Veronica e Margherita

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VERONICA

E

MARGHERITA

    Veronica

    Margherita

    Verny

    Margie

    Lionel

    Giampi

    Albert

    Pietro

    Giardiniere

Lionel – Giampi – Albert – Pietro, sono interpretati da un unico attore.

In un giardino pubblico

PRIMO ATTO

La scena rappresenta un giardino pubblico ed è divisa in due parti. Nella parte di sinistra, un poco rialzata, c’è la panchina su cui siedono Veronica e Margherita, ombreggiata da qualche ramo d’albero. La parte destra è un prato circondato da alberi e cespugli, con una o più panchine.

Veronica e Margherita sono due anziane donne, amiche da sempre, che tutti i giorni s’incontrano e ricordano i tempi della loro gioventù. I ricordi si materializzano sul prato, dove Verny e Margie le impersonano nelle loro sembianze giovanili.

Quello che avviene sul prato è quanto accaduto una quarantina d’anni prima.

I personaggi maschili sono interpretati da un solo attore che rappresenta l’ideale mascolino per le due donne.

Il Giardiniere è colui che raccorda il tutto.

GIARDINIERE. Entra nella zona prato, ha la scopa, la cappa grigia ed un berretto con visiera che lo qualifica come pubblico ufficiale addetto ala pulizia dei giardini pubblici. Dialoga con il pubblico.

     La scena è completamente buia. Uno spot lo segue.

     Vita dura! Cari signori, non ce la faccio più. Dice: cosa vuoi che sia tenere pulito un giardino pubblico. D’accordo, ci sono mestieri più faticosi. In fondo, una scopa non è molto pesante… ma, avete mai provato a trascinarvela dietro per tutta una giornata? Provate!... Un giorno di questi, invece che con una scopa mi vedrete arrivare con un bel cartello, con scritto sopra… ci scriverò… cosa ci posso scrivere?... ci vuole una frase di quelle che fanno effetto… come si vedono nei cortei, quelli che fanno i sindacati… Sciopero! Ecco, un bello sciopero ci vuole!... Ma forse uno sciopero… basta una protesta: agitazione! Stato di agitazione! Sono in stato di agitazione! Per quanto… non è colpa del sindaco se la gente getta fogli e altra robaccia per terra.

     Una volta, il massimo del vandalismo era rappresentato da quelle incisioni sulla corteccia degli alberi: due cuori trafitti da una freccia e, sotto, due nomi, che so… Rosina e Mariolino, oppure Lauretta e Ademaro… se ne trovavano di belle, opere d’arte… quasi. Incisione profonda, linee perfette… mano sicura, con solchi più o meno profondi per creare effetti d’ombreggiatura. Oggi non le fanno più. (Si rivolge ad una ipotetica signora in platea). Come dice, signora?... Ha ragione, ci voleva troppo tempo… Proprio così, oggigiorno anche l’amore è diventato un bene di consumo: usa e getta. Brava! Gli innamorati non vanno più, mano nella mano, in un giardino pubblico… meglio un’automobile, una motocicletta… e via… chissà dove. E poi, se uno volesse adeguarsi ai tempi, invece di cuori… mi sa dire cosa dovrebbe trafiggere? È così che si perdono le tradizioni.

     Però questo è un lavoro interessante, s’incontrano tipi diversi di persone e tutte hanno i loro problemi; alle volte addirittura li esibiscono, altre s’indovinano, qualcuno ne sembra geloso, cerca di nasconderli come fossero segreti di stato. Ci sono pensionati con il cane che vengono qua a leggere il giornale… non il cane, il pensionato; i cani non sanno leggere… per ora. Ci sono mamme che, con la scusa di lasciar giocare i bambini si raggruppano e parlano per ore e ore e alla fine se ne vanno felici, contente di avere detto male di mezza città! Naturalmente hanno ragione loro! Eh, cara signora, sapesse quante se ne vedono. Ci vorrebbe uno di quegli scienziati… come li chiamano: quei cervelloni che studiano il cervello della gente… psicologhi! Ho detto bene? Tanto, avete capito.

     Ci sono due signore, piuttosto anziane che siedono proprio là, su quella panchina

(luce molto tenue sulla panchina, Margherita è seduta)

     stanno sedute per ore, parlano parlano ma non sono mai riuscito a sentire cosa si dicono… No, signora, non sono curioso ma, lei capisce, tutti i giorni, sempre su quella panchina… cosa avranno mai da dirsi (indica la panchina) Una è già arrivata, l’altra dovrebbe stare poco.

     Altra cosa che non mi convince son certi ragazzi che si ritrovano qui, su questo prato, sono strani, ci sono vari ragazzi e due ragazze, giovani, carine ma nell’abbigliamento, nel modo di fare, mi ricordano i ragazzi di parecchi anni fa. Sarà una mia impressione ma c’è qualcosa di strano che non riesco a capire. Fateci caso anche voi, osservate e se riuscite a scoprire qualcosa, me lo venite a dire… io sono qui dietro, in camerino, non mi muovo. Vi aspetto. A dopo. (Esce)

Via lo spot.

Luce piena sulla zona panchina.

MARGHERITA. Seduta sulla panchina, sta facendo una sciarpa di lana con i ferri da calza. È una donna piuttosto esile, anziana, mai sposata, trascorre buona parte della sua giornata seduta su quella panchina nell' attesa di qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere. Anima candida ma inacidita da una vita di solitudine.

     Distoglie lo sguardo dai ferri, si toglie gli occhiali, stende il pezzo di sciarpa per valutare il lavoro fatto e calcolare quanto rimane da fare. Ne è soddisfatta, rimette gli occhiali, dispone i ferri sotto le ascelle e ricomincia a sferruzzare. Pochi attimi  poi si ferma, toglie gli occhiali, sguardo davanti a sé, nel vuoto, forse insegue un ricordo. Un sorriso le si stampa sulle labbra, lentamente si trasforma in una smorfia amara, abbassa lo sguardo, sospira, rimette gli occhiali, riprende il lavoro.

     Entra Veronica, coetanea di Margherita. Al contrario di lei, è abbastanza corpulenta e, soprattutto ha un carattere deciso e autoritario che le deriva dal fatto di avere avuto un marito che per diversi anni ha potuto omaggiare delle più raffinate sevizie che, con l’affetto e la sollecitudine verso l’amato coniuge, possano trovare posto dentro un perfetto matrimonio. Ha la borsa della spesa, che lascia intravedere un carciofo o un pacco di pasta insomma tutto quanto basta all’alimentazione di una persona sola.

VERONICA. Buongiorno, signora Margherita. Sempre al lavoro. Eh?

MARGHERITA. Oh, buongiorno, signora Veronica. Sì, cerco di portare a termine questa sciarpa. Che vuole: l’ho cominciata…

VERONICA. Brava. Quando si comincia qualcosa, bisogna portarla a buon fine (scettica, guardando la sciarpa) o perlomeno provarci. E, se non sono indiscreta, per chi dovrebbe essere? Non per lei, suppongo, non mi sembra un colore adatto ad una signora.

MARGHERITA. Vedrò, vedrò. Qualcuno troverò… forse a Natale… potrei farne un regalo.

VERONICA. C’è ancora tempo a Natale… ma se continua di questo passo, l’avrà pronta per Pasqua. Ha in mente qualcuno?

MARGHERITA. Ma… non saprei… forse quel mio nipote…

VERONICA. Ha un nipote?

VERONICA. Non è proprio un nipote. Siamo sempre stati molto legati… affezionati.

VERONICA. Davvero? Non l’avrei mai ritenuta capace di provare… affetto. Mi dica, mi dica: come andò a finire? Di chi si tratta?

MARGHERITA. Non lavori di fantasia, signora Veronica. Abitavano vicino a casa mia: la famiglia Marsili. Andavo spesso a trovarli… Il figlio più grande, Luciano.

VERONICA. Ah, sì, ricordo… Marsili… era maresciallo dell’esercito… fu trasferito… dove fu trasferito? Ma successe tanti anni fa! Il figlio maggiore, ha detto? Ma era ancora un ragazzino!

MARGHERITA. Mi chiamava zia.

VERONICA. Ma lei non era più una ragazzina! Era già donna… quasi matura direi… anche se sono passati diversi anni…

MARGHERITA. Io non ho parlato di età.

VERONICA. Certo. Scusi se ho dato l’impressione di… calcolare. Sa com’è, ci hanno abituate a calcolare tutto: dal conto della spesa con i punti premio che siamo riusciti a raccogliere, al gas, la luce; le bollette, cara signora, sono sempre più salate! E così, quando si parla del tempo passato, viene naturale considerare… il presente… fare il confronto… dedurre. Forse, sì, sarebbe stato possibile. Chi l’avrebbe mai detto! La signora Margherita…

MARGHERITA. Sa benissimo che non sono sposata. Stato civile: nubile. Quindi. Signorina.

VERONICA. Mi scusi di nuovo. A volte, nella foga del discorso non si riflette. Considerando l’età…

MARGHERITA. L’età, l’età. Si hanno gli anni che si dimostrano.

VERONICA. Appunto!

MARGHERITA. Gli anni che ci sentiamo addosso. È importante essere giovani… dentro.

VERONICA. E lei lo è, signora Margherita. Cioè: signorina. Si vede che lei è giovane… molto giovane. Da tanto tempo!

MARGHERITA. La gioventù è una sola, e può durare tutta la vita!

VERONICA. Ha ragione. Anche per… quanti anni? (Farfuglia una parola che finisce in “anta” che deve sembrare settanta) … anta?

MARGHERITA. All’incirca. (Riprende a sferruzzare).

VERONICA. Ho capito: trattabili. (Pausa). Starà bene un colore così scuro a quel suo nipote? Che tipo è? Sportivo, robusto, mingherlino? Biondo, moro?

MARGHERITA. Non lo so. Non l’ho più visto.

VERONICA. Vi scrivete, vi telefonate?

MARGHERITA. Mi mandò gli auguri di Natale un paio di volte. Cartoncini colorati, con i lustrini. Li conservo ancora.

VERONICA. E poi più nulla? Quindi non sa niente di lui. Se è sposato, se ha figli, nipoti…

MARGHERITA. Nipoti… no, non credo.

VERONICA. Beh, l’età ci sarebbe

MARGHERITA. (Per cambiare argomento). Ha fatto acquisti? Che ha trovato di bello?

VERONICA. Oh, poche cose. Sono sola, mi basta talmente poco… Da quando è morta la Buonanima di mio marito, non lo crederà, mi manca l’appetito, non ho fame. Eh… sono disgrazie che non le auguro di provare.

MARGHERITA. Ringraziando il Cielo, l’appetito non mi manca! Certe disgrazie, per ora sono lontane.

VERONICA. Ma io volevo dire… beh, lasciamo perdere.

MARGHERITA. Cosa ha intenzione di mangiare, oggi?

VERONICA. Poche cose, il necessario per sopravvivere: tre carciofi, che friggerò. Mi piacerebbe mangiarli in pinzimonio, olio sale e pepe ma intrattengo rapporti piuttosto difficili con il mio dentista… bisogna rassegnarsi. Ho preso anche un mezzo pollo arrosto con patatine, già cotto (Margherita mima: esagerazione) Ma è piccolo, un polletto… poco più di un pulcino.

MARGHERITA. Fanno anche i pulcini arrosto?

VERONICA. Ma che pulcino! È un pollo… non molto grosso. Capisce: i carciofi per contorno… qualcosa nel mezzo ci vuole! Ho preso un mezzo chilo di pomodori per fare la salsa della pastasciutta; ne mangio talmente poca… Ah, ho comprato una bella fetta di torta al cioccolato: quella mi piace, si può dire che la fanno apposta per me. È una mia debolezza… che vuole: siamo esseri umani.

MARGHERITA. Certo. Alle disgrazie bisogna sopravvivere.

VERONICA. Ha ragione. Vede che ogni tanto ci troviamo d’accordo?

MARGHERITA. È  proprio vero: le disgrazie uniscono!

VERONICA. Parole sante. Quali disgrazie?... Mio marito (sospira) l’avevo viziato. Certi piatti gli preparavo… se mi impegno, sono brava in cucina. Come si dice: l’uomo va preso per la gola.

MARGHERITA. Anche per la collottola!

VERONICA. Come sarebbe a dire?

MARGHERITA. La nuca! Una mano sul retro del collo, pollice e indice a tenaglia per fargli abbassare la testa e obbligarlo a dire sempre sì, qualunque capriccio gli si voglia imporre.

VERONICA. Se lo dice lei…

MARGHERITA. Lo dico perché lei me lo ha insegnato.

VERONICA. Io? Signora Margherita, cioè signorina, non credo di averle mai insegnato niente… salvo un po’ di buona educazione!

MARGHERITA. Finge di non ricordare?

