calma. Perché io, anche se andassi in prigione, ci andrei a fronte alta. Io non ho fatto che dare nella mia vita, sempre tutto, senza contare. Se una volta, per sbaglio, ho preso, facciamo i con­ti: e vediamo chi ha da restitui­re e chi da farsi rimborsare. La giustizia qualche volta capisce e perdona. (Agitandosi). Ed anche questo Garoffi che adesso mi aiu­ta (con tutte le dovute precauzio­ni, intendiamoci!) crede forse di darmi più di quello che gli ho da­to io? Quante volte è venuto a casa nostra, a mangiare, a man­giare così che pareva non avesse veduto un pezzo di carne da vent'anni? Siamo stati gli unici a Venezia che lo hanno sopportato, così insistente, permaloso, scon­troso e maldicente!

Marianna                       - Oh, adesso vedrai!

Stefano                         - Perché ha ereditato? Lo so. E dirà che mi ha salvato dalla galera: lo so. Lo fa più che altro per questo: per poterlo dire. Lo so. E io, se la Nina non aves­se tanto insistito…. (Guarda giù, oltre il muricciuolo, si commuo­ve)... se non ci fossero... E dob­biamo anche partire in barca, con i lumi accesi, per far piacere a lui, perché vuole che gli si fac­cia festa in presenza dei Polpato che non hanno mai voluto rice­verlo in casa loro e venire in casa nostra quando sapevano che c'era lui... Ed hanno fatto bene! (Si soffia il naso con rabbia, e sputa) Stupido!

Marianna                       - (dopo un attimo) Quanto hai speso?

Stefano                         - Non lo so.

Marianna                       - (con angoscia) Tut­to? Ti sei comperato anche delle cravatte...

Stefano                         - (tronca) Tanto lag­giù lavorerò, e un pezzo di pane ci sarà... (A Bettina, gioviale): Oh, nonna! Mangeremo il gelato in mezzo alla laguna, e svegliere-mo Tonino! Vi piace la crema? (Giunge un ragazzetto con un grosso pacco gocciolante, e lo por­ge a Stefano. Stefano porge il pac­co a Bettina): Questo è il ghiac­cio! (Al ragazzotto dà la mancia) Bravo. Prendi.

Marianna                       - (c.s.) Ancora ghiac­cio?

Stefano                         - Fa tanto caldo, ca­ra! Tanto caldo!

Marianna                       - Dicevo per questo: si scioglie subito.

Stefano                         - Bel ragionamento!

(Il ragazzotto saluta, ringrazia e se ne va).

Stefano                         - (dal muricciuolo ai Ce­lestino) Celestin, vi piacciono le seppie?

Celestino                       - (ghiotto) Oh!

Stefano                         - Sentirete che roba!

Marianna                       - (borbotta) Da matti!

Stefano                         - Appunto, roba da matti. L'ho detto anche a Tarquinio di venire.

Marianna                       - (scatta) Ma allora ci voleva un transatlantico!

Stefano                         - Ci staremo tutti be­nissimo. Però non si vede ancora nessuno. (Guarda il cielo, che, ogni tanto, s'illumina): E i fuo­chi son cominciati da un pezzo! (Ad Anzolo che fuma in un an­golo del campiello): Quanto tem­po c'impiegheremo?

Anzolo                          - (rauco) Da dove?

Stefano                         - Dalle fondamenta nove.

Anzolo                          - (guarda le braccia di Stefano) Dipende.

Stefano                         - Su me non bisogna contare molto.

Anzolo                          - (guarda il ragazzo) Quel giovine è in gamba. Due ore.

Stefano                         - E poi, da San Giu­liano?

Anzolo                          - Si va col tram.

Stefano                         - Un'ora. Avremo tem­po di annoiarci alla stazione di Mestre. (Si riavvicina a Marianna).

Marianna                       - E quanto ti ha chie­sto, quello là, per la barca, per il passaggio?...

Stefano                         - Già fatto.

Marianna                       - (irritata) Quanto? Tu ti fai sempre...

Stefano                         - (sbuffando) Senti, non ricominciare!

(Giunge Sandolino, svelto, ila­re, cordiale, con il suo giubbetto di tela bianca da garzone parruc­chiere, il ciuffo nero e riccioluto sulla fronte pallida, gli occhi cer­chiati quasi malati e la bocca già tormentata da un segno di malin­conia. Ha venticinque anni ed ha le tasche gonfie di giornali: stringe sotto l'ascella la busta dei suoi pettini e dei suoi ferri, un libro gualcito ed un rotolo dì musiche. Come lo vede Marianna sì rasse­rena e sorride materna. Sentendo pronunziare il suo nome anche Bettina si affaccia dalla barca, e sorride).

Marianna                       - Oh, Sandolino

(Ma Sandolino che fischiettava trotterellando si arresta contraria­to e tace quando vede ì palloncini accesi e la barca colma).

Sandolino                      - (sorride, acidulo) Me la avevano detto! (E non sa­luta).

Bettina                          - Sandolin, buona se­ra! Guarda chi c'è, Teresina: San­dolin! (Teresina si affaccia im­bronciata, assonnata).

Sandolino                      - (riprendendosi, a Te-resina) Che un giorno o l'altro, verrà a tagliarti i capelli!

Teresinaì                        - Ma io non sono un uomo!

Sandolino                      - Brava! Ma adesso gli uomini, quando li hanno, non se li tagliano più. Tocca alle don­ne! (Scrolla il ciuffo): Guarda me! (Fragoroso): Dove andate, ma­snadieri? Ancora a rimpinzarvi in laguna? Eh, signor Stefano? Scommetto che ci saranno anche le seppie! (Annusa ingordamente).

Stefano                         - Già.

Sandolino                      - E a me niente!

Marianna                       - (per scusarsi) Ma voi tornate adesso, da bottega, Sandolino?

Sandolino                      - Torno a lavorare. Devo andare fino al Danieli a fare i ricci a una dama che va in cinci e squinci al ballo del Lido. Il padrone non può: ha incarica­to me. Ma, se sapevo...

Bettina                          - (guarda Marianna) Sandolin... stasera proprio non ci sarebbe posto.

Sandolino                      - Oh, io son così magro! E, poi, non mangio. Per me c'è posto sempre. Soltanto che, quando me l'hanno detto, non ci ho creduto; se no inca­ricavo un mio compagno...

Bettina                          - Vergogna! Rinunzia­re magari ad una buona mancia...

Sandolino                      - Io son sempre ric­co, lo sapete!

Marianna                       - E chi ve l'ha detto che noi?...

Sandolino                      - In calle.

Marianna                       - (aspra) La Toti er-bivendola!

Sandolino                      - No. Non so chi; ma non lei. Dice: Anche stasera tutta la famiglia Sghembi va a far baldoria al largo. Ed han portato i piccoli e la nonna... e ci sono molti invitati di lusso. Beati loro che possono...

Marianna                       - (troncando) Beh, andate. Non fatevi aspettare trop­po, se no...

Sandolino                      - (balza sul muricciuo­lo e depone il pacchetto) No no, c'è tempo. Quella è gente che fino alle undici non esce, lo so. (A Bettina, agitando nervosamen­te il ferro e facendolo ruotare con maestrìa) Intanto, se volete, fac­cio qualche riccioletto a voi, non­na! Ho anche il fornello.

Stefano                         - (borbotta) Bisogne­rebbe regalarle una parrucca.

Sandolino                      - (ride, acre) La volete bionda?

Bettina                          - Sì,... per le baldorie che cominciano stasera e che ho intenzione di fare in seguito!

Stefano                         - (a Sandolino) Vuole un po' di gelato?

Sandolino                      - (rifiuta) Grazie.

Stefano                         - (cava di tasca quattro o cinque scatolette che incendia­no gli occhi attenti dì Marianna) Una sigaretta?

Sandolino                      - Accetto. Ma guar­da che provvista di tabacco! Quanto avete intenzione di stare in laguna? Una settimana? (Ac­cende) .

Marianna                       - Oh, lui è grande!

Stefano                         - (si rabbuia) Abbiamo ospiti. Ecco il primo.

(Garotti giunge con Nina: cam­mina convinto che il centro dell'universo si trova esattamente fra i tacchi delle sue scarpe cigolanti e lustre. Ha l'età di Stefano, ed è tozzo, glabro, sospettoso, adun­co: palpebre rossicce, capelli ra­di, mani anchilosate, una fiam­mante catena d'oro attraverso il panciotto, l'ala del cappello duro sulla fronte sempre corrugata: vo­ce sgradevole che rode, che pun­ge, che lima. Succhia il sigaro persuaso di fargli onore: natural­mente è persuaso anche che nes­sun sigaro al mondo ha l'impor­tanza, il gusto, il senso ed il va­lore del suo. Quando vedono Ga­rotti, istintivamente tutti si rab­buiano: Bettina si rannicchia in fondo alla barca dopo di aver fret­tolosamente salutato): Buona se­ra, signor Garotti!

Garotti                          - Buona sera... Buona sera!... (Guarda la barca e sorride compiaciuto: poi, guarda severo Sandolino, perché Sandolino, sen­za salutare, è balzato incontro a Nina., Nina è pallida, senza re­spiro, e non osa alzare la fronte).

Sandolino                      - Nina!

Nina                              - (con fatica) Come mai, Sandolin?

Sandolino                      - Le dispiace? Pas­savo... (Sarcastico, indica il pac­co sul muro): Vado a lavorare io, mentre gli altri vanno a divertir­si. E mi son fermato un momento perché il suo papà mi ha offerto una sigaretta. Ma, se le dispiace...

Nina                              - (trema) Che sciocchezze!

Sandolino                      - (dopo un attimo) E stata lei che non ha voluto che m'invitassero questa volta?

Nina                              - (alza la fronte) Sì.

Sandolino                      - Perché l'altra sera l'ho offesa?

Nina                              - (mentisce) Sì.

Sandolino                      - Le domando an­cora scusa. Vede che adesso la tratto proprio come una damigel­la, con tanto di « lei ». Bisogne­rebbe però che lei fosse sincera con me, e mi dicesse: no! Ma un a no » tondo così. Anche il boia, del resto, quando taglia il collo, cerca di farlo con un colpo solo. Va bene che se il mestiere del boia lo facessero le donne... con gli spilli lo farebbero le donne! (La­cera la sigaretta, la butta, la cal­pesta con rabbia. Nina non sa parlare, non sa muoversi: trema e tenta dì sorridere).

Garotti                          - (cava di tasca il suo orologio d'oro, e annunzia solen­ne) Son già le nove e venti!

Sandolino                      - (rabbioso) Peggio per loro: aspetteranno.

Garotti                          - (trabalza, offeso) Non parlo con lei! (A Stefano, indican­do Sandolino che gli volge le spal­le, che si sporge sulla barca per chiedere la chitarra a Celestino) Chi è quello là?

 Stefano                        - È il garzone del parrucchiere che ha bottega in fondo alla calle.

Sandolino                      - (che si è avvicinato a Nina e pizzica la chitarra, guar­da di sottecchi Garotti) Come?

Nina                              - Garotti.

Sandolino                      - Che faccia! Amico vostro?

Nina                              - Era nell'ufficio col papà. Ora ha ereditato.

Sandolino                      - E per questo si dà tante arie?

Nina                              - (sorride) Se ne dà un po' di più, sì.

(Sandolino siede sopra una pie­tra, trattiene Nina che vorrebbe andarsene e comincia a pizzicar la chitarra canticchiando): A darte del ti no fasso fadiga; Ma, prima che '1 diga, Nineta intendemose, cuor mio fra ti e mi, coss'elo sto « ti »...

(Nina ha un nodo in gola e le sì riempiono gli occhi di lacrime: nasconde il volto nel buio, verso la calle. Intanto):

Garotti                          - (che sbuffa e continua a guardar l'orologio) Boria sì: educazione non tanta i Polpato! Non dico per me, perché li ave­te invitati voi. Ma...

Bettina                          - Venga intanto lei, scenda in barca, signor Garotti!

Garotti                          - Oh, no! Mi riservo. Prima loro devono accomodarsi; e, poi, scomodarsi per farmi po­sto. Perché il posto d'onore è mio... la festa è in onore mio se non sbaglio...

Stefano                         - I fuochi li fa il co­mune.

Garotti                          - Io col comune non ho più niente a che vedere... (Autoritario) Sarò dunque preci­samente l'ultimo a metter piede nella barca. (A Stefano) Guarda che la lettera l'ho scritta... e ce l'ha tua figlia.

Stefano                         - Che lettera?

Garotti                          - Quella con la quale ti raccomando al cavalier Festa, il mio amico di Bari.

