Viaggio di nozze

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commedia in tre atti

di EZIO D'ERRICO

PERSONAGGI

MARCELLA

VITTORIO

LA SIGNORA GIULIA

LO ZIO GIACOMINO

LUCIA

GIANNI

UN BRIGADIERE DI POLIZIA

NOTE DI REGIA

Ricco di colpi di scena e di situazioni drammatiche ad alta tensione, Viaggio di nozze si avvale di una tecnica scaltrita, di una « macchina » teatrale ben congegnata, sorretta da un dialogo funziona-lissimo, che non gira mai a vuoto. Guardate per esempio le prime battute dei coniugi Berutti: usuali, quotidiane, sembrano non dire nulla di speciale, esser messe lì tanto per dare tempo agli spettatori di prendere posto in sala, eppure svelano una forma mentis, misurano con esatto termometro il grado so­ciale dei Berutti, le loro limitazioni. Al regista che metterà in scena la commedia non vorremmo con­sigliare altro che questa estrema attenzione alla battuta: è il punto di vista migliore perché si scopra, al di là di una meccanica superiore, la sostanza intima della commedia, la sua dolorante verità. Marcella, ricercata dalla polizia (e dunque bollata per sempre per i Berutti e per la Signora Giulia, inca­pace di un disinteressato atto di pietà) è a suo posto nell'intrigo, il suo personaggio « funziona ». La Signora Giulia, chiusa nel suo ostinato egoismo di madre, lo zio Giacomino, con la sua accomodante faciloneria, Vittorio, che tenta di sollevarsi dal suo disperato abisso, sono gli elementi indispensabili perché l'ingranaggio si muova. Ma il regista non si fermi a questo, vada più a fondo, faccia chiaro al pubblico qual'è la vera natura di Marcella e qual'è quella della Signora Giulia: la prima generosa, te­nera, capace di un profondo atto d'amore; la seconda chiusa nel suo caparbio e animale egoismo. E dimostri, come vuole, l'autore, da che parte si trovi la verità, al di là di ogni assurdo pregiudizio.

A. C.

NOTE DI SCENOGRAFIA

Risulta evidente alla prima lettura la precisa funzione di ognuno dei tre atti e — di conse­guenza — la particolare intenzione che in ciascuno di essi dovrà essere sottolineata dalla mede­sima scena.

Un primo atto d'impostazione, di descrizione di un ambiente e di una situazione: alla scial­ba luce serale dell'«esecrabile lampadario»nel modesto  e borghese soggiorno di casa  Berutti.

Un secondo atto in cui i protagonisti s'incontrano e vivono una notte insieme, liberandosi dall'angoscia della loro reale situazione: alla luce fioca delle candele e del riflesso della luna al di là dei vetri della finestra.

Un terzo atto in cui il sogno della notte e le speranze che ne sono nate urtano e s'infran­gono contro la realtà di una madre e di uno zio venuti per riprendere lui e della polizia venuta a cercare lei:  alla cruda luce del mattino,   un mattino nella periferia di una grande città.

Poco importa naturalmente se là dove diciamo atto dovremmo invece dire quadro, se cioè la suddivisione del lavoro è in realtà un poco dissimile: indubbiamente questa è la struttura della commedia, soprattutto per quanto riguarda la scena. Tenendo presente tutto questo, la ricerca degli altri elementi determinanti dell'ambiente, la soluzione delle particolari esigenze sceniche, l'articolarsi della scena in funzione dell'azione che in essa prenderà vita risulteranno notevolmente facilitati. E diremo subito che da parte dell'autore non mancano certo le precise, scrupolose in­dicazioni, sia nella didascalia sia nel dialogo, indicazioni che se per un verso agevolano il lavoro dello scenografo, per altro lo impegnano a una estrema cura dei particolari, a un'accorta dosa­tura degli effetti, a una sensibile fusione ambientale.

Si rifletta ad esempio sulla descrizione della scena nella didascalia iniziale: non si potrà non notarne l'acutezza e la meticolosità che son proprie di chi — come il d'Errico — ha dimesti­chezza con i mezzi dell'espressione figurativa. Il soggiorno di casa Berutti è immediatamente definito,  e il dialogo e l'azione non faranno che completarne la già precisa fisionomia.

Si pensi inoltre all'ambientazione del lavoro: si parla genericamente di una grande città, che deve farsi sentire per quel che se ne intravede dalla finestra, per i molti dialoghi che vengono iniziati all'esterno, per le molte azioni fuori scena. Una grande città non precisata, ma come non riconoscervi Torino, non tanto per le vicine località citate nel dialogo, quanto per certe indica­zioni come quella delle «decorazioni floreali in metallo» che sovrastano l'ingresso e che immedia­tamente richiamano alla mente certa architettura della periferia della città piemontese? È questo un dato di non poco conto se si vorrà dare alla scena una struttura non anonima, una dimen­sione umana precisa, pur senza legarla — naturalmente — a una indicazione topografica che non avrebbe senso.

Se a tutte queste indicazioni e suggerimenti si aggiunge appunto la particolare impostazione ia dare all'illuminazione nel corso dei tre atti, si avrà ben chiaro, ci sembra, l'insieme dei pro­blemi scenografici che il lavoro pone. E chiaro infatti come in virtù di un'accorta illuminazione si debba poter radicalmente cambiare tono e aspetto di una scena fissa realisticamente trattata. Da questo punto di vista i due punti salienti da risolvere sono quelli dell'atmosfera, da creare per l'incontro dei due protagonisti (un ambiente smaterializzato, reso quasi irreale) e per le sce­ne del mattino seguente (una luce livida che riveli ogni particolare di un ambiente meschino ove il naufragio di un sogno non può essere evitato).

Particolarmente importante la trattazione cromatica della scena, di una certa complessità pittorica, tanto da non permetterci di spiegarci a parole, né ci è consentito di farlo con esem­pio: spetterà allo scenografo e alla sua sensibilità cogliere il giusto tono.

m. m.


PRIMO ATTO

Camera di soggiorno in casa dei coniugi Berutti, in un piano terreno rialzato non lungi dalla stazione ferroviaria di una grande città. Arredamento vecchiotto ma decoroso, in stile principio di secolo. Una cristalliera, un tavolo, un sofà, due poltrone, qualche sedia, e al centro del «plafond» un esecrabile lampadario in ferro battuto. Nella parete di fondo, a destra di chi guarda, un'ampia finestra permette di scorgere la sommità di qualche gracile albe­rello e le lance della cancellata che delimita la striscia di giardino antistante la casa. Sempre nella parete di fondo, a sinistra di chi guarda, l'uscio d'ingresso, la cui parete superiore è in vetro polveroso con decorazioni floreali in metallo. Un uscio a destra e due a sinistra. A destra la camera da letto che i coniugi danni e Lucia Berutti subaffittano, a sinistra la loro camera matrimoniale. L'altro uscio servirà al regista per i movimenti di entrata e di uscita dei  personaggi  secondo  le  necessità  del  testo.

All'alzarsi del sipario, i coniugi Berutti stanno terminando di consumare la loro parca cena. Sono due persone anziane della piccola borghesia, bene educate e rispettabili. E' sera; il lampadario è acceso.

Lucia — Vuoi un pezzetto di formaggio?

Gianni — Grazie... sai pure che alla sera...

Lucia — (alzandosi per cambiare i piatti) Mi pare che tu abbia mangiato poco.

Gianni — (distrattamente) Si mangia sem­pre troppo.

Lucia — (dirigendosi verso la cucina) Se stai a sentire quello che dicono i giornali... (Via).

(Rimasto solo, danni, cava di tasca l'oro­logio a cipolla, guarda l'ora, tamburella con le dita  sulla tovaglia,  canticchia).

Lucia — (rientrando coi piatti puliti) Ades­so è venuta la moda di mangiar poco; di dimagrire... Niente pane, niente carne, niente farinacei... Beati i nostri vecchi che non ave­vano queste preoccupazioni. (Va alla cristal­liera e ne ritorna con la frutta, poche mele su di un piatto).

Gianni — I nostri vecchi morivano senza sapere perché. Noi sappiamo che gli acidi urici e l'indurimento delle arterie sono alla base del nostro decadimento fisico.

Lucia — (sedendo) Bel vantaggio!

Gianni — (prendendo una mela e palpan­dola) Queste mele diventano ogni giorno più legnose...

Lucia ( prendendone un'altra e sostituen­dola nel piatto del marito) Prendi questa, è un po' più matura.

Gianni — Già, così l'acerba la mangi tu.

Lucia — (conciliante)  Mi darai uno spic­chio della tua. Sai che alla frutta non ci tengo.

Gianni — (sbucciando la mela)  Io invece vivrei di frutta... Sarà perché sono nato in campagna.

Lucia — (sorridendo) Un'altra delle tue fissazioni.

Gianni — (offrendo alla moglie metà della mela) Non è forse vero che sono nato in cam­pagna?

Lucia — (ridendo)  Sì,  ma  sei  venuto in città a quindici anni e non ti sei più mosso. Gianni — (come   colpito    dall'osservazione) Quindici anni... È spaventoso!

Lucia — Perché? Tutti abbiamo avuto quindici anni...

Gianni — È spaventoso che  sia passato mezzo secolo... Pensa... noi abbiamo dei ri­cordi di mezzo secolo fa...

Lucia — Beh, io ero una bambina.

Gianni — Io invece rammento   tutto.  Il regicidio di Monza... la guerra dei boxer in Cina... il traforo del Sempione...

Lucia — Tu hai sempre letto i giornali...

Gianni — (allontanando il piatto) Abbi pa­zienza, ma anche questa mela è immangiabile.

Lucia — Siamo a fine stagione; mele non ce ne sono più... le ciliege  e le  albicocche costano un occhio...  Sapessi quello che  ho speso questa mattina. (Alzandosi) Ma già... che sciocca. (Dirigendosi verso la cristalliera) Potevo  darti almeno  qualche  ciliegia...

Gianni — No, no, quelle non si tocca.no...

Lucia — (ritornando con una fruttiera di ciliege e di albicocche) Guarda che meraviglia! (Deponendola davanti al marito) Questa è frutta! (Togliendo due albicocche e mettendole sul piatto di Gianni) Su, mangia almeno queste.

Gianni — (difendendosi debolmente) Ma no.. poi si vedrà che mancano...

Lucia — (sorridendo) Che cosa vuoi che si veda? Sai pure che servono soltanto per figura...  Ecco, io  assaggerò due ciliege.

Gianni — (annusando golosamente un'al­bicocca) Se capita il cavalier Savelli...

Lucia — Non pensarci nemmeno. Quello arriverà in ritardo come al solito. (Mangiando qualche ciliegia) Buone eh? Sai quanto ho speso?    Seicentocinquanta   lire...

Gianni — Solo per la frutta?

Lucia — Naturalmente. Più settecento lire per il pollo in gelatina... due porzioni sol­tanto, beninteso... Trecento lire il budino di cioccolato... cento lire i grissini... Insomma, se ne sono andate quasi duemila lire. E non calcolo la bottiglia di champagne...

Gianni — (ridendo) Vorrei vedere... è sem­pre la stessa.

Lucia — Già, ma il resto l'ho pagato in moneta sonante, e domani la signora Giulia farà le solite meraviglie... (Imitandone la voce) Come è cara la vita in città, in provincia si vive con molto meno, e tatatì e tatatà...

Gianni — Io poi non ci ho mai creduto... In provincia pagherai un po' meno la frutta, che è poi quella di scarto...

Lucia — Che cosa pretenderebbe? Che una cena col pollo e il dolce venisse a costare centocinquanta lire,  come dieci anni fa?

Gianni — (un po' stupito) Centocinquanta lire?

Lucia — Me lo ricordo benissimo... com­preso lo spumante...

Gianni — Beh, non consideri che quella poveretta paga una cena che domani mange­remo noi...

Lucia — (alzandosi e incominciando a spa­recchiare) Che discorsi... Perciò non le metto in conto la camera...

Gianni — (alzandosi e incominciando a caricare la pipa) Va' là, che ti fai pagare anche quella...

Lucia — Non è vero.

Gianni — (ridacchiando)... in separata se­de... dallo zio Giacomino...

Lucia — (ridendo) Ma no... l'anno scorso il cavalier Savelli ha voluto aggiungere cin­quecento lire a titolo di regalo. Ecco tutto... Non credere che sia molto più generoso della sorella... D'altronde, quando si è dei vecchi pensionati come noi, bisogna stare attenti anche al soldo... Se non fossimo stretti dal bisogno, non si affitterebbe la camera...

Gianni — (mentre accende la pipa) Eh già... se una volta ci avessero detto che da vecchi avremmo subaffittato una camera... Mah... Ai nostri tempi era quasi un disonore...

Lucia — Oramai lo fanno tutti. Staremmo freschi senza quella piccola risorsa... Questo mese, che è rimasta vuota, mi trovo già in difficoltà...

Gianni — Pazienza... Consolati pensando che faremo a meno di dormire sulle brandine in cucina...

Lucia — Che ore sono?

Gianni — (sedendo in poltrona e con un'oc­chiata all'orologio) Le nove e mezza...

Lucia —  Beh, ti dò cinque minuti, poi mi fai il piacere di smetterla e apriamo la finestra.

Gianni — (imbronciato) Ma se c'è ancora mezz'ora!

Lucia — (rassettando la camera) Altro che mezz'ora ci vuole, per mandar via il fumo della pipa.

Gianni — (bofonchiando) Macché fumo... Dopo tanti anni ti agiti e ti preoccupi come se fosse sempre la prima volta...

Lucia — Non mi agito affatto. (Pausa) E poi sì... perché nasconderlo? È sempre un po' emozionante. (Pausa) È come se venisse un fantasma,  no?

Gianni — (ridendo) Addirittura...

Lucia — Mi sono espressa male... (Pausa) Comunque ogni anno, quando arriva il cava­liere col telegramma della sorella, mi accorgo di aver sperato che questa storia fosse finita...

Gianni — Io invece ci ho fatto l'abitudine.

Lucia — (dopo una pausa) Credi che sarà invecchiato?

Gianni — Invecchiato? Un uomo di tren­tacinque   anni...

Lucia — L'ultima volta ho notato che aveva qualche filo bianco qui... (Si tocca le tempia).

Gianni — (ridacchiando)   Vorrei   avercelo io qualche filo bianco, e avere i suoi trenta­cinque anni!

Lucia — Oh senti, preferisco i tuoi ses­santacinque in buona salute.

Gianni — Anche lui è in buona salute.

Lucia — Secondo i punti di vista... (Pau­sa, poi con un sospiro di impazienza) Che ore sono?

Gianni — (cavando l'orologio) E dalli! Le nove e trentacinque...

Lucia — (accostandosi alla finestra) Mi era sembrato di sentire la carrozza...

Gianni — (con un sospiro) Il treno arriva alle nove e quarantacinque... Gli vuoi dare il tempo di scendere, di cercare una vettura, di caricare le valigie...

Lucia — (come fra sé) E pensare che dalla stazione a qui ci si mettono dieci minuti a piedi.

Gianni — Ma lui non lo sa.

Lucia — Già... lui non lo sa...

Gianni — (dopo una pausa) Le candele le hai preparate?

Lucia — Glie l'ho messe sul comò... (Come parlando a se stessa) Sempre le stesse candele... hanno la stessa polvere della bottiglia di spu­mante...

(Si ode il dlin dlin del campanello sovra­stante l'uscio. Evidentemente qualcuno ha tirato il filo metallico del cancelletto).

Lucia — (sussultando)  Eccolo!

Gianni — (alzandosi  pigramente)   Ma  no, non può essere.  (Va alla finestra e ne scosta le tendine) È una donna... (Dirigendosi verso l'uscio d'ingresso) Qualcuno che ha sbagliato. (Esce).

