Ventiquattr’ore di un uomo qualunque

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VENTIQUATTR’ORE

DI UN UOMO QUALUNQUE

Commedia in tre atti

di ERNESTO GRASSI

PERSONAGGI

ALBERTO CIMMINO

LISA CARDON

EMILIA CIMMINO

CINQUE

ETTORE LORIS

IL CAVALIERE

IL COM­MENDATORE

PANICO

NINI'

MARCELLA

GUIDO LAURI

MIRELLA MARI

LA SIGNORA LOMONACO

ELVIRA

L'UFFICIALE GIUDIZIARIO

PALMIERI

LA DATTILOGRAFA

UN CAMERIERE

ATTO PRIMO

La scena rappresenta un ufficio. Porte in fondo, a destra e a sinistra della scena. Un tavolino con macchina da scrivere. Un tavolino più « impor­tante » a sinistra della scena: quello dei « cava­liere-», il capo ufficio. Sulla parete in fondo, un calendario con la grande cifra in rosso: è il 27 settembre, di buon mattino. All'aprirsi del si­pario, la scena è vuota. Cimmino entra dal fondo, sospende il cappello all'attaccapanni, si cambia di giacca, depone sul tavolo l'involtino della cola­zione. Poi siede allo scrittoio, estrae dal tiretto un pacchetto di lettere. Ne scorre qualcuna e sospira. Infine depone il pacchetto, tira fuori un asciuga­mani e un portasapone in celluloide, si alza ed esce dalla destra. Panico, l'usciere, entra dalla si­nistra, senza giacca, e comincia a spolverare gli scrittoi, pensieroso.

Panico                           - E questo è un altro ventisette... (Smette di spolverare) Sì, sto fresco, oggi... (Facendo i conti con le dita sul naso) In primis, tremila lire al vinaio... Se non fosse per un dito di vino... Andiamo avanti: mille lire per la rata a quello della tela di famiglia, e sono quattromila. Poi: duemila, più e non meno, per la bolletta del gas, e sono seimila. Ed è finita:1 Non è finita! Le scarpette nuove a quelle povere creature... Sì, sì, sto fresco... Servo suo, signor Cimmino...

Cimmino                       - (è entrato, silenziosamente, dalla destra) Che cosa dici? Parli solo? Brontoli sempre... Brontoli sempre... Sei talmente chiacchierone che attacchi dei bottoni a te stesso.

Panico                           - Altro che bottoni, signor Cimmino! Altro che bottoni! Sono chiodi!

Cimmino                       - Che chiodi?

Panico                           - Quelli di fine mese.

Cimmino                       - Male, caro Panico! Male! Disordine! Megalomanìa! Bisogna misurare le proprie forze. Tanto si può spendere e non un soldo di più! Io, come faccio a campare? Come me la sbrigo, io?

Panico                           - Lei? Bella forza! Lei è un signor...

Cimmino                       - Un signore? Sono un signore? Ecco qua, ci siamo. Le solite parole a vanvera. Panico, ascoltami bene. Io sono un contabile di ruolo con funzioni di vice-capo ufficio, ed ho uno stipendio di quarantaquattromila lire. Aggiungi la « scala mobile » e tira i conti. Ho moglie e una figlia. Eppure ce la spunto! E perché ce la spunto? Per­ché ho la testa sul collo! Questa gente, qui dentro. Si meraviglia che io non ho debiti. Non c'è da meravigliarsi. Basta essere sobri e presenti a sé stessi. Basta non perdere la testa.

Panico                           - Signor Cimmino, signor Cimmino... Mettiamoci nei panni degli altri... Vorrei vederlo, io, con ventisettemila lire al mese, tirar su cinque figli... Cinque... Come le canne dell'organo... Co­me le dita della mano... ho un bell'essere « presente a sé stesso... ».

Cimmino                       - Panico, è una pura questione di me­todo. Vedi? (Gli indica il calendario) Guarda il calendario, 27 settembre 1955: io ho ancora quat­trocento lire in tasca. (Mostra dei biglietti in un portadanaro di metallo).

Panico                           - (sbalordito) No!

Cimmino                       - Sì, caro! Se tutta questa gente cam­passe come campo io, se tutti costoro (indica gli scrittoi) che sono indebitati fino agli occhi, il giorno ventisette consegnassero la busta dello sti­pendio alla moglie, non farebbero le cattive fi­gure che fanno...

Panico                           - Giusto. Una bella idea. Io voglio pro­prio consegnare i soldi a mia moglie... Quella sa cosa fa? Lo sa, lei?

Cimmino                       - Cosa fa... Cosa fa... Se li distribuisce per tutto il mese, giorno per giorno...

Panico                           - Va al bancolotto all'angolo di Spacca-napoli e se li gioca su tre numeri! Ecco cosa fa!...

Cimmino                       -  Esagerazione! Illazione gratuita! Le madri di famiglia sono sensate e morigerate! La verità è un'altra: la verità è che fate il passo più lungo della gamba! E non soltanto voialtri subal­terni! Anche il personale così detto di concetto! Anche i miei colleghi! Ma se pensi soltanto al loro modo di stare in ufficio! Anarchia mentale... Paranoia superba... Io domando e dico: Domi­neddio vi ha messi al mondo per protocollare ver­bali? E protocollate verbali! No. Devono fare gli estrosi, i poeti, i dongiovanni... Senz'ordine, senza metodo... Trovane uno, uno solo, che rispetti l'o­rario, qua dentro... Palmieri, vedi, non è venuto ancora! La ragazza, niente! A quest'ora, si starà truccando allo specchio! Non parliamo poi di quell'altro, lì, di quella marionetta... Cinque... E gli vuoi dar torto, a quel pover'uomo del cavaliere? (Indica il tavolo del cavaliere) E guarda me: sono in ufficio tre quarti d'ora prima. Mi levo alle sette in punto, ogni mattina. Mi preparo, mi faccio la barba, dò il miglio al canarino, ogni mattina, cronometricamente alla stessa ora. Mia moglie macina il caffè; io ripulisco la gabbia a Pasqua­lino - si chiama Pasqualino - e la signorina dirim­petto suona «Sogno d'amore». La conosci, « Sogno d'amore»? Non la conosci. E' una romanza di Liszt. La sento ogni mattina, da venti anni. Poi mi vesto con tutto il mio comodo, prendo il pac­chetto della colazione e vengo in ufficio. Vedi? (Mostra a Panico il pacchetto della colazione) Una frittatina di due uova e sono a posto. (Deponendo l'involto) Addio Palmieri. (E' entrato Palmieri).

Palmieri                         - (sospendendo il cappello all'attaccapan­ni) Salute e bene.

Panico                           - Servo suo, signor Palmieri.

Cimmino                       - Anzi, vedi, adesso mi rado ogni giorno. Guarda un po' qui: che bella faccia liscia...

Palmieri                         - (avvicinandosi al collega) Già. Me ne sono accorto. Da qualche tempo, non so, ti trovo cambiato... Mi sembri un altro...

Panico                           - Buona giornata, signori... Beati voi... (Esce dalla destra).

Cimmino                       - No, nulla... Non è nulla... (Guar­dando l'orologio) Che ora è?

Palmieri                         - Le nove meno un quarto.

Cimmino                       - Strano... Stamattina non ho caricato l'orologio... No, non c'è nulla, Palmieri... Nulla di nuovo...

Palmieri                         - Nulla, nulla!... Sono chiacchiere! Sei diventato elegante... Ti radi ogni giorno...

Cimmino                       - Be'?

Palmieri                         - Qualche cosa c'è sotto, caro mio! Hai dei segreti per un amico come me!... Eh, non è bello!... Eppure, vedi, io credo di aver capito.

Cimmino                       - Avanti, di', sentiamo: che cosa hai capito?

Palmieri                         - Quelle lettere... Le lettere che con­servi nel cassetto... Non negare! Me ne hai parlato tu stesso, per quel bisogno irresistibile di confi­darsi a qualcuno che hanno tutti gli uomini inna­morati... L'amante, eh? Ci siamo fatta l'amante...

Cimmino                       - Ma che amante!... Non dire stupi­daggini... Volesse Iddio!

Palmieri                         - Tu vieni presto in ufficio per rileg­gerti quelle lettere... Mi credi? Io vengo più presto per godermi la scena...

Cimmino                       - Che vuoi farci? E' la vita...

Palmieri                         - Ieri mattina eri seduto lì, vedi. Leg­gevi e t'agitavi. Io sono entrato e non te ne sei nemmeno accorto. Cimmino, mi credi? Eri grande...

Cimmino                       - Sì, sì, rileggo quelle lettere... Le ri­leggo come i capitoli d'un romanzo...

Palmieri                         - E lì, sempre nel famoso cassetto, con­servi un paio di guanti e una boccettina d'acqua di Colonia...

Cimmino                       - (scattando, quasi senza ragione) Ma perché spiare? Perché frugare nell'anima degli altri? E' come un furto, sai? E' il furto dell'intimità!

Palmieri                         - Va bene, adesso non pigliarla sul tra­gico... Non ti controlli più, questa è la verità... Avanti, confessa... Tu aspetti qualcuno... Tu aspetti qualcuno ogni giorno... Zitto! Credo di aver capito! Dev'essere quell'amore antico... quell'amore antico di cui mi parlasti... (Cimmino abbassa la testa) Lo vedi? Prima le dici, le cose, e poi te ne penti...

Cimmino                       - (lasciandosi andare) Un sogno... Che vuoi farci? A questa età... Ma è stata la prima... La prima e l'ultima... Aveva l'alito d'un fiore...

Palmieri                         - Cimmino, io non ti riconosco più. Sei una persona seria, sei un modello di equilibrio, e quando parli di quello sciocco romanzetto perdi la tramontana...

Cimmino                       - Il primo amore. Abitavamo nello stesso caseggiato, laggiù nel Rione Ferrovieri... Strano... Le Ferrovie dello Stato hanno avuto sem­pre una curiosa interferenza nella mia vita... Suo padre era segretario di seconda classe alla Trazione; mio padre capo-stazione aggiunto a Mergellina. Io e lei recitavamo insieme alla Filodrammatica dei Ferrovieri, e il circolo si chiamava «L'Ideale »... Una sera, ricordo, abbiamo dato « Una partita a scacchi»... Piangeva sai? Piangeva davvero... «Per­ché, paggio Fernando, mi guardi e non favelli? Io? Ti guardo negli occhi che sono tanto belli... ».

Palmieri                         - Cimmino, mi fai ridere...

Cimmino                       - Ridere? E perché?

Palmieri                         - Perché tutto questo è di una incre­dibile ingenuità

Cimmino                       - Ingenuo? Non trovo. Ci sento anzi, non so, come un profumo di peccato... O forse... forse hai ragione... Ma non credere ch'io perda la testa, neh! Non credere che io mi smarrisca nel sogno! E poi... E poi lei è lontana... Da quando suo padre fu trasferito a Bologna non l'ho vista più. Sono circa vent'anni... E mi scrive, mi scrive ancora... «Che fai? Mi pensi? Qualche capello bianco? ». (Passandosi una mano sul cranio, cogi­tabondo) Eh!

Palmieri                         - (sbottando a ridere) Li hai perduti, i capelli, caro mio...

Cimmino                       - Spirito di patate... (Tornando al suo pensiero fisso) Senti: m'ha scritto che verrà a trovarmi...

Palmieri                         - Tu le scrivi, e lei ti risponde... Non farri illusioni... Le donne, siamo lì... Le hai sotto­mano, credi di stringerle nel pugno e volano via... Figurati poi a quella distanza!

Cimmino                       - (un po' drammatico) Verrà, Palmieri, verrà! Mi disse che sarebbe tornata e tornerà! Lo sai, che potrei vedermela qui da un momento all'altro? Se ci penso, tremo.

Palmieri                         - Verrà all'appuntamento con vent'anni di ritardo?

Cimmino                       - Sì. E vuoi saperlo? Io l'aspetto da vent'anni. Per rivederla soltanto, non per altro... Per ritrovare un brandello della mia gioventù... Per cambiare... Per fare un'altra cosa... Sempre lo stesso, e ci si scolora... Sempre lo stesso, e si di­venta vecchi... Cambiare per un'ora! Ma senza perdere le staffe, eh? Senza far guai! La famiglia è famiglia! La famiglia non si tocca! (Pensieroso) E' diventata un'attrice...

Palmieri                         - Un'attrice! Occhi aperti, mio caro! Queste donne di teatro!... Ho fatto la vita... Lo so...

Cimmino                       - Se tu l'avessi conosciuta... Carina, appassionata... un po' strana... Una volta... (Si guarda intorno).

Palmieri                         - Una volta?

Cimmino                       - (a voce bassa) ... Le carezzai un gi­nocchio...

Palmieri                         - (in tono di rimprovero burlesco) Ah! (Incuriosito) E lei?

Cimmino                       - Lei, mi guardava fisso.

Palmieri                         - E poi?

Cimmino                       - E poi... raggiunsi la fibbia della giar­rettiera... ma mi punsi, e rientrai in me. Spero che me lo abbia perdonato...

Palmieri                         - Non te lo ha perdonato, amico mio.

Cimmino                       - Non mi ha perdonato che osai di ca­rezzarle il ginocchio?

Palmieri                         - Non ti ha perdonato che rientrasti in te. Ossequi, cavaliere.

Cimmino                       - Cavaliere... (Dal fondo è entrato il capo-ufficio. Cimmino e Palmieri fanno per met­tersi a lavorare).

Il Cavaliere                   - Signori... Sempre i primi... Bravi. Resti fra noi: ho fatto le note caratteristiche... Be', posso anche dirvelo: vi ho classificati « ottimi ».

Cimmino e Palmieri      - (insieme) Grazie, cava­liere, grazie.

Il Cavaliere                   - Non ringraziatemi. Lo meritate. Mi date notizie di quel bel mobile, lì?... Come si chiama? Gli voglio tanto bene che me ne dimentico perfino il nome.

Palmieri                         - Giordano?

Il Cavaliere                   - No, che Giordano! Cinque! Ne sapete niente?

Cimmino                       - Dice che è ammalato... Dice...

Il Cavaliere                   - Ammalato... Ammalato... E il medico non l'ha trovato in casa!

Cimmino                       - (scandalizzato) Non l'ha trovato in casa? (A Palmieri) Lo vedi? Poi trovano da ridire se il cavaliere perde la pazienza e fa rapporto al segretario generale! Il cavaliere è tutto d'un pezzo. Esige che ognuno faccia il proprio1 dovere, si capisce! Quello è un sant'uomo, vedi, Palmieri. Rigido, s'intende! Se no, starebbe fresco!

Il Cavaliere                   - Certo, i buoni impiegati li aiuto, li incoraggio, li porto su... Vogliono un permesso? Non glielo nego. Domandano un prestito? Ed io inoltro la domanda con parere, favorevole. Ma quando mi accorgo che uno vuol fare il comodaccio suo, allora no, eh? No. Badate che nessuno, dico nessuno, è mai riuscito a farmela, in dieci anni di grado! E oggi devo subire un ragazzaccio che è l'ultimo arrivato e pretende di far da padrone!...

Cimmino                       - E' una vergogna.

Il Cavaliere                   - Però, bisogna che si metta al passo, eh? Bisogna che si metta al passo, altrimenti ne parlo al segretario generale e buona notte!

Cimmino                       - (spolverando il bavero della giacca del cavaliere e togliendone qualche cosa d'impercetti­bile) Gli puoi dar torto, al cavaliere? Quell'in­dividuo non c'è mai... Perde tempo per tutti gli uffici... Non fa nulla per l'intera giornata... E noialtri ci ammazziamo di lavoro! E sai perché? Lo sai? Non lo sai. Perché il cavaliere è un gran galantuomo, e merita ogni riguardo!

Palmieri                         - Chi sgobba dalla mattina alla sera e chi non fa nulla...