Stefano                         - Ah!

Garotti                          - (piccato) A lui, poi, mi rivolgerò spesso per sapere se righi diritto.

Stefano                         - (si torce) Perché qui non si rigava bene, eh?

Garotti                          - (chiude gli occhi e succhia il sigaro) Oh, Dio!... i risultati...

Stefano                         - (che comincia a per­dere la pazienza) Mi ci voleva un cugino che muore in Olanda, che non si sa neanche che esista, che semina tulipani e raccoglie biglietti da mille per lasciarli tutti a me!

Garotti                          - Già. Ma se capi­tasse a tutti un fatto simile, non sarebbe più una fortuna per alcuno! E, poi, questo cugino io non lo conoscevo... Anzi, non lo ricordavo più in verità. Ma ti pare che lui non conoscesse me, se mi ha lasciato erede di tutto?

Stefano                         - Non aveva altri pa­renti...

Garotti                          - C'è tanta gente che si può far felice quando non si ha che un cugino in secondo grado...

Marianna                       - E lei non ha più neanche questo!

Garotti                          - (stizzoso) Io comincio, per l'appunto, a beneficare il prossimo. E voi dovreste esse­re i primi a riconoscerlo!

Stefano                         - (sarcastico) Non ab­biamo capito.

Garotti                          - Non c'è nessuna ragione perché io parli a sottin­tesi. La Nina quel giorno mi ha parlato ben chiaro: Per il papà, o la galera...

Stefano                         - (afferra qualche cosa e scatta livido) C'è la galera, bada, non soltanto per chi ruba, ma per chi rompe la testa...

Marianna                       - (spaurita, trattiene il marito) Stefano!

Garotti                          - (ha fatto un balzo in­dietro, ma vedendo che Stefano ha cambiato idea, si ricompone solenne, generoso, saputo) Il caldo, eh? Nervi: si capisce. E poi sai che ormai non posso più tirarmi indietro: la garanzia l'ho firmata. Ma, se anche lo potessi, non temere, non lo farei... po­vero vecchio mio. Ti voglio trop­po bene: abbiamo, lavorato tan­ti anni assieme, chiusi là in quel­lo sgabuzzino...

Stefano                         - (si terge il sudore) Caldo, sì: fa caldo.

Garotti                          - Io vorrei un bic­chier d'acqua, signora Bettina... Ne avete di fresca... (Guarda l'orologio, si curva sul muricciuolo, trangugia un bicchiere che una mano gli offre e poi riaccen­de pigramente il sigaro).

Sandolino                      - (interrompe la ne­nia lieve vedendo gli occhi luci­di dì Nina, balza in piedi vit­torioso, depone la chitarra sul muricciuolo, afferra il suo pac­chetto) Faccio un salto... tre ricci, tre minuti. Se protesta le ficco il ferro rovente in un oc­chio; torno e vengo in barca con voi!...

Nina                              - (sì scuote, decisa) No!

Sandolino                      - (dolorosamente sor­preso) Ancora?

Nina                              - No!

Sandolino                      - (la fissa duramen­te) Dunque... c'è qualche cosa?

Nina                              - (con uno sforzo) Sì.

Sandolino                      - Contro di me?

Nina                              - Contro di lei... ma non da parte mia. Sandolino!

Sandolino                      - (storce la bocca) Avete ereditato anche voi?

Nina                              - (tenta dì sorridere) Pur­troppo, no!

Sandolino                      - Il suo papà ha qualche progetto?

Nina                              - Credo di si.

Sandolino                      - E lei lo segue?

Nina                              - Sì.

Sandolino                      - (ameno) Ah!

Nina                              - Devo.

Sandolino                      - Benone! (si scosta).

Nina                              - (sta per trattenerlo) San...

Sandolino                      - ...dolino: San Dolino martire? (Beffardo) No, non si preoccupi di me. Faccia quel­lo che dice il suo papà. Anche del. mio dolore che cosa gliene importa, se non gliene importa del mio amore? ... Un povero or­fano sono, e solo! Ma, quando si è soli, se non ci si smarrisce — sa? — si cammina più svelti. E si arriva dove si vuole... Già: la mia colpa è di essere un po­chino poeta: e un poeta barbie­re fa pena e fa ridere. Ma, se avessi potuto studiare come tan­ti altri... Forse il suo papà di­rebbe: — Che talento! e quale onore per noi!... Invece pensar — Maria vergine! Quello là, se quando fa la barba trova una rima, taglia la gola al cliente! No no! spostati niente in casa, nostra: no! — Ed ha ragione.

Nina                              - Il papà non pensa que­ste cose, lo sa. E di noi due, credo, non ha mai pensato nien­te; anche perché, si può dire, sia­mo cresciuti assieme; e se la gente vede che qualche volta ci parliamo assieme, non ci fa caso!

Sandolino                      - (c. s.) E aiutia­mo la gente! Non facciamoci più caso nemmeno noi. Io ho un'of­ferta di lavoro a Milano da un parente del padrone. Me ne an­drò. Milano è tanto grande...

Nina                              - No, lei resterà, (Con un nodo in gola) Venezia è tan­to bella! Guardi i lumi lontani, e l'acqua del rio, e il cielo che ogni tanto s'incendia.

Sandolino                      - Bella? Mi fa or­rore!

Nina                              - Pensi che io non la vedrò mai cosi bella come que­sta sera!

Sandolino                      - (con uno scatto di rabbia, le ghermisce un polso) Perché non ci sono io! Di': per­ché non ci sono ,io?

Nina                              - Sandolin!

Sandolino                      - (si ricompone) Mi scusi. (Ad alta voce) E buona sera alla compagnia! E buon di­vertimento! (Si avvia).

Stefano                         - Buona sera.

Bettina                          - (sbuca dalla barca, e chiama con voce di pianto) Sandolin!

Sandolino                      - Che cosa vuole, nonna?

Bettina                          - Nulla, figliolo, nulla. Mi tornano in mente tante cose... Quella volta che ti ho ti­rato le orecchie, perché mi fa­cevi dannare. Eri alto così!

Sandolino                      - E adesso son cre­sciuto; ma c'è chi mi tira le orecchie ancora.

Bettina                          - (porge un dolce) Prendi.

Sandolino                      - Cosa?

Bettina                          - Una pasta.

Sandolino                      - (reciso, aspro) No.

Bettina                          - (è rimasta male) Perché?

Sandolino                      - Perché non vo­glio niente; da nessuno! (Scappa via).

Garotti                          - (continuando un suo importantissimo discorso con Ste­fano e con Marianna, che si sfor­zano per parere attenti) E gen­te che scrive da ogni parte... da ogni parte... E gente che secca!

Marianna                       - Bisognerà abi­tuarsi.

Garotti                          - Oh, io faccio pre­sto: non rispondo. Intanto, ap­pena potrò, lascerò Venezia: gen­te meschina, pettegola; città de­testabile...

Marianna                       - (con un sospiro) Noi ci stavamo tanto bene!

Garotti                          - Voi? Lo credo. Ma è una città dove non è possibile diventare qualcuno senza sentir­si soffocare dalle chiacchiere e dalle case, senza temere che die­tro ogni porta ci sia un nemico pronto a tirarti una coltellata nella schiena... Via via!... (Sog­ghigna) E chissà che non venga anche a farvi una visitina... (Ad un'occhiataccia di Stefano) Di controllo, no. Spero di non averne bisogno. Del resto, anche se li perdessi, tutti, come è probabi­le... Non offendetevi, per l'amor d'Iddio! Diecimila più, o dieci­mila meno, ormai!... Si fa un'o­pera buona. Ho già la sensazio­ne che — ahimè! — per amore o per forza ne dovrò far tante... Pazienza. (Cambia tono). Bene bene! Credo che farò in tempo ad andare fino in farmacia qua in fondo... (Guarda V orologio per l'ennesima volta) ...a prendere un tubetto di quelle mie pa­sticche. Si annunzia un vago dolor di testa... (Stringe le tempie fra il pollice e l'indice come se il cranio fosse una fragile coppa preziosa piena di dovizie per la gloria del Signore).

Stefano                         - Ma sarà chiuso, a quest'ora.

Marianna                       - Chiudono alle otto.

Garotti                          - (si lecca rapidamente le labbra) Per me non è mai chiuso: vedrete. (Chiude il pu­gno e mostra un grosso anello fiammeggiante che gli rigonfia la nocca del mignolo) Sèsamo, apri­ti!... Tàc! (Ride e se ne va).

(Quando Garotti è sparito Ste­fano afferra una bottiglia).

Stefano                         - Tac! con questa! E lì giù, disteso, secco!... Anche il va­go dolor di testa adesso si conce­de, quel cretino! In vent'anni non ha mai parlato di mal di te­sta. Adesso tutti i lussi, si sa. Per fortuna che ce ne andiamo, donne; se no, col mio carattere, io..-L'ab­biamo sopportato, l'abbiamo sfa­mato, e scroccava tutto!... (A Ma­rianna) Ti ricordi quella volta che s'è messo in tasca, prima di andarsene, il pacchetto degli stor­ti? Tu," Nina: l'hai visto tu!

Nina                              - (trabalza) Cosa?

Stefano                         - Gli storti di Garotti!

Nina                              - Ah, sì!... (Sorride) Ma come ti viene in mente?

Stefano                         - (furioso) Mi ven­gono in mente tutte, adesso, tutte!

Celestino                       - (che s'è rizzato sul­la barca per prender la sua chi­tarra) E perché lo avete invi­tato, allora?

Marianna                       - (aspra, indicando Stefano) Perché... Lo domandi a lui.

Nina                              - (sottovoce, implorando) Taci, mamma!

Stefano                         - (ora che Celestino s'è rintanato) Però, un giorno o l'altro, quando ogni cosa sarà li­quidata, mi voglio prendere una rivincita...

Marianna                       - (storce la bocca) Aspettalo quel giorno là!

Stefano                         - (spavaldo) Io? Io m'impigrivo qui. La colpa è di Venezia. (Guarda lontano): Be­nedetta da Dio, non ti voglio maledire anch'io, e proprio que­sta sera: ma sei la madre di tutti i vizi, tu!

Nina                              - (contrariata) Papà!

Marianna                       - Lascialo dire: bi­sogna che dia la colpa a qual­cuno!

Stefano                         - Ebbene, vi farò ve­dere io, fuori di quest'aria mor­ta, di che cosa sono capace!

Marianna                       - Tu ce ne farai ve­dere ancora delle belle, tu!

Stefano                         - Mi ha fatto bene questo periodo preparatorio. Mi sento, a cinquant’anni, tanta e-nergia addosso da spaccare ili mondo! (Riempie un bicchiere e lo trangugia d'un fiato) Ora, an­che se non dormo più fin che crepo, ho dormito abbastanza.

Marianna                       - Se avesse dormi­to sempre, almeno!

Stefano                         - Cosa dici? (Tran­gugia un altro bicchiere).

Nina                              - (energica) Smettila!

Stefano                         - Bisogna Stordirsi, stasera! Benzina! Il viaggio è lungo... Domani... (Si sporge dal muricciuolo e fa l'atto di riem­pire un terzo bicchiere) Nonna, domani vita nuova!

Marianna                       - (gli strappa la bot­tiglia di mano) Ti abbiamo det­to di smetterla!

Stefano                         - (seccato, a Marianna) A meno che tu non mi faccia fare qualche altra sciocchezza... Perché sai tu quante volte, pur di non sentirti brontolare, io andavo a pranzare all'osteria?

Marianna                       - (scatta) Ah, que­sta!...

Stefano                         - I soldi che mi sei costata tu... Guarda: nemmeno se avessi avuto la mantenuta al Grand Hotel!... (Si sente, nella barca, la voce di Celestino che comincia a can­tare sul ritmo della chitarra: Nina mia, son barcarolo, son dell'arte e son gentile! e, se meco tu vuoi venire, ce ne andremo in alto mar!

Stefano                         - Bravo, Celestino! (Si volge) Chi c'è? Ah, Madoneta! Che vuoi?

(Madoneta è rinsecchita e ti­mida, senza età, senza seno, con le vesti lacere e con ima gran massa di capelli inceneriti che le copre il volto e il collo).

Madoneta                      - I signori Polpato mi mandano... perché lei, la si­gnora, ha i crampi. E lui, an­che il signore, non può venire. Dicono di scusarli tanto.

Stefano                         - (perplesso) Non ven­gono?

Marianna                       - (angosciata, ansi­mante) Nina!

Nina                              - Che c'è?

Marianna                       - I Polpato non ven­gono!