VERONICA. Cosa dovrei ricordare? Me lo ricordi lei, io non ricordo più… certi ricordi… che non si ricordano. (Ride compiaciuta). Carino. Se mi ci metto, sa quante ne trovo?

MARGHERITA. Non si preoccupi, le rinfrescherò la memoria. È facile, basta sfogliare nell’album delle cose passate… per esempio: Lionello.

VERONICA. Lionello?... Lionello… Chi è?... Ah, sì, ora ricordo. Lionello, che chiamavamo Lionel (pronuncia inglese: Làionel). Era un periodo che si americanizzavano i nomi.

MARGHERITA. Già. Io, Margherita, ero diventata Margie.

VERONICA. Ed io, Veronica, ero Verny… un nome che prometteva una certa sensualità. Non era affatto vero… ma lo lasciavo credere. Un certo alone di mistero non guasta.

MARGHERITA. Vuol vedere come trattò quel povero Lionel? Guardi.

Buio sulla panchina.

Luce sul prato.

Margie e Verny sono sul prato. Conversazione avviata. Ridono.

VERNY. Cara Margie, sei proprio impagabile! Questa tua relazione con quel ragazzo… come si chiama… mi ha divertito assai.

MARGIE. Lionel, si chiama. Cioè, si chiamerebbe Lionello ma i suoi amici lo chiamano tutti Lionel. I suoi commilitoni, si dice così? Fa il servizio militare.

VERNY. Militare di leva?

MARGIE. No. Non proprio. Mi ha spiegato ma, se devo essere sincera non ci ho capito molto, sono ambienti che non conosco affatto.

VERNY. È militare di carriera? Non mi sembra un ufficiale… o, quanto meno allievo ufficiale.

MARGIE. È caporale.

VERNY. Potrà diventare sergente. Non mi sembra un buon partito.

MARGIE. Chi ha parlato di matrimonio? Ci mancherebbe altro! Vedi, Verny, non è nelle mie intenzioni.

VERNY. Scusa se mi permetto, non voglio impicciarmi in cose che non mi riguardano ma, tu capisci, mi sembrava che ci fosse… del tenero… Sbaglio?

MARGIE. È in licenza, licenza di convalescenza, si è scoperta qualche malattia ed ora ha questa licenza piuttosto lunga.

VERNY. E lui ne approfitta… per mettere a segno qualche colpo!

MARGIE. Non è esattamente così. Però, mi si è appiccicato addosso e parla, parla, insiste, dice che prima di tornare in caserma… vorrebbe arrivare…

VERNY. Arrivare dove?

MARGIE. Non so… a una conclusione.

VERNY. Quale conclusione?

MARGIE. Che vuoi che ti dica. Forse, un fidanzamento.

VERNY. Eh, già: fra poco lui parte… la fidanzata resta… magari con qualche peso…

MARGIE. Pesi sulla coscienza non me ne sento proprio.

VERNY. Non alludevo precisamente ad un peso spirituale ma… a qualcosa di più concreto: un peso corporale. Ma non è nulla, dopo nove mesi è tutto passato.

MARGIE. Verny! Che stai dicendo? Come puoi credere che io… soprattutto con un tipo come quello!

VERNY. L’amore è cieco.

MARGIE. Fortunatamente io ci vedo bene!

VERNY. Meglio così. Sono contenta di sentirtelo dire. La mia era un’ipotesi forse sbagliata ma, tu mi capisci, conoscendo il tipo…

MARGIE. Quei tipi lì, con me non attaccano. Va bene scambiare due parole, per educazione ma quando uno vuole essere troppo autoritario, finisce ogni simpatia.

VERNY. Brava! Perfetto! Non bisogna mai concedere troppo agli uomini: gli dai un dito e loro si prendono… lasciamo perdere.

MARGIE. In fondo è un buon ragazzo ma, forse la vita militare lo ha reso, come dire, refrattario alle dolcezze, alle gentilezze che un uomo deve dimostrare… al gentil sesso.

VERNY. Ma che gentile! Non esiste un sesso gentile e un sesso… maleducato! Ovvero: il sesso debole può essere un’arma per imporsi e rendere… debole quello che invece è considerato il sesso forte.

MARGIE. Ragionamento che non fa una piega. Ma, secondo me, la battaglia dei sessi non deve essere considerata solo come lotta per il potere, per il predominio. Quando ci si vuole bene, non ci deve essere un comandante ed un sottoposto, ci devono essere solo due persone che… si vogliono bene: tutto qui.

VERNY. Mi piacerebbe dirgliene quattro, a questo tuo spasimante.

MARGIE. Non bisogna pensare troppo male di lui. È abituato alla vita di caserma, dove un caporale ha un suo mondo. Non sarà un generale ma, nel suo piccolo ha uno spazio dove comandare ed essere obbedito. La disciplina militare comincia dai caporali. Guarda, sono convinta che la sua è una deformazione professionale.

VERNY. Ma quale deformazione! Vorrei averlo fra le mani, per poco. Lo deformerei io! Ma è il tuo ragazzo e non voglio interferire.

MARGIE. Beh, ora non esageriamo: non è un mostro. Non ha un carattere molto facile ma, te lo ripeto, è la vita di caserma che lo ha reso così.

VERNY. Sì sì, vedo che ti ha convinta. È il tuo ragazzo, affari tuoi.

MARGIE. Ma quale ragazzo! Non c’è proprio niente tra noi! Mi ha corteggiata, l’ho ascoltato, va bene. Ma non ho nessuna intenzione di farne il mio ragazzo… o qualcosa di più.

VERNY. Una lezione, però gli andrebbe data.

MARGIE. Poveretto, ha molte cose da imparare, d’accordo, ma lasciamo che se la sbrighi da solo.

VERNY. Probabilmente si è avvicinato a te perché ha visto il terreno… coltivabile, per far crescere qualche piantina… da cogliere, seccare e gettare via.

MARGIE. Non sapevo di questa tua vocazione per le scienze agrarie.

VERNY. Non c’è bisogno di essere dottori. Certe cose si colgono al volo.

MARGIE. Appunto: vocazione, è la parola.

VERNY. Se questo tuo… caporale… A proposito: sarà almeno caporal maggiore!

MARGIE. Non lo so… Non credo.

VERNY. (Smorfia di disgusto). Militare di bassa forza… Dicevo: se fosse venuto da me, invece che da te, avrei voluto divertirmici un po’.

MARGIE. Verny! Cosa dici!

VERNY. Cos’hai capito? Divertirmi, non in quel senso lì! Me lo sarei lavorato e lo avrei ridotto a più miti consigli.

MARGIE. Ah!... Non è mai troppo tardi. Praticamente è libero, sto per dirgli in maniera definitiva, che non ho più intenzione di vedermi con lui.

VERNY. Quando?

MARGIE. Ora, fra pochi minuti. Dobbiamo incontrarci qui, anzi l’ora è già passata, è in ritardo.

VERNY. Nemmeno la puntualità!

MARGIE. (Guarda fuori quinta). Sta arrivando. Si è fermato all’edicola del fioraio.

VERNY. Vorrà farti un omaggio floreale: un ramo di rosa. Senza la rosa, solo le spine.

MARGIE. Sei di un umorismo, quasi nero.

VERNY. Ti lascio. Non voglio assistere a scene strazianti. Gli addii mi commuovono. (Esce)

Margie siede sulla panchina, nel prato. Breve pausa, entra Lionel.

LIONEL. Ciao Margie, mi aspettavi? Sono in ritardo?

MARGIE. Solo pochi minuti.

LIONEL. (Siede accanto a Margie). Mi ero fermato un momento al chiosco dei fiori.

MARGIE. Hai comprato qualcosa?

LIONEL. Io? No. Non ci sono per queste cose, non saprei da dove cominciare.

MARGIE. Ti sei limitato a guardare i fiori… sentirne il profumo. È una rivelazione, non ti facevo di gusti così gentili.

LIONEL. Io? Ci deve essere uno sbaglio. I fiori non mi piacciono, non li conosco, non saprei distinguere un giglio da un’ortica.

MARGIE. Appunto.

LIONEL. Mi sono trattenuto a parlare… giusto un minuto.

MARGIE. Con il fioraio?

LIONEL. No.

MARGIE. Scusa, fammi capire. Sei stato un pezzo lì davanti al chiosco, hai fatto conversazione ovviamente con il venditore di fiori, non c’era nessun altro.

LIONEL. Come fai a saperlo?

MARGIE. Di qui si vede bene,

LIONEL. Mi stavi spiando? Carina, la piccola Margie! Fa anche la spia!

MARGIE. Ma quale spia? Basta affacciarsi, casualmente, si vede benissimo, è qui davanti.

LIONEL. E allora ti dico che nemmeno la spia sai fare! Perché io, non parlavo con il venditore.

MARGIE. Ah, no? Non che la cosa m’interessi più di tanto… Parlavi da solo?

LIONEL. Parlavo con una donna, se proprio lo vuoi sapere! Si dà il caso che l’uomo del chiosco abbia una figlia. Spesso, la figlia, sostituisce il padre. È carina, una ragazza allegra, sempre sorridente…

MARGIE. I clienti vanno accolti con un bel sorriso: da orecchio a orecchio. Deformazione professionale.

LIONEL. Dunque sei gelosa? Oh, poverina, quanto mi dispiace. La gelosia è una brutta malattia. Ed è anche difficile guarirne.

MARGIE. (Con ironia). Una vera sciagura.

LIONEL. Farai bene ad abituarti. (La stringe a se). I militari, sai com’è, oggi sono qui, domani là… Non saranno proprio come i marinai che hanno una donna in ogni porto ma… anche loro hanno le proprie necessità… logistiche, da sistemare.

MARGIE. I loro piani di guerra! Le manovre di accerchiamento. (Si scioglie dall’abbraccio che si faceva sempre più stretto. Si alza). Ascolta. Io non sono gelosa. Sai perché? Per essere gelosi bisogna avere qualcuno che ci interessa, ci deve essere un patto, una promessa, un impegno.

LIONEL. (Poco convinto). Io ti voglio bene.

MARGIE. Grazie, mi fa piacere ma io non te ne voglio.

LIONEL. Se è per Mariuccia, la fioraia, ti posso giurare…

MARGIE. No, non giurare. Mariuccia non merita un giuramento, e poi sai benissimo di non poter mantenere certi impegni. Non te ne faccio una colpa, è il tuo carattere… che io non accetto. Tutto qui.

LIONEL. Non vorrai dire che fra noi… è finito tutto?

MARGIE. Non saprei dire quando sia cominciato.

LIONEL. Senti, ragazzina! Non mi piace essere trattato così!

MARGIE. Ah, no? E come devo dirtelo? Piangendo? Trascinandomi ai tuoi piedi?... Ti piace il melodramma… Santuzza e Turiddu…

LIONEL. Non puoi trattarmi in questa maniera!

MARGIE. Quale maniera? Non mi pare di averti offeso, né di aver fatto qualcosa di sconveniente. Devi sapere che c’è un termine legale che definisce certe situazioni: incompatibilità!

LIONEL. (Superiore). Ah, beh, se la prendi su questi tono… Sai quante ne trovo… senza termini legali!

Verny entra. È chiaro che ha orecchiato e fatto capolino. Sa tutto.

VERNY. Ciao Margie, sei ancora qui? (A Lionel). Salve. Tu devi essere Lionel. Margie mi ha parlato molto di te. Me ne ha parlato bene, molto bene.

LIONEL. Tu devi essere Verny. Margie mi ha parlato di te. Siete molto amiche.

VERNY. Scusate, forse disturbo… non vorrei essere di troppo.

MARGIE. Non disturbi affatto. Stavo andandomene. Ci vediamo Verny. Addio Lionel. (Esce).

LIONEL. (Breve pausa). Beh, anch’io dovrei andare… ho un impegno…

VERNY. C’è burrasca? La cara Margie mi sembrava, come dire, sostenuta.

LIONEL. Affari suoi! M’importa assai!

VERNY. Ah, ma allora è proprio così. Le cose non vanno tanto bene tra di voi, vero?

LIONEL. No, no… vanno… come vanno. (Risoluto). E se anche fosse?

VERNY. Scusa, non pensare che voglia metter bocca nelle vostre faccende private! Il Cielo me ne guardi. Devi capire che io e Margie siamo molto amiche e, anche se lei è parecchio riservata, qualcosa… si intuisce.

LIONEL. Dica quello che vuole di me! Che m’importa?

VERNY. Bravo! Hai ragione! Un uomo deve essere superiore a certe cose… certi pettegolezzi. Intendiamoci: io non so niente… e se anche riuscissi a indovinare qualcosa… la mia bocca è cucita. Stai tranquillo.

LIONEL. Ti ringrazio ma io non ho nulla da nascondere. Ora devo proprio andare, piacere di averti conosciuta.