La Dattilografa             - (entra e si toglie il cappellino) Buon giorno.

Palmieri                         - Salute e bene.

Cimmino                       - Chi è che non fa nulla? Lui, Cinque! Mettiamo le cose a posto! Non ci teniamo nel vago!...

La Dattilografa             - Le solite chiacchiere... Le solite insinuazioni... Come vi piace, di attizzare il fuoco! Come vi piace!

Cimmino                       - E perché, scusi? Secondo lei, il ca­valiere non se ne accorge?

Il Cavaliere                   - Occhi, non ne ho?

Palmieri                         -  Ragazze che vanno e vengono...

Il Cavaliere                   - Poi è arrogante, screanzato...

Cimmino                       - Fa la vita di notte, cavaliere! Fa la vita di notte!

La Dattilografa             - (a Cimmino) E basta! Basta! E' un vero accanimento!

Il Cavaliere                   - Che accanimento, signorina? Che accanimento? Ecco qua. (Guarda l'orologio) Sono le nove e venti e il signor Cinque non s'è visto ancora!

Palmieri                         - Stanotte sarà andato a ballare.

La Dattilografa             - Ebbene? Noi siamo giovani e andiamo a ballare. Voialtri prendete le gocce e vi mettete a letto. Questa è la differenza.

Cimmino                       - Noi prendiamo le gocce e lei stia zitta. Cavaliere, mi permette? Stia zitta perché oltre tutto è un'avventizia e non è detta l'ultima parola. E' vero, cavaliere, che non è detta l'ultima parola? Qui non c'è un partito preso. Qui c'è un impiegato che non fa il proprio dovere, e il cava­liere se ne accorto da tempo. (A voce bassa, pas­sando accanto alla dattilografa) E fa anche la spia!... Fa la spia! (Forte) Oggi, intanto, non è venuto in ufficio.

Il Cavaliere                   - Le vacanze continuano...

Cimmino                       - Non è venuto, ma verrà... Gioco la testa che verrà... Ne abbiamo ventisette...

Palmieri                         - Lo stipendio...

Il Cavaliere                   - Tra l'altro, è un ignorali taccio... lo non so come l'ha strappata, quella licenza di scuola media...

Palmieri                         - Giorni fa, che sosteneva? Cimmino, dillo tu.

Cimmino                       - Che cosa sosteneva? Eh! Una qui­squilia! Una cosa da nulla! Diceva, nientemeno... Ah! Ah! Ah!... diceva che la parola «Liutprando» è un gerundio! (Ridono tutti esageratamente).

Il Cavaliere                   - (battendo le mani) Be', avanti, mettiamoci a lavorare! Lo stato al quindici set­tembre è a posto?

Cimmino                       - Cavaliere, una differenza di mille lire.

Il Cavaliere                   - Mille lire? Un errore di somma.

Cimmino                       - Le somme le ho rifatte cinque o sei volte...

Il Cavaliere                   - E allora spunti le cifre.

Cimmino                       - Benissimo, cavaliere. (Va a sedere al suo tavolo e si mette a lavorare).

Il Cavaliere                   - Palmieri, e quell'elenco?

Palmieri                         - E' in fine, cavaliere.

Il Cavaliere                   - Sbrighiamoci, su... C'è la situa­zione di fine mese... Siamo al ventisette...

Gli impiegati                 - (l'uno dopo l'altro, in diverso tono) Ventisette... (La dattilografa tamburella sulla macchina: Cimmino spunta le cifre a voce bassa, Palmieri scrive. Squilla il telefono).

 Il Cavaliere                  - (al telefono) Pronto! Ufficio con­tabilità! Dite!

Cinque                          - (dall'interno) E basta! Finitela! Voi siete l'usciere e dovete stare al vostro posto! Vi piglio a pedate, sapete? Buffone!

Il Cavaliere                   - Ssssst! Chi è che grida? (Al te­lefono) Dite, dite! Lo stato al quindici settembre? Sarà pronto verso l'una! (Riattaccando il ricevitore) Che diavolo succede?

Cinque                          - (entra dal fondo, è vestito con ricercatezza) Scusi, cavaliere, ma ciò che avviene in quest'amministrazione è incredibile! Quel malcreato di Panico sorpassa ogni limite! (Il cavaliere guarda l'orologio) Si permette delle familiarità! Si crede autorizzato ad ogni eccesso! (Verso la porta) Vi caccio, avete capito? (La dattilografa contempla Cinque, tutta compresa d'ammirazione).

Il Cavaliere                   - Cinque!

Cinque                          - Scusi tanto, cavaliere! Quello lì è un agente subalterno e non è giusto che si permetta certe libertà. Ieri è venuta a cercarmi una signo­rina, cavaliere, le assicuro, una signorina veramente per bene, e quel gianfuttero sa che cosa le ha ri­sposto? «Vada... Vada... Cinque non è venuto... E' a casa con un foruncolo al sedere... ». Sa, una iniezione andata a male... Cinque! Siamo parenti, forse? Siamo cugini? Vi caccio, sapete! Vi licenzio! Cavaliere, perdoni, ma io desidererei sapere qual è la funzione di quell'individuo qua dentro.

Panico                           - (che è entrato dal fondo) Ah, santo Iddio! Cavaliere, lei vuol sapere la verità? Qui c'è il « passo » delle quaglie! Arrivano donne a tutte le ore!

Il Cavaliere                   - Panico, silenzio. Andate al vostro posto. Cinque, venga qui.

Cinque                          - Un'indecenza! (Salutando intorno) Si­gnori, buon giorno.

Cimmino                       - Buon giorno.

Palmieri                         - Salute e bene.

La Dattilografa             - (sorridendo) Buon giorno. Cinque  - (alla dattilografa) Ciao, Bibì.

Il Cavaliere                   - Cinque, mi è permesso di rivolgerle un'umile preghiera?

Cinque                          - Dica, cavaliere! (Il cavaliere mostra a  Cinque l'orologio da polso) Ah, bene, bene! Lo conosco benissimo! E' un Philip Watch. Buono, buono, sa! E' di oro... Non glielo vedevo da qual­che mese... Ah, ho capito... Be', accade.

Il Cavaliere                   - Era alla riparazione... E badi agli affari suoi. Intanto desidero sapere quest'oggi che cosa le è capitato. Una volta arriva in ritardo perché si è sgonfiata una gomma dell'autobus. Un'altra volta, perché piove. Una mattina uno scivolone; un'altra mattina, il dentista. Desidero sapere stamane che cosa le è capitato. L'ascolto. Dica. (Piega le braccia).

Cinque                          - Cavaliere, la prego di credere...

Il Cavaliere                   - Dica...

Cinque                          - Non mi sentivo bene; volevo starmene a letto. Poi ho pensato: cosa faccio? Il tempo è coperto... in casa m'annoio... Be', vuoi sapere che c'è di nuovo? Adesso me ne vado in ufficio...

Cimmino                       - E' venuto al «club».

Cinque                          - Sono uscito, Dio sa come, e ho preso il numero cinque... Ah, ah, ah! Il numero cinque... Il mio omonimo... Affollatissimo. Cimmino lo sa: abita nella mia stessa strada, proprio dirimpetto a me... Ci vediamo dal balcone... E' vero, Cimmino?

Cimmino                       - Io non so niente.

Cinque                          - Erano le nove meno venti. Se tutto fosse andato bene, sarei giunto in ufficio in per­fetto orario. (Battendo la mano sul tavolo) Ma sic­come qui nulla va bene, perché Napoli è sempre il paese in cui tutti fanno il comodacelo loro, nel bel mezzo di via Roma...

Cimmino                       - Manca la corrente.

Palmieri                         - Un guasto alla vettura.

Cinque                          - Cavaliere, le garantisco: una cosa in­credibile. Si mette un funerale davanti al filobus. Lento, solenne... La solita marcia funebre di Chopin... Sull'ultima automobile c'era una corona... vede: ricordo i dettagli più minuti... c'era una corona col nastro viola e con la scritta in ar­gento: «Gli impiegati al loro amato...». Ho avuto un tuffo al cuore. Ho pensato: Vuoi scommet­tere che... Si danno tante combinazioni!...

Il Cavaliere                   - (afferrando una chiave che ha sul tavolo e facendo le corna) Va bene, ho capito. Senta, Cinque, mi ascolti bene perché parlo nel suo interesse. Faccia pure dello spirito, ma stia bene attento. Un giorno o l'altro lei perderà il posto. S'è dato ammalato, e il medico dell'ammi­nistrazione non l'ha trovato in casa. Oggi, venti­sette, eh? ventisette, riprende servizio, e tutto va bene. Ma si ricordi che di questi tempi non si scherza. Le ripeto: parlo nel suo interesse. Stia attento.

Cimmino                       - (alzandosi) Il cavaliere l'avverte nel suo interesse. Cavaliere, permetterà che io inter­loquisca quale vice-capo ufficio... (A Cinque) Lei viene in ritardo ogni mattina... quando viene. Cin­que, il lavoro non è fatto per lei, diciamo la ve­rità...

Palmieri                         - Cimmino, spunta! Lascia correre!

La Dattilografa             - Uh! Quanto zelo!

Cimmino                       - No, no! Bisogna che glielo dica, perché è giovane, e deve imparare. Deve impa­rare a fare il proprio dovere, e non soltanto a riferire... a riferire ciò che accade qui dentro... Perché qui c'è un capo servizio che sa il fatto suo e che non permette abusi da parte di nessu­no... Bisogna lavorare, caro giovanotto! Lo sti­pendio è stipendio! Senta: io posso affermare che in venti anni di servizio non mi è mai capitato una sola volta di giungere in ritardo. E non c'è nulla di eccezionale, sa! E' un semplice meccanismo di abitudine. Basta caricare l'orologio a sveglia e buttarsi dal letto alle sette precise. E il segreto sa qual è?

Panico                           - (entrando) Signor Cimmino...

Cimmino                       - Lo sa? Non lo sa. Il segreto...

Panico                           - Signor Cimmino...

Cimmino                       - ... è il carattere! E' la forza di volontà! (A Panico) Che c'è?

Panico                           - Signor Cimmino, c'è la signora con la signorina... (Verso la porta) S'accomodi, signora, s'accomodi... (Entra la signora Cimmino con Nini. La ragazza è in « Montgomery » e mastica chew­ing-gum).

Emilia                            - Permesso?

Cimmino                       - Cavaliere, lei permette? Questa visita in ufficio non sarebbe regolamentare...

Il Cavaliere                   - Prego, prego! Signora, s'acco­modi!

Palmieri                         - Ossequi, signora... Signorina...

Cinque                          - Devoti omaggi... (Scambia un'occhiata con Nini. La dattilografa saluta con un cenno del capo).

Emilia                            - Buon giorno, buon giorno...

Nini                               - Buon giorno...

Emilia                            - Permettono? Dovrei domandare qual­cosa a mio marito...

Tutti                              - Prego, prego!

Cimmino                       - Che cosa vuoi?

Emilia                            - (traendolo in disparte, seguita dalla figlia) L'hai avuto?

Cimmino                       - Che cosa?

Emilia                            - Come, che cosa? Il tuo stipendio! (Nini mastica chexving-gum e guarda Cinque. E' una ra­gazza allarmante negli abiti e nel portamento. Si vede che tra lei e Cinque c'è qualche cosa).

Cimmino                       - Non ancora.

Nini                               - Uh, papà!.., E come si la, adesso? Dove­vamo comprare la stoffa per l'abito mio... Il quin­dici ottobre c'è il ballo d'autunno...

Cimmino                       - Il ballo, eh? Balli sempre, tu... Balli sempre... E sputa quella porcheria... (Si guarda in­torno) Intanto siete venute troppo presto. La «bu­sta » non l'ho avuta.

Emilia                            - E come si fa?

Cimmino                       - Come si fa? Si ritorna fra un paio d'ore: ecco come si fa! O si aspetta a casa che è meglio!

Emilia                            - Alberto! E che modi sono questi? E da quando in qua? Vogliamo litigare qui, davanti a tutti? Vogliamo fare uno scandalo?

Cimmino                       - (guardandosi intorno) Sssst! Sta' zitta!

Ninì                               - Mamma, ti raccomando, sa! Fanne una delle tue!

Emilia                            - E' lui che sposta i termini della que­stione!

Nini                               - Papà, non spostare i termini della que­stione... (Giocherellando con un bottone della giac­ca di Cimmino) Senti... E quanto tempo, ci sarà?

Cimmino                       - Non lo so... E sta' ferma con quel bot­tone perché si stacca e qui non c'è filo... Non lo so. (Sbirciando intorno gli impiegati che sembrano in­daffarati nel loro lavoro) Ma vi accorgete che tutto questo è ridicolo? Vi rendete conto che è grotte­sco? (A Ninì che sorride a Cinque) E tu, Ninì, non guardare quel cretino!

Emilia                            - Alberto, non perdiamoci in chiacchiere! Va' dal cassiere e chiedigli la tua busta di stipendio! (Ninì e Cinque si scambiano dei cenni).

Cimmino                       - Emilia, tu vaneggi! Io andare dal cas­siere? Nemmeno per sogno! E sì, ci mancava sol­tanto questa... Fare una figura simile... Emilia, ti ho detto mille volte che questo sopraluogo del gior­no ventisette mi mortifica e mi secca...

Emilia                            - Bravo, lui!... La famiglia gli fa ver­gogna!... La moglie gli dà fastidio!... Una povera donna che sfacchina in casa dalla mattina alla sera...

Cimmino                       - Nossignore... Non cominciare adesso a prenderla così... (Volgendosi a guardare Cinque che ronza intorno) Ninì, la finisci?... E' che in tanti anni non mi è capitato mai, nemmeno una volta di fare richieste simili...

Emilia                            - Eppure adesso bisogna che tu la faccia.

Cimmino                       - Per forza, è vero? Con la corda al col­lo? Sono più ragionevoli gli usurai che aspettano questa gente giù al portone...

Nini                               - (ricomincia a giocherellare col bottone) Senti... (E' distratta da Cinque che la guarda) Senti...

Emilia                            - Finiscila con quella marionetta!... (A Cimmino) E tu, ricordati stasera di comprare il veleno dei topi... Mi hanno mangiato mezzo chilo di reggiano.

Cimmino                       - Va bene...

Nini                               - (sempre distratta) Senti papà, facciamo cosi; io vado con mammina a farmi le unghie, e tor­niamo qui dopo mezzogiorno. Va bene?

Cimmino                       - Sì, sì, va bene, dopo mezzogiorno. E andate, adesso andate. Cinque, si tolga di mezzo. Non ha niente da fare, lei? Ninì, saluta il cava­liere.

Emilia e Nini                 - (insieme) Cavaliere...

Il Cavaliere                   - Signora ragguardevole! Signorina bella! S'è fatta grande, eh?

Emilia                            - Eh, cavaliere... Gli anni passano! Se la ricorda, qualche anno fa? Veniva qui dal padre con le trecce morbide...

Cimmino                       - ...sull'affannoso petto... Andate, an­date... (La spinge verso la -porta volgendosi a guar­dare Cinque) Andate...

Emilia e Nini                 - (insieme, a tutti) Arrivederci!

Emilia                            - (a Cimmino) E non dimenticare il ve­leno dei topi. Segnatelo in qualche parte. Non pre­tenderai che andiamo a comprarlo noi!

Il Cavaliere                   - Avete i topi in casa?

Emilia                            - Un vero guaio, caro cavaliere! E lui re­siste, rimanda, temporeggia!... Non vuole avvele­narli! Dice che gli fanno compassione...

Cimmino                       - L'ho comprato, il veleno dei topi. Ma sa che cos'è, cavaliere? Sono vice presidente del gruppo zoofilo...

Emilia                            - Già: vice presidente degli zoofili, vice presidente della filodrammatica, vice capo-ufficio... Insomma, mio marito è nato «vice». Cosa vuol far­ci? Arrivederla, cavaliere. Andiamo, Nini.

