Via d’uscita

Stampa questo copione

VIA D’USCITA

Atto unico

di

Matteo Tibiletti

PERSONAGGI

Un giovane sui venticinque anni

Un vecchio, in realtà di poco più vecchio. Sui quarant’anni.



BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Matteo Tibiletti nasce a Varese il 23/10/1978. Da sempre coltiva una profonda passione per il cinema,

la fotografia e per la scrittura creativa. Autore di sceneggiature, racconti, poesie e copioni teatrali si

cimenta spesso come regista di brevi cortometraggi o shooting fotografici (su www.youtube.com/teotibi

e www.flickr.com/teotibi  è presente tutta la sua produzione).  Nel 2009 ha pubblicato tramite il sito

www.lulu.com   una raccolta dei suoi migliori scritti dal titolo “LO SCONOSCIUTO”.  Ha frequantato per cinque

anni la Scuola di Teatro Città di Varese. Dal 2008 è uno dei membri fondatori, attori e registi  dell’Associazione

culturale “Compagnia Duse” di Besozzo. Da gennaio 2012 è regolarmente iscritto alla SIAE come autore

teatrale e fotografo.

DATI DELL’AUTORE

NOME E COGNOME: Matteo Tibiletti

NATO A : Varese il 23/10/1978

RESIDENTE IN: Via C. Goldoni 41/B, Varese (VA)

INDIRIZZO MAIL:  tibilettimatteo@gmail.com

POSIZIONE SIAE: 213623

Scena 1

Dalla quinta di destra si apre uno spiraglio di luce molto intenso che illumina appena una parte del palco. Improvvisamente, come spinti con violenza da qualcuno all’esterno, entrano in scena, cadendo in malo modo, due uomini. La luce svanisce, si ode un rumore di porta che viene richiusa. I due uomini sono di corporatura atletica. Uno dei due è di poco più vecchio e ha qualche capello bianco. Indossa un completo grigio, da cerimonia. L’altro, più giovane, indossa jeans e camicia. Nella sequenza successiva, alternando luce e buio, i due verranno “fotografati” nel tentativo di evadere dalla situazione nella quale sono precipitati. Graffiano pareti, cercano di arrampicarsi, scavare, senza mai incontrare lo sguardo dell’altro: occupati soltanto a cercare una via di fuga. Buio.

Scena 2

Al riaccendersi delle luci, i due uomini sono seduti, rannicchiati, l’uno nel lato opposto all’altro del palco. Accennano vicendevolmente, qua e là, uno sguardo, timido, in tralice. Uno cerca di spezzare il silenzio con un colpo di tosse, l’altro alza lo sguardo, sembra voler dire qualcosa ma poi, sommessamente, richiude la bocca e torna a rannicchiare il viso tra le braccia appoggiate alle ginocchia. Buio.

Scena 3

Uno dei due uomini, quello più vecchio, è in piedi, sul lato destro del palco. Fuma una sigaretta. L’altro è sdraiato per terra. Quello in piedi, a un certo punto, probabilmente stanco del silenzio, tira una lunga boccata dalla sigaretta e poi parla. 

VECCHIO: Ehi? Ehi, tu! Sì, con te sto parlando. Ne vuoi una?

Il Giovane lo guarda e non risponde.

VECCHIO: Allora? Cos’è, non fumi, tu?

Nessuna risposta.

VECCHIO: Ma sei sordo?

GIOVANE: No.

VECCHIO: Allora ci senti! Perché non mi rispondevi?

Silenzio.

VECCHIO: Ho capito: il silenzio. È un viziaccio che mi sono levato qualche anno fa. Quando mi sono stancato di stare a sentire chi parlava senza avere nulla d’interessante da dire.

Il Giovane lo guarda e alza le sopracciglia, con aria di disprezzo.

VECCHIO: Che c’è? Non parli, tu, giusto? E allora sta’ zitto. Voglio dire, sta’ zitto anche con gli occhi!

Sorride.

VECCHIO: Cosa pensi? Che non ti abbia capito? Tu non parli, fai il tenebroso, però vuoi giudicarmi. Vorresti pure poter dire di conoscermi meglio di mia madre, vero?! 

Silenzio.

VECCHIO: Ma tu che vuoi? Sciacquati la bocca, prima di parlare di mia madre, tu! Non sai nemmeno di che parli!

GIOVANE: Ma se non ho nemmeno aperto bocca!

Il Vecchio sorride.