VERNY. Aspetta! Resta ancora un minuto. È chiaro che subito dopo una separazione… più o meno brusca… uno rimane un po’ scioccato… ma non bisogna lasciarsi andare, la vita continua. Non c’è solo Margie nel mondo.

LIONEL. Donne? Sai quante ne trovo? Così! (schiocca le dita).

VERNY. Bravo! Tu sei un tipo… determinato, intraprendente, hai un certo piglio autoritario che non guasta; la donna, checché se ne dica, ha bisogno di sentirsi dominata…

LIONEL. Come la donna delle caverne, che il suo uomo la trascinava per i capelli!

VERNY. Come si vede nelle vignette. Bello il paragone… anche se oggi non esistono capelli così resistenti e uomini così vigorosi. La donna vuole sentirsi protetta dal suo uomo. Anche la donna che lavora, che guadagna soldi, che guida l’automobile, la donna politica, la donna a capo di un’industria… quella donna, quando rientra nel suo nido è sempre la piccola rondine che mete il suo capino sotto l’ala del suo rondone.

LIONEL. Bello. Potresti ripetere? Sai, io non ho mai studiato la botanica.

VERNY. Botanica?

LIONEL. Sì, quella storia della rondine… e del rondone.

VERNY. È naturale: dove ci sono tanti muscoli, la cultura… È statisticamente provato che, dato il valore dell’uomo uguale a cento, se si alza una delle sue componenti, diciamo fino a settanta, l’altra non può superare i trenta.

LIONEL. Non capisco.

VERNY. Non importa: statistiche.

LIONEL. Non ci ho mai capito niente.

VERNY. Non è grave. Nessuno ci ha mai capito niente.

LIONEL. Io, avevo un impegno…

VERNY. Una donna? Non perdi tempo. Ne hai appena scaricata una…

LIONEL. Sì… beh, effettivamente… (deciso). L’ho piantata! Mi dispiace per te, è tua a mica, ma non potevo più sopportarla! Una ragazza che pretende di dire a me quello che devo o non devo fare! Mi spiava. L’ho scoperta che mi controllava. Ed era gelosa!... Si vada a trovare un omino buono a nulla, piccolino, brutto, che non sappia fare nemmeno una capriola! Certe donne, io non le voglio avere d’intorno! E insisteva. Insisteva per restare con me. Ma l’ha capita, gliel’ho fatta capire!

VERNY. Ti sei comportato da uomo.

LIONEL. Dici? Ho fatto bene?

VERNY. Benissimo. Un vero uomo non si lascia mai sottomettere. Anche se ci fosse un’altra donna, un uomo… vero, deve essere perdonato. La sua ragazza ne soffrirà ma… pazienza, sono sacrifici che fortificano l’amore.

LIONEL. Per la miseria! Hai ragione! Come in caserma: quando punisci un soldato, lo fai per dargli un insegnamento, perché impari la disciplina. Giusto?

VERNY. Più o meno. Ma lasciamo stare la caserma e i soldati indisciplinati. Stiamo parlando di donne.

LIONEL. Era gelosa!

VERNY. Mariuccia, la fioraia?

LIONEL. Come fai a saperlo?

VERNY. Le voci corrono. Comunque fai bene a tenere sempre una ragazza di scorta. Non si sa mai cosa può succedere.

LIONEL. Mariuccia non è la mia ragazza. È già fidanzata.

VERNY. Allora, non hai una ragazza al momento?

LIONEL. Dovrò mettermi alla ricerca… prima che finisca la licenza.

VERNY. Un’avventura, eh? Da mollare al momento giusto.

LIONEL. Mi piace la mia libertà.

VERNY. Bravo, fai bene! Dovrai sbrigarti però: la licenza non può durare a lungo.

LIONEL. Che ci vuole? Ho l’impressione che non dovrei cercare molto lontano.

VERNY. Hai già qualcosa… sotto mano?

LIONEL. Può darsi. Ho incontrato una ragazza che la pensa proprio come me: stesse idee, stessi gusti… (sguardo avvolgente) fisicamente non tanto male (altro sguardo avvolgente) anzi, direi proprio benone… Sì: credo che ne farò la mia ragazza!

VERNY. La conosco? Chi è?

LIONEL. È un’amica di Margie. Molto amica. Intima.

VERNY. Ma allora la conosco. Aspetta. Dovrebbe essere… No… non vorrai dirmi che ti sei invaghito…

LIONEL. No. Non mi sono invaghito. Ho perso la testa. Verny, dobbiamo vederci, stare insieme in questi giorni che ancora mi restano, prima di rientrare.

VERNY. Ah, ah, ah! Al tempo. Pochi giorni?... Perché mettere un limite? (Ironica).  Vedi, Lionel, sono molto contenta delle belle parole che mi dici. Sono felice ma… perché dare a questa felicità un confine temporale? Se devo legarmi ad un uomo, voglio essere sicura che la sua simpatia, il suo affetto non sia di così breve durata. Che affetto sarebbe? Non hai mai sentito dire che l’amore è eterno?

LIONEL. Sono cose che si vedono alla televisione, al cinema… le donne ci piangono.

VERNY. E gli uomini ridono delle donne che piangono! Che mascalzoni, gli uomini! L’amore non ha limiti… di spazio, di tempo… di nessun genere.

LIONEL. Bello! Ma se non torno al reparto, mi denunciano.

VERNY. Chi ti dice di non rientrare. Vai.

LIONEL. Non posso portarti in caserma.

VERNY. Lo credo bene!... Potrei sistemarmi in un alloggio, lì nei pressi. Sì troverà una stanza da affittare.

LIONEL. Sarebbe bellissimo… ma… con la paga di un caporale…

VERNY. Posso trovare da lavorare. Tu potresti trovare il modo di aumentare di grado. A quanto ne so, ci sono dei marescialli che se la passano bene… le loro mogli sono signore riverite ed accettate in ogni ambiente.

LIONEL. Perché, dovremmo sposarci. Questo vuoi dire?

VERNY. Non mettiamo limiti. Si era stabilito così, non ricordi?

LIONEL. Se lo dici tu.

VERNY. Certo, carino. Ti troverai bene, non temere.

LIONEL. Spero… cioè credo che mi troverò bene. D’accordo, decidi tu, farò come vuoi.

VERNY. Un’altra cosa: niente donne! Quando si ama non esiste altro! D’accordo?

LIONEL. (A malincuore). D’accordo.

VERNY. Bene. Per ora può bastare così! Ora accompagnami, devo andare a casa, si è fatto tardi.

LIONEL. Sì. (La prende sottobraccio).

VERNY. (Toglie il braccio).  Non corriamo troppo. C’è tempo per questa cose. Puoi starmi a fianco. Andiamo. (Si avviano per uscire). Raccontami qualcosa, dimmi di te.

LIONEL. Io sono un caporale… in una caserma dove ci sono settecento soldati… oltre a una cinquantina tra ufficiali superiori, tenenti… sottufficiali…

VERNY. Cosa vuoi che mi interessi la caserma. Dimmi cose più dolci… che facciano sognare… sai come siamo noi donne… (Escono).

Buio sul prato.

Luce sulla panchina.

Veronica e Margherita sono sedute. Conversazione iniziata

VERONICA. Povero Lionel, mi seguiva come un cagnolino. Lo avevo addomesticato. Restò tranquillo e ubbidiente fino al momento della partenza. Gli preparai un pacchetto con cibarie per il viaggio: era il  meno che potessi fare. Non l’ho più visto.

MARGHERITA. Lei sa come trattare gli uomini… anche troppo bene. Non parlo di Lionel, che non mi piaceva ma ce ne sono stati altri… possibili fidanzati. Cominciavano a corteggiare me e poi, com’è come non è, lei riusciva sempre a prenderseli.

VERONICA. Cosa dice, signorina Margherita! Non vorrà accusarmi di essere… come si può dire? Una ladra di uomini!

MARGHERITA. Non so se si dica proprio così ma lei ha espresso benissimo il concetto.

VERONICA. È inaudito! Quando mai avrei fatto una cosa del genere?

MARGHERITA. Sempre.

VERONICA. Rimango trasecolata!

MARGHERITA. Un esempio: subito dopo il “caso Lionel”, ricorda quel ragazzo, studente, prossimo alla laurea… ingegneria… aeronautica o informatica non ricordo bene, è passato tanto tempo…

VERONICA. Io non ho mai conosciuto ingegneri! Spaziali… o terrestri. Ha detto così?

MARGHERITA. Non era ancora laureato. Mi voleva bene… e io ne volevo a lui, eravamo sul punto di fidanzarci. Avremmo anche potuto sposarci. Lei, signora Veronica, si mise in mezzo… e la cosa finì lì.

VERONICA. Per quanti sforzi faccia, la mia memoria non mi suggerisce niente.

MARGHERITA. L’aiuto io: Giampiero!... Studente, molto intelligente, educato…

VERONICA. Giampiero… Giampiero? Mah…

MARGHERITA. Giampi.. Purtroppo non si poteva americanizzare molto quel quel nome. Dovemmo accontentarci di un semplice Giampi, nemmeno con la ipsilon.

VERONICA. Dopo tanti anni come si fa a ricordare con precisione, se uno ha o non ha la ipsilon.

MARGHERITA. Osservi. Una spolveratina alla memoria, ogni tanto ci vuole… osservi, osservi

Buio sulla panchina.

Luce sul prato.

Verny e Giampi, parlano tra loro.

VERNY. Come ti stavo dicendo, caro Giampi, la tua amica Margie… o forse dovrei dire, qualcosa di più di amica?

GIAMPI. Puoi dire quello che vuoi. Ci frequentiamo, ci vediamo spesso, mi dispiace che proprio in questo periodo sto preparando la tesi e non posso dedicarle tutto il tempo che vorrei.

VERNY. O, che lei vorrebbe…

GIAMPI. Anche lei sta volentieri con me; mi sembra di averlo capito. Ma, se posso sapere: cosa vorrebbe significare questa precisazione?

VERNY. Oh, niente. Niente… certi comportamenti si vedono, saltano agli occhi. Ti sta sempre alle calcagna. È vero che te la ritrovi sempre tra i piedi? Cioè, voglio dire, non ti lascia un minuto.

GIAMPI. Mi sembra naturale… quando ci si vuol bene…

VERNY. Tra poco, tu sarai ingegnere…

GIAMPI. Così suppongo. Non sarà proprio domani ma ormai siamo in dirittura d’arrivo.

VERNY. Bravo. Ti faccio i miei complimenti… e le congratulazioni anticipate. Ti vedo già nel tuo bello studio: austero ma elegante, ci sarà anche una segretaria… avrai una intensa vita professionale ma anche mondana… un ingegnere deve frequentare molte persone, viaggiare: l’America è la patria di tutte le tecnologie. Vita affascinante… soprattutto per la moglie di un ingegnere…

GIAMPI. Sarà un’attività molto interessante. D’altra parte, ho studiato per tanti anni, mi sono sacrificato. Lo studio costa fatica, ho dovuto rinunciare a parecchie settimane bianche, a qualche viaggio, serate con gli amici… Quando sarò in possesso di quel benedetto pezzo di carta, potrò avere una professione che mi permetterà di recuperare il tempo perso. Mi sembra logico e giusto.

VERNY. Certo! Chi dice il contrario? Naturalmente, anche la donna che starà al tuo fianco potrà godersi una vita intensa, economicamente sicura, divertente… senza aver sopportato nessun sacrificio.

GIAMPI. È la vita a sistemare le cose in questo modo. Un uomo e una donna che si vogliono bene, si sa, dividono tutto.

VERNY. L’abilità della donna sta nell’arrivare al momento giusto per dividere solo le gioie, i piaceri… quando ormai i sacrifici fanno parte del passato. Bisogna saper scegliere il momento giusto. Certe donne sanno farlo.

GIAMPI. Non mi sembra il caso di Margie… se è a lei che intendi riferirti.

VERNY. Non mi riferisco! Io non accuso nessuno. Ma riflettiamoci un poco sopra: vi conoscete, praticamente da sempre, abitate nella stessa zona; non sarà stata un’amicizia molto intima ma, insomma, sapevate dell’esistenza l’uno dell’altra. Mi chiedo: perché questa molla è scattata proprio in quel preciso momento e non prima?

GIAMPI. Ci fu una festa in parrocchia, si prepararono dei canti, una piccola recita nel teatrino… fu lì che avemmo occasione di avvicinarci e… scoprire, per così dire, il reciproco interesse.

VERNY. Ecco! Interesse! Scusa, non volevo fare insinuazioni.

GIAMPI. Vorresti forse dire che l’affetto che Margie mi dimostra, non è così genuino come vorrebbe far credere?

VERNY. Io non dico niente. Però mi sembra strana questa infatuazione proprio al momento giusto.

GIAMPI. Te l’ho detto: la festa in parrocchia.