Il Cavaliere                   - Di nuovo, di nuovo, signora.

Palmieri                         - Ossequi... (Cinque saluta Ninì con la mano. Madre e figlia escono. Squilla il telefono).

Il Cavaliere                   - (al telefono) Pronto! Ufficio con­tabilità! Dite! Cinque? Eccolo qui! (A Cinque) Cin­que, al telefono! E questo è un altro sconcio, veda! E' un altro sconcio!

Cinque                          - Grazie, cavaliere. (Al telefono) Allò? Allò? Ah, dì, Checchino... Sì, sì, siamo d'accordo... Come?... Sì, da Bardini a Toledo... Come hai detto? Chi ci sarà? No no no, Checco, ti prego!... Pronto... Ti prego di non assumere le difese di quella sciagurata!... Se c'è lei non vengo, ecco, non vengo!... No, no... Affatto... Prendere cappello è un'altra cosa... Io me ne infischio, ma se la trovo, me ne vado... Allò... Come, niente? Ma tu parli di Cicci?... E dici che non ha fatto nulla di male? Ma fa il piacere! S'è andata a coricare con mezza Na­poli...

Il Cavaliere                   - Cinque!

Cinque                          - (otturando il microfono) Scusi, ho fi­nito. (Al telefono) Come dici? No, no. Niente da fare. Allò... Ho detto: niente da fare! Oppure... oppure scelga... si, scélga tra Pippo, Giorgio, il capitano e me... Allò... Cosa dici? Vuole me? (Al cavaliere, perplesso, otturando il telefono) Cava­liere, Cicci vuole me...

Il Cavaliere                   - Giovanotto, basta! Tolga la co­municazione e vada a lavorare!

Cinque                          - Un momento, scusi... (Al telefono) Allò... Ma insomma, cosa t'ha detto?... Come? Che vuole avvelenarsi? Davvero? E allora, allora...

Il Cavaliere                   - ... Allora, facciamo la pace... (Cinque ride, divertito. Il cavaliere gli toglie il ricevitore di -mano e sospende la comunicazione. Gli impiegati commentano animatamente fra loro) Avanti! Vada a lavorare!

Cinque                          - Cavaliere, un po' di garbo, che dia­volo! Questo è un vero abuso di autorità! E non esageriamo! Io lo dico al commendatore e buona notte!

Il Cavaliere                   - Signor Cinque, mi ascolti bene. Se crede di farmi paura, lei la sbaglia. Io non sono di quei vigliacchi che subiscono tutto per quieto vivere. Io faccio il mio dovere come lei dovrebbe fare il suo. Ha capito? E se è racco mandato, a me non importa un bel niente! (Cinque sorride) Quel sorrisetto sardonico è perfettamente inutile, sa! Lei non è figlio della gallina bianca!

Cinque                          - Ah, no, cavaliere! Un momento! Met­tiamo le cose a posto! Cosa c'entra la gallina bianca? Cosa vuol dire? E' forse un'insinuazione?

Il Cavaliere                   - Voglio dire che se non ha voglia di lavorare può lasciare il posto a qualche povero diavolo che muore di fame!

Cinque                          - Cosa vuol farci? E' una fissazione di mio padre... Dice che il pane dev'essere bagnato di sudore... Puah... Guardi un po' che idea.

Il Cavaliere                   - E allora se lo guadagni, il pane, e la finisca con questi ridicoli colloqui telefonici! (Squilla il telefono) Pronto!... Contabilità... Chi, Cinque? Ecco qua! Cinque, al telefono! (Gli porge il ricevitore, fremendo).

Cinque                          - Posso parlare? Non s'arrabbia?

Il Cavaliere                   - Avanti, parli e faccia presto.

Cinque                          - (al telefono) Allò! Allò!

Il Cavaliere                   - (imbestialito) E basta! Smetta di fare il burattino! Dica: «Pronto!». Parli ita­liano!

Cinque                          - Allò... Pronto... Prallò... Son io, Mar­cella, son io... Cosa c'è? Una notizia grave? Pron­to... Allò... Prallò... E di', cos'è accaduto?... Di', pronto... Ma c'è pericolo? Perché non puoi parlare? Ah, c'è gente... Va bene, alla stazione... A mezzo­giorno preciso... Come?... Lì, al caffè, nella saletta piccola... alla stazione di Mergellina? A mezzo­giorno preciso? (Al cavaliere, otturando il micro­fono) Cavaliere, per favore, prenda nota... Se no mi dimentico... (II cavaliere, esasperato, butta tutte le sue carte all'aria) E va bene, cara, mi dirai... Qui siamo nervosi... A mezzogiorno... A Mergel­lina... Ciao, passione. Auff! (Toglie la comunica­zione, seccato).

Il Cavaliere                   - Signor Cinque, mi ascolti bene. Ha telefonato .Marcella. Tra un minuto, mentre siamo qui a discutere, richiama Checco. Dopo di che, si presenta Adriana. E' uno scandalo. E' qual­che cosa di insopportabile. Cinque, io le preparo un rapporto da farla saltare fuori in tre giorni. E poi ricorra al commendatore e anche al Padre­terno! Io non ho paura di nessuno, ha capito? Non ho paura di nessuno! La mia schiena non si piega!... Commendatore! (Si piega in due davanti al segretario generale che è entrato dalla sinistra della scena. Gli impiegati si alzano).

Il Commendatore          - (al cavaliere, dopo aver fatto un cenno amichevole di saluto a Cinque) Come va, quel giovanotto? Lo tenga in evidenza. E' un giovane molto volenteroso. Vero, giovanotto?

Cinque                          - Modestamente, commendatore...

Il Cavaliere                   - Ma certo, certo... Tanto più che ci è stato segnalato da...

Il Commendatore          - Ecco, benissimo. Non c'è bisogno di far nomi. (Agli, impiegati che sono ri­masti in piedi) Stiano comodi, prego. (Gira un po' fra i tavoli) E lei, signor Cimmino,..

Cimmino                       - Ai suoi ordini, commendatore...

Il Commendatore          - Eh, bisogna che sia attento, sa! I moduli degli accertamenti sono stati passati alla Segreteria pieni di cancellature, di abrasioni... Da qualche tempo lei non va, signor Cimmino. Proprio non va.

Cimmino                       - Mi scusi... Non l'ho fatto apposta...

Il Commendatore          - Macché! Macché! Quando si esegue un lavoro bisogna piantarcisi dentro e non distrarsi! Che diavolo! E' anche una questione di dignità! Lei è pagato, signor Cimmino! Lei non lavora mica gratis! E i denari che si prendono alla cassa in fin di mese bisogna renderli in altret­tanto attaccamento al servizio! Glielo dico chiaro e tondo! E poi mi risulta che è frastornato, che si occupa d'altro... Mi si dice addirittura che perda il suo tempo a preparare dei copioni per una com­pagnia di filodrammatici!

Cimmino                       - (lanciando a Cinque uno sguardo di odio) Ah, no, commendatore! Non è vero! E' falso! In ufficio io faccio il mio dovere, e non sottraggo nemmeno un istante al lavoro per il quale... sono pagato! Il cavaliere può dirlo... Pos­sono dirlo tutti... Cavaliere... Signorina... Palmieri... (Gesti vaghi degli interpellati) Eh, si capisce... Adesso non parla nessuno... Commendatore, lei è un padre di famiglia... Lo giuro sulla vita di mia figlia, della mia bambina, che al mio lavoro non sottraggo nemmeno un minuto... Soltanto la sera, a casa, nelle ore di libertà... Anch'io, ho diritto a un po' di respiro...

Il Commendatore          - Ma che respiro! Non esa­geri! Non faccia il filodrammatico! Lavori piutto­sto con maggior attenzione! Lei vive con l'ammi­nistrazione, e tutto il suo tempo dev'essere dedicato all'amministrazione! (Al cavaliere) E lei, che cosa fa? Badi un po' più al personale, che diavolo! Ricordi che sta per raggiungere i limiti di età, e se vuol essere trattenuto in servizio bisogna che finalmente si renda utile!

Il Cavaliere                   - Come? Finalmente?

Il Commendatore          - Finalmente, sì, finalmente! Bisogna che metta fuori un po' di carattere! Vigili, sorvegli, si faccia rispettare! Sono veramente do­lente di doverle muovere simili rilievi! (Si avvia rapidamente all'uscita e saluta Cinque) Addio, gio­vanotto.

Cinque                          - Tante cose, commendatore. (Il com­mendatore esce. Gli impiegati, meno Cinque, si sono alzati in piedi).

Il Cavaliere                   - (segue il superiore, quasi di corsa) Lei mi mortifica... Ho tutto l'ufficio sulle spal­le... Faccio tutto io... (Via dalla sinistra).

Cimmino                       - (misurando la scena in lungo e in largo) Eccola, la giustizia che regna qua dentro! Non lavoro con attenzione... Non valgo più niente... Mi sono rimbambito... E gliel'ho detto. Lei è un padre di famiglia... Le giuro sul mio onore... Ho giurato perfino sulla vita di mia figlia... Niente... E' inutile: quando sei preso nella morsa... quando sei capitato nell'ingranaggio, non ti salvi più! Venti anni, capite? Venti anni della vita venduti a questa gente per quattro soldi, per una miseria... Non lavoro con attenzione... Io, capisci, Palmieri? Io! E qui c'è della gente che ruba lo stipendio!... E per giunta calunnia i colleghi!... Ma verrà un'ora, ma verrà un momento anche per me! E allora...

Palmieri                         - E allora, che cosa farai?

Cimmino                       - Che cosa farò? Niente... Non c'è niente da fare... E' la famiglia, che m'incatena! E' la famiglia! Dieci volte, avrei potuto darmi al teatro, ma sul serio, non così per gioco, non per sentirmelo buttare sulla faccia da quel... com­mendatore lì... (Palmieri e la dattilografa gli fanno cenno di tacere e guardano allarmati verso la porta) Ah, se avessi avuto il coraggio! (Sinceramente, in­fervorandosi) Se me ne fosse bastato l'animo, vedi Palmieri, se me ne fosse bastato l'animo, a quest'ora reciterei all'Eliseo! (Palmieri ride).

Cinque                          - Esagerato!

La Dattilografa             - Uh, là, là!

Cimmino                       - Voi ridete, eh? Ridete? )Lo so io, quello che valgo! Lo so io, quello che ho qui dentro! Ah, la famiglia! Leggevo in un vecchio libro di storia della mia bambina che qui a Napoli la gente si faceva impiccare per essere libera... I moti del Ventuno... I moti del Quarantotto... La li­bertà... Bella parola! Ma la libertà da me stesso, chi me la dà? Chi mi dà la forza, alle sette di sera, di prendere un'altra via che non sia quella di casa? (A Palmieri) Ecco, vedi: a quest'ora, teo­ricamente, io potrei prendere un treno e andar­mene. Ma chi mi ci mette, sul treno? I carbonari si facevano impiccare... Ma posso impiccarlo, il mio cuore?

Palmieri                         - E va bene... Calmati... Finiscila... E' la vita...

Ctmmino                       - E' la vita... E' la vita... E intanto guardate se uno di voi, uno solo, ha detto una parola per aiutarmi, poco fa... Silenzio assoluto... E quello mi mortificava ingiustamente...

La Dattilografa             - Sa... Sono situazioni de­licate...

Cimmino                       - Situazioni delicate... Che catena! Che brutta catena! (Si mette a riordinare le carte che ha sullo scrittoio, amareggiato, nervosissimo; poi resta un momento pensoso, con la testa fra le mani) Qualche capello bianco...

Cinque                          - Be', ma lo stipendio viene, o non viene? Ho capito; bisogna che me ne occupi io... (Dalla porta di sinistra) Ferrare' Ferraro!

Il Cassiere                     - (dall'interno) Eh?

Cinque                          - Lo apre, questo sportello, sì o no? E' tardi! Sono le undici!

Il Cassiere                     - E cominciate a venire, su... (Pal­mieri e la dattilografa s'avvicinano alla sinistra, ed escono).

Panico                           - (entrando dalla comune) Avanti! Avanti! Ventisette! Giù c'è folla, signor Cimmino! C'è folla! (Via dalla sinistra, mentre Palmieri e la dat­tilografa rientrano entrambi contando il danaro nella busta gialla).

Cimmino                       - C'è folla, giù... I creditori... Tutto per la gola... Tutto per il mangiare bene. (Esce anche lui dalla sinistra. Cinque s'è messo a scrivere una lettera. Il cavaliere torna dalla destra).

La Dattilografa             - Cavaliere, c'è lo stipendio...

Il Cavaliere                   - Eh, lo stipendio! Ce ne vorrebbero tre o quattro, di stipendi! (Via dalla sinistra).

Cimmino                       - (rientra, controllando il suo danaro) Uno, due, tre, quattro, cinque, sei... due da mille... tre da cento. Cinquanta lire in francobolli... Be', i francobolli possono sempre servire...

Palmieri                         - Già, per scrivere a Bologna...

Cimmino                       - Palmieri, ti prego... Ti ho fatto delle confidenze da amico... L'ambiente lo conosci... Se si diffonde una cosa simile...

Il Cavaliere                   - (rientra) E ci sono anche dieci lire dispari... Vivere un mese... Vivere...

La Dattilografa             - (meravigliata) Millecento lire in più... E perché?

Palmieri                         - Da quanto tempo, non aveva aumenti?

La Dattilografa             - Da due anni... Già dev'es­sere il biennio.

Cimmino                       - E' il biennio.

Cassiere                         - (dall'interno) Signor Cinque!

Cinque                          - Sì. (Scrive ancora la sua lettera).

Il Cassiere                     - (dall'interno) Vuol venire?

Cinque                          - (alzandosi, annoiato) Vengo', vengo...

Cimmino                       - Non c'è fretta... Siamo figli di papà...

Cinque                          - ... e di mammà... Cretino! (Esce svo­gliatamente).

Il Cavaliere                   - Sapete che cosa ho pensato? Ho pensato che non vai la pena di prender le cose sul tragico... Importante è mangiare bene... Que­sta sera, per esempio, melanzane al pomodoro...

La Dattilografa             - Cucina bene, la signora, è vero, cavaliere?

Il Cavaliere                   - Se cucina bene!... Certe donne hanno il genio delle vivande appetitose... Cuci­nare le melanzane non è facile, cara signorina! Bisogna fare le cose a regola d'arte! Se no è inutile... E costa un occhio! Ci vuole una dote di figlia femmina! (E si mette a spiegare) Le melan­zane si sbucciano, s'affettano e si mettono sotto sale...

Cinque                          - (sempre scrivendo) Eccola, questa è Napoli... Le tre «effe»... Festa, farina e forca...

Il Cavaliere                   - Poi si risciacquano, si spremono e si friggono. Quando la padella è rovente, quando le melanzane son diventate rosse, quando hanno assorbito tutto l'olio, allora si dispongono in bell'ordine in un tondino...

La Dattilografa             - (prendendolo in giro) ... di alluminio...

Il Cavaliere                   - Di rame! Di rame! Dev'essere di rame! (Cimmino, Palmieri e la dattilografa si acco­stano al tavolo del cavaliere) Si fa uno strato di melanzane e uno di formaggio... Uno di melanzane e uno di formaggio... Uno di melanzane... (Con­tinua a parlare).

Panico                           - (entra e tira Cimmino per la giacca) Signor Cimmino... Signor Cimmino...

Cimmino                       - Chi è?

Panico                           - C'è questa lettera per lei. (Gli porge una lettera).

Cimmino                       - (aprendo la busta, pensieroso) Chi l'ha portata?

Panico                           - Un giovanotto. (Ed esce. Cimmino co­mincia a leggere e s'emoziona sempre di più).

Il Cavaliere                   - E poi, il pomodoro. Ma che dico, pomodoro? Vagoni, di pomodoro! (Continua a par­lare piano).