VECCHIO: Oh, finalmente! Allora le parole le hai! Magari sono conficcate bene in fondo alla gola e ci vuole una bella tenaglia per tirartele fuori… ma poi arrivano!

GIOVANE: Mi lasci in pace!

VECCHIO: Allora, ne vuoi una?

GIOVANE: Di cosa?

VECCHIO: Di cosa? Dico, ma che ti sembra che stia facendo io?

Il Vecchio indica la sigaretta.

VECCHIO: Allora? Ne vuoi?

GIOVANE: Sì.

Il Vecchio rovista nella tasca della giacca. Estrae il pacchetto, ci guarda dentro, poi lo stropiccia e lo getta a lato.

VECCHIO: Spiacente, le ho finite.

GIOVANE: Stronzo.

Il Vecchio gli si avvicina minaccioso.

VECCHIO: Sta’ attento, ragazzino! Modera il linguaggio o ti faccio finire male, è chiaro?

GIOVANE: Lei non sa chi sono io?

VECCHIO: Che hai detto?

GIOVANE: Lei non sa chi sono io?

VECCHIO: In che senso?

GIOVANE: Nel senso che manca questa frase “lei non sa chi sono io”. Di solito, gli stronzi agitano questa frase come fosse una bella bandiera da piantare nel culo di qualcuno più giovane per intimorirlo e farlo rimanere in silenzio, nell’angolo.

VECCHIO:Mmm… mmm. Ma ho incontrato la persona sbagliata, vero? È questo che intendi dire, corretto? Tu non sei il classico giovane che subisce i colpi e tace un’ingiustizia subita, vero? Tu sei un ribelle. Ma non come tutti gli altri tuoi coetanei, no! Tu sei più intelligente! Tu sai che non si può continuare a prendersela con il vento e la pioggia. Bisogna comprare l’ombrello per ripararsi dalla pioggia! Se poi l’ombrello è bucato, allora sì! Allora sì che si può prendere chi te l’ha venduto e ribellarti a lui. In quel caso ti è quasi permesso gonfiarlo di botte e calci nel culo!

GIOVANE: Wow, ora che mi ha sezionato come soltanto Hannibal Lecter avrebbe potuto fare credo che dovrò contenere le mie spontanee lacrime e sottacere il magone che mi ha fatto crescere in gola. 

VECCHIO: Già, dovresti, ma non lo farai, vero?

GIOVANE: No, non lo farò.

VECCHIO: Accidenti, sei proprio un osso duro, tu!

GIOVANE: Già! E lei è uno che non si fa mai mettere i piedi in testa da nessuno!

VECCHIO: Lo hai detto.

GIOVANE: Sì, l’ho detto.

VECCHIO: E hai fatto bene.

(Silenzio. Buio)

Scena 4

È passato del tempo. Il Giovane e il Vecchio stanno lottando. Sul finire dello scontro, il Vecchio riesce a buttare per terra il Giovane..

VECCHIO: Uno… due… tre! Mi spiace per te, ho vinto!

Il Vecchio si rialza e poi allunga la mano al Giovane, ancora steso a terra.

GIOVANE: Non ti esaltare. È stato solo un caso. Mi sono distratto.

VECCHIO: È ben quello che mi ha fatto vincere. È chiaro che la mia età non aiuta. Tu sei più giovane e potresti atterrarmi quando ti pare. Io devo badare alla concentrazione. Solo con quella che ti ho battuto.

GIOVANE: Mi stai dicendo che non ci ho messo concentrazione?

VECCHIO: Hai perso.

GIOVANE: E sarebbe colpa della concentrazione?

VECCHIO: Certo.

GIOVANE: Ne sei sicuro?

VECCHIO: Tanto quanto il fatto che se dovessimo ripetere la cosa, questa volta vinceresti tu.

GIOVANE: La disattenzione causa attenzione, secondo te?

VECCHIO: La disattenzione ti ha fatto fare una figura di merda. Su questo faccio conto. La prossima volta non sarai solo più arrabbiato, ma cercherai di stare attento a non ripetere gli stessi errori.

GIOVANE: Accidenti… non ho carta e penna, avrei potuto prendere appunti.

VECCHIO: Avresti dovuto.

GIOVANE: Cercherò di tenerlo a mente.

VECCHIO: Così avrai un altro motivo per distrarti la prossima volta.

Il Giovane sorride appena. Il Vecchio gli volta le spalle.

GIOVANE: Voglio la rivincita, ora!