Stefano                         - (troncando, a Mado­neta) Brava: grazie. Di' pure che ci dispiace...

Madoneta                      - Buon divertimen­to... (Se ne va).

Stefano                         - (a Marianna) Niente rimpianti, per l'amor d'Iddio!

Nina                              - Che abbiano saputo che c'era anche Garotti?

Marianna                       - Io, giuro, non l'ho detto ad alcuno.

Stefano                         - Lo avrà spifferato lui.

Marianna                       - (agitata) E come facciamo, adesso?

Stefano                         - Niente.

Marianna                       - (c. s.) E Garotti?

Stefano                         - Non è colpa nostra.

Marianna                       - Ma era sopra tut­to per loro che lui voleva...

Stefano                         - Si adatterà.

Marianna                       - Non ci crederà.

Stefano                         - Oh, vorrei vedere anche questa!

Marianna                       - (c. s.) E se si ar­rabbiasse, se cambiasse idea per quell'affare?...

Nina                              - No, mamma: non può più. Te l'ho detto: è già fatto tutto. Non agitarti.

Stefano                         - (è sì all'angolo della cal­le e guarda in alto. Chiama a gran voce) Zanze!.... Zanze! Vostro marito?

 Zanze                           - (dal buio) È qui.

Stefano                         - Brava! Ditegli che venga.

Zanze                            - (c. s.) A far che cosa?

Stefano                         - Un giretto in barca. Si va a vedere i fuochi: ci son gli scampi, e l'anguria e il gelato.

Zanze                            - (c. s., festante) Allo­ra, vengo anch'io. Mi volete?

Stefano                         - Brava! Ma sì!

Marianna                       - (seccatissima) Ma sei matto? Con quella gente così pettegola...

Stefano                         - Taci. E c'è anche Tarquinio.

(Giunge Tarquinio, cigolante, schizzinoso, azzimato a modo suo, impiegatuccio trentacinquen­ne pieno di riguardi e di sus­siego).

Tarquinio                       - Buona sera... buo­na sera! (A Marianna) Cara si­gnora, come va? Grazie antici­pate. Ringrazierò ancora, al mo­mento dello sbarco.

Stefano                         - Senza cerimonie, ca­ro Tarquinio!... Senza cerimonie, per l'amor d'Iddio!

Tarquinio                       - (tremolando ed an­simando, offre un mazzetto di fiori a Nina) Signorina... le ho portato questo mazzetto di fio­ri. Li innaffio io, ma son quelli della signora del mio avvocato, che orai è in campagna. Li innaf­fio perché non diventino secchi... (Ride) E mi pago portandoli via.

Nina                              - (prende il mazzetto e lo annusa guardando altrove) Gra­zie, Tarquinio. (Va a portare i fiori in barca e osserva dove con­venga appenderli tra gli filtri festoni).

Tarquinio                       - (addolorato) Do­ve li mette?

Nina                              - Dove devo metterli? In barca, no?

Tarquinio                       - Ma sono per lei.

Nina                              - (infila il mazzetto alla cintura) Ah, qui?

Tarquinio                       - Grazie (la guarda estasiato).

Stefano                         - (a Tarquinio, offren­do un bicchiere) Scampi, an­guria e gelato. E vino,, di quel­lo... Assaggi.

Tarquinio                       - Così... Subito? (Guarda il bicchiere che è un po' sporco e si ritrae).

Stefano                         - (con la bottiglia in mano) Per Diana! Si capisce.

Tarquinio                       - (schizzinoso) Vor­rei dare una ripulita al bicchiere.

Stefano                         - Ah, giusto! Si fa presto. (Si avvia verso la riva e si curva).

Tarquinio                       - (spaventato) Lo risciacqua in canale?

Stefano                         - No. Eh, perdinci! c'è acqua potabile a bordo. Non lo sa? Poca perché non è igieni­co: ma ce n'è. (Porge il bicchie­re a Bettina).

(La Zanze giunge ritinta, tra­felata, ciabattando, con un fiore rosso fra i capelli d'ebano, e il seno in libertà, seguita da Toni, suo marito, droghiere bisunto e scamiciato e da Giulietto sedicen­ne, il figlio maggiore, che si ro­sicchia ancora le unghie).

Zanze                            - Eccoci qua! (E fa ro­teare lo scialle).

Stefano                         - (indicando Giulietto) Anche lui?

Zanze                            - Se lo lascio solo a ca­sa mi scappa. E, poi, sa can­tare anche lui!

 Stefano                        - Giusto! E, allora, si imbarca; non è vero, Toni?

Toni                               - Io volevo portare alme­no una bottiglia...

Stefano                         - Ma ne abbiamo... ne abbiamo! Che diamine.

Zanze                            - Buona sera, signora Bettina! (E scende in barca. I pal­loncini dondolano).

Stefano                         - (a Tarquinio) An­che lei: non faccia complimenti. Anche lei!

(Tarquinio scende in barca e lo seguono Marianna e Toni).

Anzolo                          - Si va? (Balza a pop­pa, afferra il remo. Il ragazzo scivola dal muricciolo a prua).

Tarquinio                       - (prima di sedere) Vorrei mettere il fazzoletto sul­la tavola, perché io siedo là, a prua... Si sta meglio!

Marianna                       - (a Tarquinio) Ven­ga, venga!

Tarquinio                       - (indicando i calzo­ni attillati) Son quasi nuovi, e non ne ho molte paia.

Toni                               - Oh, intendiamoci: io lontano dalla mia signora!

Zanze                            - (aspra) E chi si occu­pa di te, villano? A che ora si sbarca, signora Marianna?

Marianna                       - A mezzanotte.

Toni                               - Così presto?

Stefano                         - Poi, si vedrà.

Zanze                            - Ci riportate qui?

Bettina                          - No, vi lasciamo sul­la riva degli Schiavoni. Anzolo deve riportare la sua barca a casa.

Zanze                            - Benone.

Teresina                         - (estasiata) I fuo­chi, mamma! I fuochi! Guarda!

(Il cielo si illumina, divampa, si spegne).

Garotti                          - (ritorna austero, trion­fante. Non vede la gente che è in barca. A Stefano) Beh, ci siamo? Porte spalancate: hai vi­sto? (Mostra le pasticche) Ci sia­mo? (Si accosta alla riva).

Stefano                         - No.

Garotti                          - La barca è piena.

Stefano                         - (esita) Ho invitato mio compare Toni droghiere, e sua moglie... perché i Polpato hanno mandato a dire che non vengono.

Garotti                          - (diventa livido e stri­dulo) Non vengono? Perché?

Stefano                         - Mah! Lei ha i crampi.

Garotti                          - (spezza il sigaro) Per me.

Stefano                         - Non credo, perché non sapevano che tu...

Garotti                          - (fremendo) Per me! Perdio, anche questa volta! E me la pagheranno cara!

Stefano                         - Non ci pensare!... Monta in barca. Ci divertiremo lo stesso, va!

Garotti                          - (si ritrae con una smorfia di sprezzo) Io? con quel' la gente che hai racimolato all'ultimo momento? Ma, dico, di­venti matto? Che cosa credi? che non ci sia proprio niente di cambiato da due settimane ad oggi? (S’ìmpettisce, tronfio).

Stefano                         - (lo guarda con odio) Tante cose, lo so.

Garotti                          - Ma, sopra tutto... ec­co qua: il sottoscritto. Col quale non si scherza più. Addio. (Gira sui tacchi).

Nina                              - Ma, signor Garotti... ci saluta così?

Garotti                          - Ci rivedremo presto, non dubitate. Non illudetevi che io vi perda di vista! (Se ne va ver­so la calle).

Marianna                       - (che spiava dal muricciuolo, angosciata) Madonna santissima!...

Stefano                         - Lascialo andare!... (Stringe il pugno verso la calle) In malora te e tutto il tuo sporco denaro, muso da... (Scrolla le spalle, raggiunge la riva, si ras­serena d'improvviso) Basta: non pensiamoci più.

Zanze                            - (nella barca) Lascia stare quel piccolo che dorme!

Toni                               - E tu vuoi, si o no, la­sciar stare me e sederti lontano?

Bettina                          - (d'un tratto, con il pianto in gola, disperata) La nostra casa!

Zanze                            - Come le viene in men­te la sua casa, adesso, signora Bettina?

Bettina                          - Non c'è rimasto nes­suno!

Zanze                            - E vuole che i ladri ven­gano proprio da lei? Non sono mica stupidi i ladri, sa?

Stefano                         - (dalla barca, con la bocca piena) Nina, monta!

Nina                              - (si scuote) Vengo. (E si avvia, stanca, desolata. Ma so­praggiunge trafelato e raggiante, Sandolino).

Sandolino                      - Son qua: ho fini­to. Vede: due minuti. L'altro cliente l'ho mandato a spasso... Ho preso la mia chitarra e son qua. Vengo anch'io, anche se non mi volete.

Nina                              - (con uno sforzo, decisa) No, Sandolino, no!

Sandolino                      - (perplesso, la guar­da; e, poi, si curva a guardare dentro la barca. Sogghigna) Ah?! Giovinotti! (Vede i fiori alla cintura di Nina, ride aspro) E i fiori! Festa di fidanzamento!

Nina                              - (butta il mazzetto in un canto dopo di averlo lacerato con le dita tremanti) No, Sandolin! ... Non sia cattivo. Le dirò un gior­no perché non ho voluto ioche lei venisse con noi stasera: e capirà. Non sia cattivo e non mi guardi così. Eccoli . là i fiori. Prenda questo. (Gli porge il paniere del gattino, reggendolo quasi con de­vozione).

Sandolino                      - Che cos'è?

Nina                              - Il mio gattino. Siamo fuori tutti stasera; non ho vo­luto che rimanesse in casa solo, povero Colarin. In barca la mam­ma non vuole, gli altri riderebbe­ro... Lo tenga lei.

Sandolino                      - (prende il paniere, esitando) Io? e come posso te­nerlo, Nina?...

Stefano                         - (chiama, irritato) Nina!

Nina                              - (in fretta) Me lo ridarà domani... Guardi: questo è il suo latte per la notte. Mangia anche di notte... e, se ha fame, piange e disturba...

Sandolino                      - (raggiante) Allora ci vedremo domattina? Alle sette, quando vado ad aprir negozio?

Nina                              - (che regge a stento) Sì.

Sandolino                      - (c. s.) Mi aspetta dietro l'angolo della calle, nel campiello?

Nina                              - Sì. (Gli tende la mano, che Sandolino afferra tremando).

Sandolino                      - Nina.!

Stefano                         - (vociando) Nina!

Nina                              - Eccomi! (Balza via ra­pida, scende nella barca. Oltre il muricciuolo si vedono i palloncini illuminati della barca, che s'allon­tanano lenti, dondolando: e si le­va la canzone sul ritmo della chi­tarra dì Celestino): Nina mia, son barcarolo...

La voce della comare    - (aspra, beffarda, dall'alto, dal buio) Na­ne, la Bucintoro leva l'ancora!

Sandolino                      - (piroettando, guiz­zando, stringendo sul cuore il pic­colo paniere, dentro il quale spia e manda baci) Alle sette!... Alle sette, domattina! Colarin! To', bel musetto! To'!

(La canzone è già lontana).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (Dieci anni dopo).

A sinistra, un cancello irto di punte e fiorito di convolvoli segna il confine di una lunga terrazza fra il dominio del cavalier Garotti e quello della famiglia Sghembi, al sesto piano. Oltre lo spalto sprofonda l'abisso sonoro di cor­tili, e si vedono altre terrazze e molte finestre illuminate: e si ve­de una fitta tempesta di stelle nel cielo sereno morire a poco a poco verso il riverbero della città lon­tana.

Siamo nelle caserme della peri­feria, ed è l'ora delle ultime dan­de. Le bianche e nude cucine si spengono: sì accende più discreta e diffusa, sotto i paralumi colorati e dietro le tende fitte, la luce del­le camere da letto, sui davanzali bui si vede palpitare il focherello del sigaro del misantropo che spia. In alto, in basso, lontana, vicina, dovunque, rabbiosa, sommessa, fa­stidiosa come la pioggia, paurosa come grandine, fra tuoni e lampi, imperversa ancora la radio.

Sulla terrazza della famiglia Sghembi, invece, c'è il fonogra­fo: e Teresina si diverte a sceglie­re, aiutata da Bobolò, nella cas­setta dei dischi, le canzoni più patetiche, e le ascolta mordic­chiando le foglie di limoncina e guardando le stelle.