Cimmino                       - (stravolto, tirando Palmieri per la giacca) Palmieri! Palmieri! E' qui! E' venuta! E' a Napoli!

Palmieri                         - Ma chi?

Cimmino                       - Lei! Maria Luisa! L'attrice! E' qui! M'ha scritto! E' in tournée con la compagnia! Viene da Fresinone e prosegue per Salerno! M'attende alla stazione! ed ora, come si fa? Devo chiedere il per­messo, capisci, in un momento simile!

Palmieri                         - Va bene... Non t'agitare... Chiedi il permesso e va'... Vuoi che glielo dica io? Aspetta, glielo dico io... Cavaliere... Cavaliere...

Il Cavaliere                   - (che continua a discorrere con la dattilografa) Che c'è?

Palmieri                         - Cavaliere, Cimmino vorrebbe rivol­gerle una preghiera... Ha bisogno di qualche ora di permesso.

Il Cavaliere                   - Cimmino, figlio mio... Proprio oggi? Non può farne a meno? Qui c'è tanto da fare...

Cimmino                       - Non posso farne a meno...

Il Cavaliere                   - Oh, Dio mio... Proprio oggi? L'ha sentito il commendatore?

Cimmino                       - Allora vado... Grazie, cavaliere...

Il Cavaliere                   - Un momento! Io non ho detto ancora nulla... Be', se proprio non può farne a meno, cosa vuole che le dica?

Palmieri                         - Va Cimmino, va... Il cavaliere te lo dà, il permesso... (Mentre il cavaliere si dispone a lavorare, e Cinque continua a scrivere la sua let­tera, Cimmino letteralmente trasfigurato è preso da una specie di frenesia. Aiutato da Palmieri toglie la giacca da ufficio e indossa l'altra; passa la busta dello stipendio da una tasca all'altra: cerca febbrilmente nel cassetto, ne trae il paio dì guanti bianchi e la boccettina dell'acqua di Colonia, si spruzza il profumo addosso, prende il cappello, agguanta il parapioggia e si slancia fuori. Palmieri si avvicina anche luì al tavolo del cavaliere).

Il Cavaliere                   - (terminando il suo discorso) E' chiaro? Le melanzane si cucinano così. E vi as­sicuro...

Cinque                          - (battendo la mano sul tavolo) Signori! Signori! qui si lavora, o si ristampa « Il re dei cuochi »?

Il Cavaliere                   - E sì... Faccia dello spirito, lei... Che vita! Maledetto il ventisette!

Cinque                          - Ah, no, cavaliere, no! Il ventisette non si bestemmia! Il ventisette, per lei, significa un bel piatto di maccheroni!

Il Cavaliere                   - E questo è il guaio! Per lei, no, è vero? Lei viene in ufficio per sport! Be', mettia­moci a lavorare, va... Altrimenti qualcuno riferisce al commendatore... Palmieri, continui lei quella spunta di Cimmino... Signorina, il prospetto della situazione... E tiriamo avanti... (Si mette a scrivere. Palmieri ricomincia a lavorare. S'ode il ticchettìo della macchina. Cimmino appare sulla porta, an­sante per aver fatto la scala di corsa. Si guarda intorno, senza che nessuno si accorga di lui, si avvicina al suo tavolo in punta di piedi, prende il pacchetto della colazione che aveva dimenticato, e se ne va in punta di piedi. Cala rapidamente il sipario).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La scena rappresenta la sala piccola del caffè della stazione, dove è accampata la «Compagnia Drammatica Italiana» di Ettore Loris e Lisa Cordòn. A terra cappelliere e valigie trasandatissime. Dalla sinistra si passa nella sala del ristorante. Altra uscita a destra. La comune a vetri dà sul piaz­zale interno. Cartello ben visibile: « Ai treni ». (All'aprirsi del sipario alcuni degli attori sono raccolti intorno ad un tavolino del caffè. Si tratta di uno squallido complesso di terz'ordine. Ettore Loris, il direttore della compagnia, posa sinistra­mente. I generici Guido Lauri e Mirella Mari sono vestiti con la pretesa di lusso un po' logoro dei comici randagi e dissestati. Ettore e Lisa fanno pensare anch'essi a questo ferreo destino di non rassegnata e mal dissimulata povertà. Lisa Cardòn non è dunque che una « guitta » dai toni ecces­sivi, e guasta, e anche un po' cinica. Per qualche istante, tuttavia, nell'ascoltare Cimmino, il guitto della vita, ella sì lascerà andare all'onda dei ricor­di lontani che le daranno una lieve tenerezza e un sottile rimpianto, subito spenti in un riso un po' rauco, che fa pena. Lisa Cardòn è seduta, fuma e ride. Ad un tavolino più lontano, con i gomiti puntati sul marmo e col volto fra le mani, una si­gnora in grigio, tutta sola, attende qualcuno. Si udranno durante l'atto, fischi di treni, sbuffi di locomotive, voci: « Cestini da viaggio-», «Cusci­ni», «Giornali»... In complesso; la decorazione scenica conferisce all'ambiente l'atmosfera densa e caliginosa delle stazioni ferroviarie).

Loris                              - Buttati nel cinematografo, credi a me... Ci guadagni in salute e dignità... Una particina la trovi sempre... E poi un cachet... e poi una comparsa... E' così che si fa carriera, mia cara...

Lisa                               - Darmi al cinematografo, eh? Ebbene, è un'idea. Me ne vado a Hollywood... Tu mi dai le dieci lire che hai in tasca, e io mi pago la cabina di prima classe per l'America. Una ca­bina di lusso... (Ride. I due generici le fanno eco).

Loris                              - Ridi verde, lo vedi? C'è poco da sfottere. Il teatro è finito. Bisogna darsi al cinematografo: non c'è scampo. Nel film ti rimettono a nuovo, e sì che ne hai bisogno!

Lisa                               - Vigliacco!

Mirella                           - Avete bevuto, Loris?

Loris                              - Bevuto? La rimetterebbero a nuovo, altro che bere! Rifanno perfino la voce, alla gente! Pensa a Bette Davis. Pare che la tragica parli at­traverso un imbuto... Una voce endovenosa... (Ride).

Lauri                             - (piano, alla Mari) Letteratura...

Lisa                               - (drammatica) Bette Davis è ancora gio­vane ed è terribilmente celebre...

Loris                              - Muori d'invidia, povera donna...

Lisa                               - E tu? Non conosci, l'invidia, tu che sei uno straccione? Fa rimettere i tacchi alle tue scarpe, va... Uno straccione superbo, sei... Vedi, Loris, .tu non riuscirai per tutta la vita ad andare in scena con un frac come quello di Stori... E ne avresti una voglia... Confessa che ne avresti una voglia...

Loris                              - Me? Io me ne infischio, per esempio... (Sogghigna).

Mirella                           - Bell'uomo, lo Stori!

Lauri                             - (con intenzione) Troppo bello...

Lisa                               - Forse, ma non conta. E' un attore. Vorrei averlo, io, in compagnia... Così stilizzato... Così fine...

Lauri                             - Troppo stilizzato... Troppo fine... (La si­gnora in grigio, seduta in disparte, manda un lungo profondo sospiro. Gli attori si volgono verso di lei).

Lisa                               - Attende qualcuno... E' innamorata... Forse soffre... Lei beata! Soffrire d'amore, Loris... Ci pensi? (Loris alza le spalle).

Lauri                             - Non è facile, Lisa.

Lisa                               - Non è facile, vero? Anche tu, la pensi così... E sei così giovane! Vattene, Lauri, non ti disseccare, non ti svuotare... Diventeresti arido come un sughero... Che cosa eri, Lauri? Sottufficiale dei bersaglieri?

Lauri                             - Ufficiale.

Lisa                               - Guarda... Pare quasi che il piumetto ti  baci ancora la guancia... Torna al tuo reggimento, ragazzo. Sarai lucente... Dovrai servire e tacere, ma non avrai mai freddo. (Enfatica) Tra un anno, saresti preso dal gelo...

Lauri                             - Tu dimentichi l'arte! (La signora in grigio dà un altro sospiro).

Lisa                               - (volgendosi a guardarla) L'amore dev'es­sere una specie di asma. Dicevi, caro? L'arte? (Ride) Sì, hai ragione... Eccola, dunque... (Indica Loris) Guardatela questa divina arte... Rotolare da Brunate a Borgo San Donnino, da Fresinone a Salerno... La grande Arte! « Dora o le spie »... «Il padrone delle ferriere»... (Indicando ancora Loris) Ecco Ferreol! Ecco Filippo Derblay! Come dici, in quella « tirata » del «Padrone », Loris?

Lauri                             - « Nessun ringraziamento, signora Beau-lieu... ».

Lisa                               - (facendo il verso a Loris) « Nessun rin­graziamento »... Tu imparerai a pronunciare quelle parole zacconeggiando sinistramente come Loris. Ed in cambio darai la tua giovinezza, il tuo cuore, la tua speranza... (Tra l'enfasi e il birignao) Teatri di provincia polverosi e deserti, cattivi ristoranti di paese, terze classi di accelerati locali... Ti divertirai, ragazzo. Poi conoscerai il successo, il « nostro » successo: più reciterai male, e più la piccola gente si innamorerà di te... Indovinerai le lacrimette sul ciglio delle donne grasse, dai capelli oleosi, quando sarai Massimo Odiot nel « Romanzo di un giovane poi'ero »... Farai sgranare gli occhi alle buone ra­gazze, di giorno, al caffè (Come se rivolgesse la parola a Loris, con intensità dolorosa e perversa) Vedrai scomparire d'un tratto la piccola amica che ti sarai fatta in compagnia: la vedrai scomparire per un'ora dopo che avrà sorriso due p tre volte al signore del luogo che ha fama d'uomo ricco... Si chiude un occhio, allora, nevvero, Loris?

Loris                              - Sei lugubre, oggi, Garden. Lugubre e cattiva. (Al cameriere che passa) Un cognac.

Il Cameriere                  - Un cognac!... (Via).

Mirella                           - Coraggio, Lisa... Andrà meglio... Gam­biera...

Lisa                               - Si chiude un occhio... Loris lo sa... Nev-vero, Loris? quando non c'è danaro... Quando i bagagli corrono pericolo...

Lauri                             - Io sono abbastanza forte per affrontare la vita.

Lisa                               -  Tu non sei che un povero ragazzo. Presto la città ti farà paura, col suo pubblico che non transige, che non s'accontenta... Credi a me, Lauri: o si sfonda subito, o mai più. Vi ricordate di Al­bertina Moreno?

Mirella                           - La vecchia? Quella che chiedeva l'ele­mosina ne] ristoranti, a Santa Lucia?

Lisa                               - I suoi capelli bianchi scompigliati dal vento... I suoi stracci inzuppati di pioggia... E' morta. (Spiega un giornale sul tavolino e comincia a leggere a voce alta. Gli attori le si stringono in­torno) «Stanotte alcuni passanti...». (Continua. La sua voce si dissolve. Cinque entra rapidamente dal fondo e si dirige verso la signora in grigio).

Cinque                          - Marcella!

Marcella                        - Finalmente! Ti attendo da un'ora!

Cinque                          - Scusa, Marcella! Un guasto al filobus! (Si terge il sudore).

Marcella                        - Un'ora qui ad attenderti... Sola sola... (Scoppia in singhiozzi).

Cinque                          - Ecco, adesso mi diventi drammatica!... Sei drammatica, tu... E no, no, non piangere...

Marcella                        - (asciugandosi gli occhi e soffiandosi il naso) Mio marito sa tutto!

Cinque                          - No!

Marcella                        - Eh, no? Sa tutto!

Cinque                          - E come lo sa?

Marcella                        - Ormai lo sanno dovunque... Forse avremo commesso delle imprudenze... Non so... Ep­pure siamo stati sempre così attenti... (Colpita da un pensiero improvviso). A meno che tu...

Cinque                          - Io? Ma sta zitta, Marcella, sta zitta! Si vede che non mi conosci! E perché, poi, avrei parlato? Per vantarmene? E vantarmi di che? La­sciamo andare... Queste sono cose che restano tra il sommier e la camera da bagno...

Marcella                        - Ed è tutto, eh? Non trovi altro da dirmi? Credi che non lo sappia, che ti sei messo con una ragazzina, una tua vicina di casa, la figlia di uno dell'ufficio? Ed io che m'ero abbandonata a te... Sei stato il primo...

Cinque                          - Ah, no, Marcella! Il primo no! Mettia­mo le cose a posto!

Marcella                        - Il primo amante... M'ero data a te con una specie di verginità...

Cinque                          - Ecco, con una specie... D'accordo. E . senti, adesso...

Marcella                        - Sei l'ultimo degli uomini, ma ormai non c'è più nulla da fare. Ho confessato. Sono fuggita di casa. Prendiamo il treno.

Cinque                          - E un momento! Calmati! Fuggire così, senza salutare nessuno? Dico per ischerzo, sai... E no, non piangere... Tu vai difilata a certe so­luzioni estreme...

Marcella                        - Ma che cosa faremo?

Cinque                          - Faremo colazione. E' curioso che certe emozioni diano i crampi allo stomaco. Ma qui ci dev'essere un ristorante... Cameriere! (A Marcella) Piangi, eh? Povera cara... Ebbene, senti: io ti giuro su quanto ho di più sacro che qualunque cosa accada... (Si alza).

Marcella                        - Qualunque cosa accada?

Cinque                          - Il mio pensiero non ti lascerà mai. Adesso sai che cosa ci vuole? Ci vuole un buon pranzetto e un fiaschettino di Chianti. Cameriere! Cameriere!

Il Cameriere                  - (accorrendo) Pronto, signore!

Cinque                          - (traendolo in disparte) Cameriere, mi occorre immediatamente un séparé. (Strizzando l'occhio e accennando a Marcella) Non è una donnetta qualunque... Guardate com'è agitata...

Il Cameriere                  - Caro signore, qui non ci sono gabinetti riservati. C'è il ristorante dall'altra parte. Se vogliono accomodarsi...

Cinque                          - Be', vada per il ristorante... Purché finisca... Vieni, Marcella, vieni... (Marcella, anni­chilita, si alza senza parlare ed esce dalla destra, con Cinque e col cameriere).

Loris                              - (battendo la mano sul giornale che è sul tavolino davanti a Lisa Cardòn) E quando tutto questo ben bene è avvenuto, la vita continua, indifferente e irremovibile... Puah! Non è allegro, tutto ciò. Ma in compenso assisteremo presto ad una scena soave! (Accennando a Lisa) Sta per giun­gere il suo primo amore!... Il suo «primo» amore...

Lisa                               - Vedrai che è tanto migliore di te...

Mirella                           - Conosciuto a Bologna?

Lisa                               - A Napoli... Eravamo vicini di casa... (A Loris, sinceramente) Senti: quando verrà, non es­sere brutale con me... Non so precisamente come sia diventato adesso, ma sono sicura che certe cose non può capirle... (Alla Mari) Aveva delle ingenuità da bambino...

Loris                              - (inchinandosi e scandendo le parole) Non vi guasteremo l'idillio...

Lisa                               - Grazie, visconte...

Loris                              - Non c'è di che!

Lauri                             - E poi?

Lisa                               - Poi che cosa?

Lauri                             - Dico lui, quel tale di Napoli...

Lisa                               - Ah, lui. Niente... Mi amava... (Ride) Era un amore bianco... La madre mi guardava con una specie di paura... Le pareva ch'io volessi portarle via suo figlio... Sì, le madri sono gelose, ma la vita divide. Egli voleva sposarmi... (Ride).

Loris                              - L'avesse fatto! Oggi saresti la signora Tal dei Tali...

Lisa                               - La signora Tal dei Tali? No, nel copione non c'era scritto... C'era scritto soltanto che fosse un piccolo sogno, un piccolo sogno un po' scemo... Poi, facevamo dell'arte. Con lui  ho recitato le prime volte...