Il Vecchio si volta, vede il Giovane che si getta addosso, ma lo blocca con una presa salda e lo butta a terra.

VECCHIO: Cosa fai? Mi attacchi quando sono di spalle?

Il Giovane, dolorante, si rialza in piedi, deluso dal mancato successo della sua sfida.

GIOVANE: Ora mi spieghi cosa c’entra la concentrazione?

VECCHIO: Nulla. E ti dirò di più, non c’entrava nulla nemmeno prima. Volevo solo illuderti. E ce l’ho fatta. La verità è che sono più forte io.

GIOVANE: Bastardo.

i due sorridono.

Scena 5

Il Giovane e il Vecchio stanno dormendo, rannicchiati ai lati opposti del palco. Sul lato destro si ode aprire la porta. Il solito spiraglio di luce illumina il palco. Una mano fa scivolare in scena un vassoio con una bottiglia di vino, del pane e del formaggio. Il Giovane e il Vecchio si svegliano. La porta si richiude. I due strisciano verso il vassoio. Guardano per alcuni istanti verso la quinta dello spiraglio, poi si avventano sul cibo.

VECCHIO: (gridando, verso l’esterno) Manca il caffè!

I due ridono. Buio.

Scena 6

Al centro del palco sono comparsi un tavolo e due sedie. Il Giovane e il Vecchio sono seduti ai lati opposti. Si guardano attorno. Il Vecchio osserva compiaciuto il legno del tavolo. Il Giovane cerca di capire la stabilità della sedia sulla quale è seduto.

VECCHIO: Mica male!

GIOVANE: Già, anche le sedie sono comode.

VECCHIO: Vero. Chissà, forse cominciamo a stargli simpatici.

GIOVANE: Secondo me, più che altro, cominciamo a fargli pena.

VECCHIO: No, non credo. Perché dovrebbe avere pena di noi? Cosa abbiamo fatto per meritarla?

GIOVANE: A pensarci bene, non abbiamo fatto molto nemmeno per meritarci questo.

VECCHIO: Questo? Questo cosa?

GIOVANE: Che fai, scherzi? Come sarebbe a dire “questo cosa?”. Dico, non ti sei accorto di dove ci troviamo?

VECCHIO: E allora? Qual è il problema?

Silenzio.

GIOVANE: Non so. No, nessun problema.

VECCHIO: Già

Silenzio.

GIOVANE: Ma, dimmi la verità, tu lo conosci?

VECCHIO: Ma chi?

GIOVANE: (indicando verso la quinta a destra)

Ma come chi? Lui, no?

VECCHIO: No, non credo almeno.

Silenzio.

GIOVANE: Ho sete.

VECCHIO: Aspetta. Dovrebbe essere avanzato qualcosa da bere dall’ultima volta.

Si alza e va verso la quinta di sinistra.

GIOVANE: Ultima volta?

VECCHIO: Sì, l’ultima volta che abbiamo mangiato.

GIOVANE: Ah.

Il Vecchio esce dalla quinta con una bottiglia piena per metà.

GIOVANE: Ma l’ultima volta che abbiamo mangiato… era pranzo o cena?

VECCHIO: Non saprei.

GIOVANE: (guardandosi attorno) Sarà giorno?

Silenzio.

GIOVANE: A volte mi chiedo se lui si renda conto del fatto che qui siamo praticamente al buio.

VECCHIO: (indicando le luci) Non proprio.

GIOVANE: No, intendo dire che non capisco come si possa vivere senza luce naturale. Parlo della luce del sole.

Beve una lunga sorsata dalla bottiglia e poi la passa al Vecchio, che beve a sua volta.

VECCHIO: Certo, si fa fatica. Ma non è che siamo in punto di morte.

GIOVANE: Vero.

VECCHIO: Ma è vero, anche io me lo sono chiesto. Mi sono chiesto se lui abbia mai amato la luce del sole. 

GIOVANE: Che c’entra questo? Magari lui è là fuori a prendere il sole sdraiato in spiaggia…

VECCHIO: Sì, magari con una bella troia che se lo massaggia…

Ridono.

GIOVANE: Se fosse così sarebbe proprio una tortura.

VECCHIO: Forse dovremmo abbassare la voce.

GIOVANE: Pensi che ci possa sentire?

VECCHIO: Non so. Certo che qualche sospetto me lo fa venire.

GIOVANE: In che senso?

VECCHIO: Senti, se tu ci avessi messo qui dentro, cosa faresti durante la giornata? 