Bobolò, ventenne, ha il ciuffo nero sugli occhi furbi, la bocca maligna, e le mani rapaci. Ogni tanto, fingendo dì non accorgersi dì quello che hanno intenzione di fare le sue mani, le insinua fra i riccioli biondi, sulle braccia nude e lunga i fianchi magri di Teresina. Bobolò chiude gli occhi, Teresina che è diventata una signorinetta di 18 anni, piccola, esile, pallida, ad ogni contatto sì ritrae: ma la musica la fa vacillare. Non osa ridere, non osa parlare

Il fonografo canta: « Vorrei es­sere sempre innamorato... ».

Nel mezzo della scena c'è una tavola; ed un enorme cocomero lucido, verde e intatto, splende sotto la lampada.

 Qualche sedia qua e là: qual­che vaso dentro il quale si scre­pola la terra arsa e agonizzano le pianticelle rinsecchite. L' afa, quella terribile afa che nelle notti torride fa pensare alle vie dell'in­ferno lastricate d'asfalto ed alla morte del mondo fra montagne di cemento, vapora sotto i piedi.

Pare che Bobolò sia diventato troppo audace, perché d'un trat­to Teresina si volta verso di luì minacciosa e poi lo percuote con il rametto sul volto impassibile.

Impetuoso, il ragazzo le gher­misce le mani, e la bimba si di­vincola ansando.

Teresina                         - Vuoi star fermo, sì o no?

(Il disco, consumata tutta, la sua musica, comincia a friggere come una padella sui carboni).

Teresina                         - (indicando il fonogra­fo) Devo fermarlo... Lasciami, si rovina... (e riesce a liberare una mano).

Bobolò                          - (con il broncio) Ti aiuto. Non posso fare neanche questo? Quanta paura, mio Dio! Come se fossi il diavolo! (Tenta di baciarla sul collo: ma in quel mentre Stefano Sghembi, scami­ciato, sudato, strascicando le cia­batte, entra di destra: e i due gio­vani si staccano repentini. Teresi­na, rossa, confusa, si curva ed arresta il moto del fonografo. Bo­bolò balza a sedere sul parapetto, trae di tasca una scatola di siga­rette e accende con noncuranza).

(Stefano forse non ha veduto, ma certo ha indovinato. Si tratta di sua figlia. Ma se ne infischia. Le discussioni lo infastidiscono, ed essere severo è una grave fa­tica. Ora Stefano ha sessant'anni, ed è pigro e massiccio, trasandato e futile. La cosa che lo interessa di più in questo momento è la scatola di sigarette che Bobolò ri­gira fra le mani nervose).

Teresina                         - (a Stefano, guardan­do di sottecchi) Adesso ti cerco il tuo «Trovatore», papà. (Trae un nuovo disco dalla cassetta).

(Stefano, alzando il capo, indica il confine dell' invisibile reame buio del Cavalier Garotti e strizza l'oc­chio) .

Teresina                         - Non è ancora torna­to il cavaliere, papà!

Stefano                         - (incredulo) Alle nove?

Teresina                         - È buio. Non vedi?

Stefano                         - (brontola) Non vuol dire. (Sarcastico) Il buio è a buon mercato, e le cose a buon merca­to, là, sono sempre le preferite... Lo sai anche tu!

Teresina                         - Avrebbe già pro­testato.

Stefano                         - In ogni modo... (Spia oltre il cancelletto) In ogni modo neanche il « Trovatore » mi garbai stasera. Fa troppo caldo! La musica rende l'aria ancora più pesante... Si crepa! (A Bobolò) Lei che sigarette fuma?

Bobolò                          - Esportazione. (Gli porge la scatola).

Stefano                         - Morbide?

Bobolò                          - Quasi.

Stefano                         - (ne prende una) Posso?

Bobolò                          - (sorride un po' seccato) Si figuri!

Stefano                         - (per scusarsi) Senza giacca... senza giacca d'agosto si sta bene, ma si dimentica tutto! (Fruga nelle tasche dei calzoni) Anche i cerini! (Bobolò offre i ce­rini: Stefano accende, aspira con voluttà una boccata dì fumo). Grazie. (Restituisce la scatola: guarda la sigaretta accesa) Non c'è male, (Poi comincia a gironzo­lare intorno al cocomero, lo acca­rezza, lo soppesa sotto il lume, lo annusa, canticchia l'aria del Mefistofele: Ecco il mondo, vuoto e tondo... Ride. A Bobolò) Ve­de il cavaliere che regali ci fa? Il Cavalier Garotti, il nostro prin­cipale... Glielo dico subito perché non voglio aver l'aria di offrire una cosa non mia. E' il cavalier Garotti che offre: naturalmente un simbolo, qualche cosa che as­somiglia al mappamondo... Per­ché lui le cose, le fa sempre con grande pompa. Vedrà il gesto!

Teresina                         - (con tono di rimpro­vero) Papà!

Stefano                         - (scatta, ma poi si ri­prende) Eh, lasciami dire! Son quindici giorni che ci ha annunziato il cocomero... E tutti in casa, questa sera, a far le mera­viglie. Sa, come quando si guar­da con il cannocchiale la luna! Oh!... Anche quest'inverno, per quattro fichi secchi pareva che in tavola ci fosse una provincia. E tutti in casa a prelibare il dono raro: e guai a chi non diceva: Oh!... Guardi, io con quattro stracci e senza un soldo in tasca son stato sempre centomila volte più signore di lui. So che va di­cendo in giro, che io sono il suo servitore, e che questa mia fami­glia pesa tutta sulle sue spalle... Ma quante volte è venuto a sfa­marsi in casa mia quando era uno straccione lui, prima che la sfor­tuna si accanisse contro di me e quel suo cugino d'Olanda gli la­sciasse quei quattro soldi che ora gli permettono di credersi un pa­dreterno... Voi non lo avete an­cora conosciuto né cominciato a conoscere qui.

Bobolò                          - Si, sì, lo conoscono già tutti.

Stefano                         - No.

Bobolò                          - Basta guardarlo.

Stefano                         - (a Teresina, indicando il cocomero) Questa è roba che non si può mangiare così... al­meno in casa mia non la si man­gia così. Ci vuole un po' di ghiac­cio con un secchiello, e un po' di rhum nella bottiglia. Bella maniera di fare gli inviti! Vai giù da Pomella, e fatti dare una bot­tiglietta di quel Giamaica che lui sa.

Teresina                         - Ma adesso Tonino deve scendere...

Stefano                         - Tonino ha altro da fare. E tu non dimenticarti, poi, di preparare i bicchierini e i piat­ti. Via!

Teresina                         - (esitando) E i soldi chi me li dà?

Stefano                         - Non ti ho detto di pagare. Una bambina non va a pagare. I soldi li ho io... e Po­mella mi conosce.

Teresina                         - (c. s.) Credo di sì, papà.

Stefano                         - Per una bottiglietta grande così? Ma non fare la stu­pida anche tu, adesso!... Sbrigati!

Teresina                         - (s'avvia a malincuo­re, seguita da Bobolò che fa il trasognato; ma incontrano sulla soglia Sandolino che li trattiene con un cenno).

Sandolino                      - Un momento! (E' diventato un po' grigio e pallido, ha gli occhi pesti e la cravatta svolazzante, i capelli lunghi, ric­cioluti, alla poeta-barbiere: bran­disce un mandolino, e fissa su­bito, duro, sospettoso, Bobolò che si ritrae un pochino intimidito),

Stefano                         - Oh, bravo Sandoli­no! Finalmente in casa nostra... e col mandolino!

Sandolino                      - Si, ma dove suona il fonografo il mandolino è mes­so al bando! (Sì curva per osser­vare il fonografo, ma non perde mai di vista Bobolò).

Stefano                         - L'ho preso io, a rate. Tutti hanno la radio. Io no: io preferisco il fonografo. La radio ti comanda: al fonografo invece comandi tu.

Sandolino                      - Fino a un certo punto, mio caro Sghembi. Anche il fonografo suona quello che vuoi, ma suona come vuole lui. (Facendo roteare il mandolino). Questo, invece, suona come vuoi tu. Magari male per gli altri, ma per te come quando canti per te solo; divinamente... Purtroppo, ora siamo rimasti in pochi... ed io non dovevo portare quassù questa carcassa!... (Con un sospiro) Oh, Venezia!... La ricordi?...

Stefano                         - Là si gira sempre tranquilli; nessuno ha fretta, mai!

Sandolino                      - Le serenate, le ce­ne in barca... Pensa una notte co­me questa... (Guarda le stelle: poi, si scuote: depone il mando­lino, sopra un pacco che aveva sotto il braccio e allinea sulla ta­vola quattro o cinque palloncini di carta colorata con le piccole candele già pronte per essere ac­cese) Ma un po' di Venezia te l'ho portata io!

Stefano                         - Oh, bravo, i pallon­cini...

Sandolino                      - (accende le candele, racchiude ì palloncini, li appende ad un fil di ferro che è teso at­traverso la terrazza) Quattro o cinque... ma basteranno. Quando sarà buio intorno, sembrerà pro­prio di essere sulla galleggiante in bacino... Con un po' di fan­tasia, s'intende.

Stefano                         - Ricordo.

Sandolino                      - E non rimpiangi?

Stefano                         - Qualche volta... Ma ora i tempi sono cambiati.

Sandolino                      - Ti ricordi quando ero garzone da quel barbiere in fondo alla calle e venivi ogni se­ra a leggere il giornale? E poi, il giornale non si trovava più e il padrone se la prendeva sempre con me?... (Ride).

Stefano                         - (un po' seccato) Non ero certo io che lo rubavo, in quei tempi, caro giovanotto! (Si avvia verso il cancellato di sinistra) Vado a vedere se, per caso, quel­lo là, anche senza la luce, è rien­trato. Ora è in vena di fare eco­nomia... (A Teresina) E tu muo­viti!

Sandolino                      - Il cavalier Garottì?

Stefano                         - Sì. (Apre il cancella­to, si smarrisce nel buio. Teresina se ne va a malincuore: e Bobolò, facendo lo gnorri, tenta furtivo dì seguirla).

Sandolino                      - (balza fulmineo e ta­glia la strada a Bobolò) Abbi... pazienza... Tu che cosa fai qui?

Bobolò                          - (un poco preoccupato, ma tentando dì parere disinvolto) Mi hanno invitato.

 Sandolino                     - (lo fissa severo) Chi?

Bobolò                          - La signora Marianna.

Sandolino                      - La conosci?

Bobolò                          - Si capisce.

Sandolino                      - E lei non conosce te... Non ti conosce, per lo meno, come ti conosco io. Adesso giron­zoli intorno a questa bambina... Non ridere! Io so come sciupi il danaro che tua madre guadagna lavorando giorno e notte... e come glielo rubi anche, quel danaro, qualche volta. Io so chi sono i tuoi amici e chi è la Pallottolona, quella signora che deve ridipin­gersi le labbra ogni qual volta guadagna cinque lire, che dorme spesso in Questura e che ti fa le scene di gelosia...

Bobolò                          - (sfrontato, aggressivo) Ebbene?

Sandolino                      - (deciso) Ebbene tu, caro angioletto, in questa casa non ci devi venire!

Bobolò                          - (storcendo con un ghi­gno le labbra ciniche) Ah! Per­bacco! nella casa di un...

Sandolino                      - (tronca) Di un di­sgraziato. Ma, comunque, in una casa dove qualche volta, d'ora in poi, potresti incontrare me!

Bobolò                          - (intimidito) Perché lei c'entra?

Sandolino                      - Sì.

Bobolò                          - Come che cosa?

Sandolino                      - Come... Mettiamo come uno che viene a portar via la spazzatura!

Bobolò                          - (ritraendosi per parare un eventuale ceffone, tira la bot­ta) E in casa sua perché ce la lascia?

Sandolino                      - (si domina a stento) E in casa mia ci faccio quello che voglio; e in casa di tua ma­dre ti ci posso far rientrare con la testa rotta e con nessuna vo­ glia di raccontare — nemmeno al­ la Pallottolona che ha tante co­noscenze in Questura — chi è sta­to che t'ha conciato a quel modo. Capito?

Bobolò                          - (ha un nodo dì rabbia e dì pianto in gola) Mi verrebbe voglia,.. (Ma sì avvia dopo di aver dato del pugno, con forza, sul davanzale).

Sandolino                      - Di andartene? No. Stasera no. Resta. Te ne andrai dopo, con tutti gli altri. E que­sta bambina, anche se l'incontre­rai per la strada, affinché non suc­ceda che non ti riconosca più lei perché ti hanno schiacciato il na­so, non la riconoscerai più. (Fis­sandolo, implacabile) Più!