Mirella                           - Bello?

Lisa                               - Chi?

Mirella                           - Lui: era bello?

Lisa                               - Ah, si... Un bel ragazzo... Fresco, allegro, con i capelli neri... Con gli occhi così grandi e ridenti...

Cimmino                       - (entra dalla sinistra, appoggiandosi all'ombrello. Si scopre, resta incerto. Nella mano si­nistra porta una rosa rossa accartocciata nel «cel­lophane» e, sospeso a un dito, ha il pacchetto della colazione. Si avanza. S'avvicina al gruppo)  Si­gnori...

Lisa                               - (alzandosi e andandogli incontro) Alberto? (Crudelmente delusa) Alberto! (Come in un crol­lo) Oh, Alberto!... Vieni, vieni... Puoi abbracciar­mi... (Agli altri) Può abbracciarmi, vero?

Loris                              - Ma prego! Prego!

Cimmino                       - (l'ha già stretta fra le braccia, e le dà sulla bocca un bacio disperato, che non finisce mai. Loris tossisce con intenzione. Lauri e la Mari ridono) Scusino... sono passati tanti anni. Era­vamo amici... Eravamo giovani... Aveva l'alito d'un fiore... Ma che dico? Perdonami, Lisa... Mi scusino...

Lisa                               - Niente, niente... (Fa le presentazioni, sem­pre guardando Cimmino) L'attore Ettore Loris... Alberto... Alberto...

Cimmino                       - (sconsolatamente) Cimmino... Fortu­natissimo...

Lisa                               - Dio, queste amnesie... Ho un vuoto qui, nel cervello...

Loris                              - Veramente lieto, cavaliere! (Il cameriere entra dalla destra e si mette a ripulire i tavolini).

Cimmino                       - (sorridendo) Non sono cavaliere...

Loris                              - Possibile? Mi pare che sia un funzio­nario... Ci sarà almeno una proposta...

Cimmino                       - Veramente, una proposta in corso ci dev'essere. Ma fino a questo momento...

Loris                              - Verrà, la croce, verrà!... E noi la festeg­geremo in anticipo! Cameriere, cinque doppi cognac!

Cimmino                       - No, no... Per me no... Io non bevo liquori...

Loris                              - Macché! Macché! Cinque doppi cognac! Per una volta non fa male!

Il Cameriere                  - Cinque doppi cognac! (Esce dalla destra).

Loris                              - E tu Lisa, non startene così imbambo­lata... Eccola là: sembra una statua di sale... E presenta gli attori, che diavolo!

Lisa                               - (distraendo a fatica la sguardo da Cimmino) Guido Lauri... Mirella Mari... Gli altri sono in treno... Siedi, siedi, Alberto... (Cimmino siede; sie­de anche lei) Parlami di te... Di' la verità, mi trovi cambiata?

Cimmino                       - No, no, sei la stessa...

Lisa                               - La stessa di venti anni fa? E' un po' troppo...

Cimmino                       - Certo... Non so... Mi sembri un poco più robusta... Sei diventata bionda... Perché non hai voluto mandarmi mai i giornali che parlavano di te? Ma io lo so che trionfi...

Loris                              -  Modestia, sa, delicatezza...

Lisa                               - (a Loris) Così... Non ha importanza... (A Cimmino) E poi, tu mi giudichi con una grande indulgenza... Forse esageri...

Loris                              - Forse...

Cimmino                       - (ostile)E' simpatico, quel signore!... No, no, io ricordo benissimo... (Agli attori) Si fi­gurino che recitavamo assieme all'Ideale...

Il Cameriere                  - (entrando dalla sinistra col liquore) Cognac... (Depone il vassoio sul tavolino, mesce il cognac).

Cimmino                       - Prego di scusarmi, ma liquori non sono abituato a berne... Soltanto a tavola, la sera, mezzo bicchier di vino...

Loris                              - Che vino! Che vino! Il fuoco liquido, ci vuole! Una volta tanto!... (Agli attori) Alla salute del cavaliere! (Lauri, la Mari, Lisa e Loris bevono).

Cimmino                       - (tossendo) E' forte...

Lauri                             - Macché forte! Fa bene, riscalda, ristora...

Loris                              - (al cameriere) Quanto è?

Cimmino                       - (timidamente) Ma no, no, pago io...

Loris                              - Che? Non ci mancherebbe altro! (S'at­tarda a cercare nel portafogli).

Cimmino                       - Prego, prego... (Lascia cadere. Si ri­volge a Lisa) Ho trovato quattro o cinque attori discreti... (Loris temporeggia a bella posta conti­nuando a cercare nel portafogli) Prego, pago io! (Trae di tasca la busta gialla dello stipendio. Gli attori si chinano a guardare intensamente il danaro. Al cameriere, porgendo un biglietto da mille) Te­nete: pago io. (Ripone la busta in tasca, il cameriere esce).

Loris                              - Grazie, cavaliere! (Agli attori, ammic­cando, come per dire: «Lasciamoli soli ») Andiamo ad occupare i posti!... Compermesso...

Cimmino                       - (alzandosi, un po' stordito) Prego... Prego... (Gli attori escono da destra).

Lisa                               - E così? «L'Ideale»?

Cimmino                       - Va avanti abbastanza bene.

Lisa                               - E' ancora nel palazzo delle Ferrovie?

Cimmino                       - No, adesso è al principio della strada di Posillipo. Si vede il mare...

Lisa                               - Sei il primo attore?

Cimmino                       - Sì... E sono anche vice presidente della filodrammatica... Il presidente è il direttore compartimentale... Ma è una carica onoraria... Cosa vuoi? In fondo, è uno svago... Dopo una giornata di lavoro... Giovedì abbiamo dato « Gran Mondo».

Lisa                               -  Guarda!... «Gran Mondo»!... Ce l'ho nel repertorio, sai? E' la prima cosa che va su a Sa­lerno. E senti: parliamo un po' di te... Ti sei spo­sato, dì la verità...

Cimmino                       - (turbato) No, no... Sono scapolo, an­cora e sempre...

Lisa                               - E tua mamma?

Cimmino                       - Mia madre... non c'è più... Una die­cina d'anni fa...

Lisa                               -  Oh, povera mamma... Gabriella, si chia­mava, vero?

Cimmino                       - Adelina... Non ti ricordi più...

Lisa                               - E dove abiti?

Cimmino                       - Lì... Sempre lì...

Lisa                               - In quel vecchio palazzo... Alla vostra porta c'era una tabella d'ottone; «Cimmino»... E il cor­done del campanello era di seta rossa... Vedi, che ricordo? C'è ancora, quel laccio di seta rossa?

Cimmino                       - No... Adesso c'è il campanello elet­trico...

Lisa                               - Già... Sono passati tanti anni... E quella ragazza che abitava di fronte?

Cimmino                       - Quale?

Lisa                               - Ma sì... Quella che mi sbatteva le imposte in faccia...

Cimmino                       - (turbatissimo) Ah, Emilia, la figlia del cavalier Trabieco... Chissà dove sarà andata a finire... Il padre fu promosso applicato di prima classe e fu trasferito... Che strana ragazza! E che brutto carattere! Non ne parliamo...

Lisa                               - Era innamorata di te...

Cimmino                       - Ma che innamorata! Quella era un castigo di Dio... Il veleno dei topi...

Lisa                               - Che dici?

Cimmino                       - Niente, niente.

Lisa                               - Di' un po': e con chi vivi?

Cimmino                       - Come?

Lisa                               - Avrai un'amica, non so... Una compagna...

Cimmino                       - Sto con le mie sorelle... Ormai sono tanti anni... C'è una vecchia zitella, al piano di sopra, che si mette ogni mattina al pianoforte... E comincia sempre col «Sogno d'amore»... Te lo ricordi, « Sogno d'amore »?

Lisa                               - Ci farai la passioncella, con la zitella del pianoforte...

Cimmino                       - Macché! Del resto, io non sto mai in casa... L'ufficio le faccende... (Le offre la rosa ac­cartocciata) Ecco: t'ho portato... E' una cosa da nulla, ma gradirai il pensiero...

Lisa                               - (scartocciando la rosa) Oh, grazie, caro, grazie... (S'appunta il fiore sul petto, si punge) Ah!

Cimmino                       - (sobbalzando) Amore mio! Ti sei fatta male?

Lisa                               - (guardandolo fisso, con una specie di curio­sità intenerita, come se lo vedesse per la prima volta) No... non mi son fatta male... (S'odono lievi, le prime note, non più che le prime, del « Sogno d'amore » di Liszt).

Cimmino                       - (sussidia) C'è un pianoforte, qui?

Lisa                               - (ridendo) Ma che pianoforte! E' una sta­zione ferroviaria! (Cimmino si guarda ancora in­torno) E così, vai alla Filodrammatica?

Cimmino                       - Tre volte 'per settimana... Martedì, giovedì e sabato. Ti ricordi della « Partita a scacchi »?

Lisa                               - Jolanda... Il conte di Fombrone... Quelle prove che non finivano mai... Quanto fumo, in quella piccola camera... (Sinceramente triste) Per­ché m'hai lasciata partire? Oggi forse ti sarei vicina e sarei un'altra, e forse saresti un altro anche tu... Vedi, vedi che cosa la vita ha fatto di noi!... (Cim­mino la guarda teneramente, con profonda com­mozione).

Lisa                               - (ha un piccolo scoppio di riso e comincia a recitare) Perché paggio Fernando, mi guardi e non favelli?

Cimmino                       - (animandosi) Io? Ti guardo negli occhi che sono tanto belli... (Entrambi fingono di giocare a scacchi sul tavolino).

Lisa                               - Sei mesto nel sembiante... Perché? La tua ferita ti duole, forse?

Cimmino                       - (cercando di ricordare le parole) Punto!... Com'è bella, la vita!

Lisa                               - Paggio Fernando, è molto lontano, il tuo paese?

Cimmino                       - Io nacqui dove l'aria è tiepida e cor­tese, - dove la terra è piena di cantici e di fiori, - dove in grembo alle Muse sorridono gli amori, -dove nel mar si specchiano i pallidi olivati, - dove i colli son ricchi d'aranci e di frutteti, - dove tutto è profumo, dove tutto è sorriso, - dove non si va­gheggia più bello il paradiso, - dove un riso di donna è tutto un melograno,,- e quel vago paese è lontano, lontano... (Pausa) Tu sei bella, Jolanda...

Lisa                               - Com'è dolce, il tuo dire!

Cimmino                       - Senti... Hai tu mai pensato che si possa morire - senza d'aver provato che cosa sia l'amore? - Senza che un fiore sbocci dai germogli del cuore? - Prima di bisbigliarsi le più ardenti parole? - Prima d'aver goduto la tua parte di sole?

Lisa                               - Oh, no!

Cimmino                       - No, non è vero? Se non fosse che un'ora, - un'ora dell'ebbrezza che ogni ebbrezza scolora, - le mie pupille un'ora fissate nelle tue, - e poi, venga il destino!

Lisa                               - Si morirebbe in due... (Pausa, Lisa ha la voce velata di pianto) Perché, paggio Fernando, mi guardi e non favelli?

Cimmino                       - Io... ti guardo negli occhi che sono tanto... (Rompe in un singhiozzo).

Loris                              - (entra in fretta dalla comune e afferra Lisa per un braccio) Una parola, Cardòn!

Lisa                               - (a Cimmino, alzandosi) Permetti? (A Loris) Che c'è? (Lauri e la Mari entrano, parlando ani­matamente).

Loris                              - E' venuto il momento che ti pianto! Ba­sta, ormai, con questa miseria che mi soffoca!

Lisa                               - Ma che cosa 'accade?

Loris                              - Martelli!

Lisa                               - Martelli... Aspetta... Chi è?

Loris                              - Chi è? Sempre stordita, tu!... Sempre addormentata!... Martelli di Bergamo!... Quello del­le trentamila lire!...

Lisa                               - Martelli... E chi ci pensava più?...

Loris                              - Hai capito, ora? Meno male!

Lisa                               - E che cosa vuole?

Loris                              - Il suo danaro, Dio santo! Che cosa credi che voglia? Vuole danaro! Tutti, vogliono danaro! Hanno sequestrato i bagagli, capisci?

Lisa                               - (atterrita) I bagagli?

Loris                              - Eh, no? Un usciere, alla Grande Velocità, sta suggellando tutto! E adesso va in scena a Sa­lerno, se puoi!

Lisa                               - Ma non è possibile!

Loris                              - Non hai che a scomodarti fino alla Grande Velocità. (Cimmino si avvicina a Lauri e alla Mari e comincia a discorrere con loro).

Lisa                               - (torcendosi le mani) E come si fa?

Loris                              - Si paga! Ecco come si fa! Si tira fuori il portafogli e si paga!

Lisa                               - Ma noi non abbiamo soldi...

Loris                              - Pazienza. Te la sbrighi da te. Io me ne vado.

Lisa                               - Te ne vai, Loris?

Loris                              - Me ne vado, Cardòn.

Lisa                               - E dove?

Loris                              - Da Lucilla Primavera. Ha messo su una compagnia di riviste. E' a Roma, mi chiama. (Trae di tasca una lettera e la mostra).

Lisa                               - Tu non farai questo, Ettore!...

Loris                              - Lo farò. Basta, con la fame. Non ne posso più. (Raccatta la valigetta, ne osserva il contenuto, cerca qualcosa).

Lisa                               - Tu canterai dei « couplets » idioti?

Loris                              - Meglio cantare dei « couplets » idioti che il De Profundis. Me ne vado.

Lisa                               - E mi lasci così, sola, con la compagnia addosso, senza risorse?

Loris                              - Io penso a me. Ne ho abbastanza. Dammi le tre cinquine arretrate.

Lisa                               - Ma non posso...

Loris                              - Dammi! (Le strappa la borsetta di mano) Come viaggio? (Apre la borsetta, ne trae qualche Vialetto e l'intasca).

Lisa                               - Ettore, non mi lasciare... Ettore, ti scon­giuro... Lo sai che ho bisogno di te... Che ti amo... Che ti voglio sempre di più... Resta.. Non ho più nulla, m'hai tolto tutto... Pensa... La compagnia, il sequestro...

Loris                              - Io me ne vado! Penso a me! Quanto alla compagnia (ride) hai dimenticato il tuo primo amore? Il cavaliere... Hai visto? Aveva tanto da­naro, in quella sua busta gialla...

Lisa                               - (volgendosi a guardare Cimmino che continua a conversare con la Mari, mentre Lauri esce dalla comune) Danaro... (Loris fa per andarsene) No, senti, questa è una rovina... Resta, te ne scongiu­ro... A Salerno faremo soldi... C'è il vecchio, il padrone del ristorante... Qualche biglietto da mille glielo strapperò...

Loris                              - No.

Lisa                               - Solo per questa sera...

Loris                              - (chiudendo la valigia) No! (Tenta di li­berarsi da Lisa che lo trattiene).

Lisa                               - Per andare in scena stasera... Poi Lauri imparerà la parte e tu partirai... Fallo per carità... (Lo afferra per le braccia).

Loris                              - (divincolandosi violentemente, mentre Cim­mino, attratto dalla scena, si avvicina timidamente) E lasciami, perdio! (Dà un urtane a Lisa, che va ad abbattersi con la schiena contro il taglio di un tavolino).

Lisa                               - (con un grido di dolore) Ahi!

Cimmino                       - (sorregge Lisa) Che c'è, Lisa? Che succede? (A Loris) E un po' di maniera, che dia­volo! Se questo è il modo di trattare una signora...

Loris                              - (con uno scoppio di risa) Una signora, quella?

Cimmino                       - Una signora! Una signora!

Loris                              - Davvero? E da quando in qua?

Cimmino                       - Da sempre! La conosco! Abitavamo nella stessa casa! Il padre era un gentiluomo!