Dall'uscio rimasto semi-aperto, Lucia sorve­glia il colloquio, poi si ritrae. Dal giardino entra Marcella seguita da Gianni. Marcella è una ragazza di una bellezza lievemente equi­voca. Sembra stanca e un po' spaurita. Veste con una certa eleganza; tra le mani ha una valigetta.

Marcella — Buona sera, signora.

Lucia — Buona sera.

Gianni — Questa signorina vorrebbe una camera...

Lucia — Per quanto tempo?

Gianni — L'ho avvertita che abbiamo l'abitudine di affittare a mese, ma...

Marcella — (interrompendo) Suo marito mi ha detto... ma vorrei pregarla di fare un'eccezione... vuol dire che pagherò di più.

Lucia — Per quanti giorni la vorrebbe?

Marcella — (timidamente) Veramente do­vrei ripartire domani... ma potrei fermarmi anche   due   giorni...

Lucia — Ah no, mi dispiace...

Gianni — Senti, Lucia, non si potrebbe...

Lucia — (seccamente) L'abbiamo negato anche ad altri, e si trattava di persone rac­comandate...

Marcella — Se volesse usarmi una cor­tesia... Anche solo per questa notte...

Lucia — (squadrando la nuova venuta con scarsa indulgenza) Perché poi non è andata in albergo? Ce ne sono tanti vicini alla sta­zione...

Marcella — (sorridendo e facendosi più u-mile) Ha ragione, signora, ma non mi piace l'albergo... Quando viaggio, preferisco una camera presso qualche famiglia per bene... (Accennando verso il giardino) Perciò, quando ho letto il cartello...

Lucia — (sempre sostenuta) Capisco... (A Gianni) Bisognerà cambiare la dicitura di quel benedetto cartello. (A Marcella) Lei com­prenderà che fra biancheria, sapone, servizio ecc... per ventiquattro ore non conviene...

Gianni — (conciliante) Beh, per una volta... Visto che la signorina è disposta a pagare qualche cosa di più...

Lucia — (con accentuato malumore) Non è questione di prezzo. Sai pure che non ne facciamo una speculazione... (A Marcella) Quindicimila al mese sono poche, ma mille lire per un giorno non servono a niente; le  pare?

Marcella — Glie ne darò duemila, glie le dò anticipate...

Lucia — (al marito) Questa sera poi aspet­tiamo gente, lo sai...

Gianni — (stringendosi nelle spalle) Met­teremo le solite brandine...

Lucia — (con un sospiro) E va bene... (Avviandosi verso destra) La camera è questa... (Si ferma, accorgendosi che Marcella non la segue).

Marcella — Grazie, signora, sono certa che andrà bene.

Lucia — (dirigendosi verso sinistra) Allora le porto la biancheria. (Via).

Gianni — (appena la moglie è uscita) Si accomodi,  signorina.   (Indica  una  poltrona).

Marcella — (sedendo) Grazie.

Gianni — (caricando distrattamente la pi­pa) Quando si dice la combinazione... sono quindici giorni che è sfitta, e proprio questa sera...

Marcella — Mi spiace averle dato tanto disturbo...

Gianni — Ma no, che disturbo... sa come succede, certe volte gli avvenimenti si acca­vallano.

Marcella — (sorridendo)   Succede...

Gianni — (dopo una pausa) Aspettiamo anche delle persone... vecchi amici di famiglia che  vengono  dalla provincia...

Marcella — Capisco... Anch'io ho dovuto partire all'improvviso e... (S'interrompe per l'ingresso di Lucia).

Lucia — (entrando con le lenzuola e le federe) Gianni, la vuoi smettere di fumare? (Via per la destra).

Gianni — Non stavo affatto fumando. (Ri­mette la pipa in tasca e strizza, sorridendo, l'oc­chio  a  Marcella).

Marcella — Se è per me, fumi pure, non mi dà nessuna noia...

Gianni — Grazie... Ma mia moglie ha ra­gione. Il fumo della pipa non è gradevole... (Altra pausa imbarazzante) Lei viene da Milano?

Marcella — Sì, da Milano... (Dopo un attimo di esitazione) Domani dovrei ripartire... ma con la corriera... vado in provincia.

Gianni — Noi abbiamo l'orario delle cor­riere. Se mi vuol dire dove deve andare...

Marcella — (imbarazzata) A... a coso... (Battendosi la fronte) Come si chiama... (Ri­dendo nervosamente) Ma guardi che sciocca... in questo momento non mi viene il nome del paese...

Gianni — (bonario) Una piccola amnesia... capita...

Marcella — Un paese non molto grande... Oh Dio, come si chiama?

Gianni — (cercando dì aiutarla) Un paese di villeggiatura?

Marcella — (a casaccio) Vicino a Rivoli...

Gianni — Vicino a Rivoli? Vediamo un po'... non sarà Giaveno? Oppure Avigliana?

Marcella — Ecco! Avigliana!

Gianni — (alzandosi e andando alla cri­stalliera) Abbiamo degli amici ad Avigliana... i signori Clerici, che hanno una nipote sposata con un altro amico nostro, un ricevitore del Registro...

Marcella — Io è la prima volta che ci vado...

Gianni — (frugando nei cassetti) È un grazioso paese, un paese ricco. Ora poi con la rivalutazione dei terreni... E pensare che a suo tempo avrei potuto comperare anch'io un pezzo di terra laggiù... Oggi avrei un capitale!

Lucia — (rientrando)   Il  letto   è  pronto!

Marcella — (alzandosi) Grazie, signora. (Aprendo la borsetta) Allora... intanto le dò le   duemila  lire...

Lucia — Ma no, pagherà domani... Piut­tosto, se ha qualche documento... (Al marito) Vuoi darmi il blocchetto delle notifiche?

Gianni — Subito. (Seguitando a rovistare nei cassetti) Dove diavolo è andato a finire l'orario delle corriere? (Portando alla moglie il blocchetto delle notifiche)  L'hai preso tu?

Lucia — Che  cosa?

Gianni — L'orario delle corriere... La si­gnorina deve andare ad Avigliana.

Lucia — (sedendo al tavolo) Ma cosa vuoi che ne sappia... Dammi la penna...

Gianni — (cavando una stilografica) Tieni.

Marcella — Ho una tessera postale, ma è scaduta.   (Porgendola)  Non fa nulla?

Lucia — Se ci sono tutte le generalità... (Leggendo) Marcella Silvani fu Oreste. (Si mette a scrivere).

Marcella — E fu Rosa Mancini...

Lucia — (continuando a scrivere) Profes­sione?

Marcella — Metta casalinga.

Lucia — Proveniente?

Marcella — Da Milano...

Lucia — Ecco fatto (alzandosi e restituendo la tessera). In camera c'è l'acqua corrente... le darò una bottiglia e un bicchiere... (Scom­pare dalla destra seguita da Marcella che, volta a Gianni, ha mormorato: «con permesso»).

Gianni — (rimasto solo, cava l'orologio e borbotta) Nove e quarantacinque. (Andando verso la finestra) Se il treno non ha fatto ritar­do... (Spia attraverso i vetri, ritorna verso il centro della scena, cava la pipa, se la rimette nervosamente in tasca).

Lucia — (rientrando) E così ci toccherà dormire  sulle  brandine...

Gianni — Oh, per una notte... (Pausa) E poi mandar via una donna sola, a quest'ora...

Lucia — Quella là?  Come sei ingenuo...

Gianni — Non capisco questo accanimen­to. È disposta a pagare il doppio...

Lucia — (scattando) E perché non è an­data all'albergo? Poteva avere la camera con bagno... Visto che non bada a spendere...

Gianni — Ma santissimo Cielo, te lo ha detto...  Preferisce stare in famiglia...

Lucia — Con quella faccia?

Gianni — Non vedo che cosa c'entri la faccia...

Lucia — Beh, lasciamo andare...

(Si ode il trotto stanco di un cavallo, e il ci­golio di una carrozzella che si arresta davanti al   giardino).

Lucia — (correndo verso l'uscio)   Eccolo!

Gianni — Aspetta che suoni, no?

Lucia — (con un gesto d'impazienza verso la camera di destra) Quella stupida mi ha scom­bussolato. (Va a spiare dietro le tendine della finestra) È proprio, lui... (Pausa) Scende... paga   il   cocchiere...

(Un schiocco di frusta; il trotto del cavallo e il cigolio della carrozza si allontanano, mentre si ode il dlin dlin del campanello).

Gianni — (sentenzioso) Lascia che suoni una seconda volta.

(Al secondo squillo, apre e va verso il can­cello, mentre Lucia resta in attesa. Si ode un mormorio confuso, poi appare Vittorio Ascani, un tipo alto, magro, con un soprabito sul brac­cio e una grossa valigia).

Gianni — (prendendo la valigia) Lasci fare a me...

(Il nuovo venuto ringrazia a fior di labbro e si guarda in giro. Gli occhi miti esaminano le pareti e i mobili con una specie di stanchezza triste, poi lo sguardo si spegne nella indiffe­renza degli  abulici).

Gianni — (alla moglie) Questo signore vor­rebbe una camera matrimoniale.

Lucia — (con un sorriso cerimonioso) Buo­na sera, signore... Noi veramente abbiamo disponibile soltanto una camera a un letto... ma se si tratta di pochi giorni...

Vittorio — (con voce incolore) Sì, pochi giorni... Mia moglie ed io siamo in viaggio di nozze... ci tratteremo quarantotto ore, poi andremo a Genova. (Con un sorriso triste e sempre guardando nel vuoto). Mia moglie non ha mai visto il mare... e neanche io del re­sto...

Gianni — (bonario) Capisco... il viaggio di nozze classico per noi del Nord... Torino, Genova,  Venezia...  e  al massimo  Firenze...

Vittorio — No, no... Torino e Genova... ho soltanto una settimana disponibile... sono insegnante di scuole medie. (Tendendo la de­stra a Gianni)  Permette? Vittorio Ascani...

Gianni — (stringendo la mano e inchinan­dosi un po' goffamente) Berutti; Gianni Berutti, e questa è mia moglie.

Lucia — (dopo un piccolo cenno del capo) Senti, Gianni, se credi, potremmo cedere la nostra camera matrimoniale... visto che si tratta di due giorni...

Gianni — Certo... (A Vittorio) E' una bella camera, e poi è interna, perciò molto tranquilla. La vuole vedere?

Vittorio — (distrattamente) Volentieri...

Gianni — (alla moglie) Vuoi condurlo tu?

Lucia — Si accomodi, signore... (Si avvia verso sinistra, seguita da Vittorio; ma sull'uscio si ferma e cede il passo).

Vittorio — (fermandosi a sua volta) Prego, passi  lei...

Lucia — Grazie. (Esce seguita da Vittorio, mentre Gianni va a sedere in poltrona tambu­rellando con le dita sui braccioli).

Marcella — (facendo capolino in vestaglia dalla destra)  Scusi...

Gianni — (sobbalzando)   Oh...

Marcella — (sorridendo) Sono rimasta senza fiammiferi e, se non fumo una siga­retta, non riesco a prendere sonno...

Gianni — (affrettandosi ad accendere la sigaretta che la donna ha fra le labbra) Prego... le lascio i fiammiferi.   (Porge la scatoletta).

Marcella — No, grazie... più di una si­garetta non fumo. (Si ritira con un piccolo cenno del capo).

Gianni — Buona notte...

(Dalla sinistra rientrano Lucia e Vittorio, che non ha più il soprabito).

Lucia — Il signore ha detto che la ca­mera è di suo gradimento.

Gianni — (correndo a prendere la valigia) Ah benissimo... Questa allora la portiamo di là.   (Via per la sinistra).

Vittorio — (a Lucia) Mi vuol dire il prezzo?

Lucia — (sorridendo) Oh, faccia lei... Noi non siamo degli affittacamere di professione. Ci limitiamo ad ospitare qualche amico, o persona raccomandata dai nostri amici...

Vittorio — Capisco, ma...

Gianni — (riapparendo dalla sinistra senza valigia) Ecco fatto!

Vittorio — (a Gianni) Per il prezzo, la signora vuole che decida io, ma le confesso che non ho molta pratica...

Gianni — (allargando le braccia) Che vuole che le dica... facciamo cento lire al giorno e non se ne parli più...

Vittorio — (cavando il portafogli) Sta bene...

Lucia — Per carità... non c'è nessuna fretta. Al momento di partire ne riparleremo...

Vittorio — Grazie... ma volevo pregarla di un favore...

Lucia — Dica pure...

Vittorio — Siccome non abbiamo avuto il tempo di cenare... se non le desse troppo disturbo...

Lucia — Vuole che vada a comperarle qualche cosa? Abbiamo qui vicino una ro­sticceria. Che cosa preferisce?

Vittorio — (titubante) Non saprei... se ci fosse un po' di pollo in gelatina...

Lucia — Benissimo...  Pollo in gelatina!

Vittorio — Un po' di frutta anche... e magari un dolce. (Col solito sorriso triste) Mia moglie  è  tanto  giovane...

Gianni — (sorridendo) Ed è golosa come una bambina. (Alla moglie) Lucia, perché non fai un salto dal pasticcere, qui all'angolo...

Lucia — (a Vittorio) Certo... Le andrebbe una piccola charlotte al cioccolato? È una specie di budino...

Vittorio — Grazie. (Cavando dal porta­foglio qualche biglietto) Allora, visto che è così gentile, se potesse acquistare anche una bottiglia di spumante... (Quasi per scusarsi) Tanto per seguire la tradizione...

Gianni — Ma certo... per gli sposi è di prammatica...

Lucia — (sorridendo) E poi è di buon augurio...

Vittorio — (offrendo il denaro a Lucia) Crede che basteranno?

Lucia — (rifiutando) Ma no, faremo tutto un conto... Vada, vada a rinfrescarsi. Fra dieci minuti le porto in camera una cenetta fredda da far invidia a un principe...

Vittorio — Grazie, signora. (Con un pic­colo inchino) Con permesso. (Via per la si­nistra).

Lucia — (buttandosi a sedere) Oh...

Gianni — (cavando la pipa) Adesso mi lascerai fumare no?

Lucia — (come parlando a se stessa) Non è cambiato molto...  forse un po' dimagrito...

Gianni — (giovialmente) Ma se te l'ho detto... a quell'età non si cambia. È all'età nostra, che ogni anno conta per quattro.

Lucia — Ci credi che ho un po' di batti­cuore?

Gianni — (sorridendo) Sei l'eterna senti­mentale...

Lucia — (come seguendo un suo pensiero) E quegli occhi tristi... rassegnati...

Gianni — Anche la prima volta ne siamo rimasti colpiti, ricordi?

Lucia:— (come fra sé) E poi abbiamo detto, pareva   che   lo   presentisse...

Gianni — Mah... (Pausa) Allora? Vuoi portargli la cena? Così ce ne andiamo a letto...

Lucia — (andando alla cristalliera e in­cominciando a disporre su un vassoio il pollo in gelatina, la frutta, il dolce e la bottiglia di spumante) Ho un bel ripetermi che è sempre la stessa storia, ma questo ritornare indietro nel tempo...

Gianni — (quasi parlando a se stesso) È come leggere un romanzo sempre fermo alla stessa pagina.

Lucia — Già, ma questo è vero...

Gianni — Anche i romanzi sono veri. Credi che gli scrittori se li inventino?

Lucia — Che c'entra, il romanzo lo leggi, non lo vivi. (Avviandosi col vassoio verso l'uscio della camera matrimoniale) Bussa! (Gianni bussa) E permesso?

Vittorio — (dal di  dentro)  Avanti!

(Gianni spinge l'uscio e Lucia esce portando il vassoio. Subito dopo squilla il campanello d'ingresso).