(Di destra giunge Nina, Ora ha trent'anni ed è già sfiorita. I suoi grandi occhi sì inumidiscono e tremolano per ogni piccola emo­zione: il sorriso è dolce, il pal­lore è un poco malato. Vedendo i palloncini accesi, ella ha un sus­sulto, si arresta e le cadono le mani lungo ì fianchi).

Nina                              - Oh!... (Poi guarda San­dolino) Dove li ha trovati? (Il volto di Sandolino si illumina dì una luce calda e devota).

Sandolino                      - Non son andato lontano. Pensavo che... Io, a ca­sa mia, ne avevo tanti... ma i ra­gazzi me li hanno quasi tutti bru­ciati per portarli in giro con la bicicletta... (Sì rigira vedendo che Bobolò tenta dì svignarsela inos­servato. Rivolto al giovinotto) Tu cerchi acqua! Devi avere una sete spaventosa, tu. Ma forse è inutile andar giù per le scale. Acqua ce n'è anche qui! (A Nina) Gli dica dov'è la cucina!

(Stefano schiude il cancelletto e riappare improvvisamente sulla terrazza).

Stefano                         - Non mi pare difficile trovarla... (A Bobolò) Venga con me... Ho lasciato scorrere l'ac­qua: deve essere fresca. Ne be­viamo un buon bicchiere, e ma­gari ci fumiamo sopra un'altra delle sue sigarette! (Si abbranca a Bobolò, e lo trascina in casa).

Sandolino                      - (a Nina, dopo un at­timo) Come sta?

Nina                              - (risponde ansando un po­co, e sorride turbata) Così.

Sandolino                      - Con questo caldo...

Nina                              - Si fatica a respirare an­che noi. Immagini la nonna, po­veretta!

Sandolino                      - Non sono entrato a salutarla. La signora Marianna non mi ha detto niente...

Nina                              - Perché s'è assopita.

Sandolino                      - Allora disturberemo. (Indica il mandolino) Io ho portato questo, che è il mio vec­chio mandolino di allora. (Indica ì palloncini). Pensavo che con que­sti intorno, e quassù dove non ci vede nessuno, si potesse fare un po' di teatro!

Nina                              - Povera nonnetta! Se po­tesse alzarsi, si divertirebbe an­che lei. L'abbiamo trascinata at­traverso il mondo come un fagot­to di cenci; ma il suo cuore è rimasto a Venezia. Ed ha spera­to di poterci ritornare, fino a qualche tempo fa, fino a quando ha saputo che la zia Filomena era morta e che non ci poteva essere più nessuno, ormai, che si ricor­dasse di lei!

Sandolino                      - Ma è morta da sei o sette anni la zia!

Nina                              - Abbiamo cercato di far­glielo sapere il più tardi possibi­le... Ora, anche per noi, chi è ri­masto? Gli amici? Quelli si sa che muoiono anche prima di morire.

Sandolino                      - Ma qualche volta s'incontrano quando uno meno se l'aspetta.

Nina                              - (lo guarda) Lei!

Sa'ndolino                     - (sì ravvia ì capelli) Vecchio, no?

Nina                              - (tenta di sorridere) Non so. Io non posso dirlo senza com­promettermi.

Sandolino                      - Da un mese più che mai. Da quando, per caso, af­facciandomi all'uscio del mio ne­gozio, ho visto passare suo padre con Teresina. Teresina non l'avrei riconosciuta. Suo padre sì, subito. (Cambia tono) A proposito di Te-resina... non fatevelo venire trop­po fra i piedi quel cialtrone là!

Nina                              - (sorpresa) Bobolò?

Sandolino                      - Sì. È uno dei più pericolosi figuri della contrada.

Nina                              - La nostra mamma è a-mica della sua mamma...

Sandolino                      - Che ha bottega di stiratrice proprio di fronte a ca­sa mia. Brava donna: lavora fino alle due o alle tre di notte... E siccome dice che non può andare a letto fin tanto che non rinca­sa il figlio, il figlio dice che indu­giare nelle osterie fin quasi all'al­ba, è un modo come un altro per far aumentare il lavoro e i guada­gni di sua madre! Stia attenta a Teresina, Nina! e le proibisca di frequentare quella compagnia. Io a lui l'ho già avvertito.

Nina                              - Grazie.

Sandolino                      - E, se occorrerà, gli tirerò l'orecchio. Ma stia in guar­dia anche lei.

Nina                              - (dopo un attimo, con pa­cata malinconia) Io devo badare un po' a tutti, Sandolino; al pa­pà che va a far debiti nei negozi, alla mamma che litiga da mane a sera... non per malvagità, lei la conosce, povera donna!... ma perché ha i nervi malati dopo tante sventure; a Tonino, che adesso spero di aver messo a po­sto; al cavaliere, che ci tratta qualche volta, sapesse!... Dobbia­mo tutto a lui, ha salvato il papà! Ma come lo si inghiottisce male un pezzo di pane quando si deve mangiarlo con la testa china! In questo quartiere nuovo non mi oriento ancora. Ci siamo da un mese e posso uscir poco. Prima, laggiù, nel cuore della vecchia cit­tà avevo a poco a poco imparato a conoscere tutti!... Qua... (Con un sospiro) Terremo d'occhio an­che Bobolò.

Sandolino                      - Qua ci sono io.

Nina                              - Da poco anche lei.

Sandolino                      - Da cinque anni, da quando...

Nina                              - Potrebbe essere felice, ha bottega sua...

Sandolino                      - (con uno scatto ru­de) Ma mi faccia il piacere!

Nina                              - (pacata, quasi materna) Potrebbe esser felice se badasse di più a sua moglie, se le impe­disse di fare la vita che fa, se si preoccupasse di essere il padrone non soltanto in bottega, ma an­che in casa... invece di andare a sprecar denaro dovunque, di an­dare a fare il galletto dovunque... Lo se! Ma questo vizio lei l'ha sempre avuto.

Sandolino                      - (sorride ironico) Certe notizie le ha già raccolte, però, intorno agli usi di qualche abitante del quartiere!...

Nina                              - (arrossisce) Vengono a parlare...

Sandolino                      - (amaro, quasi bru­tale) E le hanno detto che se sono quello che sono, me lo me­rito... che, anzi, ho voluto esser­lo, e ci godo. Ed è la verità; ci godo. Mi pare di essere più libero!

Nina                              - (addolorata) Ma se i suoi bambini, Sandolino! Lei li ha due bambini che sono due amo­ri! Perché parla così?

Sandolino                      - (torcendosi le lab­bra, dopo una pausa) E mia mo­glie l'ha vista?

Nina                              - (abbassa il capo) No.

Sandolino                      - Dica la verità.

Nina                              - (fa cenno di sì. Poi rial­za la fronte) Perché l'ha spo­sata?

Sandolino                      - Perché... Sono sbornie. E poi si dice, quando duole il capo e la lingua è grossa « Non lo faccio più »! E se si tor­na a bere, per non aver rimorsi si va a bere in un'altra osteria. (Pizzica il mandolino, ne carezza le corde, e guarda intensamente Nina) Rovine! Io che mi sono sposato, lei che non si è sposata. Rovine! (Con dolcezza) E le vo­levo bene, Nina! Si ricorda quella sera in barca, tornando, quando tutti sonnecchiavano, e i pallon­cini erano morti, bruciati... Lei mi ha giurato, e ci siamo, per la prima volta, dati del tu? (Can­ticchiando sommesso, accompa­gnandosi col mandolino): A darte del ti no fasso fadiga; ma, prima ch'el diga, Nineta intendémose, cuor mio fra ti e mi, coss'elo sto « ti »! Adesso si spegneranno tutti i lumi, e sembrerà di galleggiare nel buio come quella sera... quan­do ci sarà un gran silenzio intor­no, pensi a Venezia, dove, pur­troppo, forse non torneremo mai più. (Riprende a canticchiare): Per dare del ti ghe voi la laguna, el darci de luna...

Nina                              - (è diventata pallida, e lo interrompe con un nodo in gola) No, Sandolino! No.

Sandolino                      - (Depone il mandoli­no) Perché se ne è andata sen­za più farmi sapere nulla di lei, senza farsi più viva? Crede che io non l'avrei sposata anche se si diceva quello che si diceva di suo padre?

Nina                              - (con fermezza) Perché io avevo un'altra famiglia; que­sta. Se fossi mancata io, sa che cosa sarebbe accaduto di tutta questa gente? Della nonna decre­pita, di Teresina che cominciava andare a scuola, del papà... Così, almeno, tutti vivono... ed io son come morta. Ma era necessario, Sandolino! Dovevo, Sandolino! Specialmente quando è scoppiato quel piccolo scandalo nell'ufficio municipale per colpa del papà, e tutti siamo partiti a precipizio... E, poi Bari; e poi, Livorno... e sempre disastri, imbrogli, dispe­razioni. E, infine, qua.

(Pausa).

Sandolino                      - Il cavaliere ora vi aiuta?

Nina                              - Ha le sue manie. È un vecchio amico del papà, e il pa­pà, ora, gli fa da segretario!

Sandolino                      - (ride) Eh?!

Nina                              - Sì. Se deve scrivere del­le lettere vuole che sia il segreta­rio quello che firma. Lo manda a far delle commissioni, a riscuote­re gli affitti di una piccola casa che ha nel centro...

Sandolino                      - E si fida?

Nina                              - Tanto è vero che, quan­do lo manda a riscuotere, lo aspetta dentro un piccolo andito che è di fronte al portone, e gli piomba addosso... Ma vuole che si dica che c'è una amministrazio­ne che funziona, perché il cavalier Garoffi ha ben altro da fare!

Sandolino                      - (sogghigna) Lui?

Nina                              - Lo so. Adesso ha com­perato questo appartamento ed ha voluto che anche noi venissimo ad abitare qua. Io faccio la ser­va... (si guarda con tristezza le mani). No, non son più le mani di una volta, Sandolino! La mam­ma corre, rammenda, stira; tutti siamo intorno a lui... e lui ci rac­conta sempre le stesse noiosissime fandonie, ed è contento perché noi fingiamo di credere... Ha la sua corte, insomma.

Sandolino                      - È solo al mondo: erediterete!

Nina                              - Non credo. (Sorride). Intanto, l'affitto di questo piccolo alloggio al sesto piano non è un prezzo esagerato per tutto il lus­so, per tutte le cure e per tutta la sopportazione che pretende da noi! Per fortuna, la mamma ha trovato da fare per una sartoria! Io l'aiuto di notte! Adesso sono riuscita anche a mettere a posto Tonino...

Sandolino                      - Le avevo detto che volevo pensarci io!

Nina                              - Non occorre, Sandolino! Lo so che lei l'ha detto; ma non occorre più. E poi lei ha già tre ragazzi in negozio. Troppi. E li­cenziarne uno, uno che magari ha fame più di noi, per prendere To­nino, non è giusto.

Sandolino                      - Dove lo vuol man­dare?

Nina                              - Da Pescinetti, che ha un gran magazzino di generi co­loniali, qui, sull'angolo, lo co­nosce?

Sandolino                      - E chi non lo co­nosce?

Nina                              - È tanto simpatico, sem­pre allegro... Ho potuto parlare l'altro giorno, con lui; ha visto Tonino, ha promesso che ci aiu­terà. Ho pensato anzi di invitare anche lui stasera a mangiare il cocomero.

Sandolino                      - (Gira intorno alla tavola e guarda il cocomero) Questo è un regalo del cavaliere... L'ho veduto, oggi, quando lo comperava.

Nina                              - (Con uno scatto) No!

Sandolino                      - (si rigira sorpreso) Cosa?

Nina                              - Non glielo dica, per amor di Dio! E non lo dica ad alcuno qui.

Sandolino                      - Perché? Non ho mica detto che lo ha rubato!

Nina                              - No, lo ha comperato; lo immaginavo. Ma lui vuole Che si creda che lo hanno regalato a lui certi suoi... che so io? Certi suoi ammiratori. Ci tiene. Porta a casa dei cestelli molte volte; fi­chi secchi, frutta candite, marza­pane... Dice: omaggi. Bisogna la­sciarlo dire, e poi spalancar la bocca e fare: « Oh! che meravi­glia ». E tutti in coro: « Ma quanta gente le vuol bene, Ca­valiere! ». Bisogna cercare di riu­scirgli graditi con tutti i mezzi. Anche papà, che è così distratto, ora ha imparato. Ma deve tener d'occhio Tonino perché, una vol­ta... (Di destre giunge Tarquinia: s'è rinsecchito, m-m è sempre mol­to educato, un poco miope e me­ticoloso. È giunto forse coi piedi, ed è sudatissimo; ha le scarpe pol­verose e il fazzoletto intorno al collo sul taglio del solino alto e ben lucidato: nella paglietta ha i guanti ed un mazzolino dì fiori m mano).