VERNY. Con la benedizione del priore! Scusa, non volevo essere irriverente. Il fatto è che conosco Margie da sempre, siamo buone amiche, so che è una cara ragazza ma certe volte ti sa dare una coltellata quando meno te l’aspetti.

GIAMPI. Davvero? Non l’avrei mai creduto.

VERNY. Tanto cara, tanto riservata, educata, gentile, affettuosa… ma, se tira fuori le unghie sa graffiare a buono.

GIAMPI. Così pericolosa?

VERNY. Non dico questo. Bisogna saperla prendere,,, ma se ti piace… in fondo, ognuno ha la sua vita… che va vissuta nel modo migliore. Non so se mi spiego.

GIAMPI. Ti spieghi benissimo. Ci rifletterò sopra. Ti ringrazio per queste tue informazioni. Mi sono veramente utili.

VERNY. Lo considero un mio dovere. Ma non devi credere… non trarne delle conclusioni affrettate…

GIAMPI. So io cosa fare.

VERNY. Povero Giampi. Ora rimani solo.

GIAMPI. Chi ha detto che rimango solo?

VERNY. Mi sembrava… Ma forse fai bene a continuare, con Margie. È una brava ragazza, in fondo… Sarà bravissima nelle recite parrocchiali ma, non la vedo molto adatta a gestire un salotto, di un certo livello mondano. Per quanto, è quello che cercava: si adeguerà. È stata molto abile, ha scelto bene il momento.

GIAMPI. Grazie, Verny. Grazie di cuore. Rifletterò su quanto mi stai dicendo.

VERNY. Farai bene a riflettere, farai molto bene. Prenderai le tue decisioni… che non voglio suggerirti ma se dovessero essere… coma la logica consiglia… dovrai trovarti una nuova ragazza… Se hai qualche problema, io sono qua… per aiutarti.

GIAMPI. Grazie. Se avrò dei problemi… Grazie. So cosa devo fare. Ora devo andare. Ciao.

VERNY. Ricorda: posso aiutarti. Conta su di me. Ciao.

Scena buia.

Entra il Giardiniere, seguito dal suo spot.

GIARDINIERE. No, non è possibile! Anche il picnic! Non bastano le merendine con quelle orribili confezioni di cellophane. Addirittura i picnic con piatti e bicchieri di plastica, che poi, naturalmente saranno abbandonati sull’erba! Tanto, c’è chi pulisce! Sapete che faccio? (Guarda l0orologio). È quasi l’ora, ho finito il mio turno. Faccio un giretto da quest’altra parte e, appena scocca l’ora: via! Ci penserà qualcun altro!... Ah, scusate, dimenticavo: avete seguito bene il meccanismo degli avvenimenti?... Come dice, signora?... Bravi. Sì, tutti molto bravi… ottima interpretazione. L’autore?... Sembra anche a me. Non è che sia… non sa proprio scrivere… Cosa ci tocca vedere!... Mi dica la verità: lei ci ha capito qualcosa?... Insomma… può… potrebbe essere… Va bene così! Non sono il solo a non averci capito niente… Ve l’avevo detto: non mi piacciono quelle due signore… e quelle ragazze con quei poveri giovanotti…

     Pare che ora facciano l’intervallo… Dieci minuti. Potete uscire a bere qualcosa o a fumare una sigaretta. Signori, mi raccomando: non approfittatene per andare via! Io vi controllo! Vi ho contati… E poi,non volete vedere come va a finire?... Ha ragione, signora: se il finale è come quello che abbiamo visto fino ad ora, ci sarà poco da stare allegri. Ma, almeno per curiosità… restate? Bravi! Ci vediamo dopo. Io sono qua dietro, in camerino, come sempre. A dopo. (Fa un cenno di saluto ed esce).

SECONDO ATTO

Luce sulla panchina.

Veronica e Margherita, sedute, parlano.

VERONICA. Ah, gli uomini…

MARGHERITA. Eh, gli uomini…

VERONICA. Tutti uguali…

MARGHERITA. Sempre gli stessi…

VERONICA. Fortunata lei che non si è sposata.

MARGHERITA. Proprio fortunata… non direi. Mah. Così volle il destino. Bisogna rassegnarsi.

VERONICA. Un calvario! La vita matrimoniale è un calvario.

MARGHERITA. Certi mariti tengono la moglie, quasi in schiavitù. Gelosi e prepotenti.

VERONICA. Non tutti. Il mio Albertino, Dio l’abbia in gloria, non era così. Non mi faceva mancare niente, era sempre pronto ad aiutarmi nelle faccende di casa, anzi le faceva lui perché, diceva, io non dovevo affaticarmi, dovevo curare il mio aspetto: aveva piacere che gli uomini mi guardassero, mi facessero i complimenti, gli piaceva vedermi corteggiata. E faceva piacere anche a me. Poveruomo: morì… Mi lasciò una discreta pensione, l’abitazione… decorosa, vicino a casa sua.

MARGHERITA. La stessa strada, pochi numeri più aventi. Di che cosa è morto il povero Albertino?

VERONICA. Ebbe un malore… i medici non seppero pronunciarsi… fu una cosa talmente rapida…

MARGHERITA. Forse era arrivato al limite.

VERONICA. Quale limite?

MARGHERITA. Della sopportazione! Sa come succede; uno sopporta, ingoia, butta giù… poi, a un certo punto. Succede.

VERONICA. Non capisco.

MARGHERITA. Non importa. È successo. Povero Albertino… se avesse trovato un’altra…

VERONICA. Chi doveva trovare?

MARGHERITA. Donne, ce ne sono tante in questo mondo. C’era quella sua vicina di casa… non ricorda, eh? Era una ragazza dolce, affettuosa, piena di attenzioni… Povero Albertino, lui ne era innamorato, poi si mise in mezzo quella… quella… non mi faccia dire certe parole: io non amo il turpiloquio.

VERONICA. Cosa va dicendo, cara la mia signorina Margherita? Non vorrà alludere…

MARGHERITA. Non ricorda più, cara la mia signora Veronica, come riuscì a strapparlo a quella povera… Margherita, Margie la chiamavano tutti… Ma quella cara Verny, così la chiamavano, riuscì a impadronirsene e lo fece suo: una preda di guerra… il povero Albert.

VERONICA. Sta parlando forse, del mio Albertino?

MARGHERITA. Non ricorda? Guardi, guardi come successe.

Buio sulla panchina.

Luce sul prato.

ALBERT. (Entra seguendo Margie). Quindi, stasera non sarà possibile incontrarci?

MARGIE. Mi dispiace, non è proprio possibile, devo restare in casa. Sono già uscita due sera fa, i miei potrebbero sospettare.

ALBERT. Vuoi che venga in casa tua, in pompa magna, a fare l’invito ufficiale?

MARGIE. Ci mancherebbe anche questo!

ALBERT. Una serata innocente, fra amici. Ci sarà Marco arrivato fresco fresco dall’America, Giuseppe, studente prossimo alla laurea… dice lui; è fuoricorso ormai da qualche anno. I maligni mormorano che la sua festa di laurea non la vedremo mai. Però è un tipo simpatico, ha sempre una barzelletta pronta…

MARGIE. Cerca di capirmi, verrei molto volentieri: sai che mi piace stare con te.

ALBERT. E allora? Ci sarà anche la sorella di Guido, una sua amica. Ci sono dei dischi nuovi da ascoltare… forse balleremo… a te piace ballare.

MARGIE. Sei un caro ragazzo, Albert. Il migliore che conosca ma, viviamo in una piccola città, quasi un paese. C’è sempre qualcuno che si preoccupa di sorvegliare e stabilire come si devono comportare due giovani che si frequentano… troppo spesso, per alcuni…

ALBERT. Molto raramente per altri: per me!

MARGIE. Ed io? Cosa credi, darei volentieri un calcio a tutto e a tutti! Ma questo è il mondo in cui dobbiamo vivere e bisogna rispettarne le regole.

ALBERT. E va bene! Ci adegueremo. Verrò da tuo padre e farò la mia bella richiesta di matrimonio. Metterò il mio vestito scuro, mi raderò la barba… vuoi che metta anche il gel nei capelli?

MARGIE. Non scherzare… e non pensare a certe cerimonie. Non devi sentirti obbligato, i sentimenti possono svilupparsi e dare gioia, solo se lasciati liberi.

ALBERT. Giusto. Fino a questo momento, non possiamo lamentarci dei nostri sentimenti (La abbraccia). Cresceranno in una convivenza serena e, perché no, piena di allegria (Si baciano).

VERNY. (Entra). Disturbo?! Scusate, passavo. È un giardino pubblico, questo. Si passeggia, ci si incontra, si scambiano quattro chiacchiere… (A Margie). È il tuo fidanzato? Complimenti; bel ragazzo! Come si chiama?

MARGIE. Albert. Cioè, Alberto.

VERNY. Bel nome! Io invece, in quanto a nome non ho avuto fortuna: mi chiamarono Veronica. Quanto ci ho sofferto! Meno male che, con questa moda di americanizzare tutto, l’ho potuto trasformare in Verny. Non che sia un gran che ma, se non altro è più breve.

ALBERT. Come si dice: tutti i nomi portano a casa.

VERNY. Bravo! Anche filosofo! (A Margie). Siete fidanzati?

MARGIE. Non corriamo tanto con le parole grosse.

VERNY. Perché? Non ci sarebbe niente di male, anzi. Uscite spesso insieme, vi si vede spesso in qualche stradina fuori mano, mano nella mano, occhi negli occhi, insomma: due anime in un nocciolo (Ad Albert). Sono un po’ filosofa anch’io. Che volete: la vita e tutta una filosofia, bisogna saperla dipanare. È come una matassa: quando hai fra le dita il filo giusto, puoi farne un gomitolo grosso così, ma devi saper scegliere il capo giusto. Tu, Margie, l’hai trovato. Brava! Cerca di non lasciartelo scappare.

MARGIE. Farò del mio meglio.

VERNY. Stasera festeggiate, vero? (Gli altri due rimangono stupiti). L’ho sentito dire… sapete com’è, le voci corrono. Fate bene, buon divertimento. Ahh… la musica, il ballo… io sarei nata per danzare… Ci sarà qualche bevanda… spumante… qualche pasticcino… per rendere più inebriante l’atmosfera? (A Margie). Li fai tu, i pasticcini?

MARGIE. Io non ci vado

VERNY. Davvero? Mi dispiace! Veramente… E così, il nostro povero Albert sarà solo. Che peccato! Una così bella festa… da solo! Bisogna trovare un rimedio. Non vorrei sembrare invadente ma, per me, le feste sono un po’ il mio ambiente naturale: ci nuoto dentro come un’ondina, un delfino.

MARGIE. Un pescecane!

ALBERT. Sarà solo una riunione fra amici. Molto intima.

VERNY. Allora si fa così: alle dieci mi faccio trovare pronta, ho un vestitino celeste che è un amore. Ne avrei anche uno violetto chiaro ma… no, no: il celeste va benissimo: è abbastanza scuro, con una spilla d’oro qui, sarà un successo. Scarpe… no, non con il tacco a spillo: per ballare non sono adatte. (Induce Albert ad uscire). Ah, preparerò dei dolcetti, modestamente mi riescono bene. Fidatevi! Alle dieci, va bene… ci vediamo… (Il resto della battuta si perde fuori quinta. Margie li segue fra l’incredulo e l’arrabbiato).

Buio sul prato.

Luce sulla panchina.

Veronica e Margherita sono sedute.

VERONICA. Non crede di aver tralasciato qualcosa nella sua rievocazione, diciamo storica? Le cose non andarono esattamente come le sta raccontando.

MARGHERITA. Ricordo benissimo non sono ancora arrivata all’età in cui la memoria comincia a fare brutti scherzi! Se ripenso alla sua sfrontatezza…

VERONICA. Quale sfrontatezza? Quel povero Albert, lei lo aveva distrutto, povero ragazzo. Sì, distrutto: è la parola! Con tutte le sue moine, le sue attenzioni, le sue dolcezze: ”Caro, sei uscito senza soprabito? Ti ammalerai, comincia a fare fresco” “Caro, non mangiare troppi dolci, sai che ti fanno male: il diabete è sempre in agguato” “Caro, non mangiare troppi salatini: potresti ingrassare e io, gli uomini grassi… Ohibò… non li ho mai potuti soffrire”. Povero ragazzo, vi conoscevate da un mese e già era ridotto in uno stato pietoso: pallido, malaticcio, sofferente. Io non gli ho mai proibito di mangiare roba dolce… o salata… purché la offrisse anche a me!

MARGHERITA. Non voglio sentire altro! Mi era affezionato, povero Albert, mi voleva bene… mi  fu strappato! Poveretto, quanto deve avere sofferto… Certe donne non dovrebbero esistere sulla faccia della terra!