Gianni — Ancora? (Apre, va in giardino, lo si sente parlottare al cancello, e dopo poco entra col Brigadiere, un giovanotto abbronzato e sorridente, col cappello floscio e una borsa di finto cuoio sotto il braccio. Il Brigadiere ha fra i denti un bocchino con la sigaretta accesa volta all'insù, e un filo di fumo l'obbliga a tenere un occhio socchiuso, il che gli dà un'espressione caratteristica e arguta).

Brigadiere — (continuando il discorso in­cominciato in giardino) ...e la signora Lucia come sta?

Gianni.— Bene,  grazie...

Brigadiere — (sedendo al tavolo e but­tando il cappello sulla nuca) Mi scusi, signor Berutti, ma con questo nuovo commissario non c'è più un momento di pace...

Gianni — Che è successo?

Brigadiere — (cavando dalla borsa un foglio di carta) Niente, si tratta delle normali ricerche di segnalati, ma questo pretende la di­chiarazione dell'affittacamere... Dice che vuol mettersi a posto... Brav'uomo,   ma pignolo...

Gianni — Una dichiarazione?...

Brigadiere — Ho detto per dire... basta una  semplice firma...

Lucia — (rientrando dalla sinistra) Buona sera, brigadiere. Come mai a quest'ora?

Brigadiere — Buona sera, signora Lucia.. Vede che mestieraccio? Non si è mai finito...

Gianni — Un goccetto di vino?

Brigadiere — Grazie, non si disturbi... fuori pasto non bevo mai. (A Lucia) Lo sa che a quest'ora non ho ancora cenato?... Dunque... Ecco qua. (Leggendo) Giovanni Pittalunga di anni quaranta... Francesco Sauri di anni ventidue... Emilio Corselli di anni trenta... e Marcella Silvani di anni ven­tisette... Tutti ricercati per vari reati. (Ri­dendo) Naturalmente non sono clienti per voi. (A Gianni, indicando il foglio) Comunque metta una firma qua e siamo a posto...

Gianni — (apparendo dalla sinistra) Scusi, signora...

Gianni — (un po' imbarazzato, al Briga­diere) Il professor Ascani... è arrivato questa sera...  anzi, pochi minuti fa...

Brigadiere — (toccandosi con due dita la tesa del cappello) Buona sera, professore. (A Lucia) È l'unico pigionante? Già... avete una camera sola...

Lucia — (evasiva) Il signor professore è in viaggio di nozze...

Brigadiere — (giovialmente) Ah, benis­simo! Auguri, professore! (Poiché Vittorio fa l'atto di rientrare in camera) No, non disturbi la signora. (A Gianni, indicando il foglio) Firmi pure, signor Berutti... (A Lucia, am­miccando) Non si disturbano gli sposi in viag­gio di nozze...

(Gianni, dopo un attimo di esitazione, firma, poi da un'occhiata alla moglie che guarda per­plessa   Vittorio).

Brigadiere — (alzandosi) Ecco fatto! Si­gnori, scusate dell'incomodo e buona sera a tutti. (Tendendo la mano a Gianni) Arrivederla, signor Berutti... debbo ancora fare il giro di tutta la mia giurisdizione... Buona notte, signora Lucia... ancora auguri, profes­sore...

Lucia — Buona notte, brigadiere!

(Gianni accompagna il Brigadiere attraverso il giardino, fino al cancello. Si odono frasi di saluto a soggetto, punteggiate da risatelle. Lucia li segue con lo sguardo).

Vittorio — Scusi, signora... volevo dirle che ha dimenticato i bicchieri...

Lucia — (scuotendosi) Oh, mi scusi, pro­fessore, questa sera non so dove ho la testa... (Va alla cristalliera e prende due coppe da champagne)  Li avevo preparati e poi...

Vittorio — (prendendo le coppe) Non si preoccupi, grazie...   (Rientra in camera).

Lucia — Mi scusi ancora... (A Gianni, che è rientrato e ha chiuso a chiave l'uscio) E adesso?

Gianni — (nervosamente) Adesso che cosa? Io ti ho guardato... non hai detto niente...

Lucia — Come vuoi che parlassi davanti a quell'altro...

Gianni — Eh, lo so... anch'io sono rimasto interdetto...

Lucia — Ma non potevi dirglielo al bri­gadiere mentre lo accompagnavi fuori?

Gianni — (infastidito) Che cosa dovevo dirgli? Oramai avevo firmato!

Lucia — (con un gesto minaccioso verso la camera di destra) Ah, ci ha messo in un bel pasticcio quella donnaccia! Ricercata dalla Questura... figurati... Sfido che non vuole an­dare all'albergo... là la denunciavano senza tanti complimenti...

Gianni — Beh, oramai è fatta...

Lucia — Quando ti ho visto mettere la firma, mi sono sentita gelare il sangue.

Gianni — (scattando) Perché tu non avre­sti firmato, è vero? E domani sui giornali pubblicavano la notizia di un arresto in casa nostra. Ci mancava solo questo! Allora lo sentivi mio fratello, e le cognate, e tutti gli altri che già storcono il naso e ci chiamano affittacamere.

Lucia — Oh, senti... tuo fratello farebbe meglio ad aiutarti, invece di fare il moralista. Si fa presto a chiacchierare, quando si vive di rendita...

Gianni — (scattando) Io non voglio essere aiutato da nessuno! (Pausa) E poi non ca­pisco di che ti preoccupi... Domani mattina quella là parte e chi s'è visto s'è visto. Non c'è mica bisogno di andarlo a raccontare...

Lucia — Ah già... la fai facile tu! E se l'arrestano e lei dice di aver dormito qui, che figura ci facciamo col brigadiere? Quello si è fidato di noi perché ci conosce da tanti anni... (Portandosi le mani al viso) Dio, che vergogna...

Gianni — Beh, adesso non esagerare... Che interesse avrebbe di dire che ha dor­mito qui?

Lucia — Ma come non esagerare?! Di­ventiamo complici, te ne rendi conto? (Scat­tando) Ah, ma quella maledetta strega se ne deve andar via subito... subito! (Va a bus­sare  nervosamente  all'uscio  di  destra).

Marcella — (dal di dentro)  Chi è?

Lucia — Sono la padrona di casa. Vuol uscire un  momento?

Marcella — (uscendo mentre si allaccia la vestaglia) Cosa c'è?

Lucia — (fremente) C'è che lei ci ha in­gannato! Lei ha sorpreso la nostra buona fede! Non si viene in una famiglia di gente onesta quando si è ricercate dalla Polizia! È venuto un brigadiere, ha capito? E ha il suo nome su un elenco di persone da arre­stare...

Marcella — (impallidendo) Il mio nome? Sarà uno sbaglio...

Lucia — (scattando) Macché sbaglio... lo conosciamo da anni quel brigadiere, ed è perciò che si è fidato di noi. Capirà che que­sta non è una casa dove si viene a perquisire camera per camera... Ma intanto mio marito ha dovuto firmare una dichiarazione. Ci sia­mo assunti una bella responsabilità!

Gianni — (severamente) Ringrazi il cielo che un altro inquilino, un professore che è in viaggio di nozze, ha involontariamente stor­nato l'attenzione del brigadiere...

Lucia — Comunque lei mi farà il piacere di prendere le sue robe e di andarsene...

Marcella — A quest'ora? Ma, signo­ra...

Lucia — Non c'è signora che tenga. Non voglio in casa gente ricercata dalla Polizia.

Marcella — (nervosamente) La prego di credere  che non ho ammazzato nessuno.

Lucia — Non voglio sapere quello che ha fatto. Desidero solo che se ne vada subito.

Marcella — (quasi implorante) Mandarmi a cercare alloggio a quest'ora significa farmi arrestare. Le ho già detto che domani mat­tina me ne andrò...

Lucia — (a Gianni sbuffando) Tutta colpa tua! Perché io la camera... non glie la volevo dare... Mi pareva di sentirlo...

Marcella — Senta, signora... si tratta di una contravvenzione, di un mancato paga­mento di merci... Domani stesso rientro a Milano e  metto tutto  a posto...

Lucia — Le ho già detto che non voglio sapere.

Gianni — Beh... se la signorina promette di andar via appena si fa giorno....

Lucia — (scattando) Subito deve andar­sene, subito. Se no, sarò io che telefono in Questura!

Marcella — (scattando e con voce stri­dula) Oh basta! Basta, ha capito! (Pausa ansante) Chi crede d'essere, lei? Il Presiden­te del Tribunale! Il capo della Polizia in persona?

Lucia — (sbalordita) Ma come? Osa anche assumere  questo tono?

Marcella — (sull'orlo di una crisi iste­rica) Badi lei piuttosto come parla... Sono stanca di sentirmi insultare! E con che di­ritto poi? Perché sono una povera diavola senza difesa? Tutti addosso, eh? E va bene! Vada a denunciarmi... vada a far la spia! Faccia anche lei il suo mestiere fino all'ul­timo.

Lucia — (indignata al marito) E tu non dici niente?!

Gianni — (a Marcella, con un sospiro) Signorina, qui nessuno vuol farle del male, ma si deve rendere conto...

Marcella — (interrompendo) Che cosa? Mi sono già resa conto di tutto, stia tran­quillo! Prima, dovevate denunciarmi, prima! Ma non avete potuto... Questa è la verità... Non avete potuto...

Lucia — Ssst! Non alzi la voce, e non dia scandalo... Abbiamo di là persone per bene che hanno diritto di dormire...

Marcella — (sogghignando) Ah sì eh? Persone per bene? Il signore in viaggio di nozze forse? Ma che cosa crede, che non abbia sentito? Quando è venuto il brigadiere ero dietro l'uscio, e quando è arrivato quel tipo là ero alla finestra, e l'ho visto scendere dalla vettura... Dov'è la moglie? Fa il viag­gio di nozze da solo? Mettiamoli in mostra tutti i panni sporchi... Avanti!

Lucia — (con voce soffocata) Abbassi la voce,  le  dico!

Gianni — (in tono fermo e dignitoso) Sen­ta, signorina, prima di tutto si calmi, e poi non  supponga  delle  cose  inverosimili...

Marcella — Non c'è bisogno di supporre e d'altronde non ci tengo a sapere... Ognuno guardi  i  suoi  pasticci...

Lucia — (avanzando minacciosa) Per sua regola e norma...

(Il dlin dlin del campanello le taglia la frase a mezzo).

Gianni — (con un sospiro, cavando l'oro­logio) Sta a vedere che è il Cavaliere. (Alla moglie) Va' ad aprire...

Lucia — (sbuffando) Anche quest'altro ci voleva! (A Marcella) Lei ritorni in camera sua!

Gianni — Niente affatto. Deve restare qui. (A Marcella) Deve convincersi che in casa nostra non si fa nulla di male e non c'è niente da nascondere. (Mentre Lucia va ad aprire la porta e il cancello) Questo che vedrà ora, è lo zio di quel signore che fa il viaggio di nozze da solo... è il cavaliere Giacomo Sa­velli, fratello della signora Giulia che arri­verà domani... e che è la madre...

Marcella — Le ho già detto che non me ne importa... (Fa per andarsene, ma è troppo tardi).

(Riappare Lucia accompagnata dal cavaliere Giacomo Savelli, un rubizzo signore molto mio­pe,  molto distratto e molto gioviale).

Giacomo — (dirigendosi verso Gianni con la mano destra tesa) Caro signor Gianni, chiedo scusa del ritardo.

Gianni — Buona sera, cavaliere, come va..

Giacomo — Allora? Tutto bene. Vittorio è arrivato? È andato a dormire? Oh, meglio così! Domani verrà mia sorella e se Dio vuole...

Lucia — Si accomodi, cavaliere... che cosa possiamo offrirle? Un liquorino?

Giacomo — Grazie, grazie... niente liquori. Eh... la pressione. La pressione me lo vieta. (A Marcella, ridendo) Niente liquori, niente caffè, niente sigarette... e le belle signore soltanto guardarle... Ordine del medico! Quest'ultima prescrizione non garantisco di osservarla   sempre...

Gianni — (presentando) Il cavaliere Sa­velli... la signorina Marcella Silvani... momen­taneamente nostra ospite... (A Marcella) Il cavaliere Savelli è direttore amministrativo della Casadei... la grande ditta di confezioni che lei certamente conosce... Ha una succur­sale anche a Milano. (Al cavaliere) È vero?

Giacomo — A Milano e a Roma...

Marcella — (tendendo timidamente la ma­no) Piacere... Chiedo scusa, ma stavo per andare a dormire...

Giacomo — (giovialmente) Prego, prego... Sono io che giungo inopportuno, e come sem­pre in ritardo... (Ridendo) Ma questa volta sono arrivato in tempo per vedere una gra­ziosa signorina in vestaglia... Anche i ritar-datari hanno i loro piccoli vantaggi...

Gianni — Già...  la signorina  ha  saputo incidentalmente  dell'arrivo  di suo  nipote... Lucia — (sulle  spine)   Ma,  Gianni...   che c'entra?

Gianni — No, no... il cavaliere qui pre­sente mi scuserà, ma desidero che sia messo tutto in chiaro...

Giacomo — (a Marcella giovialmente) Ah, è al corrente. (Con un sospiro e un viso di circostanza) Eh, quel ragazzo è la nostra croce... Lei sa certamente...

Gianni — No, la signorina non sa ancora nulla.

Giacomo — Ah non le ha detto?...

Lucia — Non ci saremmo mai permessi... Anzi, se non fosse nata una piccola discus­sione...

Giacomo — (bonariamente) Ma no... che c'è di male... Racconti, racconti...

Gianni — (a Marcella) Quel signore che ha visto scendere dalla carrozza con una va­ligia, viene da noi il quattordici aprile di ogni anno...

Giacomo — (assentendo) Proprio così... il quattordici aprile...

Gianni — Si presenta come se ci vedesse per la prima volta e noi lo accogliamo come se per la prima volta lo vedessimo. Chiede una camera matrimoniale, una cena fredda...

Giacomo — Sempre la stessa cena...

Gianni — E il giorno dopo, la madre, sorella del cavaliere qui presente, se lo viene a prendere...

Marcella.— Va bene, ma io... ho già detto...

Gianni — No, no, adesso lei deve ascol­tare tutto... Quando si presentò la prima volta, la moglie l'aveva... una graziosa ra­gazza...

Lucia — (sottolineando) Una ragazza per bene...

Giacomo — Ah, per questo sì... Una ra­gazza d'oro, e poi la bontà fatta persona...

Gianni — Si   erano   sposati   la   mattina stessa, al loro paese, poi erano partiti...

Marcella — (in un soffio) In viaggio di nozze...

Lucia — Povera figlia... mi pare ancora di sentirla ridere quando la bottiglia di spu­mante fece pum!

Giacomo — (sospirando) Eh... è stato un fatto atroce... a suo tempo ne parlarono tutti i  giornali.

Gianni — (a Marcella) Nella camera che adesso occupa lei, c'era un commesso viag­giatore...

Lucia — Un tipo buffo... me lo ricordo ancora.

Gianni — E perciò siamo stati costretti a cedere la nostra camera matrimoniale... Siamo andati a dormire su due brandine, appunto come faremo questa sera... Il giorno dopo, gli sposi sono partiti per Genova... (Pausa) E ad Arquata Scrivia il treno ha deragliato... Giacomo — E andato a cozzare contro un merci... un disastro terribile... Non so più quanti morti e feriti... (A Marcella) Lei forse ne avrà sentito parlare...

Marcella — No... non ero in Italia a quel tempo...

Gianni — (come  concludendo)   E  in   quel disastro perse la vita la signora Bruna Ascani..

Giacomo — La moglie di Vittorio... di mio nipote...

Marcella — (rabbrividendo) E lui?

Gianni — Il marito  fu  raccolto  agoniz­zante.

Giacomo — Tre mesi tra la vita e la mor­te...  tre mesi!

Gianni — (con un sospiro) E quando gua­ri... (Fa un gesto vago toccandosi la fronte).