GIOVANE: Be’…

VECCHIO: E non venirmi a dire che è come uno di quei film horror in cui dall’altra parte c’è un pazzo maniaco che ci gode a vederci morire.

Silenzio.

VECCHIO: Io sto meglio qui che a casa mia.

GIOVANE: Ti dirò…

VECCHIO: Se soltanto le porzioni fossero un po’ più corpose. 

GIOVANE: In effetti.

VECCHIO: Sarebbe anche più bello avere ogni tanto un po’ di musica.

GIOVANE: E delle sigarette.

VECCHIO: Perché no! 

GIOVANE: Una donna.

VECCHIO: O un uomo.

Silenzio.

VECCHIO: (imbarazzato) Con cui poter chiacchierare, intendo! Tu sei un ragazzino… di che posso parlare con te?! Non sai niente di niente!

GIOVANE: Non mi pare che tu sia un viveur.

VECCHIO: Che ne sai?

GIOVANE: Se vivere qui e vivere a casa per te è praticamente la stessa cosa…

Silenzio.

VECCHIO: Non è che è la stessa cosa. Solo… a casa mia c’è poco da fare.

GIOVANE: Poco da fare?

VECCHIO: Sì. Non c’è molto.

Silenzio.

VECCHIO: Sai com’è… la spesa una volta ogni due o tre giorni, un programma radiofonico, la telefonata a mia figlio alla domenica… un giro in macchina fino al lago. Una visita dal medico che ogni volta mi dice che è tutto ok e che sono sano come un pesce…

GIOVANE: Beato te!

VECCHIO: Perché? Sei malato?

GIOVANE: No.

VECCHIO: E allora? Vedi che parli senza sapere che cazzo dici?

Silenzio.

VECCHIO: Insomma, come ti dicevo, a fine settimana non so nemmeno che giorno è. Voglio dire, scopro che è fine settimana dal calendario. Calendario che è sempre appeso alla stessa parete da trentacinque anni. Da quando cioè sono andato a vivere lì con mia moglie.

GIOVANE: Sei sposato?

VECCHIO: No.

GIOVANE: E allora?

VECCHIO: Cosa?

GIOVANE: Di che moglie parli?

VECCHIO: Moglie?

GIOVANE: Sì, mi hai detto che trentacinque anni fa sei andato a vivere con tua moglie nella casa in cui i calendari sono appesi sempre sulla stessa parete.

VECCHIO: (in imbarazzo) Ehm… ti chiedo scusa, mi sono confuso. Mi riferivo a mio fratello. È mio fratello che è sposato da trentacinque anni.

GIOVANE: Quindi anche il calendario è il suo.

Silenzio. Il Vecchio abbassa lo sguardo.

VECCHIO: Sì, quello intendevo… certo.

Buio.

Scena 7

Oltre al tavolo, ora apparecchiato in maniera elegante, sono comparsi altri mobili: un comodino, una televisione, un divano. Il Giovane e il Vecchio entrano dalla quinta di sinistra.

GIOVANE: Io studiavo.

VECCHIO: Che?

Si mettono a sedere sul divano.

GIOVANE: Studiavo. Ho studiato per diventare architetto.

VECCHIO: Ma dai?

GIOVANE: Sì, ma non mi ci trovavo. 

VECCHIO: Poche amicizie?

GIOVANE: No, no.

VECCHIO: E allora, cosa?

GIOVANE: Non capivo. Non riuscivo a seguire i discorsi dei professori. Rimanevo affascinato dalle voci, dai cambi di tono, di intensità. Ma non capivo mai di che cosa stessero parlando. Mi lasciavo trasportare dai suoni. Per me è sempre stato un po’ così… anche prima di iscrivermi in università.

VECCHIO: Davvero?

Dalla quinta di destra si apre lo spiraglio. Viene spinto un vassoio pieno di dolci, in mezzo ai quali troneggia una bottiglia di liquore.

VECCHIO: Fantastico! Ecco il premio della giornata.

GIOVANE: Wow! Finalmente! Non ricordo l’ultima volta che ho bevuto un po’ di… cos’è quello?

VECCHIO: J&B.

GIOVANE: Ecco, J&B.