Nina                              - (mostrandosi gentile) Oh! Buona sera, Tarquinio! Co­me mai?

Tarquinio                       - (guarda incantato i palloncini) Oh!... Perché?

Nina                              - Così. Le piace? Sa, qui siamo tutti veneziani, ed anche lei è un poco... Vogliamo fingere di essere in laguna.

Tarquinio                       - Magari!... Mi ha telefonato in ufficio il suo papà invitandomi a mangiare il coco­mero. Lei, cattiva, non ci avreb­be pensato, lo, so.

Nina                              - Tanta strada! Ed è la terza volta in un mese, che viene sin qui da noi, per annoiarsi, in fondo...

Tarquinio                       - (arrossisce) Oh! Non bisogna che lei dica questo! A me basta non perdere l'ultimo tram, ecco tutto.

Nina                              - (presentando) Un vec­chio amico, veneziano anche lui! Sandolino. Il signor Tarquinio Sorrisi, che abitava accanto a noi in via Broletto, impiegato da Suzzi.

Tarquinio                       - Come, reparto spe­dizioni? Conosce?

Sandolino                      - (ironico) Oh, si ca­pisce!

Nina                              - (a Tarquinio) Notizie dal centro?

Tarquinio                       - Le solite. Questo è il famoso cocomero? Bello.

Nina                              - Carlotta, la levatrice, è guarita?

Tarquinio                       - Non la vedo da un pezzo. Ma credo di sì, perché da una settimana il marito non viene più al caffè.

Nina                              - E il portinaio?

Tarquinio                       - Assolto.

Nina                              - Non dovevano.

Tarquinio                       - Ma in fondo le ha prese...

Nina                              - Non è una buona ra­gione.

Tarquinio                       - Lo so, lo so... Ma se si pensa che le prenderà an­cora, lasciarlo fuori mi parreb­be quasi più giusto che metter­lo dentro, al sicuro.

Nina                              - E lei, sempre scontento?

Tarquinio                       - Pieno di fastidi, cara signorina... (Un po' impac­ciato perché Sandolino guarda). Le ho portato questi due fiori... (Offre il mazzetto, poi): Ho por­tato le caramelle dissetanti per la nonna; le ho date alla signora Marianna.

Nina                              - Lei è sempre molto buo­no, signor Tarquinio. (Odora i fiori).

Tarquinio                       - (torvo) Non lo dica. Io forse non sono che uno scemo! (Ritorna Stefano: ha un ca­tino in mano ed una di quelle va­sche che si usano per gli ammala­ti, gonfia di ghiaccio. Mette il co­comero nel catino e rovescia il ghiaccio intorno).

Stefano                         - (ilare) Oh! Bravo Tarquinio! E mangeremo il coco­mero, come vedo, in zattera.

Nina                              - (sottovoce, addolorata a Stefano) Ma perché hai portato via il ghiaccio alla nonna, papà?

Stefano                         - Eh, la nonna dorme! Non se ne è accorta. D'altra par­te, un po' di ghiaccio ci vuole, no? (a Tarquinio). Si ricordano ancora di me in via Broletto?

Tarquinio                       - Garrone, il pro­prietario del Caffè all'angolo, mi chiede sempre di lei!

Stefano                         - Quello è un brutto tipo.

Tarquinia                       - (cava da una busta di cuoio un sigaro corto e bruno e, lo accende con molta cura) Di­ce che le ha scritto.

Stefano                         - Appunto, Ed io non gli rispondo. Che maniera! Come se fossi scappato!...

Sandolino                      - (ansando, vibrando, a Nina che gioca coi fiori di Tar­quinio) Ti vuole sposare? Di' la verità: ti vuole sposare?

Nina                              - (cercando di parer disin­volta) Si dice di un « flirt ».

Sandolino                      - Povero diavolo!

 Nina                             - Alla mia età, Sandoli­no, non si può pretendere di me­glio.

Sandolino                      - (comincia, sommes­so, nervoso, a pizzicare il mando­lino) .

Stefano                         - (che ha sentito l'odor del fumo; a Tarquinio) Lei non fuma più sigarette?

Tarquinio                       - No; sigari!

Stefano                         - Sigari? Perché?

Tarquinio                       - D'estate, sigari. Perché si sta con le finestre aper­te in ufficio e il direttore non si lagna.

Stefano                         - (goloso) Son forti?

Tarquinio                       - No.

Stefano                         - Con questo vivere, senza giacca, io non ho mai da fumare. Voglio provare un suo si­garo, se permette. Può darsi che mi piaccia, che mi abitui anch'io e che la smetta una buona volta con le sigarette. In fondo deve es­sere una economia.

Tarquinio                       - (offrendo a malin­cuore la busta) Se si fumano sì,... se si offrono, no.

Stefano                         - (prima di accendere) Cosa vuol dire?

Tarquinio                       - Vuol dire che se si dovessero distribuire i sigari come si distribuiscono le sigarette, sa­rebbe un'ira d'Iddio. Si intende che non parlo per lei,

Stefano                         - (accende) Oh, non ne dubito!

Sandolino                      - (concitato, sussurra a Nina) Finirai per sposarlo! Quanto volte è venuto fin qua? Finirai per sposarlo!

Nina                              - (lo guarda) Ci pensavo. (Butta i fiori in un canto). Non potrei farla anch'io una sbornia, tanto per dimenticare?

Sandolino                      - Per dimenticare che cosa?

Nina                              - (allarga le braccia) Tutto! (Giunge di destra la signora Ma­rianna seguita da Teresina. La si­gnora Marianna ara è proprio vec­chia, ed è più arruffata, frenetica ed ansimante del solito. Ha sem­pre gli occhi lucidi e il pianto e la rabbia in gola. Ha afferrato la bottiglietta di rhum acquistata da Teresina ed entra agitandola minacciosamente, come una cla­va).

Marianna                       - Ma che cosa man­date a comperare voi? Ma che roba è questa? (Cerca il marito) Dov'è quel matto? (legge l'eti­chetta). Ma, pensate: rhum! Co­sa costa?

Teresina                         - Non lo so, mamma!

Marianna                       - Niente. Cioè, a cre­dito. E si ricomincia anche qui. (A Stefano, che impassibile, suc­chia il sigaro). Ma qua, no, eh?! Qua no. C'era proprio bisogno del rhum?

Stefano'                         - Forse.

Marianna                       - Indispensabile?

Stefano                         - No. Ma, volendone fare a meno, si prende il cocome­ro e lo si scaraventa incorte. (Af­ferra il cocomero e si affaccia alla balaustrata).

Nina                              - (trattenendolo) Ma che cosa fai, papà? Un affronto simi­le al cavaliere?

Stefano                         - (Poiché non domanda­va di meglio, ripone il cocomero nel catino) Appunto. Affronto, no. E allora, rhum. Se no non lo si digerisce, e ti vien il colera.

Marianna                       - Ma che cosa può costare questa bottiglia? Dica lei che se ne intende. Sandolino: co­sa può costare?

Sandolino                      - (per calmarla) Po­co, signora Marianna, poco.

Marianna                       - Ma noi siamo in miseria, Sandolino, in miseria. E il suo poco può essere la nostra ultima rovina!

Stefano                         - (scatta) L'ultima no! L'ultima sarai sempre tu!

Sandolino                      - (a Marianna, pren­dendo la bottiglia e deponendola sulla tavola) Non si agiti! Ci penserò io se mai. Cosa vuole. Otto lire... nove, al massimo.

Marianna                       - E noi si sgobba die­ci ore per guadagnare otto lire!

Stefano                         - Ma fammi il piacere!

Marianna                       - Oh, tu no, certo. {Vede la vescica vuota, e il ghiac­cio nel catino) E anche il ghiac­cio della nonna avete rubato! Adesso quella poveretta si sve­glierà con i soliti dolori agli stin­chi! (Nina rientra in casa fretto­losamente).

Tarquinio                       - (si accosta, al catino, ed annusa con una smorfia di disgusto) Ma... questo è il ghiac­cio che la nonna teneva sulle gambe?

Stefano                         - (seccato) Ma era nel­la vescica, sa? Cosa crede? Che fosse sparpagliato sotto le co­perte?

Tarquinio                       - Saranno idee, ma il ghiaccio che si adopera per gli ammalati...

Stefano                         - È lo stesso ghiaccio con il quale si fabbricano i gelati.

Tarquinio                       - Ma, se uno ci pen­sa, a prendere il gelato non ci va più.

Stefano                         - Lei preferisce man­giare il cocomero bollito? (Si grat­ta un orecchio, pensieroso) Piut­tosto mi secca che quella mia vec­chietta stia male. Non è giusto. (Afferra la vescica).

Sandolino                      - Mi pare.

Stefano                         - (deciso) Tonine dov'è?

Marianna                       - Vuoi mandarlo a comperare ancora del ghiaccio? Ma fra un mese noi vivremo asse­diati dai creditori anche qua!

Stefano                         - Deve andar ad invi­tar Pescinetti. Figurati se in casa di Pescinetti non hanno del ghiac­cio! Se ne fa dare un poco: in­vece di scendere a mani vuote, scende con la vescica...

Marianna                       - E che cosa dirà Pe­scinetti?

Stefano                         - Dirà che siamo gente di cuore, che si preoccupa dei ma­lati!

Sandolino                      - Giusto!

Stefano                         - Per .Diana! Non ci siamo mica venuti ad accampare in mezzo agli antropofaghi! Gli antropofaghi sono, semmai, nel centro della città, non è vero, si­gnor Tarquinio?

(Ritorna Nina e sospinge To­nino con un libro sotto il braccio, il broncio, torvo e i capelli sugli occhi. Tonino è un ragazzetto morbosamente .timido: un po' so­gnatore, un po' testardo, con la voce arrochita dai lunghi silenzi. Sedici anni, poco più. E legge con tanta rabbiosa tenacia che le sue unghie sono tutte massacrate. In­tanto è tornato anche Bobolò, e sì è accucciato in un angolo, lonta­no da Sandolino).

Nina                              - (a Tonino, irritata) Ades­so te lo dirà il papà. Volevi sentirtelo dire dal papà? (a Stefano) Diglielo tu!

Stefano                         - (sbuffando) Che cosa c'è?

Nina                              - Non vuol saperne di an­dare ad invitare il signor Pescinetti!

Marianna                       - (Ulula come ai piedi del Calvario) Ah, lo temevo! Qua tutto si sgretola... Non riu­sciamo più a tenere in piedi nul­la, figlia mia!

Stefano                         - (autoritario, a Marian­na) Zitta, tu. (Minaccioso a To­nino) E perché? (A Sandolino che gratta sul mandolino) La prego di star zitto per un momento an­che lei! (A Tonino, furioso) Per­ché...

Nina                              - Dice che si vergogna.

Stefano                         - E quando dovrai an­dare tutti i giorni a bottega?

Tonino                           - (senza guardare in fac­cia alcuno) E’ un'altra cosa! An­drò a guadagnarmi il pane!

Marianna                       - Con quella faccia da?... Si dice: « Dorme; è stan­co, è malato, è morto... ». Ma ha gli cechi aperti e tutta la not­te si consuma la luce per leggere quei suoi libracci!

Teresina                         - (pettegola, ostile) Per giocare alle parole incrociate!

Stefano                         - (stizzito) Silenzio! (A Tonino) Pescinetti ha promesso che ti prenderà nel suo magazzino. È un uomo che quando pro­mette mantiene. Trovare un posto oggi, caro mio, alla tua età e con le qualità tue... ma è una cosa che sembra quasi una fiaba! A questo poveretto che conosciamo appena da un mese e che ci fa questo gran regalo, qualche gen­tilezza dobbiamo usarla sì o no? Lo si invita per stasera, per man­giare una fetta di cocomero con nei: alla buona, ma tra amici...

Nina                              - Glielo avevo detto anch'io!

Stefano                         - E devi andare ad in­vitarlo tu. A nome mio, ma tu. (Minaccioso) Se ti pesano le sca­le, sai che io ho un sistema molto pratico per farti giungere fino in fondo senza sfiorare neanche un gradino... E ho le mie decisioni pronte! Hai due minuti di tempo.

Nina                              - Papà!

Marianna                       - (disperata) Dio, Dio, che roba, Sandolino!

Sandolino                      - (si avvicina a To­nino, paterno) Perché ti ver­gogni? (Gli mette due dita sotto il mento, e lo costringe a solle­vare la fronte).