Marcella — (a bassa voce) Impazzito?

Giacomo — Impazzito proprio no, ma non ricorda più nulla, nemmeno di essersi sposato. I suoi ricordi si fermano al fidanza­mento... ma erano ricordi confusi. Ogni tanto chiedeva della sua ragazza... di una signo­rina conosciuta alla festa del Circolo Unione...

Marcella — Terribile!...

Giacomo — Eh... lei non sa il seguito. L'anno successivo, e precisamente nella notte fra il tredici e il quattordici aprile, mio nipote si sveglia in preda a una strana inquietudine. Mia sorella se ne accorge e gli chiede che cosa abbia... (Quasi imitando la voce) Devo partire, devo partire... (Nel tono di prima) Sua madre cerca di dissuaderlo, piange, sup­plica... Niente da fare! Vittorio si ostina a mettere nella valigia l'abito da cerimonia, l'abito col quale si era sposato... e via alla stazione!

Lucia — (alzandosi). Ha preso lo stesso treno, comperando due biglietti di andata e ritorno per Genova...

Marcella — Due biglietti! Come se avesse voluto  rifare...

Gianni — ...il viaggio di nozze... precisa­mente! E ce lo siamo visto capitare qua! Ci chiese la camera matrimoniale, ci pregò di acquistare del pollo in gelatina, della frutta, una bottiglia di spumante...

Lucia — Ho creduto di morire dallo spa­vento!

Marcella — Ma allora avevo indovinato...

Giacomo — No, signorina, non si tratta di pazzia. È un fenomeno nervoso che ha dato da fare a tutti i medici... Io non riesco mai a ricordare il nome scientifico... è una specie di ritorno... il rimbalzo del trauma psichico... Ecco, questo hanno detto i me­dici, il rimbalzo del trauma psichico... e gli dura esattamente ventiquattro ore.

Marcella — E il giorno dopo?

Giacomo — Il giorno dopo, quando mia sorella viene a riprenderlo, è perfettamente tranquillo e non ricorda niente di quanto è accaduto...

Marcella — Ma come spiega di trovarsi qui, lontano da casa sua, fra estranei...

Lucia — Non se lo spiega e non se ne meraviglia...

Giacomo — Mia sorella gli parla dolce­mente. (Alzandosi e consultando di sfuggila l'orologio) Gli dice che deve ritornare al paese al suo ufficio...

Marcella — Ah, perché continua a inse­gnare?                                 

Giacomo — No... dopo la disgrazia gli hanno dato un piccolo impiego nella Biblio­teca Civica... Ma è scrupoloso, zelante, puntualissimo. (Ridendo) Non rassomiglia per nulla a suo zio... (A Gianni) Stavo già di­menticando che alle dieci ho un appunta­mento al caffè Italia... Questa sera c'è il torneo di tressette, e io sono un tressettista arrabbiato... (A Marcella) Mi scusi, signorina, piacere di averla conosciuta...

Marcella — Grazie, buona sera...

Lucia — Mi raccomando domani mattina, cavaliere... La signora Giulia sarà qui alle nove...

Giacomo — Non dubiti... puntuale come un cronometro!

(Fra saluti a soggetto i due coniugi accom­pagnano il cavaliere Savelli, mentre Marcella resta immobile senza poter staccare gli occhi dall'uscio della camera di sinistra. Poi i co­niugi Berutti rientrano).

Gianni — E anche questa è fatta...

Lucia — Io casco dal sonno... (A Marcella) E lei non è andata ancora a dormire?

Marcella — Volevo chiederle scusa... Po­c’anzi le ho mancato di rispetto. Certe volte non si riesce a comandare ai propri nervi, soprattutto quando si attraversa un momen­to poco piacevole...

Gianni — (avviandosi verso sinistra) Va bene... è già scusata... Andiamo, Lucia, dob­biamo preparare le brandine...

Marcella — Comunque domani mattina me ne andrò...

Lucia — Ma sì, sì... ora vada a riposare. (Avviandosi verso sinistra insieme al marito) È speriamo che in avvenire possa trovare anche lei la tranquillità... Buona notte!

Gianni — (facendo cenno verso la parete dì destra) Spenga la luce, per favore...

Marcella — (avviandosi verso la sua ca­mera)   Certamente...   Buona  notte!

Gianni e Lucia escono dalla sinistra. Marcella, che ha raggiunto l'uscio della sua ca­mera, gira il vicino interruttore e spegne il lampadario centrale. La scena resta illuminata dalla luce azzurrina della luna che entra dalla grande finestra di fondo. Marcella mette la mano sulla maniglia, ma subito si ferma con un piccolo sussulto, come se fosse stata toc­cata alla spalla. Si volge lentamente. Dall'uscio della camera matrimoniale è uscito Vittorio che, immobile nel riflesso lunare, la osserva. Pausa, durante la quale la donna con gli occhi dilatati fissa quella specie di apparizione, poi il velario lentamente si chiude.

SECONDO ATTO

PRIMO QUADRO

La stessa scena del primo atto. Al riflesso lunare proveniente dalla finestra, si è aggiunta la luce rosata di due candele accese sul tavolo dove Vittorio ha portato la cena fredda.

All'aprirsi del velario l'uomo, in piedi, sta versando lo spumante nelle coppe. Marcella, immobile, a pochi passi dal tavolo lo osserva.

Vittorio — (sorridendo e guardando con una certa compiacenza la tavola apparecchiata) Cosa ne dici? Non c'è male eh? (Rettificando la posizione delle posate) Avrei voluto dei fiori sulla tovaglia, ma non ho osato chiederli alla padrona di casa... (Sorridendo) Musica non te ne posso offrire... (Guardandosi intorno) Non c'è nemmeno un grammofono. (Pren­dendo una coppa e porgendogliela) Avanti, Bru­na... il brindisi...

Dopo un attimo di esitazione, Marcella avan­za, prende la coppa, seguitando a fissare l'uomo con occhi attoniti, nei quali c'è ancora un mi­nimo dì paura.

Vittorio — (ridendo mentre prende l'altra coppa). Non fare quel viso... (In tono comica­mente rassicurante) Niente discorsi! (Toccan­do, con la sua, la coppa di Marcella) Alla no­stra felicità! (Beve, mentre la donna bagna appena le labbra nello spumante; poi in tono gaio indicando una delle due sedie) Signora Ascani, si accomodi!

(Marcella siede, mentre Vittorio va a met­tersi all'altro capo del tavolo).

Vittorio — (guardandosi intorno soddi­sfatto) Tutto come volevi tu... la luce rosata delle candele e quella azzurra della luna, i colori del tuo abito da sposa... Te lo avevo promesso e ho mantenuto la parola.

Marcella — (in  un soffio)  Sì...

Vittorio — (mettendo nel piatto della don­na un'ala di pollo) Non si potrebbe essere più soli di così... attorno a noi una casa sconosciuta, e una città che dorme. (Ride per togliere solennità alla battuta) Questa volta mi dirai che sono io che fantastico... Per carità! (Incominciando a mangiare) Credi che il tuo poeta avrebbe saputo fare di più e meglio?

Marcella — Quale poeta?

Vittorio — Il tuo compagno di scuola, quello che ti spediva i versi copiati... Perché erano copiati, sai? E te l'ho detto subito: copiati dall'Alberighi... Una vecchia antologia scolastica oramai in disuso... Com'è che hai creduto fossero suoi...

Marcella — Non me ne ricordo.

Vittorio — Del poeta o delle poesie?

Marcella — Di tutto quello che è accaduto fino a ieri.

Vittorio — Hai ragione: la nostra vita di ieri non conta. Nebbia, come quella che avvolge il nostro paese per tre quarti dell'anno...

Marcella — Quello che conta è oggi.

Vittorio — (ridendo) Mi vuoi permettere una citazione da professore? (Con solennità volutamente comica) Carpe diem, quam minimum credula postero...

Marcella — Che cosa significa?

Vittorio — Profitta dell'oggi e non fare nessun assegnamento sul domani...

Marcella — (con tristezza) Nessun assegnamento sul domani...

Vittorio — (ridendo) Lo dicevano gli antichi, bada...

Marcella — (ridendo) Peccato! Mi hai detto che domani saremmo andati a vedere il mare!

Vittorio — Ah, naturalmente! Domani a Genova... sole e mare! E noi due stretti, col vento che ci scompiglia i capelli... e attorno  qualche passante che ride...

Marcella — Perché?

Vittorio — Perché capirà che siamo i classici sposini in viaggio di nozze, ed io tengo moltissimo.

Marcella — (ridendo)  Che idea...

Vittorio — Te l'ho detto anche in treno: ricordi quando il controllore ha sorriso perché abbiamo sbagliato scompartimento? Tu sei diventata rossa... invece io ero felice di quell'altra prova di ingenuità... È il tesoro più grande che abbiamo..

Marcella — (a fior di labbra) Credi?

Vittorio — Certo... In un mondo dove tutti discutono con grande competenza sport, di cinema, di televisione... e conoscono i nomi dei divi e delle dive americane, l'unico modo per distinguersi è quello di restare un po' provinciali... e poi l'ingenuità è il sale del fascino. (Con scherzosa autorevolezza) Credi forse che io ti abbia sposato per la bellezza? Povera cocca! Di ragazze più belle di te ne avrei  trovato  centinaia...

Marcella — Lo so.

Vittorio — Scherzo...   anzi   voglio  confessarti una cosa, ma prometti di non ridere?

Marcella — Promesso.

Vittorio — Rammenti   la   prima   volta che ti ho baciato? È stato dai Martelli, gli amici di zio Giacomino.

Marcella — Sì...

Vittorio — Ero riuscito a farti invitare con la complicità di Rosalba, quella mia cu­gina fidanzata col tenente aviatore, ricordi? Ma dovevo trovare un pretesto per rimanere solo con te... E fu ancora Rosalba che mi venne in aiuto... «Hai condotto Bruna a vedere i cuccioli di Lula?» mi disse... Io ti invitai a scendere in giardino, e quando fum­mo nella rimessa, d'improvviso ti baciai... e ti mettesti a piangere.

Marcella — (curva il capo senza rispon­dere) .

Vittorio — (parlando volubilmente) Sai che lì per li ebbi paura? Non sapevo se chie­derti scusa o scappar via... Poi, di colpo capii il significato di quelle lacrime. Mi venne in mente una frase detta da te qualche giorno prima... «Sono rimasta orfana così piccola, che non ricordo nemmeno i baci di mia ma­dre...» (Pausa) Piangevi perché nessuno al mondo ti aveva mai baciata...

Marcella — (a bassa voce) Era la tene­rezza che traboccava in pianto...

Vittorio — (sfiorando con una mano la mano che Marcella ha posato sul tavolo)  Ma

io  ti rattristo con queste stupidaggini...

Marcella — No, no, dimmi ancora... vo­glio sapere tutto!

Vittorio — Tutto che cosa?

Marcella — I nostri primi incontri...

Vittorio — (come parlando a se stesso) I nostri primi incontri... Sono così lontani che forse precedono la tua nascita...

Marcella — (sorridendo) Come può es­sere?

Vittorio — Può essere... Da bambino sognavo l'amore. Un amore infantile natural­mente. Tu forse non eri nata, o eri piccolis­sima,  chissà   dove,   quando  io  già  pensavo

il tuo viso, la tua voce, e sapevo già che ti avrei  incontrata.

Marcella — No... voglio sapere il nostro primo incontro vero.

Vittorio — Per me il primo incontro vero è stato quello...

Marcella — Ma io non posso ricordarlo...

Vittorio — Hai ragione. Allora ti dirò che la prima volta non osai nemmeno sfio­rarti col braccio, tanto avevo paura della tua fragilità.

Marcella — Dov'è stato?

Vittorio — Alla festa del Circolo Unione, quando ti invitai a ballare, poi ti accom­pagnai al buffet... Ci tenevamo per mano, e anche allora la gente si voltava sorridendo.

Marcella — E io che cosa dicevo?

Vittorio — Ti scusavi di non saper bal­lare come le altre. Eri imbarazzatissima per un nastro che ti legava i capelli e che ti si scioglieva sempre. Dicevi che i capelli ti ca­devano sugli occhi...

Marcella — E ti sono piaciuta così goffa?

Vittorio — Immensamente... Te ne sarai accorta dal modo come balbettavo... E poi non eri affatto goffa. Anzi dovrai ritornare a quel tipo di spettinatura.

Marcella — (ridendo)   Di spettinatura?

Vittorio — Sì... coi capelli a nido di passero.

Marcella — (scompigliandosi con una ma­no i capelli) Così?...

Vittorio — Così!

Marcella — E dopo il ballo che cosa abbiamo fatto?

Vittorio — Volli legarti io il nastro, ma le mani mi tremavano. (Guardandosi le mani sulla tovaglia) Come adesso... vedi?

Marcella — (prendendo le mani dell'uo­mo)  Bruciano...                           

Vittorio — E le tue sembrano di ghiaccio.

Marcella — Me le terrai sempre strette così?

Vittorio — (alzandosi lentamente e atti­rando a sé la donna) Come si tiene un fascio di fiori che si vorrebbe portare alle labbra e intanto si ha paura di sciuparli...

Marcella — (abbandonando il capo sulle spalle dell'uomo)  Dimmi ancora...

Vittorio — (baciandola sui capelli) Non potrei che ripeterti le stesse cose... Mi sem­bra d'essere un ragazzo al quale è stato re­galato un oggetto troppo bello ed ha paura che glie lo portino via...

Marcella — Chi vuoi che mi porti via?

Vittorio — (con lieve angoscia) Non lo so. La vita è piena di pericoli invisibili... paurosi...

Marcella — A me più nulla fa paura, nemmeno la morte!

Vittorio — (sciogliendosi lentamente e fis­sando la donna) Perché hai nominato la morte?

Marcella — (con gaiezza forzata) Perché è lontanissima... arriverà quando saremo vec­chi vecchi...

Vittorio — Già... noi siamo al principio della vita.

Marcella — Siamo sposati da poche ore.

Vittorio — Ed è come se fossero tanti anni.

Marcella — La felicità può sembrare breve o lunghissima, a seconda del nostro stato d'animo... (Sedendo e cercando di ap­parir disinvolta) Ma non abbiamo ancora finito di cenare... Vuoi versarmi un altro goccio di spumante?

Vittorio — (eseguendo distrattamente) Sì, cara.  (Ritorna al suo posto).

Marcella — (alzando la coppa) Alla no­stra vita lunga. (Beve, poi preoccupata del si­lenzio dell'uomo) Ho detto qualche cosa che non va?

Vittorio — (scuotendosi)  No, riflettevo...

Marcella — A che cosa?

Vittorio — (come parlando a se stesso) È inesplicabile... le altre volte... (S'interrompe come se ascoltasse voci lontane).

Marcella — (con un tremito) Quali altre volte?

Vittorio — Niente. (Con un sorriso triste) Non ci possono essere altre volte... (Pausa) Questa sensazione di aver vissuto in un'altra vita, dev'essere un'illusione della memoria.

Marcella — (con un'ombra di tristezza) Certo che è un'illusione. E successo anche a me... Dico una frase qualunque e mi pare di averla già pronunciata, con l'identico timbro di voce, e che qualcuno mi abbia già risposto in quel certo modo... È una sensazione fuggevole, ma precisa...  Poi rifletto  e capisco che non può essere...

Vittorio — (sforzandosi di ritornar gaio) Cosa dicevo? Ah già... si parlava del nostro primo incontro... un anno fa, no? (Con lieve angoscia)   Ricordi   che  giorno  fosse?

Marcella — (evasiva) I giorni felici non hanno   data...

Vittorio — Sì, è stato un giorno meravi­glioso, forse perciò mi sembra lontanissimo... Come visto in un cannocchiale alla rovescia. (Brancicando nel vuoto) Cerco di fermarlo e mi sfugge... una farfalla che passa e ripassa davanti al mio viso...