VERONICA. (Batte le mani ironicamente). Brava! Una scena drammatica degna della televisione! Un teleromanzo, una fiction, mi pare le chiamino così. Peccato che a me piacciano cose più divertenti: varietà, canzoni, magari qualche quiz… roba che faccia ridere. La vita va presa con allegria.

MARGHERITA. Rida, rida pure! Non so proprio come sia possibile ridere su certi argomenti!

VERONICA. E allora pianga, si disperi, si strappi i capelli! E visto che c’è, si cosparga il capo di cenere, per usare un’immagine cara alla sua vena drammatica! La colpa fu sua, mia cara Margherita… Margie!

MARGHERITA. Ma stia zitta! Abbia perlomeno il pudore del silenzio!

VERONICA. In quanto a pudore, non so proprio chi ne abbia più bisogno! Non ricorda? Debbo rinfrescarle la memoria? Sono a disposizione: guardi, guardi e mediti..

Buio sulla panchina.

Luce sul prato

.

VERONICA. (Entra seguita da Albert. Ha un cestino di vimini). Vieni, vieni Albert. Che ne dici: ti va bene questo posto?

ALBERT. Sì, sì. Il posto va bene… ma non so se possiamo permetterci…

VERONICA. Cosa dici… Uno spuntino, un picnic, una sciocchezza: ho preparato tutto io, è tutto qui dentro. Potrò permettermi di offrire una merendina al mio ragazzo.

ALBERT. Non intendevo dire questo… Siamo qui, soli, noi due…

VERONICA. Albert; non farti venire strane idee nella testa. Mi sono sempre fidata di te… In ogni caso, non siamo soli: quel vialetto… ci passa continuamente gente, mamme con i bambini, pensionati… innamorati… siamo sicuri. So organizzarmi, io.

ALBERT. Continui a non capire… Purtroppo, lo sai, non sono completamente libero.

VERONICA. Sei libero come l’aria, come il profumo dei fiori, come le ali delle farfalle… che si vestono dei colori più belli.

ALBERT. Basta, basta. Anche un antipasto di poesia… è un pranzo completo.

VERONICA. Ti è piaciuto? L’ho letto da qualche parte. Io non perderei mai il tempo a inventare simili sciocchezze. Il mio picnic sarà dei più tradizionali: panini con affettati, un’aranciata e un po’ di caffé nel thermos, spero che sia ancora caldo. Forza, datti una mossa: aiutami a stendere la tovaglia sull’erba… o preferisci stare seduto sulla panchina?

ALBERT. Come vuoi… per me va tutto bene… Sono preoccupato per Margie. In fondo, siamo ancora fidanzati…

VERONICA. (Ironica). Eravate arrivati a questo punto? Vi siete scambiati gli anelli? Avete fatto la festa di fidanzamento? Ed io, non sono stata invitata! Al matrimonio però, ci voglio essere! Un bel pranzo! Avete già prenotato il ristorante, fissato la data?

ALBERT. Non prenderla su questo tono, Verny. Non c’è niente di ufficiale, siamo soltanto buoni amici… molto amici… intimi

VERNY. Quanto intimi?

ALBERT. Abbastanza… ma non è il caso di spifferare tutto! Ripeto: non c’è nulla di ufficiale, siamo liberi… liberi come l’aria… com’è quella storiella?

VERNY. Come l’aria… i fiori, le farfalle… cosa vuoi che mi ricordi! Gli ho appena dato un’occhiata. Se proprio devo leggere qualcosa, mi trovo argomenti più divertenti.

ALBERT. Volevo dire… con Margie è un pezzo che ci vediamo, può darsi che lei ci abbia fatto un pensierino

VERNY. Eh, già. Capita l’occasione. Come si dice, l’occasione fa l’uomo ladro… e la donna si tiene la refurtiva… insomma ci fa il pensierino.

ALBERT. Che c’entra. Sono cose che capitano. Si dà il caso, però che a me piaccia la chiarezza, la lealtà, non mi va di fingere, di portare avanti una storia che , forse non arriverà alla fine… almeno quel tipo di finale che ci si aspetta da questo tipo di  storie.

VERNY. Fiori d’arancio, velo bianco e marsina nera… Romantico, non c’è dubbio, bello ma, in certi casi meglio un taglio netto, deciso… Se non andate d’accordo…

ALBERT. Margie è una brava ragazza, mi vuole bene… sì, credo proprio che mi sia affezionata… ma è ossessiva con le sue manie. Si può voler bene anche senza tante sdolcinature, senza creare continue preoccupazioni.

VERNY. Parole sante! Libertà ci vuole! Anche tu, caro Albert, hai una vita da vivere, da vivere in piena libertà!

ALBERT. Lo so, me l’hai già detto: l’aria, i fiori… quella roba lì.

VERNY. Mi chiedo una cosa: com’è che ti ha lasciato venire qui, a fare il picnic con me?

ALBERT. Non gliel’ho detto.

VERNY. Sicuramente ti avrà spiato e, ci giurerei, fra poco ce la vedremo capitare qui. Beh, un panino ci sarà anche per lei, ne ho preparati parecchi. A proposito, vogliamo iniziare? Comincio a sentire un certo languorino.

ALBERT. Ma sì, cominciamo. Cosa ci hai messo dentro, prosciutto, salame?

VERNY. Le solite leccornie, ma ne ho fatti un paio con petto di pollo fritto e melanzane grigliate sott’olio. Dovrebbero essere buoni

ALBERT. Saranno buonissimi. Sai preparare delle cose veramente squisite.

VERNY. (Modesta). Oh, roba da poco, però se voglio, nel mio piccolo, qualche cosa di buono riesco a metterlo insieme.

ALBERT. Fortunato chi ti sposerà. (La guarda come un pittore che studia la modella). Sì, sì: in mezzo alla cucina, con un gran cappello da cuoco in testa…

VERNY. E un mestolo in mano!

ALBERT…. Un po’ meno fortunato, chi ti sposerà. (Ridono). Dimmi: hai portato la radiolina? Ci starebbe bene un po’ di musica

VERNY. C’è anche quella. Ho pensato a tutto. La cerco. (Mentre cerca nel cestino, guarda fuori quinta). Cosa ti dicevo? Puntuale come un orologio svizzero! Eccola! (Saluta Margie che entra). Ciao, Margie! Cosa giri da queste parti? Che bella sorpresa!

MARGIE. Ciao Verny, ciao Albert; ti avevo cercato… ma non ti ho trovato.

ALBERT. Evidentemente se sono qui, non puoi trovarmi a casa… o dove mi hai cercato.

MARGIE. Eh, già! Il discorso fila, non fa una grinza.

VERNY. Sempre preciso, il nostro Albert, consequenziale, circostanziato: scientifico! (Margie la guarda). Ho detto qualcosa che non va?

MARGIE. No, sei stata precisissima, come sempre. Hai ragione: scientifico. Peccato che la scienza non vada molto d’accordo con i sentimenti.

ALBERT. Nei rapporti umani ci può essere spazio per tutto… in giusta misura. La razionalità non deve uccidere i sentimenti ma l’affetto non deve essere così invadente da rinchiudere la persona amata… in una gabbia. Al canarino che tieni dentro la gabbia, gli vuoi bene, lo coccoli, lo accarezzi ma lo tieni chiuso; lo fai mangiare, gli cambi l’acqua, lo pulisci ma non gli apri mai il cancelletto per farlo volare, un volo breve non una fuga: un assaggio di libertà.

MARGIE. Vedo, vedo: vuoi la tua libertà. Non credo di essere mai stata una carceriera, non è nel mio carattere. L’affetto, l’amore, è vero, impone dei legami ma… è bello sentirsi uniti, stretti… come posso dire:una cosa sola, un tutto.

ALBERT. Belle parole. In teoria va tutto bene. Ma dobbiamo vivere anche una vita pratica, dobbiamo stare con i piedi per terra per muoverci dove va il mondo… non possiamo camminare sulle nuvole, cara Margie.

MARGIE. E tu, caro Albert, in quale direzione vorresti camminare? Scusa, ho detto camminare ma tu vuoi correre con l’automobile. Certo: si arriva molto prima, non si fa tanta fatica… Che importa se la macchina non produce poesia ma ci da soltanto rumore, gas di scarico… La velocità non ti consente di godere la vista del paesaggio, che può essere bellissimo se guardato con calma, con serenità. Ma forse sono io che non so adeguarmi e riesco solo a rendere l’immagine di un carnefice, invece della dolcezza che ci deve essere in un rapporto affettuoso.

VERNY. (Dopo una breve pausa). Un panino? Assaggia questo, Margie: ci ho messo del tonno con maionese… l’ho preparata io, la maionese… dovrebbe essere buono.

MARGIE. Non lo metto in dubbio ma, non ho appetito… e non voglio disturbare.

ALBERT. Non disturbi affatto. Siamo contenti di averti qui,vero Verny?

VERNY. Certo! C’è tanta di quella roba! Sono previdente. Se preferisci dell’acqua minerale… molto frizzante…

MARGIE. Grazie. È meglio che vada via, vedo che sono di troppo.

VERNY. Cosa dici? Di troppo! Ci hai fatto un grandissimo piacere… ma, se hai da fare, se devi andare da qualche parte… non vogliamo trattenerti. Vuoi un panino da portare via? Te lo mangi poi, con calma.

MARGIE. Grazie! Non ho fame! Addio Albert, se vuoi, sai dove trovarmi. (Si avvia per uscire). Ah, dimenticavo: buon appetito! (Esce).

Albert siede sulla panchina, Verny, da dietro, in piedi, lo abbraccia sovrastandolo, con un sorriso di vittoria sulle labbra.

Buio sul prato.

Luce sulla panchina

VERONICA. Già: buon appetito! Mangiammo con gusto. Ricordo, ricordo molto bene, fu un pomeriggio indimenticabile. Mangiammo, bevemmo… si ballò anche, avevo portato la mia radiolina… e alla fine…

MARGHERITA. Alla fine, il povero Albert si ritrovò legato a doppio filo, imprigionato, peso in trappola! Gli costò, quel panino, oh se gli costò!

VERONICA. Avevo fatto una salsa  con fegatini e… forse dei sottaceti… no, no: carciofini sott’olio. Una squisitezza! Una cosa superlativa!

MARGHERITA. Fegatini! Forse anche qualche filtro d’amore.

VERONICA. L’unico filtro che conosco è il fascino, l’intelligenza, lo charme, una certa avvenenza fisica anche se ho sempre cercato di nascondere… tutto quello di cui Madre Natura mi ha beneficiato, sotto un velo di modestia, di ritegno. Ma, non sta a me dirlo, avevo una figura che catturava gli sguardi degli uomini… Beh… anche ora… se volessi…

MARGHERITA. La seduzione è un’arte: far credere ad un povero ingenuo di essere innamorato, quando quello non ci pensa proprio. Ma se una donna sa recitare, il poveretto rimane, come plagiato e si convince di essere innamorato… anche se vuol bene a un’altra!

VERONICA. C’era un’altra? Non mi pare proprio che, all’epoca, la Buonanima avesse altri interessi, per così dire, muliebri… E nemmeno in seguito li ha mai avuti!

MARGHERITA. Albert voleva bene a me! Eravamo fidanzati! Quasi.

VERONICA. Ecco: quasi! Giusta espressione. Brava. Brava signorina Margherita, bisogna essere precisi, ogni più piccola sfumatura di linguaggio può dare un significato del tutto diverso alla stessa situazione.

MARGHERITA. Me lo disse, Albert, che non era innamorato. Purtroppo era rimasto invischiato e non sapeva più come uscirne. Dovette rassegnarsi e pronunciare quel “sì” che gli pesò poi, per il resto dei suoi giorni.

VERONICA. Lei parla, parla ma non sa come abbiamo trascorso felicemente gli anni del nostro matrimonio. Fu una vita serena, piacevole: l’immagine di due sposi perfetti.

MARGHERITA. La moglie che nega al marito i più innocenti desideri e impone le sue pretese. Un marito che china sempre la testa e dice: “sì cara”.

VERONICA. Il mio povero Alberto! Si rivolterà nella tomba nel sentire certe insinuazioni. È inaudito!

MARGHERITA. Non tanto, mia cara signora Veronica. Abbiamo abitato sempre abbastanza vicino per vedere, ascoltare, sapere, constatare quello che è stato il calvario di quel poveruomo.

VERONICA. Non vuole proprio smetterla di fantasticare indegnamente sulla mia vita privata? Ho una mia dignità da difendere e quella di un povero defunto… indifeso.

MARGHERITA. Certo: indifeso! Infatti non ha mai potuto difendersi da una moglie ossessiva che, non contenta di averlo soggiogato da vivo, ne manipola anche la memoria!

VERONICA. Basta! Mi sento male, vado via. Non voglio più subire una simile arroganza! (Si alza). A mai rivederla, signorina Margherita! Mai più! (Esce).