VECCHIO: Ne ricordo certe sbronze con il J&B. Ne ricordo una ad esempio…

GIOVANE: (si sovrappone fino a interromperlo) Ho cominciato a bere in università. Un mio amico, un compagno di corso aveva portato con sé una piccola fiaschetta. Mi piaceva quella fiaschetta. Sembrava proprio quella da barbone all’angolo della strada, hai presente? Be’, io guardavo quella fiaschetta e mi vedevo nel sottopasso, in mezzo ai rumori degli autobus e delle moto che affollano il centro. Mi immaginavo vestito di un completo nero, bucato e sporco. Percepivo addirittura gli odori di quella giornata. Probabilmente sarebbe stata una calda giornata estiva. Io avrei sudato e la gente mi avrebbe guardato con sgomento e disprezzo. Alcuni mi avrebbero forse gettato una moneta, ma i più mi avrebbero certo preso per il culo. Avrebbero gridato contro di me… e quando fosse scesa la notte me li sarei trovati di fronte armati di qualche coltello… pronti a farmi la festa per aver insudiciato il loro quartiere. Questo pensavo, guardando quella fiaschetta.

Silenzio.

VECCHIO: E insomma, com’è finita?

GIOVANE: Cosa?

VECCHIO: Sei diventato un alcolizzato al primo anno di università?

Ride. Il Giovane rimane serio.

GIOVANE: Niente affatto. Gli rubai la fiaschetta.

VECCHIO: Be’, se ne sarà comprata un’altra, giusto?

GIOVANE: No. 

VECCHIO: E allora com’è finita?

GIOVANE: Mi ha scoperto. Il giorno successivo mi ha visto, avevo la fiaschetta a tracolla. Mi è venuto incontro. Puzzava. Ricordo distintamente d’aver pensato che non meritasse proprio nulla, tantomeno quella bellissima fiaschetta. Cominciò a insultarmi, a spintonarmi con forza, fino a farmi cadere per terra. In breve si radunarono tutti gli studenti attorno a noi. Ridevano forte. E lui mi guardava con quel disprezzo che avevo sognato, pensando alla sua fiaschetta e alla mia vita da barbone.

VECCHIO: Ragazzo, ammettilo, non è stato un bel gesto il tuo. Magari avrebbe potuto regalartela se gliel’avessi anche solo chiesta, non ti pare?

GIOVANE: No. So che non me l’avrebbe neanche prestata. Ma questo non conta, perché non l’avrei voluta in prestito. Era mia. Avrebbe dovuto semplicemente passare di mano e arrivare a me. 

VECCHIO: Accidenti! È stato amore a prima vista.

Ride. Il Giovane abbassa lo sguardo.

VECCHIO: Avanti, beviamo alla tua fiaschetta.

Versa da bere e porge al Giovane il bicchiere.

Che ne dici? Ti va un dolce?

GIOVANE:  (guardando il vassoio colmo di pasticcini) No, non ho fame.

Silenzio.

VECCHIO: Neanche io, in effetti. 

Brindano. Buio.

Scena 8

Si apre lo spiraglio a destra. La mano misteriosa getta in scena la fiaschetta. Il Giovane si avventa, ma il Vecchio la raccoglie per primo. La tiene alta, sopra la testa per impedire a giovane di raggiungerla.

GIOVANE: Lasciala.

VECCHIO: Ecco qui, finalmente! La famosa fiaschetta!

GIOVANE: Non farmi incazzare, stronzo! Dammela o giuro che te ne farò pentire.

VECCHIO: Falla vedere anche a me, no? Cos’è, vietato?

GIOVANE: Sì! Lasciala, ho detto!

VECCHIO: (minaccioso) Niente affatto, cretino! Qui di regole non ce ne sono mai state! E ora io darò un’occhiata a questa cosa, d’accordo?!

GIOVANE: Dammela!

Il Vecchio si volta a osservare la fiaschetta. Il Giovane per un attimo si ferma. Stringe i pugni. Si avvicina a vecchio e lo colpisce sulla schiena, con forza. Il Vecchio cade a terra, batte la testa. Il Giovane gli si avventa contro con maggior forza, continua a colpirlo con violenza. Il Vecchio è svenuto.

GIOVANE: (riprendendosi la fiaschetta) Ti avevo detto di non fare lo stronzo!

Il Vecchio non risponde. È immobile. 

GIOVANE: Ti ho fatto male?

Silenzio.

GIOVANE: Allora?

Silenzio.

GIOVANE: Ehi, vecchio?

Il Giovane gli si avvicina, lo scuote. Il Vecchio si gira, lo prende per il bavero e lo stende a terra, per poi colpirlo più volte in viso.