Marcella — (alzandosi) Ma questa sera tutto è vicinissimo. (Togliendo i piatti del pollo che andrà a riporre sulla cristalliera) Mi lasci giocare a far la moglie? E poi non vedo l'ora di mangiare il dolce...

Vittorio — (con gli occhi fissi nel vuoto, non risponde).

Marcella — (ritornando al tavolo) Vuoi prima la frutta? (Accorgendosi del turbamento dell'uomo, gli prende il capo fra le braccia) Vittorio...

Vittorio — (a fior di labbra) Stammi vi­cino.

Marcella — Sono qui... senti il mio cuore che batte?

Vittorio — Difendimi.

Marcella — Ma nessuno ci minaccia.

(Vittorio alza il capo a guardare con angoscia la donna che si curva a baciarlo sulle labbra. Poi Marcella ritorna al suo posto).

Marcella — (gaiamente) Dammi subito una porzione di dolce, grossa grossa...

Vittorio — (tagliando una cucchiaiata di budino) Sei sempre la stessa ghiottona... (Met­tendo il dolce nel piatto di Marcella) Non per niente da bambina rubacchiavi lo zucchero... E come ti punì la zia Edvige?

Marcella — Lo sai già...

Vittorio — (ridendo) Ma mi piace sen­tirlo raccontare da te.

Marcella — (ridendo) Per poi prendermi in giro...

Vittorio — Quando sentì scricchiolare lo zucchero sotto le scarpe non disse nulla, anzi tolse la zuccheriera dalla credenza e la mise bene in vista sul tavolo... poi...

Marcella — (ridendo) No, basta! Ti proi­bisco di continuare...

Vittorio — E allora dimmi come andò la faccenda di quelle tue cugine che mangiava­no tre paste e ne pagavano due, e ti hanno insegnato il sistema...

Marcella — (ridendo) Oh smettila! Bada che farò il broncio...

Vittorio — (con burlesca severità) Ver­gogna! Una moglie truffatrice...

Marcella — Per aver mangiato una pa­sta di più?

Vittorio — Per non averla pagata! (Pun­tando scherzosamente un dito) Si incomincia da un soldo e si finisce con un milione! E un brutto giorno arrivano le guardie... Dov'è quella   criminale?    (Ride   infantilmente).

Marcella — (come parlando a se stessa) Se tu mi vedessi fra le guardie, mi ameresti ancora?

Vittorio — Che discorsi... Direi di aver mangiato io la pasta non pagata...

Marcella — (con ansia improvvisa) No, seriamente... Se tutti mi accusassero... se mi accusassero di aver rubato?

Vittorio — Ti difenderei... mi rivolgerei a un avvocato e farei risplendere la tua in­nocenza.

Marcella — (gravemente) E se fossi dav­vero colpevole?

Vittorio — (dopo un attimo di riflessione) Beh... sarebbe per me un grande dolore, ma ti vorrei bene lo stesso... (Cambiando tono) Ma perché mi fai delle domande assurde? E poi tu mi ameresti forse meno, se io fossi in carcere... o, che... so, ammalato? Perché ti vuoi torturare   con   queste   ipotesi   inverosimili?

Marcella — (lentamente) Anche tu, un momento fa,  hai  detto:   difendimi...

Vittorio — È vero... ci si unisce anche per questo. L'amore è una difesa...

Marcella — (conte parlando a se stessa) Chi è senza amore è veramente solo...

Vittorio — (sorridendo) Noi non lo siamo più.  Ci siamo incontrati per questo.

Marcella — Per un segno del destino...

Vittorio — E ogni passo che faremo in­sieme sarà una scoperta. (Gaiamente) Inverno, estate, autunno, primavera... La vita come una lotteria... Se vinciamo ti porto a fare una crociera nelle Antille!... E tu dirai... No! Giappone... Giappone o niente! (Scoppiando a ridere) Poi ci saranno le gelosie... Donne fatali e bellissime tenebrose attraverseranno la nostra strada... niente da fare! Noi due, tetragoni a tutte le seduzioni! Con le lettere anonime faremo ochette di carta... Agili come acrobati scavalcheremo ostacoli, guiz­zeremo tra la folla, salteremo sui treni in corsa... (Interrompendosi di colpo e girando gli occhi spauriti) Treni?! Chi ha detto treni?

Marcella — (alzandosi)  Vittorio!

Vittorio — (smarrito, passandosi una ma-no  sulla  fronte)   Che  cosa  dicevo?

Marcella — (prendendogli le mani) Non voglio...

Vittorio — (alzandosi lentamente) Scusa­mi... una specie di  capogiro...

Marcella — (stringendosi all'uomo) Hai parlato troppo. Calmati. (Alza il viso e lo guarda con occhi imploranti).

Vittorio — (bacia lentamente la donna, poi staccandosi e muovendo qualche passo) È già passato... (Come parlando a se stesso) Nebbia... Fanali verdi e rossi...

Marcella — (prendendo due cuscini dal divano e mettendoli su una poltrona) Siedi qui... mettiti tranquillo... (Col gesto di chi cerca attorno qualche cosa) Vuoi una sigaretta?

Vittorio — (ridacchiando mentre si avvi­cina alla poltrona) Una sigaretta? Se non ho mai   fumato...

Marcella — Ma già, che sciocca! Certe volte il cervello suggerisce le idee più as­surde...

Vittorio — (sedendo) Già... il cervello. (Si passa ancora una mano sulla fronte) Una specie di altalena... Hai mai visto quei sal­tatori che volano da un trapezio all'altro? (Sottolineando col gesto) Hop! Hop! Sembra gioco aereo, ma bisogna al momento giusto trovare l'altro trapezio... se no... (Pausa, poi con lentezza) Lo stesso per i pensieri... Hop! Hop! Se non si trova nulla per aggrap­parsi, è terribile!

Marcella — (accovacciandosi alle ginoc­chio, dell'uomo che le accarezza distrattamente i capelli) Quelli dei trapezi hanno dovuto al­ienarsi per mesi ed anni... Anche noi faremo così... (Nel tono di chi racconta una fiaba per addormentare un bimbo) S'incomincia con dei trapezi piccoli piccoli, quasi dei giocattoli... non molto alti da terra... si fanno dondolare...

Vittorio — (appoggiandosi lentamente allo schienale e guardando in alto) Come per gio­care all'altalena...

Marcella — Tu mi dai una spinta... io ti dò una spinta...

Vittorio — (come un'eco) E intanto ci si abitua...

Marcella — Poi sì prova a far l'altalena tenendosi con le braccia alla sbarra... Natu­ralmente bisogna vincere le prime paure...

Vittorio — (in un soffio) La paura del vuoto...

Marcella — Ma ci sono io che ti sosten­go, e quando sarai lanciato griderò: Hop! e ti stenderò le braccia... (S'interrompe sbir­ciando dal sotto in su l'uomo che, abbandonato sulla poltrona, sembra essersi addormentato; poi si alza, lentamente muove qualche passo, sorvegliando il dormiente con un'espressione amorosa e materna. Si dirige indietreggiando verso la camera di destra. Ma, quando allunga le mani dietro la schiena alla ricerca della ma­niglia, un breve gemito dell'uomo la immobi­lizza).

Vittorio — (portandosi le mani alla gola, come chi si risveglia da un incubo) No, no! Aiuto! (Balza in piedi, si guarda intorno come chi non riesce a raccapezzarsi) Tu...

Marcella — (smarrita)  Son qui...

Vittorio — (scrutandola) Chi sei?

Marcella — Sono Bruna... non mi ri­conosci?

Vittorio — (avanzando lentamente) Quale Bruna? Bruna è morta... morta, capisci?

Marcella — (disperata e felice, corre verso l'uomo, gli si butta fra le braccia, gli porge le labbra come si offre al naufrago il più fragile ma il più sicuro degli appigli) Sì, sì, ripeti quello che hai detto... amore, ripeti.

Vittorio — (curvandosi lentamente su quel­le labbra, balbetta) Amore!  

(Cala il velario).

SECONDO QUADRO

Siamo al mattino successivo. Attorno al ta­volo, con i resti della cena, sono buffamente curvi in tre: Gianni da una parte, Lucia dall'al­tra e al centro Giulia, una signora anziana dal viso intelligente ed energico, che indossa un abito da viaggio di stoffa scura, piuttosto elegante.

Gianni — (allontanandosi dal tavolo men­tre carica la pipa) Io torno a ripetere che non ci credo...

Lucia — Come  non  ci credi?   (Con  un

cenno verso i piatti) Qui hanno mangiato in due, lo vedrebbe anche un cieco...

Gianni — Che abbiano mangiato in due non  è una buona ragione...

Lucia — E  allora  mi vuoi spiegare...

Giulia — (interrompendola) Scusi, signora, la donna di cui mi parlava...

Lucia — (nervosamente) Appunto quella... quando lei è scesa dalla vettura, stavo proprio bussando alla sua camera (Indica la camera di destra) e ho gridato a mio marito... bada che suonano al cancello... A dire la verità non supponevo che fosse lei. Aspettavo sem­mai  suo  fratello...   il  cavaliere...

Giulia — (con un sospiro) Oh, se aspet­tava mio fratello...

Lucia — Voglio dire che, siccome lei do­veva arrivare col treno delle nove...

Giulia — (pensando ad altro) Ho antici­pato, nella speranza di rientrare in tempo per la festa di beneficenza. (A Gianni) Pro­prio questa sera c'è la lotteria, e faccio parte del comitato... Sa come succede nei piccoli centri...

Lucia — Era per spiegarle che lei è arri­vata proprio nel momento in cui, stanca di bussare, entravo nella camera e constatavo che quella signora non c'era più.

Gianni — Intanto ti faccio osservare...

Lucia — (scattando) Ma lasciami dire! (A Giulia) Tanto avevo il pensiero fisso a quella là, che sono andata diritto all'uscio, senza nemmeno accorgermi che la tavola era apparecchiata. Quando ho visto che sul comò c'era ancora la valigetta, ho detto... allora non è andata via... In quel momento gli occhi mi cadono sul letto. (Pausa, poi con solennità un tantino grottesca) Intatto, come la sera prima!

Giulia — Il letto dove avrebbe dovuto dormire  quella donna?

Lucia — Gliel'ho preparato io! Con le lenzuola di bucato... Venga a vedere!

Giulia — (senza muoversi, ma con la cal­ma e la serietà di un funzionario che svolge un'indagine) E da che cosa arguisce che quella donna dovrebbe trovarsi nella camera di mio figlio?

Gianni — (alla moglie) È quello che dico io. Non potrebbe essere uscita?

Lucia — (contenendosi a stento) Uscita dove? Come? Scavalcando la finestra e il cancello? Tu stesso hai chiuso a chiave l'uscio e il cancello ieri sera.

Giulia — Comunque in camera di Vittorio lei non ha guardato.

Lucia — Prima di tutto non ne ho avuto il tempo. E poi capirà...

Giulia si dirige con decisione verso la camera di sinistra, ma giunta davanti all'uscio, esita un attimo. Tenta con precauzione la maniglia, poi ritorna lentamente verso il centro della scena.

Giulia — (come fra sé) È chiuso dal di dentro...

Lucia — Lo vede? Ha messo il cate­naccio...

Gianni — Questo non prova nulla...

Lucia — (dispettosamente) E va bene... ma sai che sei ostinato?

Gianni — Avrò torto, che vuoi che ti dica... Ma sono come San Tommaso...

Giulia — (a Lucia) Che tipo è questa donna?

Lucia — (imbarazzata) Come posso dirle? E capitata qui all'improvviso ieri sera, ver­so le nove. (Al marito) Saranno state le no­ve, no?

Gianni — Le nove e mezzo! È arrivata esattamente un quarto d'ora prima del pro­fessore. Me lo ricordo benissimo.

Lucia — Ecco, le nove e mezzo, e ha chie­sto una camera; lei sa che ne abbiamo una sola.   (Indicando)   Quella.

Giulia — Voglio sapere che tipo è... gio­vane, bella? Elegante, vestita male? Imma­gino che non darete alloggio alla prima ve­nuta...

Lucia — (fremendo e guardando di sot­tecchi il marito) Eh! cara signora Giulia, fosse stato per me, non ci metteva piede qua den­tro, glielo assicuro... Ma siccome gli uomini vogliono sempre avere l'ultima parola... Sic­come al padrone era simpatica...

Gianni — Ma che simpatica, fammi il piacere...

Lucia — (al marito) E chi le ha dato cor­da a discorrere? Io forse? Io ho detto ap­pena le parole indispensabili per rifiutare la camera, e chiunque non fosse una sfrontata, l'avrebbe   capito...

Giulia — (a Gianni) Insomma, è una di quelle?

Gianni — Ah beh, io non mi arrischierei a dirlo... In ogni caso non si può fare un'in­chiesta su ogni inquilino. Quando si è preso nota del nome cognome e città di prove­nienza... (Con improvviso scatto comico a Lucia) Tu poi, che chiacchieri tanto, quando l'anno scorso è venuto quello studente e in seguito si è scoperto che aveva l'amante, com'è che non te ne sei accorta prima? Avanti.

Lucia — (rimbeccandolo) Ma se ce l'ha portato qui un suo zio canonico! (A Giulia) E appena mi sono accorta che faceva entrare delle donne, l'ho mandato via!

Giulia — (a Lucia) Quando è venuto qui mio fratello, quella donna c'era ancora?

Gianni — (trionfante) Ecco! Stavo ap­punto per dirglielo! Il cavaliere l'ha cono­sciuta. (A Lucia) E che, forse se n'è scanda­lizzato?

Lucia — Perché doveva scandalizzarsi? Intanto il cavaliere è una persona troppo bene educata per far mostra di quello che pensa...

Giulia — (con un sospiro) E poi mio fra­tello è di manica larga...

Gianni — Comunque ha detto che per le nove precise sarebbe venuto qui, e così sentiremo dalla sua viva voce...

Giulia — Ha detto le nove? Se lo ve­dremo a mezzogiorno siamo fortunati. (Dopo una rapida riflessione) Sentite... volete per favore lasciarmi sola?

Lucia — (timidamente) Vuole che ce ne andiamo?

Giulia — Sì, è meglio che io parli con Vittorio a quattr'occhi...

Gianni — (alla moglie) La signora Giulia ha perfettamente ragione. Lasciamola li­bera!

Lucia — (un po' a malincuore) E va bene... (A Giulia) Comunque siamo di là, e se avesse bisogno di qualche cosa...

Giulia — (freddamente) Grazie, se del caso la chiamerò...

Gianni — (come chi è lieto di togliersi dagli impicci) Vieni, Lucia... le mamme sanno sempre trovare le parole più adatte...

Lucia — (a bassa voce, uscendo col marito dalla sinistra) Signore Iddio, come siamo di­sgraziati...  come siamo disgraziati!

Gianni — (con voce soffocata) E non esa­gerare...

Rimasta sola, Giulia resta un momento pen­sierosa, poi a passi canti si dirige verso la ca­mera matrimoniale. Si ferma davanti all'uscio, alza la mano per bussare, ma in quel momento la porta si apre e appare Marcella.

MARCELLA — (a voce bassa) Non lo svegli, signora... Aspettavo che quei due se ne an­dassero,   per  poterle  parlare...

Giulia — (indietreggia, suo malgrado un po'  intimidita).

Marcella — (facendo qualche passo avanti) Immagino che lei sia la madre di Vittorio...

Giulia — (sussultando) Vittorio? (Fred­damente) Sono la madre del professor Ascani... Posso sapere da quanto tempo lei lo conosce, per interpellarlo così familiarmente?

Marcella — (dopo un attimo di esita­zione e a voce bassa e triste) Da poche ore...

Giulia — Durante le quali non ha perso tempo,  a quel che vedo...