Margherita, rimasta sola riprende a lavorare con la sua sciarpa.

PIETRO. (Entra. Passeggia intorno alla panchina, indeciso, porta la mano al berretto in un cenno di saluto. Accenna a sedersi). Posso?

MARGHERITA. (Scontrosa ma con interesse verso la nuova situazione. Risponde piuttosto freddamente). Prego. (Continua a sferruzzare con maggiore rapidità. Scruta il nuovo arrivato, cercando di non farsene accorgere).

PIETRO. Comincia a fare caldo… Una passeggiatina all’ombra di questi alberi è proprio quello che ci vuole… una sosta… una panchina dove sedersi un poco… a riposare le stanche membra, come dice il poeta. Non si preoccupi, signorina… o signora?

MARGHERITA. Signorina, se non le dispiace.

PIETRO. Signorina. Dicevo: non si preoccupi se ho usato un’espressione… poetica. Non sono un poeta… forse in gioventù… chi non ha scritto qualche verso nell’adolescenza? Bèi tempi, l’età dei sogni… Poi la vita ti prende… entri nell’ingranaggio e… chi ha più il tempo e la voglia di sognare. Quei pochi versi rimangono chiusi in fondo ad un cassetto e… chi se li ricorda più. È un peccato, non per i versi che, sicuramente saranno stati orribili ma per il calore della gioventù… della vita, che essi rappresentano. La sto annoiando, vero? Chiedo scusa, mi dispiace. Ma non deve credere che io sia un tipo, come dire, depresso… o un po’ malinconico. No, ho sempre vissuto la mia vita con serenità, con allegria… e concretamente. Eh, sì, perché tutti i giorni ci sono dei problemi da risolvere. Purtroppo da qualche tempo sono solo e, devo ammetterlo, ho perso un po’ del mio smalto…Una  certa tristezza, ogni tanto mi prende. Eh, cara signorina. La solitudine è ben triste! Lei non crede?

MARGHERITA. (Molto eccitata, sferruzzando al massimo possibile della velocità). Sì, certo.

PIETRO. Lei mi capisce. Quando arrivi ad un certo punto della tua vita e…vedi crollare tutto quello che avevi costruito… ti senti solo, miseramente solo.

MARGHERITA. (Comincia a sciogliersi). Forse, le è capitata qualche disgrazia? (Pietro annuisce gravemente). Oh, mi dispiace.

PIETRO. Grazie. Certe mazzate ti capitano fra capo e collo… e ti lasciano… distrutto.

MARGHERITA. (Indagatrice). Si tratta di una disgrazia familiare? (Pietro annuisce gravemente). Una persona cara?

PIETRO. Molto cara…

MARGHERITA. Capisco… posso immaginare…

PIETRO. (Commosso). Grazie. Lei è molto buona… molto comprensiva. Se devo essere sincero, signorina… signorina?

MARGHERITA. Margherita.

PIETRO. Io sono Pietro.

MARGHERITA. Molto lieta. (Ormai presa dalla nuova situazione, comincia a riporre il lavoro a maglia).

PIETRO. Se devo essere sincero, ritrovo nei suoi occhi lo stesso sguardo… dolce, pieno di bontà… Sì, lei me la ricorda un po’.

MARGHERITA.  (Trepidante ma evasiva).  Chi?

PIETRO. Paolina… la mia sposa… defunta.

MARGHERITA. Ohh, è molto?

PIETRO. Sei mesi… un’eternità per un uomo. Soprattutto per un uomo che, come me non è capace nemmeno di cuocersi un uovo al tegamino. (La guarda fisso).

MARGHERITA. (Vergognosa). Si può sempre rimediare… Voglio dire per l’uovo al tegamino, non è poi così difficile.

PIETRO. Non è soltanto l’uovo… è tutto un complesso di cose… situazioni…

MARGHERITA. Qualcosa dovrà pur mangiare.

PIETRO. Oh, il mangiare! Non è il problema più grosso… qualcosa si rimedia… è quel posto vuoto davanti a me… “Buona questa pasta, come l’hai fatta?” “Prendi ancora una fettina di arrosto…” “non ne vuoi più?” “Io gradirei una fetta di quel dolce che sai fare così bene”…

MARGHERITA. (Si lascia trasportare). I dolci non sono esattamente la mia specialità… Però c’è una pasticceria proprio vicino casa mia… Scusi: le parole hanno tradito il pensiero.

PIETRO. (Continua la sua opera persuasiva). Sapesse com’è triste mangiare da soli.

MARGHERITA. A chi lo dice.

PIETRO. Il letto. Come è freddo… cerco di distrarmi un po’ alla televisione: che angoscia… quei giochini a quiz, quei… cosiddetti personaggi che dovrebbero far ridere e invece… un naufragio nella stupidità dei più tristi e inutili programmi.

MARGHERITA. Io posso guardare qualche film. Ma danno soltanto polizieschi con sparatorie, morti o, peggio ancora, quelli con donnine nude, parolacce… Cambio subito canale!

PIETRO. Brava Margherita! Fa bene! Scusi, mi è sfuggito. Non volevo mancarle di rispetto.

MARGHERITA. (Vergognosa). Fa niente… è il mio nome: Margherita. L’aggettivo che ci si mette davanti non ha nessuna importanza: sono sempre io.

PIETRO. Giusto. Ottimo ragionamento. Vogliamo eliminare queste superficialità che ci vengono  imposte, non si sa da chi?

MARGHERITA. (Ancora un po’ timorosa). Se crede… eliminiamo.

PIETRO. Benissimo. Allora: Pietro e Margherita.

MARGHERITA. Non mi è mai piaciuto gran che, il mio nome.

PIETRO. Perché? È bellissimo: un fiore… fiore di campo, spontaneo, naturale, simbolo di purezza… spirituale.

MARGHERITA. È lungo, troppo lungo. Da ragazzina, mi chiamavano tutti Margie.

PIETRO. Bello! La povera Paolina, invece aveva tentato nei primi tempi di affibbiarmi un diminutivo: Pietruccio che poi sarebbe diventato Ruccio. Non ne fece di nulla, sono rimasto Pietro. Al massimo, quando aveva qualcosa da dirmi esordiva con: “Senti…” o “Ascolta”… La sera uscivamo spesso, pochi passi, giusto per arrivare a quel Piccolo Bar per prendere un gelato… era ghiotta di gelato.

MARGHERITA. (Impulsiva). Io vado matta per il pistacchio!

PIETRO. La povera Paolina gradiva fragole e albicocca.

MARGHERITA. (Un po’ delusa). Non ho mai provato quell’abbinamento… ma non è detto… sarà buonissimo.

PIETRO. Non ti resta che provarlo, Margie. Diciamo… stasera? Passo a prenderti?

MARGHERITA. Signor Pietro… (cenno di rimprovero di Pietro) cioè: Pietro. Non le sembra di avere sbagliato?

PIETRO. Perdonami. Cosa ho sbagliato?

MARGHERITA. I verbi. Modo indicativo tempo presenta… terza persona singolare. Invece lei ha adoperato la seconda persona… singolare.

PIETRO. Alludi al “tu”? Mi sembra ovvio: siamo amici, buoni amici, ormai! Un gelato ci unisce… pistacchio o albicocca non ha importanza.

MARGHERITA. Quale gelato?

PIETRO. È ancora nella sorbettiera del Piccolo Bar ma, ce lo gusteremo: io e te!

MARGHERITA. Io e… lei. Scusi… scusa. È una questione d’abitudine. I giovani non si pongono tanti problemi di grammatica.

PIETRO. E perché vogliamo porceli noi?

MARGHERITA. Ai nostri tempi, eravamo avvezzi al “lei”… ma, se insiste, Pietro… va bene, verrò con te al Piccolo Bar… Oh, un gelatino piccolo piccolo…

Entra Veronica, con la borsa della spesa. Rimane stupita: occhiata indagatrice, quindi parte all’assalto.

VERONICA. Buongiorno

PIETRO. Buongiorno, signorina.

VERONICA. Signorina Margherita, è già qui? Pensavo che fosse ancora in casa.

MARGHERITA. Perché avrei dovuto? È una bella giornata, fa piuttosto caldo e un po’ di refrigerio, all’ombra di questi alberi… (A Pietro). Non è vero?

PIETRO. Certo… per riposare le stanche membra.

VERONICA. (Non capisce). Posso sedermi? (Pietro le fa posto, accostandosi a Margherita). Vorrei riposare anch’io… le stanche membra. (Si siede. Pietro rimane in mezzo alle due donne). Dicono che questi sedili sono progettati per tre persone, forse quattro ma in realtà, due sarebbe il numero ideale. In tre si comincia a stare stretti, a meno di non essere tre magri… fantasmi! (Ride della sua facezia. Pietro si unisce all’ilarità con un risolino falso).

PIETRO. Posso alzarmi.

VERONICA. Noo! Ho detto così per dire… Non si disturbi, stiamo bene così… C’è più intimità.

MARGHERITA. (Sarcastica). Perché vuoi alzarti, Pietro, c’è più intimità.

VERONICA. Pietro? Bel nome. Biblico… o qualcosa del genere. Conobbi un Pietro, tanto anni fa: dio mio come passa il tempo… ma la memoria non mi tradisce ancora. Sì, lo ricordo molto bene: biondo, alto, fisico atletico… e intelligente! Pensi: si era invaghito, così credeva lui, della mia amica, la qui presente signorina Margherita. Eravamo molto amiche. Bene: un giorno me la presentò e… che vuole (ovvia) dovendo scegliere… restammo fidanzati alcuni mesi…

MARGHERITA. (Ironica). Non ricordo, questo… fidanzamento!

VERONICA. Ci frequentavamo. Quando decise di venire a parlare con i miei… fu trasferito. Lavorava in una ditta che produceva… non ricordo bene.

MARGHERITA. Sogni! Produceva sogni!

VERONICA. Sì, forse materassi… per dormire comodamente. Ma tutto questo non ha importanza. Rimane il fatto che in gioventù, non sta a me dirlo, ero una ragazza… attraente, affascinante, diciamo pure seducente. Così dicevano… ed anche ora, se volessi… Ho ancora qualche numero da giocare… malgrado l’età.

MARGHERITA. Come si dice: gallina vecchia…

VERONICA. Fa buon brodo! Abbiamo la stessa età! Anzi, lei è nata tre mesi prima di me!

PIETRO. Ogni età ha  le sue attrattive, ed anche i suoi difetti. Se non è più possibile esibire bellezza e fascino, possiamo sempre farci apprezzare per l’intelligenza, la cultura, l’esperienza accumulata nel corso degli anni; il piacere di una convivenza non sta più nell’estasi dei sensi o in un appagamento esteriore ma nel godimento dei valori spirituali che ciascuno porta dentro di sé.

VERONICA. (A Margherita). È un filosofo?

MARGHERITA. No. È un uomo che soffre… molto.

VERONICA. Oh, poveretto! Quanto mi dispiace. Di cosa soffre: reumatismi, ulcera, diabete?

MARGHERITA. Ha perduto la moglie sei mesi fa: è solo.

VERONICA. Non è il solo. Voglio dire, siamo in tanti a non avere più la persona cara.

PIETRO. Grazie, signora Veronica.

VERONICA. Da quanto vi conoscete?

MARGHERITA. Da un pezzo.

PIETRO. (Complice). Da un pezzo.

VERONICA. (A Margherita). Non me ne aveva mai parlato.

MARGHERITA. Beh, ci siamo incontrati solo questa mattina.

VERONICA. (Grande sarcasmo). Un pezzo!

MARGHERITA. …Un pezzo.

PIETRO. Non abbiamo specificato.

VERONICA. Non bisogna prendersela più di tanto, caro Pietro. Anch’io, vede, quando il mio povero Alberto (esplicativa) mio marito… passò a miglior vita…

MARGHERITA. (A Pietro, confidenziale). Proprio così: migliorò molto la sua vita, il povero Albert

VERONICA. Quando rimasi vedova, restai chiusa in casa per sei mesi; comprai diversi abiti neri, naturalmente con passamanerie e trine in colore, un fiore bianco qui… per alleggerire, che vuole. Scarpe e borse coordinate. Volevo comprarmi anche la pelliccia nera ma si andava nell’estate, non era la stagione adatta.

MARGHERITA. Bisognava festeggiare!

VERONICA. Che dice? Un funerale non è una festa!

MARGHERITA. Ma si può sempre renderlo meno triste, con piccoli accorgimenti: un fiore bianco, un nastro rosa, la borsa con iniziali in oro…

VERONICA. Questo fa parte del vivere civile! Dio mio, bisogna reagire alle avversità. E lei, caro Pietro, lei non reagisce?

PIETRO. Ma… veramente…

VERONICA. Mi deve scusare se ho abusato di un’espressione così confidenziale. Che vuole, abbiamo qualcosa in comune: una disgrazia ci unisce. Ciascuno la propria, vero!