Tonino                           - Mi pare che... (Guar­da torvo gli altri, si guarda le unghie) Non so... verrà ad aprir­mi la sorella, che urla con tutti e non mi conosce. Capace di scam­biarmi per uno che va a chiedere l'elemosina (Si guarda le scarpe rotte) e di sbraitare prima che io pronunci una sola parola!

Sandolino                      - No. Non lo farà. È una brava donna anche lei. Vedi: io la conosco. Lui...

Tonino                           - (illuminandosi per un attimo) Oh, lui è sempre alle­gro; e canta quando sale e scen­de le scale, e tratta bene anche tutti quelli che vanno in bot­tega...

Sandolino                      - E lei non è meno cordiale di lui. Urla ma non fa male ad alcuno. E poi, tu sei un uomo...

Marianna                       - (ghignando) Un uomo!

 Tonino                          - (offeso) Sì! Voi mi co­noscete, qua dentro... Perché per farsi conoscere da voi bisogna parlare, parlare, soltanto parlare! Un uomo! Non un macaco che non capisce niente, che non sa far niente: un uomo che capisce tut­to. E se dico che mi vergogno con la gente... (sbircia Stefano) non lo dico per me!

Stefano                         - (perde la pazienza) Non lo dici per te!... Lasciatemi fare: è per me che lo dici?

Sandolino                      - (trattiene Stefano) Buono, signor Stefano! (a Toni­no) Tu andrai, farai l'invito per bene. (Gli porge la vescica vuo­ta) Poi passerai da casa mia. Non c'è che la donna, ora, in casa. Le dirai, a nome mio, di riempire questa vescica di ghiaccio. È per la nonna...

Nina                              - Infatti, s'è svegliata.

Sandolino                      - (lo sospinge dolce­mente) Farai un'opera buona. Vai! (Tonino se ne va).

Nina                              - (sommessa) Grazie, San­dolino.

Marianna                       - Quel figlio non farà mai nulla di buono!

Sandolino                      - Intanto è andato.

Stefano                         - Ha capito che non scherzavo. Questo, almeno, l'ha capito.

(Si accende la luce oltre il can­cellerò, nel regno del cavaliere Garotti).

Stefano                         - (ghignando) Oh! fiat lux! Èarrivato il mecenate.

Nina                              - (sommessa, a Stefano) Papà, non essere, come tante vol­te, ironico. Sai che è sospettoso: e sai anche che...

Stefano                         - Oh, io sarò cortesis-simo! Mi metterò a far le caprio­le, se me lo comanderà... (Con rabbia) Ma ho un peso, qui...

(Si schiude il cancello: entra Ga­rotti. Gli son rimasti pochi peli intorno alla fronte lucente; ma ogni, pelo è una corona di lauro. Si muove lento, guarda severo, sentenzia con sussiego. La sua pancetta è soda, la sua bocca è sprezzante. Solino dritto, naso sottile, barbetta da tiranno, ele­ganza da avaro pretenzioso. Porta a spasso il proprio panciotto bian­co, come se fosse l'editto dell'im­peratore. Entrando sa di susci­tare grandi meraviglie e di im­porre un profondo rispetto: e se ne compiace).

Marianna, Nina eTeresina - Oh, cavaliere!

Stefano                         - (suo malgrado) Buo­na, sera.

Sandolino                      - (con un lieve inchi­no) Egregio cavaliere.

Garotti                          - (guarda i palloncini, guarda il cocomero, guarda tutti; si liscia la barbetta. Poi) Tardi? Ho pranzato in un ristorante del centro...

Stefano                         - Quale?

Garotti                          - (si rigira sospettoso, di scatto) Perché? Si doveva par­lare di affari. Dicono che a ta­vola si discute male di affari. In­vece mi pare il luogo più adatto: si parla col coltello in pugno... (ride stridulo; gli altri ridono compiacenti, A Stefano, severo) Non ho veduto la risposta a quel­la lettera del mio inquilino del terzo piano... Come si chiama? È necessario rispondergli subito: e io non posso occuparmi di tutto.

Stefano                         - (impacciato) Oggi ero un po' così...

 Garotti                         - (c. s.) E recapitare la risposta a mano. Nelle sue ma­ni, di mattina, prima che esca.

Stefano                         - (con la disperazione in gola) Ma esce alle otto...

Garotti                          - Appunto. E così si fa la strada prima che il sole ar­roventi i marciapiedi: una bella camminata...

Stefano                         - Sport!

Garotti                          - (lo guarda) Tu in­grassi troppo.

Stefano                         - Non per colpa tua.

Garotti                          - (piccato) Cosa vuoi dire?

Stefano                         - (tenta di sorridere) Tu mi fai camminare, se ce n'è bisogno!

Garotti                          - (secco) E ti farà bene. (Cambia tono. A Nina) Brava: ho visto l'acqua nel secchiello. (A Marianna) E la biancheria?

Marianna                       - Già stirata, signor cavaliere.

Garotti                          - Brava. (Si liscia la barbetta. Poi, come se annunzias­se la trasvolata atlantica) Doma­ni andrò a Monza!

Sandolino                      - (con sottile ironia) Viaggi! Sempre viaggi!

Garotti                          - Noiosetto, questo. Ho già avvertito del mio arrivo, e mi aspettano. (Minaccioso) Fa­rò ballare qualcuno anche doma­ni! (A Sandolino) Prima passerò da lei. Le hanno portato il mio pennello e il mio rasoio?

Sandolino                      - Non credo.

Garotti                          - (severo, a Stefano) Come? Stefano?!

Sandolino                      - (pronto) Ah, sì sì! Oggi

Garotti                          - Soltanto oggi?

Sandolino                      - Stamattina.

Garotti                          - (a Sandolino) Sa, non è per farle un'offesa: ma io non posso radermi che con un pen­nello e un rasoio di mia proprietà.

Sandolino                      - Lo fanno molti.

Garotti                          - (seccato) . Non m'in­teressa! Non lo faccio perché lo fanno molti; lo faccio perché gar­ba a me. (Guarda Bobolò, inter­rogando).

Marianna                       - Il figlio della stira­trice che sta di fronte.

Garotti                          - (sogghigna) Invitato anche lui?

Nina                              - È un cocomero fenome­nale: ce n'è per tutti!

Garotti                          - (guarda compiaciuto il cocomero) Bello, eh?! Veramen­te un fenomeno. Eh, sono i soliti omaggi di qualcuno che esagera! Ed ha torto di esagerare, perché io mi secco e capisco, dove si vuole andare a finire. Da solo non l'avrei potuto mangiare. E ho det­to: Godiamo tutti! (A Tarqui­nio) Sono contento di vedere an­che lei, caro signor Tarquinio! Che cosa hanno detto in via San Fulvio quando hanno saputo che comperavo un appartamento qui, lontano dal traffico, un grande appartamento nuovo anche per questi poveri amici miei che bi­sogna far aiutare?

Tarquinio                       - (impacciato) Han­no detto....

Garotti                          - Seccati?

Tarquinio                       - Gente che ha tan­to da fare: ci pensa un giorno; e, poi, non ci pensa più.

Garotti                          - Ma il tabaccaio, eh? il tabaccaio... Marche da bollo, cartoline, sigari... Non spunta più il cavaliere! Il cavaliere può fare il comodacelo suo, e lo fa. Caldo eh? (Indica i palloncini) Questi lumi non vi pare che fac­ciano più caldo?

Nina                              - È stata un'idea di San­dolino, per darci l'illusione di es­sere a Venezia.

Garotti                          - La rimpiangete? Io no. Città morta: gli uomini di affari ci vivono male. (Guarda il cocomero) Beh! vogliamo sgozza­re il nostro?

Nina                              - Aspettiamo ancora un invitato.

Garotti                          - Un altro!

Stefano                         - (che ha stappato la bottiglia) Se vuoi, intanto, un gocciolino di rhum!

Garotti                          - Per l'amor d'Iddio... Liquori d'agosto? (Guarda la bot­tiglia; sogghigna) Spese, eh, si­gnora Marianna?... Bravi.

(Sandolino ha ripreso a grattar sul mandolino una barcarola ve­neziana) .

Garotti                          - Ah, ecco, si: con questa musichetta Venezia ripal­pita un poco!

Stefano                         - Non verrebbe voglia di fare un salto al di là della ba­laustrata per fare un bel bagno in laguna?

Nina                              - Ma domani è la festa del Redentore, mamma! È la fe­sta del Redentore!

Marianna                       - E non lo sapevi?

Sandolino                      - Non lo ricordavo più.

(Pausa).

Garotti                          - (a Stefano) Chi è?

Stefano                         - Chi?

Garotti                          - Questo signore che avete invitato, e che si fa tanto aspettare.

Stefano                         - Pescinettì.

Garotti                          - (trabalza, livido e vi­brante) Eh?! (Gli si chiudono i pugni, gii si contraggono le labbra).

Stefano                         - Sai, quello che ha il magazzino sul crocicchio e abita sotto di noi. È andato Tonino a pregarlo di venire. Vogliamo usar­gli questa cortesia.

Garotti                          - (passeggia concitato; e tutti lo guardano molto preoccu­pati) Pescinetti! Perdio! Avete delle idee meravigliose!

Nina                              - (che fiuta il temporale) Cosa c'è?!

Garotti                          - (sghignazza) Pescinetti!

Stefano                         - Sai, quello calvo, col collo grosso, sempre allegro...

Garotti                          - (troncando) . Eh, lo conosco! Non potevate farmi un regalo più gustoso. Ed io, in casa mia... Perché, intendiamoci, que­sta è tutta casa mia... ed anche quel cocomero, che aspetta di es­sere mangiato, è mio... dovrei stringere la mano a quel fara­butto?

Sandolino                      - (interviene, conci­liante) Ma perché dice questo, cavaliere? Io conosco Pescinetti da almeno cinque anni... tutti qui lo conoscono, sanno che è un galantuomo e gli vogliono bene.

Garotti                          - Cambiando sede, do­vrei dunque uniformarmi ai senti­menti del caseggiato? Caro signor parrucchiere, lei forse conoscerà il signor Pescinetti; ma io mi accorgo che non conosce ancora me. Io ho detto che è un fara­butto e mantengo la mia parola!

Sandolino                      - Ma, scusi, si spie­ghi...

 Garotti                         - (vibrando) Non ho spiegazioni da dare ad alcuno. E vi dico che quando quel signore metterà piede qui, poiché io non ho alcuna intenzione di andarme­ne, si svolgerà una scena molto carina!... Le conseguenze di que­sta scena le lascio indovinare a tutti... Del resto, mi fa piacere conoscerlo.

Stefano                         - Ma se hai detto che lo conoscevi!

Garotti                          - (vivace) Ho detto chi è; non ho detto che lo cono­sco. Ho detto e dico che è un mascalzone rivoltante, un farabut­to e un ladro!

Sandolino                      - Le prove, scusi...

Garotti                          - Quali prove? Mi ba­sta la mia convinzione.

Sandolino                      - (reagisce) Ma badi che a insultare così la gente si arrischia di andare anche in ga­lera...

Garotti                          - E crede che se an­dassi in galera muterei d'opinio­ne? Ma per l'amor del cielo!

Stefano                         - (dopo un attimo) Senti: noi, in fondo... questo Pe­scinetti che ha un grande magaz­zino. ..

Garotti                          - Oh, Dio! grande ma­gazzino!... Voi avete gli occhi co­me i pidocchi. Per un pidocchio, un pelo è un albero.

Stefano                         - Va bene: ha una bottega. Ha promesso di prende­re il mio Tonino come commesso. Capirai che, in certo qual modo, con questo fatto ci aiuta...

Garotti                          - E vi farete aiutare in tutto e per tutto da questo mascalzone! Non dovete mettervi in testa che ciò costituisca un'of­fesa per me; anzi, meno fastidi. Qui verrà ad abitare, con qualche altra faccia, speriamo almeno un po' di decoro e di riconoscenza. Io posso infischiarmene. Ho saputo ridere di tante altre cose ben più importanti e gravi, nella mia vi­ta, tu lo sai. Ed ho vinto sempre.

Stefano                         - (che si frena a stento) Se ti pare che sia il modo di parlare...

Garotti                          - In casa mia parlo co­me voglio.

Stefano                         - (scatta) Non sempre!

Marianna                       - (implorando) Ste­fano!

Stefano                         - Dico, non occorre ripetere una cosa tante volte per farsi capire. Abbiamo capito.