Marcella — (segue in tono dimesso) Se avessi fatto una questione di tempo, avrei potuto andarmene prima del suo arrivo... Prima che spuntasse l'alba... Invece atten­devo proprio lei...

Giulia — (con una risatella ironica) At­tendeva me? (Sarcastica) Non ha voluto u-scire finché c'erano i padroni di casa... si ver­gognava? Crede forse che non se ne siano accorti?

Marcella — Non si tratta di vergo­gnarsi... e poi non è quello che ha importanza.

Giulia — Ah già,  c'è abituata.

Marcella — (resta immobile chiudendo gli occhi come per uno schiaffo, poi con un so­spiro) Sì, infatti... ci sono abituata. Non ci tengo nemmeno a salvare le apparenze, e poi sarebbe inutile. Per quanto non tutte le parole mi giungessero di là, immagino che quei due mi abbiano accusato dei più neri delitti. Non importa... Ma è per lui. (Con un cenno verso la camera matrimoniale) È per suo figlio. Cerchi di capirmi.

Giulia — (sprezzante) Ma ho capito be­nissimo.

Marcella — No, lei non ha capito... lei non vede l'ora di insultarmi... E sia pure... ma non abbiamo tempo, mi creda. Vittorio può svegliarsi da un momento all'altro. Dob­biamo metterci d'accordo, stabilire una linea di condotta... Questo sì, è molto importante... (Disperata) Insomma lei lo conosce più di me... sa benissimo che non è come gli altri...

Giulia — (sferzante) E lei? Lei lo sapeva, che mio figlio non è come gli altri, prima di comportarsi come si  è  comportata?

Marcella — Ma è appunto per ciò... Mi lasci spiegare, e per favore non si formalizzi... e non sia armata contro di me, contro di lui... Lei ha l'aspetto di una signora intelligente, colta, distinta... cerchi per un momento di dimenticare d'essere la madre... Immagini che so... di essere un medico, ecco, un medico... Le sto parlando di un ammalato, no?

Giulia — Che io curo da tanti anni senza aiuto di estranei... nemmeno dei medici, i quali si sono stancati da un pezzo di occu­parsi di mio figlio... (Pausa) Comunque mi dica...

Marcella — (con   un   sospiro)   Ci  siamo incontrati qui, per caso... entravo in camera mia, quando mi ha chiamato... Da principio ho avuto paura, poi... Poi ha voluto che ce­nassi con lui... Abbiamo parlato...

Giulia — Che cosa le ha detto?

Marcella — (un po' imbarazzata)  Tante cose... (In un soffio) Come se fossi l'altra...

Giulia — (ironica) E lei non ha trovato spiacevole  l'equivoco...

Marcella — (con semplicità) Infatti, non l'ho trovato spiacevole. (Con amarezza) Ma non per le ragioni che suppone lei. Per altre ragioni, che sarebbe troppo lungo e forse inutile spiegarle. (Con un sospiro) La difficoltà sta proprio in questo... che lei si ostina a considerare soltanto il lato più basso, più volgare.

Giulia — Dovrà ammettere che non è facile scoprire il lato nobile di quello che lei vorrebbe far apparire quasi un sacrificio... Che cosa intende dire? Che si è degnata di dare a mio figlio, per una notte, l'illusione di aver ritrovato quella poveretta che non c'è più? Bisogna proprio che Vittorio abbia completamente smarrito la ragione, per aver potuto illudersi che lei... (Con un gesto di sdegno)  Oh...

Marcella — Sì, va bene... La moglie era certamente cento volte migliore di me... Ma Vittorio si è illuso solo in un primo tempo. (Febbrilmente) Poi ha capito... Ed è questa la buona notizia che volevo darle... Suo figlio è guarito, suo figlio non pensa più a quell'altra... Non è contenta di questo? Ora si tratta soltanto di mettersi d'accordo, di sta­bilire insieme quello che vogliamo fare... E bisogna far presto... Dovevo prepararla, no? Ecco perché non me ne sono andata... .

Giulia — (scrutando Marcella) E come fa a dire che Vittorio è guarito? Come fa, lei che lo conosce da poche ore, a distinguere quello che c'è di vero o di fantastico nei suoi vaneggiamenti? (Dominandosi) A meno che non vaneggi anche lei...

Marcella — Signora... come posso spie­garle una sensazione basata su elementi vaghi, su mezze parole, su intuizioni che sol­tanto una donna può capire, e che invece lei respinge...? Comunque gli parlerà, sentirà quello che dice... Ma dovevo pur avvertirla. Non potevo andarmene, scomparire... Allora sì, sarei stata una donna spregevole!

Giulia — (interrompendola  con  un gesto) Sssst... (Resta tesa in ascolto verso la camera matrimoniale).

Marcella — (improvvisamente atterrita) Si è svegliato... (Affannosa ed implorante) Gli parli lei, signora... mi raccomando... non gli faccia involontariamente del male... (Correndo verso la camera di destra e fermandosi smarrita sulla soglia) La prego... sia buona... (Scom­pare,   chiudendosi   l'uscio   alle   spalle).

Giulia è rimasta immobile con gli occhi fissi alla maniglia della porta di sinistra che lenta­mente si muove. Poi l'uscio si apre e appare Vittorio.

Vittorio — Mamma! (Avanzando con le braccia tese e un sorriso sulle labbra) Oh mam­ma cara... (La stringe fra le braccia. Giulia tenta ancora di darsi un contegno, ma lo sforzo fatto per mantenersi impassibile davanti a Marcella, evidentemente l'ha esaurita; i nervi cedono e scoppia in pianto).

Vittorio — (commosso traendola dolcemen­te verso la poltrona, dove Giulia si lascia ca­dere affranta) Mamma... che cosa c'è? (Le si inginocchia vicino).

Giulia — (calmandosi lentamente, mentre accarezza i capelli del figlio) Niente, figliolo, niente...

Vittorio — Quando sei arrivata?

Giulia — Pochi minuti fa...

Vittorio — (sorridendo) Sei venuta a pren­dermi? E perché queste lagrime? Non hai mai fatto così...

Giulia — (con un sospiro) Che cosa ne sai tu...

Vittorio — (alzandosi)  Ma certo che lo so... Le altre volte arrivavi calma, sorridente... e ce ne tornavamo insieme sotto braccio...

Giulia — (fissando angosciata il figlio) Le altre volte... Allora tu ricordi le altre volte?

Vittorio — (un po' nervoso)  Beh... certo che le ricordo... In un modo forse un po' confuso. Sai pure che non ho una gran me­moria...

Giulia — (con un sospiro triste) E allora dimmi tutto... vieni vicino a me...

Vittorio — (prendendo uno sgabello e se­dendo  vicino  alla  madre)  Eccomi...

Giulia — Stammi bene a sentire. Io sono la tua mamma, vero? Sono quella che ti ha portato in braccio da piccolo, che ti ha avuto sui banchi di scuola quando facevo la mae­stra... che ti ha tenuta sempre vicino...

Vittorio — (sorridendo) Sì, cara... e quan­do mi parli, ritorno ragazzo, come allora, sei contenta?

Giulia — E perché allora mi hai detto delle bugie?

Vittorio — Quali bugie?

Giulia — Per tanti anni...  (Con precau­zione) Quando venivo a prenderti qui...  non mi hai mai detto... (S'interruppe, imbarazzata).

Vittorio — (curvando il capo) Che cosa?

Giulia — Non mi hai detto che sapevi... che capivi...

Vittorio — (giocherellando   con   le   mani della madre) Perché avrei dovuto dirtelo? E poi era una specie di intesa, no?

Giulia — Intesa in che senso?

Vittorio — (senza guardare la madre) Come spiegarti? Credo che avvenga qualche cosa di simile per gli ubriachi... scusa il paragone... voglio dire che gli ubriachi hanno una percezione abbastanza esatta del loro stato, e quando qualcuno li raccoglie e li accompagna a casa, credo che preferiscano non parlare... non dare spiegazioni...

Giulia — (perplessa)  Gli ubriachi?

Vittorio — Sì, mamma, anch'io quando mi svegliavo in quella camera... e poi ti ve­devo arrivare... capivo confusamente che do­veva essere accaduto qualche cosa, e insieme provavo una vaga sensazione di colpa... Ma tu non mi dicevi niente... non mi rimprove­ravi... Mi abbracciavi come se non fosse av­venuto nulla, come se fosse più che naturale ch'io mi trovassi qui... anch'io preferivo non parlarne... Si ritornava al paese, un poco tristi tutti e due, e la vita ricominciava...

Giulia — Va bene, e... questa volta? (Pausa) Anche questa volta preferisci non parlarne?

Vittorio — (alzandosi lentamente) No... questa volta è diverso. (Fa qualche passo, poi imbarazzato)   Perciò  piangevi?

Giulia — (cercando le parole) No... è stato un momento di debolezza... In fondo sono una povera vecchia mamma... (Tam­ponandosi gli occhi col fazzoletto) Ho fatto sempre di tutto per rimanere in quella specie di intesa... come l'hai definita giustamente tu... Ma ora hai alluso a un fatto nuovo...

Vittorio — (senza guardare la madre) Sì...

Giulia — E dovremo per forza esaminare insieme questo fatto nuovo... dovremo collo­carlo nella sua giusta luce... ridurlo alle sue giuste proporzioni...   Non  ti  pare?

Vittorio — (oscurandosi in viso) Sì, mam­ma.

Giulia — (alzandosi) Perché non mi guar­di? (Tentando di sorridere fra le lagrime e minacciando scherzosamente il figlio con un dito) Sei cattivo... sei un ragazzo cattivo...

Vittorio — (calmo) Non sono più un ragazzo, mamma!

Giulia — (tentando di sdrammatizzare) Che sciocchezze... siamo tutti, sempre, dei ragaz­zi... sempre... Anch'io vedi, piango, rido... sono una specie di vecchia bambina...

Vittorio — No, mamma... tu sei molto più forte di me. (Con un sospiro) Anche quan­do stavo bene, quando non andavo soggetto a quei fenomeni che tu sai... ero più debole di te. Tu mi hai sempre coccolato, assistito, adorato... Ma anche dominato! Mi hai sem­pre guidato imponendomi la tua volontà... Non te ne faccio una colpa, bada... è una semplice constatazione...

Giulia — (sforzandosi di ridere) Una specie di tiranna... Oh, tu sapessi che povera ti­ranna sono io...

Vittorio — Non ho detto che sei una tiranna. Ho detto soltanto che sei più forte di me.

Giulia — Ma più forte in che senso? E anche se fosse, quando mai ho fatto uso della forza verso di te? E poi non ce ne sa­rebbe stato bisogno... ci siamo sempre vo­luto bene... Sai pure che non ho che te al mondo...

Vittorio — (con tristezza) E hai paura di perdermi per la seconda volta!

Giulia — Perché perderti?

Vittorio — Credi ch'io non rammenti la prima volta? Quando mi sono fidanzato... Hai cercato in tutti i modi di allontanare Bruna...   di dissuadermi  dallo sposarla...

Giulia — Come   puoi   dire   questo?

Vittorio — Oh, non apertamente, benin­teso... Sei ricorsa a mille piccoli sotterfugi... L'origine modesta di Bruna, la sua povertà... insomma hai ostacolato finché hai potuto...

Giulia — Che c'entra... tutte le madri vorrebbero che il figliolo facesse un gran ma­trimonio, che sposasse una ragazza ricca, magari nobile... che so io... Sciocchezze na­turalmente... debolezze materne, che oggi sono la prima a svalutare... Infatti quando ho capito che le volevi bene e che si trattava di una brava ragazza., non mi sono più op­posta... E poi le ho voluto bene anch'io... l'ho apprezzata come meritava... Anche tuo zio...

Vittorio — Oh,  lo zio Giacomino...

Giulia — Non ti ha forse aiutato? Non le ha voluto bene anche lui?

Vittorio — Sì... a modo suo.

Giulia — Beh... ognuno ha il suo modo di esprimersi. Conosci tuo zio quanto me, forse più di me, perché fra uomini ci si in­tende di più...

Vittorio — (con un sorriso triste) Fra uomini...

Giulia — Volevo dire che anche mio fra­tello...

Vittorio — (come parlando a se stesso) È un uomo felice... un altro egoista felice...

Giulia — Perché un altro? Anch'io sarei un'egoista allora?

Vittorio — Non voglio offender nessuno. A questo mondo siamo tutti in un certo senso egoisti... È una difesa naturale... È la fatale incomprensione fra gli esseri umani, tanto più se fanno parte della stessa famiglia...

Giulia — Beh, lasciamo stare tuo zio... Si stava parlando di Bruna... Puoi negare che sia stata accolta in casa nostra con tutta la cordialità e l'affetto che meritava?

Vittorio — E quando l'ho perduta, non ne avete più parlato...

Giulia — Abbiamo creduto di assecon­darti anche in questo... Perché volevi che ne parlassimo, se tu non ne parlavi? Perché avrei dovuto esacerbare una piaga che si era chiusa da sé, quasi miracolosamente, sia pure in modo anormale?

Vittorio — (voltandosi di colpo e fissan­do la madre negli occhi) E ora che l'ho ritro­vata?

Giulia — Chi?

Vittorio — Bruna... (Pausa; poi, scop­piando in una risata stridula) Hai avuto paura,   eh?

Giulia — (con   angoscia)   Vittorio!...

Vittorio — (in tono risoluto) Naturalmen­te le avrai parlato... Che cosa ti ha detto?

Giulia — (fingendosi imbarazzata per gua­dagnar tempo e studiare la risposta) Che cosa vuoi che mi dicesse...

Vittorio — No no... non fingere di non ricordare... Tu hai un cervello perfetto. Non può esserti sfuggito nulla...

Giulia — (un po' stizzosamente) Ma ab­biamo parlato di tante cose... Non tutte poi così importanti... Sai come succede... Dovrai ammettere che non ero preparata a quel col­loquio. ..

Vittorio — E allora perché sei scoppiata a piangere?

Giulia — Te l'ho già detto... è stato un momento di debolezza... Di solito ero io che venivo a svegliarti. La padrona preparava il caffè, ricordi? E io te lo portavo a letto... Discorrevamo mentre ti vestivi... Questa volta mi sei apparso all'improvviso...

Vittorio — No... non dici la verità, o per lo meno non dici tutto...

Giulia — Senti,    Vittorio,    tu...

Vittorio — (allontanandosi) No... lasciami riflettere... Tu hai un tuo disegno, hai un tuo piano... Eh, ti conosco.

Giulia — Perché ti metti in difesa, come se io fossi una nemica? Come puoi pensare che io abbia dei segreti disegni contro di te?

Vittorio — Non contro di me. Contro di lei!

Giulia — Lei chi?

Vittorio — Lo sai pure... Bruna!

Giulia — (ergendosi in tutta la persona e parlando con gravita) Vittorio... Non mi piace quello che stai facendo...

Vittorio — (non risponde, ma non riesce a sostenere lo sguardo della madre ed è co­stretto a volgere gli occhi altrove).

Giulia — (avvicinandosi al figlio) Vittorio, guardami... non ho capito quello che hai detto.

Vittorio — Hai capito benissimo... (Diri­gendosi rapidamente verso destra e, bussando all'uscio di Marcella, grida) Bruna! Bruna!

Marcella — (appare pallidissima, si ferma a ridosso dell'uscio, e guarda alternativamente i due).

Vittorio — (prendendola per una mano, con improvvisa violenza) Diglielo tu che sei Bruna... Quella che ho perso tanti anni fa e che ora ho ritrovato...

Giulia — (urlando) Vittorio, no! È orri­bile quello che fai!

Vittorio, quasi a sfida, bacia d'improvviso Marcella, mentre la madre crolla in uno scoppio di pianto  sul divano.

Il velario si chiude lentamente.