PIETRO. Non si preoccupi. Va bene così. Anzi, preferisco abolire certi formalismi.

MARGHERITA. Oh, sì! Pietro è una persona molto cordiale. Sa come fare per conquistare la simpatia delle persone.

VERONICA. Vedo che siete già a buon punto. Bene, me ne compiaccio. Allora, caro Pietro, questo significa che ha deciso di seguire il mio consiglio. Sì: reagire! Bravo! Fa bene. Il difficile comincia ora. Ehhh, caro amico… possiamo considerarci amici, non è vero?

PIETRO. (In guardia). Ma, faccia lei.

VERONICA. Ma certo! L’amicizia è il capitale più prezioso che possiamo chiudere nello scrigno della vita. (Più confidenziale). Magari, le amicizie bisogna saperle scegliere: se è difficile in gioventù fare certe scelte, nell’età matura diventa addirittura un salto nel buio.

PIETRO. La ringrazio molto; sono cose che già sapevo.

MARGHERITA. Il signor Pietro è un uomo molto intelligente e… sa come comportarsi. Non c’è bisogno di dargli suggerimenti.

VERONICA. Chi ha intenzione di dargli suggerimenti! Il Cielo me ne guardi! Mi permetto solo di gettare là qualche consiglio… disinteressato. Sia ben chiaro: a titolo di amicizia, pura e semplice amicizia. Perché noi siamo amici, vero Pietro?

PIETRO. Se crede… saremo amici…

VERONICA. Certo che lo credo! Quello che intendo dire è che una scelta in età avanzata, presenta parecchie incognite: si sono già acquisite le nostre abitudini e non è facile, specialmente per un uomo, cambiare registro di vita. Dovrebbe saper trovare una donna che lo capisca, che abbia già esperienza nel gestire la casa, gli affetti, insomma adeguarsi alla nuova situazione. Quando si dice il caso… o forse un segno premonitore: sto arrivando giusto dal mercato. Poche cose, che vuole sono sola, mi basta talmente poco… Ma in cucina, non per dire, me la cavo piuttosto bene. La Buonanima me lo diceva sempre: “Veronica, come cucini te, nemmeno gli angeli!” Poveretto, ora dovrà provarla davvero la cucina degli angeli. Chissà le boccacce, poverino.

MARGHERITA. Stasera andiamo a prendere il gelato. Io lo prenderò di albicocca e… cos’è l’altro?

PIETRO. L’altro cosa?

MARGHERITA. Quel gelato che piaceva tanto alla Buonanima?

PIETRO. Ah, sì: fragola.

MARGHERITA. Ecco: fragola! Albicocca e fragola. Anche se le fragole non le ho mai digerite troppo bene, non importa. Bisogna adeguarsi: albicocca e fragole.

PIETRO. Va bene. Vedremo.

VERONICA. (A Pietro). Ti piace il gelato? Scusa, mi è sfuggito il “tu”… ma tanto, ormai…

PIETRO. Va bene, va bene così.

VERONICA. Conosco una gelateria, artigianale, fanno tutto in proprio: gestione familiare. Tu sentissi… una squisitezza! Non è molto lontano, possiamo arrivarci a piedi o, se preferisci andare in macchina, così dopo possiamo fare un giretto, magari arriviamo fino al mare, è vicino. La luna sulle onde è meravigliosa, così romantica… ci sarà la luna stasera?

MARGHERITA. Mi dispiace, non ho consultato il lunario.

VERONICA. Mai che sappia dirti qualcosa di preciso, quella lì!

PIETRO. L’amica Veronica ha il senso dell’immagine, della cartolina. Il mare. La luna, le onde… Ci manca un bel cuore nell’angolo in basso a sinistra. Un bel quadretto molto romantico, non c’è che dire.

VERONICA. Sono fatta così. Certe visioni mi vengono spontanee… specialmente se ci sarà la compagnia di un uomo… interessante, serio… un tantino maturo e affascinante.

MARGHERITA. Il quadro è proprio completo!

VERONICA. Anche al Piccolo Bar hanno dei buoni gelati, vero?

PIETRO. Sì, eccellenti.

VERONICA. Allora è deciso: un rinfresco frugale nella mia gelateria e poi via… il mare, la luna e… la notte è lunga… Ah, signorina Margherita, so che lei si corica molto presto la sera, non vorremmo rovinarle il riposo. Rimanga pure a casa, non si disturbi: Pietro ed io possiamo fare benissimo da soli, vero caro?

PIETRO.(Borbotta qualcosa di incomprensibile mentre si alza).

VERONICA. Come dici?... Quando passerai a prendermi?

PIETRO. (Sbotta). Mai!

VERONICA. Eh, eh. (Risolino forzato. A Margherita). Scherza. È allegro… Bene: gente allegra il Ciel l’aiuta. Alle nove può andare bene. Ti aspetto.

PIETRO. No! Non aspettarmi… né alle nove né mai!... Signora… Signorina… Molto piacere di averle conosciute. (A Margherita). Spiacente. Cause di forza maggiore mi costringono ad annullare quell’invito. Voglia scusarmi. Con permesso. (Esce).

MARGHERITA. (Angosciata). Pietro!... Pietro… è andato via…

VERONICA. Che razza d’individui si trovano in questo mondo!

MARGHERITA. Non tornerà più…

VERONICA. Buon viaggio! Ma ti dico io! Con la scusa del gelato, voleva provarci! La passeggiata in riva al mare, la luna… e chissà dove sarebbe arrivato! E io stavo per cascarci! Sa cosa le dico? Non si può mai essere sicuri, a questo mondo!

MARGHERITA. (In un crescendo di rabbia). Basta! Stai zitta! Ipocrita, sei stata la mia rovina! Hai distrutto la mia vita! Mostro! Non ho mai avuto un giorno di felicità. Mi hai sempre rovinato tutto! Vattene!

VERONICA. Cosa le prende, signorina Margherita?

MARGHERITA. Quale signorina?! Ci conosciamo da sempre, a un certo punto viene fuori questo bell’esemplare con la “Signorina Margherita”! perché poi? Forse per raggirarmi meglio, per togliermi quelle poche gioie che la vita aveva messo in serbo per me… per distruggermi (Piange) come distruggi tutto quello che ti circonda!

VERONICA. Signorina, non faccia così… su, su Margherita… Margie, sono io, la tua Verny… ci siamo sempre volute bene… Vuoi che torniamo a darci del tu? Se non è che questo… Potevi dirlo prima… credevo che ti facesse piacere essere considerata.

MARGHERITA. Bella considerazione… mi hai sempre trattata come uno straccio!

VERONICA. Io? Uno straccio! Come potrei? Sei la mia più cara amica.

MARGHERITA. Basta! Non ti sopporto più! (In un misto di rabbia e di pianto).  Mi hai sempre rubato tutto!

VERONICA. Cosa ti ho rubato, cara?

MARGHERITA. Tutto! Ogni volta che mi si presentava un’occasione tu, ti mettevi in mezzo e mi impedivi di arrivare in fondo… tu mi hai rubato ogni possibilità… uno straccio di marito, un fidanzato… uno spasimante… Tutte le donne ce l’hanno! Io no! Per colpa tua! Non l’ho mai avuto! Per colpa tua|

VERONICA. Non capisco a cosa tu voglia alludere. Ti ho sempre trattata come una buona amica.. senza malizia, ecco: senza ombra di malizia.

MARGHERITA. Ma io ti ammazzo! (Non trovandosi altra arma fra le mani, estrae alcuni ferri da calza e li brandisce minacciosa su Veronica). Voglio ucciderti! Voglio liberarmi di te!

VERONICA. (Impaurita, si ritrae, alza un braccio istintivamente). Aiuto! È pazza! Gente, correte! Vuole farmi male!

MARGHERITA. (Sbollita la rabbia, subentra lo scoramento. Lascia cadere i ferri, abbandona le mani sulla panchina, il capo riverso. Singhiozza). Cosa faccio… che dico… Pietro… dove sei andato? (A Veronica). Capisci, era l’ultima speranza… l’ultima possibilità. È andato via… non tornerà. Tu l’hai cacciato!

VERONICA. No… io… (Subitanea decisione). Vado a cercarlo. Tanto lontano non può essere… Conosci il suo indirizzo? (Margherita crolla la testa). Noo? Ma allora sei tu che non vuoi collaborare, figlia mia: l’ultima possibilità, l’ultima speranza… qui siamo all’ultima spiaggia.

MARGHERITA. (Continua il suo sogno). Mi voleva bene… mi avrebbe sposata… (più concretamente). Voleva rifarsi una vita. Lui non sa cuocersi un uovo al tegamino, poveretto, ha bisogno di una donna. Io sarei stata la sua cuoca, la sua infermiera, la sua guardarobiera… la sua amica. (Torna a sognare). Avrei mangiato il gelato di fragola, che non mi è mai piaciuto… Che importa se non siamo più tanto giovani, come si dice: il cuore non invecchia. L’amore più bello è quello spirituale, quello dei sentimenti…

VERONICA. Un amore… casto?

MARGHERITA. Suppongo. Ma che importa… Non c’è più… Un amore di nessun genere. (Torna a piangere).

VERONICA. (Prende un fazzoletto dalla sua borsa). Non fare così, Margie cara, prendi questo fazzoletto e asciugati gli occhi. È pulito, ho fatto la lavatrice proprio ieri, con l’ammorbidente alla fragranza di pesca. Per fortuna tu non usi trucco pesante agli occhi… altrimenti, con quelle lacrime, sai che maschera. Prendi, su.

MARGHERITA. Ho il mio.

VERONICA. Come credi. Questo ha un ricamo qui nell’angolo: un fiore, una margherita… fu un regalo della Buonanima, dice che lo aveva da tempo, lo aveva comprato non ricordava per chi… (sospetto) un fiore. Margherita! (La guarda di sbieco). Hai capito, la Buonanima!

MARGHERITA. Dicevi?

VERONICA. Nulla. Gli uomini sono tutti mascalzoni!

Margherita finisce di asciugarsi gli occhi, poi inforca gli occhiali, estrae la sua sciarpa e comincia a sferruzzare, con lo sguardo perso nel vuoto.

Veronica, non sapendo che fare, prende dalla sua borsa un giornale di cronaca rosa e comincia a legger. O meglio: a guardare le illustrazioni.

Buio.

Zona prato: entra il Giardiniere, seguito da uno spot.

Tutto il palcoscenico va gradatamente tingendosi di tenue luce rosata, molto tenue, quasi un sottofondo ad evidenziare l’azione degli attori.

GIARDINIERE. (Entra con la scopa, ramazzando qua e là). Siamo alle solite! Ci fosse un briciolo di educazione a questo mondo. Guarda qua! Dimmi te se è concepibile una cosa del genere! Addirittura sacchetti di plastica, gettati per terra! Ma, dico io, ci sono i contenitori, cosa ci vuole a metterceli dentro! E loro no! Per terra! Sempre così! Tutti i giorni, sempre così. Per non parlare della cartacce, buste dei merendini, carte dei gelati… (poggia la scopa in terra e ci si appoggia, dialogando con il pubblico). Meno male che andiamo verso la primavera, almeno non ci sarà pi l’ossessione delle foglie morte. Sono veramente un’ossessione per noi poveri giardinieri addetti alla pulizia dei parchi cittadini… Come dice, signora?... Sì, sono belle. Una foglia secca che si stacca dal ramo è uno spettacolo: scende ondeggiando, sorretta dall’aria… prima di qua, poi di là… un mezzo giro, cala un poco… un sussulto, risale appena, è lì ferma, a mezz’aria, poi si inclina su un fianco, viene giù di lato, si avvolge su se stessa… e finalmente si posa a tera, dolcemente, mollemente… Tutto bello, d’accordo ma, cara signora, bisognerebbe essere poeti… (Si sporge in avanti, sussurra in modo confidenziale). Io so appena leggere e scrivere… I casi della vita… che vuole: dovetti cominciare subito a lavorare, portare i soldi a casa… e così, giorno dopo giorno… Sempre uguali, oggi è come ieri, domani sarà come oggi: è la vita. Eh, cara signora… Eh?... Ah, lei insiste sulle foglie morte. Gliel’ho detto: sono belle… formano un bel tappeto marrone, un bel colore bruno che ti fa venire la voglia di rintanarti in un angolino con le mani distese sopra un bel fuoco scoppiettante, con la fiamma che guizza e ti illumina… ora troppo, ora poco: la vita che deve morire per rinascere. Un bel quadretto ma… bisognerebbe essere pittori. Io, invece… so appena leggere e scrivere. (Parere da esperto). Senza contare che basta un minimo rovescio di pioggia e tutto quel fogliame diventa una massa informe che si appiccica alla strada, al prato… e tocca a me pulire! Se sapesse… Meno male che andiamo verso la primavera; possiamo trovare qualche mozzicone di sigaretta, un accendisigari esaurito ma le foglie morte, fortunatamente cominciano a scomparire… Dietro quel cespuglio là in fondo, c’è sempre qualche siringa… e non c’è bisogno di essere poeti per capire che questo mondo è una schifezza! Per non parlare poi di quei piccoli aggeggi… che servono… che non sto a nominarvi perché non sta bene… ma tanto, sapete tutti cosa intendo dire… Come, signora?... Lei non lo sa?.... Li reclamizzano anche in televisione… Non ci arriva? Se lo faccia spiegare da quel signore, lì accanto a lei… Non è suo marito? Lo sospettavo! Comunque, lui, certamente lo sa! (Riprende a ramazzare). Beh, diamoci una mossa: lo stipendio devo guadagnarmelo!... Tuttii giorni, tutti uguali, sempre la stessa tiritera. Fosse solo per lo stipendio, farei presto… me ne danno talmente pochi che potrei… disperderli con una scopata! (Mossa più energica nel ramazzare. Poi, rivolto all’ipotetica signora). Stia tranquilla, non alludevo.