Loris                              - Sì? E chi era? Il conte d'Armagnac?

Cimmino                       - Niente conte d'Armagnac! Era un galantuomo! Era applicato... Era Direttore Generale delle Ferrovie! E voi non permettetevi di quelle maniere da villano! Lisa è una persona per bene, avete capito?

Loris                              - Ma non rompete le scatole! Cinquecento lire, e vi cavate il gusto!

Cimmino                       - Ah, mascalzone! (Gli si getta addosso, preso dal furore; cadono insieme. Cimmino picchia Loris come fanno gli uomini dal complesso di in­feriorità quando una volta sono accecati dalla rabbia).

Lisa e Mireixa               - (gridando) Lauri! Lauri! (Il ca­meriere accorre, tenta di sottrarre Loris a quell'ener­gumeno. Lauri giunge di corsa e fa altrettanto. Cimmino tiene Loris stretto a sé; gli ha passato il brac­cio sinistro intorno al collo e non lascia la presa, mentre batte Loris con la destra. Non si potrebbe nemmeno dire che lo hatta: lo picchia, è la parola, con le nocche delle dita sulla testa, con odio sel­vaggio. Gli vengono in bocca, dopo aver detto due o tre volte « Mascalzone », «Fetente», «Farabut­to », tutti i nomi della gente che odia: « Cinque!», «Commendato», «Segretario Genera»! Mirella Mari e Lisa sono atterrite. La Mari chiama: « Soc­corso!», ma senza convinzione, sbalordita da quel furore improvviso. Finalmente il cameriere riesce a svincolare Loris, e, siccome questi fa per slanciarsi su Cimmino, lo trattiene per le braccia).

Cimmino                       - (a sua volta riesce a liberarsi dalla stretta dì Lauri) Ah! Erano trent'anni, che volevo bat­tere qualcuno! (Con un sospirane di sollievo) Ah! (Va su e già, nervosissimo).

Loris                              - (raccoglie il cappello e la valigia) Se non temessi di perdere il treno! Ma ci incontreremo! (Via dalla comune. Cimmino continua a misurare il caffè in lungo e in largo, eccitatissimo, tirando so­spiri di sollievo).

Lisa                               - (si guarda in imito con la Mari e con Lauri) Alberto, calmati, su! Che diavolo! In fondo, poi, che cosa ti ha fatto?

Cimmino                       - Che cosa mi ha fatto? Tu domandi che cosa mi ha fatto?

Mirella                           - E che esagerazione!

Lauri                             - Roba da pazzi! (Cimmino che gli si trova avanti, gli dà un ceffone. Egli porta la mano al volto) Ah! E che modo?

Cimmino                       - E andate immediatamente a ripassare la parte in treno, avanti! Ah, perdio perdio perdio! La metteremo a posto una buona volta, questa com­pagnia! Abusate che quella poveretta è sola, eh? Le date addosso perché è una persona per bene? Sal­timbanchi scavalcamon lagne che non siete altro! Ma io vi metto a posto! Io vi raddrizzo le corna! Vi picchio, avete capito? Vi picchio!

Lisa                               - E va bene, Alberto... Adesso calmati... (Lo accarezza) Vieni qua, senti... Pensa a me... Hai vi­sto? Quel vigliacco mi ha lasciata sola...

Cimmino                       - (che si smonta man mano) Ma ci dev'essere un contratto, una penale... Io lo citerei per danni, quell'infelice...

Lisa                               - Citarlo? Per cavarne che cosa? Non ha che le sue scarpe rotte... notaio, carta da bollo, diritti di accesso... Trenta-cinquemiladuecentosettanta.

Lisa                               - Bisognerebbe aver fiducia... (Avvicinandosi a Cimmino) Compassione di me...

Cimmino                       - (si irrigidisce: lotta per qualche istante con se stesso, e infine decide quasi senza volerlo, come uno che sì getti in un baratro) La signo­rina paga.

Lisa                               - (a Cimmino) Grazie, grazie... (Cimmino tira fuori di tasca la busta gialla, ne toglie quattro biglietti da diecimila. Lisa li prende, glieli strappa quasi di mano, e lì porge all'ufficiale giudiziario). L'Ufficiale Giudiziario - Un momento... Non c'è fretta. (Siede ad un tavolino, estrae la stilo­grafica, inforca gli occhiali, comincia a scrivere svila carta da bollo. Cimmino cade a sedere).

Lisa                               - Grazie... (Il cameriere entra e si avvicina a Cimmino portando in una sottocoppa il resto del biglietto da mille lire sborsato per pagare il cognac).

Cimmino                       - (ha un momento di esitazione, poi vuota la sottocoppa nella sua busta gialla, macchinalmen­te, senza lasciare mancia. Il cameriere se ne va, guar­dandolo di traverso. S'odono le prime note del pia­noforte, come prima. Cimmino sobbalza. A Lisa, mentre l'ufficiale giudiziario scrive) E dopo Sa­lerno dove andate?

Lisa                               - A Fresinone.

Cimmino                       - E dopo?

Lisa                               - Dopo, chi sa... Non si sa mai dove si va a finire... (Cimmino dà in una piccola risata ner­vosa, un po' sorda. Si odono di nuovo le note del pianoforte. Cimmino sì guarda intorno. Ride dì nuovo. Lisa lo guarda) Perché ridi?

Cimmino                       - Niente... Pensavo...

Lisa                               - Che pensavi?

Cimmino                       - (serio) Se ne avessi la forza...

Lisa                               - Ebbene?

Cimmino                       - Una cosa enorme... Una fantasia...

Lisa                               - Dilla.

Cimmino                       - No, non è possibile...

Lisa                               - Dilla, dilla!

Cimmino                       - Se ne avessi la forza... verrei con te.

Lisa                               - Per sempre?

Cimmino                       - (atterrito dalla parola) Per sempre?

Lisa                               - Ti domando.

Cimmino                       - (socchiudendo gli occhi) Per sempre.

Lisa                               - E tu ne avresti il coraggio?

Cimmino                       - Chi sa... Forse è troppo tardi... Ma non ne posso più... Che vita... Quel pianoforte che mi martella nella testa... Quella donna che mi tor­menta... Il veleno dei topi...

Lisa                               - Che veleno?

Cimmino                       - Come?

Lisa                               - Dico: quale veleno?

Cimmino                       - (ripigliandosi) Ho parlato di topi? Non ci badare... E poi l'ufficio... Quella gente ma­ligna, stupida, servile, che ti lascerebbe morire per un sorriso del segretario generale... Sempre gli stes­si, sempre, dalla mattina alla sera... E passano le stagioni, e passano gli anni, e non cambia mai... C'è un impiegato, un certo Cinque, che mi è odio­so. Uno di quei raccomandati di ferro, sai... La spia dell'ufficio. Ebbene, l'ho sempre intorno a me. Se salgo in tram, Cinque è nel tram. Se m'affaccio al balcone, Cinque è al balcone, di fronte a me. Io sono qui, ora, vedi, e nessuno lo sa... Mi credi? Non sarei sorpreso se Cinque fosse alle mie spalle. (Men­tre Cimmino profferisce queste parole, Marcella en­tra dalla destra, in fretta, irritata, decisa a farla fi­nita col suo pessimo amante. Cinque la segue, col tovagliolo in mano, chiamando: « Marcella! Mar­cella!». Insomma, nel momento in cui Cimmino lo evoca, Cinque è veramente alle spalle di Cim­mino).

Lisa                               - (che non ha ascoltato, seguendo il suo pen­siero) E tu avresti il coraggio di piantar tutto e di venire con me?

Cimmino                       - Non lo so... Ma basta, basta con que­sta vita miserabile... Tu dici che l'esistenza degli ar­tisti è dolorosa? Forse. Ma è sempre diversa, è sem­pre un'altra! La vita terribile è quella che non cam­bia mai! Ogni giorno è come il giorno precedente, come il giorno che seguirà... Mia moglie macina il caffè...

Lisa                               - Che dici?

Cimmino                       - Come? Che ho detto? Niente, niente, non ci badare. Piantare tutto... Ma no, no, non è possibile! (L'idea della fuga lo terrorizza) Eppure... (La sua piccola anima oscilla. Egli si spenzola sull'abisso e se ne ritrae, ad un tempo affascinato e at­territo).

Lisa                               - Non vuoi.

Cimmino                       - Ci penseremo stasera, dopo la rappre­sentazione... (Seguendo il pensiero che lo attana­glia) No, no... sarebbe una pazzia... (Si tocca il pet­to, dove ha la busta gialla, ricorda) I denari... E come ci torno, a casa? (Balza in piedi) Meglio, me­glio affrontare l'ignoto...

L'Ufficiale Giudiziario - (smettendo di scrivere) Ecco l'effetto con l'atto di protesto. Bisogna far annullare il protesto, altrimenti esce sul bollettino...

Lisa                               - Protesto più, protesto meno... Grazie.

L'Ufficiale Giudiziario - (traendo di tasca del da­naro e contando) Ecco la resta. (S'odono i rin­tocchi dei ganci del treno battuti col martello dei manovali. Un fischio).

Lauri                             - (rientrando con la Mari) Presto! Presto! Il treno parte!

Mirella                           - Le valigie! Le cappelliere! (Cimmino è agitatissimo. Lauri, la Mari e Lisa raccolgono i ba­gagli. Un altro fischio. L'attore va verso la destra) Avanti, avanti, perdiamo il treno! Presto, presto! Avanti! E anche lei... Direttore!

Cimmino                       - Direttore? Io?

Lisa                               - (afferrandolo per mano) Vieni... Vieni... Se tu avessi coraggio... Andiamo, Alberto, andiamo... (Lo trascina via traendolo per mano. Cimmino si avvia, poi si ferma, esita, tentenna, nella sua tormen­tosa perplessità. Rintocchi di freni battuti. Altro fischio). Che hai? Andiamo!... (Lo trascina. Escono tutti dalla destra. Cimmino rientra dopo un istante, tra il vocìo dei comici; attraversa la scena in fretta, corre verso il tavolino dove ha lasciato il pacchetto della colazione, afferra l'involto e fa per uscire dalla destra. Al centro della scena si ferma, scorgendo qualche cosa a terra, si china lentamente, esitando, quasi con paura, raccoglie la rosa rossa che aveva portata a Lisa, e che, durante la scena fra Lisa e Loris, è caduta ed è stata calpestata. Il fiore gli si sfronda nelle mani, i petali gli cadono ai piedi. S'odono, forti, i rumori della stazione, mentre dura il vocìo. Lisa dall'interno) Alberto! Alberto! (S'odo­no di nuovo le prime note di «Sogno d'amore». Cimmino socchiude gli occhi, serrando nel pugno la sua rosa morta, esita ancora un istante e fugge dalla destra).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(La sala da pranzo, in casa di Cimmino. L'ambiente è arredato con decenza. Nel complesso, tutto ciò dì comune che può vedersi nella casa di un impiegato non di infimo grado. Al centro della scena, il ta­volo sul quale, dal soffitto, pende il paralume. Sulla sinistra della scena, un divano abbastanza lungo, ai cui lati sono due poltrone. Sono in scena Umilia Cimmino, Nini e due vicine: la signora Lomonaco con la figlia Elvira. Tutte vestono decentemente).

Emilia                            - (tergendosi le lacrime e soffiandosi il naso)  No, è morto, signora! E' morto! Per amor di Dio! Lei scherza? Le tre di notte e Alberto non ritorna? Non mi ricordo che sia accaduto una sola volta! E' morto, è morto... Marito mio bello... (Piange).

La signora Lomonaco   - Su! Si dia coraggio! Che morto e morto! Possono capitare tante cose!

Ninì                               - E che cosa poteva capitargli? Da quando ho l'uso della ragione, non mi ricordo che una sola volta papà sia tornato a casa dopo le sette... Mai... Mai... (Piange).

Elvira                            - Su, Nini, sta su... Perché pensare per forza a cose tristi? Vedrai, vedrai che da un mo­mento all'altro verrà!

Emilia                            - Elvira, figlia mia, non s'illuda... No, no. Io ho un brutto presentimento... Ieri notte ho sognato l'uva bianca... Ogni acino così, grosso come un'arancia...

La signora Lomonaco   - (fra sé) Lacrime...

Nini                               - Sparito... Sparito...

Emilia                            - Stamattina siamo andate da lui in uf­ficio per... per una cosa. Che ora poteva essere, Nini?

Nini                               - (piagnucolando) Era quasi mezzogiorno...

Emilia                            - Siamo andate in ufficio a mezzogiorno. Alberto era lì! Chissà se non era l'ultima volta che lo vedevo!...

Elvira                            - Signora, signora! E che modi, sono questi? Vuol farsi venire un malanno? E pensi a que­sta povera creatura...

Emilia                            - Alberto era lì, seduto al suo tavolino. Ha detto, me lo ricordo come se avesse parlato un minuto fa: «Tornate dopo mezzogiorno». Dì tu, Ninì, è vero, sì o no? .

Nini                               - Sì, mamma... Dopo mezzogiorno... (Piange).

Emilia                            - Noi abbiamo preso il tram, e siamo an­date dal parrucchiere... Torniamo dopo un'ora, si­gnora cara, e Alberto non c'era più! (Piange).

La signora Lomonaco   - Ma i colleghi le avranno detto qualche cosa, non so, le avranno dato qualche indizio...

Emilia                            - S'erano accorti che era stravolto... Ha chiesto qualche ora di permesso ed è uscito. Da quel momento, non l'hanno visto più!

Elvira                            - E va bene, va bene... Coraggio... Da un momento all'altro suonerà il campanello... Ninì   - (piagnucolando) Ha la chiave, ha...

La signora Lomonaco   - Che sia tornato in uf­ficio più tardi?

Emilia                            - Macché, signora cara! Macché! Stasera, verso le dieci abbiamo mandato a chiamare quell'im­piegato che abita qui, di fronte a noi... Lo vede anche lei, dalla sua finestra... quel giovanotto... Co­me si chiama, Ninì?

Nini                               - Cinque, mammà... Si chiama Cinque...

Emilia                            - Ecco, Cinque... Infatti ricordavo un nu­mero... In verità, povero giovane, si sta comportando in un modo veramente esemplare... Sta frugando tutta la città. Ebbene, quando l'abbiamo chiamato ed è venuto, ci ha detto che era stato in ufficio, e il povero Alberto non era ancora tornato... (Piange) Madonna mia, e che cosa sarà accaduto? Al­berto! Alberto! Rispondimi!

Nini                               - (singhiozzando) Papà mio... Papà mio...

Elvira                            - Su, Nini, non piangere! (Le si avvicina) Vedrai, vedrai che tornerà!

Emilia                            - Alberto... Alberto! Rispondi alla tua povera Emilia... Signora, stamattina era lì, sulla porta, guardi, lì che se ne andava all'ufficio. Io gli ho domandato: « Alberto, figlio mio, per secon­do, che cosa preferisci?». «Beh, guarda un po' tu - m'ha detto - delle frittelle e un po' di peperoni... ». Signora, gli abbiamo preparato frittelle e peperoni. E adesso, chi se li mangia? Sono lì, sul fornello spento. No, no, signora, Alberto non esiste più!

Nini                               - E basta! Basta! Sta zitta! Non ho più la forza di sentire! Ho un chiodo nella fronte!

Cinque                          - (dalla strada) Signora Cimmino! Si­gnora Cimmino! (Le quattro donne corrono al bal­cone).

Emilia                            - Dica, dica... L'ha trovato?

Cinque                          - (dal basso) Niente, signora! Niente! L'ho cercato per tutta Napoli! Sono stato in Que­stura, agli ospedali...

Emilia e Nini                 - (insieme) E che le hanno detto?

Cinque                          - Nulla! Non ne sanno nulla!

Una voce                       - (dal piano superiore) Meno male! L'hanno trovato?