Sandolino                      - (invitato da uno Sguardo dì Nina, si accosta a Ga­rotti) Senta, cavaliere... Io non voglio indagare, non ho diritto di sapere. Ma siccome, sa? io abi­to qua da molti anni e voi siete venuti da poco tempo e vi consi­dero amici miei... vorrei potermi regolare. Il signor Pescinetti cre­do di conoscerlo, e tutti qui lo co­noscono, e gli vogliono bene... e, a dire il vero, del bene ne fa an­che lui a tutti. Io non vorrei che quel suo modo di essere allegro sempre e mattacchione, servisse a cattivargli delle simpatie che non merita, a cominciare — per esempio — dalla mia.

Garotti                          - Sarà convinto di es­sere... che so io? il re dell'isolato!

Sandolino                      - Sì, in fondo, tante iniziative le prende lui; e tutti vanno da lui...

Garotti                          - E lui zufola! Zufola bene, eh? Canta e zufola; e scen­de giù per le scale come un bolide, urtando le persone che in­contra, senza badare a chi in­contra. È un poco il suo quando non è a Sandolino modo di fare bottega...

Garotti                          - (stride) Perché, quan­do è a bottega... Io ci sono entra­to nella sua bottega, per caso, per comperare — compero così poco io qua! — per comperare un po' di gomma arabica. Ha detto al ragazzo: Fatti spiegare cosa vuo­le « quello là! ». Poi, se ne è an­dato.

Sandolino                      - Non l'avrà ricono­sciuto.

Garotti                          - Ah, no??! Si può vi­vere qui senza sapere chi ha com­perato questo appartamento, sen­za sapere chi sono io? Sissignore: chi sono e come mi chiamo. Lui che chiama per nome i monelli mocciosi quando vuol dar loro un pezzetto di zucchero d'orzo, come si fa con i cani, ha riportata una mia lettera, che gli era stata con­segnata per sbaglio, alla porti­naia; e l'ha buttata sulla tavola urlando: Che cosa mi regala lei? Con questo signor Caroti io non c'entro!

Sandolino                      - Avrà detto Garotti!

Garotti                          - Caroti. Io ero sul pri­mo pianerottolo e sentivo. Caroti. Glielo farò sapere io come mi chia­mo, esattamente, con tutte le doppie. E l'occasione è propizia... Proprio la sera che si deve sba­fare il mio cocomero. (Un'idea gli attraversa la mente). Anzi      - (Gira sui tacchi) Non abbiate paura: torno subito. (Schiude il cancel-letto: sparisce).

(Pausa).

Marianna                       - (congestionata, deci­sa) Vado a dire a Pescinetti che non venga.

Bobolò                          - (sghignazza) Ma no! i due vecchietti che si picchia... non sarà mica un brutto spetta­colo!

Marianna                       - Lo pregherò di non venire: troverò una scusa, Ma­donna santa, che cosa abbiamo fatto!

Stefano                         - Senti: se cominci a piagnucolare così, qua una sce­nata la faccio anch'io, e la festa è al completo.

Nina                              - (a Marianna) E poi? Se Tonino deve andare a lavorare da lui, un giorno o l'altro qui s'in­contreranno.

Marianna                       - Bisognerà che Tonino rinunzi.

Stefano                         - Ma comincia col dar­gli trecento lire al mese; è il pa­ne. Possiamo rinunziare a questo pane che ci viene da Dio?

Marianna                       - (a Stefano) Ah, se tu fossi un altro uomo!

Stefano                         - (seccato) Io? E che uomo sono io? Un fagotto di stracci, è vero? Va bene: e ti fa­rò vedere che da questo fagotto, all'occorrenza, uscirà un altro uomo. Gli schiaccerò sul muso tutta la sua prosopopea, e ce ne andremo di qua...

Sandolino                      - Bisognerà, invece lavorare di persuasione.

Stefano                         - Ma non ha sentito? Non lo conosce e dice: farabutto, ladro, ed è andato a prendere il bastone!

Bobolò                          - (c. s.) Forse la rivol­tella.

 Marianna                      - (con uno strillo) Vergine del Calvario!

Stefano                         - (irritato) Vuoi star zitta tu, sì o no?

Nina                              - Che intanto Tonino, con una scusa, ritardi ad assumere il posto.

Stefano                         - E se se lo piglia un altro quel posto?

Sandolino                      - Parlerò io con Pe­scinetti. È, una faccenda, nella quale non ci vedo chiaro.

Stefano                         - Chiarissimo: quello che ha sentito è tutto.

Sandolino                      - Ma non c'è senso comune! Tanto odio per delle inezie?

Stefano                         - Se lo si tocca nella sua suscettibilità, se non si dà im­portanza a quello che fa, a quello che dice, diventa feroce. Sa che quando si soffia il naso, noi tutti lo dobbiamo guardare con mera­viglia, come se suonasse la mar­cia trionfale dell'Aida?

(Ritorna Tonino; ha un cartoccetto in mano ed è solo).

Nina                              - Oh! Tonino!

Sandolino                      - (a Tonino) Dov'è?

Tonino                           - L'ho già portata alla nonna la vescica del ghiaccio. San­dolino, la nonna la ringrazia.

Stefano                         - (nervoso) Dov'è Pe­scinetti?

Tonino                           - Ha detto che non viene.

Nina, Marianna, Stefano - (con un moto di gioia) No?

Tonino                           - Anche lui vi ringrazia tutti. C'è suo cognato in casa, e stasera devono parlare di affari. Ha detto che manderà un coco­mero lui, domani, e che verrà a mangiarlo quassù con noi.

Stefano                         - Ah, no, per l'amor d'Iddio!

Tonino                           - (porge il cartoccetto) Mi ha dato queste caramelle... È stato molto gentile.

Stefano                         - Fai vedere. (Afferra il cartoccetto, lo apre, fiuta golo­samente e addebita una caramella. Intanto, il suo volto si schiara). Neh! Intanto per questa sera, la storia è finita. (Brandisce il col­tello e ne affonda la lama nel co­comero).

Marianna                       - Ma domani? Rico­mincerà domani.

Stefano                         - Domani è nelle mani del Signore. Intanto sventriamo il cocomero, che mi par veramen­te buono! (Eseguisce).

Nina                              - Come si rimedia, San­dolino?

Marianna                       - (implorando) San­dolino!

Sandolino                      - (dopo un attimo, con un sorriso di sereno trionfo). È fatto!

Nina                              - (dubitando) Ma come?

Sandolino                      - Non ci pensi; ci ho già pensato io. Un poco poeta io ero... ricorda, signorina? E i poe­ti, qualche volta, servono, perché hanno fantasia.

(Ritorna Garotti: è torvo, deciso, ed ha un grosso randello in mano. Guarda intorno).

Garotti                          - (in guardia) Non ci siamo ancora tutti. Tonino, per altro, c'è.

Nina                              - Ha mandato a dire che non viene.

Garotti                          - (sorpreso) Perché?

Tonino                           - Perché...

Sandolino                      - (lo interrompe) Sttt... (Trae in disparte Garotti) Senta cavaliere... Io non ho vo­luto parlare prima per non com­plicare le cose, vista la sua col­lera. Ma ora mi sembra inutile na­scondere la verità. Non è venu­to... (fissa Garotti) Sapevo che non sarebbe venuto.

Garotti                          - Ho chiesto «perché»?

Sandolino                      - Perché c'è qui lei.

Garotti                          - Se non mi conosce!

Sandolino                      - Oh! Si figuri! Non direbbe tutto quello che dice sul conto suo, se non lo conoscesse. Quando parla di lei, diventa livi­do, freme e soffia come un ma­stino!

Garotti                          - (trabalza incredulo) Freme? Non gli sono simpatico.

Sandolino                      - La odia!

Garotti                          - (indignato e lusingato) Mi odia?

Sandolino                      - Sanguinosamente.

Garotti                          - (insuperbito) Ah!

Sandolino                      - Capirà!... Lei ha detto bene: era il re dell'isolato. Era il più ricco, era il più stima­to, era il padrone di tutto e di tutti! Adesso è venuto lei. Non parliamo del denaro, che i con­fronti farebbero ridere! Ma la sua fama? E, poi, lei è cavaliere. Tut­ti dicono che sono sciocchezze, ma....

Garotti                          - (sogghigna stridulo) Chi sa quante volte avrà tentato di farsi dare una crocetta, il si­gnor droghiere!

Sandolino                      - Oh, era diventata una cosa ridicola, una mania. Si era creata una certa popolarità...

Garotti                          - (c. s.) Con le cara­melle!

Sandolino                      - Roba che dura die­ci minuti, che si liquefa subito. Adesso sente che la gente parla di lei. Lei ha comperato questo appartamento, e fa del bene sul serio; non con lo zucchero sol­tanto ad un suo vecchio amico. Lui, il suo appartamento lo ha in affitto. E tutti guardano di prefe­renza quassù, si capisce.

Garotti                          - (gongola) Ci soffre?

Sandolino                      - Come sa soffrire uno che vuol apparire sempre gioviale: da morire.

Garotti                          - (c. s.) E mi odia?

Sandolino                      - Oh!

Garotti                          - Parla?

Sandolino                      - Non posso ripetere.

Garotti                          - Sempre?

Sandolino                      - Quando può, quan­do trova uno che gli dà ascolto... « E cha cosa è venuto a fare qui quel cialtrone?... ».

Garotti                          - (si lecca le labbra) Cialtrone!

Sandolino                      - Masnadiere, cial­trone, pieno di boria perché cre­de di essere il più bravo di tutti, il più furbo di tutti, perché ha guadagnato qualche milione...

Garotti                          - Ah! ... Non sono dun­que Caroti, un Caroti qualunque!

Sandolino                      - Eh, no! Il suo no­me lo conosce molto bene. Con me lo avrà pronunziato almeno mille volte!

Garotti                          - (depone il randello) Mi odia! (con sincero sentimento) Povero disgraziato!

 Sandolino                     - Sì, povero disgra­ziato perché soffre!

Garotti                          - Questi tipi fanno pe­na. Ne ho incontrati molti nella vita. L'invidia, eh?! Sono vera­mente disgraziati.... Gli dica, quando lo vede... No, non gli di­ca nulla. Io saprò essere magnanimo. Non si potrebbe mandargli a dire di venir su stasera..( insi­stere!

Sandolino                      - Non ci pensi nean­che, così subito!

Garotti                          - Già. (Si frega le ma­ni, soddisfatto. Vede Stefano, con una fetta di cocomero fiammante in mano) È almeno buono?

Stefano                         - (con la bocca piena) Un sogno!

Garotti                          - (offre a tutti) Venite qua... anche lei! Anche tu. Man­gia anche tu!

Nina e Marianna           - (sì avvicinano ansiose a Sandolino).

Sandolino                      - Tutto accomodato.

Nina                              - Ma che cosa gli ha detto?

Sandolino                      - (riprende il mando­lino) Nulla! delle cose graziose!

Nina                              - E si è calmato?

Marianna                       - Sì, per questa sera. Ma...

Sandolino                      - Per sempre, signo­ra, Marianna! Per sempre! Vedrà! E non ci pensi più! Piuttosto, guardi: si sono spenti tutti i lumi. Siamo in zattera, e si leva un po' di vento. Si respira. Laggiù c'è Venezia. Vogliamo vogare ver­so la riva?

Marianna                       - Magari, Sandolino! Verso i tempi belli!

 Stefano                        - (a Garotti) Si andava qualche volta, di sera, a mangiare il cocomero in laguna. Ci sei ve­nuto anche tu!

Garotti                          - Già... In fondo, si era più giovani!

Sandolino                      - (canta e si accompa­gna sul mandolino): Nina mia, son barcaiolo son dell'arte e son gentile; e se meco tu vuoi venire ce ne andremo, in alto mar!

(Tutti ripetono il ritornello a bocca chiusa. I palloncini come per incanto, ondeggiano. Nina si è fatta pallida, non mangia e fissa Sandolino, con gli occhi lucidi, an­simando).

Garotti                          - (porge una grossa fetta di cocomero a Tonino) Questa la porterai giù al signor Pescinetti. Digli che ci è dispiaciuto di non averlo con noi. Digli che glie la mando io! Capito?

Tonino                           - Sissignore. (Ma resta con la fetta in mano ad ascoltar la musica).

Sandolino                      - E in alto mare che noi saremo un gran fuoco accenderemo; e qualche cosa cucineremo all'usanza del marinar...

Nina -                            - (Che non può più regge­re, che sta per prorompere in sin­ghiozzi, morde il fazzoletto, e poi fugge via inosservata. Tutti gli al­tri ripetono il ritornello di San­dolino a bocca chiusa).

FINE