TERZO ATTO

Sono passati pochi minuti. All'aprirsi del velario sono in scena soltanto Giulia e lo zio Giacomino. Giulia appare più calma. È an­cora seduta sul divano, e nelle mani stringe un fazzoletto appallottolato; gli occhi rossi di pianto guardano nel vuoto. Il fratello passeggia avanti e indietro, si toglie gli occhiali, li pulisce, se li rimette, borbotta, poi:

Giacomo — Io seguito a pensare che tu ti sia montata la testa esagerando dei mo­desti fatti che, esaminati con calma, si ridur­ranno a sciocchezze. Ne sono sicuro!

Giulia — Ti prego, Giacomino... Non sono una visionaria.

Giacomo — Chi dice questo...

Giulia — E non sono io sola che mi sono montata la testa. Anche la signora Lucia e suo   marito.

Giacomo — (interrompendola) Oh, la si­gnora Lucia e suo marito... Che cosa vuoi che capiscano quei due poveri vecchi pieni di pregiudizi e di ubbie... Intanto io ho cono­sciuto quella persona. (Fa un cenno verso la camera di destra) E ti assicuro che non ha proprio l'aspetto della donna fatale... anzi, mi è sembrata un tipo piuttosto timido, e ieri sera, in quella mezz'ora che sono stato qui, avrà detto sì e no dieci parole...

Giulia — Con me non è stata affatto ti­mida... e di parole ne ha dette più di dieci...

Giacomo — Grazie tante... l'avrai aggre­dita e avrà dovuto difendersi. E poi lo so come succede. Quando due donne discutono, si stabilisce subito un clima di intolleranza reciproca... Comunque parlerò anche con lei...

Giulia — Non ce n'è bisogno. Per for­tuna se n'è andata.

Giacomo — Se n'è andata?

Giulia — È il meno che potesse fare... Figurati che è ricercata dalla Polizia...

Giacomo — Perché ricercata?

Giulia — Ah non lo so. Il fatto si è che, dopo quello che è accaduto, la signora Lucia le ha posto l'aut-aut... O se ne andava o tele­fonava in Questura... E lei non ha ribattuto sillaba, sai? Se ne è andata liscia come un olio...

Giacomo — Ma allora i padroni di casa sapevano?

Giulia — (smaniando) Che vuoi che ti dica? Giurano d'averlo saputo dopo, quando già le avevano concesso la camera. Si sono anche scusati con me per avertela presentata. Comunque non ne sentiremo più parlare, e questo   è  l'importante...

Giacomo — (ripete fra se) Ricercata dalla Polizia...

Giulia — Puoi immaginare in che razza di donna ci eravamo imbattuti.

Giacomo — (con involontaria comicità) Noi? Lui!

Giulia — (seccamente) Lui e noi... Comun­que se ne è andata, e questo è l'importante...

Giacomo — Va bene, va bene... Ma am­metterai che è sempre molto strano...

Giulia — (interrompendo) Ti ripeto che non me ne importa nulla... E il contegno di Vittorio che mi spaventa.  (Pausa)  Che fa? Dorme ancora?

Giacomo — (accostandosi all'uscio della ca­mera matrimoniale e socchiudendolo) Sì, dor­me...

Giulia — Non ha mai fatto così...

Giacomo — Lo vedi che ti monti la testa? Ha sempre fatto così, invece! Dopo ogni crisi, è sempre caduto in un sonno profondo; e quando si sveglia è tranquillo. Tutti i me­dici te l'hanno detto. Il sonno è una provvi­denza della  natura, che serve a riequilibrare lo scompenso nervoso prodotto dall'attacco... Dopo,   vedrai  che  ragionerà perfettamente.

Giulia — (con crescente nervosismo) Ma anche prima ha ragionato perfettamente... (Stringendo i pugni) Ah, perché non c'eri tu... Sempre sola, sempre sola. Si ha un bell'essere abituati a combattere...

Giacomo — Hai ragione... ti ho già chie­sto scusa, ma sai come succede quando s'in­contra un chiacchierone. Stavo per venir qui, quando mi ha agganciato Montaldo... te lo ricordi? Quello che si occupa di assicura­zione... Te l'ho presentato l'anno scorso.

Giulia — (infastidita) Come vuoi che in questo momento ricordi una persona cono­sciuta l'anno scorso... E poi non m'interessa...

Giacomo — (mortificato) Dicevo così per dire... ma ritornando a Vittorio e... a quell'altra... si può sapere che cosa c'è stato di positivo? Vittorio le ha fatto delle promesse? La ragazza  avanza  delle pretese?

Giulia — Ma no... tu vai a pensare a delle cose assurde... È tutto diverso... Più semplice e nello stesso tempo più complicato... (Alzandosi d'improvviso a mani giunte si mette a pregare fervorosamente) Signore Iddio mise­ricordioso... io faccio un voto... Tu leggi nel mio cuore... Tu sai quanto ho sperato che Vittorio guarisse...

Giacomo — (precipitandosi verso la so­rella e afferrandola per un braccio) Ah, no eh! Non   bestemmiare   adesso...

Giulia — (confusa resta immobile con gli occhi   bassi).

Giacomo — (in tono vibrato e severo) Non si chiedono a Dio quelle cose... Se tuo figlio è guarito, abbiamo già avuto la grazia più grande che fosse possibile sperare, e qualunque cosa succeda, l'essenziale è che Vittorio abbia riconquistato la ragione. Ammesso che quel che tu mi hai detto sia vero...

Giulia — (a bassa voce, senza tuttavia osare di guardare il fratello) Preferisci che si danni per l'eternità? Preferisci perderlo?

Giacomo — (scattando) Ma non dire scioc-chezze! Nessuno si è mai dannato per questo. E il tuo egoismo che ti fa sragionare... E poi quell'altra se n'è andata, no? E allora?

Giulia — (si rimette a sedere prendendosi il viso  fra le mani).

Giacomo — (avvicinandosi bonariamente al­la sorella e battendole qualche colpetto sulle spalle) Su, su... ci sono io qua. Non ti ho sem­pre consigliato per il tuo bene? Anche quan­do tuo marito era vivo, non ricorrevi forse a me se avevi bisogno di prendere una deci­sione? (Sorridendo) Come mi chiamava il povero Vincenzo? Quel matto di Giacomino... e non aveva torto. Siamo tutti un po' stram­palati in famiglia; io per un verso, tu per un altro... (A un gesto di protesta di Giulia) Sì, sì, anche tu, lasciatelo dire... col tuo af­fetto morboso, esclusivista, con la tua in­transigenza moralistica... Ma, alla fine, tro­viamo sempre la strada giusta, e le nostre soluzioni non sono peggiori di quelle che escogitano i furbissimi... quelli che hanno sempre la testa a posto... (Pausa) Sai che cosa ti dico? Più divento vecchio, più mi accorgo che un pizzico di follia ci vuole...

Giulia — (prendendo una mano del fra­tello e appoggiandovi le guance) Aiutami tu...

Giacomo — Ma certo... sono qui apposta... (Sorridendo per sdrammatizzare l'atmosfera) Lo sai qual'è il mio motto? Tardi, ma sempre in tempo...

Giulia — Speriamo davvero di poter arri­vare  in tempo...

Giacomo — Senti, ora ti espongo il mio piano di azione... Prima di tutto, aspettia­mo che Vittorio si alzi... Poi lo lasciamo parlare...

Giulia — Ah, un bel piano d'azione... Lui si alza, lui parla... allora l'azione la fa lui.

Giacomo — Ma che c'entra... lasciami fi­nire. Noi stiamo a sentire quello che dice e poi ci regoliamo in conseguenza. Anzi, sai che cosa ti dico? Tu va' di là (indica la ca­mera di Vittorio) e mettiti vicino a lui, in modo che, appena si sveglia, la prima persona che vedrà sarai tu. Poi gli dici che io sono arrivato... (Accompagnando Giulia verso de­stra) Insomma, facciamo come tutte le altre volte...

Giulia — (asciugandosi gli occhi) Sì, si... (Scompare nella camera di  Vittorio).

Giacomo — (ritornando al centro della sce­na)  Oh... finalmente!

Lucia — (apparendo dalla sinistra) Non si è ancora svegliato?

Giacomo — (girandosi con un sussulto) No...  non si è ancora svegliato... Anzi, vogliamo approfittare  di  questo  momento  di   calma per regolare il nostro conticino?

Lucia — Si tratta di cifre così modeste...

Giacomo — Beh, modeste o non modeste... (Sta per mettere la mano in tasca, quando si suona   timidamente  all'uscio).

Lucia — (andando ad aprire) E chi è a quest'ora?

(Sulla soglia è apparsa Marcella).

Lucia — (indignata) Ancora voi? Ma co­me  avete fatto?

Marcella — C'era il cancello aperto...

Lucia — (indietreggiando) Ah, ma è il colmo della sfacciataggine.

Marcella — (avanzando calma e con in­tonazione triste) La disturberò per poco, si­gnora... (A Giacomo) Speravo che lei uscisse... ma purtroppo ho i minuti contati... Volevo chiederle   un  favore...

Giacomo — (un po' imbarazzato) Prego, prego... (A Lucia) Permette? (A Marcella) Vuol parlarmi da solo, o...

Marcella — (con la solita intonazione triste) Non credo che alla signora possa inte­ressare...

Lucia — (sostenuta)  Io me ne vado.   (A Giacomo) Se avrà bisogno di me...  (Via per la sinistra).

(Giacomo e Marcella restano un momento immobili a guardarsi, poi).

Giacomo — In che cosa posso esserle utile?

Marcella — Chiedo ancora scusa... ma ieri sera lei mi è sembrato così gentile, così umano...

Giacomo — (con precauzione) Beh... mio Dio... nei limiti del possibile, siamo qua per aiutarci l'un l'altro... (Con improvvisa curio­sità) Ma lei, scusi, non era partita? Mia so­rella mi ha detto...

Marcella — Sì, infatti, avrei dovuto partire... poi... (Tace imbarazzata).  

Giacomo — Forse... qualche difficoltà?

Marcella — No no, nessuna difficoltà... e in ogni caso, non le difficoltà che lei forse suppone... E nemmeno la paura. (Pausa) Im­magino che le avranno detto della mia situa­zione...

Giacomo — Sì... cioè... così, molto vaga­mente... (Tossicchia) Mi pare d'aver sentito che lei ha delle noie...

Marcella — Qualche cosa di più, tanto vero che mi hanno minacciata e ho dovuto subire...

Giacomo — Chi l'ha minacciata?

Marcella — La signora Giulia...

Giacomo — (bonariamente)  Oh se lei sta a sentire quello che dice mia sorella...

Marcella — Non   è  un  rimprovero...   e poi non ha più importanza. Non è per quello che me ne sono andata; è per lui...       

Giacomo — Per lui, chi?       

Marcella — Per suo nipote... ho voluto evitargli una scena penosa, e lasciarlo con un ricordo di me che non fosse volgare... brutto... lei mi intende?

Giacomo — Beh... questo è molto simpa­tico da parte sua, ma vede, mio nipote pur­troppo non è... non è ancora in condizioni del tutto normali. Le dirò anzi, confidenzialmente,  che non credo che quel povero ragazzo possa granché migliorare col tempo...        

Marcella — Già... Nemmeno sua madre lo crede, è vero?

Giacomo — Le dirò... le madri si illudono sempre, ed è giusto che sia così... sperano sempre...

Marcella — No, signore... la madre di Vittorio sa benissimo che il figlio potrebbe guarire... ma non credo che lo desideri.

Giacomo — Non capisco come lei possa supporre una cosa tanto inverosimile e anche mostruosa. È un'insinuazione che debbo re­spingere e che respingo.

Marcella — (con dolcezza) Per lei è dif­ficile ammetterlo... naturalmente! E poi non è bello parlare di queste cose, lo comprendo. Ma le ripeto che per la madre è meglio un figlio ammalato che perduto... perduto con una come me.

Giacomo — E io le ripeto che lei si fa un'idea assolutamente sbagliata.

Marcella — Va bene, non importa... Del resto, anche se io non fossi al punto in cui sono, me ne sarei andata lo stesso... per non guastare questo miracolo straordinario...

Giacomo — Speriamo   che   sia  stato   un miracolo. Non le nascondo che io resto molto scettico...

Marcella — No, no... miracolo, glielo assicuro. Forse valeva la pena di tentare l'esperimento fino in fondo... ma capisco che non è possibile. Apparteniamo a due mondi diversi... Non mi faccio illusioni. E poi non è per questo che io mi sono permessa di ve­nirla a disturbare...

Giacomo — (senza celare il suo fastidio) Oh brava! Allora mi dica subito...

Marcella — Ecco... Che cosa ha detto lui, quando ha saputo che ero andata via?

Giacomo — (sempre più cauto) Ah, beh... niente... Per lo meno niente di speciale. Le dirò anche che non abbiamo avuto molto tempo per discorrere. Mia sorella voleva par­tire prima di mezzogiorno... perché c'è un treno comodo... E poi Vittorio si è addor­mentato, come gli succede sempre dopo ogni crisi.

Marcella — Perché lei,  che  è  buono... lo  si vede dal viso, lo si sente dal tono della voce... perché  vuol mentirmi? Io non ho fatto che ronzare attorno alla casa... Mi è parso di sentirlo gridare a un certo punto. (Con ansia) Mi cercava? Mi dica, chiedeva di me?

Giacomo — (imbarazzato) Beh... natural­mente ha chiesto anche di lei... ma, come le ho già detto, non si può fare troppo affida­mento su quello che mio nipote dice o non dice... È un ragazzo che da parecchi anni si trova in uno stato di semi-demenza lucida... Il  suo cervello farnetica, passa da un argo­mento all'altro... Le assicuro che in questo momento mi riesce persino difficile ricordare quello che abbiamo detto in quei pochi mi­nuti,   perché  sono  stati  minuti...   Come  le ripeto, è piombato quasi subito in quel suo sonno morboso.

Marcella — (umilmente) Grazie... Capi­sco... sono stati minuti... E lui mi cercava... grazie. (Asciugandosi rapidamente gli occhi) Mi basta...

Giacomo — (un po' preoccupato) Oh senta... in ogni caso, lei mi promette...

Marcella — Che cosa? Di che teme? Se le ho già detto che non c'è più niente da fare... Sono gli ultimi miei momenti di li­bertà... consideri le mie domande di po­c'anzi, non so... una stramberia da povera donna.

Giacomo — Non voglio affatto rimpro­verarla, per carità. Anzi, apprezzo molto il suo buon senso, e... come dire... la sua ra­gionevolezza. Sono lieto che lei abbia in certo modo capito l'importanza e i limiti, sì, di­ciamo pure modesti... nei quali va ridotto un episodio che, sono certo, lei sarà la prima a dimenticare...

Marcella — Io dimenticare? Oh, signo­re... come può pensare a una cosa simile? Io dimenticare... Ma no... nemmeno se cam­passi cento  anni.

Giacomo — (stupefatto) Ma scusi... a me sembrava, e sembra tuttora, che un incontro fuggevole, come quello che c'è stato fra lei e mio nipote, non può costituire un avveni­mento   speciale...   un   fatto   straordinario... (Pausa) Se invece lei la pensa diversamente... se vuoi dargli una grande importanza... e allora mi dica subito quanto valuta questo episodio... (Mettendo la mano alla tasca in­terna della giacca) Se si tratta di una cifra ragionevole...

Marcella — (con tristezza) Ma che cosa sta dicendo? (Con un breve riso subito smor­zato) No, no... Se potessi pagare io in qualche modo... non certo con denaro... quello che di bene ho ricevuto, le assicuro che lo farei vo­lentieri. Ma certi doni non si possono com­pensare, non c'è modo... E lei vuol pagare me? (Come parlando a se stessa) Si tratta proprio di due mondi diversi. (Subito pen­tita) Non lo dico per offenderla, tutt'altro... ma è così evidente...