Emilia                            - (guardando in alto ed alzando la voce) Niente, presidente! Niente!

La voce                         - E dove l'hanno trovato?

La signora Lomonaco   - Non s'è trovato ancora!

La voce                         - Ah, benissimo! Ringraziamo Iddio!

La signora Lomonaco   - Non l'hanno tro...

Elvira                            - Mammà, e finiscila! Quello non sente nemmeno le cannonate!

Emilia                            - Signor Cinque!

Cinque                          - Dica!  

Emilia                            - Salga un momento! Lo faccia per carità!

Cinque                          - Va bene, vengo su. Aprano la porta... Nini vieni tu, ad aprire la porta! Vieni tu!

La voce                         - Tanti saluti al ragioniere! Domani sera lo aspetto per lo scopone!

Emilia                            - Eh, sì! (Le donne rientrano. Nini esce in fretta per aprire la porta).

La signora Lomonaco   - Vede? Se, Dio non vo­glia, fosse accaduto qualcosa di grave, lo avrebbero trovato in Questura, non so, a qualche ospedale... Oh, Dio, si sarebbe dovuto buttare a mare?

Elvira                            - Mammà! E che diavolo!

La signora Lomonaco   - E che ho detto di straordinario?

Elvira                            - Tu salti fuori con certe enormità... Get­tarsi a mare... E perché? Signora, non abbia paura. Io sono certa che suo marito da un momento all'altro sarà qui. (Rumore della porta delle scale che si chiude. Entra Nini seguita da Cinque, che è in smoking. Cinque si ricompone, e si passa il fazzo­letto sulle labbra).

Cinque                          - (a Emilia) Signora ragguardevole... (Le bacia la mano).

Emilia                            - Signora, le presento l'avvocato Cinque... (Piangendo) ... Collega d'ufficio del mio povero Al­berto. La signora Lomonaco...

La signora Lomonaco   - Fortunatissima...

Cinque                          - Sono io, veramente lieto... Oh, ma dica un po'... Lei non abita qui accanto?... Ah, ho ca­pito... Lomonaco, sì... Conosco suo marito, il dot­tore... Sì, sì, le vedo dal balcone... E mi pare che abbia anche una signorina...

La signora Lomonaco   - Elvira! Eccola qui.

Cinque                          - (sbirciando la ragazza) Ah, ecco... La figlia di Lomonaco... (Le sorride. Elvira accenna un saluto col capo) Fanno compagnia a queste pove­rette, eh? Iddio gliene renda merito...

Emilia                            - Avvocato, dica, per carità... Ha una traccia? Un filo di speranza?

Cinque                          - Signora, gliel'ho detto. Sono stato in Questura: nulla. Poi sono andato all'ospedale dei Pellegrini: «Scusino tanto - ho domandato hanno portato per caso un certo Cimmino? ». L'infermiera ha guardato sul registro: nulla. Dai Pellegrini sono corso agli Incurabili. Niente. (Prendendo una se­dia) Signora Cimmino, vuole sapere la verità? Non s'impressiona, eh? Sa, bisogna cercare dovunque... Sono andato anche alla « Morgue ».

Emilia                            - E non c'era?

Cinque                          - Nemmeno un'unghia.

La signora Lomonaco   - Naturale! Voleva tro­varlo alla sala anatomica? E che diavolo! Chissà per quale ragione si sarà allontanato dall'ufficio!

Emilia                            - E non diceva nulla? E non m'avvertiva? No, no, signora, non s'illuda! Alberto non è più di questo mondo!

Cinque                          - Comincio a crederlo anch'io! (Emilia e Nini scoppiano in singhiozzi).

La signora Lomonaco   - (in tono di rimprovero) Signor Cinque!

Cinque                          - Pardon.

Emilia                            - Domani vestirò le gramaglie...

Nini                               - Non ne posso più...

Emilia                            - Che ora è, signor Cinque?

Cinque                          - Sono le quattro.

Emilia                            - Vede, signora? Vede? Alberto fuori casa fino a quest'ora? Chissà, chissà che tragedia, sarà accaduta! (A Cinque che continua a parlare sottovoce con la signora Lomonaco e con Elvira) Avvocato, non resti, così, in piedi... S'accomodi... Ma guarda! è anche in abito da sera... Chissà dove era diretto... Ci scusi...

Cinque                          - Beh, cosa da niente... Mi attendevano certi amici... Dunque, signora mia, lei si dispera, lo so... Ma che cosa vuol farci? Ci vuole calma, rassegnazione... Stamattina leggiamo un po' i gior­nali, vediamo un po'... (Siede anche lui presso il tavolo, tra Nini ed Elvira).

Emilia                            - Avvocato, mi dia un po' di speranza... Che sia partito? Che l'abbiano mandato fuori Nanoli per servizio?

Cinque                          - No, questo no... Ma non si impensie­risca. Guardi, signora, qui i casi sono due... O Cimmino... - come devo dire? - ...ha avuto una di­sgrazia e c'è rimasto...

La signora Lomonaco   - Avvocato! (Emilia e Nini piangono più forte).

Cinque                          - E non è probabile! Che diavolo! Un in­dividuo muore cosi, da un momento all'altro, senza ragione? (Fa un segno d'intelligenza alla signora Lomonaco) Oppure... oppure... chissà... è stato con­dotto dagli amici qui, nei dintorni, in uno di questi paesetti qui vicino...

Emilia                            - (lamentandosi) Non è possibile... Non è possibile...

Elvira                            - (a Cinque) Lei pensa ad una gita di piacere?

Cinque                          - Io penso a tutto e a nulla, carissima Elvira... Cosa vuol fare?... Un uomo nel mondo è una quantità talmente trascurabile...

Nini                               - Ma che paesetto! Che gita di piacere!... Andarsene così, senza avvertire nessuno, lasciando la famiglia nell'ansia? No, no, signora... Papà non avrebbe fatto... Non l'ha fatto mai... Sarebbe stato in contrasto con le sue abitudini!...

Emilia                            - Ma certo! Abitudini di venti anni! No, no! Signora Lomonaco, io sono la vedova di Al­berto Cimmino!

La signora Lomonaco   - (seguendo un suo pensiero) E quest'uomo sarebbe sparito così, nella strada da un momento all'altro? Agli ospedali, nessuna no­tizia. In Questura, non ne sanno nulla. Alla Mor­gue non c'è... E allora?

Cinque                          - (sorridendo) Allora, sono potute acca­dere centomila cose! L'abitudine, eh? Ah, lei crede che un uomo qualunque, per il solo fatto di essere tornato a casa venti anni di seguito ogni sera alla stessa ora, il ventunesimo anno non può capovolgere la propria esistenza? Per venti anni ha fatto la gatta morta: casa e ufficio, ufficio e casa. Un bel giorno...

Emilia                            - Un incontro, dica la verità?...

Cinque                          - Un incontro, un'idea, una follia... Centomila cose. Ecco qua. Un uomo va per istrada. E' disceso un momento dall'ufficio... non so... per... per I giocare la schedina del Totocalcio.

Emilia                            - Non ha mai giocato un soldo!

Cinque                          - Dico per dire... Esce dall'ufficio, cammina. A un angolo di strada incontra un amico: uno che aveva perduto di vista da trent'anni «Bemarnino! ». «Alberto!». «Come va? Che diavolo te ne sei fatto, per tanti anni?». «Sono stato all'estero. E tu?». «Ah, io sono qui, a Napoli... Mi I sposai nel trentaquattro... E ho una moglie, amico  mio, una moglie... ».

Emilia                            - (alzandosi e levando il braccio) Giuro davanti a Dio che l'ho sempre amato!...

Cinque                          - Sarà, signora, sarà... Dico per dire! « Senti, Alberto - fa Beniamino - te ne vuoi venire a colazione con me? Sono tornato ieri l'altro, e ho saputo che in un'osteria di Sorrento c'è un I vinello... un vinello paesano... Alberto, oggi ho 1 deciso di fare cose da pazzi. Se ci stai, t'invito ».  « No! - risponde Alberto Cimmino. - No, Beniamino mio! Mi attendono a casa! ». «A casa? E che I cos'è, questa casa? Ma che te ne frega, a te! Andiamo, Alberto, andiamo! ». E lo trascina con sé. Dopo di che, l'uomo qualunque che per vent'anni non ha bevuto mai più di un dito di vino, perde la tramontana, commette mille e una imbecillità, e all'alba lo portano a casa inzuppato di vino come una spugna da bagno, sa, di quelle grandi, che...  

Ninì                               - No! No! Non è possibile!

Emilia                            - Non lo credo! Non posso crederlo!

La signora Lomonaco   - Un padre di famiglia come il ragioniere Cimmino non si lascia trascinare in un'osteria!

Cinque                          - Non ci sono, eh? (Si guarda intorno).

Elvira                            - E no, che non c'è! Cosa vuole, lei, che un galantuomo...

Cinque                          - Come dite? Un galantuomo? E sentite quest'altra, va! Sentite quest'altra ipotesi! Ecco qua, ascoltatemi bene. L'uomo qualunque va per istrada. Cammina così, sovrappensieri, o meglio, pensando a tutti i guai che gli prodiga la bella famigliola, Lo vedete? Sta bene. Da un momento all'altro, paffete, incontra una donna. Per vent'anni non ha pensato una sola volta che sulla faccia della terra esistessero altre donne all'infuori di sua moglie, di sua figlia... e delle signore Lomonaco qui presenti. Il ventunesimo anno, una bella mattina, incontra un'altra donna e si gioca la vita. Eh? Che ne dite?

La signora Lomonaco   - Uh, avvocato! Che esagerazione!

Cinque                          - Esagerazione? Esagerazione? E perché, secondo lei, una bella femmina non è capace di far perdere la testa a un tipo di quel genere? Un sor­ riso, sapete, uno di quei sorrisi che soltanto le « al­ tre» donne sanno fare, e si desta di soprassalto il maiale che sonnecchia in ciascuno di noi. « Signora... Signorina... Una parola... ». « S'allontani per carità! Sono maritata!». «Una parola, angelo biondo, de­liziosa signora, inestimabile tesoro!... ».

Emilia                            - Non le ha mai dette, queste parole!

Cinque                          - A lei? E che c'entra, lei? Lei è la moglie! Queste sono parole che si dicono soltanto alle sconosciute!... Dopo di che, l'uomo qualunque, che in materia di gonne non ha mai fatto distinzione tra una donna e un prete, s'inebria, perde letteralmente il pudore, e a giorno chiaro lo sanno, come ritorna a casa? Lo sa, lei, signora Cimmino? Ritorna a casa senza la croce di un centesimo in tasca!

Emilia                            - (scattando in piedi) Nini, Nini, aveva lo stipendio addosso!

Cinque                          - Vede? Lo vede? E non è tutto! Tenga presente che talvolta un uomo scompare, e nessuno lo vede mai più. Il fatto di Don Gennaro Renzullo se lo ricordano? Affare di una cinquantina d'anni fa: lei, signora, se lo deve ricordare. Sparito, una sera, nel tornare dal caffè a casa. Scomparve an­nientato dalla strada, povero Don Gennaro, rapito dal torrente che afferra, travolge, distrugge; risuc­chiato dalla fiumana che ingoia la gente.

Nini                               - (singhiozzando) Papà mio! Papà mio!

Emilia                            - (accarezzando la figlia) No, no... non l'hanno ingoiato, papà... Non l'hanno ingoiato...

La signora Lomonaco   - Avvocato! E un po' di tatto! Che diavolo!

Emilia                            - (lamentandosi) E adesso come si fa? Oh, Dio mio! Dio mio! (Riflette) Ma almeno ci spetta la pensione?

Cinque                          - Ecco, così va bene! Bisogna pensare alle cose serie! Bisogna andare al sodo! La pensione vi spetta! Vi spetta! (Pausa) Si chiede la fede di morte...

Ninì                               - ('piangendo e -pestando i piedi) La fede di morte di papà! La fede di morte di papà!

Cinque                          - E un po' di calma, Ninì! Alla fine dei conti, la fede di morte che cos'è? E' un pezzettino di carta così! Beh, arrivederci, io vado, fra qualche ora devo trovarmi in ufficio, e non vorrei mancare per nessuna ragione al mondo. Io sono fatto così! Il dovere innanzi tutto! Per qualunque cosa occorra, dispongano di me. Ninì, accompagnami, non cono­sco l'uscita... (Bussano al portone. Le donne si pre­cipitano al balcone).

Nini                               - Un fattorino telegrafico! E' un telegramma! (Via di corsa, seguita da Cinque).

La signora Lomonaco   - Vedranno, vedranno che è una buona notizia.

Elvira                            - Ma certo! (Ninì ritorna seguita da Cin­que il quale, senza averne l'aria, si passa il fazzo­letto sulle labbra, per toglierne qualche traccia di «rouge». Poi Cinque firma il talloncino di rice­vuta del telegramma. Elvira lo prende ed esce in fretta. Cinque porge il telegramma a Emilia che lo apre, lo legge, getta un grido e sviene, ha vicina la sostiene).

Nini                               - Mammina! Mammina! Che accade? (Ac­corre presso la madre).

Cinque                          - (alla signora Lomonaco, che raccoglie il telegramma) Si può leggere? Non è indiscreto? (Elvira rientra).

La signora Lomonaco   - Ma sì! Legga! Legga!

Cinque                          - (legge) « Addio. Non attendermi più. Alberto». Il telegramma viene da Salerno... (Get­tando il telegramma sul tavolo) Ho capito: Cim­mino s'è buttato a mare.

Elvira                            - Eeeeh! Va sempre agli estremi, lei.

Cinque                          - Beh, in fondo, così grossa non l'ho detta... Il suicidio acquatico è diventato talmente di moda...

Emilia                            - (con voce fievole) Ho il freddo nelle ossa...

Cinque                          - Beh, adesso cerchi di riposare... Ormai, quello che è fatto è fatto... Stamattina si va sul posto, si vede un po'...

La signora Lomonaco   - E sì... Ormai!... Corag­gio, signora Cimmino... Speriamo che oggi... (Con­tinua con Elvira a confortare l'amica, mentre Cin­que trae in disparte Nini; un po' più verso la porta).

Cinque                          - Senti, non vorrei dirtelo, ma...

Nini                               - Che vuoi, da me?

Cinque                          - No, dicevo che adesso sarai più li­bera... Potrai venire da me un po' più spesso...

Nini                               - (aprendo il fazzoletto) Zitto! Zitto! Non è il momento! E poi, ho un rimorso...

Cinque                          - E dagli! Sta a vedere che l'onore fem­minile è un fatto fisico... Non ci si tiene più...

Nini                               - Lo so, che non ci si tiene più... Ma che vuoi? Mi pare un tradimento per quel poveruomo...

Cinque                          - Senti, ti avevo scritta una lettera: non sapevo che sarei venuto qui... C'è l'indirizzo di quella casa... (Trae la lettera di tasca).

Nini                               - No, no...

Cinque                          - E va bene!... Ma non subito, eh?: tra cinque o sei giorni... Però devi farmelo sapere in tempo... Ecco qua: (legge) Mauriello, via Speranzella dodici... E' una casa di amici... (In quel preciso momento Cimmino appare sulla porta. E' senza baf­fi, affranto; ha la chiave di casa in mano, l'ombrello sospeso al braccio, il pacchetto della colazione sospeso a un dito. Tutti danno un grido soffocato. Nini nasconde la lettera in seno).

Emilia                            - (fissando il marito) Non è lui...

Cimmino                       - (precipitandosi verso il tavolo sul quale è spiegato il telegramma) E' arrivato prima di me... Non ho fatto in tempo...

Cinque                          - (che è sull'uscio, piano) Si è tagliati i baffi...

Nini                               - Madonna, com'è pallido!

Emilia                            - Dove sei stato?