Il Giardiniere va a sedersi sulla panchina nel prato. Il suo spot si attenua.

Spot a luce piena sulle due donne.

MARGHERITA. (Occhi fissi davanti a se. Sogna un possibile rimedio alla sua solitudine. Breve pausa poi, ispirazione quasi divina). Un cane… un piccolo cane… alto così… da tenere in cassa… (Esplicativa). I cani fanno molta compagnia.

VERONICA. Più degli uomini, in certi casi.

MARGHERITA. Un cane si affeziona, diventa un amico, un compagno ideale. Ho sentito di certi cani che alla morte del padrone, si sono lasciati morire di fame.

VERONICA. Uomini simili non ne esistono. Mai esistiti!

MARGHERITA. Potrei risolvere i miei problemi, avere qualcuno cui accudire… che mi ripagherebbe con il suo affetto. Un cane sa ripagare le attenzioni che si hanno verso di lui: agita la coda, si strofina, annusa, porge la zampina…

VERONICA. Piccolo! I grossi cani non mi sono mai piaciuti! Ci fu un periodo in cui il povero Alberto voleva metter su un cane, ma a lui ne piaceva uno di taglia grossa, un cane da caccia. Che poi, lui a caccia non è mai andato ma aveva degli amici cacciatori, si era lasciato convincere. Fui chiarissima: “In questa casa, se ci mette piede un cane, vado fuori io! Scegli: o me o lui!” Non ne fece di nulla.

MARGHERITA. Un cagnolino piccolo, da tenere in casa, per poterci parlare, giocare… Lo porterei fuori a passeggiare, con un bel cappottino… glielo farei io, di lana. Quasta sciarpa non mi viene mai a fine, la disfaccio e con la lana recuperata ci faccio un bel cappottino a Bobi… o Fufi… come potrei chiamarlo?

MARGHERITA. Quindi… se prendo un cane…

VERONICA. (Decisiva). Barboncino! Bianco! Con collare rosso. Un piccolo sonaglio.

MARGHERITA. Sì, anche a me piacciono i barboncini… credi che si affezionerebbe anche a te?

VERONICA. Certamente! La maggior parte del suo tempo la passerebbe in casa mia. Ma, sia ben chiaro: i croccantini e i biscottini sono a carico tuo.

MARGHERITA. (Angosciata). Penso che non prenderò un cane… (Sospira). Addio… Bobi… O Fufi… Addio… (Riprende a sferruzzare).

Si attenua lo spot sulle donne.

Spot sul Giardiniere a luce piena.

Cambio di colore della luce diffusa: da rosa a celeste. Sempre molto tenue.

GIARDINIERE. Ancora seduto. Ha un mezzo sigaro incastonato dietro il lobo dell’orecchio. Durante il suo monologo si alza, passeggia, si appoggia alla scopa, soprattutto dialoga con il pubblico. La gestualità sarò adeguata a ciò che dice. Al termine si troverà di nuovo seduto.

     Dieci minuti di riposo. Come da accordi sindacali… Cara signora, quando uno ha passato otto  ore a pulire, spazzare, raccomandare ai visitatori di usare i cestini, convincere le mamme a sorvegliare i bambini… può essere pericoloso. Hanno messo uno scivolo là in fondo, dice che è collaudato ma, per me, i bambini piccoli vanno sorvegliati. Dieci minuti di pausa, ci vogliono! Ora mi fumo questo mezzo sigaro toscano, in santa pace, poi riprendiamo… Per la miseria, ho dimenticato i fiammiferi. Nessuno ha da farmi accendere?... No, grazie, non importa, meglio che non fumi. Passano i bambini, potrei dare il cattivo esempio; non vorrei essere accusato di corruzione di minori. Sapete: la campagna antifumo… Vuol dire che me lo fumerò a casa, dopocena… il fatto è che a mia moglie dà noia il fumo del sigaro… così, sono costretto a uscire e andare al mio solito bar per fumare il mio mezzo toscano in santa pace… è una scusa, va bene, d’altra parte, dopo aver lavorato tutta la giornata, uno avrà diritto di godersi un’ora in compagnia degli amici… Come?... Signora, lei è maliziosa, vorrebbe insinuare che il bar è solo un pretesto per uscire e andare a trovare… No, signora, non ho un’amante… purtroppo. Cioè, volevo dire: la mia vita scorre così, semplicemente, senza certi sussulti peccaminosi… un po’ monotona forse, sempre uguale, un binario diritto che ti porta… dove? Non si sa, o meglio, si sa: al capolinea… Signora, non mi faccia fare il filosofo, l’ho detto prima: so appena leggere e scrivere… Vado al bar! Mi concede di andare al bar? Grazie! Posso giocare una partitina a carte: briscola o scopa, per puro divertimento. Beviamo un caffé e chi perde paga tutto, non è un grosso rischio… Naturalmente perdo sempre. Mai una volta che mi riuscisse di vincere una partita! Non per il caffè, per carità! Non è questo il punto. Vincere una partita sarebbe come vivere una serata diversa… avrei qualcosa da raccontare… invece… Eh, cara signora, se sapesse… giornate tutte uguali, serate tutte uguali, notti tutte uguali. E c’è sempre qualcuno che ti sta sopra, ti sovrasta: nel lavoro, nella vita familiare, perfino nei divertimenti, nel gioco delle carte! Certe volte mi chiedo: quelli che stanno… al piano di sopra, i boss, i capi… anche loro fanno sempre le stesse cose, comandano ma sempre alla stessa maniera, le loro giornate si somigliano, sono tutte uguali anche per loro: urlano, battono i pugni sul tavolo, minacciano, si fanno ubbidire… tutti i giorni sempre allo stesso modo! Poveretti, come deve essere triste la loro vita, sempre a urlare, a comandare… Non ci avevo mai pensato!... Diciamocelo: è una soddisfazione! (Si siede sulla panchina, si allunga: è soddisfatto). C’è un po’ di giustizia in questo mondo! Soffriamo tutti di monotonia, di appiattimento… di sonnolenza… di…

Spot sul Giardiniere si attenua.

Spot sulle donne a luce piena.

MARGHERITA. (Come all’inizio della scena precedente). Un micino… Un gatto… Anche i gatti tengono compagnia…

VERONICA. Siamese! Grigio! Con un bel collare rosso! E un piccolo sonaglio. Il sonaglio ci vuole: capita che te lo ritrovi tra i piedi, rischi di calpestarlo e soprattutto di cadere e farti male. Un sonaglio, anche piccolo, ti avverte.

MARGHERITA. (Sognante). Un batuffolino caldo, peloso, morbido, da tenere sulle ginocchia, da carezzare…

VERONICA. In mancanza di meglio…

MARGHERITA. Un gattino che fa le fusa… ti chiede affetto, considerazione… (ci parla come se lo avesse davanti). Cosa c’è, micino bello… hai fame? Ti servo subito… Ti ho comprato una scatoletta di carne… pollo, con le verdure. Sentirai com’è buona. Ma non mangiarne troppa… se poi ti viene la bùa al pancino, come si fa? Tu devi stare sempre bene, in buona salute. Poi facciamo anche il bagnetto, con il bagno schiuma profumato, all’essenza di rosa… Che c’è? Che vuoi dirmi?

VERONICA. (Voce alterata come se parlasse il gatto). Vuoi farmi affogare? (Voce normale). Non lo sai che i gatti non si  lavano?

MARGHERITA. Lo avrei asciugato subito.

VERONICA. Con la centrifuga!

MARGHERITA. Ma per tenerli puliti…

VERONICA. Con la lingua arrivano in ogni parte del loro corpo. Così, si tengono puliti!

MARGHERITA. Già, non ci pensavo. Si lavano da se stessi.

VERONICA. Autolavaggio!

MARGHERITA. (Torna a parlare all’ipotetico gatto). Povero micino, non possiamo fare il bagnetto. Ma non te la prendere: giocheremo! Ti comprerò una pallina… di legno… con tutte le figurine sopra, dipinte… tanti bei micini, belli come te.

VERONICA. (Voce da gatto). Un pezzo di giornale… (Voce normale). Appallottolato.

MARGHERITA. Come? Non ho capito bene.

VERONICA. Si diverte di più con una palla fatta con carta di giornale.

MARGHERITA. Il mio Fufi?

VERONICA. Certi gatti si divertono a disfare la palla con le unghie, con i denti.

MARGHERITA. Ma così la rovina tutta. Bisognerà gettarla.

VERONICA. Se ne fa un’altra.

MARGHERITA. Sempre con il giornale?

VERONICA. Una rivista, carta patinata, resiste un po’ di più. Ci puoi andare avanti… chissà quanto.

MARGHERITA. Ma… tutti quei colori, sono inchiostri… velenosi. Non gli faranno male?

VERONICA. I gatti hanno gli anticorpi!

MARGHERITA. Ah, beh, allora… (Torna a sognare). Potrebbe dormire in quella cesta di vimini, gli comprerò un cuscino rosso… o grigio? Meglio grigio: più riposante.

VERONICA. Io ho sempre desiderato avere un gatto. Il povero Alberto era allergico, ho sempre dovuto rinunciare. Non si può avere tutto nella vita, ma ora penso che la Buonanima, di lassù mi direbbe: “Fai come credi, cara. Io ti guardo e sono contento se tu sei contenta”.

MARGHERITA. Hai intenzione di prender anche tu, un gatto?

VERONICA. Non precisamente ma, vedi cara, ho quel bel terrazzo grande, arioso, con i vasi dei fiori dove un micio ci starebbe proprio bene.

MARGHERITA. Ho capito.

VERONICA. I gatti mi hanno sempre adorato! Tutte le bestie mi adorano, ma i gatti, i micini…

MARGHERITA. Ti vengono dietro.

VERONICA. Proprio così. Non riesco a liberarmi. Il tuo Fufi, o come si chiama, ci starà benissimo… Qualche volta potrei portarlo a casa tua… ma non per molto: ne soffrirebbe. I gatti, è notorio, si affezionano all’ambiente in cui vivono, troppi cambiamenti potrebbero creargli dei complessi.

MARGHERITA. Già! Ci vorrebbe poi una visita dallo psicologo… Psicologo felino, intendo.

VERONICA. Non so se ne esistano ma in caso affermativo, prendi un appuntamento e glielo porti in clinica.

MARGHERITA. … a spese mie.

VERONICA. Naturalmente. Visto che siamo in argomento, dovresti provvedere anche alle scatolette, la lettiera…

MARGHERITA. Magari anche il giornale per fare le palline!

VERONICA. No, a questo posso provvedere io: compro sempre qualche giornale. Mi piace conoscere le notizie, sapere cosa succede nel mondo.

MARGHERITA. (Si impone di essere calma). Uno di questi giorni leggerai di due donne, amiche da una vita, una delle quali, al limite della sopportazione, ha ucciso l’altra!

VERONICA. Davvero? Dove è successo?... È una notizia vera?

MARGHERITA. No, purtroppo. I giornali dicono tante bugie… spesso non si ha nemmeno la forza di uccidere… o di uscire dalla situazione. È come se qualcuno ti avesse succhiata tutta la volontà. Non sei più capace di fare o dire qualsiasi cosa. Allora sopporti… sopporti… Addio Fufi… o come ti chiami… addio… addio… (Riprende il suo lavoro).

Si attenua lo spot sulle donne.

Spot a luce piena sul Giardiniere.

GIARDINIERE. (Si alza, mette la scopa sulla spalla). Proprio così. In questo mondo tutto è un rebus. Pochi ne conoscono la soluzione…. E la vita continua. Signori, buonanotte. (Esce camminando molto lentamente. Durante la sua uscita, tutte le luci si attenuano fino a spegnersi del tutto. Il sipario si chiude).

FINE