VECCHIO: (aprendo gli occhi all'improvviso) Idiota, che ti credi di fare? Per chi cazzo mi hai preso?!

Il Vecchio si alza in piedi. Gli prende di mano la fiaschetta e si allontana in silenzio. Va a sedersi. Si versa del liquido sulla mano dalla bottiglia di whisky per poi cercare di disinfettarsi con quello la ferita che ha scoperto avere sul labbro inferiore. Il Giovane si rialza.

VECCHIO: Vieni qui, disinfettati!

GIOVANE: Non mi sono fatto niente!

VECCHIO: Cazzate, vieni qui.

Il Giovane si avvicina. Il Vecchio lo guarda e gli lancia la fiaschetta.

VECCHIO: Non male la tua fiaschetta.

GIOVANE: Grazie.

Il Giovane si siede e si disinfetta con il whisky. Buio.

Scena 9

Si riaccendono le luci. La scena ora è un vero e proprio salotto borghese. Al centro del palco, riverso su di un tappeto c’è il corpo del Giovane, senza vita. Al tavolo, ormai ubriaco e in lacrime, il Vecchio.

VECCHIO: Non ricordo quando è successo. Anni fa, credo. Ma è tutto così annebbiato, così confuso. Non vedo nemmeno più molto bene le mie mani, quando le metto davanti agli occhi. Potrei dire che sono ancora sporche, ma non lo so, perché non ci vedo più. Di sicuro non è successo poco tempo fa. Questo sì, altrimenti sentirei ancora i profumi, gli odori, i rumori. Come quando stavo nel sottopasso. E le macchine sfrecciavano davanti ai miei occhi, così come i passanti. Era sera, una sera d’estate, tanto tempo fa. Non tirava un filo di vento e il sudore mi aveva appiccicato addosso un vestito troppo vecchio per essere messo. Le voci delle persone arrivavano tra un bicchiere e l’altro. La realtà e la fantasia si sono mischiate come l’acqua nel J&B… non ricordo nulla. Eppure rivedo in sogno quelle mani, l’odore del cuoio della mia fiaschetta. Ricordo ogni singolo istante, tranne la complessità della scena. È come non avere più campo visivo per tradurre le immagini in pensieri, e i pensieri in azioni. Ricordo il buio su di me. I pugni, gli insulti. “Non farmi incazzare, stronzo! Dammela o giuro che te ne farò pentire”. E io ridevo. Ridevo perché non stavo capendo assolutamente nulla. 

Silenzio.

VECCHIO: Ripensavo a mio fratello. A quante volte gli ho fottuto la moglie senza che se ne accorgesse! Intanto il buio ha continuato a mescolarsi ai raggi del sole. Gli ultimi che ho potuto vedere prima di chiudere gli occhi. Ho ripensato agli occhi di mio figlio, l’unica volta in cui mi è stato possibile vederlo. Sorridendo, ho pensato che lo sguardo era lo stesso che avevo io. E mio fratello. Il sangue ha cominciato a scorrermi addosso, o forse era la bottiglia che avevo rovesciato sul vestito a darmi quella sensazione. Non volevo mollare la presa. Fossi dannato se su quella fiaschetta non c’era scritto il mio nome. Fanculo allo studentello che ancora non sapeva nulla della vita. Fanculo a lui e a tutte le sue pretese inutili di una vita che tanto non è in grado di fare altro che deludere! “La vita è altro, svegliati!”, gli ho gridato, ma quello non ha voluto sentire ragioni. Pestava sodo, lo stronzetto.

Silenzio. Si versa da bere. Beve.

VECCHIO: La presa al collo stava diventando insopportabile, l’aria mancava sul serio! Pensai che forse avrei potuto lasciarmi andare, rendere l’anima a chi avrebbe potuto seriamente giudicarla. Ma no, fanculo al ragazzino!

Spacca la bottiglia contro il tavolo.

VECCHIO: E ora? Eh? Come la mettiamo, stronzetto! Vediamo se hai ancora il coraggio di giudicarmi senza nemmeno darmi il tempo di offrirti una sigaretta.

Appoggia la bottiglia rotta sul tavolo. Si apre lo spiraglio a destra. Rimane aperto. Il Vecchio guarda a lungo in quella direzione, poi si alza e si dirige verso l’uscita. Si volta un’ultima volta verso il corpo del ragazzo, gli si avvicina. Gli prende la fiaschetta. Esce. La porta viene richiusa.

Buio.