Giacomo — Senta... le giuro che non ca­pisco...

Marcella — Non capisce... (Pausa) Non capisce che cosa possa essere stato per me, leggere negli occhi di un altro essere umano un'innocenza nuova, insperata, miracolosa... non capisce che cosa sia stato, per una di­sgraziata come me, sognare il mondo favoloso di un'adolescenza mai conosciuta, raccon­tata da un altro, vissuta per miracolo nella vita di un altro... Che cosa sia stato per me fare un viaggio di nozze; sia pure per poche ore...

Giacomo — (stupefatto) Io... io non potevo supporre...

Marcella — Lo so... nessuno potrebbe supporlo; né lei, né la madre, e forse nem­meno lui, che guarito o non guarito, un giorno certo crederà di aver sognato... confonderà questa notte con quell'altra, quella vera di tanti anni fa... Ma io no, signore. Io sono stata, sia pure per poche ore, sollevata al rango di essere umano, ho sentito le parole che nessuno uomo mi aveva mai detto, che nessun uomo mi dirà mai più... (Resta estatica guardando   fisso   davanti  a  sé).

Giacomo — (imbarazzato) Perché dice que­sto...

Marcella — Perché è la verità... Ci sono donne che discendono lentamente sempre più in giù... È triste, ma non è il caso più doloroso... possono ancora rifugiarsi in qual­che ricordo... Ce ne sono altre invece, come me, che sono state buttate via subito, fin da piccole, e quando hanno incominciato a ragionare, non erano nemmeno in grado di capire la loro situazione... Poi, col passar degli anni, hanno incominciato a guardarsi attorno... Si sono accorte che ci sono affetti diversi, modi diversi di vivere... Ma era trop­po tardi. Hanno dovuto continuare... (Si interrompe mordendosi le labbra, mentre lagrime silenziose le rigano il volto).

Giacomo — (commosso) Non faccia così, la prego...  Io...

Marcella — (con piccoli gesti di una mano) Non importa... Ci siamo detto tutto...

Giacomo, guardandosi intorno come per cercare una scappatoia, vede sulla soglia dell'uscio rimasto aperto la figura del Brigadiere che, silenzioso e con la sigaretta in bocca, os­serva la scena. Si porta una mano alle labbra,

come per trattenere un grido. Marcella si ac­corge che c'è qualche cosa, è e si volta.

Marcella fa un cenno col capo e si avvia rapidamente. Il Brigadiere si fa da parte per farla passare, la donna esce d'impeto, il Briga­diere la segue, richiudendo l'uscio alle spalle.

Giacomo è rimasto come impietrito, ma un rumore di voci dalla parte della camera di Vittorio lo fa sussultare.

Giulia — (voce fuori scena) Sì, caro... c'è lo zio Giacomino.

Vittorio — (voce fuori scena) Lo zio...

Giulia — È lì fuori... aspettava che ti svegliassi...

L'uscio di spalanca e appare Vittorio. Dietro di  lui  Giulia,   un  po'  ansiosa.

Vittorio — (avanzando lentamente) Oh, zio  Giacomino,  bene  arrivato.

Giacomo — (tentando di apparir disinvolto) Ciao,  Vittorio... come va?  Dormito bene?

Vittorio — (guardandosi in giro, sospet­toso)   Ho  dormito molto?

Giulia — No, caro... pochi minuti...

Giacomo — (con solennità burlesca) Non si dorme mai abbastanza...

Vittorio — E in questo senso, beati i morti... (Pausa) È molto che sei qui? (A Giulia)  Avete chiacchierato?  Di che cosa?

Giacomo — Così... del più e del meno. (Sbirciando di sottecchi Giulia) Tua madre ha detto...

Vittorio — Di  essersi  spaventata...

Giacomo — Spaventata?   No...   perché?

Vittorio — Ma sì... sono stato io a spa­ventarla. (Ridendo nervosamente) Ho detto delle stupidaggini... (Con tristezza) Sono dav­vero uno sciocco... come il bambino che fa i capricci per non andare a scuola...

Giulia — Vittorio... non ti ho mai con­siderato uno sciocco, e neanche tuo zio...

Vittorio — (con lo sguardo sfuggente, men­tre sbircia verso la camera di destra) Per un sentimento di pietà... infatti gli sciocchi fanno pietà...

Giacomo — Vittorio... vuoi ascoltarmi?...

Vittorio — (lasciandosi cadere stancamen­te su di una poltrona) Da uomo a uomo... Non è così? So già quello che mi vuoi dire. Le stesse lamentele di mia madre, presen­tate in un altro modo. (Pausa) Anche quando ero ragazzo, e la mamma voleva ottenere qualche cosa da me, invocava il tuo aiuto, e venivi a parlarmi, da uomo a uomo...

Giacomo — Avevo torto?

Vittorio — Ma ora non sono più un bambino... anche se un momento fa, per una improvvisa stupida paura, ho finto di esserlo ancora.

Giacomo — Riconosci che hai fatto male?

Vittorio — Sì, ho fatto male... e poi è inutile. (Alla madre) Volevi essere certa della mia guarigione? Ebbene sì... te lo dichiaro davanti a un testimone autorevole (Accen­nando  verso  Giacomo)   Sono guarito!

Giulia — (con voce trepida) E non è un miracolo, da ringraziare il tuo Santo protet­tore?

Vittorio — (lentamente)   Non   so   chi   si debba ringraziare, e se sia un bene o un male rientrare fra gli uomini dopo tanti anni di assenza... Riprender la lotta, con davanti agli occhi il quadro della propria miseria, in tutto il suo squallore... (A Giacomo) Co­munque, sono pronto... avanti... parlami da uomo a uomo!

Giacomo — Prima di tutto ti dirò che non capisco questa tua ironia. E poi, che si­gnifica guarito? Non sei mai stato ammalato, che io sappia.

Vittorio — Già... questo è appunto il lato più penoso della mia condizione. Non sono mai stato ammalato nel senso che si dà a questa parola. Dei vuoti ogni tanto... e tutti avevano il buon gusto di non accorger-sene...

Giacomo — Comunque non siamo qui per rivangare il passato...

Vittorio — Siamo qui per seppellire il presente...

Giacomo — Che significa?

Vittorio — Credi che non abbia già in­tuito quello che vuoi dirmi... o meglio quello che volete dirmi, perché certo vi sarete messi d'accordo... (A Giacomo) E non ostentare quella tua sicurezza... in fondo sei un po' spaventato anche tu, come mia madre... Anche tu stai pensando... «Chissà che diavolo ha in testa quel pazzo di mio nipote»... E mi giri intorno con parole caute, come facevano un tempo i medici. Me lo ricordo, sai? (Con un sospiro) Eh, se la gente sapesse che razza di condanna... (S'interrompe, poi come par­lando a se stesso) Si sente tutto, si vede tutto, si capisce anche tutto, ma non ci si può di­fendere... E passano gli anni in una specie di incubo soffocante, in una lotta con se stessi... Si tenta di spiegare e non si può... se si grida, è peggio... (Ridendo amaramente) Tutti possono gridare, ma io no... guai se lo facessi... Basta poco, per vedere apparire lo spavento sul viso di chi ti guarda... E allora, ci  si  abitua   a  simulare...

Giulia — (con angoscia) Basta, Vittorio... perché ti tormenti?

Vittorio — Sì, hai ragione... anche que­sto non è di buon gusto... ma devo pur spie­garmi, spiegare a voi e a me stesso com'è avvenuto il miracolo. (A Giacomo) Non ero ammalato, dici? E va bene... (Guardando nel vuoto) Un bambino truccato da uomo... Mi alzavo, mi vestivo, andavo in ufficio... andavo alla Biblioteca. (Con un sorriso triste) Credo che al nostro paese si ricorderanno per un pezzo di quello strano bibliotecario seduto dietro una scrivania come una marionetta, con gli occhi fissi a un punto lontanissimo... Entravano dei vecchi signori... Vorrei il tal libro... Facevo un gesto, alzando una mano verso gli scaffali, sempre lo stesso gesto... E i vecchi signori non protestavano... erano tutti molto gentili con me... Poi entravano degli studenti... maschi e femmine... Mi pas­savano davanti ridacchiando, e andavano a mettersi nell'angolo meno in vista, per sbaciucchiarsi... Io immobile, come una sta­tua di cera...

Giacomo — Senti, Vittorio, noi non siamo qui...

Vittorio — Per sentire queste cose stu­pide e miserevoli, lo so... (Cambiando tono) Dopo anni ed anni di questa inverosimile esistenza, ecco che una notte avviene un fatto imprevisto... una folgorazione...l'urto ina­spettato contro un essere vivente dell'altro sesso... Una donna che non ha avuto paura di avvicinare il mostro... Perché, da un certo punto di vista, dovevo apparirle un mostro... (Alla madre) E tu, invece di buttarti in gi­nocchio davanti a lei, l'hai insultata...

Giulia — (scattando) Non è vero!

Giacomo — Ssst...   lascialo   dire...

Vittorio — Oh, non certo con delle in­giurie... non sarebbe nel tuo stile. Ironia piuttosto... ironia tagliente della madre intemerata verso l'avventuriera. (Ride iro­nico).

Giulia — Anche tu riconosci che era una avventuriera...

Vittorio — (alzandosi e guardandosi in­torno sospettoso) Perché «era»?... Dov'è? Che cosa le avete fatto?! (Si lancia verso la camera di destra, la spalanca, entra, esce, grida) Dov'è andata?! Guai a voi! Guai a voi!

Giacomo — Ssst...   Non   gridare!

Vittorio — Voglio sapere dov'è andata! Subito,  subito,  capisci?

Giacomo — Ma come posso saperlo? Se n'è andata... come potevo impedirlo? Tutto quello che si poteva fare è stato fatto...

Vittorio — (febbrilmente) Che cosa è stato fatto? Spiegami... Che cosa avete tramato tutti e due...

Giulia — Vittorio, adesso ci offendi... Perché ci vuoi fare responsabili della vita privata di quella donna...

Giacomo — Tu stesso hai usato il vocabolo avventuriera...

Vittorio — (nervosamente) Lascia stare i vocaboli... l'ho detto di proposito, perché ho capito subito il vostro punto di vista.

Giacomo — Non si tratta di un nostro punto di vista. Quella donna era ricercata dalla Polizia, e perciò ha dovuto andarsene. Se non lo credi, chiedilo ai signori Berutti, ai  padroni   di   casa...

Giulia — Tutto quello che abbiamo po­tuto fare è stato di impedire che venisse arre­stata qui.

Vittorio — (passandosi una mano sulla fronte) Un momento... perché arrestata? Che cosa ha fatto, per dover essere ricercata dalla Polizia?

Giacomo — Non lo sappiamo, figliolo... Lei non ce lo ha detto. Il fatto si è che, già ieri sera, era venuto un poliziotto a cercarla...

Vittorio — Ieri sera?

Giulia — Poco prima che tu... la incon­trassi.

Vittorio — Va bene, va bene, e poi? Perché allora non è fuggita ieri sera?

Giacomo — Perché, perché... che vuoi che ne sappiamo? Evidentemente ha preferito passar la notte qui, e questa mattina presto se n'è andata...

Vittorio — (lasciandosi cadere su di una sedia e prendendosi il capo fra le mani) Ed io dormivo, dormivo... Dio, Dio, perché hai fatto questo?!

Giacomo — (sempre più imbarazzato) Ho cercato anche di darle del denaro...

Vittorio — (sussultando) Del denaro? Perché?

Giacomo — Così... per aiutarla...

Vittorio — (smarrito) E lei non si è ri­bellata?... non ha protestato? Non è pos­sibile... È un tranello che avete escogitato contro di me...

Giulia — Ti prego, Vittorio... cerca di renderti conto...

Vittorio — (urlando) Basta! Basta con questa ipocrisia! (A Giacomo con ansia im­provvisa) Ha lasciato almeno il suo indirizzo? Ha detto il suo nome?

Giacomo — Ma via... adesso sì che sei un bambino... Una donna ricercata dalla Polizia, che lascia nome e indirizzo... In che mondo vivi?

Vittorio — (mentre lagrime silenziose ri­gano le sue guance) Avete fatto questo... avete commesso questa orribile viltà verso un po­vero diavolo che si trascinava annaspando per  ritornare  alla   vita.

Giulia — (avvicinandosi al figlio) Non fare così, ti prego... sono la tua mamma!

Vittorio — Via... via tutti! (Annaspan­do verso la camera di sinistra) Andiamo... do­v'è la mia roba... Portatemi via! Portatemi via!

Giacomo — (trattenendolo) Ascolta, Vittorio...  Tu ora sei guarito... devi pure arren­derti alla logica delle cose...

Vittorio — Sì, arrendermi, ecco la parola. Arrendermi... dovevo immaginarlo... la lo­gica... Eh, già, perciò si chiama ferrea... come le sbarre, le grate, le catene...

Giacomo — Qui nessuno ti vuole incate­nare...

Vittorio — (guardando nel vuoto) Non si interrompe la vita per tanti anni, per poi riprenderla al punto in cui la si è lasciata... (A Giacomo) Hai detto bene tu... In che mondo vivi... vorrei saperlo anch'io, in che mondo vivo...

Giulia — Senti, caro... avremo tutto il tempo per parlare di queste cose... con calma, a casa nostra...

Vittorio non risponde, e Giulia dopo un gesto di disperazione entra nella camera matrimo­niale, e ne ritorna con la valigia il soprabito e il cappello del figlio.

Vittorio — (come in sogno) La nostra casa... Per tanti anni ancora, un bambino vestito da uomo in una casa sepolta tra la nebbia... (Lasciando che la madre meccanica­mente gli infili il soprabito) Fuori, della gente che saluta... Buon giorno, professore. (A Giacomo, con un sorriso triste) Rispettabilità... Decoro...   Una famiglia  di insegnanti...

Giulia — (affannosamente al fratello) Chia­ma una vettura,  un tassì...

Giacomo — (uscendo   in   fretta)   Subito...

Vittorio — (mettendosi in testa il cap­pello a sghimbescio, in modo buffo) Un bam­bino che rientrerà lentamente nella notte lunga della sua follia...

Giulia — (assestandogli amorosamente il cappello) Ma no, Vittorio, vedrai... È un'altra vita che ricomincia...  ne sono sicura...

Vittorio — (con sconfinata tristezza) Un'al­tra vita... Prigioniero della logica e, intorno, i guardiani dell'affetto familiare, perché non mi manchi nulla... E la gente che si volta a guardarmi per la strada... Il bibliotecario... (Con un riso ebete, mentre tende il braccio a indicare)   Quello là è il bibliotecario...

Giacomo — (voce fuori scena) Tassì... ehi... tassì... siete libero?

Rombo di uni macchina che si ferma davanti al cancello, mentre dalla sinistra entrano len­tamente Gianni e Lucia, che guardano ango­sciati.

Giulia — (a Vittorio) Niente biblioteca, invece... faremo un viaggio... noi due... Sai che cosa ho pensato? (Fa dei cenni ai coniugi Berutti perché non si avvicinino).

Vittorio — (dirigendosi lentamente verso l'uscita, mentre la madre raccoglie la valigia) Un viaggio... i fanali rossi e verdi dei treni nella notte...

Giacomo — (rientrando trafelato) Ecco fat­to... (A Giulia, togliendole di mano la valigia) Il tassì è pronto... Io poi ritorno per regolare tutto...

Vittorio — (uscendo curvo fra lo zio e la madre) I treni che vanno e vanno... e non arrivano mai al mare... Non arrivano mai al mare...

Le ultime parole si perdono fuori scena in un sussurro indistinto. Gianni e Lucia occhieg­giano, allungano il collo, finché si ode il rumore della messa in marcia e il rombo del tassì che si   allontana.

Fine della commedia