Cimmino                       - (guardando la gente estranea) Ti dirò. (Cinque se la svigna, he vicine salutano ed escono silenziosamente, guardandosi in volto. Emilia e Nini guardano Cimmino, senza parlare).

Emilia                            - (severa)  Dove sei stato?

Cimmino                       - (guardando il telegramma, tentando inu­tilmente di mentire, balbettando) A Salerno... Un affare di ufficio... Sono ritornatocol primo treno...

Emilia                            - E i baffi? Che cosa ne hai fatto, dei baffi? E questo telegramma? E i denari, dove sono? Dammi i denari!

Cimmino                       - Quali denari?

Emilia                            - Come? Quali denari? Lo stipendio!

Cimmino                       - Ah! La busta!

Emilia                            - La busta! La busta! Dove? (Cimmino non risponde) Chissà che cosa avrai fatto! Fuori i soldi! I soldi!

Cimmino                       - Ti esprimi peggio di una lazzara... Co­me, come sei volgare!...

Emilia                            - I soldi! Dove sono, i soldi? (Cimmino getta sul tavolo la busta contenente pochi spiccioli. Umilia li conta febbrilmente) E questo è tut­to? Che cosa hai fatto? Alberto, qui c'è sotto qual­che cosa di nefando... Tu hai la faccia del vizio... Gli occhi della lussuria... Una donna, di' la ve­rità? Una donna?

Cimmino                       - (cadendo a sedere) Una donna.

Emilia                            - Subito a letto, Nini!

Cimmino                       - Bada che quella ha una lettera ad­dosso... Gliel'ha data quell'individuo... L'ho visto io...

Emilia                            - (ridendo amara) La morale, è vero? Tu parli di morale! Tu! E con quale diritto? Nini, dam­mi quella lettera e vattene a dormire, su, che tante sudicerie non puoi ascoltarle. Dammi quella lettera.

Nini                               - E cosa credi di trovarci? E' l'indirizzo di un maestro di ballo.

Emilia                            - Da' qui. (Nini dà il foglio alla madre, ed esce dalla sinistra. Emilia depone la lettera sul tavolo) Svergognato! A quell'età! Con una figlia si­gnorina! Ed hai anche la faccia tosta di guardarmi?

Cimmino                       - . E va bene... E va bene... Adesso è fatto... E' passato... Lo vedi? Sono tornato... Sono tornato qui...

Emilia                            - Fatto? Passato? E come ce la sbrighiamo, sino all'altro ventisette? Come facciamo, a vivere? Tu ci hai affamate!

Cimmino                       - Ho fatto sacrifizi enormi per tutta la vita.

Emilia                            - E che volevi fare? Questo è il tuo me­stiere! «Tu, uomo, lavorerai con gran sudore». Per ora, ci hai assassinate. Che cosa vuoi, che mettiamo un bel cappellino, io e tua figlia, e usciamo per aiutare la barca?

Cimmino                       - I soldi... Sì... Hai ragione... Bisogna far soldi... (Dopo un istante di silenzio) Ma dimmi: la gelosia in tutto questo non c'entra?

Emilia                            - (riordina il tappeto del tavolo che s'è spo­stato) Gelosia, gelosia... E' la miseria, altro che gelosia!

Cimmino                       - Dunque, per te è tutta una questione di danaro? Non si tratta che di soldi, è vero?

Emilia                            - E ti sembrano niente, i soldi?

Cimmino                       - Tutto il resto non ti fa senso? Non ti fa soffrire? Non ti fa rabbia?

Emilia                            - A me? E che me ne importa?

Cimmino                       - Ah, non te ne importa? Ebbene, sono stato con una donna. Adesso è finita, vedi, è finita per sempre, ma quella donna l'ho pensata per tutta la vita mia. L'ho sognata per tutta la vita, ogni ora, ogni momento, senza scordarmela mai. E' stata viva nel mio cuore per vent'anni! D'autunno passavano le rondini? E io pensavo a lei che era partita. Vedevo una rosa rossa, di primavera? E desideravo la sua bocca. Pareva che non pensassi a niente, è vero? Casa e ufficio... Ufficio e casa... E il cielo mi ricor­dava gli occhi suoi... E una canzone sentita così, per istrada, mi faceva tornare a vent'anni...

Emilia                            - Questo, hai fatto? Questo, hai fatto? (S'avanza minacciosa).

Cimmino                       - Sta ferma con le mani! Voglio par­lare, hai capito? Voglio parlare! Voglio gridare! Hai capito?

Emilia                            - Sta zitto, assassino!

Cimmino                       - Voglio parlare! Voglio gridare! Ho passato un'esistenza intera accanto a te che non mi hai nemmeno guardato... Hai saputo rammen­darmi le camicie, cucinare lo stufato, raggiungere il ventisette, ma non mi hai guardato mai! E voglio dirtelo, senti, voglio dirtelo! Ho recitato in un tea­tro vero, accanto ad una donna amata; ho' visto la gente in piedi che batteva le mani! Allora, allora ho compreso chi ero, e come avevo gettato la mia vita nella spazzatura! Ho subissato la mia vita; ho barattato la mia giovinezza con la tua economia do­mestica! Questo, è il delitto! Questo, è il crimine da cui nessun Dio potrà assolvermi mai, perché il nostro primo dovere è quello di essere felici! Io sono stato artista e non l'hai mai capito; io sono stato ardente e non l'hai mai saputo! Me ne sono accorto, oggi, che sono forte, che sono ardente, che sono un Dio! Io sono io! (Precipitandosi al  balcone) Gente! Gente! Io sono un Dio! Io sono un Dio! (Rientrando) Io sono forte... Io sono ardente... Io sono un Dio... (Cadendo a sedere sul diva­no) Io sono un miserabile... Sono un pover'uo­mo... Ieri ero giovane ancora, oggi sono un povero vecchio... (Singhiozzando, reclina la testa sul brac­cio del divano).

Ninì                               - (rientra dalla destra ed accarezza la testa a suo padre) Papà mio... Papà mio... (Cimmino la respinge e resta così, con un braccio penzoloni, con gli occhi fissi nel vuoto).

Emilia                            - E' forte... E' ardente... Ha gettato la vita nell'immondizia!... Ti sputerei in faccia!... Ti sei trascinato ai miei piedi per sposarmi... Me l'hai chiesto per carità... Il grand'uomo! Mi fece un gran­de onore! Figlia di segretario capo! Educata a] « Sa­cro Cuore»! Diplomata maestra!... Gli ho trovato gli errori di ortografia, nelle lettere, quando eravamo fidanzati!... Senti, vattene! Vattene! Hai capito, sver­gognato? Vattene!

Ninì                               - E dove va, questo pover'uomo?

Emilia                            - Dalla sua amante! Dove ha fatto l'estate, faccia l'inverno!

Nini                               - (chinandosi sul padre con una folle paura nella voce) Mammà, quello non si muove!... Papà... Papà... Non si muove!... (Gli afferra il brac­cio sinistro che ricade penzoloni) Mammà! Mammà! Non si muove più!

Emilia                            - (avvicinandosi, allarmata) Che c'è? (A Nini) Non aver paura!... (A Cimmino) Che diavolo ti piglia? (Madre e figlia restano in ascolto. D'un tratto s'ode Cimmino russare).

Nini                               - (quasi delusa) Uh... S'è addormentato...

Emilia                            - E si capisce! Sono le cinque! E' andato sempre a letto alle nove di sera!... Mascalzone... (Va intorno riordinando la camera) L'amore... Le ron­dini... Le rose, rosse... E a me, per farmi rimet­tere questi tre denti qui davanti c'è voluta la mano di Dio! Farabutto cialtrone!... A quell'e­tà!... (Esce e rientra dalla destra con un picco­lo « plaid » che getta sulle spalle di Alberto) Gli ho fatto da governante per vent'anni... An­diamo a letto, Nini... Vieni, su... (Spegne la luce. Via entrambe a destra). (Buio sulla scena e in sala per alcuni secondi, fon­tano, smorzato, s'ode «Sogno d'amore». Fischi di treno. Poi, tutta luce. Giorno chiaro. Dal balcone che ha le imposte aperte, entra un raggio di sole. Il canarino canta. Cimmino dorme ancora: s'ode il suo respiro pesante; poi il suono dell'orologio a sveglia dall'altra cantera. Alberto si desta, si leva a sedere sul divano, si guarda intorno, dice: «La sveglia... Avevo caricato la sveglia ». Porta la mano al labbro superiore, ricorda, si alza lentamente).

Emilia                            - (entra dalla destra, in vestaglia, col maci­nino; siede, mastica un chicco di caffè) Ho la bocca amara come il veleno... (Continua a macinare).

Cimmino                       - (guarda il canarino, estrae dalla gabbia la piccola mangiatoia) Il miglio, dove sta?

Emilia                            - Che cosa?

Cimmino                       - Il miglio per il canarino!

Emilia                            - Lassù! Sull'armadietto! (Cimmino sale su una sedia e prende un pacchetto) Che fai, ades­so? Guardate là! E' ancora stordito!... Hai preso il veleno dei topi! L'altro pacchetto, devi prendere! (Cimmino, che è sceso dalla sedia, vi risale dopo aver messo il pacchetto del veleno sul tavolo. Pren­de il miglio e comincia a versarlo nella mangiatoia della gabbia) Oggi forse ce la caveremo. E domani? (Conta il poco danaro che è rimasto sul tavolo, nella busta) Guardate qui, guardate... Siamo rovinati... Per un colpo di testa imbecille... (Si volge a guar­dare il marito) Anche i baffi, ci ha rimesso... Per­ché sei tornato?

Cimmino                       - Mi è mancato il coraggio... E poi... E poi... non dovevo andarci... Ho trovato una ro­vina... Ho trovato un rottame...

Emilia                            - Adesso la rinneghi, eh? Adesso la di­sprezzi... Sei tornato all'ovile, e vuoi riaccomodarti la vita alla men peggio... Bel vigliaccone... (Cimmi­no soffia sulla mangiatoia).

Cimmino                       - (voltandosi, debolmente) No, no... Tu non hai capito... Sono io, che non ho avuto il co­raggio di restare, di abbandonarvi...

Emilia                            - E come? Dici che sei forte!... Dici che sei così forte!...

Cimmino                       - Sono un pover'uomo... (Il canarino canta) Sono un povero vecchio... E non se ne parli più... Te lo chiedo per carità... Non ne parliamo più.

Emilia                            - Come potrai viverci, qui, nella tua casa, con una figlia signorina, dopo quello che hai fatto stanotte? Guardati nello specchio: hai la faccia de­vastata dall'orgia...

Cimmino                       - (rimettendo la mangiatoia- nella gabbia) Non c'è stato nulla.

Emilia                            - Come, nulla?

Cimmino                       - Nulla.

Emilia                            - E che ci sei andato a fare?

Cimmino                       - A recitare «Gran mondo».

Emilia                            - Non è vero.

Cimmino                       - (con forza, amaramente, avvicinandosi alla moglie) Emilia, niente!

Emilia                            - (scattando in piedi) E tu hai speso cinquantamila lire così, per niente? Ma guardate che imbecille! Ne avesse almeno ricavato un'espe­rienza!

Cimmino                       - (ridendo) Ti dispiace, è vero? (Si toglie la giacca).

Emilia                            - Quei saltimbanchi ti hanno guardato in faccia e l'hanno capito, che sei una bestia!... (Cimmino esce dalla sinistra) E adesso, come si fa?

Cimmino                       - (dall'interno) Il quinto dello stipendio.

Emilia                            - E si potranno avere subito, questi soldi? Si potranno avere oggi, domani?

Cimmino                       - E chi lo sa? Giordano aspettò un mese.

Emilia                            - Un mese? Sei pazzo? Qui bisogna prov­vedere oggi stesso... Noi non abbiamo da mangia­re... Senti, fa così: chiedili a Cinque...

Cimmino                       - (rientrando in maniche di camicia ed asciugandosi le mani) Ah, no! Quello no! Nes­suna dimestichezza, con quell'individuo! Quello non recede di fronte a nulla! Sarebbe capace di insidiare mia figlia! (A bassa voce guardando verso la porta di destra) Di portarsela in una casa di appuntamenti! Anzi, ti dico, eh? Non voglio che rimetta mai più il piede in questa casa! Hai capito?

Emilia                            - Non cominciamo a dare ordini! Non c'è proprio di che! E non esageriamo! Insidia... Insidia... Parole grosse! Si tengono gli occhi aperti e basta. Comunque sia, Cinque è ricco. Cinquan­tamila lire oggi non sono nulla. Gliele restituisci a duemila al mese... (Si odono dall'interno degli arpeggi di pianoforte).

Cimmino                       - (debolmente) No... No...

Emilia                            - Andiamo!... Quanti scrupoli!... Un fa­vore a un amico tutti possono farlo!.,. Duemila lire al mese... In venticinque mesi va via il debito...

Cimmino                       - (deponendo l’asciugamani su una sedia) Ventiquattrore, venticinque mesi...

Emilia                            - E' quello, il posto dell'asciugamani? Vallo a portare subito in camera da bagno! (Cim­mino prende l'asciugamani ed esce per la comune. Emilia raccoglie il danaro ed esce per la sinistra. Sul pianoforte dirimpetto, le mani un po' incerte negli arpeggi cominciano a suonare « Sogno d'a­more »).

Cimmino                       - (rientra. Vede sul tavolo il pacchetto del veleno) Il veleno pei topi... (Vede la lettera di Cinque che Emilia ha lasciato sul tavolo; esita un poco, la legge) Via Speranzella, dodici... Madon­na! Con lo spione... Col mio nemico... Tutto è finito, tutto... (Prende il pacchetto) Il veleno pei topi... Un po' di coraggio... (Con decisione improv­visa, prende un po' di arsenico dal pacchetto, esita un istante, porge qualche grano del tossico al ca­narino) Anche tu... Anche tu... No! Che fai? L'hai beccato!... E adesso a me... Maledico Cinque, il cavaliere, il commendatore... (Due o tre volte fa per portare il veleno alla bocca)... Maledico mia moglie... (Rientra Emilia seguita da Nini).

Emilia                            - Che fai?

Cimmino                       - (mostrando la lettera con mano tremante) Via Speranzella dodici... Che cos'è? (Guarda smarrito la moglie e la figlia).

Emilia                            - Sta tranquillo, sta tranquillo... E' l'in­dirizzo del maestro di ballo...

Cimmino                       - (con un grande sospiro di sollievo, ap­poggiandosi al tavolo) Ah! Meno male... Avevo pensato che.,. (Comincia ad annodarsi la cravatta).

Nini                               - Gli preparo la colazione?

Emilia                            - C'è quella di ieri! Vuoi gettarla via? Si porta quella! (Prende il macinino sul tavolo e comincia a macinare il caffè).

Nini                               - Va bene. (Vede la gabbietta sul tavolo e l'osserva incuriosita) Mammà!

Emilia                            - Che c'è? (Nini introduce la mano nella gabbia e ne trae il canarino morto).

Nini                               - Mammà, guarda! (E le mostra l'uccel­lino stecchito).

Emilia                            - Uh!

Nini                               - E che ne faccio, adesso? (Cimmino s'in­fila la giacca).

Emilia                            - Cosa vuoi farne? E' morto... E lascia, lascia! Ti scuote, ti fa male ai nervi! (A Cimmino) Tu, buttalo nella spazzatura. (Si rimette a ma­cinare il caffè. Cimmino prende il canarino per la punta dell'ala, col pollice e l'indice, ed esce per la comune. Nini s'è rimessa a riassettare. Cimmino rientra e prende l'ombrello, il pacchetto della co­lazione, il cappello. E) all'esterno, la romanza con­tinua).

Emilia                            - (senza voltarsi) Oggi è sabato. Riso in brodo. E non muoverti dall'ufficio fino a che non saremo venute noi! (Cimmino esce Nini spazza, ed Emilia continua a macinare il caffè).

FINE